LA NATO E’ LO STRUMENTO DEGLI USA NEL CONFLITTO STRATEGICO DELLA FASE MULTICENTRICA, di Luigi Longo

LA NATO E’ LO STRUMENTO DEGLI USA NEL CONFLITTO STRATEGICO DELLA FASE MULTICENTRICA

di Luigi Longo

 

La Nato e un’autonoma forza europea comune di difesa

non possono crescere insieme. Una sola delle due può

 emergere e la nostra volontà dovrebbe essere che questa sia la

Nato, in modo che nel nostro scontro con la Cina l’Europa rimanga

per noi una risorsa militare e non si trasformi in una passività.

Robert D. Kaplan*

La Nato, divenuta apertamente strumento dell’espansionismo

americano e non più della difesa europea, pone termine alle

 illusioni di una “autonomia europea”, costringendo l’Unione

 Europea a un nuovo allineamento, ancora più severo di quello

imposto nel passato con il pretesto della “guerra fredda”.

Samir Amin**

Non l’America che comanda il mondo, ma il mondo che diventa America.                                  

Perry Anderson***

 

 

1.Premessa

 

Avanzo l’ipotesi di una sequenza temporale (timeline) della Nato come momenti significativi di svolte e di fasi (1) che ne costruisce il ruolo e funziona, per l’essenzialità del ragionamento, da elemento sintattico della riflessione. La sequenza temporale evidenzia “momenti” storici che narrano i punti di svolta delle diverse fasi mondiali (monocentrica, multicentrica, policentrica) sia nel loro passaggio di fase, sia nel loro consolidamento. Le fasi mondiali sono viste come il conflitto strategico (2) tra le potenze mondiali per il dominio. Il dominio può essere multicentrico con la spartizione del mondo tra le potenze dominanti storicamente date (con le relative aree di influenza) in modo da evitare la guerra per la supremazia che comporterebbe la fine del pianeta terra considerato la potenza distruttrice raggiunta dall’uso delle armi nucleari (3); oppure monocentrico, cioè, dominio relativo di coordinamento mondiale di una potenza storicamente determinata scaturita dalla guerra: difficile da realizzarsi perché le condizioni storiche sono fortemente cambiate dalla seconda guerra mondiale per il falso progresso de le magnifiche sorti e progressive (4) che ci porterà al rischio della fine della vita sul pianeta terra come innanzi detto.

Evidenzio, en passant, la quasi assenza, a mia conoscenza, della ricerca (pubblica e privata) sia sulle relazioni tra basi militari Usa-Nato e sviluppo locale, regionale, nazionale e internazionale, sia sulle relazioni politiche, militari, industriali, economiche, sociali e culturali nei territori di localizzazione delle basi e delle loro proiezioni nei sistemi di valori territoriali (5).

 

 

2.La sequenza temporale della Nato

 

L’ipotesi della sequenza temporale della Nato, che propongo, è la seguente:

 

  • Dopo la seconda guerra mondiale gli USA si affermano, nel campo occidentale, come potenza egemone e coordinatrice di un modello di sviluppo economico, politico, sociale e culturale. Si avvia la fase monocentrica occidentale.

         Nasce la Nato: lo strumento contro il campo orientale e il cosiddetto          comunismo.

 

  • Dopo l’implosione dell’URSS, caduta del mondo erroneamente detto comunista, gli USA si ergono a potenza egemone di coordinamento mondiale. Si afferma la fase monocentrica mondiale.

         La Nato si trasforma e allarga le sue competenze oltre alla sfera   militare anche a quella economica, dello sviluppo dei territori, della   sicurezza territoriale, del controllo sociale, della ricerca, della   penetrazione e dell’ampliamento dell’area di influenza ad Est e nel          Medio Oriente (per esempio: la prima guerra del Golfo, la          dissoluzione della Jugoslavia, l’inglobamento dei paesi già parte           dell’ex Patto di Varsavia e dell’ex URSS).

 

  • Dopo la distruzione della Libia, il tentativo di demolire la Siria e con l’emergere in maniera definitiva delle due potenze in ascesa (Russia e Cina), gli USA temono la loro messa in discussione come unica potenza di coordinamento mondiale.

Il percorso della fase multicentrica è tracciato.

         La Nato diventa lo strumento di conflitto contro le potenze emergenti    (guerra economica alle vie dell’energia russa e alle vie della Seta      cinese, la militarizzazione dell’Est, del Medio Oriente e dell’Asia          centrale per l’accerchiamento della Russia, la militarizzazione      dell’Oceano Indiano e dell’area dell’Asia-Pacifico per          l’accerchiamento della Cina. ).

 

  • Con la configurazione del nascente polo asiatico, coordinato da Russia e Cina, gli USA avviano in maniera determinata un attacco alla Cina (via virus Sars Cov 2) e alla Russia (via Ucraina).

         La fase multicentrica entra nel vivo della sua costruzione.

         La Nato è ricalibrata come strumento del conflitto contro il nascente     polo asiatico. Il suo modello viene riproposto sia nel Mediterraneo (il Dialogo mediterraneo, DM), sia nel Medio Oriente (con gli accordi di        Abramo), sia nel Pacifico (patto Aukus, l’alleanza Quad), sia in Africa   (DM, Operazione “Active Endeavor”, Standing Maritime Group          One), sia in America latina, sia nel circolo polare Artico dove gli USA,         oltre la questione delle risorse naturali, temono, soprattutto, le nuove vie dell’Artico verso l’Atlantico che possono far saltare le loro strategie (prioritariamente militari e logistiche) nel Pacifico innervando sempre di più il coordinamento tra la Russia e la Cina.

 

 

2.Perchè la Nato

 

La fine della fase policentrica, avvenuta con la seconda guerra mondiale, ha comportato la divisione del mondo in due blocchi contrapposti e in parte alternativi: quello occidentale egemonizzato dagli USA e quello orientale egemonizzato dall’URSS.

Gli USA, per un controllo del loro campo occidentale, soprattutto dell’Europa, hanno creato sia l’Unione Europea (1947) sia la Nato (1949) (6).

Nasce la Nato: lo strumento contro il campo orientale e il cosiddetto comunismo.

L’URSS, come risposta alla strategia USA e per un controllo della sua area di influenza, ha costituito sia il Comecon (1949) sia il Patto di Varsavia (1955) che non tratterò perché non sono oggetto del presente scritto (7).

La Nato è stata costruita, secondo la retorica di basso livello degli USA-Nato, perché << […] l’Unione Sovietica era considerata come la principale minaccia alla libertà e all’indipendenza dell’Europa occidentale. L’ideologia comunista, gli obiettivi e i metodi politici e le capacità militari indicavano che, quali che fossero state le reali intenzioni dell’Unione Sovietica, nessun governo occidentale avrebbe potuto permettersi di ignorare la possibilità di un conflitto. In conseguenza di ciò, dal 1949 alla fine degli anni ’80 – periodo noto come quello della Guerra Fredda – il compito principale dell’Alleanza è stato quello di mantenere sufficienti capacità militari per difendere i suoi membri da ogni forma di aggressione da parte dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia. La stabilità fornita dalla NATO durante questo periodo ha consentito all’intera Europa occidentale di tornare alla propria prosperità dopo la Seconda Guerra mondiale, accrescendo la fiducia e la prevedibilità, che sono essenziali per lo sviluppo economico […]Alla metà degli anni ’50, una strategia cosiddetta della “risposta massiccia” enfatizzava la dissuasione basata sulla minaccia che la NATO avrebbe risposto all’aggressione contro chiunque dei suoi membri con ogni mezzo a sua disposizione, incluse in modo particolare le armi nucleari. Nel 1967, veniva poi introdotta la strategia della “risposta flessibile” (corsivo mio, LL), che mirava a scoraggiare l’aggressione creando nella mente di un potenziale aggressore incertezza riguardo a quella che poteva essere la natura della risposta della NATO, convenzionale o nucleare. Questa è rimasta la strategia della NATO sino alla fine della Guerra Fredda >> (8).

In realtà, come sostiene Mahdi Darius Nazemroaya, la Nato era nient’altro che una clausola di garanzia per gli Stati Uniti, che stabiliva gli USA quale unica superpotenza nucleare globale col compito di proteggere il resto dell’Alleanza atlantica (9) con il principale obiettivo, come racconta M. Arnaud Leclercq, di prevenire l’aggregazione dei centri di potere del “vecchio mondo” in una coalizione ostile ai loro propri interessi (10).

La strategia durante la guerra fredda è stata quella di difesa dell’Europa occidentale da una eventuale aggressione dell’URSS, così per gli USA-Nato sin << Dalla nascita della NATO, il ruolo fondamentale delle forze alleate è stato quello di garantire la sicurezza e l’integrità territoriale degli stati membri. Il compito di fornire sicurezza attraverso la dissuasione e la difesa collettiva restano un fondamentale compito […] Durante la Guerra Fredda, la pianificazione della difesa della NATO era principalmente indirizzata a mantenere le capacità necessarie per difendersi da una possibile aggressione dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia >> (11).

Ma come non ricordare, a tal proposito, tenendo conto delle condizioni storiche mutate (soprattutto con l’implosione del cosiddetto campo del comunismo egemonizzato dall’URSS) e l’uso delle categorie che le esprimono, l’ideologia reazionaria statunitense denunciata (gennaio 1953, Poscritto sull’irrazionalismo del dopoguerra) da Gyorgy Lukacs quando sosteneva che << E’ apparso chiaro a una cerchia sempre più vasta di persone ciò che gli iniziati sapevano da tempo, e cioè che la fine della guerra significa solo la preparazione di una nuova guerra contro l’Unione Sovietica, che la preparazione ideologica delle masse a questa guerra rappresenta un problema centrale del mondo imperialistico […] Poiché infatti, dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti sono apparsi sempre più come forza dirigente della reazione imperialista, e hanno preso, sotto questo aspetto, il posto della Germania, si dovrebbe scrivere obbiettivamente una storia della loro filosofia per mostrare, con la stessa minuzia, con cui qui è stato fatto per la Germania, quale è l’origine sociale e spirituale e delle odierne ideologie del <<secolo americano>> e dove se ne possono trovare le radici >> (12). Qui il senso degli USA come potenza mondiale pericolosa e reazionaria, perché non accetta un dominio mondiale condiviso con le altre potenze, è di grande attualità soprattutto per un progetto di stabilizzazione dinamica della fase multicentrica così come la trappola di Tucidide ha dimostrato storicamente in quattro casi (13).

 

3.Perchè si trasforma la Nato

 

Con la fine della guerra fredda dovuta sostanzialmente alla implosione dell’URSS (1991) e l’affermazione degli USA come unica potenza di coordinamento mondiale si apre un periodo di fase monocentrica terminata nel 2010 con l’emergere delle due potenze in ascesa: la Cina e la Russia. Si avvia sia il tracciamento del percorso della fase multicentrica, sia la costruzione della strada della fase multicentrica.

 

La fase monocentrica

 

In questa fase monocentrica (1991-2010, il periodo è relativamente indicativo perché i processi che racchiude sono di lunga durata) la Nato subisce un primo cambiamento: da strumento USA di contenimento dell’URSS durante la guerra fredda a strumento di espansione ad Est e nel Medio Oriente con un allargamento del suo campo di azione che riguarda la quasi totalità delle sfere sociali.

 

La Nato si trasforma e allarga le sue competenze oltre alla sfera militare anche a quella economica, dello sviluppo dei territori, della sicurezza territoriale, del controllo sociale, della ricerca, della penetrazione e dell’ampliamento dell’area di influenza ad Est e nel Medio Oriente (per esempio: la prima guerra del golfo, la dissoluzione della Jugoslavia, l’inglobamento dei paesi già parte dell’ex Patto di Varsavia e dell’ex URSS) (14).

 

La strategia che viene elaborata, secondo la retorica ideologica degli USA-Nato, è quella della << […] sicurezza euroatlantica [che] era divenuta più complessa e molte nuove sfide erano emerse al di fuori dell’Europa, tra cui gli stati in disfacimento, la proliferazione delle armi di distruzione di massa e dei loro vettori, e il terrorismo. Questa nuova agenda della sicurezza è divenuta evidente all’inizio degli anni ’90 con i conflitti etnici nei Balcani, dove infine le forze della NATO sono state chiamate a svolgere un ruolo a sostegno della pace e di gestione delle crisi. Più recentemente, gli attacchi terroristici del settembre 2001 e le successive operazioni in Afghanistan per sradicare al Qaida, il gruppo terrorista responsabile degli attacchi, hanno portato a un crescente interesse per le minacce poste dal terrorismo, dagli stati in disfacimento e dal diffondersi delle armi di distruzione di massa. Le forze della NATO ora contribuiscono alla difesa contro il terrorismo e svolgono un ruolo più ampio nelle missioni internazionali a sostegno della pace, che impegnano la NATO al di fuori dell’area euroatlantica per la prima volta nella sua storia (corsivo mio, LL). Così, mentre le minacce che l’Alleanza ha oggi di fronte sono potenzialmente meno apocalittiche rispetto a quelle della Guerra Fredda, sono assolutamente reali, urgenti e spesso imprevedibili >> (15).

Gli USA, quindi, non solo pongono le basi per contrastare l’affermarsi di potenze rivali, nello spazio euro-asiatico ed asiatico, in grado di mettere in discussione la loro egemonia mondiale, ma guidano le trasformazioni della Nato all’interno delle loro strategie di dominio. Infatti, come fa notare Manlio Dinucci, << la nuova strategia viene ufficialmente enunciata, sei mesi dopo la fine della Guerra del Golfo, nella National Security Strategy of the United States (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti), pubblicata dalla Casa Bianca nell’agosto 1991. […] il documento sottolinea che “in Medio Oriente e Asia Sud-Occidentale il nostro obiettivo è quello di rimanere la potenza esterna predominante e preservare l’accesso statunitense al petrolio della regione (da usare, così come le altre risorse energetiche fossili, come strumento nel conflitto strategico tra le potenze, mia precisazione LL). Resta di fondamentale importanza impedire che una potenza egemone o una coalizione di potenze domini la regione >>. Tale strategia sarà adattata in tutte le “regioni critiche per la sicurezza degli Stati Uniti, le quali comprendono l’Europa, l’Asia orientale, il Medio Oriente, l’Asia sud-occidentale e il territorio dell’ex Unione Sovietica. Abbiamo in gioco importanti interessi anche in America latina, Oceania e Africa subsahariana”. […] il nostro obiettivo primario è impedire il riemergere di un nuovo rivale, o sul territorio dell’ex Unione Sovietica o altrove, è impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti, se controllate strettamente, a generare una potenza globale”. Tale strategia deve essere attuata nei confronti non solo di “qualsiasi potenza ostile”, ma anche dei “paesi industriali avanzati, per dissuaderli dallo sfidare la nostra leadership o cercare di capovolgere l’ordine politico ed economico costituito. Infine, dobbiamo mantenere i meccanismi per scoraggiare i potenziali competitori anche a un maggiore ruolo regionale o globale”. […] E’ quindi della massima urgenza per gli Stati Uniti ridefinire non solo la strategia, ma il ruolo stesso della NATO. Sotto la crescente pressione esercitata da Washington, la Nato comincia a orientarsi a un nuovo ruolo subito dopo il “crollo del muro di Berlino”, prima ancora che il Patto di Varsavia e l’Unione Sovietica si dissolvano.I1 17 novembre 1991, i capi di stato e di governo dei sedici paesi della NATO, riuniti a Roma nel Consiglio Atlantico, varano il nuovo Concetto strategico dell’Alleanza >> (16).

Questa nuova strategia ha portato nel 2010 alla elaborazione del documento Nato sul “Concetto strategico per la difesa e la sicurezza dei membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico adottato dai capi di Stato e di governo a Lisbona” dove la Cina e la Russia non sono neanche nominate (17). Dal 1991 al 2010 la fase monocentrica statunitense ha prodotto le due guerre del Golfo, la dissoluzione della Federazione Jugoslava, l’espansione a Est e l’accerchiamento della Russia, la guerra globale al terrorismo (18). Manlio Dinucci sostiene che << La guerra contro la Jugoslavia costituisce allo stesso tempo l’atto fondante da cui nasce quella che il summit, convocato a Washington il 23-25 aprile 1999, definisce “una nuova Alleanza più grande, più flessibile, capace di intraprendere nuove missioni, incluse le operazioni di risposta alla crisi”. Da alleanza che, in base all’Articolo 5 del Trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad assistere anche a “condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’Articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza” >> (19).

Dopo la disgregazione della Jugoslavia ad opera degli USA-Nato, il sistemico Sergio Romano afferma che << i primi a trarne le conseguenze furono gli ex satelliti dell’Unione Sovietica. Per creare una nuova economia, dopo il fallimento del sistema comunista, ricorsero all’Unione Europea, di cui divennero membri troppo frettolosi. Ma per garantire la loro sicurezza, decisero che la protezione americana sarebbe stata più efficace di quella fornita da un gruppo di Stati europei ancora sprovvisti di una politica militare comune. Il risultato fu l’allargamento della Nato sino alla vecchia Urss e, dopo l’ingresso delle repubbliche baltiche, entro i suoi confini. Non bastava: per gli Stati Uniti quella era soltanto una tappa verso un’organizzazione militare che avrebbe compreso l’Ucraina e la Georgia.

E’ questo il momento in cui Vladimir Putin diventa il restauratore del grande Stato russo e della sua area d’influenza. Ed è questo il momento in cui la Russia, a Washington, comincia a essere percepita come un potenziale nemico. Nel primo documento sulla sicurezza nazionale diffuso dalla Casa Bianca dopo la elezione di Donald Trump, è scritto: “Benchè la minaccia del comunismo sovietico non esista più, nuove minacce mettono alla prova la nostra volontà. La Russia sta usando misure sovversive per indebolire la credibilità dei nostri impegni europei, scardinare l’unità transatlantica, indebolire le istituzioni dei governi europei. Con le sue invasioni della Georgia e dell’Ucraina, la Russia ha dimostrato la sua intenzione di violare la sovranità degli Stati nella regione. La Russia continua a indebolire i suoi vicini con comportamenti minacciosi e la dislocazione avanzata di forze militari”.

