Massimo Morigi a proposito del “podcast-episode-13_ Lo SMARRIMENTO DEI VINCITORI, di Gianfranco Campa”

Un lungo commento di Massimo Morigi  al podcast sulle vicende presidenziali americane, ma con un occhio all’uomo “forte” del recente passato d’Italia

http://italiaeilmondo.com/2017/09/24/httpssoundcloud-comuser-159708855podcast-episode-13/

 

«Dell’ “eroe”, sia pure popolare, nel senso emersoniano Mussolini ebbe ben poco (come ben poco ebbe del vero uomo di Stato, mentre indubbiamente fu un notevole uomo politico); in tutti i momenti nodali della sua vita gli mancò la capacità di decidere, tanto che si potrebbe dire che tutte le sue decisioni più importanti o gli furono praticamente imposte dalle circostanze o le prese tatticamente, per gradi, adeguandosi alla realtà esterna, il che non sembra poi molto diverso. Per molti aspetti fu piuttosto, per usare un suo pseudonimo giovanile, l’homme qui cherche e non l’ homme qui va e trovò la sua via giorno per giorno, senza avere una idea di dove sarebbe arrivato, ma “sentendo” da vero politico, quale fosse la propria direzione. Sotto questo profilo bene ci pare lo abbia capito Maurras quando scrisse nel suo Dictionnaire: “[in C. Maurras, Dictionnaire politique et critique, III, Paris 1932, p.124, nota bibliografica dal testo citato]:Mussolini ne procède pas en doctrinaire idéologue. L’expérience le conseille, il en suit la leçon, soucieux, au jour, de restaurer le nécessaire, nullement ambitieux de précipiter les éléments politiques et sociaux à la manière d’une pâte dans un gaufrier. Néanmoins, si lâche et flottant, ou même dissolu que son dessein puisse paraître, il a une suite et un ordre, il laisse en se développant une trajectoire, et les observateurs sont bien obligés de se dire que tout cela se tient.”» : Delio Cantimori, prefazione a Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, Torino, Einuadi, 1994, p. XXIII.

Così il più profondo e tormentato storico italiano del Novecento, Delio Cantimori, nella sua prefazione, si era nel 1965, alla prima edizione del primo volume della biografia di Renzo De Felice su Benito Mussolini, Mussolini il rivoluzionario, volendo rappresentare in pochi icastici tratti la personalità di Benito Mussolini, ci restituiva la rappresentazione di un uomo né genio né demonio ma quella di un personaggio “umano, troppo umano” in cui le debolezze caratteriali venivano celate da un decisionismo di facciata che copriva un vuoto di pensiero e di progetto politico, e in questo non solo troppo umano ma anche troppo italiano, troppo simile a quegli italiani (in questo veramente uguali al di là delle magliette degli opposti schieramenti di destra e di sinistra) dove sia sul piano personale che su quello pubblico pensano che una petizione di principio ed una trombonata retorica possano fare le veci di un serio impegno personale e di una seria preparazione sui problemi pubblici. Al di là dei decenni e delle sideralmente diverse condizioni culturali e politiche, vichiani corsi e ricorsi della storia (ma, ancor più, dell’eterna natura umana, sempre una natura di tipo conflittual-strategico: l’eterno problema è come questa natura viene declinata, se seriamente o in maniera da pagliacci. Insomma la machiavelliana dannata serietà della politica che, se non presa con la dovuta consapevolezza, e questo è uno dei più importanti lasciti del Segretario fiorentino, non solo si ritorce contro chi l’ha così stoltamente concepita ma si tramuta malignamente in una vera e propria crisi di civiltà): nel fresco ritratto di Donald Trump che ci restituisce il tredicesimo podcast di Gianfranco Campa, “Lo smarrimento dei vincitori”, emerge veramente un Donald Trump con tratti terribilmente simili al cantimoriano ritratto di Mussolini. Non una terribile ed onnicalcolante mente dittatoriale (nel caso di Trump, seguendo la vulgata politicamente corretta: un democratico imbevuto di idee fascistoidi) ma piuttosto, un abile, anzi abilissimo politico, che fece del suo principale difetto, la superficialità, la sua principale se non unica arma per la conquista del potere ed una personalità politica dove il decisionismo è una decisionismo completamente di facciata perché la sua unica preoccupazione fu sempre, almeno fino a quando la sua azione di governo ebbe una certa efficacia, quello di una diuturna mediazione fra le varie componenti del fascismo non creando mai una situazione originale e sfruttando costantemente le varie circostanze che gli si presentavano di fronte senza avere mai un approccio veramente creativo (dopo, quando egli pensò di essere veramente un genio non ascoltò più nessuno e a questo punto la sua superficialità unita ad una crescente megalomania lo dannò): comunque tutto si può dire di Mussolini tranne che non fosse un abilissimo uomo politico (nel peggior senso della parola, ovviamente, e in questa sua assenza di “creatività” politica e fortissimo opportunismo e crescente megalomania, vero “padre ignobile” dell’attuale ceto politico antifascista del regime sorto in seguito alla sconfitta militare e che perdura ancora sfacciatamente nonostante che i miti resistenziali abbiano mostrato la loro funzione di “arma di rimozione di massa” dell’esperienza del fascismo) e tutto si può concedere a Mussolini tranne il fatto che fosse uno statista, essendo il significato del suo percorso pubblico e privato la dimostrazione più lampante del suo esatto contrario, il demagogo, specie umana e politica che infesta in egual modo sia le dittature che le c.d. “democrazie”. Continuava Cantimori nel suo ritratto di Mussolini: «Visto in una simile prospettiva lo studio della vita di Mussolini, pur mantenendo tutte le sue peculiarità, assume in un certo senso un valore “tipico”, che può servire a capire non solo l?uomo Mussolini, ma il significato del fascismo stesso, e può costituire anche una sorta di primo specchio del modo e della misura nei quali il socialismo di Mussolini e poi il suo fascismo furono visti e valutati dai suoi contemporanei. È in questa funzione, anzi, che la nostra narrazione della vita di Mussolini procede con una prospettiva, un inquadramento, che potremmo definire “a ventaglio” (allargandosi cioè a mano a mano che gli orizzonti di Mussolini si dilatano e la sua figura assume una portata maggiore sino ad avere un ruolo nazionale ed europeo e, quindi, ad inserirsi in un contesto che non è più locale, di partito, nazionale, ma internazionale), ma contemporaneamente senza precorrere, se così si può dire, i tempi della sua evoluzione e del suo successo. Più che ricorrere per lumi e per conferme al poi, insomma, abbiamo di volta in volta preferito attenerci al presente; nel pensiero e soprattutto nell’azione di Mussolini è possibile infatti riscontrare, per dirla con Maurras, uno sviluppo, una traiettoria che hanno una loro logica precisa; voler vedere però in certe “svolte”, in certe “scelte” della vita di Mussolini la consapevolezza che esse lo avrebbero portato a certe soluzioni, a certi obbiettivi a lungo raggio ci sembra non solo arbitrario, ma tale da distorcere i fatti e la loro comprensione: si finirebbe per fare di Mussolini l’ homme qui va e quindi per non capire più il vero significato degli avvenimenti attraverso i quali egli pervenne al successo e per ridurre tutte le altre figure ad un ruolo subalterno, a manichini messi nel sacco da un mago istrione e non piuttosto a considerarle più correttamente come altrettanti protagonisti di una vicenda che – bene o male – ha corrisposto al momento di crisi della società liberale postunitaria e al realizzarsi (tra incertezze, sbandamenti ed errori, dovuti appunto alla grandiosità e alla novità di questa trasformazione e all’imponenza della posta in gioco) di una nuova società politica di massa.»: Ivi, pp. XXV-XXVI.

Dai podcast di Gianfranco Campa per “L’Italia e il mondo” emerge “un inquadramento a ventaglio” della vicenda di Donald Trump, una ricognizione che dalla puntuale individuazione delle caratteristiche “umane, troppo umane” del personaggio Trump si allarga alla profonda conoscenza di tutti i protagonisti e comprimari culturali, politici, economici e militari che avversandolo (la stragande maggioranza) o favarendolo (sarebbe meglio dire: creandolo) stanno dando origine all’attuale micidiale scontro strategico all’interno dell’attuale establishment americano. E in questo tumultuoso quadro magistralmente e puntualmente – ma anche con profondi e cupi tratti espressionistici – rappresentato da Gianfranco Campa, Donald Trump appare sempre più, piuttosto che l’ homme qui va , l’homme qui cherche, un homme qui cherche veramente all’insegna delle parole conclusive di Charles Maurras su Benito Mussolini: “Néanmoins, si lâche et flottant, ou même dissolu que son dessein puisse paraître, il a une suite et un ordre, il laisse en se développant une trajectoire, et les observateurs sont bien obligés de se dire que tout cela se tient.” Il gramsciano “ottimismo della volontà” di Gianfranco Campa, in un’analisi talmente partecipe della situazione politica statunitense quasi da voler diventare uno degli attori dello scontro che rappresenta (ma questo atteggiamento “attivistico” non costituisce una debolezza della stessa ma, dialetticamente, indica anche una precisa moralità politica per chi, anche in Italia, si pone in posizione radicalmente alternativa rispetto all’attuale “stato delle cose” ma non si concede la scorata passività dell’osservatore mussoliniano di Charles Maurras), oltre a fare, tramite il suo realismo, letteralmente piazza pulita della “pappa del cuore” della menzogna del politicamente corretto che infesta pressoché tutti i commentatori, destra o sinistra non importa, quando parlano degli Stati uniti, costituisce anche una precisa traccia per un’autentica moralità politica che ponga le basi per quel gramsciano “moderno principe” che dovrà essere l’esatta antitesi del tipo umano e politico rappresentato da Marraus descrivendo Mussolini. Che, proprio perché simmetrica antitesi, non dovrà avere nulla da spartire e combattere come i principali nemici coloro che respingono Trump perché lo rappresentano come un fascistoide …

