Ucraina, il conflitto_11a puntata, con Stefano Orsi e Max Bonelli

La 11a puntata inizia con un documento interno all’esercito ucraino che conferma le crescenti difficoltà, evidenti ormai sul campo, nel sostenere e contenere la pressione costante dell’esercito russo. Una nota che segue numerosi atti di protesta della truppa riguardo la conduzione della guerra e il comportamento dei comandi e della dirigenza politica ucraini. Alle difficoltà sul campo corrisponde una netta accentuazione del carattere terroristico della reazione ucraina sempre più rivolta a ritorsioni verso la popolazione civile e al sacificio dissennato delle proprie forze militari. Un aspetto sempre più difficile da nascondere anche per i media meglio disposti verso una causa sbagliata quale è la reazine della dirigenza ucraina. E’ sempre più evidente il paradosso di una forza che si proclama paladina dell’indipendenza di un paese, ma che in realtà si sta rivelando uno spietato esercito di occupazione al momento della vasta componente ostile della popolazione, ma che non tarderà a manifestare la propria indole anche verso le componenti favorevoli e passive. Emerge sempre più chiaramente la natura di un regime tanto ottuso e spietato ideologicamente, quanto portatore diretto di interessi e dinamiche geopolitiche esterne; dinamiche dalle generalità conosciute, ormai sparse ai quattro venti, che non tarderanno a dover rendere conto anche nel proprio paese, gli Stati Uniti. L’ennesimo frutto marcio portato dalle tante rivoluzioni colorate che hanno infestato questo ventennio. Avrebbero dovuto scompigliare i propositi di un mondo multipolare; stanno costringendo, in realtà, le forze emergenti a coalizzarsi non ostante i vecchi e nuovi contenziosi che attraversano un mondo sempre più disarticolato. Il finale non è scritto, ma non è scontato come poteva apparire appena venti anni fa. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1eu231-ucraina-il-conflitto-11a-p-con-max-bonelli-e-stefano-orsi.html

Tan Bin: Gli Stati Uniti vogliono combattere una guerra per procura nello Stretto di Taiwan, dobbiamo vedere cinque punti chiaramente

Prime considerazioni successive all’incursione di Pelosi a Taiwan. La dirigenza cinese dovrà probabilmente calibrare meglio i toni e i contenuti comunicativi delle proprie posizioni. Nel 1996, una crisi analoga su Taiwan si trasformò in una debacle della sicumera cinese nei confronti degli Stati Uniti. Oggi, la postura è molto più cauta e la condizione oggettiva molto meno sfavorevole; le tracce di imbarazzante prosopopea, che inficiano la credibilità generale di una politica, rimangono pur attenuate. La disponibilità ad imparare con il tempo è una prerogativa della filosofia di vita dei cinesi. Vedremo le conseguenze nelle dinamiche interne al regime cinese in vista del prossimo congresso. Buona lettura, Giuseppe Germinario

[editorialista di Text/Observer Network Tan Bin]

Amici preoccupati per la grande causa della riunificazione della madrepatria e per lo sviluppo della situazione nello Stretto di Taiwan, l’autore ha cinque pensieri da condividere con voi:

In primo luogo, non si deve ignorare il soldato, l’evento più importante del Paese, il luogo della vita e della morte, il modo di vivere e di morire. L’entusiasmo patriottico del popolo è lodevole, ma i “consiglieri del personale” della gente comune in guerra non possono evitare la separazione. È più difficile abbinare informazioni e strategie al gioco di alto livello di Wen International. L’eccessiva interpretazione emotiva e l’eccessiva ansia sono inevitabili e normali.

In secondo luogo, sebbene la questione di Taiwan sia una questione lasciata dalla guerra civile, in ultima analisi, non è solo una questione di relazioni attraverso lo Stretto di Taiwan, ma anche una questione di relazioni tra Cina e Stati Uniti. Se ci si limita a discutere di “Wu Tong”, si dovrebbero dire almeno tre punti:

1. Se è completamente preparato e tutto è a posto (non solo militari, ma anche diplomazia e opinione pubblica, comprese le disposizioni amministrative, del personale e legali dopo l’acquisizione, ecc.).

2. Ci deve essere un giudizio accurato sull’intervento militare statunitense e l’aspettativa strategica che una guerra con l’esercito americano sarà davvero combattuta.

3. Riesci a cogliere la finestra di opportunità quando gli Stati Uniti non hanno tempo per prendersi cura di me?

In terzo luogo, vista la situazione attuale, in particolare da parte nostra, le condizioni per l’impiego di truppe contro Taiwan non sono mature. Al contrario, gli Stati Uniti sono più disposti di noi a vedere lo Stretto di Taiwan diventare un nuovo punto caldo nel mondo e, proprio come trascinare la Russia in Ucraina, inventano anche una guerra per procura in Cina in cui gli Stati Uniti non pagano e il I cinesi combattono i cinesi. Da un lato, usa le guerre locali e, dall’altro, usa sanzioni senza fondo per consumare la Cina, isolare la Cina e interrompere il processo storico dell’ascesa della Cina.

Dovremmo solo combattere la guerra giusta al momento giusto, nel posto giusto, e non al momento giusto, nel posto giusto e come il nemico ritiene opportuno. Questa è una grande saggezza. Pertanto, sul campo di battaglia della guerra civile in corso in Cina, prendere l’iniziativa di distruggere la linea fissa militare del terzo in comando degli Stati Uniti non è un’opzione, né strategicamente né tatticamente.

In quarto luogo, cogliendo l’occasione offertaci dalla provocazione degli Stati Uniti, non solo la cosiddetta linea centrale dello Stretto di Taiwan è stata completamente cancellata, ma è la prima volta che si attua un live accerchiamento a tutto tondo. sparare un’esercitazione militare contro Taiwan, e sicuramente la trasformerà in una nuova normalità. Nei cuori dei taiwanesi, ma anche nei cuori delle persone in tutto il mondo, “Wu Tong” ha davvero fatto un grande passo avanti. A nostra volta, ci stiamo anche costringendo a sopperire quanto prima alle carenze nel lavoro di preparazione. In modo che quando il periodo di opportunità in futuro arriverà inaspettatamente, i tre eserciti possono muoversi nel vento!

In quinto luogo, dalla turbolenta opinione pubblica dei giorni scorsi si evince che “si può usare il cuore delle persone”. È solo che le autorità dovrebbero davvero apprezzarlo e seguire la guida. Non farlo andare dall’altra parte.

Nonostante ci siano alcune cose che in realtà non sono soddisfacenti, l’autore è comunque “ottimista” sulla tendenza generale, soprattutto per le nuove generazioni.

https://m.guancha.cn/tanbin/2022_08_04_652306.shtml

La cornice, di Pierluigi Fagan

CORNICE. Siamo tutti persi in un oceano di notizie relative a fatti. Ma in natura, nella realtà, i fatti sono connessi tra loro a fare il “mondo” e nel mondo ci sono attori intenzionali con strategie, strategie che vogliono far fronte a previsioni. Questi ultimi due elementi, strategia fatte su previsioni, fanno la cornice in cui s’inquadra il groviglio dei fatti del mondo. Vorrei fornire una versione interpretativa di questa cornice, poiché i molti fatti interagiscono proprio con la cornice, anche se spesso non la vediamo.
Il periodo moderno dura un po’ più di tre secoli. In esso, la parte che chiamiamo Occidente, prima solo Europa, poi Stati Uniti con Europa, ha dominato questo periodo storico. Colonialismo, imperialismo, sviluppo scientifico e tecnico (o forse il contrario), modo economico moderno, armi, conoscenza hanno garantito al sistema occidentale un incredibile potere sul resto del mondo. Questo ha permesso il poter importare materie, energie e lavoro a bassi costi per alimentare il modo economico che ha dato ordine dinamico alle nostre forme di vita associata. In questo mondo al nostro servizio, abbiamo poi esportato resti di produzione, scarti, disordine. Ogni forma di ordine, e la nostra lo è stata ai massimi livelli, paga un tributo di disordine che noi abbiamo esternalizzato.
Settanta anni fa, tre dinamiche della nostra parte di mondo, hanno agito non intenzionalmente sul mondo più ampio. La prima è stata il progresso tecno-scientifico che ha in parte debellato malattie che falcidiavano le natalità. La seconda è stata una parte specifica di questo progresso, nata in Giappone e poi ripresa da laboratori americani, ovvero la manipolazione genetica delle piante, prima il frumento, poi il riso. Non solo quindi le persone che nascevano morivano di meno di prima, ma poi crescevano alimentate e più sane, ampliando il registro dei viventi. Infine, la terza, è stata la spinta automatica al nostro modo economico di andare a colonizzare questo nuovo mondo di genti in inflazione demografica per cooptarle nell’economia di mercato cantando l’inno della “globalizzazione”. Tutte e tre le dinamiche, per quanto in larga parte non intenzionali, hanno però avuto anche un agente intenzionale, gli Stati Uniti d’America. Questo perché gli USA, nel dopoguerra, divennero presto consapevoli che il mondo più ampio andava in qualche modo curato e stabilizzato visto che in vari modi vi dipendevamo, non certo per bontà d’animo, per interesse.
Capitò così di esserci triplicati in soli settanta anni, cosa mai avvenuta nella storia umana planetaria, in così poco tempo, partendo da già 2,5 miliardi di persone. Non si è trattata solo di una trasformazione quantitativa, ma anche qualitativa anche perché è proprio questa nuova qualità sanitaria ed alimentare in primis, ad aver prodotto questo nuova quantità. Ma il modo economico moderno che è il nostro ordinatore, imponeva anche una nuova dinamica globale. Tale modo funziona con uno scalino, una asimmetria per la quale un maggiore domina e sfrutta un minore mentre “risolve problemi” (dei quali alcuni li inventa, altri li risolve ma creandone di nuovi). Ma tale assetto asimmetrico non deve esser troppo pronunciato, il minore deve comunque avere facoltà di giocare lo stesso gioco del maggiore. Il maggiore, per esser tale, deve portare il minore dentro il gioco altrimenti senza gioco non ordina il mondo mentre acquisisce l’ordine di cui si alimenta per esser il maggiore.
Così s’è seguita la logica di questo ordinatore che è appunto l’economico nella sua forma moderna che alcuni chiamano capitalismo. Purtroppo, ogni ordinatore è solo una parte della complessità del tutto. Altre volte, nella storia, qualcuno s’era convinto che l’ordine potesse esser militare e così fece imperi dalla brillante crescita repentina ed altrettanto repentino collasso. Qualcun altro si convinse si potesse usare l’ordinatore religioso, ma anche qui non s’erano fatto i conti con i più prosaici problemi della complessità della vita umana in società. L’economico prometteva invece, ed oltretutto spalleggiato dal militare e dalla cultura ora in senso più ampio che non solo quella religiosa, di poter far da ordinatore efficiente tenendo nello stesso gioco il maggiore ed il minore a debita distanza, ma non troppo distante.
Il calcolo si rivelò giusto per un tratto, poi non più idoneo, perché? Allargato il circuito della ricchezza e condiviso il modo economico moderno, altre parti del mondo hanno cominciato a crescere da par loro. Ad un certo punto recente, alcuni hanno intuito con sbigottimento e terrore che la dura logica della massa numerica, avrebbe fatto sì che a parità crescente di altre condizioni, il minore era destinato a diventare il maggiore. Gli economisti occidentali, i sacerdoti della nuova religione ordinativa, hanno prodotto un paio di teorie sulla crescita economica che però saltano a piè pari l’ovvietà per la quale, a parità (più o meno) di altre condizioni, la massa del sistema su cui si applica il modo economico moderno, fa la differenza. Oggi tutto l’Occidente, Europa ed Anglosfera, pesa solo il 16% del mondo, era più del 30% ai primi del Novecento ma al di là della numerica, allora la distanza qualitativa di tutti i fattori di potenza tra Occidente e resto del mondo era inarrivabile. Oggi quella numerica è tracollata e continuerà a scendere nei prossimi decenni e la distanza qualitativa si sta accorciando in fretta. Vi sono poi altri problemi legati al fine ciclo di crescita delle economie ipersviluppate (lo sviluppo non è infinto e non solo per ragioni termodinamiche), ma non ci soffermiamo. Il maggiore è quindi inesorabilmente destinato a non esser più tale. Che fare?
L’attuale vertice del potere del capobranco occidentale ovvero gli Stati Uniti d’America, ha varato una strategia per far fronte al problema. Almeno in termini di “comprare tempo” ovvero diluire in un più ampio tempo, questa contrazione di potenza che era ciò che garantiva la posizione del maggiore. Poi si vedrà. La strategia prevede di tagliare il mondo in due, da una parte rimane il maggiore ovvero l’Occidente con al centro gli Stati Uniti ed una più ampia possibile costellazione gravitante, dall’altra si vorrebbe confinare il minore che sta crescendo minacciando i rapporti di forza, quindi di potenza. La potremo dire una strategia sistemica.
Gli Stati Uniti, giustamente, ragionano per sistemi poiché sanno che la complessità di un mondo oggi a 8, tra trenta anni 10 miliardi di persone in 200 stati, con una crescente caterva di problemi endogeni ed esogeni (tra cui problemi davvero molto seri di tipo ambientale di cui si parla troppo poco e climatici di cui spesso si parla ma male), non si può tentar di ordinare se non attraverso sistemi che dominano sistemi.
Così, dall’inizio di questo anno, siamo finiti in questa Grande Accelerazione, che è solo la reazione alla Grande Accelerazione avvenuta nel mondo negli ultimi settanta anni. Con la tecnica del “c’è un provocatore ed un provocato”, gli USA hanno finalmente ottenuto -dopo essersi impegnati per anni- che la Russia invadesse l’Ucraina. Questo ha spinto, volenti o nolenti, gli europei a stringersi a coorte con gli Stati Uniti. L’accorpamento organico tra Stati Uniti ed Europa era il primo requisito della strategia poiché fa “sistema” e sistema obiettivamente di grande peso. Poiché i due attori hanno molto in comune, ma anche qualche altrettanto obiettiva potenziale divergenza di interessi, per storia, geografia, assetto economico e soprattutto forma visto che uno è uno Stato e l’altra è un Mercato con un po’ di istituzioni di servizio, questo accorpamento “senza se e senza ma” era, appunto, essenziale.
Ora gli Stati Uniti stanno cercando di replicare la strategia “c’è un provocatore ed un provocato” in Asia per accorpare i già organici alleati (Giappone ed Australia), quelli più titubanti (Corea del Sud), quelli potenziali ma molto ambigui o meglio con una loro strategia di più equilibrato bilanciamento (India) per poi scalare la piccola Europa sud-est asiatica ovvero i dieci stati ASEAN. Questo quadrante è assai più complicato del precedente, per varie ragioni e la Cina non è la Russia sotto tanti e diversi aspetti strutturali e culturali (cosa che a gli strateghi americani tenderà a sfuggire). E’ proprio il contesto asiatico (60% del mondo) ad essere per certi versi alieno all’esperienza e conoscenza profonda occidentale, viepiù quella americana.
Se in quello europeo la stanchezza per la guerra ucraina e le contraddizioni economiche che tenderanno a riflettersi in problemi sociali e quindi politici dovesse allentare la tensione, è pronta la versione “c’è un provocatore ed un provocato” a base di targhe automobilistiche serbe-kosovare. Poi ci sarà l’Artico.
Seguono poi tanti altri fatti geopolitici in Medio Oriente e Sud America ed altri a più dimensioni, tra cui il come detto “Artico”, lo spazio, la corsa tecnologica, ma non possiamo soffermarci.
Quindi, in conclusione, questa è la cornice dei fatti, i fatti sono tra loro intrecciati, il tutto -piaccia o no- è molto complesso, non ha alcun senso trattarlo con codici morali poiché è un problema concreto e, come si sarà capito, strategico ai massimi livelli, storico, epocale ed esiziale.
Fatta la cornice, a Voi metterci l’immagine di mondo.
SINCRONIE. Giusto oggi ricorre l’annuale Overshoot Day, il giorno statisticamente calcolato in cui abbiamo consumato tutte le risorse naturali che avremmo dovuto consumare in un anno. Giusto stamane ho terminato “Dove sono?”, una riflessione sui temi del nuovo Regime Ambientale portata avanti da Bruno Latour. Proprio Latour, è stato colui che ha ripreso, da qualche anno, il concetto di Gaia a tema delle sue riflessioni socio-antropo-filosofiche. E proprio l’altro ieri, è morto il padre del concetto di Gaia, James Lovelock, anch’egli in stato di sincronia avendo deciso esser giunto il momento di non più resistere all’entropia, ovvero morire, proprio il giorno del suo centotreesimo compleanno. Giusto ieri, stavo rileggendo il testo di un mio intervento ad un convegno tenuto tre anni fa proprio per i cento anni di Lovelock. Ne consegue questo post che però non ha alcuna ambizione se non condividere i ragionamenti stimolati da queste sincronie.
Lovelock presentò il concetto di Gaia negli anni Sessanta, decennio in cui nacque l’ecologia moderna e da cui oggi pensiamo partì la Grande Accelerazione. Latour riassume il concetto in quella fascia di circa sei chilometri, tre sopra il nostro suolo e tre sotto, che forma la pellicola dei viventi sul pianeta.
Lovelock, di base, era un chimico e chimico è il minimo comun divisore di tutto ciò che si trova in quella fascia, animali, piante, microbi e virus, acque, arie, terre, elementi. La chimica non ha mai sviluppato una sua filosofia importante, come le attigue fisica e biologia. Peccato perché: a) è natura e grammatica di ogni cosa che è, ad un livello più complesso della fisica ed oltretutto a cavallo dai regni del vivente e non vivente che sono nostre categorie; b) è base di complessità avendo almeno 98 varietà base (almeno sulla Terra) che tendono ad unirsi in molecole (a parte i gas “nobili” che se ne stanno ostinatamente per conto loro ma sono solo sei) dando vita, appunto, al tutto ciò che è.
L’idea originaria di Lovelock ha avuto vita travagliata. Lui stesso ne ha offerto diverse versioni, non quanto a forma, ma quanto a comportamento. Nata come “ipotesi” poi l’ha intesa “teoria” con varianti pensate da lui o contro di lui o partendo dalla sua intuizione ma andando per altre vie. Il catalogo sommario dice: Gaia influente, Strong o moderate hypotesys, omeostatica o omeodinamica con equilibri successivi (Daisyworld), con approfondimenti di geochimica, degli accoppiamenti coevolutivi, fino alla nascita di contro ipotesi come la Snowball Earth, la CLAW poi anti-CLAW, la nemesi di Gaia ovvero l’Ipotesi Medea etc.
Trattata e screditata addirittura come idea new age (il termine Gaia venne suggerito da un romanziere come altro nome di Gea che poi è desinenza di Geologia, Geografia, Geopolitica etc.) quando ancora il Capitale vedeva questi argomenti come intralci per la propria libera riproduzione ovvero quando ancora non aveva capito come sfruttarne la problematicità per alimentare una nuova “rivoluzione industriale”. La co-autrice dell’idea, Lynn Margulis, a sua volta considerata a lungo eretica per le sue idee che oggi sono assunte nel mainstream bio-evoluzionistico, la definiva “Tendenza del Sistema Biocibernetico Universale all’ Omeostasi”, sistema composto dai sottosistemi di geo-idro-pedosfera + biosfera + atmosfera.
Idea per altro già intuita da von Humboldt e Vernadskj. Lovelock, come detto, era un chimico e chimico era anche Vernadskj e prima ancora James Hutton, padre della geologia moderna che pure aveva proferito intuizioni simili, così come Crutzen a cui si deve l’ipotesi del concetto di Antropocene. Pare che i chimici vedano sistemi come loro prima ontologia spontanea, peccato non abbiano filosofato di più.
Non è un caso che Goethe parlasse di affinità elettive per un romanzo di coppia che poi si scinde e si riassortisce e non è un caso che tanto per la chimica che per i rapporti umani si parli di legami. Ma le variegate versioni e forme dell’eterno idealismo occidentale che nasce da Platone, ha vertice invece nel concetto di assoluto, “ab solutus” cioè sciolto da legami. Concetto poi erroneamente attribuito ad atomo, visto che dei 98 naturali solo sei hanno questo comportamento repulsivo, gli altri si accoppiano all’impazzata spinti da una certa bramosia a cercar stabilità attraverso le formazioni di interrelazione stabile che chiamiamo molecole. O se poi sciolgono legami è solo per allacciarne di nuovi.
Lasciamo ora il Lovelock, diventato poi nel tempo critico verso certo ambientalismo catastrofista, a favore del nucleare, della geoingegneria spinta e da ultimo, innamorato delle ipotesi neo-coscienziali dell’Artificial Intelligence. Passiamo allora a Latour che va da tutt’altra parte. Innanzitutto, avendo origini socio-antropologiche, ci mette dentro noi umani come “forma di vita” che, nella definizione di Lovelock è: un sistema dotato di perimetro entro il quale l’energia è usata per formare ordini dinamici (diminuendo l’entropia) e fuori del quale si ricava energia ordinata e si espelle energia disordinata aumentando l’entropia generale. un sistema dotato di perimetro entro il quale l’energia è usata per formare ordini dinamici (diminuendo l’entropia) e fuori del quale si ricava energia ordinata e si espelle energia disordinata aumentando l’entropia generale.
La definizione vale per l’individuo vivente (animale o pianta), l’uomo, la società umana, l’economia moderna, i nostri Stati-nazione. Ognuno dei quali è “nel” mondo in cui viviamo, ma al contempo e poco notato, nel mondo “di cui” viviamo. A dire che a parte le specie autotrofe (in sostanza i vegetali) noi altri animali siamo eterotrofi e quindi il mondo di cui viviamo è molto più ampio di quello in cui viviamo. Il che ci interroga su che tipo di relazioni averne.
Latour ne conclude una nuova classificazione politica tra Estrattori (chi vuole continuare ostinatamente nel modo moderno infischiandone dei limiti di compatibilità che ormai non sono più solo ecologici ma anche geopolitici, ad esempio: chi ha diritto di emettere CO2 in eccesso?) e Rammendatori, secondo una linea che va verso la “comunità di destino” alla Morin, una sorta di nuovo “in comune” sul piano eco-politico (geopolitico) ed inaspettato universale basato su realismo, materialismo e pragmatismo. Ma la riflessione è più ampia coinvolgendo concetti di sovranità, autonomia ed eteronomia, identità, sovrapposizione, sconfinamento, limiti, interdipendenze, intersezionalità, sussistenza e riproduzione, vari tipi di crisi inclusa quella pandemica. Il tutto con vari ricorsi paralleli a Gregory Samsa e la sua kafkiana Metamorfosi, in una sorta di trasvalutazione dei valori che connota la nostra epoca quanto ad immagini di mondo, ancora ampiamente riferite ed un mondo che non c’è più, non ancora idonee a quello in cui siamo capitati ed in cui di orientiamo a fatica.
Nel frattempo, secondo gli statistici dell’Overshoot Day, ci siamo mangiati in sette mesi, il necessario dei dodici, ma solo perché siamo ancora nell’onda lunga del lockdown planetario, una mano santa dal punto di vista del “rallentamento”, un rallentamento da alcuni gradito, da altri -alcuni insospettabili- rifiutato al grido arrabbiato di “ridateci la normalità”.
Chiudo. Non c’è alcuna conclusione, né nel post, né nel libro di Latour (sebbene faccia finta di scriverne una, così tanto per non lasciare troppa roba per aria). Una, forse, potrebbe esser l’invito a considerare questi temi espressi e quelli connessi che abbiamo dovuto tagliare per ragioni di spazio. Sono tanti, complessi cioè non solo tanti ma intrecciati ed interdipendenti tra loro, non lineari nel comportamento, autoriflessi, un vero marasma. A fronte di tutto ciò, evitate come la peste gli eccessivamente ansiosi, i negazionisti di principio, quelli che non vedono i problemi ma solo chi se ne approfitta, i riduzionisti, quelli che hanno una forma mentale non in grado di ospitare l’argomento e tuttavia giudicano o sentenziano.
Siamo in un nuovo stato del mondo (a 8 miliardi tra tre mesi e mezzo), l’immagine che ne abbiamo (l’assieme di categorie, logiche, teorie, ideologie, conoscenze, memorie etc.) è vecchia, dei secoli precedenti, non tutto cambia ma molto sì. È necessario continuare l’esplorazione ovvero tenere l’argomento aperto ed esplorarlo in quanti più è possibile, ci metteremo decenni a formulare una nuova mentalità prima, nuove società e modi di viverle poi, come è sempre stato nelle grandi transizioni storiche. Perché farlo? Non lo so.
“Resterà sempre sconcertante che per prime generazioni sembrino aver portato il fardello della loro fatica a beneficio esclusivo delle generazioni future … e che solo l’ultima avrà la fortuna di abitare nell’edificio compiuto” diceva un prussiano. Questa generosità verso i futuri forse ha a che fare col senso di essere umani, ma lascio a voi la risposta.
[La foto NASA è ritoccata, ma ci serve come concetto visivo in accordo al testo, a proposito di immagini di mondo]

Qualcuno ha ancora capito il “dilemma della sicurezza”?_di Stephen M. Walt

Qualcuno ha ancora capito il “dilemma della sicurezza”?

Un po’ di teoria IR classica fa molto per spiegare i fastidiosi problemi globali.

Di  , editorialista di Foreign Policy e Robert e Renée Belfer, professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard.

Il “dilemma della sicurezza” è un concetto centrale nello studio accademico della politica internazionale e della politica estera. Coniato per la prima volta da John Herz nel 1950 e successivamente analizzato in dettaglio da studiosi come Robert Jervis , Charles Glaser e altri, il dilemma della sicurezza descrive come le azioni che uno stato intraprende per rendersi più sicuro: costruire armamenti, mettere in allerta le forze militari , formando nuove alleanze, tendono a rendere gli altri stati meno sicuri e li portano a rispondere in modo simile. Il risultato è una spirale di ostilità sempre più stretta che non lascia nessuna delle parti in una posizione migliore di prima.

Se hai frequentato un corso di base di relazioni internazionali al college e non hai imparato questo concetto, potresti contattare il tuo registrar e chiedere un rimborso. Eppure, data la sua semplicità e la sua importanza, sono spesso colpito da quanto spesso le persone incaricate di gestire la politica estera e di sicurezza nazionale sembrino non accorgersene, non solo negli Stati Uniti, ma anche in molti altri paesi.

Considera questo recente video di propaganda twittato dal quartier generale della NATO, in risposta a vari “miti” russi sull’alleanza. Il video sottolinea che la NATO è un’alleanza puramente difensiva e afferma che non ha progetti aggressivi contro la Russia. Queste assicurazioni potrebbero essere effettivamente corrette, ma il dilemma della sicurezza spiega perché è probabile che la Russia non le prenda alla lettera e potrebbe avere valide ragioni per considerare minacciosa l’espansione verso est della NATO.

L’aggiunta di nuovi membri alla NATO potrebbe aver reso alcuni di questi stati più sicuri (motivo per cui volevano aderire), ma dovrebbe essere ovvio perché la Russia potrebbe non vederla in questo modo e che potrebbe fare varie cose discutibili in risposta (come sequestrare Crimea o invadere l’Ucraina). I funzionari della NATO potrebbero considerare le paure della Russia come fantasiose o come “miti”, ma ciò non significa che siano completamente assurde o che i russi non ci credano sinceramente. Sorprendentemente, molti occidentali intelligenti e ben istruiti, inclusi alcuni eminenti ex diplomatici, non riescono a capire che le loro intenzioni benevole non sono chiaramente ovvie per gli altri.

Oppure si consideri la relazione profondamente sospetta e altamente conflittuale tra Iran, Stati Uniti e i più importanti clienti del Medio Oriente degli Stati Uniti. Presumibilmente, i funzionari statunitensi credono che imporre dure sanzioni all’Iran, minacciarlo con un cambio di regime, condurre attacchi informatici contro la sua infrastruttura nucleare e aiutare a organizzare coalizioni regionali contro di esso renderà gli Stati Uniti e i suoi partner locali più sicuri. Da parte sua, Israele pensa che l’assassinio di scienziati iraniani aumenti la sua sicurezza e l’Arabia Saudita pensa che intervenire in Yemen renda Riyadh più sicura.

Non sorprende che, secondo la teoria di base dell’IR, l’Iran veda queste varie azioni come minacciose e risponda a modo suo: sostenere Hezbollah, sostenere gli Houthi nello Yemen, condurre attacchi agli impianti petroliferi e alle spedizioni e, cosa più importante di tutte, sviluppare il latente capacità di costruire il proprio deterrente nucleare. Ma queste risposte prevedibili rafforzano solo le paure dei suoi vicini e li fanno sentire di nuovo meno sicuri, stringendo ulteriormente la spirale e aumentando il rischio di una guerra.