Il passaggio dedicato alla Cina non è troppo diverso. Anche la politica cinese, agli occhi di Washington, appare troppa ambiziosa e, quindi, potenzialmente minacciosa. “La Cina e la Russia” è scritto nel documento sulla sicurezza “sfidano la potenza degli Stati Uniti, la loro influenza e i loro interessi, e si propongono di erodere la loro sicurezza e la loro prosperità”. Agli alleati l’America chiede di essere aiutata a fronteggiare i suoi nemici. “Ci aspettiamo che i nostri alleati europei, entro il 2024, aumentino le spese per la difesa sino al 2 per cento del loro Prodotto interno lordo. Sul fronte orientale della Nato continueremo a rafforzare la deterrenza e la difesa, a catalizzare gli alleati e i partner sulla linea del fronte affinchè siano in condizioni di meglio difendere se stessi. Lavoreremo con la Nato per migliorare le sue capacità missilistiche di difesa integrata contro le minacce missilistiche provenienti soprattutto dall’Iran” >> (20).

La fase monocentrica, 1991-2010, a coordinamento USA, si è conclusa con una illusione statunitense che ha evidenziato sia il suo consolidato declino (relativo) sia l’incapacità storica (21) di pensare ad un nuovo ordine mondiale (senza l’arroganza di essere la “sola nazione indispensabile al mondo”) con l’uso quasi esclusivo della forza militare (hard power) altro che il soft power, cioè, la capacità di sedurre e persuadere le altre nazioni senza dover ricorrere alla forza o alla minaccia, come sostenuto da J.S. Nye, considerato uno dei più eminenti pensatori liberali della politica estera statunitense (22). Gianfranco La Grassa sostiene che << Ciò che si sta verificando è, almeno a partire dal 2001, dopo l’attacco “islamista” contro le Torri Gemelle, un avanzamento del multipolarismo sulla scacchiera del potere internazionale. L’unipolarismo o monocentrismo americano, che in seguito all’implosione dell’URSS si autoreferenziava come secolare (New American Century), si è scontrato, nel giro di un decennio o poco più, con le sue velleità >> (23). Diana Johnstone ricorda che << Il buon senso è antico e semplice. Prima della rovina viene l’orgoglio e prima della caduta c’è l’arroganza. Questo è un insegnamento che quasi chiunque dovrebbe essere in grado di capire >> (24).

 

Il percorso della fase multicentrica

 

Riporto due brevi riflessioni tratte da due miei scritti (25) che inquadrano il percorso della fase multicentrica in cui il conflitto USA-Nato, scatenato in Libia e in Siria, ha accelerato la partnership strategica sempre più profonda tra Mosca e Pechino (ho usato le parole del servo Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato).

La prima riflessione riguarda lo smembramento della Libia. In esso

molti studiosi hanno visto i processi economici in particolare della Francia e del Regno Unito (interessi di imprese, risorse energetiche, finanziamenti occulti, eccetera) ma non hanno visto i processi strategici della potenza imperiale USA che impongono una fase del caos mirata ad un attacco deciso alla Russia (primavera araba, Siria, Ucraina, Iran, accordo Russia-Cina-Iran, eccetera) e alla Cina (ridimensionamento della politica di penetrazione e di espansione in Africa). Insomma un attacco duro e pericoloso per indebolire quelli che potrebbero essere i punti di forza delle nuove potenze che aspirano a competere con l’egemonia USA non solo a livello di specifiche aree geografiche ma soprattutto a livello mondiale.

La seconda riflessione concerne lo smembramento non riuscito della Siria.

La guerra in Siria, al contrario delle altre guerre nel Medio Oriente (Iraq), nei Balcani (ex Jugoslavia) e nel Nord Africa (Libia), può rappresentare il punto di svolta verso il consolidamento del polo di aggregazione intorno alla Russia e alla Cina [che già collaborano nella sfera economica (risorse energetiche, via della seta, trattati di area, accordi commerciali, eccetera)] capace di approntare una strategia tutta orientale che lancia un confronto tra nazioni eguali con una visione multicentrica del mondo e un nuovo rapporto tra Oriente e Occidente [senza dimenticare né l’influenza della sedimentazione storica del rapporto tra Russia ed Europa a partire dalla metà del XV secolo con lo zar Ivan III (1440-1505), né l’attrito storico tra Russia e Cina]. Non si tratta di un confronto basato sulla forza militare ma sul dialogo e sul confronto tra storie, culture, popoli diversi. Tale confronto non esclude affatto le questioni fondamentali quali i rapporti sociali basati sul potere e sul dominio che riguardano sia le logiche interne che esterne delle nazioni e delle relazioni con le nazioni divenute potenze mondiali [si pensi, per esempio, a quanta influenza ha l’egemonia USA nel decidere lo sviluppo e la politica delle nazioni europee e dell’Unione Europea (che è bene ricordarlo non è l’Europa delle nazioni, ma un luogo istituzionale sovranazionale nato da un progetto pensato, finanziato e guidato dagli Stati Uniti e gestito da sub-agenti dominanti)].

Gli USA devono bloccare con la forza militare la possibilità di formazione del polo Russia-Cina perché sanno che l’avverarsi di tale polo, unito alla loro incapacità di fermare il proprio declino egemonico e alla convinzione che l’unica strada percorribile sia quella della guerra (è attraverso la guerra che hanno sempre affermato l’autorità globale), non sarebbe altro che l’inizio della transizione egemonica con una diversa riorganizzazione sistemica. Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, due importanti protagonisti delle strategie di dominio statunitensi, hanno sempre combattuto e temuto la formazione di un polo sia euroasiatico (Europa-Russia) sia asiatico (Russia-Cina) perché vedevano in esso una seria minaccia alla egemonia mondiale statunitense.

La guerra USA, al contrario di quello che pensava Niccolò Macchiavelli (ne Il Principe) che la intendeva come portatrice di benessere, è solo distruzione di popoli, di territori e di nazioni per contenere la Russia e distruggere sul nascere il polo di formazione asiatico intorno a Russia e Cina.

Il declino egemonico mondiale degli USA sta nella perdita della capacità di un modello sociale di benessere interno ed esterno; gli Stati Uniti basano la loro resistenza egemonica solo sulla forza militare aggressiva e distruttrice senza creazione, senza consenso e senza confronto.

La stessa storia si ripete oggi, in maniera diversa, con il recente attacco USA alla Siria, dopo sette anni di tentativi di smembramento di una nazione sovrana, con morti e sofferenze inenarrabili della popolazione, insieme agli alleati ufficiali europei (Francia e Regno Unito) interessati alla sfera economica, per contrastare l’egemonia dell’area della Russia e il consolidamento di una potenza regionale come l’Iran che minerebbe il ruolo di Israele come potenza regionale vassallo USA nella politica in Medio Oriente (senza dimenticare la questione storica, politica e territoriale della Turchia) (25 bis), area nevralgica del conflitto strategico mondiale.

La strategia USA-Nato, che ha portato all’approvazione del suddetto documento Nato sul “Concetto strategico per la difesa e la sicurezza dei membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico adottato dai capi di Stato e di governo a Lisbona” nel 2010, ha tracciato delle linee generali della solita bassa retorica statunitense senza mai delineare e nominare le potenze emergenti in grado di mettere in discussione la loro egemonia mantenendosi, per dirla nel linguaggio della menzogna sistematica, su concetti come il ruolo della difesa collettiva ex art. 5 del Trattato, la gestione delle crisi su scala regionale e internazionale, il ruolo della sicurezza cooperativa mediante partnership con altre organizzazioni internazionali e Stati terzi che aderiscono ai criteri di pace e sicurezza collettiva dell’Alleanza. Voglio dire che occorre un nuovo svelamento della pratica reale della Nato come braccio armato degli USA [la forma del Trattato è un vincolo che esplicita la forma di dominio statunitense (26)] per il conflitto tra potenze per l’egemonia mondiale che nulla ha a che fare né con i suoi Trattati ufficiali né con i suoi diversi concetti strategici elaborati su una realtà sempre in continua trasformazione. I concetti strategici elaborati dagli USA-Nato non sono altro che codifiche, teoriche e pratiche, di eventi che già accadono da lungo tempo, la cui narrazione è orwelliana. Dal 2010 ad oggi i fatti accaduti hanno trasformato le relazioni internazionali (fase monocentrica, fase multicentrica) e la elaborazione del nuovo concetto strategico, uscito dal vertice Nato di Madrid (giugno 2022), non è altro che una codifica ideologica dei nuovi cambiamenti geostrategici della Cina e della Russia nello scenario mondiale.

 

Il percorso della fase multicentrica è tracciato. La Nato diventa lo strumento di conflitto contro le potenze emergenti (guerra economica alle vie dell’energia russa e alle vie della Seta cinese, la militarizzazione dell’Est, del Medio Oriente e dell’Asia centrale per l’accerchiamento della Russia, la militarizzazione dell’Oceano indiano e dell’area dell’Asia-Pacifico per l’accerchiamento della Cina.).

 

La strada della fase multicentrica

 

E’ evidente che attorno ai Centri dei Paesi potenza di Cina e Russia si stanno organizzando aggregazioni di altri Paesi, con la istituzione di associazioni, trattati, organizzazione di cooperazione, accordi, eccetera, con la ricerca di una propria moneta che rifletta il progetto, la visione di un mondo multicentrico, con il coinvolgimento dei Paesi con i relativi sviluppi territoriali, che configureranno un vero polo asiatico coordinato di grandi e piccole aree (l’Oriente) in grado di mettere in discussione l’attuale Centro del Paese potenza degli USA che configurerà il polo euroatlantico coordinato anch’esso in grandi e piccole aree (l’Occidente). Qui Occidente e Oriente sono intesi non nella logica pseudoscientifica alla Samuel P. Huntington dello scontro di civiltà (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, 2000), ma nella logica dell’incontro, come è sempre stato nella storia, tra diverse culture, tradizioni, popoli, territori, rapporti sociali che si incontrano, si scambiano, si arricchiscono nella loro esperienza di vita. Parlo di popoli, con le loro articolazioni sociali con i loro valori di ricchezza umana, non di elitès più o meno illuminate.

Riprendendo la Trappola di Tucidide e capovolgendo la contrapposizione Sparta-Atene proposta all’interno del “the Classicizing of the America Mind” (Usa=Atene e Sparta=Urss) posso dire che gli USA sono Sparta, una potenza conservatrice incline allo status quo, all’immobilismo che non si sforza di ideare vie nuove; Cina e Russia sono Atene che sconvolge l’ordine esistente, è veloce nell’ideare vie nuove, è veloce nel realizzare ciò che ha deciso (27).

Con la configurazione del nascente polo asiatico, coordinato da Russia e Cina, gli USA-Nato avviano in maniera determinata un attacco alla Cina (via virus Sars Cov 2) e alla Russia (via Ucraina) (28).

La Nato << Alla riunione dei capi di Stato e di governo dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) tenutasi a Londra nel dicembre 2019, i leader dell’Alleanza hanno chiesto al Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg di intraprendere un processo di riflessione lungimirante per valutare le modalità per rafforzare la dimensione politica della NATO Alleanza. A tal fine, nell’aprile 2020, il Segretario generale Stoltenberg ha nominato un gruppo di riflessione indipendente co-presieduto da Thomas de Maizière e A. Wess Mitchell e composto da John Bew, Greta Bossenmaier, Anja Dalgaard-Nielsen, Marta Dassù, Anna Fotyga, Tacan Ildem , Hubert Védrine e Herna Verhagen […] Questo documento è il rapporto finale del Gruppo di Riflessione al Segretario Generale. La prima parte riassume il rapporto, delinea la visione del Gruppo per la NATO nel 2030 e fornisce una versione sintetica dei principali risultati del Gruppo. La seconda parte valuta le principali tendenze che daranno forma all’ambiente della NATO da qui al 2030. La terza parte fornisce una discussione più dettagliata delle raccomandazioni, organizzate tematicamente secondo ciascuno dei tre obiettivi forniti al Gruppo dal Segretario Generale. L’analisi e le raccomandazioni qui offerte hanno lo scopo di informare le deliberazioni del Segretario generale in vista della riunione dei leader della NATO nel 2021, quando concluderà il processo di riflessione offrendo raccomandazioni per rafforzare la politica >> (29). Il citato Rapporto raccomanda tutta una serie di interventi e mette in evidenza per la prima volta le preoccupazioni che derivano dalla Cina e dalla Russia come << Il crescente potere e assertività della Cina è l’altro grande sviluppo geopolitico che sta cambiando il calcolo strategico dell’Alleanza. Al loro incontro a Londra nel dicembre 2019, i leader della NATO hanno affermato che la crescente influenza della Cina e le politiche internazionali presentano sia opportunità che sfide che devono essere affrontate come un’Alleanza. La Cina pone un tipo di sfida molto diverso alla NATO rispetto alla Russia; a differenza di quest’ultima non rappresenta, allo stato attuale, una minaccia militare diretta all’area euro-atlantica (corsivo mio, LL). Tuttavia, la Cina ha un’agenda strategica sempre più globale, supportata dal suo peso economico e militare. Ha dimostrato la sua volontà di usare la forza contro i suoi vicini, così come la coercizione economica e la diplomazia intimidatoria ben oltre la regione indo-pacifica. Nel prossimo decennio, la Cina probabilmente sfiderà anche la capacità della NATO di costruire la resilienza collettiva, salvaguardare le infrastrutture critiche, affrontare le tecnologie nuove ed emergenti come il 5G e proteggere i settori sensibili dell’economia, comprese le catene di approvvigionamento. A lungo termine, è sempre più probabile che la Cina proietti potenza militare a livello globale, anche potenzialmente nell’area euro-atlantica >>. In particolare sulla Russia evidenziano che << Dopo la fine della Guerra Fredda, la NATO ha tentato di costruire un partenariato significativo con la Russia, basato sul dialogo e sulla cooperazione pratica in aree di interesse comune. Ma l’aggressione della Russia contro la Georgia e l’Ucraina, seguita dai continui potenziamenti militari e dall’attività assertiva nelle regioni del Baltico e del Mar Nero, nel Mediterraneo orientale, nel Baltico e nell’estremo nord, hanno portato a un forte deterioramento delle relazioni e ha avuto un impatto negativo sulla sicurezza dell’area euro-atlantica. La Russia si impegna regolarmente in operazioni militari intimidatorie nelle immediate vicinanze della NATO e ha migliorato la sua portata e le sue capacità per minacciare lo spazio aereo e la libertà di navigazione nell’Atlantico. Ha violato una serie di importanti impegni internazionali e ha sviluppato una serie di capacità convenzionali e non convenzionali che minacciano sia la sicurezza dei singoli alleati della NATO che la stabilità e la coesione dell’Alleanza nel suo insieme. La Russia ha ampiamente dimostrato la sua capacità e volontà di usare la forza militare e continua a tentare di sfruttare le fessure tra gli alleati e all’interno delle società della NATO. Ha anche impiegato armi chimiche sul suolo alleato, costando vite civili >> e raccomandano, nell’ambiguità, una grande fermezza e determinazione nel << continuare a rispondere alle minacce e alle azioni ostili russe in un’ottica politicamente unita, modo determinato e coerente, senza un ritorno al “business as usual”, salvo alterazioni del comportamento aggressivo della Russia e il suo ritorno al pieno rispetto del diritto internazionale. L’unità della NATO sulla Russia è il simbolo più profondo della coesione politica che è alla base di un’efficace deterrenza, la dimostrazione più chiara che, quando minacciata, risponde con chiarezza e forza >>. Mentre sulla Cina mettono in risalto il ruolo delle << […] infrastrutture in tutta Europa con un potenziale impatto sulle comunicazioni e sull’interoperabilità. Un certo numero di alleati ha attribuito attacchi informatici ad attori con sede in Cina, identificato furti di proprietà intellettuale con implicazioni per la difesa e sono stati oggetto di campagne di disinformazione originarie della Cina, soprattutto nel periodo dall’inizio della pandemia di COVID-19.

La portata del potere cinese e la portata globale pongono sfide acute alle società aperte e democratiche, in particolare a causa della traiettoria di quel paese verso un maggiore autoritarismo e un’espansione delle sue ambizioni territoriali. Per la maggior parte degli alleati, la Cina è sia un concorrente economico che un importante partner commerciale. La Cina è quindi meglio intesa come un rivale sistemico a tutto spettro, piuttosto che un attore puramente economico o un attore di sicurezza incentrato esclusivamente sull’Asia. Sebbene la Cina non rappresenti una minaccia militare immediata per l’area euro-atlantica sulla scala della Russia (corsivo mio, LL), sta espandendo la sua portata militare nell’Atlantico, nel Mediterraneo e nell’Artico, approfondendo i legami di difesa con la Russia (corsivo mio, LL) e sviluppando missili e aerei a lungo raggio, portaerei e sottomarini da attacco nucleare con portata globale, ampie capacità spaziali e un arsenale nucleare più ampio. Gli alleati della NATO sentono sempre di più l’influenza della Cina in ogni campo. La sua Belt and Road, Polar Silk Road e Cyber Silk Road si sono estese rapidamente e sta acquisendo infrastrutture in tutta Europa con un potenziale impatto sulle comunicazioni e sull’interoperabilità. Un certo numero di alleati ha attribuito attacchi informatici ad attori con sede in Cina, identificato furti di proprietà intellettuale con implicazioni per la difesa e sono stati oggetto di campagne di disinformazione originarie della Cina, soprattutto nel periodo dall’inizio della pandemia di COVID-19. Le politiche dichiarate dalla Cina includono l’ambizione di diventare un leader mondiale nell’intelligenza artificiale entro il 2030 ed entro il 2049 di essere la principale superpotenza tecnologica globale del mondo >> e suggeriscono che << La NATO dovrebbe rafforzare la sua capacità di coordinare la strategia e salvaguardare la sicurezza degli Alleati nei confronti della Cina. C’è un bisogno fondamentale di aumentare il coordinamento politico degli alleati presso la NATO (corsivo mio, LL) su questioni in cui l’approccio della Cina è contrario ai loro interessi di sicurezza. L’Alleanza dovrebbe continuare i suoi sforzi in corso per infondere la sfida alla Cina nelle strutture e nei comitati esistenti, compresi quelli cyber, ibrido, EDT, spazio, controllo degli armamenti e non proliferazione. L’Alleanza dovrebbe prendere in considerazione l’istituzione di un organo consultivo, a sostegno degli sforzi esistenti, per riunire gli alleati della NATO e altre istituzioni e partner se del caso, per scambiare informazioni, condividere esperienze e discutere tutti gli aspetti degli interessi di sicurezza degli alleati nei confronti della Cina. Se gli alleati sono minacciati dalla Cina, la NATO deve essere in grado di dimostrare la sua capacità di essere un attore efficace per fornire protezione >> (30). Infine mi interessa sottolineare nel suddetto Rapporto, tra le tante questioni che oscillano dalle tecnologie emergenti e dirompenti alle strutture politica, personale e risorse, la questione delle partnership (con le relative raccomandazioni) che riguardano le aree geografiche che da tempo sono oggetto di costruzioni di organizzazioni sul modello Nato. Esse, coordinate dal Pentagono (le forze armate nelle fasi multicentriche assumono un peso particolare all’interno degli agenti strategici egemonici) (31), riguardano le aree strategiche (Nord-Est Europa, Medio Oriente, Sud, Indo-Pacifico e Asiatica) di accerchiamento e di contrasto all’allargamento delle zone di influenza del nascente polo asiatico avendo come coordinamento la Cina e la Russia (32). Sono le organizzazioni modello Nato che gli USA stanno costruendo contro il polo asiatico. D’altronde il servo Jens Stoltenberg (per dirla con Giorgio Gaber, una faccia compiaciuta, vanitosa, che si auto incensa come una vecchia baldracca) non ha dichiarato che il nuovo concetto strategico della NATO è il progetto per l’Alleanza in un mondo più pericoloso e competitivo? Egli dimentica (per un processo di falsa coscienza necessaria) che gli USA e il loro strumento NATO sono i pericoli dell’uso nefasto del dominio per l’intera umanità e per questo vanno fermati.