Massimo Morigi – 26 settembre 2017

podcast-episode-13_ Lo SMARRIMENTO DEI VINCITORI, di Gianfranco Campa

Può capitare che anche l’uomo politico più ostinato e cinico, ma con ancora qualche residuo anelito di compassione represso nel fondo dell’animo, possa essere indotto ad un moto, magari un semplice cenno, di comprensione e conforto verso il suo più acerrimo avversario. Lo sconforto che ha colto in mondovisione John Kelly, capo di gabinetto presidenziale, proprio nelle fasi più colorite ed impetuose dell’intervento di Trump all’ONU, può spezzare ogni resistenza e senz’altro indurre a questo impulso. Bisognerebbe del resto mettersi, anche se di malavoglia, nei panni dei rappresentanti del vecchio establishment americano, in particolare neocon. Per mesi hanno dovuto metter mano a tutto il proprio arsenale e portare allo scoperto anche gli arnesi più riservati, quelli da esibire più come deterrenza che da mettere all’opera; hanno pregiudicato la credibilità dei mezzi di informazione, della magistratura, dei servizi investigativi e probabilmente di importanti settori delle forze armate, ma alla fine sembrava che fossero finalmente riusciti una volta per tutte ad addomesticare il Presidente riottoso e ad isolarlo dalla congrega di cattivi consiglieri. Ecco invece riemergere senza preavviso il Trump baldanzoso delle origini. E da quale pulpito! Niente meno che dall’assemblea generale dell’ONU; un sinedrio certamente poco produttivo di strategie politiche, ma certamente spettacolare nella funzione di propagazione mediatica e nella costruzione di immagine di un personaggio politico. Durante la sua performance ha rispolverato gran parte del suo repertorio d’antan: “America First”, il Nazionalismo, l’antiglobalismo, l’antimultilateralismo, l’indispensabile funzione dello stato; ha concesso rispetto ed ammirazione agli statisti dediti alla difesa degli interessi nazionali del proprio paese. Con qualche inverosimile acrobazia logica ha sostenuto però la coerenza della propria politica estera e l’incoerenza dei cosiddetti “stati canaglia” e dei loro sostenitori più o meno occulti. Un funambolismo troppo audace anche per i più perspicaci ed aperti interlocutori. La gran cassa dei saccenti, dimentichi delle batoste elettorali, non ha tardato a pontificare sull’inaffidabilità e sull’irrazionalità del Presidente. Faremmo torto alla nostra intelligenza, oltre che a quella di Trump, ad assecondare questa tesi. Gianfranco Campa ci illumina come di consueto sulla ragione principale di questo comportamento, tutt’altro che irrazionale. Trump sa benissimo che il proprio salvacondotto, nell’operazione trasformista ancora in corso, rimane la conservazione di buona parte del consenso del nocciolo duro del proprio elettorato. Il vecchio establishment non vuol capire che strattonature ulteriori rischiano di isolare del tutto Trump e trascinare il paese in un confronto politico interno dalla virulenza paragonabile solo a quella già conosciuta a metà ‘800. Il taglio particolare del discorso, inoltre, è motivato probabilmente da un’altra ragione ancora più imbarazzante; si tratta forse di una volontà manifesta di evidenziare la contraddizione e di chiedere tra le righe comprensione e tregua a quelli che avrebbero dovuto essere i suoi interlocutori privilegiati, primo fra tutti Putin, di una politica estera meno interventista e più condivisa. L’inerzia delle attuali dinamiche geopolitiche rende però pressoché impossibili ulteriori prove d’appello. Lavrov, ciò non ostante, ha dichiarato apertamente che “l’attuale incoerenza della politica estera americana” è la conseguenza delle numerose trappole disseminate dalla vecchia amministrazione Obama ai danni del nuovo presidente. Anche su questo Gianfranco Campa è stato particolarmente lucido in un articolo precedente http://italiaeilmondo.com/2017/03/09/sotto-la-copertura-delle-tenebre-di-gianfranco-campa/  _ Giuseppe Germinario

FIN(e)CANTIERI, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto il testo apparso sulla rivista “Difesa Online”  con una valutazione molto critica dei contenuti dell’accordo che si va profilando tra l’italiana Fincantieri e la francese STX riguardo al settore della cantieristica navale. Già quattro anni fa in un paio di articoli avevo trattato di un “misterioso documento”, redatto da una inesistente Lisa Jeanne, riguardante le problematiche e il futuro di Finmeccanica, compresa la divisione cantieristica navale. ( http://italiaeilmondo.com/2017/09/13/astri-nascenti-stelle-cadenti-mine-vaganti-2a-parte-di-giuseppe-germinario-gia-pubblicato-sul-sito-conflittiestrategie-it-il-28112013/  in particolare il paragrafo “LE ASPIRAZIONI NASCOSTE DI LISA JEANNE”). Già da allora si paventava il declino inesorabile e il rischio della perdita di controllo della gestione di una azienda strategica; una delle poche capaci di sviluppare tecnologia, di garantire un minimo di autonomia produttiva nel sistema della difesa e di trasferire nel produzione civile le competenze acquisite. Da allora sono stati compiuti ulteriori decisivi passi indietro nella cessione di queste competenze tecniche e nel controllo delle produzioni del complesso militare. Una scelta colpevole già anni fa, addirittura masochistica e criminale in una fase di incipiente multipolarismo nella quale l’ambito della produzione militare strategica, compreso quello navale, non solo viene sempre più tutelato dagli stati decisi a salvaguardare in qualche maniera la propria autonomia decisionale, ma risulta decisivo, grazie alle crescenti commesse e ai maggiori margini economici, al mantenimento della stessa cantieristica civile e delle stesse produzioni civili ad alto contenuto tecnologico. L’Italia, al contrario, con la cessione della Avio, del Nuovo Pignone, con l’assorbimento di Selenia era già sulla strada di un inesorabile declino e una inevitabile sudditanza. Altri settori apparentemente estranei a questi ambiti, come quello della ceramica e della siderurgia specializzata, seguivano la stessa strada. Da allora il cammino è apparso inarrestabile. Ad esso si aggiunge, in conclusione, l’intenzione di Leonardo di concentrarsi sulla sola elicotteristica civile ed ora di Fincantieri nella costruzione di navi commerciali, settori i quali consentono produzioni dai margini ben più ridotti, poco compatibili con livelli elevati di ricerca. Con il rischio sempre più tangibile di vedere ridimensionati, nel medio termine, anche questi settori. Questo dovrebbe essere uno dei temi fondamentali da trattare per chi volesse realmente costruire una forza politica di interesse nazionale, contrapposta alla palude crescente del nostro scenario politico. Altri temi, come quello dell’immigrazione, pur importanti, dovrebbero fungere da corollario. Sarebbe finalmente il discrimine qualificante tra una forza politica in grado di formare una classe dirigente seria, capace di governare e indirizzare un paese ed una invece esposta e vittima di facili demagogie. Qui sotto il testo e il link di riferimento:

 

FINCANTIERI: THE FRENCH CONNECTION E L’ITALIAN JOB

( http://www.difesaonline.it/evidenza/lettere-al-direttore/fincantieri-french-connection-e-litalian-job )di Damiano Trieste)
11/09/17

L’accordo è ormai cosa fatta. I titoli Fincantieri sono infatti in salita da alcuni giorni ed è ricominciato il mantra celebrativo della nascita del polo franco-italiano della cantieristica militare. Il compito è convincere gli italiani che quella che promette di essere una sonora sconfitta in realtà sarà una luminosa vittoria del nostro capitalismo di Stato. I dettagli non sono ancora noti. Ci avventuriamo però in un’ipotesi (sperando di essere in errore), basata sul pessimismo che la storia recente del nostro Paese e dei suoi centri di potere impone. La nostra sfera di cristallo dice che la soluzione adottata, dopo i proclami indignati dei nostri governanti come reazione per la rimessa in discussione da parte di Macron degli accordi già sottoscritti, privilegerà la Francia a scapito l’Italia, nel senso, per essere concreti, del nostro Pil, dei livelli occupazionali, etc..

Ecco quindi la mossa del cavallo con cui Macron farà scacco matto all’Italia (magari con lo zampino di qualche “fraterno” amico italiano): dare vita a un Polo europeo della cantieristica, suddiviso in due rami. A Fincantieri la gestione, ancorché sotto tutela del governo francese (che non cede la maggioranza della proprietà), del nuovo gruppo industriale Saint Nazaire-Fincantieri per il mercantile; alla francese Naval Groups il controllo del ramo militare di Fincantieri (quello redditizio).

L’impresa che tanto ci aveva inorgogliti, finalizzata alla conquista di un pericoloso concorrente francese, si sta trasformando nel soccorso, con fondi pubblici, ai cantieri di Saint Nazaire per non farli fallire e nella cessione al gruppo francese Naval Groups del controllo della nostra Industria Navalmeccanica militare, con conseguenze pesanti anche per Leonardo. Un bel colpo di scena, non c’è che dire.