La stessa dinamica sta operando in Asia. Non sorprende che la Cina consideri la lunga posizione di influenza regionale dell’America, e in particolare la sua rete di basi militari e la sua presenza navale e aerea, come una potenziale minaccia. Man mano che è diventata più ricca, Pechino ha comprensibilmente utilizzato parte di quella ricchezza per costruire forze militari in grado di sfidare la posizione degli Stati Uniti. (Ironia della sorte, l’amministrazione George W. Bush una volta ha cercato di dire alla Cina che perseguire una maggiore forza militare era un “percorso obsoleto” che avrebbe “ostacolato la propria ricerca della grandezza nazionale”, anche se le spese militari di Washington sono aumentate vertiginosamente.)

Negli ultimi anni, la Cina ha cercato di modificare lo status quo esistente in diverse aree. Come non dovrebbe sorprendere nessuno, queste azioni hanno reso meno sicuri alcuni dei vicini della Cina, e hanno risposto avvicinandosi politicamente, rinnovando i legami con gli Stati Uniti e costruendo le proprie forze militari, portando Pechino ad accusare Washington di un pozzo -sforzo orchestrato per “contenerlo” e per cercare di mantenere la Cina permanentemente vulnerabile.

In tutti questi casi, gli sforzi di ciascuna parte per affrontare quello che considera un potenziale problema di sicurezza ha semplicemente rafforzato i timori di sicurezza dell’altra parte, innescando così una risposta che ha rafforzato le preoccupazioni originarie della prima. Ciascuna parte vede ciò che sta facendo come una reazione puramente difensiva al comportamento dell’altra parte e identificare “chi ha iniziato” diventa presto effettivamente impossibile.

L’intuizione chiave è che il comportamento aggressivo, come l’uso della forza, non deriva necessariamente da motivazioni malvagie o aggressive (cioè, il puro desiderio di ricchezza, gloria o potere fine a se stesso). Tuttavia, quando i leader credono che le loro motivazioni siano puramente difensive e che questo fatto dovrebbe essere ovvio per gli altri (come suggerisce il video della NATO descritto sopra), tenderanno a vedere la reazione ostile di un avversario come prova di avidità, belligeranza innata o un malvagio estraneo. ambizioni maliziose e inappagabili del leader. L’empatia esce dalla finestra e la diplomazia diventa presto una competizione per insulti.

A dire il vero, alcuni leader mondiali hanno compreso questo problema e hanno perseguito politiche che hanno cercato di mitigare gli effetti perniciosi del dilemma della sicurezza. Dopo la crisi dei missili cubani, ad esempio, il presidente degli Stati Uniti John F. Kennedy e il premier sovietico Nikita Khrushchev hanno compiuto uno sforzo serio e di successo per ridurre il rischio di futuri scontri installando la famosa hotline e iniziando un serio sforzo per il controllo degli armamenti nucleari.

L’amministrazione Obama ha fatto qualcosa di simile quando ha negoziato l’accordo nucleare con l’Iran, che ha visto come un primo passo che ha bloccato il percorso dell’Iran verso la bomba e ha aperto la possibilità di migliorare le relazioni nel tempo. La prima parte dell’accordo ha funzionato e la successiva decisione dell’amministrazione Trump di abbandonarlo è stato un enorme errore che ha lasciato tutte le parti in condizioni peggiori. Come ha osservato l’ex capo del Mossad Tamir Pardo , i vasti sforzi di Israele per convincere l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump a ritirarsi dall’accordo sono stati “uno degli errori strategici più gravi dall’istituzione dello stato”.

Come ha recentemente sottolineato lo scrittore Robert Wright , la decisione dell’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama di non inviare armi all’Ucraina dopo il sequestro russo della Crimea nel 2014 ha mostrato un simile apprezzamento della logica del dilemma della sicurezza. Nel racconto di Wright, Obama ha capito che l’invio di armi offensive all’Ucraina potrebbe esacerbare i timori russi e incoraggiare gli ucraini a pensare di poter invertire le precedenti conquiste della Russia, provocando così una guerra ancora più ampia.

Tragicamente, questo è più o meno quello che è successo dopo che le amministrazioni Trump e Biden hanno accelerato il flusso di armi occidentali a Kiev: il timore che l’Ucraina stesse scivolando rapidamente nell’orbita occidentale ha accresciuto le paure russe e ha portato Putin a lanciare un illegale, costoso, e ora guerra preventiva di lunga durata. Anche se aveva senso aiutare l’Ucraina a migliorare la sua capacità di difendersi, farlo senza fare molto per rassicurare Mosca rendeva più probabile la guerra.

Quindi, la logica del dilemma della sicurezza prescrive invece politiche di sistemazione? Ahimè, no. Come suggerisce il nome, il dilemma della sicurezza è davvero un dilemma, nella misura in cui gli stati non possono garantire la propria sicurezza disarmando unilateralmente o facendo ripetute concessioni a un avversario. Anche se l’insicurezza reciproca è al centro della maggior parte dei rapporti contraddittori, le concessioni che hanno ribaltato l’equilibrio a favore di una parte potrebbero indurla ad agire in modo aggressivo, nella speranza di ottenere un vantaggio insormontabile e di assicurarsi in perpetuo. Purtroppo, non ci sono soluzioni rapide, facili o affidabili al 100% per le vulnerabilità inerenti all’anarchia.

Invece, i governi devono cercare di gestire questi problemi attraverso l’arte di governo, l’empatia e le politiche militari intelligenti. Come spiegò Jervis nel suo articolo fondamentale sulla politica mondiale del 1978 , in alcune circostanze il dilemma può essere alleviato sviluppando posizioni militari difensive, specialmente nel regno nucleare. Da questo punto di vista, le forze di ritorsione del secondo colpo si stanno stabilizzando perché proteggono lo stato tramite la deterrenza ma non minacciano la capacità deterrente del secondo colpo dell’altra parte.

Ad esempio, i sottomarini con missili balistici si stanno stabilizzando perché forniscono forze di secondo attacco più affidabili ma non si minacciano a vicenda. Al contrario, le armi di contrasto, le capacità strategiche di guerra anti-sottomarino e/o le difese missilistiche sono destabilizzanti perché minacciano la capacità deterrente dell’altra parte e quindi esacerbano i suoi timori per la sicurezza. (Come hanno notato i critici, la distinzione tra offesa e difesa è molto più difficile da tracciare quando si ha a che fare con le forze convenzionali.)

L’esistenza del dilemma della sicurezza suggerisce anche che gli stati dovrebbero cercare aree in cui possono creare fiducia senza lasciarsi vulnerabili. Un approccio consiste nel creare istituzioni per monitorare il comportamento dell’altro e rivelare quando un avversario tradisce un accordo precedente. Suggerisce inoltre che gli stati interessati alla stabilità sono generalmente saggi nel rispettare lo status quo e aderire agli accordi precedenti. Violazioni evidenti erodono la fiducia e la fiducia una volta persa è difficile da riguadagnare.

Infine, la logica del dilemma della sicurezza (e gran parte della letteratura correlata sull’errata percezione) suggerisce che gli stati dovrebbero fare gli straordinari per spiegare, spiegare e spiegare ancora una volta le loro reali preoccupazioni e perché si stanno comportando come stanno. La maggior parte delle persone (e dei governi) tende a pensare che le proprie azioni siano più facili da capire per gli altri di quanto non lo siano in realtà, e non sono molto brave a spiegare la propria condotta in un linguaggio che l’altra parte probabilmente apprezzerà, capirà e crederà Questo problema è particolarmente prevalente al momento attuale nelle relazioni tra Russia e Occidente, dove entrambe le parti sembrano parlarsi l’una contro l’altra e sono state sorprese ripetutamente da ciò che l’altra parte ha fatto.

Dare ragioni fasulle per ciò che si sta facendo è particolarmente dannoso, perché gli altri concluderanno sensatamente che le proprie parole non possono essere prese sul serio. Una buona regola pratica è che gli avversari presuppongono il peggio di ciò che stai facendo (e perché lo stai facendo) e che quindi devi fare di tutto per convincerli che i loro sospetti sono sbagliati. Se non altro, questo approccio incoraggia i governi a entrare in empatia , cioè a pensare a come appare il problema dal punto di vista dell’avversario, il che è sempre auspicabile anche quando il punto di vista dell’avversario è fuori base.

Sfortunatamente, nessuna di queste misure può eliminare completamente le incertezze che tormentano la politica globale o rendere irrilevante il dilemma della sicurezza. Sarebbe un mondo più sicuro e pacifico se più leader valutassero se una politica che ritenevano benigna stesse involontariamente innervosendo gli altri, quindi valutassero se l’azione in questione potesse essere modificata in modi che alleviassero (alcuni di) quei timori. Questo approccio non funziona sempre, ma dovrebbe essere provato più spesso di quanto non sia.

https://foreignpolicy.com/2022/07/26/misperception-security-dilemma-ir-theory-russia-ukraine/?mc_cid=31f423cb10&mc_eid=f4f4f0ee08&fbclid=IwAR2lryrkNZzqaXxTGCmx7QGUUo0ES3jVvFd8JXFJ2NXkVykVlCVuFGCR6gk

LE TRASFORMAZIONI PERICOLOSE DELLA NATO, a cura di Luigi Longo

LE TRASFORMAZIONI PERICOLOSE DELLA NATO

a cura di Luigi Longo

 

Nel mio ultimo scritto su La NATO (pubblicato su questo sito il 7 Luglio m.s.) ho evidenziato le sue tendenze di trasformazione che riguardano, oltre la sfera militare, anche quella economica, del territorio, del sociale, della ricerca, della penetrazione e dell’ampliamento dell’area di influenza ad Est e nel Medio Oriente. Inoltre ho sottolineato che con il decollo della fase multicentrica la NATO diventa lo strumento degli USA contro le potenze emergenti (la guerra economica alle vie dell’Energia russa e alle vie della Seta cinese, la militarizzazione dell’Est, del Medio Oriente e dell’Asia centrale per l’accerchiamento della Russia e la militarizzazione dell’Oceano Indiano e dell’area Asia-Pacifico per l’accerchiamento della Cina). La NATO, in sintesi, è ricalibrata come strumento del conflitto contro il nascente polo asiatico. Il suo modello viene riproposto sia nell’Est (spingendosi fino ai confini della Federazione Russa), sia nel Mediterraneo (il Dialogo mediterraneo, DM), sia nel Medio Oriente (con gli accordi di Abramo), sia nel Pacifico (patto Aukus, l’alleanza Quad), sia in Africa (DM, Operazione “Active Endeavor”, Standing Maritime Group One), sia in America latina, sia nel circolo polare Artico dove gli USA, oltre la questione delle risorse naturali, temono, soprattutto, le nuove vie dell’Artico verso l’Atlantico che possono far saltare le loro strategie (prioritariamente militari e logistiche) sia nel Mediterraneo (strozzatura del canale di Suez) sia nel Pacifico (le strozzature nel Mar cinese meridionale, nei vari Stretti: Luzon, Mindoro, eccetera, controllate dalle basi statunitensi aeree, navali e dell’esercito). Le nuove vie dell’Artico possono modificare gli attuali equilibri geopolitici tra le potenze e possono rafforzare sempre più il coordinamentoalleanza tra Cina e Russia.

Per quanto detto propongo la lettura di due scritti che riguardano:1. lo sviluppo delle tecnologie cosiddette EDT (Emerging & Disruptive Technologies: big data, intelligenza artificiale, autonomia, tecnologie quantistiche, tecnologie spaziali, biotecnologie e human enhancement, tecnologie ipersoniche), con i relativi strumenti finanziari (Innovation fund, si tratta infatti in assoluto del primo fondo di capitale di rischio multi-sovrano al mondo), finalizzate agli obiettivi strategici della NATO << […] per la prima volta nella storia contemporanea si realizza una sorta di quadratura del cerchio: entità politiche, istituzioni accademiche e di ricerca, imprese business – si trovano finalmente insieme, pronte, con la coscienza in pace, a sviluppare tecnologie destinate alla creazione delle armi più efficaci per combattere le prossime guerre >> (Gaetano Colonna, Il futuro della Nato: scienza, business e alta finanza, apparso su www.clarissa.it/wp/, 22/7/2022); 2. il conflitto statunitense contro la Cina attraverso << l’approntamento di una “task force multi-dominio” nella regione asiatica, che integrerà capacità missilistiche, elettroniche e informatiche come deterrente contro possibili aggressioni della Cina contro Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale […] lo scorso maggio il capo della Casa Bianca ha chiarito, ancora una volta, che Washington interverrebbe in caso di attacco militare cinese, a differenza di quanto avvenuto in Ucraina. Negli ultimi mesi, inoltre, gli Usa hanno potenziato la loro rete di alleanze nell’area: attraverso il patto Aukus con Regno Unito e Australia, e attraverso il gruppo Quad con Giappone, India e Australia. Gli accordi non implicano l’obbligo di un intervento militare al fianco degli alleati, ma un conflitto nel Pacifico coinvolgerebbe inevitabilmente i principali attori dell’area >>. (https://www.agenzianova.com/news/indo-pacifico-il-comandante-flynn-gli-usa-schiereranno-una-forza-missilistica-e-informatica/ , 28/7/2022).

Preciso che le carte riprodotte (da aggiornare) indicano una rappresentazione dinamica di lungo periodo del conflitto tra le potenze mondiali nella fase multicentrica. Qui interessa segnalare la lettura critica delle carte (senza entrare nel merito della loro costruzione, della loro rappresentazione, della loro visione, della loro ideologia, eccetera) che dovrebbe mettere in evidenza sia il conflitto inteso da parte cinese e russa come azione strategica di breve-medio-lungo periodo per stabilizzare un mondo multicentrico, un dialogo alla pari tra culture e storie differenti, che elimini la guerra come soluzione di ultima istanza (la fase policentrica), sia il conflitto inteso dagli statunitensi come azione strategica di breve-medio-lungo periodo per stabilire l’unica potenza egemone a livello mondiale, con  l’arroganza, cioè, di decidere una visione del mondo a propria immagine e somiglianza che impone la guerra come soluzione finale dello scontro.

Fonte: Limes, 2018

Fonte: Limes, 2018

Fonte: Limes, 2019

 

IL FUTURO DELLA NATO: SCIENZA, BUSINESS E ALTA FINANZA.

di Gaetano Colonna

 

A partire dal giugno 2020, con l’approvazione della “Nato 2030 Initiative” e la pubblicazione del documento ufficiale “Nato 2030: United for a New Era”, l’organizzazione politico-militare atlantica ha dedicato una specifica attenzione alle c.d. EDT (Emerging & Disruptive Technologies): big data, intelligenza artificiale, autonomia, tecnologie quantistiche, tecnologie spaziali, biotecnologie e human enhancement, tecnologie ipersoniche.

Facendo seguito a questa iniziativa, nel luglio del 2020, il segretario generale della Nato, Jan Stoltenberg, ha deciso di istituire un Advisory Group on Emerging and Disruptive Technologies: esso è composto da 12 esperti altamente selezionati, provenienti dal settore privato (vi figurano ad esempio IBM, Microsoft e Digitaleurope, associazione che raccoglie 36mila aziende informatiche europee), da quello universitario (da università francesi, statunitensi, britanniche, spagnole, polacche, dal CNR italiano) e dalle grandi agenzie governative di intelligence, cibersecurity e dello spazio (NSA, ESA, ENISA).

Il compito di questo gruppo di tecnici consiglieri è di supportare il Nato Innovation Board, ufficio dedicato allo sviluppo tecnologico dell’Alleanza, nell’utilizzo di queste nuove tecnologie in funzione degli obiettivi strategici della Nato.

L’Advisory Group ha infatti redatto il suo primo rapporto annuale, nel quale vengono presentate quattro raccomandazioni, considerate come prioritarie per il futuro dell’Alleanza Atlantica: migliorare le conoscenze tecnologiche di base; istituire una rete transatlantica di Centri di Innovazione; individuare e favorire nuovi meccanismi di finanziamento per l’innovazione rivolgendosi al settore privato; creare partenariati con il settore industriale ed accademico.

A seguito di questo percorso, particolarmente rilevante, a dimostrazione della volontà di creare uno strumento che integra risorse militari, scientifiche e aziendali, è stata la decisione di dare vita al Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (DIANA): per “acceleratore” si intende oggi una concentrazione di risorse tecniche, scientifiche e finanziarie in grado appunto di velocizzare un progresso non solo di conoscenze teoriche ma sopratutto di capacità applicative.

 

Il modello Arpa

 

Il Diana ha come evidente modello la famosa agenzia statunitense DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), nata come ARPA nel 1958, su iniziativa dell’allora presidente Usa Dwight Eisenhower, in risposta ai conseguimenti ottenuti dai sovietici in ambito spaziale, con il lancio il 4 ottobre 1957 del primo satellite Sputnik. ARPA, che appunto collegava ricerca scientifica, strumenti militari e business privato, il tutto finanziato con soldi pubblici, riuscì in soli 18 mesi a dare agli Usa il suo primo satellite, destinato all’uso militare.

L’uomo chiave di questi sviluppi fu lo scienziato americano J.C.R. Licklider, autore del fondamentale studio Man Computer Symbiosis, che ipotizzava la creazione di thinking centers (“centri di pensiero”), connessi in rete, che dovevano realizzare l’integrazione uomo-macchina, necessaria a suo avviso per lo sviluppo della scienza contemporanea: un’idea che è ancora centrale nella “vision” strategica di Google, per citare un solo e loquente esempio.

Licklider guiderà Arpa nella creazione di ARPANET, connessione in time share tra computer, rivolta a completare la rete SAGE di difesa aerea americana, grazie all’impiego del computer IBM AN/FSQ-7 (il più grande computer della storia: 250 t., 2000 mq. di superficie), rimasto attivo fino al 1984.

Su queste basi, nel 1969, Arpanet, collegando quattro computer Imp (Interface Message Processor), due della California University (Los Angeles e Santa Barbara), uno dello Stanford Research Institute, l’altro della Utah University, darà vita al primo internet della storia. Nel 1972, infine ARPA cambierà nome nell’attuale DARPA.

 

La rete Diana

 

DIANA quindi intende costituire una rete civile-militare di istituti di ricerca, rivolta alla crescita delle startup e alla creazione di un fitto tessuto connettivo tecnologico dell’Alleanza. La sua attuale configurazione, infatti, comprende in Europa i seguenti 9 centri acceleratori:

  • I-Hub, Imperial College, di Londra, specializzato nell’intelligenza artificiale, informatica, tecnologia quantistica e biotecnologie: è anche il centro di coordinamento per l’Europa.
  • Niels Bohr Institute, BioInnovation Institute BII, di Copenhagen, specializzato in tecnologia quantistica e biotecnologie.
  • WSL, Vallonia e Bruxelles, specializzato in intelligenza artificiale, biotecnologie, tecnologie verdi, micro e nanotecnologie, trattamento dati, aero spazio, informatica, automazione.
  • Madan Parque/Startup, Lisbona, specializzato in biotecnologie, ICT (Information and Communications Technology), materiali avanzati, energie rinnovabili.
  • In Estonia, il parco tecnico e commerciale Tallinn Science Park Tehnopol, lo Startup Wise Guys e il Tartu Science Park, specializzati in intelligenza artificiale, informatica, spazio, tecnologie verdi.
  • CzechInvest di Praga, specializzato in intelligenza artificiale, spazio, tecnologie verdi, collegato al CERN (Organizzazione europea per la ricerca nucleare).
  • Odtü Teknokent di Ankara, che si occupa di informatica, biotecnologie, aviazione, energia, elettronica avanzata.
  • In Grecia abbiamo l’istituto di ricerca Demokritos di Atene, e l’istituto Forth di Heraklion (Creta) che si occupano di intelligenza artificiale, gestione dati, nanotecnologie e biotecnologie, intelligenza artificiale, gestione dati, nanotecnologia, biotechnologie, radio.

 

Il ruolo dell’Italia

 

Non poteva ovviamente mancare l’Italia, coinvolta in DIANA, per il momento, attraverso il centro Officine Grandi Riparazioni ed il Plug and Play Tech Center, entrambi localizzati Torino, entrambi specializzati nella ricerca aerospaziale.

Il 20 gennaio 2022 a Torino, David van Weel, assistant secretary general for Emerging Security Challenges della Nato, ha incontrato il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, il vicesindaco, Michela Favaro, l’assessore alle Attività produttive della Regione, Andrea Tronzano, il gen. CdA Luciano Portolano, segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli Armamenti.

Questi rappresentanti italiani hanno avanzato la candidatura della futura Città dell’Aerospazio di Torino: in attesa del suo completamento, si è però ripiegato sulle Officine Grandi Riparazioni (OGR), un ex complesso industriale trasformato nel 2017 in spazio espositivo e culturale – la cui candidatura è stata accettata dalla Nato.

Sono stati anche offerti dall’Italia, ma al momento non sembrano inseriti in DIANA, il costituendo acceleratore Aerospace & Advanced Hardware, il Centro di Supporto e Sperimentazione Navale (Cssn) della Marina Militare Italiana a La Spezia, il Centro Italiano di Ricerche Aerospaziali (Cira) a Capua, società partecipata dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi), del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e della Regione Campania.

Non meno significativo il ruolo di Plug and Play Tech Center: gestore e finanziatore, con 1,35 mln di euro, del programma Takeoff Accelerator, dedicato a start-up che vogliono sviluppare soluzioni e servizi nei settori dell’aerospazio e dell’hardware avanzato. Al finanziamento del programma concorrono Cdp Venture Capital, per 10 milioni di euro, e, per altrettanti, Fondazione Crt (tramite Sviluppo e Crescita) e Unicredit: per un totale quindi di oltre 21 milioni di euro. Prendono parte al programma anche l’Unione Industriali di Torino ed il Gruppo Leonardo, impegnato da tempo nel settore aerospaziale.

 

Presenti e assenti

 

Interessante che non siano fino ad oggi indicate le interfacce nordamericane, a parte il fatto che l’ufficio regionale di quell’area sarà basato in Canada, ma non si conoscono quali istituzioni canadesi e statunitensi prenderanno parte a DIANA.

Così come sono significative le assenze, almeno fino ad oggi, di Francia e Germania: anche se la prima ha manifestato una generale (o generica?) disponibilità a rendere accessibili i propri centri di ricerca scientifica.

È evidente che la chiara impostazione dualuse di questo grandioso progetto di integrazione scienza-business-militare lasci perplessi i due maggiori Paesi europei che ancora dispongono evidentemente di una certa consapevolezza dei non pochi rischi di una condivisione totale di know-how tecnico-scientifici che possono servire non solo allo sviluppo tecnologico di armamenti ma anche a quello della produzione industriale.

 

Finanza e innovazione

 

Uno degli aspetti sicuramente più significativi della novità di DIANA è che la rete che stiamo descrivendo attiverà uno specifico strumento finanziario. Gli Stati aderenti hanno infatti sottoscritto a Madrid una lettera d’intenti che li impegna a implementare un apposito Innovation fund, un fondo di un miliardo di euro che supporterà per i prossimi 15 anni startup e imprese deep tech che lavoreranno per sviluppare tecnologie innovative e dual-use, prioritarie per il potenziamento tecnologico dell’Alleanza Atlantica, il cui ovvio intento geopolitico è di conservare e incrementare il vantaggio tecnologico di cui gode a livello planetario. Il tutto ovviamente giustificato con la proclamata esigenza di tutelare la sicurezza degli alleati atlantici dinanzi alla minaccia rappresentata dalle “revisioniste” Russia e Cina.

L’Innovation fund ha una caratteristica sensazionale, che non dovrebbe sfuggire a chi segue con attenzione la storia del rapporto fra finanza e Stati moderni. Si tratta infatti in assoluto del primo fondo di capitale di rischio multi-sovrano al mondo, tenuto a battesimo con queste significative parole dal segretario della NATO Stoltenberg:

«Questo fondo è unico nel suo genere, con un orizzonte temporale di 15 anni, l’Innovation fund contribuirà a dare vita a quelle tecnologie nascenti che hanno il potere di trasformare la nostra sicurezza nei decenni a venire, rafforzando l’ecosistema dell’innovazione dell’Alleanza e sostenendo la sicurezza del nostro miliardo di cittadini».

La NATO quindi diventa il coordinatore sovra-nazionale anche di uno specifico indebitamento pubblico di una molteplicità di Stati cosiddetti sovrani. Non è dato sapere ancora al momento quali fra i non molti Master of the Universe gestiranno questo fondo di investimento speculativo NATO, nel quale per la prima volta nella storia contemporanea si realizza una sorta di quadratura del cerchio: entità politiche, istituzioni accademiche e di ricerca, imprese business – si trovano finalmente insieme, pronte, con la coscienza in pace, a sviluppare tecnologie destinate alla creazione delle armi più efficaci per combattere le prossime guerre (corsivo mio, LL).

Guerre che gli strateghi della NATO cominciano a ipotizzare se, contro il “nostro miliardo” di privilegiati figli del capitalismo occidentale, verranno a schierarsi i meno privilegiati 6 miliardi di esseri umani.

In questo terribile senso, resta tuttavia aperta la domanda inquietante, cui la NATO dovrebbe pur dare una risposta al “suo” miliardo: come mai gli eserciti occidentali, tanto tecnologicamente avanzati, hanno poi perso con disonore le guerre coi “poveri”, in Vietnam, Algeria e, da ultimo, Afghanistan?

 

 

 

INDO-PACIFICO, IL COMANDANTE FLYNN: “GLI USA SCHIERERANNO UNA FORZA MISSILISTICA E INFORMATICA”

La task force integrerà capacità missilistiche, elettroniche e informatiche come deterrente contro possibili aggressioni della Cina contro Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale

a cura della Redazione

 

L’Esercito degli Stati Uniti sta studiando lo schieramento di una “task force multi-dominio” nella regione asiatica, che integrerà capacità missilistiche, elettroniche e informatiche come deterrente contro possibili aggressioni della Cina contro Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale. Lo ha dichiarato al quotidiano “Nikkei” il comandante dell’Esercito Usa per il Pacifico, Charles Flynn. Le forze armate Usa hanno già istituito due task force multi-dominio di stanza presso basi nello Stato Usa di Washington e in Germania, forti ciascuna di diverse migliaia di uomini. Le task force sono suddivise in quattro gruppi, con capacità di combattimento, difesa aerea, logistica e guerra informatica. Secondo Flynn, tale struttura evidenzia la progressiva transizione delle forze armate Usa dal contrasto al terrorismo nel Medio Oriente al confronto con potenze di livello quasi-pari, prima tra tutte la Cina. Tra le altre cose, la task force è concepita per raccogliere informazioni nei periodi di pace, approntando strategie e dottrine operative sulla base degli schemi e delle debolezze riscontrate nei complessi militari avversari. In caso di conflitto – ha spiegato Flynn – le capacità di guerra elettronica e informatica punterebbero anzitutto a interrompere le reti di comunicazione nemiche e i loro sistemi di comando e controllo, oltre a colpire obiettivi di alto valore con l’impiego delle informazioni di intelligence ottenute in precedenza.

Secondo Flynn, la terza task force multi-dominio dell’Esercito Usa verrà istituita dopo il 2023, e sarà inizialmente dispiegata alle Hawaii, ma verrà successivamente trasferita presso altre località asiatiche per essere più prossima alla Cina. Secondo il quotidiano “Nikkei”, la prossimità alla Cina sarà necessaria a garantire l’efficacia di nuove tipologie di missili tattici attualmente in fase di sviluppo da parte dell’industria bellica Usa, che però non avranno portate superiori ad alcune migliaia di chilometri: le forze armate Usa puntano a dispiegare i nuovi missili presso batterie terrestri lungo la cosiddetta “catena delle prime isole”, che collega la prefettura giapponese meridionale di Okinawa, Taiwan e le Filippine. Il quotidiano “Nikkei” sottolinea che la Russia è ritenuta il primo Paese in assoluto ad aver applicato la dottrina delle operazioni multi-dominio in teatri bellici reali: lo avrebbe fatto in Ucraina sin dal 2014, integrando capacità di guerra elettronica per disabilitare sistemi GPS e paralizzare infrastrutture in preparazione di attacchi aerei e terrestri.