Gli enunciati del nuovo concetto strategico, approvato al summit di Madrid del 28-30 giugno scorso, ricalcano quanto espresso nel surriportato Rapporto Nato 2030 del dicembre 2021 dove vengono delineate le strategie USA-NATO sia per l’egemonia monocentrica del mondo sia per contrastare il nascente polo asiatico ad egemonia cinese e russa.

Gli USA-NATO adoperano, per bloccare la temuta alleanza tra la Cina e la Russia, una strategia tesa a indebolire la Russia vista come una minaccia militare diretta all’area euro-atlantica; nei confronti della Cina hanno una tattica di breve-medio periodo di apertura guardinga e una strategia di medio-lungo periodo di conflitto perché la ritengono il motore del nascente polo asiatico. Una sorta di rozza applicazione del divide et impera che nulla ha a che fare con la raffinatezza spregiudicata di un Henry Kissinger nel periodo delle relazioni USA-Cina alla fine degli anni Sessanta e inizio degli anni Settanta del Novecento.

 

La strada della fase multicentrica entra nel vivo della costruzione.

La Nato è ricalibrata come strumento del conflitto contro il nascente polo asiatico. Il suo modello viene riproposto sia nel Mediterraneo (il Dialogo mediterraneo, DM), sia nel Medio Oriente (con gli accordi di Abramo), sia nel Pacifico (patto Aukus, l’alleanza Quad), sia in Africa (DM, Operazione “Active Endeavor”, Standing Maritime Group One), sia in America latina, sia nel circolo polare Artico dove gli USA, oltre la questione delle risorse naturali, temono, soprattutto, le nuove vie dell’Artico verso l’Atlantico che possono far saltare le loro strategie (prioritariamente militari e logistiche) nel Pacifico innervando sempre di più il coordinamento tra la Russia e la Cina.

 

Con lo scontro tra potenze per il dominio mondiale (monocentrico, multicentrico, policentrico), dove per la prima volta nella storia l’Europa sarà solo un campo di battaglia, si pone una prima domanda nel momento in cui bisogna andare oltre la trasformazione dentro il capitale (inteso come rapporto sociale) che le diverse fasi della storia mondiale impongono nelle loro peculiari configurazioni di potenze (la Cina non è la Russia e la Russia non sono gli Stati Uniti d’America). Cioè pensare una rivoluzione fuori il capitale. E qui si pone una seconda domanda: chi deve farla? Quali soggetti? Quali forze nuove?

Dico, per incapacità di sognare una blochiana speranza, che occorrono nuovi agenti strategici in un mondo in forte movimento per il trapasso di epoca così come sosteneva Niccolò Macchiavelli, nella Mandragola la più bella commedia italiana scritta tra il 1513 e i primi mesi del 1514, :<< […] L’espressività di Nicia, il suo sputare motti popolari a raffica diventano emblematici di un attaccamento ottuso a una fiorentinità senza prospettive, in un’epoca in cui […] la crisi politica e morale che stringe Firenze e l’Italia richiederebbe uomini nuovi, lungimiranti, tutt’altro che intenti a tenere lo sguardo fisso all’ombra del proprio campanile >> (33).

 

Le citazioni riportate in epigrafe sono tratte da:

 

  • Robert D. Kaplan, How We Would Fight China, “The Atlantic Monthly”, giugno 2005, pag. 64, citato in Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino. Genealogie del ventunesimo secolo, Feltrinelli, Milano, 2008, pag.320.
  • Samir Amin, Fermare la Nato. Guerra nei Balcani e globalizzazione, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1999, pag.34.
  • Perry Andersen, Consilium, “The New Left Review”, n.83, pag. 160 citato in Marco D’Eramo, L’eterno ritorno del declino americano, “MicroMega”, n.1/2022, pag. 6.

 

 

NOTE

 

1.Sull’uso della timeline nelle pratiche del discorso si rimanda a Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, Einaudi, Torino, 2022, pp. 56-68.

2.Gianfranco La Grassa, Dal marxismo al conflitto strategico. Note per una revisione teorica, Undici Edizioni, Crescentino (VC), 2022.

3.Manlio Dinucci, La guerra. E’ in gioco la nostra vita, Byoblu Edizioni, Milano, 2022, pp. 7-53.

4.Cesare Luporini, Leopardi progressivo, Editori Riuniti, Roma, 1993, pp.107-123; si veda Gunthers Anders, L’uomo è antiquato. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino, 2003.

  1. 5. Sul significato dei valori territoriali si rimanda a David Harvey, Marx e la follia del capitale, Feltrinelli, Milano, 2018, pp.131-172.

6.Luigi Longo, Il progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli USA nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 26/11/2018.

7.Samir Amin, Il sistema mondiale del secondo novecento. Un itinerario intellettuale, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1997, pp. 27-54; Pasquale Paone, Comunità internazionale in Lelio Basso, a cura di, Scienze politiche 2 (relazioni internazionali), Enciclopedia Feltrinelli Fischer, Milano, 1973, pp. 88-101; Franco Soglian, Guerra fredda e distensione in Lelio Basso, a cura di, Scienze…, op.cit., pp. 242-254; Scipione Guarracino, Storia degli ultimi sessant’anni. Dalla guerra mondiale al conflitto globale, B. Mondadori, Milano, 2004, pp.16-45.

8.Nato, Una Nato trasformata, www.nato.int/nato_static/assets/pdf/pdf/_publications/20120116_nato-trans-it.pdf, 2004, pp.3 e 14.

  1. 9. Mahdi Darius Nazemroaya, La globalizzazione della Nato. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate, Arianna Editrice, Bologna, 2014, pag.19.
  2. 10. Arnaud Leclercq, La Russie puissance d’Eurasie. Histoire geopolitique des origines à Poutine, Ellipses Editions, Paris, 2012, pag. 174, citato in Guy Mettan, Mille anni di diffidenza, Sandro Teti Editore, Roma, 2016, pag. 280.
  3. 11. Nato, Una Nato trasformata, op.cit., pag.12

12.Gyorgy Lukacs, La distruzione della ragione, Einaudi editore, Torino, 1959, pp.772-773.

13.Luigi Longo, L’Europa tra le vie della Nato, le vie della seta e le vie dell’energia, prima parte, www.italiaeilmondo.com, 19/11/2019; si legga Guy Mettan, Russofobia, op.cit., pp. 272-312.

14.La trasformazione e l’allargamento delle competenze della Nato hanno trovato la formalità (in parte) nel summit di Madrid di fine Giugno 2022. Esso è stato preceduto dal documento “Nato 2030.Uniti per una nuova era” che indica le raccomandazioni in tre aree di intervento: 1) Rafforzare l’unità, la solidarietà e la coesione alleate, anche per cementare la centralità del legame transatlantico; 2) Aumentare la consultazione politica e il coordinamento tra gli Alleati nella NATO; 3) Rafforzare il ruolo politico della NATO e gli strumenti pertinenti per affrontare le minacce attuali e future e sfide alla sicurezza dell’Alleanza provenienti da tutte le direzioni strategiche. E’ importante sottolineare le raccomandazioni per rafforzare la partnership nel Nord e nell’Est, la partnership al Sud, la partnership indo-pacifiche e asiatiche nella logica del contenimento del blocco asiatico coordinato da Cina e Russia, la lotta al terrorismo internazionale e ai cyber attacks, i nuovi strumenti per il coordinamento politico e per la maggiore decisionalità, incisività e accorciamento della filiera di comando, la capacità di gestione della pandemie e dei cambiamenti climatici, lo sviluppo delle nuove tecnologie Emerging and Disruptive Tecnologies (EDT), vale a dire l’insieme di tecnologie e conoscenze legate all’intelligenza artificiale e al cyberspace), un maggior coordinamento tra la Nato e l’UE, la difesa comune della UE all’interno delle strategie Nato, cfr,https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2020/12/pdf/201201,-Reflection-Group-Final-Report-Uni.pdf

15.Nato, Una Nato trasformata, op. cit., pag. 12.

16.Manlio Dinucci, op. cit., pp. 65-68.

17.Il documento sulla strategia 2010 è reperibile sul sito https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_68580.htm alla voce Pubblicazioni della Nato. Per una sintesi dei documenti strategici della Nato dal 1949 al 2022 si rimanda al sito della Nato (www.nato.int/cps/en/natohq/topics_56626.html).

18.Si rimanda alle seguenti letture; Manlio Dinucci, op. cit., Mahdi Darius Nazemroaya, op.cit., AaVv, Escalation. Anatomia della guerra infinita, Derive Approdi, Roma, 2005, Gianfranco La Grassa, Considerazioni del dopoguerra. Insegnamenti dell’aggressione USA (e NATO) alla Jugoslavia, Editrice C.R.T., Pistoia, 1999, Costanzo Preve, Il bombardamento etico. Saggio sull’interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente, Editrice C.R.T., Pistoia, 2000; Guy Mettan, op. cit., Samir Amin, op. cit., Diana Johnstone, Hillary Clinton. Regina del caos, Zambon editore, Francoforte sul Meno, 2016.

19.Manlio Dinucci, op. cit., pag. 75; Mahdi Darius Nazemroaya sostiene che << L’impegno militare della Nato al di fuori del proprio territorio di competenza non è partito con la Jugoslavia, dove divenne solamente di pubblico dominio. In pochi sono pienamente a conoscenza del fatto che l’Alleanza atlantica era stata ufficiosamente coinvolta nella Guerra del golfo nel 1991 e che la guerra in Iraq fosse un’operazione Nato né più né meno di quella contro la Jugoslavia. Mentre nel corso degli anni Novanta in Italia e nel resto d’Europa si diffondevano le notizie sugli apparati staybehind, dall’altra parte dell’Atlantico il presidente George H.W. Bush senior manteneva un silenzio inquietante su quanto veniva allo scoperto su questi gruppi, inquadrati dalla NATO e diretti dagli USA >> in Mahdi Darius Nazemroaya, op. cit., pag.98.

20.Sergio Romano, Atlante delle crisi mondiali. Dalla guerra fredda ai conflitti moderni: conoscere il passato per capire il presente, BUR Rizzoli, Milano, 2019, pp. 258-259.

21.Su questo rimando ai lavori di Raimondo Luraghi che è stato uno dei massimi esperti della storia statunitense. Indico, uno su tutti, Raimondo Luraghi, Storia della guerra civile americana, BUR Rizzoli, Milano, 2009.

22.Citato in Guy Mettan, op. cit., pp.291-293.

23.Gianfranco La Grassa, Gianni Petrosillo, Per una forza nuova, Edizioni Solfanelli, Chieti, 2021, pag. 118, si legga l’intero capitolo IV, pp. 117-149.

24.Diana Johnstone, op. cit., pag 247.

25.Luigi Longo, Le ragioni della disintegrazione della Libia da parte degli USA e Che ci fa l’Isis in Libia? Perché non lo chiediamo agli USA, www.italiaeilmondo.com, 22/3/2021; Luigi Longo, La Siria punto di svolta della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 15/4/2018.

25.bis La Turchia sta ri-costruendo, con la sua peculiare configurazione territoriale e geografica tra Occidente e Oriente, un ruolo da protagonista nell’area Mediterranea, nel Medio Oriente, nelle rinnovate relazioni con gli Stati Uniti, nella NATO (si veda l’infame accordo sottoscritto tra Turchia-Svezia-Finlandia). Cfr Andrew Korybko, L’espansione della Nato nel Nord è davvero una grande sconfitta per la Russia?, (a fine scritto è riportato il Trilaterale tra Turchia-Svezia-Finlandia), www.italiaeilmondo.com, 3/7/2022; Luigi Tedeschi, Finlandia e Svezia nella Nato: l’atlantismo armato e la russofobia ideologica avanzano, www.ariannaeditrice.it, 16/4/2022; Andrea Virga, Il nono (9°) tradimento dei Curdi da parte delle potenze occidentali, www.ariannaeditrice.it, 2/7/2022.

  1. 26. Sul concetto di vincolo che esplicita la forma di dominio e non un libero rapporto nel Trattato NATO rimando a Petr I. Stucka, La funzione rivoluzionaria del diritto e dello stato, Einaudi, Torino, 1967, capitolo VIII, pp.128-137. Petr I. Stucka è stato uno dei protagonisti della rivoluzione d’Ottobre del 1917 nonché uno degli esponenti più autorevoli della scienza giuridica sovietica.
  2. 27. Eva Cantarella, Sparta e Atene. Autoritarismo e democrazia, Einaudi, Torino, 2021, pp. 165-184; Graham Allison, Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?, Fazi editore, Roma, 2018, pag. 90 e 74; Sull’ascesa della potenza di Atene si rimanda a Tucidide, La guerra del Peloponneso, Mondadori, Milano, 1976, volume primo, Libro I, pp.3-97.

28.Luigi Longo, L’Europa tra le vie della Nato, le vie della seta, le vie dell’energia, seconda parte, www.italiaeilmondo.com, 17/3/2022.

29.Nato, “Nato 2030.Uniti per una nuova era”, op.cit., pag 3.

  1. Nato, “Nato 2030.Uniti per una nuova era”, op.cit., pp. 17-25-27-58-59-60.

31.Manlio Dinucci, L’Occidente serra i ranghi per la battaglia, www.voltairenet.org, 4/7/2022.

32.Redazione Ansa, G7, Biden il piano contro la Via della Seta cinese:

“Investiremo 600 mld in infrastrutture del 26/6/2022.

33.Niccolò Macchiavelli, Mandragola, Oscar Mondadori, Milano, 2006, pag.25.

 

 

Ucraina, il conflitto 10a puntata_con Stefano Orsi e Max Bonelli

Nel caso il video non sia accessibile oppure ostacolato nella visione su You Tube, gli ascoltatori possono accedere al canale di Italia e il mondo su rumble.com , precisamente al seguente indirizzo: https://rumble.com/v1e3hsr-stefano-orsi-e-max-bonelli-ucraina-il-conflitto-10a-p.html, come in calce allo scritto.

Siamo alla decima puntata. A Max Bonelli si è aggiunto Stefano Orsi a completare il quadro e gli spunti analitici di un conflitto della cui narrazione non si riesce a intravedere quale sarà l’ultima puntata. E’ una guerra di logoramento, apparentemente statica; è una delle parti però a manifestare crescenti segni di usura. Lo stesso regime inizia a conoscere momenti di convulsione sino a sacrificare pezzi importanti dei centri decisori. L’evidenza conferma che non è Zelensky a dettare le mosse e i suoi tempi. Il regime, del resto sta esaurendo completamente le proprie risorse e dipende totalmente dal sostegno esterno e da disegni estranei agli interessi del paese. Continuerà la recita almeno sino all’arrivo del generale inverno. Nel frattempo si vedrà sino a quando e sino a quanto i suoi mentori, specie quelli europei, saranno in grado di sostenere lo sforzo e le pesantissime implicazioni del loro impegno. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1e3hsr-stefano-orsi-e-max-bonelli-ucraina-il-conflitto-10a-p.html

I partiti del partito della guerra, di Andrew Cockburn

Dottor Stranamore o  avvocati Azzeccagarbugli. Un rebus inquietante_Giuseppe Germinario

Bottino di guerra

Ma su quale pianeta si trovano?

Gli osservatori di ciò che Ray McGovern, l’ex analista senior della CIA che si è allontanato bene dalla riserva, ha soprannominato il MICIMATT (complesso militare-industriale-congressuale-intelligence-Media-Accademia-Think-Tank) ha avuto una giornata campale la scorsa settimana, dato che un un branco di MICIMATTers si sono radunati durante una festaospitato dall’Aspen Security Institute nei miti dintorni di Aspen, in Colorado, per discutere le questioni del giorno. I partecipanti hanno avuto l’opportunità di ascoltare una serie di panjandra tra cui il direttore della CIA William Burns, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario dell’aeronautica Frank Kendall, il sottosegretario di Stato Victoria Nuland, il vice segretario al Tesoro Wally Adeyemo, relitti di precedenti amministrazioni come Condoleezza Rice , i capi di stato maggiore delle forze armate statunitensi del Nord, del Sud, dei comandi per le operazioni speciali e lo spazio, oltre ad altri leader di pensiero del consenso bipartisan sulla guerra e l’aggressione, consegnano messaggi allegri di magniloquenza trionfale. È interessante notare, tuttavia, che non ho individuato alcun rappresentante dei principali appaltatori di armi come Lockheed o Raytheon nella formazione.