Considerato il rapporto di forza fra Naval Groups e Fincantieri militare, la prima capacità a essere anemizzata (come sempre è accaduto nei casi precedenti di merger fra aziende italiane e gruppi francesi) sarà quella progettuale, per ridurci al ruolo di semplici subfornitori. Poi seguirà la dismissione di alcuni cantieri italiani destinati a costruire navi militari, considerati esuberanti rispetto a quelli del nuovo gruppo franco-italiano. Il primo a cadere sarà lo storico cantiere di Castellammare di Stabia, su cui peraltro Fincantieri non ha investito da tempo, seguiranno gli altri. Con buona pace dei Sindacati e dell’indotto industriale italiano, Fincantieri non solo continuerà a trasferire ai cantieri Vaard in Romania carichi di lavoro da Riva Trigoso e dal Muggiano, ma si avvarrà anche dei cantieri francesi, a scapito di quelli italiani, per onorare gli impegni sottoscritti per il mantenimento dei livelli occupazionali di Saint Nazaire. Si prepari quindi Monfalcone, Ancona e poi Palermo (che possiede il più grande bacino in muratura del Mediterraneo in grado di ospitare navi da 350.000 tonnellate – foto).

Sul fronte militare, oltre alle conseguenze negative per l’occupazione nella cantieristica e dell’indotto, fra i danni collaterali ci saranno anche i livelli occupazionali delle aziende di Leonardo. Visto che Thales, il suo principale concorrente possiede il 15% di Naval Groups, è evidente che come conseguenza della leadership francese sul ramo militare, i sistemi d’arma e di comando e controllo di Thales saranno privilegiati sulle nuove navi, rispetto a quelli di Leonardo. Considerato che quasi il 50% del valore economico di una nave militare è rappresentato dai suoi equipaggiamenti, il danno in termini di Pil e di occupazione per l’Italia è evidente. Ancora peggiore potrebbe essere lo scenario se il Governo avesse offerto anche Finmeccanica nel pacco dono ai francesi. In questo caso anche Leonardo verrebbe ridotta progressivamente al ruolo di sub-fornitrice dell’Industria francese.

Il Governo italiano riducendo sempre più il bilancio della Difesa ha demolito non solo le potenzialità operative delle Forze Armate, ma con loro ha impoverito la capacità d’innovazione e più in generale la forza dell’industria ad alta tecnologia della Difesa, rendendola sempre più vulnerabile e meno competitiva sui mercati esteri. Esattamente l’opposto di quello che ha fatto la Francia, che ora si appresta ad assorbire anche le nostre ultime capacità autonome nel settore della Difesa.

È inoltre opportuno chiarire che nonostante i proclami per la creazione di un nuovo Airbus Navale, in grado di accelerare l’integrazione della Difesa Europea, Macron non metterà a sistema Europa tutti i suoi cantieri, ma solo quelli in difficoltà di Saint Nazaire, tenendo per la Francia i cantieri navali a più alto contenuto tecnologico, ovvero quelli in grado di costruire le unità militari più sofisticate fra cui i sottomarini, esattamente come già accaduto con l’Airbus Aeronautico. Anche in il quel caso la Francia tenne separati da Airbus, in mani esclusivamente francesi, gli stabilimenti della Dassault, da cui provengono gli ottimi caccia multiruolo Rafale (foto), con cui la Francia ha fatto, spesso con successo, concorrenza al consorzio europeo Eurofighter.

Una volta di più la Francia accorperà sotto la sua leadership un fastidioso concorrente europeo, mantenendo tuttavia nelle sue mani i gioielli di famiglia. Quindi Europa si, ma a guida francese.

Per il settore mercantile, la mancanza della maggioranza della proprietà non consentirà a Fincantieri, probabilmente con suo grande sollievo, di adottare piani industriali aggressivi per rilanciare Saint Nazaire, potendo scaricare sul suo maggior azionista (lo Stato Italiano) i debiti del cantiere francese, che devono essere davvero poderosi, considerato il prezzo irrisorio di 80 milioni di euro a cui sono stati acquistati. Un prezzo fantastico per un affare convenientissimo. Strano che all’asta si sia presentata, unica fra tutti i grandi gruppi cantieristici del mondo, fra cui il colosso tedesco ThyssenKrupp, solo Fincantieri. Possibile che Bono sia stato l’unico a fiutare l’affare?

Ai meno ingenui tutta l’operazione appariva sin dall’inizio come il salvataggio di Saint Nazaire e non un’acquisizione per eliminare un pericoloso concorrente nel segmento delle grandi navi passeggeri, come veniva raccontato al pubblico italiano. Sarebbe stato assai più vantaggioso per Fincantieri lasciare che i cantieri di Saint Nazaire fallissero, senza accollare alla nostra finanza pubblica anche questo fardello. Anche la giustificazione addotta in merito alla mancanza di spazi per costruire navi passeggeri da 200.000 tonnellate non ha senso, visto che Fincantieri possiede a Palermo (foto) un bacino in muratura in grado di contenere navi di grandissimo tonnellaggio (300.000 tons.) molto superiore a quello richiesto per le nuove pur grandi navi passeggeri. Sarebbe bastato investire risorse nel cantiere siciliano invece che all’estero, per disporre di uno stabilimento in grado di reggere la concorrenza sulle navi passeggeri di grande taglia , sempre più richieste dagli armatori internazionali.

Del resto anche la proposta fatta dal ministro dell’economia francese La Maire di dare vita a un Airbus nel settore navale, per vincere le resistenze del governo italiano, è farina del sacco di Bono (facile la verifica sul web), sinora non decollata per le conseguenze negative sull’insieme delle aziende della Difesa italiana. Perché allora è la Francia a proporla e non il nostro Governo, se l’idea era dell’amministratore delegato del gruppo italiano? Un fatto è sicuro, dopo che La Maire ha garantito che l’amministratore delegato e il presidente del nuovo gruppo Franco Italiano nel settore passeggeri sarebbero stati espressione di Fincantieri, anche senza la maggioranza della proprietà, l’atteggiamento di Fincantieri è tornato estremamente collaborativo. Dopo tale annuncio si sono ritrovati Francia e Fincantieri alleati a spingere per far accettare la proposta francese e dall’altra, il Ministro Calenda e Padoan che cercavano di resistere per ottenere maggiori tutele per l’interesse italiano. Ma Fincantieri non era di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti, cioè dello Stato Italiano?

Che le conseguenze dell’accordo possano essere nefaste per l’interesse dei cittadini italiani, qualora dovesse essere configurato come anticipato da noi (nella speranza di aver sbagliato), lo dimostrano i precedenti delle fusioni industriali con i francesi, nello spazio e nella missilistica. La Selenia Spazio ad esempio era un’eccellenza mondiale nella costruzione dei satelliti. Da quando è entrata in gioco Thales come sua partner di maggioranza, l’azienda italiana è scomparsa dai radar.

Alla fine dei conti, per la politica italiana la scelta sarà combattere il blocco Francia/Fincantieri o piegarsi, evitando il conflitto con avversari potenti, cercando di salvare la faccia con il racconto dell’Airbus Navale. Si tratta in fondo di arrivare all’elezioni d’Aprile. Si potrà comunque raccontare la favola della vittoria Italiana, perché avremmo ottenuto dai francesi (anche se su proposta francese, ma questa è una sottigliezza) di dare vita al polo industriale europeo per la difesa comune. Diremo anche che non conta chi comanda, ma è lo spirito europeo che miriamo a rafforzare. E poi meglio avere Fincantieri come amica in tempi di elezioni che come nemica. D’altra parte i danni li subiranno gli italiani, ma non subito, fra qualche tempo, a elezioni passate. Un altro settore produttivo strategico sembra quindi destinato a cadere in mani straniere, nell’indifferenza complice dell’opposizione e dei Sindacati.

Se dovesse finire così, Macron avrebbe vinto alla grande. Sarebbe riuscito a non dare agli italiani la proprietà di Saint Nazaire e a prendere il controllo tramite Naval Groups del comparto industriale italiano dedicato alla costruzione di navi militari. Se ciò non fosse già abbastanza, tramite Thales potrebbe assorbire in un abbraccio mortale anche le aziende di Leonardo. In sintesi tutto il settore dell’industria della difesa italiana passerebbe sotto leadership francese. Macron avrebbe fatto il suo dovere nei confronti del popolo che l’ha eletto, quello di difendere gli interessi nazionali francesi. Ma anche noi italiani abbiamo un vincitore: il Dott. Giuseppe Bono. Invece di andare in pensione, dopo 12 anni di regno su Fincantieri, a cui era approdato dopo un periodo a Finmeccanica e prima ancora in Efim, a 73 anni conquisterà un’altra prestigiosa poltrona che gli consentirà di rimanere in sella, con tutti gli annessi e connessi del caso, almeno sino a 77 anni. Vassallo del Re di Francia e non più monarca assoluto di Fincantieri, è vero, ma a 73 anni, quando la maggioranza dei coetanei è in pensione da tempo, si può senz’altro accontentare.

E all’interesse nazionale? Ci penserà qualcun altro.

Oppure no.