In vista dell’atteso colloquio tra i presidenti Joe Biden e Xi Jinping, il primo dallo scorso marzo, la tensione tra Stati Uniti e Cina intorno a Taiwan ha raggiunto livelli preoccupanti. Tanto da indurre un dirigente di alto livello dell’amministrazione Biden, l’assistente segretario alla Difesa per gli Affari di sicurezza dell’Indo-Pacifico Ely Ratner, a dichiarare martedì, in occasione di un evento organizzato a Washington dal think tank Center for strategic and international studies (Csis), che un “grave incidente” nell’area rischia di essere solo “questione di tempo”. In effetti, gli Stati Uniti appaiono sempre più preoccupati dalla prospettiva che la situazione possa precipitare, in particolare in una fase d’intense attività militari attorno all’isola. E al centro della preoccupazione di Biden e dei suoi collaboratori vi è senza dubbio la visita che la presidente della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi, dovrebbe intraprendere a Taiwan nel prossimo agosto. Per ora si tratta solo di un’indiscrezione di stampa, di cui è stato autore la scorsa settimana il quotidiano britannico “Financial Times”. Pelosi – che aveva già rinunciato a un viaggio a Taipei lo scorso aprile, ufficialmente per aver contratto il Covid-19 – non ha tuttavia mai negato la circostanza. E del resto la notizia della visita è stata confermata, forse inavvertitamente, dallo stesso Biden, che la settimana scorsa in conferenza stampa non ha usato giri di parole: “I militari pensano che non sia una buona idea al momento”.

I principali organi d’informazione statunitensi sono concordi nel riferire del pressing della Casa Bianca su Pelosi perché rinunci al viaggio. Tecnicamente, il presidente degli Stati Uniti non ha alcun potere sull’agenda della speaker della Camera dei rappresentanti. Biden e Pelosi sono però leader dello stesso partito, ed è forse su questo punto che Xi farà leva domani per indurre i dirigenti statunitensi a più miti consigli. Dalla Cina, del resto, sono già arrivate minacce piuttosto esplicite: il ministero degli Esteri di Pechino ha chiarito che una visita di Pelosi a Taipei sarebbe considerata “un cambiamento della politica ‘Una sola Cina’ da parte degli Stati Uniti”, sulla quale i rapporti tra le due potenze si basano sin dall’avvio delle relazioni diplomatiche, e che la Repubblica popolare assumerebbe “misure dure e ferme per salvaguardare la propria sovranità e integrità territoriale”. La stessa Casa Bianca si aspetta dalla Cina una pesante rappresaglia all’eventuale visita di Pelosi, poiché a ottobre Xi Jinping chiederà un nuovo mandato al Congresso del Partito comunista e non potrebbe mostrarsi debole di fronte a quello che a Pechino sarebbe considerato un palese “atto di sfida” degli Usa. Per rinsaldare il proprio potere, del resto, il leader cinese sarà in ogni caso costretto a giocare la carta del nazionalismo e dell’anti-americanismo, poiché sul fronte economico avrà ben pochi successi da vantare: secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi), la crescita del prodotto interno lordo cinese nel 2022 si fermerà al 3,3 per cento, ben al di sotto dell’obiettivo del 5,5 per cento fissato per quest’anno dai vertici del partito.

Alcuni analisti citati dal “New York Times” temono, addirittura, che la Cina potrebbe decidere di alzare in volo aerei militari per impedire l’eventuale atterraggio di Pelosi a Taipei. Un tale episodio, se si verificasse, aprirebbe scenari imprevedibili e porterebbe Cina e Stati Uniti sull’orlo di un confronto militare. Non è un caso, dunque, che in questi giorni si assista a fervide attività militari attorno all’isola. Il generale Mark Milley, capo di Stato maggiore congiunto delle forze Usa, ha dichiarato che i vertici militari faranno “quanto necessario per garantire” che l’eventuale visita di Pelosi si svolga in sicurezza. E, a questo proposito, il direttore dello Scowcroft Center per la strategia e la sicurezza dell’Atlantic Council, Barry Pavel, ha riferito di aver saputo da generali Usa che il Pentagono sta pensando di muovere portaerei e aerei militari prima dell’arrivo della speaker a Taipei. Attualmente nella regione si trova la Uss Ronald Reagan, approdata nel fine settimana a Singapore.

Lo stato di massima allerta è legato anche alla convinzione, che si fa sempre più largo nell’amministrazione Biden, secondo cui la Cina sarebbe pronta a un intervento militare a Taiwan entro un anno e mezzo. Di questo è convinto, per esempio, il senatore democratico del Delaware Chris Coons, che non fa parte dell’amministrazione ma che è considerato molto vicino al presidente Biden, al quale è legato da un’amicizia di lunga data. Domenica, in un’intervista, Coons ha ricordato che la Cina guarda con molta attenzione agli sviluppi in Ucraina per cercare di apprendere lezioni utili alla sua causa. “Una scuola di pensiero è che la Cina debba intervenire al più presto e in modo deciso, prima che ci sia il tempo di rafforzare le difese di Taiwan. Questo significa che si potrebbe arrivare a un confronto militare prima di quel che pensavamo”, ha spiegato Coons. Pechino, scrive il “New Tork Times”, sa che anche l’amministrazione Biden sta apprendendo una lezione dall’invasione russa dell’Ucraina: in questo caso, quella della necessità d’intensificare l’invio di armi verso Taiwan prima di un eventuale conflitto per scoraggiare l’intervento militare cinese.

Che l’atteggiamento di Pechino verso Taiwan sia cambiato nelle ultime settimane è reso evidente, in ogni caso, dal tenore delle azioni e delle dichiarazioni dei dirigenti del Partito comunista. Lo stesso generale Milley la scorsa settimana ha definito “notevolmente più aggressivo” il comportamento delle forze cinesi nella regione dell’Asia-Pacifico. Quest’estate i funzionari del governo cinese hanno ribadito con insistenza che le acque dello Stretto di Taiwan, più volte attraversate da navi militari Usa, non possono essere considerate acque internazionali. E le incursioni aeree e navali nei pressi dell’isola si sono rese sempre più frequenti. Oggi il ministero della Difesa di Taipei ha reso noto che diverse navi da guerra della Marina militare cinese sono state rilevate nelle acque al largo della costa orientale di Taiwan per due giorni consecutivi. Due cacciatorpediniere lanciamissili della Repubblica popolare sono stati rilevati nei pressi dell’Isola dell’Orchidea rispettivamente nella mattinata e nel pomeriggio del 25 luglio, seguiti dal transito di una nave per il monitoraggio del rumore subacqueo a 102 chilometri a nord-est di Green Island. Le navi della Repubblica popolare hanno solcato le acque al largo dell’isola anche il giorno successivo, quando una fregata missilistica Huanggang è stata rilevata a 76 chilometri a sud-est di Green Island, seguita a un’ora di distanza dalla nave di sorveglianza oceanografica Tianjixing, avvistata a 83 chilometri a nord-est della stessa isola. Nella stessa giornata, il comando dell’Aeronautica ha rilevato due cacciabombardieri JH-7 e un aereo da guerra sottomarina Y-8 nel margine sud-occidentale della Zona d’identificazione della difesa aerea (Adiz) di Taiwan.

L’ipotesi di un’invasione di Taiwan da parte della Cina porterebbe al serio rischio di un conflitto militare ampio, di dimensioni regionali se non mondiali. Gli Stati Uniti, con il presidente Biden, sembrano determinati a mettere da parte la storica “ambiguità strategica” e lo scorso maggio il capo della Casa Bianca ha chiarito, ancora una volta, che Washington interverrebbe in caso di attacco militare cinese, a differenza di quanto avvenuto in Ucraina. Negli ultimi mesi, inoltre, gli Usa hanno potenziato la loro rete di alleanze nell’area: attraverso il patto Aukus con Regno Unito e Australia, e attraverso il gruppo Quad con Giappone, India e Australia. Gli accordi non implicano l’obbligo di un intervento militare al fianco degli alleati, ma un conflitto nel Pacifico coinvolgerebbe inevitabilmente i principali attori dell’area.

 

La Cina avverte severamente l’amministrazione di Biden, di Global Times

Qui sotto un articolo di Global Times, periodico semiufficiale del Governo Cinese, dal quale si deducono tra le righe le modalità di reazione del governo cinese alla puntata di Nancy Pelosi a  Taiwan, ferma restando la eventualità che un incidente non faccia precipitare la reazione. La provocazione del viaggio di Pelosi va vista anche e soprattutto nell’ottica della deligittimazione e della probabile caduta, entro il prossimo anno, del Presidente Biden. Un evento che minaccerebbe pesantemente la posizione del nucleo oltranzista dell’amministrazione, formato da Nuland, Blinken e Sullivan e altri da una parte, da quello che rappresenta dall’altra Nancy Pelosi, legata a doppio filo con gli ambienti sorosiani. Una condizione di instabilità entro la quale l’azione di schegge impazzite dei vari centri di potere americani possono agire e forzare la mano sino a condizionare schizofrenicamente le decisioni e creare condizioni di conflittualità ingestibili. Centri decisori presenti nella terra madre, ma anche nelle periferie che contano, come la NATO in Europa. In questa ottica si possono spiegare le provocazioni in Kosovo e la tensione crescente in Bosnia. Ne parleremo, appena possibile, con Gianfranco Campa. In allegato il testo del protocollo sottoscritto da Carter e dal Governo Cinese nel 1979, con il quale gli Stati Uniti definiscono il massimo livello consentito di relazioni tra Stati Uniti e Taiwan, escludendo quindi quelli ufficiali tra governi e cariche pubbliche. 
Nell’immediato, in caso di successo dell’incursione, sarà prevedibile l’accoglienza trionfale di Pelosi, in stile “arrivano i nostri” e un ringalluzzimento della postura degli oltranzisti a scapito delle posizioni più mediatorie. Sarà un fuoco di paglia.
Buona lettura, Giuseppe Germinario
La Cina avverte severamente l’amministrazione di Biden di non organizzare la visita di Pelosi a Taiwan, il PLA “non starà a guardare”

Pubblicato: Ago 02, 2022 01:44 AM Aggiornato: Aug 02, 2022 01:23 AM

   

Una flotta navale composta dai cacciatorpediniere lanciamissili guidati Ningbo (Hull 139) e Taiyuan (Hull 131), così come la fregata missilistica guidata Nantong (Hull 601), naviga a vapore in formazione a poppa nelle acque del Mar Cinese Orientale durante un'esercitazione di addestramento marittimo a fine gennaio 2021.Foto:China Military

Una flotta navale composta dai cacciatorpediniere lanciamissili guidati Ningbo (Hull 139) e Taiyuan (Hull 131), così come la fregata lanciamissili guidati Nantong (Hull 601), vapori in formazione a poppa nelle acque del Mar Cinese Orientale durante un’esercitazione di addestramento marittimo. Foto:China Military

Il Ministero degli Esteri cinese e l’Esercito popolare di liberazione (PLA) stanno mantenendo alta la pressione sugli Stati Uniti sulla potenziale visita della presidente della Camera Nancy Pelosi sull’isola di Taiwan, esortando gli Stati Uniti a onorare la promessa del presidente degli Stati Uniti Joe Biden di non sostenere “l’indipendenza di Taiwan”, mentre i media degli Stati Uniti e di Taiwan hanno riferito che Pelosi dovrebbe visitare l’isola a breve.

Per celebrare il 95 ° anniversario della fondazione del PLA, il PLA Eastern Theater Command lunedì ha pubblicato un video sui social media, insieme al messaggio “Siamo pienamente preparati per qualsiasi eventualità. Combatti su ordine, seppellisci ogni intruso, muoviti verso un’operazione congiunta e di successo!” Il video è diventato uno degli argomenti più caldi su Sina Weibo, la piattaforma di social media cinese simile a Twitter. L’hashtag sull’argomento ha ricevuto almeno 42,5 milioni di visualizzazioni, con molti netizen che lo vedono come un chiaro avvertimento a Pelosi, che potrebbe fare un viaggio a sorpresa e provocatorio sull’isola cinese di Taiwan.

Citando “funzionari”, Next TV con sede a Taiwan lunedì ha detto che Pelosi dovrebbe rimanere a Taipei durante la notte all’hotel Grand Hyatt nel distretto di Xinyi, ma non è chiaro esattamente quando arriverà. La CNN ha anche rilasciato informazioni simili, dicendo che “Pelosi dovrebbe visitare Taiwan come parte del suo tour in Asia”, secondo un alto funzionario delle autorità di Taiwan e un funzionario statunitense.

Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha anche detto in una conferenza stampa di routine lunedì: “Se giochi con il fuoco, ti brucerai. Credo che gli Stati Uniti siano pienamente consapevoli del messaggio forte e chiaro consegnato dalla Cina”.

Se Pelosi visiterà l’isola di Taiwan, “il PLA non starà a guardare” e prenderà “contromisure risolute e forti” per proteggere la sovranità e l’integrità territoriale della Cina. Per quanto riguarda quali siano queste misure, Zhao ha detto “se osa andare, aspettiamo e vediamo”.

Quello che gli Stati Uniti dovrebbero fare ora è mantenere la promessa del presidente degli Stati Uniti Joe Biden di non sostenere il secessionismo “Indipendenza di Taiwan” e non organizzare che la presidente della Camera Pelosi visiti l’isola di Taiwan, ha sottolineato Zhao rispondendo alle domande relative al viaggio in Asia di Pelosi.

Gli analisti cinesi hanno detto che questo nuovo avvertimento è un chiaro segnale che se Pelosi andrà a Taiwan, la Cina lo vedrà come un’azione provocatoria consentita dall’amministrazione Biden piuttosto che una decisione personale presa da Pelosi, e sarebbe un grave incidente che significa che gli Stati Uniti hanno violato la loro promessa.

Lü Xiang, un esperto di studi statunitensi presso l’Accademia cinese delle scienze sociali, ha dichiarato lunedì al Global Times che qualsiasi accordo che serva la visita di Pelosi a Taiwan sarebbe una violazione dell’impegno della Casa Bianca a non sostenere “l’indipendenza di Taiwan”.

“Accordo” si riferisce a qualsiasi assistenza fornita dall’amministrazione (anche dall’esercito americano) per la visita, in particolare trasporti, sicurezza, comunicazioni, intelligence e così via, ha detto Lü. Se Pelosi va davvero a Taiwan, “la mia comprensione è che ha ricevuto il permesso di Biden, e l’esercito americano fornirà anche supporto a lei”, ha detto.

Ciò significa che la rappresaglia della Cina non prenderà di mira solo Pelosi, ma l’amministrazione Biden dovrà anche affrontare le gravi conseguenze di una battuta d’arresto globale delle relazioni Cina-Stati Uniti, hanno detto gli analisti.

La visione strategica della Cina è molto più grande del semplice gioco del falco e del pollo con Pelosi nella sua cosiddetta visita a sorpresa sull’isola, poiché la Cina userà questa mossa provocatoria degli Stati Uniti per cambiare irreversibilmente la situazione dello Stretto di Taiwan e accelerare il processo di riunificazione, che in realtà è molto più importante della visita di un politico statunitense, hanno detto gli esperti.

Se gli Stati Uniti credono che la mossa avventurista di Pelosi possa aprire una nuova porta per Washington sulla questione di Taiwan, sarebbe troppo ingenuo, hanno detto gli esperti, osservando che potrebbe solo porre fine alla strategia statunitense di coercizione su Taiwan. Nessuno dovrebbe sottovalutare la determinazione della Cina per la sua riunificazione e ringiovanimento, e la crisi Russia-Ucraina ha appena permesso al mondo di vedere le conseguenze di spingere una grande potenza in un angolo, hanno detto gli analisti. La Cina accelererà costantemente il suo processo di riunificazione e dichiarerà la fine del dominio degli Stati Uniti sull’ordine mondiale, hanno detto.

E la testardaggine e l’egoismo di Pelosi segnerebbero l’inizio della fine dell’egemonia statunitense, hanno osservato gli analisti.

La presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi parla durante una conferenza stampa a Capitol Hill a Washington, DC, stati Uniti, il 17 settembre 2020. (Foto di Ting Shen/Xinhua)

La presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi parla durante una conferenza stampa a Capitol Hill a Washington, DC, stati Uniti, il 17 settembre 2020. (Foto di Ting Shen/Xinhua)

Politico ha riferito che il Pentagono si sta preparando per il potenziale viaggio di Pelosi a Taiwan ed è probabile che offra un aereo militare. Pelosi ha detto venerdì che vuole che il Congresso “faccia parte della strategia dell’amministrazione Biden nell’Indo-Pacifico”, secondo i media.

Domenica, la RFI ha riferito che Pelosi volerà sull’isola di Taiwan attraverso la base aerea di Clark nelle Filippine il 4 agosto e incontrerà il leader regionale dell’isola Tsai Ing-wen.

I media con sede a Taiwan hanno riferito che gli aerei del PLA, dell’esercito americano e delle autorità di Taiwan sono entrati nell’autoproclamata zona di identificazione della difesa aerea sud-occidentale di Taiwan lunedì mattina. Ha detto che l’atmosfera insidiosa è stata causata dalla potenziale visita di Pelosi.

Wait in resolute array

Monday segna anche il primo giorno del tour asiatico di Pelosi, che va dall’1 al 5 agosto e include Singapore, Malesia, Corea del Sud e Giappone secondo il suo itinerario annunciato, ma un tour di Taiwan è ancora nell’aria. Un giorno prima del viaggio in Asia di Pelosi, il PLA cinese ha condotto un finto addestramento al combattimento aereo dopo la mezzanotte, con l’obiettivo di migliorare la capacità dei piloti di entrare rapidamente nello stato di combattimento per situazioni anomale in qualsiasi momento.

Questo è un chiaro segnale inviato dal PLA che la Cina è pienamente in grado di istituire una difesa per tutte le stagioni per intercettare qualsiasi aereo che cerchi di entrare nell’isola da qualsiasi direzione, hanno detto gli esperti. Gli analisti hanno suggerito che il PLA potrebbe inviare aerei da guerra per intercettare il suo aereo se dovesse tentare di atterrare a Taiwan.

Una grande cerimonia nazionale di alzabandiera si tiene in Piazza Tian'anmen a Pechino mentre la Cina segna il 95 ° anniversario della fondazione dell'Esercito popolare di liberazione, il 1 ° agosto 2022. Migliaia di persone sono venute ad assistere all'innalzamento della bandiera mentre il sole sorgeva. Foto: VCG

Una grande cerimonia nazionale di alzabandiera si tiene in Piazza Tian’anmen a Pechino mentre la Cina segna il 95 ° anniversario della fondazione dell’Esercito popolare di liberazione, il 1 ° agosto 2022. Migliaia di persone sono venute ad assistere all’innalzamento della bandiera mentre il sole sorgeva. Foto: VCG

Secondo le ultime informazioni di tracciamento delle navi, la USS Ronald Reagan, che probabilmente scorterà Pelosi, è entrata nel Mar delle Filippine. Gli analisti hanno detto che il suo percorso e il suo dispiegamento stanno probabilmente collaborando con il programma di Pelosi.

Che Pelosi visiti o meno, la Cina deve mantenere la capacità di scacciare regolarmente i nemici attraverso lo Stretto di Taiwan ed essere pronta ad affrontare i conflitti militari causati dall’intervento degli Stati Uniti e del Giappone, ha detto l’esperto militare cinese Song Zhongping al Global Times. Ha chiesto l’istituzione di una zona pericolosa per affrontare la situazione di ingresso nello spazio aereo di Taiwan.

Fu Qianshao, un esperto di aviazione militare cinese, ha dichiarato al Global Times che gli aerei militari cinesi sono in grado di pattugliare regolarmente l’isola di Taiwan. Inoltre, l’esercito, la marina e l’aviazione del PLA sono molto più capaci di intercettare e colpire di quanto non fossero durante la crisi dello Stretto di Taiwan del 1996.

“Se l’aereo di Pelosi entrasse nella nostra area di esercitazione, dovremmo prendere misure per espellere, intercettare, scortare e inviare un avviso radio … Se Pelosi riuscirà a farsi strada, i nostri aerei da guerra potrebbero sparare proiettili in diagonale davanti all’aereo di Pelosi come ulteriore avvertimento”, ha detto Fu.

Fu ha detto che nella “prima catena di isole”, il vantaggio militare della Cina è molto maggiore di quello dell’esercito americano, e se c’è un vero conflitto militare, la scorta militare degli Stati Uniti non sarà di grande utilità per proteggere Pelosi.

“Se Pelosi dovesse atterrare all’aeroporto Songshan di Taipei su un volo C-40 militare statunitense, ci si aspetterebbe che anche le scorte di accompagnamento atterrino con lei a Taipei? Qualsiasi atterraggio di aerei militari statunitensi sarebbe una grave violazione della linea rossa cinese e creerebbe una crisi più grande oltre a quella di Pelosi”, ha detto Herman Shuai, un tenente generale dell’esercito in pensione nell’isola di Taiwan.

Chiu Yi, un esperto di attraversamento dello Stretto con sede a Taiwan, ha dichiarato al Global Times che è molto probabile che Pelosi entri a Taiwan dal lato orientale dell’isola, evitando il lato occidentale dove il PLA è pesantemente schierato.

“Ma non è esilarante che il numero 3. figura politica nel paese n. 1 del mondo si nasconde come un topo ed è compiaciuta al riguardo? ” Ha detto Chiu.

Non importa come Pelosi arrivi a Taiwan, le contromisure preparate dal PLA saranno implementate, e né una permanenza più breve né una sospensione di profilo inferiore si tradurranno in una risposta di minore intensità, ha detto Lü.

La Cina continentale potrebbe dichiarare il controllo regolare dello spazio aereo su tutta o parte dell’isola se Pelosi facesse la visita, ha detto l’esperto: “Se gli Stati Uniti fanno un passo avanti sulla questione di Taiwan, la Cina ne sposterà due”.

In futuro, potrebbe condurre voli vicino all’isola e sottolineare la giurisdizione sullo spazio aereo e sulle acque territoriali della regione, ha detto Lü. La Cina non ha alcun interesse a farsi coinvolgere in un battibecco con una signora di 82 anni, né mira a un conflitto con l’esercito americano, ma se vengono coinvolti negli interessi fondamentali della Cina, combatteremo sicuramente in natura, ha detto Lü.

Ha detto che il viaggio di Pelosi in Asia non sarà accolto con favore dalla maggior parte dei paesi asiatici, poiché le perdite derivanti da qualsiasi possibile conflitto sarebbero enormi per la regione piuttosto che per gli Stati Uniti.

sempre il Global Times in un altro pezzo “In risposta alla visita di Pelosi all’isola di Taiwan, la Cina potrebbe inviare una grande quantità di aerei militari per sorvolare l’isola di Taiwan e navi da guerra nelle acque vicino all’isola. Tali azioni senza precedenti significherebbero dichiarare la sovranità del Paese sull’isola di Taiwan: analisti”
questo invece quanto scrive il NYT:

THOMAS L. FRIEDMAN

Perché la visita di Pelosi a Taiwan è assolutamente sconsiderata

Credito…Damon Winter/The New York Times

 

Editorialista di opinione

Iscriviti al briefing sulla guerra Russia-Ucraina.   Ogni sera ti invieremo un riepilogo delle più importanti novità della giornata. 

Ho molto rispetto per la Presidente della Camera Nancy Pelosi. Ma se andrà avanti con una visita a Taiwan questa settimana, contro la volontà del presidente Biden, farà qualcosa di assolutamente sconsiderato, pericoloso e irresponsabile.

Non ne verrà fuori niente di buono. Taiwan non sarà più sicura o prospera grazie a questa visita puramente simbolica e potrebbero succedere molte cose brutte. Questi includono una risposta militare cinese che potrebbe far precipitare gli Stati Uniti in conflitti indiretti con una Russia armata di armi nucleari e una Cina armata di armi nucleari allo stesso tempo.

E se pensi che i nostri alleati europei – che stanno affrontando una guerra esistenziale con la Russia per l’Ucraina – si uniranno a noi se ci sarà un conflitto degli Stati Uniti con la Cina per Taiwan, innescato da questa visita non necessaria, stai interpretando male il mondo.

Cominciamo dal conflitto indiretto con la Russia, e da come incombe ora la visita di Pelosi a Taiwan.

Ci sono momenti nelle relazioni internazionali in cui è necessario tenere d’occhio il premio. Oggi quel premio è chiarissimo: dobbiamo garantire che l’Ucraina sia in grado, come minimo, di smussare – e, al massimo, invertire – l’invasione non provocata di Vladimir Putin, che se avrà successo rappresenterà una minaccia diretta per la stabilità dell’intero Unione europea.

Per contribuire a creare la più grande possibilità per l’Ucraina di invertire l’invasione di Putin, Biden e il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan hanno tenuto una serie di incontri molto duri con la leadership cinese, implorando Pechino di non entrare nel conflitto in Ucraina fornendo assistenza militare alla Russia – e in particolare ora, quando l’arsenale di Putin è stato ridotto da cinque mesi di guerra stridente.

  • Grazie per aver letto The Times.

Iscriviti a The Times

Biden, secondo un alto funzionario statunitense, ha detto personalmente al presidente Xi Jinping che se la Cina entrasse in guerra in Ucraina al fianco della Russia, Pechino rischierebbe l’accesso ai suoi due mercati di esportazione più importanti: gli Stati Uniti e l’Unione Europea. (La Cina è uno dei migliori paesi al mondo nella produzione di droni, che sono esattamente ciò di cui le truppe di Putin hanno più bisogno in questo momento.)

Con tutte le indicazioni, mi dicono i funzionari statunitensi, la Cina ha risposto non fornendo aiuti militari a Putin, in un momento in cui gli Stati Uniti e la NATO hanno fornito all’Ucraina supporto dell’intelligence e un numero significativo di armi avanzate che hanno causato gravi danni alle forze armate di Russia, apparente alleato della Cina.

Detto questo, perché mai il presidente della Camera dovrebbe scegliere di visitare Taiwan e provocare deliberatamente la Cina ora, diventando il funzionario statunitense più anziano a visitare Taiwan dai tempi di Newt Gingrich nel 1997, quando la Cina era molto più debole economicamente e militarmente?

Il tempismo non potrebbe essere peggiore. Caro lettore: la guerra in Ucraina non è finita. E in privato, i funzionari statunitensi sono molto più preoccupati per la leadership ucraina di quanto non facciano intendere. C’è una profonda sfiducia tra la Casa Bianca e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, molto più di quanto riportato.

E ci sono affari divertenti in corso a Kiev. Il 17 luglio, Zelensky ha licenziato il procuratore generale del suo paese e il leader della sua agenzia di intelligence interna, la più significativa scossa nel suo governo dall’invasione russa di febbraio. Sarebbe l’equivalente di Biden che licenzia Merrick Garland e Bill Burns lo stesso giorno. Ma non ho ancora visto alcun rapporto che spieghi in modo convincente di cosa si trattasse. È come se non vogliamo guardare troppo da vicino sotto il cofano a Kiev per paura di quale corruzione o buffonate potremmo vedere, quando abbiamo investito così tanto lì. (Ulteriori informazioni sui pericoli di quell’altro giorno.)

Nel frattempo, alti funzionari statunitensi credono ancora che Putin sia abbastanza preparato a prendere in considerazione l’utilizzo di una piccola arma nucleare contro l’Ucraina se vede il suo esercito affrontare una sconfitta certa.

In breve, questa guerra in Ucraina non è COSÌ finita, COSÌ non stabile, COSÌ non senza pericolose sorprese che possono spuntare in un dato giorno. Ma in mezzo a tutto questo rischiamo un conflitto con la Cina per Taiwan, provocato da una visita arbitraria e frivola del presidente della Camera?

È Geopolitics 101 che non si corteggia una guerra su due fronti con le altre due superpotenze contemporaneamente.

Ora, passiamo al potenziale conflitto indiretto con la Cina e al modo in cui la visita di Pelosi potrebbe innescarlo.

Secondo i notiziari cinesi , Xi ha detto a Biden durante la telefonata della scorsa settimana, alludendo al coinvolgimento degli Stati Uniti negli affari di Taiwan, come una possibile visita di Pelosi, “chiunque giochi con il fuoco si brucerà”.

La squadra di sicurezza nazionale di Biden ha chiarito a Pelosi, da tempo sostenitrice dei diritti umani in Cina, perché non dovrebbe andare a Taiwan adesso. Ma il presidente non l’ha chiamata direttamente e le ha chiesto di non andare, apparentemente preoccupato che sarebbe sembrato gentile con la Cina, lasciando un’opportunità ai repubblicani per attaccarlo prima del midterm.