Alcune cose meglio non considerate

Presenti a profusione, d’altra parte, erano i sostenitori dei media per il consenso come David Ignatius del Washington Post, Jim Sciutto della CNN e Mary Louise Kelly, co-conduttrice di All Things Considered di NPR (a patto che le cose in esame non si allontanino dalla linea del partito.) Kelly, ad esempio, ha moderato una discussione su “L’esercito americano sta innovando abbastanza velocemente?” con il comandante dell’Office of Naval Research, nonché un imprenditore tecnologico, in cui le risposte risuonavano di droni, intelligenza artificiale e altre eccitanti possibilità high tech, ma mancavano di qualsiasi riferimento al record quasi perfetto della US Navy di fallimento con schemi innovativi come il cacciatorpediniere di classe Zumwalt “stealth” ($ 12 miliardi e oltre, ma del tutto privo di armi offensive) o il programma Littoral Combat Ship (ben oltre 11 miliardi di dollari e così disastroso che la stessa Marina vuole demolire metà della flotta).

Guida di Wally al prezzo del petrolio

Tuttavia è stata una discussione sul più grande conflitto attualmente in corso, la guerra economica globale condotta dalla coalizione controllata dagli Stati Uniti contro la Russia, che ha attirato la mia attenzione. Come dovrebbero sapere i lettori di questo sottogruppo, questa guerra non è andata così bene per la parte statunitense, poiché il rublo è andato sempre più rafforzandosi, l’inflazione russa è in calo, la banca centrale russa sta tagliando costantemente i tassi di interesse e per tutto il tempo l’Europa trema per paura di un taglio delle forniture russe di petrolio e gas.

Ma la speranza sgorga eterna, come ha dimostrato il vice segretario al Tesoro Wally Adeyemo ad Aspen. Interrogato dall’interlocutore Ignatius su come gli Usa intendano aumentare la pressione delle sanzioni su Putin, Adeyemo ha rivelato la sua profonda padronanza della teoria economica, spiegando che “più petrolio equivale a prezzi più bassi del petrolio”. (In realtà, non è così, grazie agli sforzi tradizionali e determinati dell’industria petrolifera per limitare la produzione, così come alla massiccia speculazione di Wall Street nei futures sul petrolio, facendo salire i prezzi anche quando c’è un’offerta abbondante. Ma non importa.) Quindi, ha continuato Adeyemo, “gli Stati Uniti devono immettere più petrolio nel mercato”. Buona fortuna. Come potrebbe dirgli il presidente Biden, persuadere i principali produttori di petrolio come l’Arabia Saudita ad aumentare la produzione è più facile a dirsi che a farsi, o, nel caso del recente appello di Biden a Mohammed Ben Selman, non lo si fa affatto.

Realtà distaccata.

La seconda parte del piano generale di Adeyemo consiste in uno schema già ampiamente violato per limitare le entrate petrolifere di Putin utilizzando il dominio occidentale del mercato assicurativo marittimo. Il prezzo a cui la Russia potrebbe vendere il suo petrolio sarebbe fissato a un livello che consentirebbe un piccolo profitto, ma non di più. Solo le petroliere che trasportano petrolio con un prezzo di quel livello avrebbero ottenuto l’assicurazione. “Questo è un modo per ridurre le loro entrate”, ha annunciato Adeyemo con sicurezza, promettendo che il piano sarebbe stato operativo entro la fine dell’anno. Il fatto che il Tesoro stia ancora promuovendo lo schema come un elemento chiave del piano generale di Washington per mettere in ginocchio Putin mostra quanto Washington sia diventata distaccata dalla realtà. Vari specialisti che capiscono il mercato petrolifero piuttosto meglio di Adeyemo e chiunque altro stia spingendo lo schema hanno dettagliato i suoi difetti. Tra i più chiari c’è Christof Rühl, ricercatore senior presso il Center on Global Energy Policy della Columbia University ed ex capo economista presso BP. Come ha spiegato in un podcast intervista con il sito di notizie sul business dell’energia BNE Intellinews, subito dopo la prima divulgazione del piano di price cap, non funzionerà, perché, semplicemente, “il petrolio è fungibile”. A differenza del gas, non dipende in gran parte dalla distribuzione dei gasdotti, ma può essere spostato ovunque sulle navi. Pertanto, piuttosto che sottomettersi al regime del price cap, i russi dirigerebbero semplicemente più esportazioni in Asia dove, soprattutto, c’è concorrenza tra “un’intera pletora di acquirenti, inclusa l’India, che farebbero tutti un’offerta l’uno contro l’altro”, facendo così aumentare il prezzo che i russi avrebbero ricevuto per il loro petrolio. Se i russi fossero ancora insoddisfatti del prezzo che stavano ottenendo, tutto ciò che dovrebbero fare sarebbe ridurre l’offerta. Come Adeyemo dovrebbe capire, meno petrolio significa prezzi più alti, anche negli Stati Uniti, dal momento che gli indiani, che hanno notevolmente aumentato le loro importazioni di petrolio russo, sono impegnate a raffinarlo e venderlo non solo in Europa, ma anche, secondo Rühl, negli Stati Uniti Inoltre, il governo indiano ha recentemente certificato l’intera flotta di petroliere russe, rendendola idonea alla copertura assicurativa indiana. Come membro del panel del podcast Chris Weafer, CEO di Macro Advisory, ha esclamato dei guerrieri economici occidentali, “su quale pianeta vivono?”

La stessa domanda potrebbe essere applicata ai conferenzieri felici ad Aspen.

https://spoilsofwar.substack.com/p/the-war-party-parties?r=t2h2&s=w&utm_campaign=post&utm_medium=email

Le ultime notizie sull’Ucraina da Jacques Baud

Thomas Kaiser (TK): Nelle ultime due settimane, la narrazione dei media mainstream è leggermente cambiata. Si sente parlare sempre meno direttamente della guerra, non si parla più delle alte perdite dei russi e dei successi militari degli ucraini. Che cosa è cambiato?

Jacques Baud (JB): In realtà non è cambiato nulla. Si tratta di un cambiamento di percezione. È noto da diverse settimane che la situazione dell’Ucraina e delle sue forze armate è catastrofica. Le perdite umane e materiali del paese sono molto elevate. Inizialmente, l’Ucraina e i nostri media hanno minimizzato queste perdite per sviluppare una narrazione su una sconfitta russa e una vittoria ucraina. Oggi, la realtà sul campo di battaglia costringe l’Ucraina a riconoscere queste perdite. Allo stesso tempo, Zelensky ha capito che queste perdite potevano essere usate come argomento per fare pressione sull’Occidente per ottenere ulteriori aiuti.

TK: D’altra parte, il problema è sempre quello della consegna delle armi richieste. Chi dovrebbe far funzionare le armi quando la maggior parte dell’esercito è accerchiata nel Donbass?

JB: Prima di tutto, è importante capire che le consegne di armi occidentali pongono diversi problemi. In primo luogo, nemmeno le agenzie d’intelligence statunitensi sanno se e dove finiranno le armi consegnate. Il capo dell’Interpol avverte che alcune di queste armi potrebbero finire nelle mani di organizzazioni criminali. Già alcuni missili anticarro Javelin sono stati offerti sulla Darknet per 30.000 dollari. A quanto pare, queste armi sono rivendute non appena arrivano a Kiev. In secondo luogo, le armi sono spesso distribuite in base all’ordine di arrivo e non sempre raggiungono coloro che ne hanno più bisogno sul campo. Infine, spesso finiscono nelle mani della coalizione russa.

TK: Come possiamo dirlo?

JB: Attualmente, le milizie della Repubblica di Donetsk sono equipaggiate con missili Javelin, che provengono dalle scorte ucraine catturate dall’esercito russo. Ricordiamo che gli elicotteri ucraini che erano andati ad esfiltrare i combattenti da Azovstal sono stati abbattuti con missili Stinger forniti dagli Stati Uniti. Inoltre, le armi fornite dall’Occidente costituiscono solo una frazione di quelle distrutte dai russi. Per esempio, la Gran Bretagna e la Germania stanno inviando all’Ucraina tre lanciarazzi multipli M270 ciascuno, ma all’inizio della guerra l’Ucraina aveva diverse centinaia di sistemi equivalenti. In altre parole, queste armi non cambieranno nulla, ma prolungheranno solo il conflitto e ritarderanno il tempo dei negoziati, come ha spiegato Davyd Arakhamia, capo negoziatore e stretto consigliere di Zelensky.

TK: È davvero incredibile. Si è sempre parlato d’ingenti perdite russe. Possono essere verificate e quali sono le perdite da parte ucraina?

JB: In realtà, il numero di soldati uccisi non è noto, né ai russi né agli ucraini. I numeri citati dai media occidentali sono quelli diffusi dalla propaganda ucraina. Tuttavia, all’inizio di giugno, il presidente Zelensky ha svelato il tasso di mortalità delle forze armate ucraine e ha parlato di 60-100 soldati uccisi al giorno. Una settimana dopo, Mykhailo Podoliak, consigliere di Zelensky, ha dichiarato che le forze armate ucraine perdevano dai 100 ai 200 uomini al giorno. Oggi, Arakhamia parla di 200-500 morti al giorno e di un totale di 1000 perdite (morti, feriti, catturati, disertori) il giorno. Non è chiaro se queste cifre siano corrette.

TK: Ci sono osservazioni in base alle quali si può avere un quadro realistico dei numeri?

JB: Gli esperti vicini all’intelligence ritengono che queste cifre siano molto al di sotto della realtà. D’altra parte, le cifre ucraine sono ancora più alte delle stime dell’esercito russo. Alcuni sostengono che le forze ucraine abbiano 60.000 morti e 50.000 dispersi. Tuttavia, questi numeri non sono al momento verificabili.

TK: Perché gli ucraini riportano solo ora cifre così alte di vittime?

JB: È molto probabile che gli ucraini stiano riportando cifre elevate per fare pressione sull’Occidente affinché aumenti le sue forniture di armi. Tuttavia, questo non spiega tutto. La questione fondamentale è il modo in cui la leadership ucraina conduce le sue operazioni. Invece di avere un approccio dinamico al campo di battaglia e di trarre vantaggio spostando le truppe, l’Ucraina – e Zelensky in particolare – ordina alle sue truppe di “alzarsi e combattere”. Una situazione non dissimile da quella della Francia durante la Prima Guerra Mondiale. Questa è la principale differenza tra l’Ucraina e la Russia: in Ucraina le operazioni sono gestite dalla leadership politica, mentre in Russia sono gestite dallo Stato Maggiore. Questo spiega il fallimento dell’approccio ucraino. Anche i militari statunitensi sembrano aver individuato questo problema.

TK: In che modo?

JB: Secondo Arakhamia, i tentativi di guadagnare terreno contro l’esercito russo servono solo a garantire in seguito una migliore posizione di partenza per i negoziati con i russi. Si tratta di una guerra puramente politica, senza alcun riguardo per le vite dei soldati. Quest’approccio è sostenuto dai paesi occidentali e dalla nostra diplomazia. È molto preoccupante.

TK: All’inizio della guerra si sottolineava la volontà di resistenza degli ucraini. Non esiste più?

JB: Penso che i soldati ucraini stiano facendo il loro lavoro con coraggio. Combattono da posizioni rinforzate e dalle trincee che hanno scavato nel 2014 intorno al Donbass. Purtroppo, una volta di fronte all’artiglieria e a un nemico mobile, le loro possibilità di successo sono scarse. Sembra che lo Stato Maggiore ucraino volesse ritirare questi uomini in posizioni di combattimento più favorevoli, ma la leadership politica del paese si è rifiutata. In questo contesto, i nostri media e i politici hanno giocato un ruolo perverso perpetuando l’illusione di una vittoria ucraina e la promessa di forniture di armi su larga scala.

TK: Così facendo, hanno preso per il naso l’opinione pubblica, compresi gli ucraini.

JB: Sì. Oggi è chiaro che gli ucraini e l’Occidente si sono mentiti a vicenda solo per mettere nei guai la Russia. Gli ucraini sono ora costretti a inviare le loro unità territoriali mal equipaggiate e mal preparate dall’ovest del paese al Donbass. Questo crea malcontento e ci sono state numerose manifestazioni contro Zelensky nella parte occidentale del paese e a Kiev. A causa di ciò, Kiev ha dovuto emanare nuove leggi per mettere a tacere coloro che non sono d’accordo con il governo. La nostra diplomazia ha chiaramente contribuito attivamente alla morte di migliaia di militari ucraini. Tuttavia, oggi sembra che siano i militari occidentali a cercare di riportare alla ragione il modo in cui affrontiamo questo conflitto.

TK: Ma non ci sono movimenti di resistenza nei territori occupati dalla Russia?

JB: È interessante notare che non ci sono movimenti di resistenza popolare alla presenza russa. La narrazione occidentale di un’eroica resistenza popolare contro la Russia si basa essenzialmente sulle dichiarazioni dei nazionalisti della parte occidentale del paese. In realtà, le aree occupate dalla coalizione russa nella parte orientale e meridionale del paese sono abitate da russofoni. Gli ucraini non hanno mai considerato questa popolazione come ucraina, come dimostra la legge sui popoli indigeni dell’Ucraina, adottata all’inizio del luglio 2021. Dopo essere stata bombardata regolarmente dal 2014 dal proprio esercito, come a Donetsk, la popolazione russofona del sud del Paese non si oppone più di tanto alla presenza russa. Anzi, tende a vedere i russi come dei liberatori.

TK: Su questa base, possiamo già prevedere cosa intende fare la Russia in Ucraina?

JB: I russi sono molto discreti sulle loro intenzioni, in quanto adattano i loro obiettivi alla volontà degli ucraini di negoziare. Finché gli ucraini rifiuteranno di negoziare, i russi continueranno ad avanzare e a guadagnare territorio. A marzo erano pronti a negoziare sulla base delle proposte di Zelensky. Tuttavia, su pressione di Boris Johnson, Zelensky ha ritirato la sua offerta. Dopodiché, i russi hanno continuato a fare progressi.

TK: Che cosa significa ora?

JB: Non rimetteranno sul tavolo dei negoziati ciò che gli ucraini avrebbero potuto recuperare a marzo. A questo punto, è probabile che i russi si spingano ulteriormente verso Odessa per stabilire un collegamento con la Transnistria. Non è improbabile che si verifichi una “ri-creazione” della Novorussia nell’Ucraina meridionale. La conseguenza più importante delle azioni russe è che l’Ucraina perderà l’accesso al mare.

TK: Ultimamente i nostri media hanno riportato la notizia che la Russia è responsabile dell’aumento dei prezzi del grano e della conseguente carestia. Ha qualche informazione in merito?

JB: Le accuse contro la Russia fanno parte della narrativa occidentale per isolare la Russia dal resto del mondo e per assolvere l’Occidente dai propri errori. Innanzitutto, l’aumento globale dei prezzi dei cereali non è direttamente dovuto alla guerra, ma è il risultato delle misure adottate per affrontare il CoViD-19 e delle condizioni create dalle sanzioni occidentali, cercando deliberatamente di drammatizzare la situazione. Lo stesso fenomeno si può osservare nei prezzi del petrolio.

L’attuale aumento dei prezzi dei cereali è il risultato di diversi fattori. In primo luogo, le restrizioni ai pagamenti che inducono gli acquirenti a temere le sanzioni statunitensi nei loro confronti. In secondo luogo, le spedizioni sono diventate troppo costose perché il mercato del petrolio si è ridotto a causa delle sanzioni occidentali. In terzo luogo, le sanzioni occidentali impediscono ai fertilizzanti di entrare nel mercato; questi prodotti non sono soggetti a sanzioni, ma ci sono state restrizioni sui mezzi di pagamento che hanno indotto gli acquirenti a temerli.

TK: Tuttavia, si accusa l’Ucraina di non poter fornire grano a causa dei russi. È davvero così?

JB: No, non è vero, per due motivi principali. Il primo è che i nostri media, ovviamente, non riportano che i porti del Mar Nero sono stati minati dall’Ucraina perché temeva un attacco dal Mar Nero. A causa delle tempeste, molte di queste mine si sono staccate e si muovono liberamente. Sono diventate un pericolo per la navigazione marittima. La Marina turca ha dovuto disinnescarne alcune che avevano raggiunto il Bosforo.

La seconda ragione è che la Russia non blocca i porti ucraini. Al contrario, permette ai convogli navali di rifornire i porti ucraini; garantisce persino corridoi marittimi le cui coordinate sono trasmesse a intervalli regolari sulle frequenze radio marittime internazionali. Il problema è che questi corridoi non vengono utilizzati a causa delle mine ucraine. Per inciso, Davyd Arakhamia ha chiarito che l’Ucraina non ha alcuna intenzione di rimuovere le sue mine dal Mar Nero. È diventato un po’ di moda incolpare Putin per le decisioni dell’Occidente che non sono state pensate a fondo e non sono inserite in una strategia coerente.

TK: Questo ha effettivamente creato una carenza nel mercato? O si tratta di un processo artificiale per far salire i prezzi?

JB: Non sono un esperto di commercio di cereali. Ma da un lato l’Ucraina non è riuscita a vendere il suo raccolto di grano del 2021 prima dell’offensiva russa, dall’altro la Russia sembra aspettarsi un raccolto eccezionale per il 2022. Di conseguenza, non sembra che ci sia una carenza di grano. Il problema è che il grano non riesce a raggiungere il mercato. Ciò è dovuto principalmente alle sanzioni occidentali contro la Russia e la Bielorussia. Naturalmente, questa situazione ha suscitato l’interesse degli speculatori, ma non sono in grado di valutare quest’aspetto.

TK: La Polonia ha ripetutamente mostrato di essere piuttosto preoccupata che un attacco russo sul suo territorio possa avvenire presto. Quanto è realistico questo scenario?

JB: La Polonia ha ripetutamente gettato benzina sul fuoco di questo conflitto. Sogna di realizzare il vecchio progetto dell’Intermarium, voluto dal maresciallo Pilsudski negli anni Trenta, che avrebbe unito i paesi tra il Mar Baltico e il Mar Nero. Questo ricorda la nostalgia del Regno di Polonia del XVII secolo. La Polonia sogna un conflitto aperto con la Russia perché crede, come l’Ucraina, che con l’aiuto della NATO potrebbe sferrare il colpo finale per sconfiggere la Russia una volta per tutte, in modo da realizzare questo vecchio sogno. Questo dimostra, tra l’altro, che l’interesse della Polonia per l’Europa è solo superficiale.

TK: Perché i paesi europei non si accorgono del gioco sporco che si sta facendo?