(foto: Présidence de la République française / Fincantieri / U.S. Air Force)

A proposito de “la fortezza assediata di Gianfranco Campa”, di Massimo Morigi

Considerazioni di Massimo Morigi sul recente podcast di Gianfranco Campa http://italiaeilmondo.com/2017/09/02/11-podcast_la-fortezza-assediata-di-gianfranco-campa/

«lo spazio esteriore – svuotato – della sovranità territoriale rimane intatto, mentre il contenuto reale di questa sovranità viene modificato in quanto vincolato alla protezione del grande spazio economico della potenza esercente il controllo. Il controllo e il dominio politico si fondano qui sull’intervento, mentre lo status quo territoriale rimane garantito. […] la sovranità territoriale si trasforma in un vuoto spazio di eventi economico-sociali. Viene garantita l’integrità territoriale esteriore, con i suoi confini lineari, non già il contenuto sociale ed economico della stessa integrità, ovvero la sua sostanza. Lo spazio del potere economico determina l’ambito giuridico internazionale. » (Schmitt, 2003, pp.324-325)
La guerra dell’establishment politico americano contro Trump (repubblicani e democratici indifferentemente, grandi mezzi di comunicazione, complesso militare-industriale) descritta e analizzata con acutezza da Gianfranco Campa nei suoi podcast ed in particolare nell’ultimo “La fortezza assediata”, l’undicesimo, dove viene freddamente rappresentata quella che sembra essere la resa finale dei conti contro coloro che hanno costruito l’ascesa alla presidenza dell’erratico e manovriero (purtroppo solo pro domo sua) nuovo presidente statunitense, al di là delle peculiarità caratteriali e politiche (ripetiamo, totalmente negative) del neoeletto presidente ed al di là anche degli errori segnalati da Campa che possono (o meglio, che sicuramente hanno) commesso gli “ingegneri” della costruzione di questa singolare presidenza (Sebastian Gorka, Roger Stone, Steve Bannon), certamente abili, per non dire geniali, nell’ avere compreso il malessere profondo dell’America contro un’ establishment dirittoumanista e pro globalizzazione e del tutto insensibile verso gli interessi dei ceti medio-bassi dei lavoratori statunitensi ma anche ingenui nello scegliere un burattino, Donald Trump, che pensavano di poter dirigere a piacimento ma che alla fine si è dimostrato una sorta di maligno e stregato simulacro dotato di vita propria e a tutto disposto per protrarre ad ogni costo e con ogni compromesso non solo la sua vita politica ma, soprattutto, anche la sua incolumità personale, una cosa dimostra e ci consegna pure un insegnamento per coloro che in Italia puntano ad un rivoluzionamento concreto ed integrale del nostro paese. E quello che la vicenda Trump dimostra è che il vero arcanum imperii della politica internazionale emerso dopo il secondo conflitto mondiale è che le potenze vincitrici mentre si ergono più o meno custodi dell’integrità territoriale degli stati sono al medesimo tempo le più occhiute sorveglianti a che questi confini territoriali delimitano sì un territorio ma un territorio privato di ogni autonomia politica ed economica. Stiamo parlando, in altre termini, della morte sostanziale della sovranità statale, o, meglio, della morte della sovranità di quegli stati che hanno perso la seconda guerra mondiale o, pur avendola vinta militarmente, l’hanno persa politicamente. Per rimanere alla vicenda Trump, accanto al fatto che questa nuova amministrazione intende de facto proseguire nella strategia del caos di obamiana memoria, semmai con qualche retorica correzione anti ideologia dei diritti umani e di esportazione della democrazia, è ancora più chiaro che strategia del caos o no oppure, in via ipotetica, la faticosa ricerca di una sua sostituzione attraverso strategie alternative (faticosa ed in via ipotetica perché i revirement trumpiani tarpano le ali a qualsiasi alternativa all’impostazione caotica e dirittoumanistica obamiana ), è ancor più chiaro che quello che in alcun modo non potrà essere cambiato è la politica statunitense volta a mantenere del tutto vuota ed insignificante la sovranità statale degli stati appartenenti alla sua sfera d’influenza. E non solo di questi ma anche di quelli che mai appartenuti al perimetro dell’alleanza occidentale, si ostinano a volere mantenere ben salda ed efficace la propria sovranità. Come dimostra la vicenda nord coreana in cui, al di là del giudizio che si possa dare di quel regime politico, la volontà di voler costruire una propria “force de frappe” nucleare altro non segnala che la sua volontà di tener cara e ben vitale la propria sovranità statale. Trump parla della Corea del nord come di uno stato terrorista: in realtà il suo rapporto col terrore è da invertire perché se questo stato terrorizza è per il semplice motivo che rifiuta di farsi terrorizzare e conseguentemente, e su questo possiamo anche convenire con l’establishment politico-militare statunitense, colui che rifiuta pervicacemente di farsi terrorizzare può suscitare profonde inquietudini ed apprensioni. L’insegnamento che consegna per l’Italia la vicenda Trump. Si tratta di un insegnamento molto semplice che deve partire dalla comprensione ed accettazione del dato di fatto da parte dell’opinione pubblica e da parte di quelle forze politiche che dall’attuale establishment vengono definite antisistema e populiste (qualità per noi positive ma che, purtroppo, allo stato attuale sono tutte da dimostrare: un ribaltone alla Trump da parte di queste forze una volta che abbiano eventualmente assunto il potere è quasi, allo stato attuale dell’arte, una matematica certezza) che un cambiamento reale della nostra vita politica ed economica non può che venire dal consapevole sovvertimento dell’annullamento della nostra sovranità consegnataci dall’esito disastroso del secondo conflitto mondiale ma protratto per più di settant’anni non da ineluttabili leggi storiche ma dalla consapevole e costante azione politica internazionale degli Stati uniti (e per rovesciare non questa “legge di natura” dell’annullamento della sovranità statale italiana ma, invece, il preciso risultato della precisa e conseguente volontà politica della potenza egemone, valgono i percorsi che già su “L’Italia e il Mondo” si sono indicati: processo di progressiva neutralità dell’Italia – con, mi permetto di aggiungere, un occhio a quanto sta facendo la Corea del nord: per dirla tutta, un’Italia neutrale non può non dotarsi di un suo arsenale nucleare – , completo cambiamento della prospettiva politico-culturale, un vero e proprio riorientamento gestaltico della mentalità comune e politica dove vengano spodestati i fantomatici diritti umani e le retoriche democraticistiche per sostituirli con una decisa e spietata difesa e rafforzamento della cultura italiana, intesa questa come l’inestricabile e dialettico portato storico di tutti quegli elementi politici, culturali, economici, religiosi e linguistici che hanno formato l’identità italiana (e qui mi fermo perché, come già detto, è urgente iniziare il dibattito e vi debbono essere anche altri contributi, l’importante è la consapevolezza della direzione da assumere). Insomma, se sapremo contribuire alla formazione di una pubblica consapevolezza politica lungo l’interpretazione espressa dalle parole di Carl Schmitt poste ad incipit di queste brevi considerazioni sarà molto difficile, per non dire impossibile, che si ripetano sul suolo italico le deludenti vicende che stanno oggi accadendo negli USA. Se invece si permetterà alle c.d. forze antisistema di continuare a praticare la loro interessata somaraggine politico-culturale (tanto per fare un esempio: se permetteremo che queste c.d. forze antisistema continuino a blaterare il loro loffio slogan “aiutiamo gli immigrati a casa loro” anziché, come in osservanza ad un elementare buon senso di realismo politico deve essere pubblicamente affermato, comincino ad impegnarsi con un ben più sostanzioso e vincolante: «pur mantenendo intatte e rispettando rigorosamente le disposizioni e consuetudini di civiltà e del diritto internazionale che impongono di soccorrere in terra ed in mare chi si trova in pericolo di vita, noi permettiamo di circolare e lavorare sul nostro territorio solo a chi economicamente e culturalmente – cioè chi è funzionale alla nostra Kultur, come avrebbe detto l’infamata geopolitica tedesca del secolo scorso ma infamata perché gli sconfitti non potessero più praticarla contro i vincitori della guerra – fa i nostri interessi e dei rimanenti che non soddisfano questi requisiti, per dirla in tutta franchezza, nun ce ne pò fregà de meno» … ), il cambiamento sarà solo quello del personale che governerà il paese. E tutto rimarrà come prima, come puntualmente è accaduto negli Stati uniti con la nuova – ma vecchissima nella sostanza – presidenza di Donald Trump. Massimo Morigi – 3 settembre 2017

LA QUESTIONE MIGRAZIONE: LA NECESSITA’ DI LIBERARSI DALLA SERVITÙ DEGLI USA E DELL’UNIONE EUROPEA. di Luigi Longo

UN SENSO

Voglio trovare un senso a questa sera. Anche se questa sera un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa vita. Anche se questa vita un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa storia. Anche se questa storia un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa voglia. Anche se questa voglia un senso non ce l’ha

Sai che cosa penso. Che se non ha un senso

Domani arriverà…Domani arriverà lo stesso

Senti che bel vento. Non basta mai il tempo

Domani è un altro giorno arriverà…

Voglio trovare un senso a questa situazione. Anche se questa situazione un senso non ce l’ha

Voglio trovare un senso a questa condizione. Anche se questa condizione un senso non ce l’ha

Sai che cosa penso. Che se non ha un senso

Domani arriverà. Domani arriverà lo stesso

Senti che bel vento. Non basta mai il tempo

Domani è un altro giorno arriverà…

Domani è un altro giorno… ormai è qua!

Voglio trovare un senso a tante cose. Anche se tante cose un senso non ce l’ha

Domani arriverà. Domani arriverà lo stesso

Senti che bel vento. Non basta mai il tempo

Domani è un altro giorno arriverà. Domani è un altro giorno arriverà

Domani è un altro giorno

Vasco Rossi*

Ma, il popolo? Il popolo come sempre segue il fortunato e maledice al caduto, purché

non gli manchino il pane e le feste.

Giovenale**

1. Lo spazio italiano, da non confondere con il territorio, svolge un ruolo determinante nelle strategie USA-NATO sia per la presenza delle infrastrutture militari di altissimo livello (1) sia per l’approntamento delle infrastrutture per la gestione della immigrazione (2).