È una misura della nostra disfunzione politica il fatto che un presidente democratico non possa dissuadere un oratore della Camera democratica dall’impegnarsi in una manovra diplomatica che tutta la sua squadra di sicurezza nazionale – dal direttore della CIA al presidente dei capi congiunti – ha ritenuto imprudente.

A dire il vero, c’è un argomento secondo cui Biden dovrebbe semplicemente chiamare il bluff di Xi, riportare Pelosi fino in fondo e dire a Xi che se minaccia Taiwan in qualche modo, è la Cina che “si brucerà”.

Potrebbe funzionare. Potrebbe anche sentirsi bene per un giorno. Potrebbe anche iniziare la terza guerra mondiale.

A mio avviso, Taiwan avrebbe dovuto semplicemente chiedere a Pelosi di non venire in questo momento. Ammiro così tanto Taiwan, l’economia e la democrazia che ha costruito dalla fine della seconda guerra mondiale. Ho visitato Taiwan numerose volte negli ultimi 30 anni e ho assistito personalmente a quanto è cambiato a Taiwan in quel periodo, così tanto.

Ma c’è una cosa che non è cambiata per Taiwan: la sua geografia!

Taiwan è ancora una piccola isola, ora con 23 milioni di persone, a circa 100 miglia al largo della costa di una gigantesca Cina continentale, con 1,4 miliardi di persone, che rivendicano Taiwan come parte della madrepatria cinese. I luoghi che dimenticano la loro geografia finiscono nei guai.

Non confondere questo per pacifismo da parte mia. Credo che difendere la democrazia di Taiwan sia un interesse nazionale vitale degli Stati Uniti, in caso di un’invasione cinese non provocata.

Ma se abbiamo intenzione di entrare in conflitto con Pechino, lascia che sia almeno sui nostri tempi e sui nostri problemi. I nostri problemi sono il comportamento sempre più aggressivo della Cina su un’ampia gamma di fronti, dalle intrusioni informatiche al furto di proprietà intellettuale alle manovre militari nel Mar Cinese Meridionale.

Detto questo, questo non è il momento di prendere in giro la Cina, soprattutto considerando quanto sia un momento delicato per la politica cinese. Xi è alla vigilia di un’estensione indefinita del suo ruolo di leader cinese al 20° Congresso del Partito Comunista, previsto per il prossimo autunno. Il Partito Comunista Cinese ha sempre chiarito che la riunificazione di Taiwan e della Cina continentale è il suo ” compito storico ” e, da quando è salito al potere nel 2012, Xi ha costantemente e incautamente sottolineato il suo impegno in tale compito con manovre militari aggressive intorno a Taiwan.

Visitando, Pelosi darà effettivamente a Xi l’opportunità di distogliere l’attenzione dai suoi stessi fallimenti: una strategia stravagante per cercare di arginare la diffusione del Covid-19 utilizzando i blocchi delle principali città cinesi, un’enorme bolla immobiliare che sta ora sgonfiando e minacciando una crisi bancaria e un’immensa montagna di debito pubblico derivante dal sostegno sfrenato di Xi alle industrie statali.

Dubito seriamente che l’attuale leadership di Taiwan, nel profondo del suo cuore, voglia questa visita di Pelosi adesso. Chiunque abbia seguito il comportamento cauto della presidente taiwanese Tsai Ing-wen del Partito progressista democratico pro-indipendenza, sin dalla sua elezione nel 2016, deve rimanere colpito dai suoi sforzi coerenti per difendere l’indipendenza di Taiwan senza dare alla Cina una scusa facile per l’azione militare contro Taiwan.

Purtroppo, temo che il crescente consenso nella Cina di Xi sia che la questione di Taiwan può essere risolta solo militarmente, ma la Cina vuole farlo secondo i suoi tempi. Il nostro obiettivo dovrebbe essere dissuadere la Cina da un tale sforzo militare nel NOSTRO programma, che è per sempre.

Ma il modo migliore per farlo è armare Taiwan in quello che gli analisti militari chiamano un “istrice” – irto di così tanti missili che la Cina non vorrebbe mai metterci le mani sopra – mentre dice e fa il meno possibile per indurre la Cina a pensare che DEVE metterci le mani sopra adesso. Perseguire qualcosa di diverso da quell’approccio equilibrato sarebbe un terribile errore, con conseguenze vaste e imprevedibili.

Elezioni in Italia! Uno sterile strepitìo_con Augusto Sinagra

Con il degrado progressivo del regime le elezioni politiche stanno assumendo sempre più un carattere grottesco. Una conflittualità sterile tra centri politici tanto accesa quanto incapace di centrare e collocare nel posto giusto i temi e i problemi che dicono di voler affrontare. Per decenni le nostre classi dirigenti e il ceto politico hanno potuto eludere i problemi di fondo, salvo concedersi con qualche figura di spicco e in qualche contingenza favorevole qualche scorribanda trasgressiva. Oggi il tema della collocazione internazionale dell’Italia in condizioni di aperta conflittualità, la visione manichea e catastrofista della crisi ambientale e della conversione energetica, la gestione approssimativa e draconiana nel contempo dell’emergenza pandemica hanno accelerato vistosamente e violentemente il processo di trasformazione delle relazioni internazionali e delle formazioni sociali. La campagna elettorale non tratterà questi argomenti e non includerà le proposte specifiche in questo contesto. Il motivo è che nessuna forza politica intende mettere in discussione i fondamenti di questa postura e le poche voci contrarie raggiungono livelli di inadeguatezza pari solo al volontarismo sterile di cui sono vittima. Ci attendono un periodo di conflittualità verbosa e sterile cui seguirà l’ennesima riproposizione di ammucchiate emergenziali sempre più eterodirette. Una iattura che il paese sta pagando a caro prezzo. Il saldo definitivo del conto è ancora lungi dall’essere compiuto. Intanto, nell’interregno di questa fine anno disporremo di un governo dalle mani libere e dalla testa telecomandata ad agire nella tempesta balcanica incipiente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1edznj-lo-strepito-delle-elezioni-in-italia-con-augusto-sinagra.html

I principali paesi dell’America Latina hanno riaffermato la loro neutralità di principio, di Andrew Korybko

Il controllo ferreo statunitense sull’America Latina si sta certamente allentando e qualche importante anello della catena si è spezzato. Rimane, però, l’estrema fragilità ed approssimazione delle classi dirigenti e del ceto politico di quasi tutti quei paesi ad offrire ampi margini di recupero ad una leadership statunitense meno ottusa. Il contesto geopolitico multipolare è più favorevole; la qualità dei centri decisori locali molto meno; l’assenza progressiva dell’Europa in quell’area un fattore di semplificazione peggiorativo. Il tempo del colpo di stato “facile” è ormai passato. Occorrerebbero strumenti più sofisticati. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Per quanto diversi siano l’Argentina, il Brasile e il Messico, sono tutti uniti nella causa comune di praticare la neutralità di principio nei confronti del conflitto ucraino, che li rende i leader multipolari dell’America Latina.

Argentina, Brasile e Messico, che sono i principali paesi dell’America Latina, hanno appena riaffermato la loro neutralità di principio nei confronti del conflitto ucraino rifiutandosi di unirsi agli Stati Uniti nel condannare l’ operazione militare speciale russa in corso durante l’ultima Conferenza dei Ministri della Difesa delle Americhe. Questo sviluppo diplomatico non è solo simbolico ma anche politicamente sostanziale. Dimostra che l’egemonia degli Stati Uniti sta rapidamente declinando poiché non possono più imporre la propria volontà a quei grandi paesi.

L’America Latina ha sempre resistito ai tentativi aggressivi del suo vicino settentrionale di costringere la regione a inchinarsi alle sue richieste, ma con alterne fortune negli ultimi due secoli. Ora, tuttavia, i suoi principali paesi stanno ancora una volta manifestando la loro indipendenza politica poiché si sentono incoraggiati dal declino egemonico degli Stati Uniti, accelerato senza precedenti dall’inizio del conflitto ucraino. L’Argentina, il Brasile e il Messico avvertono la debolezza e ne stanno sfruttando appieno per fare un punto forte.

L’ottica di quei tre che si uniscono per resistere alle richieste degli Stati Uniti di condannare la Russia è estremamente imbarazzante per Washington. L’amministrazione Biden ha affermato che stare in “solidarietà” con i suoi delegati a Kiev è un obbligo di tutti i cosiddetti “paesi civili e democratici”, ma tre dei più importanti paesi dell’emisfero occidentale chiaramente non sono d’accordo con questa interpretazione del conflitto . Credono che rimanere neutrali sia l’opzione più morale e pragmatica disponibile.

Hanno anche ragione, dal momento che questo conflitto dall’altra parte del mondo non è affar loro. Inoltre, hanno tutti stretti rapporti anche con la Russia, quindi non c’è motivo per loro di peggiorare unilateralmente questi legami reciprocamente vantaggiosi semplicemente per placare gli Stati Uniti. Al contrario, i loro interessi nazionali oggettivi sono serviti continuando a coltivare legami con Mosca, che ne garantisce la sicurezza energetica e alimentare. Hanno anche un vantaggio mostrando alla regione che non hanno paura di opporsi agli Stati Uniti.

Qui sta il punto più sostanziale dal momento che l’America Latina sta ancora una volta insorgendo per opporsi all’egemonia del loro vicino settentrionale. La transizione sistemica globale alla multipolarità è irreversibile, e il momento storico è tale che il mondo intero ne sta sfruttando al massimo per ritagliarsi il proprio ruolo nell’ordine emergente. Argentina, Brasile e Messico non fanno eccezione e si sono resi conto che ora è il momento perfetto per rafforzare la loro leadership regionale.

Gli Stati Uniti non possono farci nulla, non importa quanto desiderino che ciò non accada, il che parla di quanto siano diventati deboli negli ultimi mesi. Presumibilmente ha cercato di influenzare le loro decisioni in anticipo, ma ha fallito in modo spettacolare, ecco perché tutto si è svolto come è successo. Mentre gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia in declino sull’Europa durante il conflitto ucraino, hanno perso la loro egemonia sull’America Latina nel processo.

I primi tre paesi nel suo proverbiale “cortile di casa” gli hanno inviato il messaggio che non saranno più respinti. Sono orgogliosi di opporsi all’egemone emisferico per fare un punto politico potente che ha anche lo scopo di ispirare le masse regionali a continuare a resistere agli Stati Uniti. Per quanto diversi siano l’Argentina, il Brasile e il Messico, sono tutti uniti nella causa comune di praticare la neutralità di principio nei confronti del conflitto ucraino, che li rende i leader multipolari dell’America Latina.

Il fianco della guerra, di: George Friedman

Pensieri dentro e intorno alla geopolitica.

L’arena della guerra russo-ucraina è ovviamente l’Ucraina. Ma come nella maggior parte delle guerre, l’arena principale non definisce la guerra nel suo insieme. Questa guerra non è iniziata con l’invasione russa dell’Ucraina. È in corso da anni come basso livello di pressione. Ha iniziato a intensificarsi nel 2020.

Come abbiamo affermato, l’obiettivo principale della Russia è creare barriere geografiche che proteggano il suo nucleo dagli attacchi, in particolare lungo le linee storiche di invasione. Non è sempre necessario raggiungere fini politici – e tutte le guerre hanno fini politici attraverso l’uso diretto della forza. I fini politici possono essere raggiunti anche economicamente, attraverso azioni segrete o minacce. C’è un principio di base della guerra: attaccare un nemico sui fianchi. La forza principale è solitamente concentrata al centro delle linee. La parte posteriore è difficile da raggiungere. Ma i fianchi del nemico sono probabilmente punti vulnerabili in cui un attacco, se riuscito, può spezzare la forza avversaria.

I fianchi non sono solo tatticamente significativi. Possono essere strategicamente critici, proteggendo la nazione stessa eliminando una linea di attacco; per l’attaccante creano una linea di attacco, costringendo alla dispersione delle forze in difesa e creando aperture. Per la Russia, il primo attacco di fianco si è verificato a seguito di elezioni contestate e proteste a metà del 2020 in Bielorussia, lungo il confine settentrionale dell’Ucraina, con il confine occidentale che bloccava la pianura nordeuropea. Significava quindi che qualsiasi attacco dalla Polonia, ad esempio, sarebbe stato bloccato dalla Russia con la forza in Bielorussia, deviando l’attacco attraverso l’Ucraina. Va sottolineato che uno stratega prudente schiera le forze non sulla base di un apprezzamento delle intenzioni del nemico al momento, ma piuttosto sulla base di possibili azioni. E per la Russia, un attacco da o dalla Polonia era considerato possibile, e chiudere quella linea di attacco imperativo. La soluzione è stata un intervento morbido per aiutare a sedare le proteste antigovernative. I russi hanno cementato il presidente Alexander Lukashenko e hanno ottenuto l’opportunità di attaccare il fianco settentrionale dell’Ucraina.

La seconda area in cui i russi hanno cercato di proteggere i loro fianchi era nel Caucaso meridionale. Il Caucaso meridionale era una linea di attacco utilizzata dalla Turchia nel corso dei secoli. La Russia ha bloccato l’area assicurandosi un accordo tra Armenia e Azerbaigian che ha portato le forze di pace russe dispiegate nella regione, proteggendola dalle minacce immediate.

Gli Stati Uniti stanno ora contrastando la difesa del fianco meridionale della Russia. La mossa russa si basava sulla fine del conflitto azerbaigiano-armeno e sul diventare l’arbitro tra di loro. Con la Russia preoccupata per l’Ucraina, questa settimana, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha visitato sia l’Armenia che l’Azerbaigian, offrendo di mediare i problemi esistenti tra di loro e ovviamente discutendo di energia in Azerbaigian. La Georgia è già ostile alla Russia e relativamente vicina agli Stati Uniti. Gli Stati Uniti stanno chiaramente cercando di creare un solido blocco filoamericano nel Caucaso meridionale e di costringere i russi a preoccuparsi per il Caucaso settentrionale e possibilmente dirottare le forze lì. Dal momento che questo era un percorso di invasione in una volta e poiché gli Stati Uniti hanno il potenziale per agire su di esso, la Russia non può ignorare il suo fianco meridionale.

Allo stesso tempo, la Russia sta cercando di costruire un fianco a sud-ovest dell’Ucraina in Moldova. La Moldova è un paese indipendente di lingua rumena. La sua politica è complessa e imprevedibile. La Russia ha cercato di creare una Moldova filo-russa per un po’ di tempo, ma in generale non è riuscita a spostare l’allineamento della Moldova. Ora i russi stanno pressando più forte, vedendo una possibile manovra di fianco in cui potrebbero minacciare l’Ucraina da sud, in un’area in cui la conquista significherebbe il taglio delle linee di rifornimento ucraine. Il trucco è eleggere un governo filo-russo, magari offrendo alla Moldova un pezzo di Ucraina che ridurrebbe la vulnerabilità e la dipendenza della Moldova dalla Romania come incentivo. Ciò creerebbe una minaccia per l’Ucraina difficile da tollerare. La Romania, alleata degli Stati Uniti, ha cercato di gestire la Moldova dalla caduta dell’Unione Sovietica in un ambiente in cui non c’era una guerra significativa in corso. Ora, la Russia ha un motivo fondamentale per cercare di prevalere e gli Stati Uniti hanno un motivo schiacciante per bloccarlo. Questa manovra di accompagnamento è sufficientemente significativa per un grande sforzo russo, mentre distoglie Ucraina e Stati Uniti da richieste di risorse più immediate, semplicemente per mantenere lo status quo.

La guerra in Ucraina iniziò con un tentativo della Russia di allearsi con la Cina e distogliere l’attenzione americana dall’Europa. Il tentativo di forzare gli Stati Uniti su un fianco asiatico è fallito. Una delle cose interessanti delle manovre di accompagnamento negli affari internazionali è che le intese su larga scala tendono a fallire perché la scala dei poteri è così ampia da essere piena di complessità. Affiancare è una manovra che richiede agilità. Una grande potenza può tentare di manovrare; una potenza minore può al massimo allearsi con una potenza maggiore, ma raramente può manovrarla nella posizione desiderata.

Ci sono, naturalmente, molti altri tentativi fatti per reclutare nazioni da entrambe le parti in guerra. Ma la manovra di fiancheggiamento è diversa. In primo luogo, si cerca una posizione geografica, in modo che i paesi in questa discussione siano tutti vicini o vicini al confine ucraino. Rappresentano una minaccia di un’azione militare che potrebbe influenzare la realtà militare all’interno dell’Ucraina. La stessa minaccia rappresentata dalla manovra di fiancheggiamento – la possibilità di un attacco – potrebbe costringere uno dei combattenti a ridistribuire le forze necessarie per il combattimento in una posizione statica, indebolendo la forza nel suo insieme. Le normali alleanze possono rafforzare materialmente una parte o l’altra, ma a meno che non siano contigue non possono minacciare direttamente l’altra parte. Fare in modo che l’Iran o la Nuova Zelanda dichiarino il loro sostegno potrebbe essere soddisfacente e forse significare l’acquisizione di alcune attrezzature, ma non cambierebbe nulla.

La guerra sembra essere statica in questo momento, anche se può cambiare in qualsiasi momento. E quando le guerre diventano statiche, cambiare la forma del campo di gioco diventa importante. In questo momento sia gli americani che i russi sono impegnati in manovre di fiancheggiamento che potrebbero cambiare la forma del campo di battaglia e mettere una parte in svantaggio. Più a lungo durerà la guerra, più la battaglia per i fianchi avrà importanza.

https://geopoliticalfutures.com/the-flank-of-war/?tpa=YWQwNDA3NDllMjcwMGNmZGU2ZGY1MzE2NjAyMzIxODU0MjIyNTY&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/the-flank-of-war/?tpa=YWQwNDA3NDllMjcwMGNmZGU2ZGY1MzE2NjAyMzIxODU0MjIyNTY&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

DALLA FANTASIA ALLA REALTÀ, DALL’ILLUSIONE ALLA DISILLUSIONE_ del generale Antoine Martinez

Un importante dossier in circolazione tra le fila delle forze armate francesi. L’ennesima conferma di come il dibattito sull’andamento e sulle implicazioni del conflitto in Ucraina sia molto più aperto oltre confine. Contribuisce a spiegare le frequenti oscillazioni che hanno segnato i comportamenti di alcuni leader europei a differenza del tetragono atteggiamento del nostro funzionario, attualmente ancora al governo sia pure in attesa di più confortevole rifugio. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

UCRAINA-RUSSIA-UCRAINA

DALLA FANTASIA ALLA REALTÀ, DALL’ILLUSIONE ALLA DISILLUSIONE

Generale(2s) Antoine Martinez

 

CONFLITTUALITÀ UCRAINA-RUSSIA:: DAL FANTASMA ALLA REALTÀ DALL’ILLUSIONE ALLA DISILLUSIONE

***

Di fronte alla guerra in Ucraina che avrebbe potuto e dovuto essere evitata, abbiamo ancora il diritto, in un mondo così libero, di cogliere questa situazione drammatica con una griglia di lettura non manichea o siamoci viene ordinato di sottometterci alla sola verità dispensata ufficialmente, pena l’invezione e l’insulto?

 

Perché sì, questo conflitto poteva essere evitato ammettendo oggettivamente, dopo la continua espansione della NATO dalla fine della guerra fredda verso i confini russi – un’ossessione diventata patologica per alcuni – che l’ammissione dell’Ucraina in questa organizzazione non è accettabile in quanto costituisce un casus Belli per la Russia.

 

Le questioni di sicurezza della Russia, tanto legittime quanto quelle degli Stati membri dell’UE, non possono essere ignorate e vogliono escluderla, pur essendo parte in causa, un’architettura sulla sicurezza europea che riguarda tutto il continente europeo non sembra né ragionevole né responsabile.

 

Una situazione di questo tipo crea tensioni inutili e pericolose.

 

Allora, fare oggi un calcolo sbagliato, dopo aver creato le condizioni per lo scoppio di questo conflitto, sottovalutando la determinazione della Russia sarebbe un errore colpevole dalle conseguenze drammatiche per l’Europa intera.

 

Quando Vladimir Putin afferma che la questione dell’Ucraina è diventata una questione esistenziale, bisogna crederlo. Quindi andrà fino in fondo.

 

La mancanza di cultura storica di molti dirigenti attuali e di moltissimi giornalisti, o addirittura la loro mancanza di discernimento o la loro ignoranza possono portare a derive mortali.

 

Cinque mesi dopo l’impegno delle truppe russe in territorio ucraino, è importante cercare di fare il punto della situazione e di condurre una riflessione su questa guerra che in realtà si rivela non essere solo una guerra militare tra due Stati.

 

Un certo numero di argomenti devono essere evocati, sviluppati e analizzati per mettere in evidenza le vere poste in gioco e i rischi di un confronto generalizzato che non è nell’interesse degli europei.

 

CONFLITTUALITÀ UCRAINA-RUSSIA:: DAL FANTASMA ALLA REALTÀ, DALL’ILLUSIONE ALLA DISILLUSIONE

 

  • PROMEMORIA DELL’OPPOSIZIONE AL BLOCCO OCCIDENTALE CONTRO IL BLOCCO ORIENTALE

 

  • LA REALTÀ SULLA SITUAZIONE MILITARE E LE CONSEGUENZE

 

  • IL REGNO ASSOLUTO DEI MEDIA

 

  • L’UOMO CHE HA SACRIFICATO L’UCRAINA

 

  • L’UCRAINA FIRMERÀ LA MORTE DELLA NATO

 

  • GLI STATI UNITI A TUTTI I PAESI

 

  • L’UNIONE EUROPEA FIRMA IL SUO SUICIDIO GEOPOLITICO E GEOSTRATEGICO

 

  • FRANCIA, UN APPUNTAMENTO MANCATO CON LA STORIA

 

  • UNA RAGIONE INDICIBILE DI QUESTA GUERRA

 

  • CONCLUSIONI

 

PROMEMORIA DELL’OPPOSIZIONE AL BLOCCO OCCIDENTALE CONTRO IL BLOCCO ORIENTALE

 

In un primo momento, è necessario ricordare il contesto. La Guerra Fredda, che contrapponeva dalla fine della seconda guerra mondiale il blocco dell’Occidente (NATO) a quello dell’Est (Patto di Varsavia), si è conclusa all’inizio degli anni novanta con la vittoria della prima conquista finalmente senza combattimento, che ha portato al crollo e alla scomparsa dell’Unione Sovietica. Le conseguenze di questo sconvolgimento furono immediate con la scomparsa delle forti tensioni che avevano segnato per decenni la regione Centro-Europa, portando allora molta speranza tra i popoli europei (soppressione della cortina di ferro, la distruzione del muro di Berlino essendo il simbolo più emblematico). Queste conseguenze geopolitiche si sono tradotte nella dissoluzione del Patto di Varsavia, con la riunificazione della Germania e l’uscita dei paesi dell’Europa dell’Est dal grembo sovietico per quello dell’Europa dell’Ovest con la volontà rapidamente espressa da questi ex satelliti dell’Unione Sovietica di entrare nella NATO prima ancora di prevedere la loro adesione all’Unione europea (UE). Sul piano geostrategico e politico-militare, bisogna riconoscere che gli sforzi dedicati alla difesa – che pure hanno permesso di vincere la Guerra Fredda – sono stati rapidamente dimenticati. Era tempo, infatti, secondo la parola rimasta famosa, «di raccogliere i dividendi della pace» (L. Fabius). Così, per più di trent’anni, i paesi europei hanno continuato a ridurre pericolosamente e irresponsabilmente i loro mezzi destinati alla difesa. La Francia, ad esempio, è passata dal 3,5% del PIL alla fine della guerra fredda all’1,2% alla fine del quinquennio di François Hollande! Quindi, quando si verifica una grave crisi, come quella che stiamo vivendo nel continente europeo, è impossibile per l’UE, collettivamente o per uno qualsiasi dei suoi membri, anche per la Francia, di avere la minima influenza o la minore capacità di dare un contributo sul piano diplomatico o di esercitare una pressione per permettere la de-escalation. La diplomazia è resa impotente nella misura in cui non dispone di un braccio armato adatto a pesare in una crisi maggiore. Il mantenimento della NATO – organizzazione originariamente difensiva ma divenuta rapidamente offensiva – dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia è all’origine di questa impotenza dei paesi europei che hanno ceduto la propria protezione agli Stati Uniti. La NATO si è così trasformata in un’organizzazione più politica che militare ed è così diventata uno strumento di controllo dei paesi europei e di difesa degli interessi degli Stati Uniti. Più di trent’anni dopo la fine della guerra fredda, questi ultimi sono contrari e si opporranno con tutti i mezzi a un riavvicinamento dei paesi europei con la Russia. Ecco perché l’autonomia strategica europea – per non parlare dell’industria di difesa europea o di un ipotetico esercito europeo – evocata da alcuni, e in particolare dalla Francia, non potrà mai esistere, la NATO costituisce un ostacolo insormontabile alla nostra sovranità e a quella degli europei.

 

Questo preambolo sul contesto è importante perché pone il problema della rinuncia e della debolezza dei paesi europei e quindi della loro impotenza sul piano diplomatico e militare. La prossima adesione della Svezia e della Finlandia alla NATO non fa altro che consacrare – oltre a mettere benzina sul fuoco – la vassallazione dell’Europa agli Stati Uniti. Tuttavia, il conflitto tra Russia e Ucraina potrebbe, paradossalmente, essere all’origine di una schiacciante sconfitta della NATO, ponendo il problema della propria sopravvivenza, quando l’Ucraina sarà costretta ad ammettere la propria sconfitta. Perché la Russia, spinta all’aggressione, è condannata a non perdere.

 

LA REALTÀ SULLA SITUAZIONE MILITARE E LE CONSEGUENZE

 

Ricordando e analizzando la situazione militare, occorre ricordare innanzitutto che l’operazione lanciata il 24 febbraio scorso dal presidente russo non è il punto di partenza di questo conflitto, ma è una conseguenza logica di una guerra preparata dagli Stati Uniti. Questi ultimi sono alla manovra in Ucraina da molti anni poiché sono all’origine del colpo di Stato del febbraio 2014 che ha portato al rovesciamento del presidente ucraino filo-russo Victor Yanukovich. Questa cosiddetta rivoluzione di Maidan ha provocato forti tensioni con la Russia e la stessa Ucraina e ha portato a una scissione tra l’ovest del paese che sostiene il nuovo potere rivolto verso l’UE e la sua parte orientale dove risiede la maggior parte delle popolazioni di lingua russa. È da allora che l’odio degli ucraini contro la popolazione filo-russa si è scatenato. Lo status della lingua russa come seconda lingua ufficiale è stato soppresso nel febbraio 2014. Questa decisione provoca una tempesta nella popolazione di lingua russa che provoca rapidamente una feroce repressione contro le regioni di lingua russa (Odessa, Dniepropetrovsk, Kharkov, Lugansk, Donetsk) e porta alla militarizzazione della situazione e ai massacri (Odessa, Marioupol, Donbass). Bisogna ascoltare la violenza delle parole pronunciate nel dicembre 2014 dal presidente ucraino Petro Porochenko, eletto il 7 giugno, qualche mese prima, contro gli abitanti dell’est del paese e il suo modo di trattarli per sottometterli: Avremo lavoro e loro no. Avremo le pensioni e loro non. Avremo vantaggi per i pensionati e i bambini, loro no. Nostri

I bambini andranno a scuola e all’asilo, i loro figli rimarranno nelle cantine… Ed è così, proprio così che vinceremo questa guerra! » Da allora, è una guerra all’ultimo sangue combattuta dal potere centrale di Kiev contro una parte del suo popolo, russofono, con truppe formate dalla NATO. Si tratta addirittura di una guerra civile, con circa 14.000 vittime in otto anni. Tutto questo in un silenzio mediatico assordante. Bisogna ascoltare i media occidentali e soprattutto francesi tacere!

in seguito, la decisione di Vladimir Putin di impegnare le sue truppe sul territorio ucraino, il 24 febbraio, ha stranamente provocato un tuono all’interno delle stesse forze armate francesi con la destituzione del generale comandante della Direzione dell’intelligence militare (DRM) a cui è stato rimproverato di «insufficienze nel lavoro del

informazione durante la crisi ucraina, mancanza di informazione e scarsa conoscenza dell’argomento». In realtà, sembra che una divergenza di analisi del DRM

 

– quindi dalla Francia – con i servizi di intelligence americani – quindi dagli Stati Uniti – sulle vere intenzioni di Vladimir Putin sia all’origine. Il capo di stato maggiore delle forze armate francesi (CEMA) aveva ammesso a Le Monde delle divergenze di analisi tra Parigi e Washington sulla questione di una possibile invasione dell’Ucraina. I nostri servizi pensavano che la conquista dell’Ucraina avrebbe avuto un costo mostruoso e che i russi avessero altre opzioni per rovesciare il presidente Volodymyr Zelensky. Gli americani dicevano che i russi avrebbero attaccato, avevano ragione». Una tale dichiarazione («avevano ragione»), a posteriori bisogna sottolinearlo, cioè dopo l’attacco russo, permette di «giustificare» questo limogeage e, conseguenza spiacevole, di gettare il discredito sulla competenza degli esperti del DRM. Ma questo licenziamento non è forse dovuto, in realtà, al rifiuto della DRM di aderire all’analisi che gli Stati Uniti volevano imporre a tutti i membri della NATO? Perché, in questo caso, l’analisi del DRM presentata alle autorità politiche era perfettamente fondata. La prima fase dell’attacco dell’esercito russo lo testimonia del resto con il costo umano che ha pagato e che certamente non voleva Vladimir Putin. Inoltre, ci si può chiedere perché quest’ultimo non abbia proceduto prima al rimpatrio dei beni della banca centrale russa detenuti nell’UE se la sua decisione di attaccare fosse stata presa ben prima del 24 febbraio. Ma questo

 

  • avevano ragione» del CEMA, al di là del seguito sistematico dei dirigenti del nostro paese, traduce il cinismo e il machiavellismo degli Stati Uniti, alla manovra in Ucraina, che hanno fatto proprio tutto per spingere il presidente russo ad attaccare, Si tratta di una scadenza che è stata accuratamente preparata e annunciata per giorni e settimane. Alla fine è successo perché non poteva non accadere, perché Vladimir Putin è stato spinto in una trappola meticolosamente elaborata. Non si tratta con questo «avevano ragione» del risultato di un’analisi e di un’iniziativa razionali e intellettualmente oneste che caratterizzano l’intelligence, ma di una manovra di disinformazione e di deplorevole manipolazione.