JB: L’obiettivo dei paesi occidentali (tra cui ovviamente la Svizzera) è quello di destabilizzare il governo russo in un modo o nell’altro. Per questi paesi, il fine giustifica i mezzi. Pertanto, non abbiamo alcuna remora ad attaccare la popolazione russa (anche nei nostri paesi) e a sacrificare quella ucraina. Come ha detto Andrés Manuel López Obrador, presidente del Messico, a proposito della politica della NATO nei confronti dell’Ucraina: “Noi forniamo le armi, voi fornite i cadaveri! Questo è immorale”.

TK: Signor Baud, grazie mille per questa intervista.

*****

 Intervista di Thomas Kaiser a Jacques Baud pubblicata su The Postil Magazine il 1° luglio 2022
Traduzione in italiano di Confab per SakerItalia

http://sakeritalia.it/ucraina/le-ultime-notizie-sullucraina-da-jacques-baud/?fbclid=IwAR3WptXsdYrrmXMQt91WCvdOEjt03LuvbFDddT_xsZw3jRab-vfL4IJMCGc

La guerra segreta di Zelensky tra purghe e complotti, di Gianandrea Gaiani

https://www.analisidifesa.it/2022/07/la-guerra-segreta-di-zelensky-tra-purghe-e-complotti/

(aggiornato alle 13,55)

Le “purghe” senza precedenti negli ambienti dei servizi di sicurezza ucraini (SBU) sembrano allargarsi anche a magistratura, vertici militari ed esponenti politici.

Il 17 luglio il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha licenziato il capo del Servizio di sicurezza nazionali (SBU), Ivan Bakanov, e la procuratrice generale, Irina Venediktova in base dell’articolo 47 della Carta disciplinare delle forze armate ucraine. L’articolo recita che un ufficiale o un funzionario può essere rimosso per “mancato esercizio delle funzioni, che ha provocato vittime umane o altre gravi conseguenze” o ha creato situazioni tali da poter portare a queste conseguenze.

Circa Bakanov, il presidente ha dichiarato che “questa persona è stata licenziata da me all’inizio dell’invasione su vasta scala e, come si può vedere, tale decisione era assolutamente giustificata”, ha dichiarato il presidente ucraino. “Sono state raccolte prove sufficienti per la notifica, a questa persona, di sospetto tradimento. Tutte le sue azioni criminali sono documentate.

Tutto ciò che ha fatto in questi mesi e anche prima riceverà un’adeguata valutazione legale. Il presidente ha aggiunto che “saranno ritenuti responsabili anche tutti coloro che assieme a lui facevano parte di un gruppo criminale che ha lavorato nell’interesse della Federazione russa”. Il riferimento è al passaggio di informazioni segrete al nemico e ad altre forme di collaborazione coi servizi speciali russi. “Sono state prese decisioni sul personale nei confronti dei capi regionali del settore della sicurezza Kherson, Kharkiv.

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Il presidente ucraino ha reso noto che sono stati avviati 651 procedimenti criminali per tradimento e collaborazionismo. “In particolare, oltre 60 impiegati dell’ufficio del procuratore e dell’SBU sono rimasti nel territorio occupato e stanno lavorando contro il nostro Stato”.

Queste rimozioni hanno dato il via a “purghe” che starebbero colpendo molti ufficiali dello SBU accusati di collusione con i russi nelle zone occupate dalle truppe russe e dai secessionisti del Donbass accompagnati da rastrellamenti in tutte le aree a ridosso del fronte (quindi Mikolayv, Odessa, Kharkhiv, Dniptro, Zaporizhzhia e altre regioni dove la precisione dei raid missilistici russi (soprattutto contro i depositi di armi e munizioni giunte dall’Occidente) induce gli ucraini a ritenere vi siano molti “collaborazionisti” tra i civili e i funzionari pubblici.

Rastrellamenti e rappresaglie nei confronti di “collaborazionisti” o supposti tali erano già stati segnalati nelle aree intorno a Kiev e Sumy da dove le truppe russe si erano ritirate a fine marzo .

Oggi l’SBU ha reso noto di aver identificato “tutti i collaboratori che si sono uniti alla direzione principale del Ministero degli affari interni della regione di Kherson creata dall’amministrazione dell’occupazione. Sono stati raccolti i dati di ciascun collaboratore, documentata l’attività criminale e stabilite posizioni e movimenti: 26 rappresentanti del dipartimento regionale del Ministero degli Affari Interni che si nascondono nel territorio temporaneamente occupato della regione di Kherson, hanno già ricevuto avvisi di garanzia. 14 di loro sono ex dipendenti della polizia nazionale”.

Zelensky aveva annunciato nei giorni scorsi il licenziamento di altri 28 membri dell’SBU, epurazione che potrebbe indicare che qualcosa di grave sta succedendo a Kiev anche se le voci diffusesi nei giorni scorsi di un tentato golpe e attentato contro il presidente non hanno trovato conferme.

Oggi il presidente ha cacciato  Ruslan Demchenko, primo vice segretario del Consiglio di Sicurezza e Difesa Nazionale già accusato dal giornalista ucraino Yurii Butusov di essere un agente russo.

Diverse le possibili interpretazioni della situazione attuale: Zelensky potrebbe voler punire i vertici dei servizi di sicurezza a causa del pessimo andamento della guerra e soprattutto per l’elevato numero di civili che restano nelle zone interessate dall’avanzata russa.

Non si può escludere che il presidente cerchi capri espiatori per giustificare gli insuccessi recenti e quelli forse imminenti, oppure che punti a consolidare il suo potere rimuovendo periodicamente funzionari divenuti troppo potenti e quindi potenzialmente pericolosi.

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Al di là del linguaggio propagandistico e della retorica sull’unità nazionale contro l’invasore, non va dimenticato che il conflitto in corso è anche una guerra civile con parte della popolazione delle regioni orientali e oltre 50 mila combattenti ucraini schierati al fianco dei russi.

Da quanto apprendiamo da fonti ucraine, in molti negli ambienti militari, di sicurezza e politici di Kiev trovano sempre di più ingiustificato combattere, subire ampie perdite e vedere devastata l’intera Ucraina nel vano tentativo di mantenere il controllo su Donbass e altri territori dove gran parte della popolazione guarda con ostilità (ricambiata) a Kiev.

Un accordo con i russi porterebbe alla perdita di almeno il 25 per cento del territorio nazionale ma consentirebbe all’Ucraina di sopravvivere e di puntare a ricevere aiuti militari dalla NATO ed economici dalla UE in vista di una possibile adesione a quest’ultima organizzazione.

Per evitare contestazioni Zelensky ha già messo fuorilegge 12 partiti, incluso quello Comunista a cui sono stati confiscati beni mobili e immobili: di fatto ogni forma di opposizione viene gestita con le leggi entrate in vigore dopo l’inizio della “operazione speciale” russa in Ucraina come “tradimento” e “complicità con gli invasori” anche se in molti casi il sospetto è che si tratti di una faida tra Zelensky e l’ex presidente Petro Poroshenko a cui da fine maggio sembra venga impedito di lasciare l’Ucraina.

Le recenti purghe sono state accolte con sarcasmo a Mosca dove la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, sul suo canale Telegram ha commentato che “la denazificazione è in pieno svolgimento”.

Del resto le citate rimozioni sono solo le ultime in ordine di tempo di una lunga serie. Il 18 luglio è stata rimossa dal Parlamento la ministra per le Politiche sociali Maryna Lasebna, mentre è stato arrestato l’ex capo del servizio di sicurezza in Crimea Oleh Kulinich.

Recentemente era stato rimosso il difensore civico Lyudmila Denisova (considerata politicamente vicina a Poroshenko) licenziata con l’accusa di inventare reati falsi o di aggravarne altri.

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Nei giorni scorsi Zelensky aveva licenziato il capo dell’SBU di Kharkiv, Roman Dudin mentre il 28 giugno era stato rimosso il capo dell’amministrazione militare regionale di Kherson, Hennadii Lahuta e il vice ministro per il Digitale Senik Dmytro Yurievic.

Il 14 giugno era stato licenziato il capo dell’amministrazione militare di Chernivtsi e al capo dell’agenzia dei Progetti per le infrastrutture Kryvoruchko Olena. A fine marzo era stata la volta del capo del dipartimento sicurezza interna Andriy Olehovych Naumov e il capo dell’SBU a Kherson (città conquista rapidamente dai russi a fine febbraio), Serhiy Oleksandrovych Kryvoruchko.

Per tutti l’accusa è di tradimento. Le ‘purghe’ di Zelensky non hanno risparmiato neppure il corpo diplomatico: il 25 giugno il presidente ucraino aveva rimosso dal loro posto gli ambasciatori di Georgia, Slovacchia, Portogallo, Iran, Libano. Il 9 luglio era stata invece la volta degli ambasciatori in Germania, Ungheria, Repubblica Ceca, Norvegia e India.

Un parlamentare vicino all’ex presidente Poroshenko (nazionalista e ostile alla Russia), Oleg Sinyutka, ha dichiarato in parlamento che “il paese sta scivolando gradualmente verso una forma di governo dittatoriale” come riporta l’agenzia Adnkronos anche se tali valutazioni vengono solitamente ignorate dalla gran parte dei media occidentali, sempre più “militanti”.

Al di là delle comprensibili esigenze di mantenere la compattezza in una nazione in guerra, va rilevato che l’Ucraina neppure prima dell’attacco russo brillava per democrazia e trasparenza, come abbiamo recentemente illustrato su Analisi Difesa citando le classifiche stilate da importanti centri studi internazionali.

Foto Ministero della Difesa Ucraino

 

https://www.analisidifesa.it/2022/07/smettiamo-di-fingere-di-non-essere-anche-noi-in-guerra-contro-la-russia/

Smettiamo di fingere di non essere anche noi in guerra contro la Russia

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C’è una immagine che continua a tornarmi alla mente ogni volta che si parla del terribile scontro in atto fra la Russia e l’Ucraina, nonché del ruolo, ad esso strettamente connesso, che viene svolto in questo periodo dagli Stati europei.
L’immagine è purtroppo quella manzoniana dei capponi che Renzo Travaglino porta in regalo all’avvocato Azzeccagarbugli e che, benché legati a testa in giù e chiaramente avviati ad un triste destino, continuano, incapaci di fare altro, a beccarsi ferocemente fra di loro.

È una immagine che si fa poi ancora più vivida quando dalla condizione Europea si passa ad esaminare quella di una Italia che a tutt’oggi continua imperterrita ad adottare moduli di comportamento, soprattutto politici, già discutibili allorché le cose andavano bene ad assolutamente inaccettabili per chi invece si trova nel bel mezzo di una guerra.

Anche se non vogliamo ammetterlo ufficialmente e ci appigliamo ad ogni bizantinismo disponibile per negarlo, è infatti l’Occidente, l’intero Occidente in tutte le sue componenti e non soltanto l’Ucraina, che sta combattendo contro la Russia in questo momento.

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Si tratta di un fatto di cui il nostro avversario si è reso pienamente conto, come ci ricordano ogni giorno le sue azioni sul terreno, le sue scelte in ambito internazionale ed infine le dichiarazioni, sempre in quel senso, dei suoi esponenti politici di rilievo.

Anche se Il Presidente Putin fosse pazzo – e non lo è – vi sarebbe sempre da riconoscergli una adamantina coerenza perlomeno nel mantenere questo atteggiamento.

Dall’altra parte invece noi abbiamo adottato un comportamento schizofrenico , tirando il sasso ma cercando nel contempo di nascondere la mano, forse sperando che il tutto possa alla fine risolversi in una limitata ” proxy war ” , vale a dire in uno scontro che si esaurisca entro i confini dell’unico stato della nostra parte per il momento direttamente coinvolto e comporti invece per la grande maggioranza di noi soltanto uno sforzo di supporto , che potrà magari rivelarsi molto oneroso sotto molti aspetti ma non ci costerà  mai quell’insieme di lutti, rovine e lacrime che produce un vero conflitto.

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È abbastanza logico che ciò avvenga, considerato come, sulla scia degli Stati Uniti, anche l’Europa avesse finito nei decenni successivi al crollo del Muro di Berlino con l ‘adottare progressivamente un sistema di confronto bellico che limitava il vero intervento dell’Occidente soltanto all’erogazione del fuoco e ad altri compiti connessi al suo elevato livello tecnologico, lasciando invece invariabilmente a sole forze locali il privilegio di scendere sul terreno, di combattere ….e di conseguenza di morire.

Così nella ex Jugoslavia ci siamo prima battuti contro i Serbi lasciando che fossero i Croati ad affrontarli da soli sul terreno, poi più a sud abbiamo utilizzato i Kosovari, ma curandoci bene di non mettere un solo “boot on the ground ” sino alla firma della tregua.

DONETSK REGION, UKRAINE - MAY 22, 2022: Servicemen of the People's Militia of the Donetsk People's Republic at a military vehicle in Mariupol which is controlled by the Donetsk People's Republic. Tension began to escalate in Donbass in February 2022. The Russian Armed Forces are conducting a special military operation in Ukraine following requests for assistance from the leaders of the Donetsk People's Republic and Lugansk People's Republic. Vladimir Gerdo/TASS Óêðàèíà. Äîíåöêàÿ îáëàñòü. Ìàðèóïîëü. Âîåííîñëóæàùèå Íàðîäíîé ìèëèöèè ÄÍÐ ó âîåííîé òåõíèêè. Â îòâåò íà îáðàùåíèå ðóêîâîäèòåëåé ðåñïóáëèê Äîíáàññà ñ ïðîñüáîé î ïîìîùè Âîîðóæåííûå ñèëû ÐÔ ïðîâîäÿò ñïåöèàëüíóþ âîåííóþ îïåðàöèþ íà Óêðàèíå. Âëàäèìèð Ãåðäî/ÒÀÑÑ

In Afghanistan infine l’onore di travolgere i talebani dopo gli attentati delle Torri Gemelle + stato lasciato ai  tagiki, agli uzbeki, agli hazara e alle altre minoranze della “Alleanza del Nord”, mentre la NATO ha scelto di entrare nel quadro soltanto in un momento decisamente successivo, allorché sembravano esistere  ragionevoli speranze di ricostruire il paese in tempi accettabili.

Questo significa che anche nel conflitto in atto  noi saremmo disposti a combattere ” sino all’ultimo soldato ucraino ” e non oltre?  Un timore che sempre più di frequente comincia a trasparire dai discorsi del Presidente Zelensky.

Probabilmente se potessimo lo faremmo e forse questa era l’idea iniziale di molti dei protagonisti coinvolti, ivi compresa una Italia che almeno a parole si incancrenisce in quel rifiuto della “guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali” sancito dalla nostra Costituzione al punto tale da rifiutare di rendersi conto di alcune delle realtà che ha vissuto o da camuffarle, se del caso, sotto circonlocuzioni giuridiche estremamente precise soltanto nel non dire nulla.

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Così siamo andati alla prima guerra del Golfo nel quadro di “una operazione di polizia internazionale condotta sotto l’egida delle Nazioni Unite per il ripristino della sovranità kuwaitiana”, mentre successivamente, prima nel caso del Kosovo, poi in quello della Libia, la parola “guerra ” non è stata mai pronunciata e almeno in una occasione il Governo Italiano è arrivato a negare anche un coinvolgimento delle nostre forze che in effetti invece era avvenuto.
Rifiutare di accettare di essere in realtà coinvolti in una grande guerra anche questa volta è molto più difficile, anche se forse non del tutto impossibile, almeno per qualche tempo ancora.

Sta comunque divenendo progressivamente sempre più chiaro come questo non sia solo un conflitto limitato che abbia come posta la definizione delle frontiere della Ucraina ma si configuri invece come l’inizio di un cambiamento epocale destinato a condizionare in maniera diversa da quella attuale i futuri equilibri di potere del mondo.
Come tale esso è uno scontro di giganti che assume sempre di più, giorno dopo giorno una configurazione in tal senso.

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Ricordate quali fossero sino a pochi anni fa i “rogue states”, ossia le nazioni considerate dall’Occidente come “Stati canaglia “?

Erano la Corea del Nord, l’Iran, lo Yemen, la Siria, la Libia, tutti paesi di limitato rilievo, con l’unica eccezione dell’Iran.  Ora, come indicato dagli USA e confermato di recente dal nuovo Concetto Strategico approvato a Madrid dalla Nato, sono invece la Russia, la Cina e un Iran cui pare riservato il privilegio di essere sempre presente in liste di questo genere.

Inoltre la guerra non è più soltanto quella di un tempo, vale a dire la guerra guerreggiata da combattere con il fucile in mano, l’elmetto in testa e le bombe a mano nel tascapane.

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Si tratta invece di un fenomeno ben più complesso, che va sotto il nome di “guerra ibrida ” ed investe tutti i settori in cui un attacco comunque condotto potrebbe indebolire l’avversario, anche soltanto potenziale.

Nel complesso si tratta di un tipo di Guerra in cui già da parecchio tempo la Russia si è scelta l’intero Occidente come avversario, scatenando offensive informatiche mirate, corrompendo, uccidendo, cercando di falsare i risultati di democratiche elezioni. Siamo in guerra da tempo dunque: una guerra non dichiarata ma nel contempo estremamente dura, guerra per la sopravvivenza ….quella guerra che con una visione ben più precisa della nostra il Santo Padre aveva da tempo individuata e definita come ” una guerra mondiale a pezzi”.

Come se ciò non bastasse da quando abbiamo iniziato a sostenere l’Ucraina fra noi e la Russia sono intercorsi una serie di atti che non sono certo stati di cortesia e che in altri tempi avrebbero costituito un preciso ed inequivocabile casus belli.

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Abbiamo deciso contro Mosca una pesantissima serie di sanzioni economiche? Non dimentichiamoci che anche se gli USA tendono a passare la cosa sotto silenzio l’attacco di Pearl Harbour altro non fu che la reazione di Tokyo ad analoghe sanzioni decise da Washington nei riguardi del Giappone.

Da tempo poi vi è un flusso continuo di armi, munizioni, materiali ed istruttori che parte dai nostri paesi ed è diretto in Ucraina. Per tacere poi dei volontari che vanno nella medesima direzione senza essere minimamente ostacolati … e c’è da chiedersi quanta parte del famoso “Battaglione Azov” fosse composta da cittadini dei nostri paesi.
Si aggiunga a questo una efficace, articolata ed onnipresente attività informativa che dal locale, al tattico ed allo strategico copre tutti i settori di interesse delle forze ucraine ed il quadro del nostro pressoché totale coinvolgimento diverrà completo.