Ho scritto (lo scavo si mantiene ancora ai primi strati di superfice: occorrono lavori di diversi saperi per capire in profondità i processi), sulle infrastrutture funzionali agli obiettivi militari USA-NATO, obiettivi che riguardano le diverse strategie ( costruzioni di aree di influenze, distruzione di stati, spostamenti di popolazioni, terrorismo, controlli di città, eccetera) dei dominanti statunitensi nelle aree nevralgiche ( Europa, Mediterraneo, Medio Oriente) per il conflitto egemonico mondiale tra la potenza dominante (USA) e le potenze mondiali che iniziano, in questa fase multicentrica, a difendersi dal dominio USA ( declinante e pericoloso visto la incapacità di rilanciare una nuova visione di società, avendo scelto la strada della egemonia sfruttatrice), in particolare la Russia ( lo spettro americano) e la Cina ( la futura potenza marittima) (3).

2. Tratto, in questo scritto, la questione migranti come strumento USA sia per creare squilibri pericolosi territoriali, economici e sociali nelle aree importanti per la nuova strategia USA (Europa), sia per dividere ed ostacolare l’espandersi delle aree di influenza della Russia e della Cina (Medio Oriente, Europa orientale e balcanica, Africa, Mediterraneo): << Sono sedici anni che gli Stati Uniti sono in guerra in Medio Oriente e Nord Africa, spendendo trilioni, commettendo crimini di guerra e mandando milioni di rifugiati in Europa. >> (4).

E’ opportuno precisare che la strategia di fondo degli Stati Uniti è quella di dominare lo spazio europeo attraverso diverse tattiche che, a seconda delle fasi e degli agenti strategici dominanti, comportano soluzioni diverse: gli agenti strategici che hanno espresso presidenti come George H.W. Bush (1989-1993), Bill Clinton (1993-2001), Barack Obama (2009-2017) vedevano il controllo europeo attraverso l’utilizzo di un coordinamento esercitato dal vassallo tedesco ( una sorta di continuazione del progetto Europa da loro ideato, attuato e coordinato nel secondo dopoguerra con l’affermazione della loro egemonia nel mondo occidentale).; gli agenti strategici che hanno espresso Donald Trump (con grandi difficoltà, dovute al conflitto distruttivo tra agenti strategici statunitensi che non riescono a ritrovare una sintesi di visione della potenza mondiale, uno dei tanti sintomi dell’inizio del declino), vedono il controllo dello spazio europeo attraverso accordi bilaterali tra nazioni. Entrambe queste tattiche convergono nella strategia di dominare lo spazio europeo e quello che più preoccupa è che si sta andando nella direzione di una Europa delle Regioni (5) che significa la distruzione delle nazioni con conseguenze sociali e territoriali inimmaginabili. D’altronde gli USA sono maestri in questo. Per questo ritengo che la tattica di Trump acceleri, nella fase multicentrica sempre più incalzante, soprattutto per il dinamismo aggressivo statunitense, il progetto dell’Europa delle Regioni.

3. L’immigrazione, in questa fase multicentrica, è vista come uno strumento di geopolitica e di geostrategia; non è considerata nè nella logica dello sviluppo ineguale del sistema capitalistico che vede i flussi di migranti come una convenienza a migliorare i benefici della economia e della società delle cosiddette nazioni a sviluppo avanzato e maturo (6), né nella logica ( tutta ideale) di un fenomeno di confronto e scambi tra nazioni e continenti, di cultura, storia, sviluppo e formazione sociale diverse, per un reciproco arricchimento della propria idea di società e di relazioni sociali, perché come ci ricorda Guido Barbujani :<< Siamo tutti bastardi [ corsivo mio], tanto biologicamente quanto culturalmente, ma rischiamo di dimenticarcelo […] Sappiamo che le differenze fra le varie popolazioni umane sono sfumature, reali ma minuscole, in una tavolozza genetica in cui ognuno è identico al 99,9% a qualunque sconosciuto. Stiamo studiando come in quell’uno per mille di differenza ci siano fattori che spiegano le nostre diverse tendenze […] E abbiamo capito che il nostro carattere, le nostre scelte e i nostri gusti c’entrano pochissimo con i nostri geni, e molto invece col complesso di situazioni ed esperienze individuali che riassumiamo nella parola cultura [ corsivo mio] >> (7).

Non prenderò in considerazione le seguenti esternazioni del Presidente dell’Inps, Tito Boeri: << […] Gli immigrati regolari versano ogni anno 8 miliardi contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali, con un saldo netto di circa 5 miliardi per le casse dell’Inps […] Proprio mentre aumenta tra la popolazione autoctona la percezione di un numero eccessivo di immigrati, abbiamo sempre più bisogno di migranti che contribuiscano al finanziamento del nostro sistema di protezione sociale […] Abbiamo calcolato che sin qui gli immigrati ci hanno regalato circa un punto di Pil di contributi sociali a fronte dei quali non sono state loro erogate delle pensioni […] >> (8).

Una domanda si pone: se accogliere i migranti è così vantaggioso perché gli altri paesi europei chiudono i confini? (9). La verità è che Tito Boeri con questo ragionamento tutto interno ai tecnicismi da entrate contributive e agli scenari di previsione (con strane correlazioni delle variabili presenti in essi) dimostra di non conoscere la questione delle migrazioni in relazione al territorio, alla economia, alla società. Una cuoca leniniana, nell’accezione di Luisa Muraro (10), gestirebbe con grande sapienza e inquadrerebbe in maniera corretta l’andamento dei flussi migratori e i relativi conti dell’Inps.

Non tratterò delle assurdità del ministro Marco Minniti che parla di aiuti finanziari per i migranti che scelgono volontariamente di tornare ai propri paesi di origine né delle vacue proposte contenute nelle dichiarazioni di Tunisi (11).

4. E’ difficile essere d’accordo con Massimo Livi Bacci quando sostiene che:<< […] il crescente consenso all’idea che l’immigrazione, per essere utile allo sviluppo, debba essere di “qualità” o – in altre parole – ricca di capitale umano. Solo così può contribuire alla crescita della produttività e quindi allo sviluppo economico. Nel concreto, molti paesi hanno sviluppato politiche migratorie volte ad attrarre migranti con alte qualifiche e buone specializzazioni, con livelli di istruzione relativamente elevati, buona conoscenza della lingua e della cultura del paese ospite.[…] Insomma, in sintesi brutale, meno migranti, ma di migliore qualità. Anche l’Italia finirà col muoversi su questa linea, pur tenendo conto che continuerà a essere sostenuta la domanda di manodopera generica assai richiesta in molti settori dell’economia e della società. Questo implicherà una profonda revisione della politica migratoria e l’adesione convinta al principio che l’immigrazione si governa e si guida, non si subisce [ corsivo mio]. […] E’ comprensibile che l’ondata di rifugiati prodotta dai conflitti e dall’instabilità di vaste regioni che circondano l’Europa appanni la visione circa il futuro dell’immigrazione e che la gestione di questi flussi si presenti come un’assoluta priorità. Ma anche l’eccezionalità di questa fase storica può essere volta a vantaggio del paese e il peso dell’accoglienza trasformata in un’opera di istruzione e formazione dei rifugiati, di investimento per la ristrutturazione di un patrimonio infrastrutturale abbandonato e fatiscente per l’accoglienza stessa, finanche di insediamento nelle tante aree interne in abbandono [ oltre a un ripensamento della questione agraria, mia aggiunta] >> (12).

5. Un governo per guidare e non subire l’immigrazione deve avere una idea di politica migratoria e una idea di relazione territoriale, economica e sociale con altri Paesi. Per esempio, Massimo Livi Bacci, nulla dice sul ruolo infame che ha avuto la classe dirigente italiana ( oggi, è Emmanuel Macron a gestire la questione Libia su indicazione e nella logica delle relazioni bilaterali di Donald Trump, che si innerva con il progetto dell’Europa delle regioni, che significa frantumazione delle nazioni europee) nella distruzione della Libia ( territorio filtro sotto il coordinamento di Mu’ammar Gheddafi) per le strategie di Barack Obama e Hillary Clinton contro i nostri stessi interessi, così come accade con le sanzioni imposte ad altre nazioni ( Russia, Iran, eccetera) (13) << […] La guerra alla Libia nel 2011, con il determinante contributo italiano, è stata diretta dalla Nato attraverso il Jfc Naples ( Joint Force Command, mia specificazione ). Sempre da Napoli sono state condotte operazioni militari all’interno della Siria. Questa è la prima causa del drammatico esodo dei profughi e della “crisi dei migranti che l’Italia sta vivendo quasi in solitudine” >> (14).

Per attuare le politiche migratorie secondo le indicazioni di Massimo Livi Bacci, c’è bisogno di un governo sovrano e autodeterminato, espressione di agenti strategici egemoni che hanno una idea di progetto e di ruolo dell’Italia nell’Europa, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, che sappia allearsi con le potenze mondiali che pensano a un mondo multipolare e non monocentrico. La domanda che si pone è: Abbiamo noi agenti strategici egemoni ( sia tra i dominanti che, ahimè, tra i dominati) capaci di tale strategia?.

Nella sostanza la questione immigrati viene gestita dalle strategie pre-dominanti USA e dal maggiordomo tedesco che di fatto obbliga l’Italia all’accoglienza senza limiti e si accorda con la Turchia per fare da barriera di contenimento dei flussi migratori in condizioni inumane [ << considerate la vostra semenza: fatti non foste a vivere come bruti ma per seguir virtute e canoscenza >>(15)] e selezionare i migranti che servono ai diversi settori delle economie europee.

Con buona pace di Limes che vede la Germania come una nazione in conflitto con gli USA capace di creare una Kerneuropa ( un progetto geopolitico della Germania di costruire uno spazio di influenza europea orientato verso la Russia) e non invece, in una logica subordinata, un progetto contro una parte di essa: il blocco di potere che esprime Donald Trump (16).