 

questa transizione permette di affrontare l’avvio dell’operazione militare. In realtà, non è impegnata il 24 febbraio da Vladimir Putin ma il 16 febbraio dall’esercito ucraino che ha cominciato a bombardare le popolazioni civili del Donbass, mettendo Vladimir Putin davanti a una scelta difficile. Il massiccio aumento del fuoco contro la popolazione del Donbass da questa data indica ai russi che è imminente una grande offensiva. Questo massiccio aumento dei tiri è peraltro dimostrato dai rapporti giornalieri degli osservatori dell’OSCE (cfr. allegato 1). Tali relazioni costituiscono quindi elementi di informazione indiscutibili. Tuttavia, né i media, né l’Unione europea, né la NATO, né alcun governo occidentale reagiscono. Di fatto, passano sotto silenzio il massacro delle popolazioni russofone del Donbass perché sanno che questo non può che provocare un intervento russo. Si tratta, infatti, di una provocazione organizzata – che potrebbe anche essere definita un crimine di guerra (bombardamento di popolazioni civili) – destinata a spingere la Russia alla colpa intervenendo. Per convincersene, ma è sorprendente, il presidente americano Joe Biden annuncia il 17 febbraio, con una rassicurazione machiavellica, che la Russia attaccherà l’Ucraina nei prossimi giorni. Ovviamente ha ragione, poiché la situazione si evolverà secondo la sceneggiatura scritta. Il CEMA lo confermerà (a posteriori) nella sua dichiarazione al giornale Le Monde parlando degli Stati Uniti: «avevano ragione». Ciò che sarebbe stato sorprendente è che la Russia non reagisce. Un altro punto importante, tuttavia, deve essere menzionato. I preparativi ucraini che hanno preceduto questi massicci bombardamenti hanno spinto il parlamento russo molto preoccupato a chiedere a Vladimir Putin di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche del Donbass, cosa che inizialmente rifiuta. Fu solo il 21 febbraio, di fronte all’aggravarsi della situazione, che accettò la richiesta del parlamento e riconobbe l’indipendenza delle due repubbliche del Donbass. In seguito firmò con loro un trattato di amicizia e di assistenza. Pertanto, il segnale lanciato dalla Russia è un chiaro avvertimento sul rischio di un intervento in caso di ulteriori bombardamenti massicci e mortali. Con l’aumento dei bombardamenti ucraini sulle popolazioni del Donbass, le due repubbliche del Donbass chiesero il 23 febbraio l’aiuto militare della Russia. Il 24, Vladimir Putin, invocando l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite (mutua assistenza militare nel quadro di un’alleanza difensiva), decide di intervenire in Ucraina (CQFD). È stato fatto di tutto per innescare questo intervento. Gli Stati Uniti hanno un’immensa responsabilità in questa aggressione russa che hanno provocato.

 

Per quanto riguarda gli obiettivi fissati per questa operazione, sono precisati da Vladimir Putin nel suo discorso del 24 febbraio: smilitarizzare e denazificare l’Ucraina. Non si tratta di impadronirsi dell’Ucraina, né di occuparla o distruggerla. Questa operazione fu lanciata con urgenza il 24 febbraio, otto giorni dopo l’inizio dei massicci bombardamenti della popolazione civile del Donbass, che precedeva di alcuni giorni l’assalto delle forze di Kiev. Per questo è stata definita un’operazione speciale perché non è una classica guerra ad alta intensità contro un nemico irriducibile ma piuttosto un’operazione di liberazione di una popolazione amica (Donbass) martirizzata per otto anni nel silenzio assordante dei leader e dei media occidentali . Per questo la Russia ha deciso di impegnare solo dal 12% al 15% dei suoi soldati, senza utilizzare le sue

immense riserve e senza dichiarare mobilitazioni parziali e ancor meno generali. L’operazione, infatti, viene svolta in inferiorità numerica con rapporto di potenza di 1 contro 2 mentre gli esperti ammettono che il rapporto di forze a terra richiesto nella fase offensiva deve essere 3 contro 1, anche 5 contro 1 in urbanizzato la zona. L’esercito russo era quindi impegnato con forze stimate in 150.000 uomini nel primo scaglione con altri 50.000 uomini nel secondo scaglione che costituivano una riserva teatrale. Le forze ucraine schierano dalla loro parte circa 210.000 uomini attivi rinforzati da 250.000 riservisti operativi. Queste forze ucraine sono state addestrate dal 2014 da quadri americani e britannici.

 

in termini di interpretazione delle intenzioni e delle azioni russe , i media occidentali, che danno il tono con una pletora di esperti nominati ed esercitano grande influenza e pressione sulle decisioni che prendono i leader, hanno commesso una grave colpa fin dall’inizio. Stabilendo in linea di principio l’esistenza in questo conflitto di un bravo ragazzo e un cattivo ragazzo e concludendo rapidamente, senza reale competenza o obiettività ma selezionando le informazioni che diffondono, che la Russia non è in grado di vincere questa guerra, hanno diffuso il idea che l’Ucraina vincerà, ingannando così pericolosamente l’opinione pubblica e il popolo ucraino perché il risveglio sarà doloroso. Devi capire il punto di partenza. Dal 2014, con la divisione del Paese tra Occidente e Oriente e la volontà di autonomia espressa dalle repubbliche di lingua russa del Donbass, le forze armate ucraine si sono stazionate ed evolvono, per la maggior parte, di fronte a questa regione dove si sono organizzate incessantemente e si fortificarono con la prospettiva di lanciare un giorno una grande operazione di bonifica contro i separatisti. La città di Kramatorsk, nel centro-est del paese, ospita il comando di queste forze. Data questa situazione e la geografia del paese, i russi hanno intrapreso abbastanza logicamente e simultaneamente tre assi strategici, da sud a nord, da est a ovest, da nord a sud, per far convergere e chiudere questo movimento a tenaglia, neutralizzare il Le forze ucraine lì, liberano il Donbass e smilitarizzano l’intera regione. Questo è l’obiettivo strategico della Russia fissato da Vladimir Putin. Un quarto asse strategico è stato avviato, da nord-ovest a sud, verso la capitale kiev. Contrariamente alle analisi parziali delle emittenti televisive, l’intenzione dei russi non era di impadronirsi della capitale, ma di fissare per un certo tempo il resto dell’esercito ucraino in questa regione per evitare che arrivasse a rinforzare la parte fissata ad est del paese di fronte alle truppe russe al momento del loro impegno. Dobbiamo sempre tenere presente questo principio dell’equilibrio di forze. Con 1 contro 1 o 1 contro 2, è fuori questione impegnarsi in un combattimento urbano. È suicida per l’attaccante. Questo è il motivo per cui i russi sono rimasti lontani dalla capitale. D’altra parte, anche se sono riusciti a neutralizzare rapidamente le forze aeree ucraine e ottenere così un certo controllo dello spazio aereo, i russi hanno commesso un doppio errore di valutazione nel loro impegno a terra: hanno sottovalutato la guerra e la reazione del loro avversario capacità e, di conseguenza, ha trascurato il principio dell’equilibrio di potere. Ciò ha guadagnato loro pesanti perdite umane nella prima fase di questo conflitto. Ma questo non conferma la validità dell’analisi del DRM che riteneva che la Russia avesse altre opzioni oltre all’aggressione contro l’Ucraina perché riteneva che il costo umano sarebbe stato troppo alto? Questa analisi ha offerto opportunità alla diplomazia per cercare di calmare le cose, ma non poteva essere accettata dai guerrafondai che volevano che questo conflitto scoppiasse.

 

di fronte all’isteria mediatica che persiste, alimentata da informazioni selezionate, quindi parziali, anche di parte, e dall’esibizione di analisi di esperti selezionati per la maggior parte per la loro fedeltà alla NATO, non è finalmente il momento di smettere di fantasticare e tornare alla realtà? Perché bisogna ammettere, cinque mesi dopo l’inizio di questa operazione, che spingendo la Russia all’aggressione, gli Stati Uniti e la NATO, accecati da

la loro ossessiva russofobia, hanno fatto un pessimo calcolo dal quale – non c’è dubbio – l’Ucraina soffrirà seriamente. È inoltre prevedibile che l’Ucraina, non solo sarà abbandonata dai suoi attuali “protettori” o “agenti” che l’hanno utilizzata per applicare la loro strategia bellicosa con il solo scopo di indebolire permanentemente la Russia, ma sarà purtroppo costretta, quando verrà il momento , di sottostare alla dura legge applicata ai vinti. Sarebbe stato più saggio rinunciare a cercare di portare l’Ucraina nella NATO. Perché chi può pensare che dopo aver raggiunto gli obiettivi prefissati dall’avvio di questa operazione, la Russia – per la quale questa è una questione esistenziale – dopo aver pagato a caro prezzo, potrà tornare alle frontiere prima del 24 febbraio 2022?? L’annessione dei territori che ha deciso di occupare è una prospettiva tanto più credibile in quanto le zone conquistate o in via di conquista militare sono di lingua russa, per alcuni addirittura russofila. L’Ucraina uscirà quindi da questo conflitto amputata da parte del suo territorio. Inoltre, anche il segretario generale della Nato ha menzionato di recente lo smantellamento dell’Ucraina: “La pace è possibile, l’unica domanda è quale prezzo siete disposti a pagare per la pace? Quanto territorio, quanta indipendenza, quanta sovranità sei disposto a sacrificare per la pace? Se gli Stati Uniti riusciranno a riprendersi da questo amaro fallimento – non sarà la prima volta – probabilmente non sarà lo stesso per la Nato che avrà dimostrato la propria incapacità di difendere il proprio protetto e quindi la propria inutilità, firmando così la sua condanna a morte. È la sua stessa esistenza, infatti, che d’ora in poi è in gioco: quanto all’Ue, volendo sanzionare economicamente la Russia, in realtà riuscirà solo a penalizzarsi ea mostrare le sue divisioni future e le sue debolezze. Inoltre, perseverando sulla strada della NATO, rinuncerà di fatto alla sua “sovranità europea” tanto auspicata dal Presidente della Repubblica, e quindi all’autonomia strategica europea, all’industria europea della difesa, in una parola alla difesa europea. È quindi tempo di riconoscere la realtà sul campo perché il risveglio rischia di essere brutale e crudele.

 

bisogna fare un punto oggettivo della situazione militare e delle sue conseguenze tenendo conto delle cause di questo conflitto, degli obiettivi e della strategia perseguita dai belligeranti, e infine concretamente della dura realtà dei combattimenti, una realtà straniera, alla fine riguarda , alle versioni fornite dai canali televisivi. Dobbiamo, infatti, smettere di mentire e di dissimulare la verità (vedi appendice 2).

Dopo aver fallito nel tentativo di riportare in sé il regime di Kiev e coloro che lo sostengono (Stati Uniti, NATO, UE) rinunciando all’ammissione dell’Ucraina nella NATO, considerata un casus belli , la Russia ha deciso inizialmente di impegnarsi in e operazioni militari mirate (difesa delle repubbliche del Donbass). Tuttavia, le difficoltà incontrate (scarsa valutazione delle capacità belliche delle truppe ucraine, addestrate dal 2014 dalla NATO) e gli errori commessi (ingaggio con un incomprensibile equilibrio di forze di 1 contro 2, probabile mancanza di coordinamento tra le grandi unità impegnate su i tre assi strategici nella prima fase delle operazioni (sud, centro, nord) mirate alla regione centro-orientale dell’Ucraina dove gran parte delle forze ucraine stazionano di fronte al Donbass), senza dimenticare i numerosi aiuti occidentali (consegne di equipaggiamento ma anche l’intelligence in tempo reale sul campo fornita da Stati Uniti e NATO) ha costretto le forze russe a rivedere il loro impegno sul piano operativo e a tornare a procedure più tradizionali costruite su una strategia di shock volta a sistematicamente mettere fuori combattimento e demoralizzare l’avversario limitando le proprie perdite. Questa è la strategia applicata dall’inizio della seconda fase del conflitto: intensi attacchi di artiglieria, assalti immediati, crollo delle unità ucraine con la loro resa, ritiri tattici nei settori scelti per portare le unità ucraine fuori dalla loro zona di difesa e schiacciarle in l’aperta campagna (emblematico in questo senso l’esempio dell’operazione svolta nel settore di Kharkov), il mantenimento

di forte pressione continua impedendo qualsiasi ritirata organizzata delle unità intrappolate (l’operazione svolta nell’area della fabbrica Asovstal a Mariupol costituisce un caso da manuale: ritirata dei combattenti ucraini impossibile via terra, aria o mare: le forze russe hanno aspettato abilmente per la loro resa). Questa modalità operativa – che consiste nel facilitare, a seconda dell’ubicazione delle unità ucraine, la formazione di calderoni per intrappolarle meglio accerchiandole alla fine con la morte o la resa – porta i suoi frutti e si traduce in regolari avanzamenti territoriali più o meno importanti. a seconda dei settori interessati. Va ricordato che le difficoltà incontrate sono dovute da un lato all’insediamento di gran parte delle truppe ucraine più stagionate nella regione orientale del Paese, alla loro organizzazione e alle loro infrastrutture difensive decise fin dal 2014, e dall’altro mano alla decisione della Russia di impegnarsi in questa operazione con un equilibrio di potere di 1 contro 1, addirittura 1 contro 2, una decisione a dir poco coraggiosa.

 

Pertanto, se le forze ucraine sono riuscite a mantenere le loro posizioni e a opporre una feroce resistenza nella sacca di Severodonetsk, alla fine si è chiusa e questa battaglia è ora persa per gli ucraini. Lo scenario Mariupol si è ripetuto con la resa delle forze che non sono ricadute a ovest del fiume Donest quando c’era ancora tempo. Inoltre, in questo caso, le truppe ucraine abbandonarono l’equipaggiamento a terra e due cannoni autoportanti, del tipo Caesar consegnati dalla Francia, sarebbero stati distrutti e altri due sarebbero stati recuperati dai russi. Questa faticosa spinta delle forze russe in questo settore ha permesso loro di sfondare un’importante chiusa che le stava bloccando e dovrebbe consentire loro di continuare il loro avanzamento e chiudere altre chiuse un po’ più a sud in cui le forze ucraine rischiano di rimanere intrappolate se non lo fanno iniziare il loro ritiro in tempo, comunque in condizioni molto difficili. Questa spinta nelle tasche di Severodonetsk/Lyssytchansk dovrebbe aprire la strada alle forze russe soprattutto a Kramatorsk, che ospita il comando di tutte le forze ucraine operanti nell’est del Paese (vedi appendice 3). Kramatorsk, punto cruciale del piano strategico per entrambe le parti, diventa quindi ora l’obiettivo da raggiungere per i russi. La caduta di Severodonetsk e Lyssytchansk potrebbe simboleggiare il passaggio a una terza fase dell’impegno delle forze russe in Ucraina. Possiamo quindi pensare che non appena Kramatorsk cade, le forze ucraine non potranno più riconquistare i territori occupati dalle forze russe, la cui priorità sarà probabilmente quella di avanzare rapidamente nella parte meridionale dell’Ucraina per impadronirsi di Mikolaîv e di Odessa. È anche probabile che alle forze russe verrà ordinato di impadronirsi di Kharkov e della regione circostante a nord-est. Quest’ultimo fornisce il 44% della produzione di gas ucraina. La visita a sorpresa del ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, alle truppe russe in questo settore a fine giugno non è di poco conto e costituisce un segnale forte che potrebbe corrispondere sul piano militare a un chiaro spostamento della situazione a favore dei russi . Questa visita potrebbe anche segnare la fine della seconda fase dei combattimenti dal 24 febbraio e simboleggiare l’inizio della terza fase di questa guerra.

 

La smilitarizzazione e quindi la neutralizzazione dell’Ucraina orientale sarà così raggiunta e il Mar d’Azov e il Mar Nero saranno d’ora in poi totalmente sotto il controllo russo. Le gravi perdite subite dalle forze ucraine per diverse settimane (200 morti al giorno secondo fonti vicine al regime di kyiv, alcuni parlano addirittura di oltre 500 morti al giorno; a Severodonesk il numero dei combattenti ucraini messi fuori combattimento (morti e feriti) avrebbero raggiunto i 1000/giorno) sollevano la questione dello stato in cui si troveranno se la guerra dovesse continuare a lungo perché diversi mesi di ingenti perdite stanno inesorabilmente e considerevolmente erodendo la loro forza di combattimento e il loro morale. Inoltre, il presidente ucraino ha firmato una legge che consente l’invio di combattenti da

difesa del territorio nelle zone di combattimento mentre la loro vocazione è quella di rimanere nella loro città e regione per difenderle. Inoltre, l’alto livello di vittime ucraine potrebbe avere un effetto deterrente sul reclutamento di mercenari in futuro. Ma i funzionari ei media occidentali preferiscono non menzionare questi argomenti, non esitando a parlare dei problemi delle forze russe. Vi sono, tuttavia, notizie crescenti di proteste collettive da parte di combattenti ucraini per il loro armamento e le condizioni di vita in combattimento, e persino di diserzioni. Vanno inoltre presi in considerazione due gravi problemi legati alle munizioni: il loro trasporto nelle zone di combattimento e il livello delle scorte che si stanno esaurendo. Il ritorno alla realtà sarà doloroso e amaro per tutti coloro che in televisione hanno profetizzato che la Russia avrebbe perso mentre sta dimostrando la sua forza impassibile e determinata.

 

IL REGNO ASSOLUTO DEI MEDIA

 

Va denunciato il ruolo disastroso, pietoso e angosciante dei media, in particolare dei continui notiziari televisivi. Definite comunemente come la quarta potenza, esse non sono di fatto diventate la prima potenza, quella che forma, che plasma le menti a sottometterle per renderle in linea con il pensiero dominante eretto nell’ideologia, anche che influenza pesantemente le decisioni prese dai dirigenti a causa della terribile pressione che esercita su di loro sfruttando eccessivamente l’aspetto emotivo dell’informazione a scapito dei fatti?

 

Questo comportamento scandaloso, che peraltro minaccia i principi della democrazia ei principi etici della loro funzione/missione, deve essere solennemente denunciato e condannato. Gli esempi di menzogne ​​e parodia della verità sono numerosi in questo conflitto tra Ucraina e Russia e meritano di essere menzionati e sottolineati perché rischiano di creare disgrazie.

 

Perché, sì, è una vera isteria, un’escalation e un’escalation mediatica a cui abbiamo assistito e continuiamo a testimoniare. Anche oggi, con questo conflitto, ci troviamo in una situazione del tutto inedita dal punto di vista storico. È, infatti, la prima volta in una guerra aperta dove non sono i governanti ei diplomatici a manovrare ma i media che impongono una lettura della situazione, anche della storia. Questo atteggiamento, che consiste nel gettare olio sul fuoco, non è in grado di calmare le tensioni e modellare tendenzialmente l’opinione pubblica. Il risultato disastroso è che la stretta illegittima e dannosa che essi esercitano sulla condotta della situazione mettendo sotto pressione chi detiene il potere impedisce alla diplomazia di agire. Nei conflitti che abbiamo vissuto in precedenza, anche durante i combattimenti, la diplomazia è rimasta attiva e ha svolto il suo ruolo nel tentativo di abbassare la tensione e sviluppare proposte per uscire dalla crisi; i belligeranti, al più alto livello, si parlavano. Nelle circostanze attuali, non è più così, le due parti sono spinte da questo capovolgimento di ruoli tra media e diplomatici verso un “approccio duro” estremamente pericoloso che potrebbe andare oltre l’attuale quadro geografico. L’Europa è in prima linea e l’UE dovrebbe occuparsene invece di alimentare il conflitto fornendo armamenti all’Ucraina. Così facendo, i paesi europei interessati, e in particolare la Francia, stanno diventando sempre più cobelligeranti e la domanda che si pone è sapere fino a che punto può spingersi la moderazione della Russia prima di decidere, se ritiene indispensabile colpire direttamente il basi posteriori di quella che potrebbe essere considerata un’interferenza militare occidentale. La diplomazia deve quindi riguadagnare rapidamente i suoi diritti.

 

Inoltre, quello che i media non dicono è che Volodymyr Zelensky è stato eletto nel 2019 sul tema della pace! Petro Poroshenko, il suo predecessore, aveva firmato gli accordi di Minsk II che non sono stati applicati. Il presidente Zelensky ha quindi dovuto fare di tutto per applicarli e riportare la pace con l’est del Paese. Questa regione dell’Ucraina ha vissuto dalla rivoluzione di Maidan nel 2014, fomentata dalla CIA, un inferno sotto le bombe dell’esercito ucraino. Fu, infatti, una guerra civile, con migliaia di morti, ignorata dai media occidentali. Questo aspetto fa nascere due osservazioni che i media sono attenti a non menzionare.

 

➢             La prima è che gli oligarchi ucraini, che in realtà guidano la politica del Paese, non vogliono la pace. Neanche i militari, da parte loro, lo vogliono, perché volevano impedire l’adesione all’autonomia del Donbass. Da qui questa guerra

impegnata dal 2014 contro questa parte del popolo ucraino tradizionalmente più rivolto alla Russia che all’Occidente. Inoltre, alcuni di questi ucraini si sono naturalmente rifugiati in Russia in questi ultimi anni, i media non ne hanno mai parlato ma cercano oggi di farci credere che sono stati deportati. Non è quindi difficile comprendere il fallimento del presidente Zelensky in questa “marcia verso la pace” e in definitiva la scelta impostagli, quella di far parlare i fucili. Ha, infatti, seguito solo la decisione del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che ha fatto la scelta delle armi.

 

➢              La seconda è che gli accordi di Minsk sono stati sabotati consapevolmente dagli Stati Uniti. Tali accordi, firmati l’11 febbraio 2015 dai leader di Ucraina, Russia, Francia e Germania sotto l’egida dell’OSCE, stabiliscono un certo numero di decisioni da applicare in merito al Donbass . Così facendo, nominando Francia e Germania, firmatarie di questi accordi ma soprattutto garanti della loro applicazione, si trattava di rimettere gli europei al centro del dibattito, cosa che gli Stati Uniti palesemente non vogliono, che cerca, nella sua ossessione anti-russa, per controllare l’Ucraina, confine con la Russia. Possiamo, inoltre, notare l’immensa responsabilità di Francia e Germania nell’attuale situazione con la loro rinuncia o mancanza di volontà – e questo per otto anni – a seguire e garantire l’applicazione di questi accordi che poi ne erano i garanti. Si può addirittura affermare che, avendo peraltro oggi optato per la causa di uno dei due belligeranti, si sono squalificati per un eventuale ruolo di mediatore, cosa deplorevole in particolare per la Francia che, assicurando la Presidenza dell’UE in prima metà del 2022, avrebbe potuto beneficiarne enormemente per sé diplomaticamente e per la pace in Europa. Bisogna ritenere che gli europei, e in particolare la Francia, siano pienamente soddisfatti del loro status di vassalli degli Stati Uniti.

 

Di tutt’altro argomento il presidente russo ha parlato, evocando gli obiettivi della Russia nell’intraprendere questa operazione, di denazificazione delle forze armate ucraine. I media hanno subito sequestrato questa dichiarazione di Vladimir Putin per accusarlo di disinformazione o informazione infondata (fake news). Bisogna però ammettere che un certo numero di fatti, alcuni storici, possono solo richiamare, ma i media non praticano una censura selettiva (cfr. appendice 4)?

 

➢            Ad esempio, ogni anno, il 1° gennaio, gli ucraini celebrano la memoria del loro eroe Stepan Bandera, un eroe a dir poco controverso. Il titolo di “Eroe dell’Ucraina” gli è stato conferito nel gennaio 2010 da Viktor Yushchenko, all’epoca presidente dell’Ucraina, un gesto che ha provocato la furia di Polonia e Israele considerando questo nazionalista un criminale di guerra. Stepan Bandera nasce nel 1909 in Galizia, regione dell’Impero Austro-Ungarico recuperata nel 1918 dalla Polonia. Appartenente alla minoranza ucraina in Polonia, si unì a una giovanissima organizzazione nazionalista ucraina (l’OUN), molto antipolacca, che moltiplicò gli omicidi politici. Affascinato dai nazisti, Bandera assunse la causa di questo movimento politico tedesco ancor prima che prendesse il potere in Germania (secondo un rapporto delle Nazioni Unite, scritto nel 1947, Stepan Bandera, dal 1934, era un agente dei servizi segreti a favore della Germania nazista, e opera nella sezione speciale della Gestapo). A causa del suo attivismo, Bandera finisce per essere imprigionato in Polonia, verrà rilasciato dai tedeschi durante l’invasione della Polonia nel 1939. Si mette subito al servizio della Germania nazista e crea una Legione ucraina che partecipa, nel 1941, a in particolare al massacro degli ebrei di Leopoli e all’assassinio di diverse decine di professori dell’università della città dove aveva studiato. L’esercito rivoluzionario popolare ucraino (UPA) ha quindi combattuto contro i sovietici insieme ai nazisti. Oltre alla sua partecipazione all’Olocausto, è anche accusato del massacro di circa 50-100.000 polacchi in Volinia, una regione che

ora è in Ucraina. Infine, va ricordato che Stepan Bandera è molto popolare tra i soldati ucraini che stanno combattendo nel Donbass contro i separatisti.

 

➢            Un altro esempio, mai citato dai media, ogni 28 aprile si celebra a Kyiv la divisione Waffen SS della Galizia, una delle tante divisioni delle Waffen SS durante la seconda guerra mondiale operanti per il Reich tedesco, composta da ucraini della Galizia. Inoltre, molte milizie (Svoboda, Azov, Settore Destro) di gruppi di estrema destra che hanno guidato la rivoluzione di Maidan nel 2014 sono composte da individui fanatici e brutali. Il più noto di questi è il reggimento Azov, il cui stemma ricorda quello della 2a Divisione SS Panzer Das Reich, oggetto di vera venerazione in Ucraina, per aver liberato Kharkov dai sovietici nel 1943, prima, forse non dovrebbe essere dimenticato, di perpetrare il massacro di Oradour-sur-Glane nel 1944, in Francia! Queste milizie sono presenti anche all’interno della Guardia Nazionale che non fa parte dell’esercito ma costituisce una forza di difesa territoriale. Queste milizie paramilitari sono conosciute con il nome evocativo di “battaglioni di rappresaglia”, formati principalmente per il combattimento urbano e la difesa delle città.