Possiamo quindi ancora sostenere con un filo di logica di non essere in guerra? Di sicuro no, e sarebbe probabilmente bene che anche noi arrivassimo ad accettare in pieno questa scomoda verità. Se non altro per essere pronti domani ad affrontarne eventualmente le sgradite conseguenze!

Foto: Ministero della Difesa Ucraino, Ministero della Difesa Russo e TASS

DIETRO L’UCRAINA/ I piani americani che hanno indotto Mosca alla guerra, di Giuseppe Gagliano

Ecco come Obama e Biden hanno provocato la trappola che ha costretto la Russia a intervenire in Ucraina, secondo Michael Brenner

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Soldati delle forze ucraine (LaPresse)

Professore emerito di affari internazionali nell’Università di Pittsburgh e membro del Center for Transatlantic Relations presso Sais/Johns Hopkins, Michael Brenner è stato direttore del programma di relazioni internazionali e studi globali presso l’Università del Texas. Ha anche lavorato presso il Foreign Service Institute, il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e Westinghouse. È autore di numerosi libri e articoli sulla politica estera americana, la teoria delle relazioni internazionali, l’economia politica internazionale e la sicurezza nazionale.

Secondo lo studioso americano per capire il conflitto attualmente in corso con la Russia è necessario tenere presenti tre aspetti.

In primo luogo, la guerra in Ucraina è il culmine di una crisi iniziata poco dopo l’insediamento dell’amministrazione Biden. Questa crisi è di per sé una ripresa del fuoco dalle braci mal spente dell’iniziale conflagrazione risalente al colpo di Stato fomentato da Washington nel marzo 2014.

In secondo luogo, le fasi successive di questa crisi devono essere intese nel contesto della crescente ostilità delle relazioni russo-americane. I suoi indicatori sono stati l’intervento di Mosca nella guerra civile siriana (2015), le decisioni delle successive amministrazioni statunitensi di terminare o ritirarsi dagli accordi sul controllo degli armamenti risalenti alla Guerra fredda – che hanno suscitato la preoccupazione di Mosca per le intenzioni militari di Washington –, il graduale allargamento della Nato verso Est, le “rivoluzioni colorate” orchestrate alla periferia della Russia, e il sentimento antirusso suscitato dall’affare manipolato “Russiagate”.

Terzo, l’Ucraina è stata l’occasione, non la causa, della rottura definitiva delle relazioni tra Mosca e Washington.

Da aprile 2021 i contorni della strategia americana nei confronti dell’Ucraina e della Russia si sono ben presto chiariti: organizzare un incidente provocatorio nel Donbass che scateni una reazione russa che potrà poi essere utilizzata per confermare le affermazioni speculative di Washington sui preesistenti piani di invasione russa.

Il significativo rafforzamento delle forze ucraine lungo la linea di contatto nel Donbass, abbondantemente rifornite di missili anticarro Javelin e antimissili Sprint, prefigurava la preparazione di azioni militari offensive. L’azione Usa stava facendo esattamente quello di cui abbiamo accusato Mosca: pianificare un attacco deliberato. Washington si aspettava che la conseguente crisi costringesse gli europei occidentali ad accettare una serie completa di sanzioni economiche, inclusa la cancellazione del Nord Stream 2 contro la Russia. Era il fulcro del piano. Il team di politica estera di Joe Biden era convinto che le sanzioni draconiane avrebbero causato il collasso dell’economia fragile e non diversificata della Russia. Il vantaggio secondario per gli Stati Uniti sarebbe una maggiore dipendenza europea dagli Usa per le risorse energetiche, e implicitamente l’allineamento europeo con le posizioni politiche di Washington. Così, la paura della Russia e la dipendenza economica perpetuerebbero indefinitamente lo status di vassallo degli Stati europei che è loro proprio da 75 anni.

Pertanto, secondo Brenner, l’obiettivo principale di Washington nella crisi ucraina era la Russia: la crescente obbedienza degli alleati europei a Washington era un guadagno collaterale. Il diffuso boicottaggio delle esportazioni russe di gas naturale e petrolio è stato visto come un modo per drenare le risorse finanziarie e l’economia del Paese mentre i proventi dalle sue esportazioni diminuivano.

Se a questo si aggiunge il piano per escludere la Russia dal meccanismo di transazione finanziaria Swift, lo shock subito dall’economia doveva portare alla sua implosione. Il rublo sarebbe crollato, l’inflazione aumentata, il tenore di vita crollato, il malcontento popolare avrebbe indebolito Putin così tanto che sarebbe stato costretto a dimettersi o sarebbe stato sostituito da una cabala di oligarchi scontenti. Il risultato sarebbe stato una Russia più debole, legata all’Occidente, o una Russia isolata e impotente.

Come ha detto il presidente Biden: “Per l’amor di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere”.

Per comprendere appieno la tattica adottata dagli Stati Uniti, bisogna tener conto di un fatto cruciale: pochissime persone nella Washington ufficiale si preoccupavano della stabilità dell’Ucraina o del benessere del popolo ucraino. I loro occhi erano fissi su Mosca. Nella mente degli strateghi di Washington, l’Ucraina rappresentava un’opportunità unica per giustificare l’imposizione di sanzioni paralizzanti che avrebbero messo fine alle presunte ambizioni di Putin in Europa e oltre. Inoltre, i legami sempre più stretti tra la Russia e gli Stati europei sarebbero stati interrotti, probabilmente in modo irrimediabile. Una nuova cortina di ferro avrebbe diviso il continente, segnato da una linea di sangue: sangue ucraino. Questa realtà geostrategica permetterebbe all’Occidente di dedicare tutte le sue energie al confronto con la Cina. Tutto ciò che gli Stati Uniti hanno fatto con l’Ucraina nell’ultimo anno è stato guidato da questo obiettivo generale.

Questi scenari ottimistici avevano in comune la speranza che la nascente partnership sino-russa sarebbe stata fatalmente indebolita, ribaltando l’equilibrio a favore degli Stati Uniti nella prossima battaglia con la Cina per la supremazia globale.

Come è stato concepito e deciso questo piano? In verità, gli obiettivi generali erano stati definiti dall’amministrazione Obama. Lo stesso presidente ha dato la sua approvazione al colpo di Stato di EuroMaidan (2014), che è stato supervisionato direttamente dall’allora vicepresidente Joe Biden, che ha agito come pilota per l’Ucraina tra marzo 2014 e gennaio 2016. Poi, l’amministrazione americana ha adottato misure forti per bloccare l’attuazione degli accordi di Minsk II, protestando con Merkel e Macron. Ecco perché Berlino e Parigi non hanno mai fatto il minimo gesto per convincere Kiev a rispettare i propri obblighi.

L’operazione per provocare una crisi nel Donbass è stata architettata da figure influenti – in particolare Anthony Blinken, segretario di Stato, e Jake Sullivan, capo del Consiglio di sicurezza nazionale – e circoli neoconservatori durante la presidenza Trump, la cui incoerenza e disordine ha impedito la definizione di una politica calibrata nei confronti dell’Ucraina e della Russia; così il peso delle sanzioni è aumentato negli anni 2016-2020.

La strategia era quella di aumentare la pressione su Mosca per stroncare sul nascere l’aspirazione della Russia a diventare ancora una volta un attore importante in grado di privare gli Stati Uniti dei suoi privilegi di egemone mondiale e unico sovrano d’Europa. Era guidata dall’ardente Victoria Nuland e dai suoi compagni neoconservatori del Consiglio di sicurezza nazionale (Nsc), della Cia, del Pentagono, del Congresso e dei media. Poiché Blinken e Sullivan erano essi stessi sostenitori di questa strategia di confronto, l’esito del dibattito era una conclusione scontata.

Per quanto riguarda l’Ucraina, il piano era pronto e in attesa della decisione della Casa Bianca. I fautori di una nuova Guerra fredda in tutta l’amministrazione hanno potuto imporre le loro opinioni su un governo in cui non c’erano voci dissenzienti e guidato da un presidente passivo e malleabile. Così prendeva corpo il piano antirusso in Ucraina con il rafforzamento delle forze militari lungo la linea di contatto nel Donbass e discorsi bellicosi sulla necessità di imporre sanzioni economiche più pesanti a Mosca in caso di conflitto, provenienti sia da Washington e Bruxelles.

I leader del Cremlino sembrano essere stati pienamente consapevoli di quello che stava succedendo. L’obiettivo americano di riportare la Russia al suo posto subordinato era dato per scontato dal Cremlino. Ma c’era incertezza su quali iniziative aspettarsi sul campo: un grande assalto delle forze di Kiev nel Donbass o piccoli atti provocatori per provocare una reazione russa che potesse fungere da pretesto per l’imposizione di sanzioni, inclusa la chiusura del Nord Stream 2?

È probabile che gli alti funzionari di Washington non abbiano fatto loro stessi una scelta riguardo alle modalità tattiche della loro azione. Le divergenze tra i diversi attori e un presidente titubante avrebbero potuto benissimo lasciare aperte opzioni per arrivare a un consenso morbido e oscuro. L’alternanza di retorica bellicosa e parole rassicuranti in pubblico di Biden, così come le conversazioni telefoniche “non andiamo in guerra” che ha avviato con Putin e riaffermato nei comunicati stampa, ne sono un esempio, una prova tangibile.

Ma alla fine è stata presa la decisione di lanciare l’operazione contro la Russia. Prova innegabile di ciò sono gli annunci molto specifici del presidente Biden, di Anthony Blinken e del direttore della Cia William Burns sulla data dell’“offensiva” russa. Potevano essere così affermativi perché erano ben consapevoli della data fissata per l’inizio dell’operazione militare ucraina contro il Donbass e sapevano che Mosca avrebbe immediatamente reagito militarmente. Queste affermazioni non erano basate su informazioni privilegiate ottenute attraverso intercettazioni di comunicazioni russe o la presenza di una talpa al Cremlino. Washington non ha tale accesso ai centri decisionali di Mosca, come dimostra il fatto che gli Stati Uniti sono rimasti sorpresi da tutte le altre iniziative significative della Russia, compreso l’intervento militare in Siria nel 2015.

Il conto alla rovescia è stato innescato da un aumento di 30 volte dei bombardamenti ucraini nel Donbass, anche contro quartieri residenziali, tra il 16 e il 23 febbraio 2022, come riportato dagli osservatori dell’Osce. La forma e la portata esatte della reazione del Cremlino erano imprevedibili, ma questo di per sé non era un problema per Washington, dal momento che qualsiasi azione militare di Mosca serviva al suo grande scopo. Inoltre, gli americani erano convinti che l’ambizioso programma di addestramento ed equipaggiamento dell’esercito ucraino lanciato dal 2018 – e integrato dall’erezione di un’importante rete di fortificazioni che costituiscono una linea Maginot in miniatura – avrebbe impedito una disfatta delle forze di Kiev e, di conseguenza, creato le condizioni per una guerra di logoramento i cui effetti sull’economia e sull’opinione pubblica russa sarebbero stati particolarmente marcati.

Joe Biden ha richiamato indirettamente l’attenzione su questo punto durante una conferenza stampa tenutasi all’inizio di febbraio 2022. Ha affermato che una forte reazione da parte della Russia avrebbe garantito l’unità della Nato e l’accordo degli Stati membri al fine di imporre forti sanzioni. Una reazione più limitata, ha detto in quell’occasione, avrebbe provocato probabilmente un acceso dibattito tra i governi alleati sull’opportunità o meno di escludere la Russia dal sistema Swift e sospendere il progetto Nord Stream 2. Pertanto, l’attacco preventivo russo su larga scala del 24 febbraio ha permesso agli americani di vedere realizzata la loro opzione preferita, quella di sanzioni massicce.

Che dire della ripetuta affermazione di Joe Biden secondo cui Volodymyr Zelensky ha sfidato l’“avvertimento” del presidente degli Stati Uniti di un’imminente operazione militare russa? Abbiamo potuto consultare la trascrizione di questa famosa conversazione telefonica durante la quale il primo esprimeva infatti il suo scetticismo mentre il secondo insisteva a gran voce sul fatto che non c’erano dubbi. Ci sono solo due spiegazioni per questo indovinello. La prima è che Zelensky e la sua squadra di diplomatici dilettanti – tratti dalla sua ex squadra di produzione televisiva – sono rimasti sbalorditi all’avvicinarsi del fatidico giorno e, di conseguenza, hanno cercato di ottenere un certo margine di manovra. La seconda è che Zelensky potrebbe non essere stato informato della data esatta dell’offensiva dell’esercito ucraino contro il Donbass. I suoi stessi comandanti militari e alti funzionari della sicurezza avrebbero potuto venire a patti con gli americani – che erano stati a lungo presenti e attivi nel cuore dei principali centri decisionali del Paese – senza perdere la fiducia del presidente ucraino. La sua inclinazione a parlare nel modo sbagliato potrebbe essere la ragione principale di ciò, così come il fatto che è stato solo un presidente di facciata dalla sua elezione nel 2019.

Stravagante? No, solo strano. Come ci ha insegnato Sherlock Holmes: “Una volta eliminate tutte le altre possibilità, tutto ciò che resta – per quanto strano – è la verità”.

https://www.ilsussidiario.net/news/dietro-lucraina-i-piani-americani-che-hanno-indotto-mosca-alla-guerra/2376515/?fbclid=IwAR3ZEc97t35AEDe6AaBWk5Fk8JkRt1bhlJXjtZ9MyuTH_DyWr7TKPGmk8pc

Per la prima volta in 12 anni, le partecipazioni sono scese sotto il trilione! La Cina ha perso fiducia nei buoni del tesoro statunitensi?_da Guancha

Per la prima volta in 12 anni, le partecipazioni sono scese sotto il trilione! La Cina ha perso fiducia nei buoni del tesoro statunitensi?

Fonte: Rete di osservatori

2022-07-20 15:44

[Testo/Rete di osservatori Li Li] Il 18 il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha pubblicato i dati secondo cui la Cina continentale ha ridotto le sue disponibilità di debito statunitense per sei mesi consecutivi e le sue partecipazioni sono scese al di sotto di $ 1 trilione per la prima volta in 12 anni, o circa 980,8 miliardi di dollari al mese Ridotte le partecipazioni di circa 23 miliardi di dollari. Inoltre, il Giappone, l’attuale maggiore detentore di titoli del Tesoro statunitensi, e più di 10 principali detentori d’oltremare di titoli del Tesoro statunitensi hanno tutti venduto titoli del Tesoro statunitensi a vari livelli.

Cosa ha causato la caduta in disgrazia del debito statunitense? Wang Yongzhong, direttore e ricercatore dell’International Commodities Research Office dell’Institute of World Economics and Politics dell’Accademia cinese delle scienze sociali, ha dichiarato a Observer.com che le sanzioni statunitensi e il congelamento di beni di paesi come Russia e Afghanistan hanno chiamato mettere in discussione la sicurezza di investire nel debito statunitense. Inoltre, uno dei motivi è anche l’inflazione statunitense che ha portato a “ridotti rendimenti sull’investimento in obbligazioni statunitensi”.

“Anche gli stessi titoli del Tesoro USA sono attività rischiose, quindi anche le nostre partecipazioni stanno diminuendo.” Wang Yongzhong ha introdotto che l’allocazione più flessibile e diversificata delle attività estere della Cina è la tendenza generale. Tuttavia, ha anche affermato che le attività in dollari USA sono ancora una risorsa all’estero molto importante per la Cina. “Sebbene il potere d’acquisto del dollaro USA sia fortemente diminuito, è ancora una ‘valuta forte’. Rispetto all’acquisto di obbligazioni di altri paesi , come l’acquisto di obbligazioni europee, giapponesi, non ottengono gli stessi rendimenti delle obbligazioni statunitensi”.

Screenshot del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti

Cina e Giappone continuano a vendere obbligazioni statunitensi e le partecipazioni cinesi scendono sotto i 1 trilione di dollari per la prima volta in 12 anni

Il 18 luglio, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha pubblicato il suo International Capital Flows Report (TIC) per maggio 2022. Secondo il rapporto, alla fine di maggio, le disponibilità di debito statunitense della Cina continentale sono diminuite di $ 22,6 miliardi rispetto al mese precedente a $ 980,8 miliardi, il sesto calo mensile consecutivo e il livello più basso da maggio 2010.

Allo stesso tempo, anche il Giappone, che è un alleato economico degli Stati Uniti e il più grande “creditore” degli Stati Uniti, sta riducendo continuamente le sue disponibilità di dollari.

Inoltre, più di 10 importanti detentori di debito degli Stati Uniti all’estero, tra cui Arabia Saudita, India e Australia, hanno venduto tutti il ​​debito degli Stati Uniti a vari livelli. Tuttavia, il Regno Unito, che è al terzo posto in termini di disponibilità di debito statunitense, ha comunque aumentato le sue partecipazioni a maggio, raggiungendo $ 634 miliardi, con un aumento di $ 21,3 miliardi rispetto al mese precedente.

Secondo i dati diffusi dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, alla fine di maggio i funzionari esteri avevano venduto $ 8,3 miliardi netti in obbligazioni a lungo termine e $ 22,8 miliardi netti in obbligazioni a breve termine. Complessivamente, le disponibilità estere di titoli del Tesoro statunitensi sono scese a 7.421 trilioni di dollari a maggio da 7.455 trilioni di dollari di aprile, il livello più basso da maggio 2021.

La prossima volta che il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti rivelerà la dimensione delle attività di debito statunitensi nelle economie estere è il 15 agosto.

Allora, qual è il motivo per cui i principali detentori esteri di debito statunitense questa volta vendono invariabilmente obbligazioni statunitensi?

Gli Stati Uniti sanzionano altri paesi, sollevando interrogativi sulla sicurezza del debito statunitense

Wang Yongzhong, direttore e ricercatore dell’International Commodities Research Office dell’Institute of World Economics and Politics dell’Accademia cinese delle scienze sociali, ha dichiarato a Observer.com che le sanzioni statunitensi contro Russia, Afghanistan e altri paesi hanno ridotto la stabilità del debito statunitense . Ritiene che la questione della sicurezza del debito statunitense sia una delle ragioni della “riduzione del debito statunitense da parte della Cina”.