Fonte: Limes

In questa assurda gestione dei migranti, trova la sua logica l’accordo del baro Matteo Renzi, che in qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, ha firmato il protocollo dell’operazione Triton ( partita nel 2014 dopo il termine di quella italiana Mare Nostrum) (17) che prevede che tutti gli sbarchi dei migranti avvengano nei porti italiani anche in violazione del trattato internazionale in tema di diritto di asilo ( Convenzione di Dublino e relativo regolamento UE di Dublino III). La logica dell’accordo è basata infatti su queste ragioni: a) maggiore disponibilità finanziaria a disposizione del proprio potere ricavata dai tecnicismi sulla flessibilità al pareggio di bilancio e al debito pubblico concessa dai subdominanti europei; b) maggiori risorse finanziarie, italiane ed europee, alle strutture che gestiscono i migranti per la filiera di potere incardinata attorno alle leghe delle cooperative (rosse e bianche), movimenti e istituzioni religiosi ( Comunione e Liberazione, Caritas), imprese, fondazioni e consorzi onlus (18).

6. Alcune città incominciano a ribellarsi alla ingovernabilità dei flussi migratori e al ruolo di accoglienza assegnato all’Italia con i relativi costi sociali, economici e territoriali a carico della maggioranza della popolazione e con vantaggi economico-finanziari a favore di una ristretta minoranza della suddetta filiera di potere.

Le città ribelli sono il sintomo del malessere e del disagio di chi non ha una idea e un progetto di trasformazione complessiva della questione migranti né ha la forza di incidere sulle reali cause che producono tale malessere: i migranti sono sradicati dai loro territori ( Africa, Medio Oriente, Mediterraneo, Europa orientale e balcanica) e orientati per fini geopolitici, geostrategici e geoeconomici in aree nevralgiche come l’Europa ( continente strategico nei futuri scenari di conflitto mondiale), in questa fase multicentrica, soprattutto per il dinamismo aggressivo degli USA che vuole limitare le aree di influenza e vuole prevenire future cooperazioni tra l’Europa e le potenze emergenti della Russia e della Cina (19).

7. Per sconfiggere la servitù italiana dello spazio a completa disposizione della potenza mondiale statunitense bisogna uscire dalla NATO e smilitarizzare i territori europei. Non è possibile ragionare sulla sovranità delle nazioni avendo sui propri territori infrastrutture militari USA e USA-NATO. E’ un non senso parlare di libertà, di democrazia e di sovranità avendo i territori occupati dalle basi militari (20). Bisogna uscire da questa Europa subordinata alle strategie di dominio mondiale statunitense

per tre ragioni fondamentali:

  1. Il progetto dell’Europa è stato pensato e attuato dagli Stati Uniti per le loro strategie di dominio mondiale a partire dalla seconda guerra mondiale;

  2. Il ri-emergere del progetto dell’Europa delle Regioni comporterebbe la eliminazione delle nazioni ( con conseguenze drammatiche e inenarrabili sulle popolazioni) a favore di microregioni e romperebbe definitivamente qualsiasi progetto di Nazioni sovrane e di una Europa federata (espressione di nazioni sovrane) in relazione con l’Oriente, una cooperazione eurasiatica;

  3. La difficoltà di costruire relazioni con la Russia e la Cina per le continue politiche di contrasto ( che provocano danni e devastazioni ai territori europei) nelle diverse sfere sociali eseguite dai sub-decisori europei su precise strategie dei predominanti statunitensi ( dall’uso delle sanzioni e delle militarizzazioni dei territori, all’impedimento dell’uso delle fonti energetiche e della costruzione delle vie della seta).

8. Vi è la necessità di non sottostare più al potere degli agenti subdominanti europei che ci fissano i parametri della vita: dalla lunghezza dei prodotti agricoli (che nasconde la distruzione economica delle piccole aziende agricole soprattutto quelle delle aree interne), alla identità sessuale ( che vela la rottura dei fondamentali legami di relazione tra madre-figlio/a e tra la natura umana e madre natura), all’esperimento del controllo sociale tramite le vaccinazioni di massa ( che cela l’indebolimento del sistema immunitario, la creazione di futuri malati e la verifica di pratiche di reazione popolare agli obblighi imposti) (21). Dice Marco Della Luna:<< Il contratto di appalto per la fornitura dei vaccini obbligatori non è ancora stato reso pubblico, ma se è come gli ultimi, è illegittimo, è un abuso. Il problema di fondo con i vaccini è che i politici (italiani) si vendono per professione e soprattutto che vendono gli interessi nazionali a quelli stranieri, coi vaccini come con le banche, con l’euro, col fiscal compact, coi migranti […] quindi non possono essere mai credibili, quando impongono qualcosa in cui qualcuno guadagna somme. Finché rubano i risparmi in banca è un conto, ma quando per profitto ti entrano nel corpo, è un altro conto >> (22).

Questo è degrado umano individuale e sociale a livello nazionale, europeo e mondiale.

Vi è la necessità di uscire da questa Europa e pensare ad una Europa federata tra nazioni sovrane (23) perché non ha senso stare nella austerità degli investimenti pubblici; nella privatizzazione dei servizi e delle infrastrutture; nel patto del bilancio europeo; nel pareggio di bilancio; nella riduzione del debito pubblico; nella deflazione salariale quale unica forma consentita per la competitività europea che fa bene all’economia del maggiordomo tedesco e alle strategie dei dominanti USA che puntano a disintegrare l’Europa con le sue nazioni per renderla sempre più debole, divisa e strumento di aggressione alla Russia e alla Cina(24).

Bisogna trovare, per dirla con Antonio Gramsci, il sistema di vita originale e non di marca americana, per far diventare libertà ciò che oggi è necessità (25).

9. E’ possibile pensare ad una idea e ad un progetto di nazione capace di recuperare la distruzione storica ( la memoria, l’identità, la tradizione, la cultura ), economica ( le nostre industrie strategiche e la nostra degna industria manifatturiera), sociale ( i servizi fondamentali che incidono sulle condizioni reali ), territoriale ( le risorse, le città, il paesaggio, le infrastrutture ) e geografica ( la posizione strategica mediterranea ); è possibile guardare, nel lungo periodo, alle nazioni e alle potenze mondiali che lottano per un mondo multipolare. Per fare questo e avere un Paese mediamente protagonista nella scena mondiale occorrono gli agenti strategici dominanti capaci di dare un ruolo, una visione, una idea alla nazione Italia; gli agenti strategici dominati possono solo, in attesa di epoche rivoluzionarie fuori dal capitale inteso come rapporto sociale, appoggiare e allearsi ai suddetti agenti strategici dominanti (26).

10. Restano alcune domande a cui la storia italiana contemporanea, soprattutto del secondo dopoguerra, deve dare risposte. Perché l’Italia esprime degli agenti strategici subdominanti così servili e mediocri che non hanno il senso dello sviluppo dell’intero Paese? Perché gli agenti strategici, dal secondo dopoguerra, fatta qualche eccezione che comunque conferma la regola, sono stati espressione di potere (derivante dalla sfera sociale di appartenenza, per esempio, quella economica della famiglia Agnelli) e non di dominio (27) che non hanno pensato allo sviluppo e alle relazioni europee e mondiali della nazione? Perché lo stato, inteso come luogo di una architettura istituzionale di una nazione dove il conflitto per l’egemonia è la norma non l’interesse generale, è stato usato, diretto, gestito da agenti strategici di potere e non di dominio?. Il problema è di egemonia degli agenti strategici che dominano l’insieme della società: è come se gli agenti strategici economici e di altre sfere sociali fossero proiettati allo sviluppo del Paese, ma non riescono ad esprimere egemonia politica.

E’ da rivedere la storia del periodo della ricostruzione e del cosiddetto boom economico italiano come nuovo modello di penetrazione americana in Italia e in Europa che già si differenziava dalla logica coloniale e neocoloniale. Eppure, già il giovane Georg Wilhelm Friedrich Hegel avvertiva il limite di affidarsi alle strategie dei singoli potenti o famiglie di potenti:<< […] La storia insegna quanto la sproporzionata ricchezza di alcuni cittadini sia pericolosa anche per la più libera forma costituzionale, e quanto sia in grado di distruggere la stessa libertà: ci sono gli esempi di un Pericle ad Atene, dei patrizi a Roma-la decadenza della quale invano i Gracchi ed altri, premendo minacciosamente, cercano di bloccare con la proposta di leggi agrarie-, dei Medici a Firenze; e sarebbe importante ricercare in qual misura sarebbe necessario sacrificare il rigido diritto di proprietà per avere una stabile forma di repubblica. >> (28).

11. Attualmente l’Italia è una nazione bordello :<< Ahi, serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincia, ma bordello >> (29). Occorre pulire il bordello da rubagalline, imbroglioni, mistificatori e da bari e ridurre la stupidità e l’imbecillità ( ontologicamente intesi) (30): basta pane e feste; bisogna creare un senso da dare alla realtà da trasformare, con un timoniere in grado di guidare nella tempesta mondiale ( multicentrica e policentrica) la nave Paese; in attesa di epoche storiche capaci di esprimere le formazioni sociali autodeterminate (sovrane) e gli agenti strategici dei dominati, in grado di rivoluzionare la realtà verso gli interessi della maggioranza della popolazione. La realtà, come insegna Gyorgy Lukacs nella sua grande Ontologia dell’essere sociale, è da intendere come qualcosa da trasformare e non semplicemente da manipolare e gestire:<< […] Per quanto rilevanti siano le diseguaglianze e profonde le contraddizioni che contribuiscono a determinare il cammino, le fasi del processo complessivo, è certo che il genere umano non potrebbe mai realizzarsi completamente, non potrebbe mai staccarsi dal mutismo ereditato dalla natura, se negli individui non si avesse in modo socialmente necessario una tendenza verso il proprio essere-per-sé: solo essere umani consapevoli di se stessi come individui ( non più singoli che si diversificano solo nella loro particolarità in-sé) sono in grado mediante la loro coscienza, mediante le loro azioni guidate dalla coscienza, di convertire in prassi umano-sociale, cioè in essere sociale, la genericità autentica. Nonostante tutte le ineguaglianze e contraddizioni, lo sviluppo della società su scala storico-universale spinge parallelamente verso la nascita della individualità essente-per-sé nell’uomo singolo e verso il costituirsi di una umanità che nella sua prassi è consapevole di sé come genere umano. >> (31).