 

➢             Infine, le immagini trasmesse dopo la resa delle unità ucraine a Mariupol sono edificanti e rivelano l’ideologia in cui operano queste forze armate. E questa ideologia non è nata nel 2014! Queste immagini mostrano, infatti, i corpi dei soldati ucraini coperti di tatuaggi nazisti. D’altronde i media non hanno cercato di scoprire le ragioni della presenza di civili nella fabbrica dell’Azovstal, probabilmente per non dover rispondere a una domanda fastidiosa: questi civili non erano ostaggi? (scudi umani) di combattenti ucraini ?

 

Come possiamo vedere, c’è indiscutibilmente uno spirito nazista in parte della popolazione ucraina e all’interno delle forze armate e paramilitari. Tutti questi “valori”, opposti a quelli di una democrazia, non sono un ostacolo implacabile e paralizzante per la candidatura dell’Ucraina all’Ue? I nostri media potrebbero esprimersi su questo argomento? Con quale diritto il Presidente della Commissione Europea, che non è stato eletto, decide su una procedura di ammissione accelerata? Non è sconcertante che la Francia possa sostenere un progetto del genere, non solo irresponsabile sul piano politico e geopolitico, ma riprovevole sul piano morale e giuridico? Quanto agli aiuti forniti all’Ucraina, cosa giustifica dal 2014, quindi prima dell’attuale conflitto, la mobilitazione delle istituzioni finanziarie dell’UE di sovvenzioni e prestiti per 17 miliardi di euro?

 

Se i nostri media non esitano a nascondere la verità quando li infastidisce, sono maestri del passato nella disinformazione, nella manipolazione e nella menzogna ponendosi come un pubblico ministero sempre contro colui che hanno classificato dalla parte sbagliata secondo i propri criteri. L’esempio delle accuse di crimini di guerra presentate senza alcuna prova diversa da informazioni non verificate fornite da chiunque abbiano classificato a destra è molto istruttivo. Devono essere menzionati almeno due casi di impazienza dei media di convalidare informazioni dubbie fornite dalla parte ucraina perché i media hanno imposto ancora una volta la loro griglia di lettura che il governo francese, come i suoi alleati, ha trasmesso. Quest’ultimo non ha nemmeno istituzionalizzato la calunnia dello stato e quindi la manipolazione e il condizionamento delle menti dei francesi soggetti a un’unica verità dopo aver deciso di bandire i media russi che potrebbero portare contraddizione e può essere un’altra verità?

 

➢             Il primo caso riguarda gli eventi accaduti a Butcha e che è più simile a una versione ucraina “Timisoara” che allo scenario accettato dal

media e leader occidentali. Perché quello che i francesi non sanno è che dopo l’ordinato ritiro delle forze russe da Butcha il 30 marzo, il sindaco Anatoli Fedorouk ha gioito il giorno successivo, 31 marzo, davanti alle telecamere di questa partenza, aggiungendo: “siamo tutti sani e sicuro”. In nessun momento nel video viene menzionato il massacro di civili. Dalle informazioni disponibili, a patto di volerle consultare e analizzare, è possibile stabilire uno scenario di questo terribile episodio che sembra molto più verosimile della versione servita. Il pubblico francese non sa, infatti, che l’esercito ucraino ha continuato a bombardare la città per due giorni prima di sapere che l’esercito russo si era ritirato. Ignora inoltre che la polizia nazionale, entrata il 2 aprile, ha trasmesso un video delle strade deserte (un solo corpo in un veicolo colpito dai bombardamenti). Allo stesso tempo, il canale Telegram Bucha Live che riporta la notizia di Butcha, e dovrebbe essere a conoscenza di quanto sta accadendo a livello locale, non menziona alcun massacro di civili né il 29 marzo, né il 30 marzo, né il marzo 31. . Non c’è niente su questa catena prima dello scoppio dello scandalo, il 3 aprile, quando la stampa internazionale è invitata a filmare le decine di morti che ricoprono alcune strade dove le vittime sono state giustiziate con le mani legate. Abbiamo quindi il diritto di avere seri dubbi sulla versione servita? Tanto più che questa polizia ha annunciato sulla sua pagina Facebook l’avvio di un’operazione di bonifica “dei sabotatori e complici dell’esercito russo”, secondo le sue stesse parole. La vera domanda che sorge allora, e che ogni vero giornalista dovrebbe porsi, non è questa: questa epurazione non è stata operata da un’unità paramilitare appartenente a questi famosi “battaglioni di rappresaglia” di cui si conoscono i sinistri metodi? Diverse informazioni puntano in questa direzione. Infatti, il capo della difesa territoriale, noto per aver combattuto nel reggimento Azov, da parte sua ha pubblicato, il 2 aprile, diversi video del lavoro dei suoi uomini. In uno di essi, sentiamo chiaramente uno dei suoi subordinati che chiede se può sparare agli uomini che non hanno le fasce blu. La risposta è altrettanto chiara: sì. Inoltre, sul canale Telegram del capo della Difesa del Territorio, possiamo vedere che le prime foto di persone morte e legate risalgono solo al 2 aprile, quando cioè sul posto questo battaglione rappresaglia (difesa del territorio) con la polizia ucraina per ripulire la città “da sabotatori e complici delle forze russe”.

 

➢             Il secondo caso riguarda il drammatico evento dell’8 aprile, quando un missile è caduto sulla stazione di Kramatorsk dove c’erano migliaia di civili che stavano cercando di fuggire dalla città provocando più di 50 morti e più di 100 feriti. Molto rapidamente le autorità ucraine hanno accusato la Russia, sostenendo prima che si trattasse di un missile Iskander, un’accusa ripresa da tutti i leader e dai media occidentali nonostante la smentita russa. L’esame dei resti di questo missile, tuttavia, ha rivelato che non si trattava di un Iskander ma di un Tochka U che trasportava 20 submunizioni. Sorgono quindi domande legittime perché l’esercito russo non ha più un Tochka U dal 2019. Il lavoro di riferimento, “The Military Balance” , pubblicato ogni anno, mostra chiaramente che non c’è più un Tochka nell’esercito russo. Arsenale russo. D’altra parte, l’Ucraina ne ha alcuni. Questo è davvero un primo dubbio da gettare sulla versione ufficiale di questo dramma. Inoltre, l’esame dei resti del missile ha permesso anche di aumentare il numero di serie di questo missile. Tuttavia, quest’ultimo è elencato nell’inventario ucraino. Non ci sarebbe qui un serio secondo dubbio, anche una contraddizione con la versione ufficiale? Come spiegare allora questa isteria mediatica trasmessa dai leader occidentali se non era in definitiva parte di un approccio antirusso ponderato e intenzionale contrario alla ricerca della verità?

 

Tutto il potere acceca chi lo esercita senza controllo e i media di oggi, i grandi mass media che influenzano e modellano le menti, hanno un potere incontrollabile che permette loro di imporre un pensiero dominante e una griglia per leggere gli eventi che seguono in tempo reale e continuamente. L’acquisizione di questo potere ha

ha comportato un cambiamento di approccio al trattamento delle informazioni fornite al pubblico. In effetti, il ruolo o la missione del giornalismo sembra ora, in collusione con il potere politico che lo sovvenziona, garantire che il pubblico pensi come dovrebbe piuttosto che cercare la verità. Agendo in questo modo, la carta etica (carta di Monaco) che regola la missione e quindi i doveri del giornalista viene totalmente tradita e tradita. L’attuale conflitto tra Ucraina e Russia è un esempio emblematico di questa deriva.

L’UOMO CHE HA SACRIFICATO L’UCRAINA

In questo conflitto, che va ricordato, si sarebbe potuto evitare, nessuno può negare che l’aggressore sia la Russia. Ma questo aggressore non aveva esposto per diversi anni la sua linea rossa sulle inclinazioni mostrate dalla NATO nella sua continua marcia di conquista verso l’Est, fino ai confini della Russia? Essendo diventato l’argomento una questione esistenziale per la Russia, Vladimir Putin ha stimato che un grande attacco al Donbass sia stato commesso a metà febbraio 2022 dalle forze ucraine. Ha poi considerato che quando un combattimento è inevitabile, devi prima colpire. Questo è ciò che ha fatto il 24 febbraio.

 

Ma il regime di Kiev non è altrettanto riprovevole, se non più della Russia, nell’iniziare questa guerra? Questo regime è incarnato oggi da Volodymyr Zelensky, presidente eletto nel 2019 con la promessa di allentare le tensioni con la Russia e risolvere la crisi nelle repubbliche separatiste dell’Ucraina orientale. Tuttavia, questo presidente non solo non ha mantenuto nessuna delle sue due promesse ma, al contrario, non ha mai smesso di alimentare la crisi interna dell’Ucraina e ha costantemente provocato la Russia. Ecco perché l’isteria antirussa che si è rapidamente affermata è del tutto sproporzionata e infondata vista la situazione che regna da almeno otto anni.

 

Volodymyr Zelensky è però oggi adorato dall’Occidente e considerato un eroe di fronte all’orso russo. Tutto ciò è, in effetti, una manipolazione accuratamente elaborata da parte degli Stati Uniti e della NATO, alimentata e orchestrata dai media occidentali. Questa adulazione, oltre ogni ragionevolezza, dà al presidente ucraino un tale grado di certezza nelle decisioni che prende da dimenticare la realtà della guerra sul campo e gli consente, in un processo che può essere descritto come arrogante, di tenere lezioni ai leader occidentali e in particolare la Francia e il Presidente della Repubblica. Anche l’esempio dell’intervento davanti alla nostra Assemblea nazionale di Volodymyr Zelensky è edificante su questo fenomeno ormai radicato dell’adulazione. Non ha ottenuto, dopo aver denunciato la presenza di grandi società francesi in Russia per le quali chiedeva sanzioni se mantenute, una standing ovation di tutti i nostri deputati? Vale a dire il grado di sottomissione in questa guerra che è diventata anche non solo mediatica ma anche psicologica.

 

Bisogna però ammettere – questi i fatti – che in realtà Volodymyr Zelensky ha fallito nel ripristino dell’unità nazionale e nell’attuazione degli accordi di Minsk, un piano di pace che doveva consentire la riconciliazione. Era stato eletto proprio per questo nel 2019. Ma, da un lato, gli Stati Uniti hanno sabotato questi accordi di Minsk perché hanno riportato l’Europa al centro del dibattito, cosa per loro impensabile, dall’altro, gli oligarchi e l’esercito ucraino è contrario.

 

È la dimostrazione che il presidente ucraino è solo un burattino nelle mani di Washington. Questo conflitto tra Ucraina e Russia è, infatti, una guerra per procura dichiarata dagli Stati Uniti contro la Russia. Gli Stati Uniti hanno voluto e fatto di tutto per trascinare la Russia in una guerra con un obiettivo: indebolirla con tutti i mezzi in modo permanente, anche definitivo, per potersi dedicare alla crescente minaccia rappresentata dalla Cina. Per raggiungere questo obiettivo, cercano da un lato di demonizzare Vladimir Putin, al potere da vent’anni, pensando che la sua partenza potrebbe cambiare la posizione della Russia, il che costituisce un errore grossolano. Cercano anche di imporre severe sanzioni economiche per causare un collasso dell’economia russa.

Questa strategia di Washington è in vigore in Ucraina dal 2014 e Volodymyr Zelensky, convinto dagli Stati Uniti che sarebbe diventato un membro della NATO, sacrifica il proprio Paese per portare avanti gli interessi americani e aiutarli a raggiungere i loro obiettivi. . Volodymyr Zelensky è, infatti, diventato lo strumento degli Stati Uniti in questa guerra per procura in cui lo hanno ingaggiato.

 

Il risveglio sarà doloroso perché l’esito di questo conflitto non è mai stato messo in dubbio e Volodymyr Zelensky passerà alla storia come colui che ha sacrificato inutilmente l’Ucraina. Perché non poteva ignorare la promessa fatta nel 2007 da Vladimir Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco: “Non permetteremo l’espansione della Nato al punto da

 

La NATO tocca il nostro confine, in particolare in Ucraina e Georgia. Consideriamo questi paesi come cavalli di Troia della potenza militare della NATO e dell’influenza degli Stati Uniti. »

 

Già nel 2008 la Georgia, spinta dalla NATO, aveva fallito il suo tentativo nelle condizioni che conosciamo, avendo la Russia immediatamente reagito militarmente. Ovviamente la lezione non è stata appresa. Questo episodio serve a ricordare che la Francia ha poi presieduto l’UE. Bisogna riconoscere che il Presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy, con il suo intervento misurato nei confronti dei due partiti, è riuscito ad abbassare la tensione ea riportarli in sé, in particolare rifiutando l’ingresso della Georgia nella Nato. È deplorevole che con l’Ucraina il presidente Emmanuel Macron, a sua volta alla presidenza dell’UE, non sia intervenuto nelle stesse disposizioni.

 

Mentre questo conflitto era evitabile, l’atteggiamento irresponsabile di Volodymyr Zelensky, sotto la pressione di Stati Uniti e NATO, ha permesso che accadesse, per disgrazia dell’Ucraina, che ne uscirà contusa, indebolita e soprattutto amputata parte del suo territorio , non ci sono dubbi. Perché se dopo le prime tre o quattro settimane di combattimento era ancora possibile negoziare per limitare le conseguenze di un simile confronto, oggi è troppo tardi.

 

Attraverso la sua intransigenza, le sue pretese politiche e militari esacerbate dall’aura mediatica acquisita artificialmente, il suo rifiuto di ammettere la realtà della situazione, la sua mancanza di qualsiasi reale desiderio di impegnarsi in negoziati, Volodymyr Zelensky non ha esitato a inviare la morte di decine di migliaia di soldati, per non parlare del pesante tributo pagato dalla popolazione civile. Perché lo ha fatto per un posto nella NATO quando tutti sapevano che la Russia non lo avrebbe permesso?

 

Volodymyr Zelensky ha un’immensa responsabilità in questo dramma che si sta svolgendo per l’Ucraina e che alla fine finirà con un naufragio per questo paese. Peggio che irresponsabile, è imperdonabile! Come si qualifica un politico che manda uomini a morire in una guerra che sa che non possono vincere? Come qualificare un tale leader politico che infligge considerevoli sofferenze e ferite al proprio popolo senza motivo? Come qualificare un personaggio del genere che avrà spianato la strada alla disintegrazione e alla dislocazione dell’Ucraina, perché è ciò che accadrà quando Volodymyr Zelensky sarà costretto ad ammettere la sconfitta?

 

Questo momento sarà terribile perché l’Ucraina, senza dubbio, sarà poi abbandonata da coloro che l’hanno spinta in questo vicolo cieco. Gli ucraini accetteranno la sconfitta senza reagire quando gli è stato fatto credere che avrebbero vinto contro la Russia? Volodymyr Zelensky potrebbe dover affrontare la rabbia in particolare degli oligarchi e dei soldati, alcuni dei quali già stanno facendo commenti violenti nei suoi confronti. La storia è tragica e Volodymyr Zelensky rimarrà colui che ha sacrificato inutilmente l’Ucraina. Potrebbe pagarlo a caro prezzo. Potrebbe anche pagare con la vita.

LA SCONFITTA DELL’UCRAINA! L’UCRAINA FIRMERA ‘ LA MORTE DELLA NATO

La NATO, un’alleanza difensiva formata per far fronte alla minaccia rappresentata dal Patto di Varsavia durante il periodo della Guerra Fredda, è stata fino alla fine degli anni ’80/inizio degli anni ’90 una solida alleanza militare antisovietica. La fine della Guerra Fredda e il crollo dell’ex Unione Sovietica nel 1991 portarono allo scioglimento del Patto di Varsavia. Di conseguenza, si poneva l’esistenza stessa della NATO, essendo scomparsa la minaccia all’origine della sua creazione, che avrebbe dovuto essere a sua volta dissolta. Tuttavia, questa alleanza originariamente difensiva è stata trasformata, dopo un periodo che può essere descritto come espansione negli anni ’90/2000, in un’organizzazione offensiva tentacolare priva di significato. La NATO ha così esteso i suoi confini di quasi 1300 km verso est, incorporando Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia.

 

Questo periodo successivo alla Guerra Fredda, con questo allargamento agli ex satelliti dell’ex Unione Sovietica desiderosi di aderire all’alleanza, ha allo stesso tempo corrisposto a un rilassamento di tutti i paesi europei in termini di sicurezza e difesa. Hanno quindi deciso che era giunto il momento di “raccogliere i dividendi della pace” , il che si è tradotto in continue riduzioni del loro budget per la difesa. Agendo in questo modo, hanno di fatto delegato la loro protezione agli Stati Uniti, i veri padroni della NATO. Comprendiamo meglio come la NATO sia diventata un’organizzazione offensiva che difende soprattutto gli interessi degli Stati Uniti.

 

Oggi, dopo l’impegno delle forze russe sul territorio dell’Ucraina, Svezia e Finlandia hanno in programma di unirsi a questa alleanza che è diventata decisamente anti-russa. Nel 2021, la NATO ha ufficialmente riconosciuto la stessa Ucraina come “aspirante membro”. Inoltre, il 10 novembre 2021 è stato firmato un accordo di partenariato strategico e militare tra gli Stati Uniti e l’Ucraina. Questo accordo che suggella un’alleanza tra i due paesi è chiaramente diretto contro la Russia perché prometteva l’ingresso dell’Ucraina nella NATO.

 

Tutto ciò dimostra la politica di ingerenza della NATO negli affari mondiali, o più precisamente di ingerenza degli Stati Uniti poiché la NATO serve gli interessi di questi ultimi. Non dissolvendo, dopo la Guerra Fredda, questa organizzazione militare originariamente difensiva, gli Stati Uniti scelsero di farla evolvere per ottenere uno strumento organizzato e chiamato in realtà a soddisfarne le esigenze. Il presente esempio con l’Ucraina è l’esempio stesso dell’uso della NATO al servizio di questa ossessione antirussa dell’amministrazione americana dalla fine della Guerra Fredda, con l’eccezione della presidenza Trump. L’obiettivo degli Stati Uniti resta l’indebolimento duraturo, persino definitivo della Russia, con tutti i mezzi. Essendo il principio delle relazioni internazionali basato sull’equilibrio delle forze, non deve sorprendere che la Russia abbia voluto difendere i propri interessi intervenendo in Ucraina, ritenendo legittimo il suo intervento, e quindi abbia scelto di sfidare la Nato che la minacciava. Il messaggio è chiaro: la Russia non è la Serbia.

 

Infatti, nel 1999, la NATO aveva deciso, violando il diritto internazionale, di bombardare la Serbia durante la guerra nell’ex Jugoslavia. La campagna aerea è durata 78 giorni. Incarnava il nuovo concetto offensivo dell’occupazione nella NATO. Voler fare lo stesso oggi con la Russia sarebbe un suicidio in primo luogo per i paesi partner europei della NATO sul loro stesso suolo.

 

Detto questo, è vero che dall’aumento della tensione in Ucraina e soprattutto dall’intervento russo deciso il 24 febbraio 2022, la NATO è stata molto attiva, al punto

che alcuni hanno potuto affermare che Vladimir Putin era riuscito a cristallizzare tutta l’opposizione nel mondo occidentale ed era così riuscito a resuscitare questa organizzazione che, non molto tempo fa, il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, aveva detto essere cerebralmente morta . Bisogna riconoscere che, dall’episodio della Serbia nel 1999, i vari interventi della Nato nella sua nuova versione offensiva, sia in Iraq, Libia, Siria, Afghanistan, si sono finalmente conclusi con clamorosi fallimenti. L’entusiasmo per questa alleanza è, dopo l’attacco all’Ucraina, così rumoroso che i media e gli stessi leader politici occidentali sembrano aver dimenticato che la vocazione della NATO era, in origine, quella di dissuadere la Russia da qualsiasi aggressione e di garantire la pace in Europa. Certo, la sua proclamata resurrezione è l’ennesimo fallimento poiché la Russia non è stata dissuasa dall’attaccare l’Ucraina – nonostante lo status di “candidato” della NATO e l’accordo di partenariato strategico e militare tra Stati Uniti e Ucraina firmato nel novembre 2021 – e che questa resurrezione potrebbe persino annunciare e precedere la sua morte imminente. Perché la sconfitta dell’Ucraina, quando – non c’è dubbio – ammessa, segnerà inesorabilmente la morte della Nato. I partner europei della NATO, e la Francia in particolare, devono comprendere chiaramente che non è solo l’Ucraina a perdere la guerra, ma loro stessi dopo essersi ciecamente schierati in un conflitto che è quello degli Stati Uniti e non il loro.

 

E non è il vertice Nato organizzato a Madrid il 29 e 30 giugno 2022 che potrebbe calmare le tensioni, anzi. Le dichiarazioni del suo Segretario generale, Jens Stoltenberg, che hanno preceduto il vertice: “decideremo anche su un nuovo concetto strategico per la Nato, fissando la nostra posizione sulla Russia, sulle nuove sfide e, per la prima volta, sulla Cina” danno un serio indicazione della volontà di estensione aggressiva di questa organizzazione alle imprese di tutto il mondo. La NATO aveva perso la sua ragion d’essere quando il Patto di Varsavia è stato sciolto. Oggi sta entrando in una fase delirante di estensione planetaria. Accettare questo sviluppo, questo nuovo concetto che stabilisce ufficialmente una vocazione risolutamente interventista e quindi offensiva, significa alienare la nostra indipendenza nazionale e accettare di intraprendere una guerra permanente nel mondo che potrebbe, a un certo punto, degenerare in un conflitto nucleare. Accettare questo nuovo concetto comporterebbe di trascinarci, nostro malgrado, in conflitti che non sono nostri, ma anche di impedirci di impegnarci in operazioni a difesa dei nostri interessi. Ma la NATO non è diventata uno strumento al servizio degli interessi esclusivi degli Stati Uniti? I paesi europei sono soddisfatti del loro status di vassalli degli Stati Uniti?

 

Le folli conclusioni di questo vertice di Madrid devono essere un’occasione per la Francia di decidere di lasciare la NATO perché l’obiettivo è, ovviamente, trasformare l’UE in un’alleanza militare impegnata in una cultura di guerra. Occorre anche essere consapevoli che questa NATO costituisce, in realtà, un grande ostacolo all’espressione della sovranità dei paesi europei e quindi della sovranità della Francia (della sovranità europea, come direbbe il Presidente della Repubblica francese, Emanuele Macron). In un contesto di totale sottomissione a questa organizzazione, e quindi agli Stati Uniti, non c’è infatti dubbio che l’UE possa accedere alla sua autonomia strategica, pur essendo uno dei suoi obiettivi politici, concetto approvato dal Consiglio europeo e citato più volte dal presidente francese. Questo concetto di autonomia strategica corrisponde in particolare alla capacità dell’UE di difendere l’Europa e di agire con mezzi militari indipendentemente dagli Stati Uniti.

 

Nel contesto attuale, la NATO rappresenta infatti un grosso ostacolo a questa autonomia strategica, ma anche un grosso ostacolo allo sviluppo dell’industria europea della difesa. La lobby americana delle armi è qui, ancora una volta

di più, per manovrare contro i nostri interessi. Senza una ferma volontà di spingere per un’industria europea della difesa veramente efficiente, non ci sarà mai autonomia strategica europea. E senza l’autonomia strategica europea non ci sarà mai una difesa europea, cioè una capacità specifica dei paesi europei di unirsi per difendere i propri interessi e la pace solo sul suolo europeo, cioè mezzi organizzati e comandati dagli europei in completa indipendenza, con mezzi dotati di equipaggiamenti e armamenti europei. Non capirlo significa rinunciare a qualsiasi capacità di prendere decisioni indipendenti e sovrane. D’altra parte, è accettare tutte le conseguenze di un allineamento cieco e dell’appartenenza a un’organizzazione guerrafondaia. La Francia non può condividere né gli interessi strategici né la visione del mondo di questa NATO sottomessa agli Stati Uniti.

 

Detto questo, lo svolgimento di questo vertice Nato a Madrid, quattro mesi dopo l’inizio delle operazioni, conferma la sua incapacità, la sua impossibilità, nonostante le minacce formulate contro la Russia, di dissuadere quest’ultima dall’impegnarsi in Ucraina. Né potrà impedirgli di vincere questa guerra che inevitabilmente si concluderà con la dislocazione dell’Ucraina. È quindi una vera umiliazione per la NATO che sta subendo un schiacciante fallimento di fronte a

a   determinazione russa. La NATO aveva vinto la guerra contro il Patto di Varsavia una trentina di anni fa. Oggi il Patto di Varsavia è scomparso, ma la NATO ha perso la guerra che ha condotto contro la Russia. Questo fallimento potrebbe benissimo materializzare il suo canto del cigno e alla fine segnare la sua morte programmata.

 

GLI STATI UNITI PRONTI A TUTTO, A QUALSIASI COSA PER IMPORTARE IL LORO

EGEMONISMO

 

La situazione che stiamo vivendo oggi in Europa è il risultato di un’oltraggiosa e mortale vassallizzazione dei paesi europei verso gli onnipotenti Stati Uniti dalla fine della Guerra Fredda, poco più di trent’anni fa. Gli europei hanno poi abbandonato i problemi di sicurezza e di difesa propri del continente europeo delegandoli, di fatto, agli Stati Uniti attraverso la NATO. Gli ultimi tre decenni sono stati quindi caratterizzati da una totale mancanza di riflessione e di seria analisi da parte dell’UE su questa nuova situazione di pace che si andava affermando nel continente europeo.

 

L’Ue, e in particolare la Francia, hanno mancato l’appuntamento con la storia negli anni 2000 non prendendo iniziative per stabilire nuove relazioni con la Russia, il cui territorio è peraltro in buona parte europeo (“L’Europa dall’Atlantico agli Urali”). Inoltre, l’intervento della Russia in Siria che ha provocato la sconfitta dello Stato islamico mostra che abbiamo interessi comuni su alcuni temi e in particolare sulla minaccia islamista. Con la sua azione, la Russia ha impedito il crollo della Siria evitando così la presa del potere da parte degli islamisti che avrebbe causato per effetto domino la stessa cosa in Libano e Giordania con una nuova ondata di profughi verso l’Europa. Al contrario, l’azione intrapresa da Stati Uniti e Francia fino ad allora mirava a mantenere un conflitto a bassa intensità il cui obiettivo era quello di indebolire le forze armate siriane fino al rovesciamento del regime siriano. Ricordiamoci: “Al Nosrah fa un buon lavoro” ! (L. Fabius, Ministro degli Affari Esteri)

 

In tutta obiettività, sarà necessario un giorno avviare un dialogo con la Russia, anche solo per lavorare su una nuova architettura per la sicurezza del continente europeo da cui non può essere esclusa in quanto stakeholder. Ma questo sarà possibile solo quando i paesi europei diventeranno adulti e si libereranno dalla tutela degli Stati Uniti. Perché dalla fine della Guerra Fredda, la Russia è diventata un’ossessione per lo stato profondo americano, che rifiuta in particolare qualsiasi relazione tra i Paesi europei e questo Paese. Faranno di tutto perché questo non cambi, anche provocando situazioni che possono degenerare in conflitto armato sul territorio europeo. Questo è quello che hanno fatto con l’Ucraina. La situazione diventa tanto più pericolosa poiché la Russia è sulla strada per ottenere la sua vittoria nonostante gli aiuti materiali forniti dalla NATO all’Ucraina. È chiaro che questo Deep State americano, ostacolato da una vittoria russa incombente, sta diventando più radicale perché non vuole assolutamente che l’egemonia degli Stati Uniti venga messa in discussione.

 

Certo, la Russia ha attaccato l’Ucraina, ma gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per farlo accadere al fine di indebolirla permanentemente nella prospettiva di poter poi dedicarsi interamente alla crescente minaccia rappresentata dalla Cina. Si tratta quindi di una strategia aggressiva che è stata perseguita dagli Stati Uniti contro la Russia per trent’anni. Questa strategia aggressiva è oggi approvata e accompagnata dalla follia sconsiderata di questa UE – la maggior parte dei cui membri si evolve all’interno della NATO – che è diventata guerrafondaia quando dalla fine della Guerra Fredda non ha smesso di disarmarsi e che il confronto con la Russia sarebbe quindi essere suicida. I nostri leader politici farebbero bene a tornare in sé, perché “stiamo infatti camminando verso la guerra nucleare come sonnambuli” (Henri Gaino).

 

Gli Stati Uniti hanno un’immensa e piena responsabilità nell’impegno del conflitto

tra Ucraina e Russia che stavano preparando dal 2014 con la rivoluzione di Maidan, un vero e proprio colpo di stato fomentato dalla CIA. Inoltre, non è difficile dimostrare questa ossessione antirussa che è diventata addirittura patologica.