“In passato, gli investitori globali, inclusa la Cina, consideravano il debito statunitense un ‘bene sicuro e di alta qualità’. Ma dopo lo scoppio del conflitto russo-ucraino nel febbraio di quest’anno, gli Stati Uniti e alcuni paesi europei hanno congelato il Gli Stati Uniti hanno inoltre congelato i beni all’estero dell’ex governo afghano (circa 9,5 miliardi di dollari USA) , e se ne sono appropriati indebitamente senza autorizzazione (di cui oltre 3 miliardi di dollari USA) come risarcimento per le famiglie delle vittime dell'”11 settembre” La banca centrale e persino il mondo intero hanno avuto grossi dubbi sulla sicurezza di questo titolo statunitense”, ha spiegato Wang Yongzhong. “Se ci sarà un conflitto tra la Cina e gli Stati Uniti in futuro, gli Stati Uniti congeleranno anche il debito statunitense che deteniamo? Questo è un fattore per la Cina per ridurre le sue disponibilità di debito statunitense”.

Il professor Huang Renwei, vice preside esecutivo del “Belt and Road” e del Global Governance Institute dell’Università Fudan, ha anche menzionato nel programma “This Is China” trasmesso l’11 luglio che gli Stati Uniti congelano le proprietà russe o ne confiscano una parte, e la Russia è non è consentito utilizzare SWIFT (System for International Settlement of Funds). Perdere il credito delle persone per aver depositato la loro proprietà negli Stati Uniti. Al fine di prevenire future sanzioni statunitensi, sia gli alleati statunitensi che non gli alleati statunitensi devono ridurre le loro riserve in dollari USA e ridurre la loro dipendenza da SWIFT (International Funds Clearing System). Questo è il più grande danno al sistema di egemonia del dollaro.Questo danno non è evidente a breve termine, ma se tutti riducono la riserva in dollari anno dopo anno e aumentano gli altri sistemi di regolamento anno dopo anno, allora la riserva in dollari e SWIFT (The International Funds Settlement System), i due più importanti strumenti del dollaro USA, rischiano il collasso.

Screenshot del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti

Gli ultimi dati dal sito web del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti mostrano che le disponibilità russe di debito statunitense sono solo $ 2,004 miliardi. Già nel 2010 la Russia deteneva un debito di USD 176,3 miliardi ed era uno dei principali creditori esteri degli Stati Uniti, scendendo a 131,8 miliardi di USD nel 2014, per poi precipitare a 14,9 miliardi di USD nel 2018. La Russia ha continuato a vendere il debito degli Stati Uniti fino ad oggi sono rimasti solo circa 2 miliardi di dollari ed è vicino alla liquidazione.

L’elevata inflazione negli Stati Uniti influisce sul reddito degli investimenti in obbligazioni statunitensi

Wang Yongzhong ha detto a Observer.com che un altro motivo importante per la “caduta in disgrazia” del debito statunitense è la questione del “reddito da investimento”.

“L’inflazione negli Stati Uniti ha raggiunto l’8%, il 9%, il dollaro si è ridotto e il prezzo del mercato obbligazionario statunitense è fortemente diminuito. Sebbene il dollaro si sia apprezzato rispetto ad altre valute, si è notevolmente ridotto in termini di potere d’acquisto. Quindi questo investimento Il ritorno è decisamente negativo. La Cina prenderà sicuramente in considerazione questo reddito da investimento, giusto?”, ha detto Wang Yongzhong.

Le informazioni pubbliche mostrano che i funzionari della Fed hanno alzato i tassi di interesse negli ultimi tre incontri per frenare l’aumento dell’inflazione negli Stati Uniti.Il primo aumento dei tassi è stato a marzo, aumentando i tassi di interesse di 25 punti base. Questo è stato seguito da un aumento del tasso di 50 punti base a maggio. Il mese scorso, la Fed ha annunciato un aumento del tasso di 75 punti base, il più grande aumento in quasi 30 anni.

Secondo i dati diffusi dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti il ​​13 luglio, l’indice dei prezzi al consumo (CPI) negli Stati Uniti è aumentato dell’1,3% su base mensile a giugno e del 9,1% su base annua, il più alto aumento su base annua da allora novembre 1981. Reuters ha riferito che i funzionari della Fed hanno dichiarato il 15 luglio che potrebbero continuare ad aumentare i tassi di interesse di 75 punti base nella riunione del 26-27 luglio.

Tuttavia, dal rapporto sull’inflazione “mal di testa” del 13 luglio, alcuni operatori del mercato ritengono che la Fed considererà l’aumento del tasso di inflazione di un punto percentuale. Secondo un rapporto di Bloomberg del 14 luglio, gli economisti di Citigroup negli Stati Uniti prevedono che la Federal Reserve alzerà i tassi di interesse di 100 punti base.

Il Wall Street Journal ha riferito che il governatore della Fed Christopher Waller ha dichiarato in una riunione a Victor, Idaho, il 14: “I rialzi eccessivi dei tassi non sono ciò che vogliamo. Un aumento dei tassi di 75 punti base è già aggressivo. “Non si può dire, “Poiché non hai aumentato i tassi di 100 punti base, non hai fatto il tuo lavoro”.

La Federal Reserve statunitense non ha aumentato i tassi di ben 100 punti base da quando ha iniziato a utilizzare il tasso sui fondi federali come principale strumento decisionale all’inizio degli anni ’90. E l’aumento dei tassi di interesse di 100 punti base porterà a un “restringimento globale” dei fondi globali, portando a un rapido ritorno del dollaro negli Stati Uniti. Inoltre, l’aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti scatenerà anche il panico e porterà a problemi di cambio in molte valute . La scorsa settimana il tasso di cambio euro-dollaro si è avvicinato a un livello di parità di 1:1.

Screenshot del rapporto dell’Associated Press

Secondo il rapporto dell’Associated Press del 15 luglio, il tasso di cambio dell’euro rispetto al dollaro è sceso al livello più basso degli ultimi 20 anni. La Federal Reserve statunitense ha alzato in modo aggressivo i tassi di interesse per ridurre l’inflazione, mentre la Banca centrale europea (BCE) ha finora resistito a forti aumenti. Un euro più debole potrebbe essere un mal di testa per la BCE, in quanto potrebbe significare prezzi più alti per i beni importati, in particolare il petrolio, che è denominato in dollari. E per gli Stati Uniti, un dollaro più forte ridurrebbe anche la competitività dei prodotti americani sui mercati esteri.

La grave inflazione interna negli Stati Uniti, unita ai continui aumenti dei tassi di interesse da parte della Fed, sono tutte ragioni importanti per la svendita globale del debito statunitense.

Wang Yongzhong ha detto a Observer.com: “Anche gli stessi titoli del Tesoro USA sono attività rischiose, quindi anche le nostre partecipazioni stanno diminuendo”.

Screenshot dell’orologio del Tesoro degli Stati Uniti alle 10:30 del 20 luglio, ora di Pechino

Un orologio del debito nazionale degli Stati Uniti viene eretto sulla West 43rd Street a New York, negli Stati Uniti, che aggiorna i dati sul debito totale degli Stati Uniti in tempo reale.A partire dalle 10:30 del 20 luglio, la seguente pagina di aggiornamento del disavanzo del debito federale degli Stati Uniti come un aeroplano il cruscotto mostra gli Stati Uniti. Il debito federale totale ha superato la soglia dei 30,59 trilioni di dollari, salendo al 129,88% del PIL. Per mezzo secolo, gli Stati Uniti fungono da fondamento a sostegno dello status di valuta del dollaro attraverso l’uso del debito statunitense sotto forma di prodotti di investimento.

La Cina sta gradualmente promuovendo l’allocazione diversificata delle attività estere e la riduzione delle sue partecipazioni nel debito statunitense è una tendenza

Wang Yongzhong ha introdotto che per la Cina, è la tendenza generale continuare a ridurre le sue partecipazioni in titoli del tesoro statunitensi e rendere più flessibile e diversificata l’allocazione delle attività all’estero. Ha suggerito che alcuni investimenti possono essere gradualmente aumentati, come l’acquisto di azioni in alcuni mercati emergenti esteri; aumentando in modo appropriato gli investimenti negli asset di paesi con buone prospettive di sviluppo economico come i paesi “Belt and Road” e il sud-est asiatico, che sono relativamente amichevole con il mio paese, ecc. Allo stesso tempo, Wang Yongzhong ha anche ricordato che la diversificazione delle attività all’estero non dovrebbe essere affrettata: “Questo è facile a dirsi, ma è anche difficile investire”.

Secondo Wang Yongzhong, sebbene nel lungo periodo la riduzione delle disponibilità di debito statunitense sia una tendenza e diminuirà gradualmente, le attività in dollari statunitensi sono ancora risorse molto importanti al momento. “Sebbene il potere d’acquisto del dollaro sia fortemente diminuito, è ancora una ‘valuta forte’. Rispetto all’acquisto di obbligazioni di altri paesi, come quelle europee e giapponesi, i rendimenti che si ottengono non sono buoni come quelli statunitensi”, ha affermato disse.

Parlando dell’impatto delle relazioni sino-americane sulla “riduzione del debito degli Stati Uniti da parte della Cina”, Wang Yongzhong ha affermato che la guerra commerciale sino-americana non è la ragione della riduzione del debito cinese da parte della Cina. “In effetti, la Cina era relativamente fiduciosa in il dollaro USA e il debito USA prima. Non si arriva al punto delle “sanzioni finanziarie”. Ma dopo che Biden ha congelato i beni russi e quelli afgani, la fiducia nel dollaro è diminuita”.

“Questa è essenzialmente una questione di relazioni sino-americane”. Tan Yaling, direttore del China Foreign Exchange Investment Research Institute di Pechino, ha dichiarato in un’intervista al “South China Morning Post” di Hong Kong il 20 luglio: “In passato, detenere un gran numero di azioni era dovuto alle buone relazioni bilaterali, ma ora la Cina potrebbe dover evitare il rischio di un conflitto con gli Stati Uniti”.

Rispetto alle obbligazioni statunitensi, le obbligazioni del tesoro cinesi non sono di dimensioni elevate ma stabili e hanno rendimenti elevati

Wang Yongzhong ha introdotto che, rispetto alle obbligazioni statunitensi, sebbene l’entità del debito nazionale cinese non sia molto elevata, il rendimento del debito nazionale cinese è comunque buono. Il tasso di cambio RMB stesso è relativamente stabile e i titoli di stato cinesi sono relativamente popolari.

Secondo il sito web del Ministero delle Finanze cinese, con l’approvazione del Consiglio di Stato, il Ministero delle Finanze emetterà 20 miliardi di yuan di titoli di Stato nella regione amministrativa speciale di Hong Kong nel 2021. Nel 2022 a Hong Kong saranno emessi 23 miliardi di yuan di titoli di Stato.

Wang Yongzhong ha sottolineato che per il mercato finanziario i titoli di stato cinesi sono asset di alta qualità.

Le informazioni pubbliche mostrano che sotto la pressione dell’inflazione globale, i prezzi cinesi sono rimasti stabili. Secondo i dati diffusi di recente dal National Bureau of Statistics of China, da gennaio a giugno, l’indice nazionale dei prezzi al consumo (CPI) è aumentato dell’1,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e l’IPC di giugno è rimasto piatto su base mensile -mese. Nella prima metà dell’anno i prezzi sono rimasti generalmente stabili entro un range ragionevole.

“A differenza di altri grandi paesi, l’inflazione non è il problema più preoccupante in Cina.” Xie Peihua, chief investment officer della Bank of Singapore, ha dichiarato alcuni giorni fa sul Financial Times che l’IPC del 2,5% di giugno di quest’anno ha mostrato il cibo cinese ed energia La resilienza, gli stimoli fiscali e monetari offrono ampio spazio per raggiungere gli obiettivi del PIL. La People’s Bank of China è l’unica banca centrale che non ha alzato i tassi di interesse per frenare le pressioni inflazionistiche. Lo yuan è rimasto stabile rispetto a un dollaro più forte e la Cina ha la capacità di allentare le condizioni di credito abbassando i tassi di interesse.

Il sito web del Wall Street Journal ha riferito che il tasso di inflazione in Cina era leggermente superiore alle attese a giugno a causa dell’aumento dei prezzi di cibo e carburante, ma le pressioni sui costi sono rimaste modeste rispetto all’elevata inflazione in Europa e negli Stati Uniti.

Secondo il rapporto economico annuale pubblicato di recente dalla Banca dei Regolamenti Internazionali, l’economia mondiale rischia di entrare in un nuovo periodo di alta inflazione. Agustin Carstens, direttore generale della banca, ha dichiarato di recente in un’intervista ai media che la Cina ha mostrato una forte resilienza economica sullo sfondo dell’elevata inflazione globale, che offre alla banca centrale spazio per adeguare in modo costruttivo la politica monetaria.

“La Cina continuerà a dare slancio alla crescita economica mondiale”, ha affermato Carstens.

Russia e Iran hanno annunciato che abbandoneranno il dollaro USA, esperti: costituiscono una “alternativa parziale” al dollaro USA

Vale la pena ricordare che, nello stesso momento in cui la Cina ha ridotto le sue disponibilità di debito statunitense a meno di 1 trilione di dollari, Russia e Iran hanno annunciato che avrebbero gradualmente abbandonato il dollaro USA nel commercio tra i due paesi .

Alla vigilia della visita del presidente russo Vladimir Putin in Iran, il 18 luglio il segretario stampa presidenziale russo Peskov ha rivelato che la Russia e l’Iran continueranno a sviluppare relazioni bilaterali e legami economici e commerciali.I passi verso la deprecazione del dollaro USA nel commercio bilaterale alla fine porteranno a una completa deprecazione del dollaro USA.

Il vice governatore della Banca centrale dell’Iran per gli affari internazionali ha precedentemente rivelato che Russia e Iran stabiliranno il commercio bilaterale nella valuta locale di entrambe le parti e che i due paesi hanno firmato accordi pertinenti.

Il 19 luglio il presidente russo Vladimir Putin è arrivato a Teheran, in Iran, e lo stesso giorno i due Paesi hanno firmato un memorandum d’intesa del valore di circa 40 miliardi di dollari Usa sulla cooperazione nel settore del gas naturale .

Putin è arrivato a Teheran il 19 e ha incontrato il presidente iraniano Rahey, la foto è della spinta ufficiale del governo iraniano

Sia la Russia che l’Iran sono sanzionate dagli Stati Uniti. In precedenza, la Russia ha lanciato ufficialmente il meccanismo di regolamento del “rublo di gas naturale” e il sistema di regolamento finanziario interno della Russia si sta confrontando con il sistema di regolamento occidentale. Da parte iraniana (27 giugno), durante il vertice BRICS a Pechino, il Ministero degli Affari Esteri iraniano ha annunciato di aver presentato domanda per entrare a far parte dei paesi BRICS .

Per quanto riguarda la questione della “de-dollarizzazione”, Wang Yongzhong ha affermato che allo stato attuale il dollaro USA è ancora in una posizione molto forte. Per il momento, è ancora difficile per queste valute sostituire il dollaro USA a breve termine e non hanno avuto un impatto relativamente ampio sul dollaro USA. Soprattutto nel settore finanziario, tutti hanno l’abitudine di usare dollari americani.

“È difficile per le valute diverse dal dollaro sostituire il dollaro USA. In passato, il dollaro USA ha impiegato molto tempo per sostituire la sterlina britannica. Quando altri paesi aumenteranno l’insediamento in non dollari, formeranno un “parziale sostituzione” per il dollaro USA, ma vogliono sfidare lo status del dollaro. , è ancora troppo presto”, ha detto Wang Yongzhong.

https://m.guancha.cn/economy/2022_07_20_650151.shtml

Ad agosto oltre al caldo africano avremo anche focosi cambiamenti nel conflitto bellico ucraino? _Di Claudio Martinotti Doria

Come avrete capito, lo scopo dei miei articoli è esclusivamente divulgativo, per fornire una visione realistica alternativa alla narrazione mainstream che si basa sulla propaganda, disinformazione e mistificazione. Motivo per cui evito noiosi dettagli tecnici limitandomi a esporre solo la mia valutazione della situazione generale che se ne può trarre dall’esame delle condizioni oggettive rilevate dai vari analisti militari che seguo abitualmente, da me selezionati per la loro serietà e indipendenza. Chi desidera i dettagli tecnici può eseguire ricerche mirate e specialistiche, oppure fidarsi e approfittare di quanto riporto.

Prendiamo l’esempio di Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO (ancora per poco) che le spara sempre più grosse per fare propaganda con il patetico intento di intimidire o addirittura minacciare l’avversario, recentemente ha affermato l’intenzione di portare a 300mila effettivi l’unità d’intervento rapido della NATO. Fantozzi avrebbe quasi certamente commentato: una cagata pazzesca!

La NATO in questo momento di particolare difficoltà e debolezza non sarebbe in grado neppure di mettere insieme 300mila soldati perfettamente abbigliati e armati per farli sfilare in una parata militare.

Basterebbe analizzare in quali penose condizioni versa l’esercito della prima potenza continentale, il Regno Unito, ormai ridotto a esercito da media potenza regionale (similmente all’Italia, per intenderci e di molto inferiore a quello ucraino). Se avesse dovuto affrontare le forze armate russe sul campo di battaglia al posto di quello ucraino, gli analisti seri e indipendenti gli avrebbero dato al massimo tre settimane di durata prima della completa disfatta.

Il fatto che sia una potenza nucleare è irrilevante in una guerra convenzionale (e comunque lo è anche la Russia, e molto di più), non potendo ricorrere alle armi nucleari, neppure quelle tattiche di limitata potenza e fallout, conta soprattutto l’artiglieria, i mezzi corazzati e l’aviazione e i britannici in proposito sono messi male e il budget per la Difesa si riduce ogni anno e si tagliano progressivamente gli organici.

Se ne deduce che più si è deboli e più si ricorre alla propaganda e si assumono atteggiamenti guerrafondai da sbruffone come faceva Boris Johnson prima di essere silurato politicamente. A differenza dei russi, che di propaganda ne fanno pochissima, il bluff sanno a malapena cosa sia e quando fanno qualche affermazione sarebbe meglio ascoltarli, prima di finire sotto i loro schiacciasassi.