Le citazioni in epigrafe sono tratte da:

*Vasco Rossi, Un senso, www.angolotesti.it;

**Concetto Marchesi, Giovenale, A.F. Formiggini editore in Roma, 1921, pag.66

NOTE

1.L’ultima infrastruttura NATO è la trasformazione del Comando NATO di Napoli in Hub per il Sud ( con notevole esborso finanziario a carico dell’Italia), formato dal Comando NATO, dalle Forze navali USA per l’Europa e dalle Forze navali USA per l’Africa, agli ordini dell’ammiraglio statunitense Michelle Howard. I tre comandi di Napoli, sempre agli ordini dell’ammiraglio statunitense nominato dal Pentagono, hanno una “area di responsabilità” che abbraccia l’Europa, l’intera Russia, il Mediterraneo e l’Africa si veda Manlio Dinucci, Per il Sud niente investimenti ma un Hub di guerra, il Manifesto del 18/7/2017; Idem, Pentagono: top secret la dislocazione delle atomiche in Italia, il Manifesto del 22/7/2017.

2.Sulle diverse tipologie delle strutture del sistema di accoglienza italiana si rimanda ai siti del Ministero dell’Interno: www.interno.gov.it/it/temi/immigrazione-e-asilo/sistema-accoglienza-sul-territorio e www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/documentazione/pubblicazioni/rapporto-annuale-sprar .

3.Luigi Longo, Gli Stati Uniti e lo spettro della Russia in www.italiaeilmondo.com, maggio 2017; sulla Cina come futura potenza marittima in Maurizio Blondet, La Cina intanto diventa grande potenza navale, www.maurizioblondet.it, 8/7/2017; sulla strategia conflittuale tra le potenze di terra e le potenze di mare si legga la bella sintesi storica di Carl Schmitt, Terra e Mare, Adelphi, Milano, 2002.

4.Paul Craig Roberts, Washington è in guerra da 16 anni: perché?, www.comedonchisciotte.org, 3/7/2017.

5.Paolo Perulli-Angelo Pichierri, a cura di, La crisi italiana nel mondo globale. Economia e società del Nord, Einaudi, Torino, 2010.

6.Massimo Livi Bacci, In cammino. Breve storia delle migrazioni, il Mulino, Bologna, 2014; Enrico Allasino, Le radici sociali dell’immigrazione in Paolo Perulli-Angelo Pichierri, a cura di, op.cit., pp.305-339; per una analisi storica delle forme di migrazioni in Jean-Pierre Raison, Migrazione in Enciclopedia Einaudi, Volume nono, Einaudi editore, Torino, 1980, pp.285-311; per l’analisi della totalità degli aspetti dell’immigrazione in Maria Immacolata Macioti- Enrico Pugliese, Gli immigrati in Italia, Laterza, Bari, 1991.

7.Guido Barbuyani, Cultura, razze, confini in www.eddyburg.it, 28/5/2017. Per un approfondimento si rimanda a Guido Barbuyani, L’invenzione della razza. Capire la biodiversità umana, Bompiani, Milano, 2008.

8.Audizione di Tito Boeri alla Camera dei Deputati del 20/7/2017 in www.webtv.camera.it/evento11618; Relazione annuale del Presidente INPS, 4 luglio 2017 in www.inps.it. Sono molte le critiche e le riflessioni suscitate dall’intervento di Tito Boeri ne segnalo alcune significative: Francesco Forte, Quanti danni fa il teorema degli immigranti salva-pensione, www.ilgiornale.it, 21/7/2017; Eugenio Benetazzo, Soli con loro, www.eugeniobenetazzo.com, 20/7/2017; Alessandro Visalli, Tito Boeri e l’immigrazione: l’assenza di spiazzamento, www.tempofertile.blogspot.it, 26/7/2017; Ennio Abate, Appunti politici: Visalli e i migranti, www.poliscritture.it, 21/7/2017.

9. La domanda mi è venuta leggendo l’articolo di Michele Rallo, Migranti: se sono un “arricchimento” perché gli altri non li vogliono?, www.ildiscrimine.com, 16/7/2017.

10.Luisa Muraro, Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna, Carocci, Roma, 2011.

11. Ministero dell’Interno: Immigrazione, Minniti: Europa e Africa devono lavorare insieme e Dichiarazione di Tunisi: Seconda Riunione ministeriale del Gruppo di Contatto sulla rotta della migrazione nel Mediterraneo centrale (24 luglio 2017) in www.interno.gov.it.

12.Per una lettura geodemografica e del ruolo della demografia nello sviluppo dell’Italia supportato da dati e da analisi interessanti anche se non inquadrate in una logica geostrategica e geopolitica del conflitto mondiale si rimanda a Massimo Livi Bacci, La demografia prima di tutto in Limes n.4/2017, pp.46-47; Idem, All’Italia servono persone prima che braccia in Limes n.7/2016; Germano Dottori, Non sarà l’immigrazione a rilanciare l’Italia in Limes n.7/2016.

13.Sulla distruzione della Libia si invia a Luigi Longo, Che ci fa l’Islamic State (IS) in Libia? Perché non lo chiediamo agli USA, www.conflittiestrategie.it, 2/3/2015; sugli scenari economici che si aprono in Libia si veda Rosanna Spadini, Fincantieri: a volte sei il parabrezza e a volte sei l’insetto, www.comedonchisciotte.org, 29/7/2017; sulle sanzioni USA contro la Russia per le interferenze nelle elezioni americane del 2016 e per le aggressioni militari in Ucraina e Siria (SIC) e i conseguenti danni alle aziende soprattutto tedesche e francesi si veda Maurizio Blondet, Saprà la Merkel gestire in modo razionale l’inevitabile Italexit?, www.maurizioblondet.it, 26/7/2017; Idem, Le nuove sanzioni USA ci rovineranno e l’Europa può farci poco, www.maurizioblondet.it, 27/7/2017; Marco Valsania, Sanzioni alla Russia via libera della Camera USA. Trump “commissariato” in Il Sole 24 Ore del 26/7/2017.

14. Manlio Dinucci, Per il Sud niente investimenti, op.cit.

15.Dante Alighieri, La Divina Commedia. Inferno, Canto XXVI, versi 118-120, BUR, Milano, pp.529-530.

16..Limes n.4/2017, in particolare: Editoriale, pp.7-27; Dario Fabbri-Federico Petroni, Il limes germanico ferita e destino d’Italia, pp.31-39; Dario Fabbri, Spaccata e ideologica. L’Italia tra Germania e Stati Uniti, pp. 75-83; si legga anche l’analisi della situazione europea in relazione agli USA di Gianfranco La Grassa, Dagli USA al mondo: incertezze e imprevedibilità, www.conflittiestrategie.it, 24/7/2017; Idem, Europa unita=Europa sottomessa, www.conflittiestartegie.it, 30/3/2017.

17.Sulle operazioni Mare Nostrum, Triton e Frontex si rinvia al sito del ministero dell’interno (www.interno.gov.it ). E’ stata Emma Bonino a parlare ( perché proprio ora?) dell’accordo di Matteo Renzi. Tale accordo è stato confermato anche da Marco Minniti, si veda rispettivamente Redazione, Migranti in Italia in cambio di flessibilità. L’accusa della Bonino al Governo, www.quifinanza.it, 7/7/2017; Redazione, Immigrazione, Marco Minniti conferma la ricostruzione di Emma Bonino: l’invasione l’ha voluta Matteo Renzi, www.liberoquotidiano.it, 20/7/2017.

18. Prossimamente tratterò il caso di studio del CARA di borgo Mezzanone, un borgo della città di Manfredonia in Puglia, per capire le ragioni e le funzioni delle strutture di gestione dei flussi migratori a livello nazionale come conseguenza delle strategie statunitensi ed europee. Una sorta di intreccio tra sistema locale e sistema europeo e una possibile costruzione della filiera del potere ( non del dominio) della questione migrazioni. Cioè capire le responsabilità dei predominanti USA ( il dominio), la responsabilità dei subdominanti europei ( il potere) e la responsabilità dei servi subdominanti italiani ( il sotto potere).

19.Per una analisi storica delle città ribelli si rimanda, con una lettura critica, a David Harvey, Città ribelli. I movimenti urbani dalla comune di Parigi a Occupy Wall Street, il Saggiatore, Milano, 2013, soprattutto pp. 141-181; sui flussi migratori si veda Gianfranco La Grassa, Chi conduce il gioco e chi dovrà condurlo, www.conflittiestrategie.it , 5/7/2017.

20.Sul regime di servitù nazionale e militare italiana nei confronti degli Stati Uniti si veda l’interessante articolo del Generale Fabio Mini, USA-Italia. Comunicazione di servizio in Limes n.4/2017.