 

Non era questa strategia, questa politica deliberatamente aggressiva nei confronti della Russia, ideata e presentata da Zbignew Brzezinski e inclusa nel suo libro “Le grand échiquier” nel 1997? “L’America ha assolutamente bisogno di conquistare l’Ucraina, perché l’Ucraina è il fulcro della potenza russa in Europa. Una volta che l’Ucraina sarà separata dalla Russia, la Russia non sarà più una minaccia” . In una frase, ciò che viene designato come obiettivo da raggiungere può essere inteso solo come una dichiarazione di guerra. Alla luce di questa sentenza, si comprendono meglio, infatti, le ragioni che hanno portato, da un lato al non scioglimento della NATO, dall’altro alla sua infinita espansione verso est fino ai confini della Russia. Ma poi, in queste condizioni, i nostri leader politici non possono non capire che la Russia non può permettersi di perdere l’Ucraina, né strategicamente, né demograficamente, né linguisticamente, né economicamente, né storicamente. L’attuale guerra è più di un semplice conflitto tra Ucraina e Russia. Per la Russia questa è una questione esistenziale e questa guerra è per lei, in realtà, una guerra difensiva e preventiva.

 

L’analisi dei fatti porta a mostrare che ci siamo trovati di fronte a uno scenario dalle forti connotazioni mediatiche sviluppatosi a Washington che ricorda peraltro quello che aveva legittimato l’invasione dell’Iraq nel 2003. Per gli Stati Uniti, la Russia doveva essere spinta nel torto e gli europei si sono mobilitati dietro di loro e dietro la NATO. Hanno costruito una minaccia che non esisteva e si sono impegnati in un’importante operazione psicologica sperando che le loro profezie si sarebbero avverate e che la Russia avrebbe commesso l’errore. Va ricordato che nel 2003, dopo un intenso e ingannevole bombardamento mediatico, dopo aver ignorato la decisione dell’Onu, hanno attaccato Saddam Hussein, cosa che oggi non possono fare con Vladimir Putin. La Russia non è né Iraq né Serbia. Tuttavia, dobbiamo rimanere vigili perché sono pronti a tutto, anche a creare un incidente reale o falso da incolpare dei russi. Non dobbiamo dimenticare che per spingere in errore la Russia, hanno convalidato l’offensiva ucraina sul Donbass lanciata il 16 febbraio. È stata lei a provocare l’intervento russo in Ucraina il 24 febbraio.

 

Per confermare anche questa guerra dichiarata contro la Russia dagli Stati Uniti, guerra per procura attraverso l’Ucraina, ma guerra lo stesso, bisogna aggiungere alla lunga lista di controversie, l’accordo di partenariato strategico e tra Washington e kyiv firmato il 10 novembre 2021 , tre mesi prima dell’offensiva ucraina sul Donbass del 16 febbraio 2022 e della risposta russa del 24 febbraio. Questo accordo, che suggellò un’alleanza tra Stati Uniti e Ucraina, era diretto contro la Russia e prometteva l’ingresso di Kiev nella NATO. Questo passo non costituiva una vera provocazione, ancora una volta, per spingere Mosca alla colpa? Devi essere disonesto per negarlo!

 

Inoltre, dopo il colpo di stato di Maidan organizzato nel 2014 dalla CIA per rimuovere un leader filo-russo democraticamente eletto, gli Stati Uniti hanno consigliato gli ucraini, assumendo anche il controllo in alcune aree. Dopo la drammatica svolta della situazione a Odessa, Mariupol e Donbass, e la rivolta delle popolazioni di lingua russa provocata da alcune decisioni del regime di Kiev, Minsk I (5 settembre 2014) e Minsk II (12 febbraio 2015) accordi intesi a portare la pace nel paese sono stati firmati sotto l’egida dell’OSCE, Francia e Germania che ne hanno garantito l’applicazione. Tuttavia, questi accordi non furono mai applicati, poiché il regime di Kiev era piuttosto recalcitrante, Francia e Germania passive perché sotto l’influenza americana. Furono, in realtà, sabotati dagli Stati Uniti che non volevano l’Europa con la

Francia e Germania sono in movimento. D’altra parte, era nell’interesse degli Stati Uniti, nella loro strategia, che persistessero tensioni tra la parte occidentale dell’Ucraina filoeuropea e la parte orientale filorussa.

 

Infine, è necessario che i dirigenti europei – e in particolare i francesi – di cui guidano i popoli siano domani le prime vittime se una guerra fosse iniziata sul proprio territorio da apprendisti stregoni machiavellici, pronti a tutto per preservare e imporre la loro egemonia, deve rendersi conto che se continuiamo a provocare Mosca, rafforziamo solo il nazionalismo russo e la sua ostilità

a   verso Ovest. Non è nell’interesse dell’Europa. “Penso che la scelta di continuare l’allargamento della NATO sia stata un errore, e la posizione che la NATO ha preso a Bucarest nel 2008, promettendo a Ucraina e Georgia che un giorno sarebbero diventate membri, sia stato il peggior compromesso: preoccupava i russi senza dare sicurezza ai due paesi interessati. Dopo la fine della Guerra Fredda, sarebbe stato necessario ripensare a fondo l’ordine europeo, ed era ipocrita sostenere che l’allargamento della NATO fosse compatibile con lo sviluppo di un vero rapporto di amicizia con la Russia. (Jean-Marie Guéhenno, ex vicesegretario generale del Dipartimento per le operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite ) .

 

Questa affermazione è improntata al buon senso. Ma non corrisponde alla visione degli Stati Uniti. Per questi ultimi, questo continuo allargamento della NATO, che può essere considerato, con il senno di poi, un errore, è solo il filo conduttore della loro strategia di guerra dichiarata da più di trent’anni contro la Russia. Mantenere la NATO era quindi un imperativo per gli Stati Uniti poiché faceva parte della loro strategia antirussa del dopo Guerra Fredda. Si potrebbe dire che questo è, in effetti, un errore per coloro che sostengono la pace nel continente europeo. Chi va in guerra, al contrario, crede che sia una questione di ragione o di chiaroveggenza.

 

Per questo dobbiamo smettere di pensare che gli Stati Uniti siano una potenza disinteressata, pacifica e benefattore. Dalla fine della Guerra Fredda, hanno dimostrato un’egemonia senza precedenti imponendo senza ritegno, anche con violenza, le sue leggi sul resto del mondo. Conducono, infatti, una politica che risponde solo ai propri interessi che non sono i nostri. Non dovresti mai dimenticarlo.

L’UNIONE EUROPEA  FIRMA IL SUO SUICIDIO GEOPOLITICO E GEOSTRATEGICO

 

Per quanto riguarda l’UE, settimo punto, il 24 febbraio 2022, giorno dell’avvio delle operazioni russe in territorio ucraino, i suoi leader si sono incontrati in un vertice straordinario e hanno deciso nuove sanzioni contro la Russia (relative al settore finanziario, quelle dell’energia e dei trasporti , sanzioni aggiuntive contro i cittadini russi, politica dei visti, …) dopo quelle stabilite nel 2014 e tuttora attive. In una dichiarazione congiunta, hanno condannato l’aggressione militare affermando che, “con le sue azioni militari non provocate e ingiustificate, la Russia viola gravemente il diritto internazionale e mette a repentaglio la sicurezza e la stabilità europea e globale. L’insistenza nell’usare la dicitura “azioni militari non provocate” chiarisce che la provocazione statunitense era reale e ammessa da alcuni dei leader. Ma riconoscerlo ufficialmente significava mostrare una certa incoerenza con la decisione di adottare sanzioni contro la Russia. Questa dichiarazione congiunta segna quindi il primo passo nella sottomissione dell’UE agli Stati Uniti in questo conflitto. Nel corso delle settimane sono state adottate altre serie di sanzioni, tra cui quella di sospendere la trasmissione dei media russi nell’UE o di fornire assistenza all’Ucraina e persino di dotarla di equipaggiamento militare. Inoltre, il Consiglio europeo del 23 giugno ha concesso all’Ucraina lo status di candidato per l’UE.

 

Respingendo fin dall’inizio la diplomazia e assumendo la causa dell’Ucraina senza tener conto della storia e in particolare, dopo il colpo di stato di Maidan fomentato dagli Stati Uniti, l’evoluzione di questo paese corrotto e concedendogli, inoltre, lo status ufficiale di candidato per l’ingresso nell’Unione Europea bisogna ammettere che l’Ue sta creando una grande e pericolosa rottura geostrategica con la Russia.

 

L’atteggiamento della Francia, che ha presieduto questa Unione durante la prima metà dell’anno 2022, è stato particolarmente biasimevole perché ha mancato questo appuntamento nella storia che avrebbe potuto consentire all’Europa di svolgere un ruolo importante e decisivo nell’allentare le tensioni soprattutto a livello inizio del conflitto, ancor prima che scoppiasse nei giorni o nelle settimane che lo hanno preceduto. Bisogna ritenere che l’UE non sia in grado di districarsi da questa paralizzante tutela americana che le impedisce di comprendere quali siano i propri interessi.

 

Aver seguito ciecamente gli Stati Uniti che volevano la guerra e hanno fatto di tutto perché scoppiasse è imperdonabile! Eppure la politica estera dovrebbe basarsi rigorosamente sul calcolo delle forze e dell’interesse nazionale. Questo principio sembra essere stato dimenticato. Gli europei non hanno alcun interesse a confrontarsi sul proprio suolo con la Russia. È suicida! Dalla fine della Guerra Fredda, una nuova architettura di sicurezza in Europa avrebbe dovuto essere sviluppata con la Russia. Questo è un principio di buon senso e nell’interesse delle parti interessate. Inoltre, lo stesso Henry Kissinger non ci ha ricordato: “Non abbiamo fatto alcuno sforzo serio per associare la Russia a una nuova architettura di sicurezza in Europa”?

 

Eppure all’inizio degli anni 2000, e durante il suo primo mandato, Vladimir Putin era disposto ad aprirsi all’Europa e all’Occidente. La mancanza di risposta da parte degli europei, direttamente interessati dall’instaurazione o, almeno, dall’avvio di nuove relazioni con la Russia, è del tutto incomprensibile. Possiamo solo deplorare, da un lato, la cecità degli europei alimentata dal loro allineamento incondizionato con gli Stati Uniti e la NATO ostili a questo riavvicinamento, dall’altro, e soprattutto, la loro mancanza di visione geopolitica e di lungo termine

geostrategico. La Russia infatti potrebbe diventare e avrebbe potuto diventare un partner, anche un prezioso alleato di fronte alle sfide geopolitiche dell’Europa diverse da quelle degli Stati Uniti con sfide particolarmente immense, per noi europei, domani nel Mediterraneo, confine del Vecchio Continente con l’Africa e il Medio Oriente. L’intervento della Russia in Siria a fine settembre 2015, ad esempio – difendendo il regime siriano stava, di fatto, difendendo i propri interessi – è stato decisivo nella sconfitta inflitta allo Stato islamico. Questa minaccia islamica ci è molto comune e quindi nutre interessi comuni. Questo intervento russo è stato avviato anche dopo la sommersione migratoria subita dall’Europa nell’estate del 2015. Un’invasione che non è stata altro che un attacco senza precedenti ai paesi europei provocato dallo Stato Islamico che aveva promesso nel dicembre 2014. Peccato che l’UE lo abbia fatto non lo capisci in quel modo o non volevi capirlo in quel modo! Ma gli europei non sono in grado di designare il vero nemico, che in termini di relazioni internazionali è un errore, anche una colpa che può essere fatale.

 

Tuttavia, nel caso di questo conflitto, l’UE, commettendo il suo suicidio geopolitico e geostrategico, ha anche avviato il decadimento e il regresso delle sue capacità di sviluppo a causa delle sanzioni imposte alla Russia, sanzioni con effetti molto dannosi, in realtà, per l’Europa economie, perché va ricordato che, agendo in questo modo, l’UE perde uno dei suoi principali partner commerciali. L’allineamento degli europei con la logica bellicosa della NATO e degli Stati Uniti e la loro guerra economica contro la Russia sta portando l’Europa al disastro. Perché queste sanzioni non hanno in alcun modo fermato il conflitto o indebolito Vladimir Putin. Al contrario, l’hanno rafforzata e stanno aggravando le crisi socio-economiche che stanno colpendo e che colpiranno duramente i cittadini europei, a cui si aggiunge una grave e duratura crisi energetica con, in particolare, carenza di gas e petrolio, di cui gli europei sono già le principali vittime. L’isteria non solo nei media che queste sanzioni hanno provocato, ma anche quella specifica dei leader occidentali manifestata in dichiarazioni deliranti mostra la follia, anche la perversione che sembra abitarli. Su questo boomerang e effetto devastante causato dalla risposta russa che priva gli europei della loro fornitura di gas, la palma della perversione e del cinismo potrebbe essere assegnata al presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, pronto a sacrificare gli europei sull’altare della sua guerra contro la Russia e che ha affermato senza scrupoli: “Tagliare il gas russo danneggerà l’Europa, ma questo è il prezzo che sono pronto a pagare” ! (sic).

 

La risposta russa alle sanzioni europee ha messo in luce anche grandi differenze di politica energetica da parte degli europei e la dipendenza molto marcata dalla Russia in quest’area di alcuni paesi come la Germania. Questa mancanza di coerenza europea è ovviamente fonte di divisione, soprattutto quando si verifica una crisi come quella che stiamo vivendo oggi ed è quindi un segno di debolezza. È in un tale contesto che il ministro francese dell’Economia e delle Finanze, Bruno Le Maire, ha dichiarato, incautamente, che le sanzioni decise dovrebbero mirare al collasso dell’economia russa: “Faremo una guerra economica e la finanza totale per Russia. Causeremo il collasso dell’economia russa” . In termini di crollo dell’economia russa, il risultato di oggi è piuttosto inaspettato con in particolare un euro ai minimi contro il dollaro ma anche contro il rublo russo che ha superato il livello pre-crisi. L’Europa deve ora affrontare gravi conseguenze che avranno un impatto serio e duraturo sulla vita quotidiana degli europei. Le tensioni sui prezzi dell’energia, delle materie prime e dei generi alimentari, aggravate dal rischio di penuria, avranno effetti disastrosi, tanto più che questo conflitto ha portato alla stagflazione globale, combinando un’elevata inflazione e una stagnazione economica o addirittura recessione.

Infine, non possiamo discutere dell’UE nel contesto di questo conflitto tra Ucraina e Russia senza affrontare la decisione della Commissione europea, approvata dal Consiglio europeo del 23 giugno 2022, di concedere all’Ucraina lo status di candidato all’UE.

 

Ancora una volta i vertici europei e la Commissione Europea nella persona del suo Presidente si stanno liberando dalle regole stabilite per l’avvio del processo di richiesta di adesione all’Unione Europea. Infatti, l’aspetto emotivo del contesto imposto dal presidente ucraino costituisce una deriva e un’ingerenza inaccettabili e insopportabili nelle regole di funzionamento dell’UE. È vero, l’Ucraina è stata attaccata dalla Russia. Ma ciò non conferisce a Volodymyr Zelensky il diritto di dettare ai leader europei ciò che dovrebbe essere fatto oa questi ultimi di affrancarsi dai principi e dai regolamenti che regolano il funzionamento dell’UE. In effetti, questi dirigenti, nessuno dei quali osa dirgli di no, sembrano paralizzati dall’arroganza, dall’impertinenza e dal coraggio di questo presidente, che è però corrotto come gli oligarchi che lo sostengono. La Commissione europea e i leader europei hanno già dimenticato il dossier Pandora Papers, pubblicato sulla rivista Forbes nell’ottobre 2021 da un consorzio di giornalisti investigativi accusandolo di grave corruzione?

 

Ma questa corruzione è in realtà consustanziale alla stessa Ucraina, un Paese totalmente corrotto che non rispetta nessuna delle regole imposte a un candidato all’Unione Europea. Inoltre, fino ad ora, l’UE ha ammesso tra le sue fila i paesi “pacificati” per evitare di importare ogni sorta di conflitto che indebolirebbe l’istituzione e le relazioni tra i suoi membri. Tuttavia, per quanto riguarda l’Ucraina, questo Paese non è solo corrotto ma è un’aggravante, è in guerra! Inoltre, l’Ucraina ha capito che, essendo stata brutalmente chiusa la porta della NATO il 24 febbraio 2022, è imperativo aggirare l’ostacolo per entrare nell’UE, secondo Volodymyr Zelensky, a torto oa ragione – piuttosto giustamente – che l’UE ha la NATO come sua struttura difensiva. Vladimir Poutine fa la stessa analisi, anche se ha dichiarato – per ragioni non riconosciute – di non essere contrario al principio dell’ammissione dell’Ucraina nell’UE. I leader europei non possono quindi accettare questo processo di ammissione dell’Ucraina nell’UE. Questo paese importerebbe quindi una pericolosa controversia e genererebbe disordini nell’UE per il futuro.

 

L’UE e i leader dei paesi membri farebbero quindi bene nell’immediato futuro a non perseguire un percorso dominato dall’emozione e dall’assenza di analisi a freddo della situazione e di non liberarsi dalle regole stabilite. . Attraverso le decisioni finora prese, l’UE si sta infatti allineando dietro due potenze esterne fortemente impegnate contro la Russia, gli Stati Uniti e il Regno Unito. Coinvolge così nella guerra che viene dai paesi che non hanno espresso la loro opinione, una guerra che non è la loro.

 

LA FRANCIA MANCA L’APPUNTAMENTO CON LA STORIA

 

La fredda analisi della posizione della Francia – membro dell’UE e della NATO – in questo conflitto è essenziale e importante per diverse ragioni, tra cui in particolare il fatto che il nostro Paese ha presieduto l’Unione Europea durante la prima metà di quest’anno 2022 e perché noi erano nel bel mezzo della campagna per le elezioni presidenziali. Questi due elementi sono, inoltre, correlati. Il Presidente della Repubblica uscente li ha integrati a calcolo nella sua campagna presidenziale che in realtà è stata una non campagna, una scelta deliberata volta a non parlare dei suoi risultati. In effetti, il fatto di non aver chiesto il rinvio della presidenza dell’Ue per motivi di elezione presidenziale è indicativo dei calcoli dei politici, compreso quello di evitare di fare campagna elettorale e di avvalersi di tale carica per facilitarne la rielezione. . È facile far credere ai cittadini che una simile accusa è incompatibile con i vincoli di una campagna elettorale. Ma è anche indicativo della volontà di apparire, al termine di un mandato turbolento, l’unico in grado di salvare i francesi da una guerra che incombeva a causa delle tensioni tra Ucraina e Russia. In queste circostanze, il popolo tende sempre, sotto l’effetto del dubbio e della paura, specie quando viene mantenuto, a preferire non cambiare nulla alla testa dello Stato. Questo è il motivo della rielezione del presidente, Emmanuel Macron, una rielezione di default. Ne è prova l’insolita dissociazione operata dagli elettori tra le elezioni presidenziali e quelle legislative. Il presidente questa volta non ha ottenuto una vera maggioranza nell’Assemblea nazionale.

 

Stabilito il contesto politico francese, la posizione ufficiale della Francia è stata data dal Ministero per l’Europa e gli Affari Esteri: otto anni dopo l’annessione illegale

 

Crimea e l’inizio del conflitto nell’Ucraina orientale nel 2014, la Federazione Russa ha lanciato un’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio 2022. Di fronte a questa situazione, la Francia si è mobilitata per ottenere un cessate il fuoco immediatamente dalla Russia. Resta solidale con gli ucraini e si impegna, insieme agli altri Stati membri dell’Unione europea, ad adottare sanzioni contro la Russia, ad aumentare il prezzo della guerra e ad influenzare le scelte del presidente russo Vladimir Putin.

 

Vediamo, leggendo questo testo, che mentre la Francia fa riferimento all’anno 2014, non lo fa oggettivamente poiché, a seguito della guerra civile scatenata nell’Ucraina orientale dal regime di kyiv (l’annessione della Crimea) ne è l’origine . Quindi, possiamo capire che dopo “l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 dalla Russia” la Francia si sta mobilitando per ottenere un cessate il fuoco immediato da parte della Russia. Tuttavia, questo per dimenticare cosa ha causato questa invasione, ovvero la campagna di massicci bombardamenti sul Donbass dal 16 febbraio 2022 completamente nascosta e che doveva precedere un’importante operazione di pulizia in questo settore. Infine,

” impegnarsi insieme agli altri Stati membri dell’Unione Europea (membri peraltro della NATO) ad adottare sanzioni contro la Russia” , non è forse schierarsi sin dall’inizio e di conseguenza, nel decidere le sanzioni, chiudere brutalmente ogni prospettiva diplomatica?

 

Tuttavia, presiedendo l’Unione Europea, la Francia ha avuto l’opportunità di svolgere un ruolo di primo piano – per sé e per l’Europa – nel provocare, anche prima dello scoppio del conflitto, a partire da gennaio 2022, discussioni tra ucraini e russi ai massimi livelli, addirittura provocare e organizzare una Conferenza di Pace volta a ridurre le tensioni ea far ragionare le due parti contrapposte.

 

La Francia ha dovuto rifiutare questa spirale quando c’era ancora tempo e prendere l’iniziativa

mediare in questo conflitto. Il suo status di potenza nucleare e di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite le conferisce responsabilità. Il fatto di presiedere l’Unione Europea gli ha conferito altri. Potrebbe farlo, però, solo avendo il coraggio di ritrovare una certa indipendenza nell’analisi e nelle proposte da presentare nell’interesse della pace nel continente europeo, cioè affrancandosi dalla tutela del Regno Stati e rifiutando l’allineamento con l’orientamento bellico della NATO. L’indipendenza nella gestione di una crisi come questa è una necessità se vogliamo che la Francia possa svolgere il ruolo di mediatore e possa rendersi utile nella ricerca della sua soluzione. Sfortunatamente, questa non è la scelta che è stata fatta. È deplorevole che il Presidente della Repubblica abbia privato la Francia di tale ruolo mancando a questo appuntamento con la Storia.

 

Dall’inizio di questa presidenza dell’UE, l’approccio del Presidente della Repubblica non si è inserito in una prospettiva di mediazione ma ha confermato il suo allineamento con la posizione degli Stati Uniti e della NATO, ovvero il rifiuto di tutte le cause dell’attuale crisi sulla Russia. Il suo viaggio a Mosca il 7 febbraio, in condizioni insolite (nessuna accoglienza ufficiale in aeroporto, gelida accoglienza di Vladimir Putin, colloquio a distanza di quasi sei ore, assenza di consulenti durante l’intervista, ecc.) è l’illustrazione di disaccordi già formulati tra i due Capi di Stato prima di questo incontro (da qui le condizioni gelide dell’intervista) e quindi di un approccio poco diplomatico a questa crisi del nostro Paese. Di conseguenza, la Francia non poteva imporsi come mediatore neutrale e imparziale. Del resto, come intendere il colloquio telefonico tra il presidente americano e il presidente francese tenuto il giorno prima della trasferta a Mosca di quest’ultimo se non la conferma di un cieco allineamento della Francia sugli Stati Uniti, eppure dietro questa crisi? Sorge allora una domanda: il 7 febbraio, a Mosca, il presidente francese ha rappresentato la Francia, l’UE, la NATO o gli Stati Uniti?

 

Un altro episodio, che stavolta tocca gli eserciti francesi, attesta questa sottomissione del nostro paese agli Stati Uniti. In effetti, il licenziamento del Direttore generale dell’intelligence militare (DRM) non testimonia l’incapacità dei nostri leader di accettare e difendere le analisi dei nostri servizi di intelligence, che sono perfettamente fondate, con il pretesto che differiscono da quelle dei servizi segreti americani Servizi? Reato di lesa maestà nel caso di specie, gli Stati Uniti “avevano ragione” nelle conclusioni tratte dai loro servizi di intelligence. Solo che in seguito “avevano ragione” per un motivo molto semplice: non potevano non avere ragione poiché facevano di tutto per realizzare le loro conclusioni. Al di là della palese disonestà intellettuale, è la negazione stessa dell’Intelligenza e il coronamento del cinismo, della manipolazione e della disinformazione più abietti. Sanzionare questo generale, l’esempio stesso di un vero servitore dello Stato, dopo l’aggressione russa del 24 febbraio, che non era lo scenario favorito dal DRM, non aiuta chi ha preso questa decisione. Hanno anche gettato, scaricando le proprie responsabilità, un discredito ingiustificato e immeritato sui nostri servizi di intelligence!

 

È chiaro che questo conflitto è un’occasione per comprendere meglio la personalità e il comportamento del presidente francese messo a dura prova di fronte a una situazione delicata che può degenerare in qualsiasi momento sul territorio europeo a causa di decisioni sbagliate o reazioni incomprese o provocatorie. La decisione di aiutare l’Ucraina e dotarla di armamenti pesanti, ad esempio, è un segnale forte che può essere inteso dalla Russia come un atto di cobelligeranza da parte della Francia, che ha presieduto l’UE nel corso della prima metà del 2022 La mancanza di reazione da parte della Russia non significa che non reagirà se lo riterrà necessario. Ancora una volta, questa guerra Ucraina-Russia è una guerra americana, non nostra o dell’UE. È qui

Ecco perché la posizione della Francia in questo conflitto avrebbe dovuto essere ben diversa, favorendo la pace nel continente europeo. Inoltre, Emmanuel Macron, come il suo predecessore François Hollande, ha un’immensa responsabilità – come i suoi omologhi tedeschi ma ancor di più la Francia, potenza nucleare e membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu con compiti aggiuntivi – nell’innescare questa guerra. Francia e Germania sono state, infatti, firmatarie e garanti dell’applicazione degli accordi di Minsk firmati nel 2014 e nel 2015. La Francia avrebbe dovuto fare di tutto per costringere un’Ucraina recalcitrante ad applicare tali accordi. Con la sua rinuncia, dal 2014 ha permesso agli Stati Uniti di fare di tutto perché questa guerra scoppiasse.

 

Questo conflitto, inoltre, è anche testimone di una deriva oscena nella politica di comunicazione prediletta da Emmanuel Macron, che non esita a infrangere i codici della diplomazia per, in uno sfrenato impulso narcisistico, inscenare se stesso in un servizio televisivo in cui rivela conversazioni reputate essere discreti, anche segreti, in particolare con Vladimir Putin, il 20 febbraio, quattro giorni prima dell’inizio dell’operazione russa. Contravviene quindi deliberatamente alle regole e ai costumi stabiliti nella diplomazia, che non viene esibita ma viene solitamente esercitata con discrezione. Questo esercizio dell’azione del Presidente della Francia, che esercita la presidenza dell’UE, è riprovevole per diversi motivi.

 

In primo luogo, dà l’impressione di ritenere che questa diplomazia a cielo aperto costituisca un mezzo efficace per esercitare pressioni su Vladimir Putin. Crede che rendere pubblico uno o più passaggi della conversazione tenuta con il presidente russo – passaggio scelto perché lo ritiene dannoso e devastante per Vladimir Putin – renda possibile prendere a testimoniare l’opinione pubblica e possa far piegare quest’ultima. È patetico.