Veniamo ora alle condizioni in cui versano le forze armate ucraine.

E’ ormai risaputo per loro stessa ammissione (non del Comando Supremo che continua a omettere e fare propaganda ma dei comandanti locali) che molti reparti al fronte hanno subito perdite tra il 60 e l’80%, cioè parecchie brigate sono ridotte a meno di un battaglione di effettivi, ergo non sono più pienamente operativi.

Questo spiega il perché nelle ultime settimane la resistenza ucraina si è indebolita e di molto abbreviata, città che prima avrebbero difeso per due o tre settimane vengono abbandonate dopo tre o quattro giorni di combattimenti. Le perdite sono state eccessive e adesso preferiscono far ripiegare i superstiti su posizione arretrate meglio difendibili, dove cercare di ricomporre i reparti e renderli ancora parzialmente operativi.

Impresa ardua, in quanto le forze armate russe incalzano senza tregua, lentamente ma inesorabilmente. Se vogliamo fare un confronto di come siano i rapporti di forza, se a livello numerico inizialmente il rapporto era a favore degli ucraini per 3 a 1 ora sono pressappoco alla pari, non perché siano aumentati i soldati russi o donbassiani, ma perché sono diminuiti quelli ucraini, con perdite che si stimano tra i 1000 e i 1500 soldati al giorno, tra morti, feriti e catturati. Per quanto riguarda l’artiglieria gli ucraini sparano circa 5-6mila proiettili al giorno sull’intero fronte di guerra mentre i russi ne sparano circa 60mila. Secondo i cosiddetti esperti occidentali da salotto mediatico i russi avrebbero dovuto esaurire le munizioni di artiglieria già da mesi, forse si erano consultati con la casalinga di Voghera, nota esperta di analisi militare e di storia della Russia.

Le testimonianze dei soldati ucraini e anche di alcuni mercenari dal fronte riferiscono di un vero e proprio fuoco d’inferno, una cosa mai vista, motivo per cui molti mercenari rinunciano all’ingaggio e soldati ucraini disertano o si arrendono o quantomeno ripiegano in posizioni più arretrate e difendibili. In molti casi si giunge persino a scontri a fuoco tra gli stessi militari ucraini, tra ufficiali che impongono di combattere e soldati che si rifiutano di continuare a farsi massacrare. In questi casi dal punto di vista tecnico mi domando se tali caduti devono essere annoverati tra le perdite per “fuoco amico” o altra catalogazione.

A proposito dei mercenari, avevo già accennato che ne sono rimasti pochi rispetto all’inizio del conflitto, sia perché morti o perché se ne sono tornati ai luoghi di provenienza, alcuni catturati rischiano la pena di morte perché non sono protetti dalla Convenzione di Ginevra e sono considerati dai donbassiani criminali di guerra. Alcune testimonianze rilasciate da alcuni di loro accennano al fatto che non sono assolutamente preparati ad affrontare una guerra di questo tipo, essendo privi di copertura aerea, di tecnologia di supporto adeguata ed essendo sottoposti a un fuoco infernale di artiglieria. Un conto è combattere in Iraq e Afghanistan, contro gente armata di AK-47 Kalashnikov e tuttalpiù di RPG (lanciarazzi), tutt’altra esperienza è dover affrontare l’esercito russo, uno dei più potenti e meglio addestrati al mondo.

Gli unici mercenari veramente preparati e in grado di sostenere lo scontro sul terreno con i russi sono i soldati finlandesi, per esperienza storica accumulata e relativo addestramento ricevuto in patria. Ogni soldato è dotato di tutto il supporto tecnico tattico necessario alla sopravvivenza per lungo tempo in zona di guerra, dovendo combattere da solo o in piccoli gruppi affiatati, applicando soprattutto tattiche di guerriglia, esplorazione, cecchinaggio, incursione, sabotaggio, ecc., senza poter contare sulla copertura aerea e su nessun rinforzo e appoggio logistico. Ma sono gli unici con tali competenze e sono troppo pochi.

Da quanto s’intuisce dalle manovre politiche in corso tra il governo ucraino e quello polacco, nel preparare la tanto sbandierata controffensiva di agosto, che secondo i deliri della leadership ucraina dovrebbe respingere i russi fino al punto di partenza di fine febbraio, devono poter liberare i numerosi reparti militari ucraini attualmente impegnati a presidiare gli oblast occidentali. Per farlo dovrebbe intervenire l’esercito polacco per sostituirli.

A parte il fatto che è una palese cessione di sovranità, e questo la dice lunga sulla coerenza e serietà della leadership ucraina, legittimando anche il sospetto che siano d’accordo fin nelle intenzioni, cioè che sappiano benissimo che l’intervento delle forze armate polacche significa cedere la sovranità dell’Ucraina Occidentale alla Polonia, divenendone un Protettorato. Alla faccia del nazionalismo e amor patrio. Ma il secondo punto fondamentale che pare sfuggire agli esperti da salotto televisivo, è che l’intervento polacco in Ucraina si potrebbe legittimamente interpretare come una discesa in guerra contro la Russia, seppur non avvenga per ora direttamente nelle zone di combattimento, la Polonia sarebbe considerato dai russi un paese cobelligerante.

A questo punto se la Russia attaccasse (come già avvenuto numerose volte) obiettivi militari nell’Ucraina Occidentale con missili ad alta precisione e uccidesse soldati polacchi, anche in grande numero, non si potrebbe in alcun modo invocare il famoso articolo 5 del Trattato costitutivo della NATO, in quanto la Polonia non sarebbe affatto aggredita dalla Russia, in primis perché il suolo è ucraino e non polacco, e in seguito perché semmai è la Polonia che ha preso l’iniziativa divenendo cobelligerante a fianco dell’Ucraina. In ogni caso molti paesi aderenti alla NATO si rifiuterebbero di intervenire e l’alleanza rischierebbe la disgregazione definitiva.

Il governo polacco dovrebbe essere più prudente e sondare bene la propria opinione pubblica prima di correre simili rischi solo per appagare le sue mire espansionistiche e manie di grandezza da potenza regionale. A meno che, siano talmente smaliziati  da anticipare e attuare un calcolo cinico e spietato, dando per scontata la sconfitta militare e lo smembramento territoriale dell’Ucraina ,volendo partecipare fin da subito alla spartizione prendendosi la fetta che gli spetterebbe di diritto per motivi storici (cioè la Galizia e le aree contigue). Avere decine di migliaia di soldati già sul posto agevolerebbe tale espansione territoriale, divenendo in pratica un dato di fatto non facilmente contestabile.

La Polonia di fatto si sta anche privando di gran parte del suo armamento pesante per appoggiare quella che sarà la controffensiva ucraina di agosto, parliamo di centinaia di carri armati assemblati e modificati in polonia, che peraltro, considerando che sono modelli che gli ucraini non conoscono e ci vorrebbero mesi per imparare a utilizzarli al meglio, mi domando se non saranno impiegati direttamente da soldati polacchi contro i russi, palesando un’implicita cobelligeranza di fatto. Anche se ho dei dubbi che vi sia un sufficiente numero di carristi polacchi disposti a rischiare la pelle in una battaglia persa in partenza, mi riferisco alla potenza di fuoco dell’artiglieria e aviazione russa, che lascerebbe ben pochi carri armati intatti dopo una battaglia sul campo.

Da quanto finora enunciato emerge abbastanza chiaramente una grave difficoltà da parte della leadership occidentale nella percezione della realtà oggettiva. Una dissonanza cognitiva che distorce la realtà fondandosi su presupposti inesistenti che conduce inevitabilmente a scelte errate e dannose, Vedremo probabilmente entro il mese di agosto quanto saranno dannose, e non solo per l’Ucraina. Una cosa è certa, per quanto possiamo essere messi male noi italiani, io per tutto l’oro del mondo non vorrei essere al posto degli ucraini, dei polacchi e dei baltici.

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

La scoperta di noi stessi, di Andrea Zhok

L’altro giorno stavo assistendo ad una bella discussione di tesi avente per oggetto autori dei cosiddetti “postcolonial studies”.
Era tutto molto interessante, ma mentre ascoltavo gli argomenti di Frantz Fanon, Edward Said, ecc. ad un certo punto ho avuto quello che gli psicologi della Gestalt chiamano un’Intuizione (Einsicht, Insight).
Ascoltavo di come gli studi postcoloniali cercano di depotenziare quelle teorie filosofiche, linguistiche, sociali ed economiche per mezzo delle quali i colonialisti occidentali avevano “compreso” i popoli colonizzati proiettandovi sopra la loro autopercezione.
Ascoltavo di come veniva analizzata la natura psicologicamente distruttiva del colonialismo, che imponendo un’identità coloniale assoggettante intaccava la stessa salute mentale dei popoli soggiogati.
Queste ferite psicologiche, questa patogenesi psichiatrica avevano luogo in quanto lo sguardo coloniale toglieva al colonizzato la capacità di percepirsi come “essere umano pienamente riuscito”, perché e finché non riusciva ad essere indistinguibile dal colonizzatore. Ma tale compiuta assimilazione era destinata a non avvenire mai, ad essere guardata sempre come ad un ideale estraneo ancorché bramato. Di conseguenza il subordinato era condannato ad una esistenza dimidiata, in una sorta di mondo di seconda classe, irreale.
Quest’inferiore dignità rispetto alla cultura colonizzante finiva per inculcare una mentalità insieme servile e frustrata, perennemente insoddisfatta.
Di fronte al rischio di perenne dislocazione mentale una parte dei colonizzati reagiva cercando di fingere che la propria condizione subordinata era proprio ciò che avevano sempre desiderato.
D’altro canto, con il consolidarsi del dominio coloniale la stessa capacità di organizzare la propria esistenza in una forma diversa da quella del colonizzatore andava impallidendo, con sempre meno gente che aveva memoria del mondo di “prima”.
Il passo finale decisivo era l’adozione della lingua del colonizzatore, che il colonizzato parlava naturalmente sempre in modo subottimale e riconoscibile come derivato. Nel momento in cui i colonizzati iniziano ad adottare la lingua dei colonizzatori essi importano lo sguardo degli oppressori e le loro strutture di alienazione: il colonizzato introiettando lo sguardo del colonizzatore finiva per generare forme di sistematico autorazzismo.
Ecco, mentre sentivo tutte queste cose, ragionavo, come fanno tutti, assumendo che “noi” fossimo i colonizzatori e gli altri i colonizzati.
Ma poi, d’un tratto, lo slittamento gestaltico, l’intuizione.
D’un tratto ho visto che immaginarci come quel “noi” era a sua volta frutto della nostra introiezione della cultura dei colonizzatori.
Noi, come italiani, o mediterranei, dopo essere stati colonizzati dagli angloamericani, ne abbiamo adottato lo sguardo fino ad immaginare che “noi” fossimo come loro, che fossimo noi ad avere sulla coscienza secoli di tratta degli schiavi e di sfruttamento coloniale imperialistico con cui fare i conti (innalzando un paio di patetici e fallimentari episodi in Libia e nel corno d’Africa come se giocassero nella stessa lega con i professionisti).
Nell’ultimo mezzo secolo, abbiamo adottato pienamente e senza remore tutte le dinamiche dei popoli assoggettati, fantasticando che la “vita vera” fosse quella che ci arrivava come immaginario d’oltre oceano, dimenticando tutto ciò che avevamo ed eravamo, per proiettarci nell’esistenza superiore dei colonialisti, pronti ad assumerne i peccati nella speranza che ciò ci assimilasse, almeno da quel punto di vista, al modello irraggiungibile.
Questa condizione di esistenza a metà, tremebonda e felice di essere assoggettata, ma frustrata dal nostro essere ancor sempre distanti dal modello, ha creato ondate di autorazzismo inestinguibile e ha bruciato tutte le possibilità di rinascita.
In sempre maggior misura tutta la nostra cultura, da quella popolare a quella accademica ha iniziato questo processo di mimesi, immaginando che se farfugliavamo qualche neologismo in inglese o se ne infarcivamo i documenti ufficiali (dai programmi scolastici alle direttive ministeriali) avremmo magicamente acquisito la potenza del nostro santo oppressore.
Come paese sotto occupazione ci siamo inventati di essere “alleati” degli occupanti, e mentre eravamo orgogliosi del nostro acume nel denunciare “governi fantoccio” in giro per il mondo non vedevamo quelli che si succedevano (e succedono) in casa nostra.
In tutta questa storia di falsa coscienza conclamata, di cui si dovrebbero narrare le vicende in un libro apposito, siamo sempre rimasti un passo al di sotto della consapevolezza di ciò che siamo e possiamo.
Oggi che gli orientamenti della potenza occupante danno segni di progressivo disinteresse per noi – salvo che come ponte di volo per cacciabombardieri – oggi forse si presenta per la prima volta dopo tre quarti di secolo la possibilità di uscire da questa condizione di falsa coscienza.
Tra non molto saremo forse in grado di applicare lo sguardo dell’emancipazione coloniale anche a noi stessi. Sarà una presa di coscienza dolorosa e vi si opporranno forze enormi, ma il processo è avviato e con il fatale deterioramento della situazione interna esso emergerà sempre di più.

La tempesta infuria, di George Friedman

Nel mio libro più recente, “The Storm Before the Calm”, ho previsto che il 2020 sarebbe stato un periodo di intensi disordini economici e politici negli Stati Uniti che si sarebbero esauriti verso la fine del decennio. Ho scritto che gli Stati Uniti subiscono cicli politici ogni 50 anni e che il periodo di crisi alla fine dell’ultimo ciclo negli anni ’70 si è risolto all’inizio degli anni ’80. Voglio cogliere questa opportunità per confrontare dove stiamo andando confrontandolo con gli anni ’70.

Gli Stati Uniti erano in crisi economica. L’inflazione stava aumentando, quindi il presidente Richard Nixon ha dichiarato un congelamento dei prezzi e degli stipendi all’inizio del decennio. Nel 1973 scoppiò una guerra tra Israele e il mondo arabo. Gli Stati Uniti si sono schierati con Israele, quindi gli arabi hanno imposto un embargo petrolifero. Ciò ha creato una massiccia carenza di petrolio e inflazione su tutta la linea. Il primo periodo includeva anche guerre culturali. La guerra del Vietnam ha creato quello che è stato chiamato il divario generazionale che si è manifestato nella controcultura. La controcultura è stata guidata dalla scrittura di Herbert Marcuse (ho scritto la mia tesi di dottorato in gran parte su di lui) che con altri aveva sviluppato una cosa chiamata teoria critica, un capostipite della teoria critica della razza. Marcuse e altri hanno sostenuto che gli Stati Uniti erano tormentati dalla falsa coscienza, che le persone non capissero la distruttività del materiale e dell’azienda. Le università sono diventate il centro dei movimenti progettati per cambiare i valori e le credenze americane. Una delle convinzioni chiave era la liberazione sessuale. Rivolte razziali e omicidi hanno dilaniato il paese. Mentre ci avvicinavamo alla metà del decennio, i problemi di fondo erano disoccupazione, inflazione e tassi di interesse incredibilmente alti.

Quell’era è stranamente simile alla nostra attuale. La guerra in Ucraina ha contribuito a innescare una massiccia inflazione e ci stiamo avvicinando a un periodo di alti tassi di interesse. La disoccupazione probabilmente sostituirà l’attuale carenza di manodopera. La pandemia di COVID-19 ha certamente giocato un ruolo importante nei nostri problemi attuali, ma direi che non è il ruolo determinante.

Politicamente, un presidente negli anni ’70 è stato costretto a lasciare l’incarico a causa di attività criminali. Il caso di Donald Trump è diverso, ovviamente, ma la divisione che ne risulta è simile. Gran parte dell’America credeva che Nixon fosse stato distrutto dai media liberali. Altri hanno detto che si è autodistrutto. Oliver Stone ci ha fatto un film.

La rabbia tra le culture era intensa. Ricordo di aver guidato attraverso la Carolina del Nord, fermandomi su un 7-11 per una birra per tenermi sveglio. Il cassiere mi ha guardato e mi ha chiamato un “punk degenerato hippie”. Per l’amor di Dio, stavo andando a Fort Bragg; Avrei potuto essere un degenerato e un punk, ma non un hippie. Un’altra volta ho incontrato una giovane donna che mi ha detto che Nixon era Hitler. ho esitato. Mi ha chiamato mostro. Ho stupidamente detto che era solo un mostro part-time. Brutta mossa in un brutto momento.

Nixon diede origine a Gerald Ford, che nella mia mente era Joe Biden in termini di efficacia se non di ideologia. Poi è arrivato Jimmy Carter, che ha rappresentato tutti i tratti del ciclo della morte. Tra la furiosa inflazione, ha imposto un taglio delle tasse per la classe media e un aumento delle tasse per i ricchi. Ciò ha giocato sulla posizione morale di Franklin Roosevelt, ma ha aumentato la domanda e i prezzi, diminuendo il capitale per gli investimenti, proprio mentre il Giappone stava irrompendo nell’industria automobilistica statunitense. Nel 1980, Ronald Reagan è stato eletto e, indipendentemente dal fatto che ti piaccia, ha inaugurato una nuova era, non perché ne fosse responsabile, ma perché le elezioni hanno aperto il tavolo.

In altre parole, Nixon è stato sostituito da Ford, che non ha potuto ottenere il controllo. Ford è stato sostituito da Carter, che ha cercato di creare una versione del New Deal. Lungi dall’essere sciocchi, erano semplicemente intrappolati in un vecchio ciclo che non poteva vedere oltre. Per il nostro ciclo attuale, Biden è Ford e tra un paio d’anni verrà eletto un nuovo Carter. Il Carter del nostro tempo sarà qualcuno che non può vedere che l’era Reagan è finita e che qualcosa di nuovo arriverà. Come Carter, chiunque venga eletto peggiorerà la situazione. Poi nel 2028 inizierà una nuova era.

Allora, dove siamo adesso? Le guerre culturali infuriano, ma iniziano a logorarsi. C’è una massiccia crisi economica costruita attorno a una guerra, inflazione e tassi di interesse in aumento. Non c’è una soluzione apparente e l’ostilità interna generale sta ribollendo. Abbiamo almeno sei anni per raggiungere una risoluzione. Fino ad allora, attendiamo un Jimmy Carter che crede profondamente che le soluzioni di 50 anni fa ora funzioneranno.

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