 

Poi, ovviamente, sta commettendo una grande imprudenza affrancandosi dalle regole della diplomazia perché, non solo le cancellerie di tutto il mondo possono solo essere sorprese, anche offese da un simile comportamento del rappresentante di un grande paese come la Francia, ma Lo stesso Vladimir Putin non sarà indotto a rifiutare d’ora in poi qualsiasi conversazione telefonica con il presidente francese? È un rischio certo che indebolisce tutte le nostre relazioni esterne e un rischio pericoloso di rompere il dialogo, anche difficile, instaurato con Vladimir Putin in un periodo di estrema crisi. In ogni caso, è la Francia ad essere screditata. La domanda che sorge allora è questa: cosa cerca davvero Emmanuel Macron adottando un metodo così provocatorio? L’innesco di un incidente che porta a uno scontro militare con la Russia? Il potere in genere inebria chi lo detiene, ma la situazione attuale non è quella di una crisi di tipo sanitario come quella vissuta negli ultimi due anni e durante la quale il Presidente della Repubblica l’ha esercitato in modo brutale. Sembra, in questo caso, comportarsi come un bambino immerso in un gioco di strategia in cui manipola i suoi soldatini di piombo. “Guai alla Città il cui principe è a bambino ! »

In questo episodio inquietante e inquietante, i nostri media si sono affrettati a prendere il posto di France 2 dopo la messa in onda del documentario, intitolato “Scambio surrealista tra Poutine e Macron” . Secondo i media, i commenti di Vladimir Putin sono surreali. Tuttavia, se vogliamo analizzare, dal punto di vista diplomatico o delle relazioni internazionali in questo contesto esplosivo, lo scambio di osservazioni tra il presidente russo e quello francese, sarebbero piuttosto quelle di quest’ultimo ad essere surreali e per di più potenzialmente devastanti alla sua credibilità. In effetti, il suo “Non ci interessano le proposte dei separatisti” testimonia o di una mancanza di conoscenza del fascicolo e in particolare degli accordi di Minsk, oppure, per l’aggressività delle sue osservazioni, di un tentativo di destabilizzazione e abbattimento il presidente russo o un calcolo volto ad escluderlo definitivamente

questi accordi di Minsk che non sono stati applicati dalla loro firma nel 2014 e 2015. Ciò che è quindi surreale e sconvolgente è la dichiarazione di Emmanuel Macron che conferma, infatti, il suo totale disinteresse per gli accordi di Minsk di cui era comunque responsabile far rispettare e, di conseguenza, la sua responsabilità, quindi la responsabilità della Francia (firmataria e garante della loro applicazione) nell’aggravarsi della situazione che ha portato all’aggressione della Russia. Inoltre, veniamo a capire che lo scopo della sua chiamata era convincere Vladimir Putin ad accettare un incontro con il presidente americano, Joe Biden, a Ginevra per tentare una de-escalation al vertice. Emmanuel Macron conferma così la sua impotenza e il fatto di non essere l’interlocutore giusto nella composizione di questa crisi che, di fatto, contrappone gli Stati Uniti alla Russia. Strabiliante e surreale che non abbia tratto le conseguenze per l’UE che stava presiedendo!

 

D’altra parte, la sua affermazione relativa alla legge sfrenata, durante questa intervista, in tono ironico e sarcastico “Non so dove il tuo avvocato ha imparato la legge” sta rivelando questa tendenza a voler imporre certi principi agli altri. che non si applica a se stessi. L’area sensibile della vendita, esportazione o fornitura di armamenti, soprattutto pesanti, è soggetta a vincoli molto severi. La consegna dei fucili Caesar rispetta le regole imposte dalle decisioni dell’Unione Europea che vietano la fornitura di armi a   un paese belligerante senza essere in grado di assumerne il controllo e l’uso legale? L’interrogazione è stata posta al Presidente della Repubblica dalla Federazione francese Opex con lettera del 10 maggio 2022 inviata in copia al Ministro delle Forze armate e al Capo di Stato Maggiore Generale delle Forze Armate. Risponderà? Questo è un argomento che dovrebbe mobilitare gli avvocati.

 

Inoltre, durante il G7 svoltosi in Germania, a fine giugno 2022, il Presidente della Repubblica ha dichiarato, durante la conferenza stampa di chiusura, che la Russia “non può e non deve vincere la guerra contro l’Ucraina. » Questo tipo di dichiarazioni non è idonea, da un lato a rafforzare l’ardore della Russia, dall’altro a far credere all’Ucraina, indebolita dopo diversi mesi di combattimenti, di vincere? Se la Francia non è in guerra con la Russia, come indica con molta cautela Emmanuel Macron, come interpretare o interpretare questa affermazione “la Russia non deve vincere questa guerra” vista la situazione sul terreno oggi sfavorevole all’Ucraina di oggi? Dobbiamo capire che la Francia si farà coinvolgere quando la situazione diventa critica per l’Ucraina? È questo il senso di questo dispiegamento piuttosto frettoloso delle forze francesi in Romania, esempio di una gesticolazione politica non solo inefficace per il volume delle forze schierate, ma inutile e soprattutto costosa (su entrambi i fronti, peraltro, poiché i nostri eserciti devono affrontare un taglio al loro budget di 340 milioni di euro nell’ambito della solidarietà del governo per l’accoglienza dei rifugiati ucraini e una riduzione del personale nel 2021 che si traduce in un disavanzo di 785 posizioni mentre hanno dovuto aumentare). Questa nuova operazione di comunicazione non è certo destinata a rassicurare sulle conseguenze a lungo termine di tali dichiarazioni o decisioni.

 

Infine, nella sua intervista del 14 luglio, Emmanuel Macron, pur confermando la necessità di mantenere o addirittura rafforzare ulteriormente le sanzioni, accusa la Russia di usare l’energia come arma di guerra. Ciò è di fatto falso poiché la Russia continua a transitare gas, in particolare attraverso l’Ucraina, che incidentalmente lo utilizza in transito. Si immagina davvero dove sarebbe l’Europa se Vladimir Putin avesse chiuso il rubinetto del gas? Ma può il Presidente della Repubblica rispondere a una semplice domanda: chi è stato il primo a parlare di dichiarare una guerra economica totale alla Russia finalizzata al suo crollo se non il suo ministro dell’Economia e delle Finanze, Bruno Le Maire? È la Francia, vero? Come può essere offeso dal fatto che la Russia reagisca? Questa affermazione non lo fa

non riflette la realtà o la responsabilità di un leader politico. Lei è una bugia.

 

In ogni caso, avendo scelto di allinearsi ciecamente con gli Stati Uniti e la politica bellica della NATO chiudendo le porte alla diplomazia e decidendo sanzioni, Emmanuel Macron non ha forse privato la Francia di uno storico incontro per la pace in Europa? Durante la Guerra Fredda eravamo pronti a morire per difendere la nostra libertà contro il Patto di Varsavia guidato dall’ex Unione Sovietica. I nostri soldati che hanno la responsabilità di difendere e proteggere la nazione, il suo territorio e gli interessi della Francia domani sono pronti a dare la vita per l’Ucraina in una guerra che non è la loro, che non è la nostra?

UN MOTIVO INAVOCABILE PER QUESTA GUERRA

La guerra militare iniziata il 24 febbraio 2022 dalla Russia che ha attaccato l’Ucraina non è stata a lungo preparata dagli Stati Uniti per ragioni diverse da quelle comunemente citate? Non è, in realtà, un pretesto pazientemente costruito fin dall’inizio degli anni 2000 dal deep state americano per difendere la propria egemonia e soprattutto il primato della sua moneta, il dollaro, prima valuta di riserva mondiale nei paesi sviluppati? Paesi?

 

Sono passati quasi vent’anni da quando la Russia ha iniziato un movimento per liberarsi dalle catene della valuta statunitense. Fu così che la Banca Centrale Russa si sbarazzò progressivamente delle sue pretese statali in dollari e della maggior parte dei suoi buoni del tesoro americani accumulati (circa cento miliardi di dollari) sostituendoli con oro in particolare (più di 1.900 tonnellate acquistate dal 2005), ma anche con altre valute ritenute solide. Questo movimento è anche parte di un processo volto a liberarsi dall’extraterritorialità abusiva della legge americana imposta a qualsiasi detentore della sua valuta nel mondo. La Cina, da parte sua, ha compiuto un passo simile per un decennio e ha aggiunto al fastidio degli Stati Uniti gravemente sconvolti perché l’acquisto di oro fisico da parte delle banche centrali è segno di una perdita di fiducia nella capacità del dollaro per mantenere il suo ruolo di conservazione del valore.

 

È in questo contesto che negli ultimi anni Russia e Cina hanno notevolmente ridotto l’uso del dollaro negli scambi bilaterali. Nel 2015 circa il 90% delle transazioni bilaterali è stato effettuato in dollari. Dopo lo scoppio della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e la spinta concertata di Mosca e Pechino ad allontanarsi dal dollaro, questa cifra è scesa al 51% nel 2019.

 

Gli Stati Uniti sono quindi molto arrabbiati con la Russia, che è riuscita ad emanciparsi dalla pressione esercitata dal dollaro sull’economia mondiale, ma anche perché il suo approccio potrebbe diffondere petrolio e quindi sconvolgere l’egemonia e gli interessi americani. Ecco perché il desiderio di indipendenza russa nei confronti della moneta americana costituisce per gli Stati Uniti un atto ostile sul piano monetario, economico e finanziario, perché è tutto il primato mondiale di cui godono abusivamente del suo dollaro ad essere messo in discussione .

 

Sappiamo anche fino a che punto possono spingersi gli Stati Uniti quando i loro interessi sono minacciati quando i paesi che si confrontano con loro cercano di emanciparsi dal dominio del dollaro. Possono diventare molto violenti.

 

Iran, Iraq e Libia, ad esempio, sono stati brutalmente schiacciati per aver tentato di sbarazzarsi delle loro pretese sul Tesoro degli Stati Uniti a causa dei dubbi sulla forza del dollaro. Volevano semplicemente consolidare la ricchezza fornita dai loro proventi petroliferi convertendola in oro. Di fronte alla potenza militare americana al servizio della loro egemonia, questi paesi non hanno saputo difendersi. Sappiamo cosa è successo ai regimi iracheno e libico e ai loro leader. È stato spesso sottolineato come sia stata innescata la guerra in Iraq del 2003: Saddam Hussein ha semplicemente annunciato le transazioni petrolifere in euro. L’ha pagato con la vita. Anche l’esempio del colonnello Gheddafi è edificante. Si era riconciliato con l’Occidente ma il

la guerra è iniziata nel 2011 dopo il suo annuncio della creazione di un dinaro africano basato sull’oro. L’ha anche pagato con la vita.

 

Ma la Russia non è né Iran, né Iraq, né Libia. È una potenza nucleare allo stesso modo degli Stati Uniti che ha la capacità di difendersi. Tuttavia, gli Stati Uniti sono pronti a tutto pur di neutralizzare definitivamente la Russia, anche se non possono attaccarla frontalmente. Né possono essere visti come l’aggressore rivelando al mondo intero la vera causa della guerra, finanziaria e monetaria. Dovevano quindi trovare una soluzione per dichiarare guerra alla Russia, una guerra per procura. Hanno lavorato lì dalla fine della Guerra Fredda attraverso la NATO e la sua politica di continua espansione verso est. Il loro progetto ha preso forma con l’organizzazione di un colpo di stato nel 2014 in Ucraina, paese al confine con la Russia. Da otto anni si fa di tutto per creare le condizioni per un conflitto armato tra Ucraina e Russia. Dovevamo semplicemente trovare un modo perché la Russia lo attivasse. E Vladimir Putin è caduto nella trappola.

 

Questa colpa – perché è un attacco – era però inevitabile. Vladimir Putin non è caduto stupidamente in questa trappola, perché non aveva intenzione di appiccare il fuoco. Sapeva che il costo di un simile conflitto poteva essere pesante. Tuttavia, fu costretto a farlo dal machiavellismo degli Stati Uniti che spinse il regime ucraino a bombardare le popolazioni civili che avrebbero dovuto precedere un’operazione di ripulitura della regione del Donbass. Il presidente russo non poteva non intervenire a protezione delle popolazioni civili, di lingua russa peraltro. Tutto è stato fatto, infatti, per farlo accadere in quel modo e se porta alla morte da entrambe le parti, questo non è certo ciò che preoccupa gli americani che si preoccupano solo dei loro interessi.

 

Non dimentichiamo che gli Stati Uniti sono pronti a tutto per difendere la propria supremazia, compresa la guerra, direttamente o per procura come in questo conflitto. Il rischio di una guerra totale oggi non è dovuto alla Russia ma agli Stati Uniti. La situazione potrebbe cambiare radicalmente nella misura in cui militarmente, sul campo, l’Ucraina sta perdendo la partita nonostante il sostegno dell’Occidente. Gli Stati Uniti non possono non capirlo e il pericolo sta nella radicalizzazione del discorso dei leader americani poco inclini ad accettare la sconfitta del loro progetto, tanto più che l’ondata di sanzioni finanziarie e monetarie decise sarebbe stata devastante per la Russia . Tuttavia, oggi la valuta russa, il rublo, è al massimo. Inoltre, la Russia ha finanze sane. Ha pochi debiti e nessun deficit di bilancio. Inoltre, la sua bilancia commerciale è in attivo, il che non è di gran lunga il caso di tutti i paesi che gravitano attorno e sotto il dominio forzato del dollaro. Bisogna riconoscere che è entrata a   quasi tutte le aree la capacità di autosufficienza, capacità rafforzata nel tempo dalle precedenti sanzioni. D’altra parte, i paesi europei sono duramente colpiti e saranno duramente colpiti dalle conseguenze delle sanzioni che hanno deciso contro la Russia. Questi ultimi dovrebbero, prima che sia troppo tardi, ammettere che questa guerra non è loro.

 

Detto questo, procedendo in questo modo, gli Stati Uniti non hanno forse aperto il vaso di Pandora? Non hanno essi stessi messo in dubbio in molti paesi la sostenibilità del primato del dollaro, perché il sequestro di parte delle riserve russe in dollari ed euro detenute presso le banche occidentali conferma o riesce a convincere il resto del mondo della necessità di non dipende dagli americani e dagli europei.

 

La guerra in Ucraina e le sanzioni innescate dall’Occidente potrebbero così accelerare la riorganizzazione del mondo sul piano monetario. Inoltre, i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) stanno già lavorando alla creazione di a

valuta di riserva che verrebbe calcolata da un paniere di tutte le loro valute. Gli stessi paesi hanno anche avviato la creazione di un sistema di pagamento alternativo a Swift. Questo approccio potrebbe attrarre altri paesi e il gruppo BRICS potrebbe espandersi per includere Iran e Argentina, che hanno presentato domanda. Sarebbero interessati anche Messico e Indonesia.

 

Come possiamo vedere, il mondo potrebbe oscillare con questa guerra tra Ucraina e Russia, in realtà una guerra dichiarata alla Russia dagli Stati Uniti, e il regno incontrastato del dollaro potrebbe essere finito o in procinto di esistere. Gli Stati Uniti lo accetteranno? Non sono pronti a scatenare l’impensabile per opporvisi? La domanda è posta.

CONCLUSIONI RISULTATI

In questo conflitto, nessuno nega che la Russia sia l’aggressore. Questa aggressione va condannata. Ma il regime di Kiev va condannato anche per non aver voluto applicare gli accordi di Minsk che ha comunque firmato nel 2014 e nel 2015. Non dobbiamo dimenticare che Volodymyr Zelensky è stato eletto nel 2019 su un programma di pace con la promessa di allentare le tensioni con la Russia e risolvere la crisi nell’Ucraina orientale. Anche Francia e Germania sono colpevoli di non aver rispettato la loro firma che ha reso questi due paesi i garanti dell’applicazione di questi accordi di Minsk. Gli Stati Uniti e la NATO, per la loro azione svolta per tre decenni contro la Russia e in particolare per la loro azione per dieci anni in Ucraina, devono essere condannati. Infine, gli Stati Uniti hanno fatto di tutto all’inizio del 2022 perché questo conflitto scoppiasse. “Le guerre non sono coloro che le danno inizio, ma coloro che le hanno rese inevitabili”. Questa formula attribuita a Montesquieu illustra perfettamente l’attuale conflitto. I russi hanno iniziato questa guerra, ma gli Stati Uniti l’hanno resa inevitabile.

 

Oggi l’Occidente si affretta a condannare la Russia demonizzando il suo presidente, Vladimir Putin. Sebbene questo conflitto non sia solo militare – ma è anche, tra le altre cose, mediatico – i media e la stragrande maggioranza dei commentatori impongono la loro griglia di lettura per analizzare la situazione e le questioni riprendendo la narrativa sviluppata dal regime di Kiev e trasmessa dagli anglosassoni, oscurando completamente quanto accaduto prima del 24 febbraio 2022.

 

È quindi un’analisi parziale e unilaterale che domina e che rifiuta risolutamente di prendere in considerazione le ragioni storiche che hanno portato a questa tragedia, perché mettono in evidenza il ruolo e la responsabilità degli Stati Uniti, della NATO e del regime di kyiv in questo conflitto che – va ricordato – non avrebbe mai dovuto aver luogo.

 

Inoltre, come interpretare questa isteria totalmente sproporzionata e divenuta patologica antirussa che costituisce in definitiva l’asse maggiore della politica americana, un’isteria meno marcata ma comunque condivisa dai paesi europei il cui interesse è tuttavia l’instaurazione di relazioni pacificate nel continente europeo? Questa stessa isteria, questa stessa condanna si sono manifestate contro gli Stati Uniti che hanno attaccato la Serbia nel 1999 e l’Iraq nel 2003, per fare solo questi due esempi, violando così il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite? Abbiamo condannato i loro numerosi interventi decisi unilateralmente e le loro conseguenze che hanno provocato decine, anche centinaia di migliaia di morti e ingenti distruzioni? Come capire questo ovvio doppio standard?

 

Per chi ha servito la Francia in divisa e ha partecipato alla Guerra Fredda contro il Patto di Varsavia e quindi contro l’ex URSS che l’ha persa, ha poi partecipato alla gestione di altre grandi crisi tra cui quella dell’attacco all’Iraq nel 2003 da parte degli Stati Uniti all’interno un organismo interministeriale che riferisce al Presidente del Consiglio, tutto ciò che riguarda la protezione e la difesa dei nostri connazionali, e quindi della nazione e del territorio nazionale, tutto ciò che lede gli interessi della Francia e quindi le minacce che possono colpire il nostro Paese resta fonte di interesse e preoccupazione. Inoltre, provenendo dalla comunità dell’Intelligence, ritengo di aver acquisito una certa esperienza su come apprendere e gestire una crisi. L’indipendenza in questo ambito è un fattore chiave ed è la capacità di monitorare la situazione il più da vicino possibile e di orientare la propria

fonti (immagini satellitari, ricognizioni aeree, fonti tecniche, molteplici fonti umane di cui bisogna conoscere il livello di affidabilità di ciascuna), determinate dal bisogno espresso, che permette di raccogliere informazioni poi analizzate dagli esperti. Questo lavoro di analisi porta poi alla produzione di sintesi nazionali che vengono messe a disposizione del capo, in questo caso nell’attuale crisi il Presidente della Repubblica che ne tiene conto nelle decisioni che è chiamato a prendere, oppure no. È possibile arricchire questi ultimi attraverso scambi con partner o alleati. Tuttavia, dobbiamo rimanere cauti e mantenere sempre una mente critica per evitare qualsiasi tentativo di evasione o manipolazione da parte di un alleato come gli Stati Uniti quando in determinate aree mostriamo una mancanza e quindi una dipendenza. Non dobbiamo, per mancanza di informazioni per mancanza di risorse nazionali, lasciarci trascinare in azioni che rispondano agli interessi di un alleato come gli Stati Uniti, che può risiedere nelle informazioni fornite. Non si tratta qui di fantasia, ma di un’osservazione vissuta durante la guerra nell’ex Jugoslavia.

 

Inoltre, aggiungo che durante la Guerra Fredda il nemico era proprio il Patto di Varsavia guidato dall’ex Unione Sovietica. Abbiamo vinto questa guerra più di trent’anni fa. Ma da allora sono cambiate molte cose che avrebbero potuto portare a nuove relazioni politiche tra i paesi europei, e in particolare l’Unione Europea, da un lato, e la Russia dall’altro. Del resto, in termini di commercio, questo è proprio quello che è successo dall’inizio degli anni 2000. Ma le sanzioni economiche decretate dopo l’aggressione in Ucraina riflettono la negazione di tutto il lavoro intrapreso da molti anni nel continente europeo nel ben inteso interesse di tutti. È deplorevole che non si sia cercato un riavvicinamento più concreto con la Russia, in particolare nel campo dell’analisi e della lotta all’islamismo, una grave minaccia che grava sull’intero continente europeo e che è comune. Inoltre, è questa minaccia che ha portato la Russia a intervenire efficacemente in Siria alla fine del 2015, evitando così il crollo di questo Paese che avrebbe portato gli islamisti alla presa del potere. Quest’ultimo avrebbe poi provocato per effetto domino la destabilizzazione del Libano e della Giordania, portando a una nuova grande ondata di profughi. Ma è vero che gli europei vassalli non sono capaci né di capire quali siano i propri interessi né di indicare il nemico.

 

L’esempio del conflitto Ucraina-Russia è emblematico di questa incapacità. La narrativa fornita dal regime ucraino e trasmessa o addirittura imposta dagli Stati Uniti è l’unica presentata dai media sovvenzionati ei loro giornalisti denigrano e tradiscono la Carta di Monaco. Questa narrazione non è in alcun modo il prodotto di servizi di intelligence professionali e scrupolosi, ma piuttosto quella di un’impresa distorcente la realtà intrapresa da attori prevenuti, il minimo che possiamo dire è che non sono sempre stati ugualmente virulenti nei confronti di un altro aggressore, gli Stati Uniti . Non è lecito interrogarsi sulle reali motivazioni di chi cerca di imporre questa lettura parziale e di impedire ogni riflessione autonoma e seria? Ovviamente esistono e per noi francesi bisogna porsi delle domande: chi ha deciso di destituire il generale al comando del DRM? È stato sollevato dal suo comando perché il DRM non ha aderito alla versione degli eventi che gli Stati Uniti volevano imporre? Perché abbiamo scelto di allinearci all’analisi americana e rifiutare quella del DRM, che è perfettamente fondata e che, non assecondando l’ipotesi di un attacco russo, ha offerto l’opportunità ai nostri leader di cercare di ridurre le tensioni provocando discussioni? Perché i nostri media continuano a iniziare certe osservazioni con “secondo i servizi di intelligence americani” ? Perché non parlare mai dal punto di vista dei nostri servizi di intelligence? Ai nostri esperti di intelligence è stato chiesto di tacere dopo il discutibile licenziamento del generale al comando del DRM?

Questa guerra è una grande disgrazia per l’Europa, i cui leader purtroppo non sanno come imparare le lezioni della storia perché sono ciecamente sottomessi agli Stati Uniti, il cui obiettivo è impedire qualsiasi riavvicinamento con la Russia. Questa guerra è infatti quella degli americani e non è assolutamente nell’interesse degli europei che si stanno suicidando economico e geopolitico a causa delle sanzioni decise contro la Russia. La Francia non ha alcun interesse da difendere in Ucraina o nel Mar Nero.

 

Gli interessi ben compresi della Francia sono avere e difendere un’analisi indipendente per condurre una politica estera sovrana che non sia dettata da un potente alleato come gli Stati Uniti con cui possiamo avere punti di accordo, ma anche disaccordi, o dalla NATO che ha diventare un’organizzazione non solo offensiva, ma bellicosa al servizio degli interessi americani e non certo europei. Ciò è tanto più ovvio e necessario in quanto prima o poi si dovranno ristabilire nuove relazioni con la Russia per ricostruire uno spazio di sicurezza in cui essa abbia, piaccia o no, il suo pieno posto. Questo riguarda direttamente noi europei e in particolare i francesi. Dobbiamo garantire la protezione dei popoli d’Europa e la stabilità del continente europeo. Questo è l’interesse dell’Europa e quindi dell’UE, chiaramente non quello degli Stati Uniti.

 

Perché il rischio di una conflagrazione oggi sta nel fatto che la situazione militare non si evolve nella direzione prevista dagli Stati Uniti, nonostante i massicci aiuti forniti all’Ucraina, che vanificano fortemente gli obiettivi di quest’ultima e la portano a radicalizzare il proprio discorso . Un’aggravante, questo conflitto in realtà contrappone gli Stati Uniti alla Russia, le due maggiori potenze nucleari del mondo e i leader americano e russo non si parlano! E non sarà certo il presidente francese che d’ora in poi potrà fare da intermediario. Non è riuscito a farlo perché il suo approccio è stato partigiano fin dall’inizio e perché la sua visione della diplomazia a cielo aperto, insieme alle indiscrezioni sulle conversazioni tenute con Vladimir Putin, lo hanno screditato. Possiamo ricordare che durante la crisi dei missili cubani del 1962, fu proprio un negoziato – quindi un dialogo – tra gli Stati Uniti e l’ex URSS a mettere fine all’escalation? Senza questo dialogo sarebbe potuta scoppiare una guerra nucleare. L’ex Unione Sovietica aveva capito che questa questione era considerata esistenziale dagli Stati Uniti e il loro progetto era stato saggiamente abbandonato. Riusciranno oggi gli Stati Uniti a riconoscere, a loro volta, che la questione dell’Ucraina è una questione esistenziale per la Russia e che è tempo di rinunciare alla loro impresa? Quanto all’Unione Europea, si rende conto che non solo sta sacrificando economicamente i popoli che dovrebbe proteggere, ma che li sta mettendo in prima linea in caso di straripamento del combattimento militare al di fuori del campo attuale quando questa guerra non è suo? Grande è la sua responsabilità nell’evoluzione della situazione delle ultime settimane precedenti il ​​24 febbraio scorso.

 

Non volendo ammettere che l’Ucraina non ha potuto aderire alla NATO dopo la continua espansione di quest’ultima ai confini russi dalla fine della Guerra Fredda, non avendo osato tentare di convincere gli Stati Uniti della legittimità della posizione della Russia in materia, il L’Unione Europea ha commesso una colpa imperdonabile. Perché questa colpa risulterà, oltre alle drammatiche conseguenze delle sanzioni economiche che subiranno i popoli europei, da un suicidio geopolitico e geostrategico e dallo smembramento dell’Ucraina che si sarebbe potuto evitare.

 

Infatti, dopo il pesante prezzo pagato dalla Russia durante la prima fase di questa guerra, pensare che i negoziati, quando si svolgeranno, consentirebbero all’Ucraina di tornare alla situazione prima del 24 febbraio 2022 è un grosso errore. La determinazione degli Stati Uniti, della NATO e dell’UE a prolungare un conflitto perduto in anticipo e

la testardaggine del presidente ucraino ha effettivamente messo la Russia in una posizione di forza. Il tempo stringe per quest’ultimo, che ora potrebbe cercare di ricostituire Novorossiya (appendice 5) dando vita a un nuovo Stato che rimarrebbe sotto la guida di Mosca, o che sarebbe annesso alla Russia.

 

Vediamo le conseguenze per noi europei di un allineamento pavloviano di un’Unione europea totalmente sottomessa agli Stati Uniti pronta a sacrificare vite europee per raggiungere obiettivi contrari ai nostri interessi nel continente europeo. Non è forse ora che la ragione si riaffermi e che l’Ue si emancipa finalmente dalla vigilanza impropriamente esercitata dagli onnipotenti Stati Uniti, che le impedisce di decidere da sola? È tempo di adottare un approccio politico ai problemi di natura geopolitica e geostrategica secondo gli imperativi legati alla realtà.

 

I prossimi mesi saranno decisivi per l’Unione Europea.

 

O si rende conto che questa guerra tra Ucraina e Russia era in gran parte evitabile e che ha commesso un errore seguendo ciecamente gli Stati Uniti e la NATO in una mossa contraria ai propri interessi nel continente europeo. Ciò potrebbe comportare uno sconvolgimento collettivo che potrebbe essere provocato anche dalle conseguenze disastrose delle sanzioni decise contro la Russia che subiranno i popoli d’Europa.

 

O l’Unione Europea persiste nel suo errore che traduce, di fatto, un approccio essenzialmente antirusso a questa crisi. Ciò farebbe poi precipitare la sua caduta e la sua perdita di credibilità e influenza, in particolare nel continente europeo. I popoli d’Europa dovrebbero allora soffrire molto più duramente e duramente della Russia per le molte conseguenze delle sanzioni economiche decise.

 

Aggiungo che la Francia ha presieduto l’Unione Europea durante la prima metà del 2022. Purtroppo, ha mancato l’appuntamento cruciale che la Storia le ha offerto con questa crisi, prima e dopo il suo scoppio. Potrebbe anche farci pagare per questo.

 

20 luglio 2022

Generale (2s) Antoine MARTINEZ

annexe 1

annexe 2

Point de situation des combats en Ukraine

 

 

Sources : Liveuamap, Wikipédia

 

annexe 3

Le front dans le Dombass

 

Sources : Openstreetmap.org et @Militarylandnet, Wikipédia, Liveuamap

 

annexe 4

annexe 5

La Novorossiya

En octobre 2014, les rebelles du sud de l’Ukraine joignent leurs forces pour créer les « Forces conjointes de Novorossiya ». La rébellion est rapidement matée par les nouvelles autorités de Kiev. Cet épisode est oublié de nos médias, car il montre que la résistance au coup d’Etat de Maïdan n’était pas limitée au Donbass, mais concernait presque tout le sud du pays. C’est probablement à l’intérieur de ces frontières (à rapprocher de la carte (cf. annexe 6) sur l’usage de la langue russe) que pourrait émerger un nouvel État, sous la houlette de Moscou.

annexe 6

Usage de la langue russe en Ukraine (2003)

https://www.minurne.org/wp-content/uploads/2022/07/ukraine-russie-du-fantasme-a-la-realite.pdf

1 104 105 106 107 108 166