21.Italia 2014 Renzi a Bari promette alle Pharma “ Noi vi garantiamo un progetto di lungo-periodo, invitiamo le università, le imprese a investire i territori a credere nel settore farmaceutico perché il made in Italy non deve significare solo food e fashion ma anche settore farmaceutico” e poco dopo il ministro Beatrice Lorenzin si reca da Barack Obama dove l’Italia viene incensata come capofila della GHSA: l’Italia guiderà nei prossimi cinque anni le strategie e le campagne vaccinali nel mondo. E quanto deciso al Global Health Security Agenda (GHSA) che si è svolto alla Casa Bianca. Il nostro Paese, rappresentato dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, accompagnata dal Presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) prof. Sergio Pecorelli, ha ricevuto l’incarico dal Summit di 40 Paesi cui è intervenuto anche il Presidente Barack Obama. “E’ un importante riconoscimento scientifico e culturale per l’Italia, soprattutto in questo momento in cui stanno crescendo atteggiamenti ostili contro i vaccini-ha dichiarato il prof. Sergio Pecorelli. Dobbiamo intensificare le campagne informative in Europa, dove sono in crescita fenomeni anti vaccinazioni” in Emanuela Lorenzi, Fanta-epidemia e veri sciacalli, www.comedonchisciotte.org, 26/6/2017.

22.Marco Della Luna, Vaccini: proposta di legge, www.marcodellaluna.info, 9/7/2017.

23.Una Europa federata tra nazioni sovrane significa, come la storia europea dimostra, che non può esserci nessuna nazione egemone all’interno della nuova configurazione, si veda Ludwig Dehio, Equilibrio o egemonia. Considerazioni sopra un problema fondamentale della storia politica moderna, il Mulino, Bologna, 1988.

24.Luigi Longo, L’uscita dall’euro non è un problema prioritario. Priorità è la sovranità nazionale ed europea, www.conflittiestrategie.it, 16/1/2015.

25.Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, volume III, quaderno 22, Einaudi, Torino, 1975, pp.2178-2179.

26.Sull’aspetto delle alleanze per una fase di miglioramento avendo sullo sfondo un progetto altro della società ( due progetti, due tempi) si veda Pierluigi Fagan, L’eterno ritorno della servitù volontaria. Riprendendo in mano l’intuizione di Etienne de La Boètie, www.pierluigifagan.wordpress.com, 24/7/2017.

27.La capacità di egemonia di agenti strategici come espressione della sintesi nazionale degli agenti strategici di potere delle diverse sfere sociali ( economiche, politiche, culturali, eccetera).

28.Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Scritti politici, a cura di Claudio Cesa, Einaudi, Torino, 1972, pp.344-345.

29.Dante Alighieri, La Divina Commedia. Purgatorio, Canto VI, versi 75-78, BUR, Milano, 1975, pp. 125-126.

30.Maurizio Ferraris, L’imbecillità è una cosa seria, il Mulino, Bologna, 2016.

 31.Gyorgy Lukacs, Ontologia dell’essere sociale, Volume II, Editori Riuniti, Roma, 1981, pp.278-279.

PERCHÉ LA CHIESA CATTOLICA VIENE ATTACCATA DALL’ONU Di MASSIMO MORIGI

Prosegue la pubblicazione delle varie riflessioni di Massimo Morigi riguardanti il “repubblicanesimo geopolitico”. Anche questo breve scritto è preceduto da un lungo commento odierno dell’autore

Repubblicanesimo Geopolitico e  Katargēsis Messianica

di Massimo Morigi

«[19] Ora, noi sappiamo che tutto ciò che dice la legge lo dice per quelli che sono sotto la legge, perché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio. [20] Infatti in virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a lui, perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato. [21] Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; [22] giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c’è distinzione: [23] tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, [24] ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. [evidenziazione dal versetto 21 al versetto 24 del redattore] [25] Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, [26] nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù. [27] Dove sta dunque il vanto? Esso è stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede[28] Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge. [evidenziazione dal versetto 27 al versetto 28  del redattore] [29] Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche dei pagani? Certo, anche dei pagani! [30] Poiché non c’è che un solo Dio, il quale giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo della fede anche i non circoncisi. [31] Rendiamo allora inoperante [katargoumen: rendiamo inoperante, rendiamo inefficace, annulliamo, aboliamo, distruggiamo, superiamo, ndr] la legge mediante la fede? Nient’affatto, anzi confermiamo la legge. [evidenziazione del verseto 31 del redattore]  »: Rm 3, vv. 19-31.

 

In  Perché la Chiesa Cattolica viene attaccata dall’Onu  pubblicato sul “Corriere della Collera” il 9 febbraio 2014 (all’URL https://corrieredellacollera.com/2014/02/09/perche-la-chiesa-cattolica-viene-attaccata-dallonu-di-massimo-morigi/ e ora anche su WebCite agli URL http://www.webcitation.org/6sJ58D0JY e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com%2F2014%2F02%2F09%2Fperche-la-chiesa-cattolica-viene-attaccata-dallonu-di-massimo-morigi%2F&date=2017-07-28), dopo aver indicati i motivi geopolitici e di politica internazionale (in estrema sintesi: l’opporsi, per difendere la presenza cristiana nell’area, alla polverizzazione politica e statuale mediorientale operata dalla politica del caos statunitense) a causa dei quali la Chiesa cattolica, attraverso l’accusa di ogni nequizia sessuale possibile ed immaginabile stava subendo (e tuttora sta subendo) un possente attacco dei grandi centri strategici internazionali (stranamente, tanto per fare un esempio, l’Arabia Saudita, con la sua “singolare” visione del rapporto fra i sessi non ha dovuto subire mai nulla di simile; altrettanto singolare poi che la punta di lancia di queste accuse provenisse da quella pia organizzazione internazionale, le Nazioni unite, che è il consesso internazionale dove hanno possibilità di veto proprio quegli stati che spingendo un bottone possono distruggere l’umanità e che storicamente e tutt’oggi s’ingegnano a compiere i maggiori massacri in giro per il mondo), chiudevo le mie brevi considerazioni con queste parole: «Ed è altrettanto evidente che nel contrastare questo vuoto culturale e politico la Chiesa cattolica non solo non deve essere lasciata sola ma deve essere affiancata anche da apporti che se, apparentemente, hanno più a che fare con quello che deve essere dato a Cesare piuttosto che a Dio, cionondimeno affondano le loro radici, come il Repubblicanesimo Geopolitico, in una concezione di vita e di cultura che è nata nello stesso terreno sul quale ha prosperato la religione che ha dato forma alla civiltà occidentale.». Lo scopo dell’articoletto, la denuncia delle vere ragioni per le quali si tentava (e si tenta tutt’ora) di far apparire la Chiesa cattolica come la sentina di ogni vizio morale e sessuale non rendevano opportuna l’occasione, tranne il mero ma non ulteriormente precisato passaggio  sulle molte comuni radici fra la Chiesa cattolica ed il Repubblicanesimo Geopolitico, per diffondersi sull’argomento. La rinnovata cortese ospitalità dell’ “Italia e il Mondo” per i primi vagiti del Repubblicanesimo Geopolitico nonché la necessità –  oltre a rinnovare la difesa della Chiesa cattolica sempre e comunque sotto attacco –  di pubblica chiarificazione delle sue fonti teoriche, nella fattispecie delle presenti  considerazioni sotto l’aspetto della sua ‘teologia politica’, ci fornisce allora l’occasione per chiarire il senso delle impegnative considerazioni conclusive di Perché la Chiesa Cattolica viene attaccata dall’Onu .

Tutti conoscono la frase di Gesù e riportata dai tre vangeli  sinottici laddove il Figlio di Dio afferma “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” e da parte dei zelanti – ma ahimè non proprio molto scaltriti –  sostenitori della tesi  dell’assoluta non ingerenza della Chiesa cattolica nella vita dello stato (più o meno) laico (quasi che la politica attuale effettuale di una antichissima  istituzione possa essere giudicata alla luce delle parole attribuite da più di  duemila anni  al  suo Messia) e dei polemisti contro l’Islam (quasi che la Chiesa non abbia mai storicamente voluto imporre una sua propria particolare sharia), questa frase viene incessantemente citata per indicare il rapporto assolutamente libero ed autonomo della Chiesa stessa rispetto alla legge civile. In effetti, anche se non proprio per le ragioni indicate dalla maggior parte degli zelanti sostenitori della Chiesa cattolica (ragioni, fra l’altro, molto spesso condivise, anche da parte di coloro che si qualificano come laici, i quali pur non riconoscendo alla Chiesa cattolica attuale alcun disinteresse verso la legge civile, molto volentieri concedono al Figlio di Dio una corretta impostazione “laica” del problema, e a questo punto non si sa più se ridere o piangere a vedere come si è ridotto il c.d. “pensiero laico”), la frase e sì importantissima per delineare l’intima disposizione che per più di duemila anni ha animato il cristianesimo – e nello specifico – la Chiesa cattolica verso la legge civile ma il punto è che si tratta di una Stimmung  che non ha proprio nulla a che fare con l’angelico disinteresse verso la legge civile che ci consegnerebbero le parole di Cristo. In breve. Chiunque non voglia piegare (anche in perfetta buonafede, per carità!) il “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” ad esigenze “politiche” s’accorge immediatamente della loro inequivocabile ambiguità di fondo. Ora il sopracitato (rozzo) pensiero laico, risolve questa ambiguità con un “semplicismo” di stampo pseudostorico affermando che, qualsiasi fossero le recondite intenzioni per cui Gesù Cristo pronunciò quelle parole e le concrete condizioni che lo indussero ad esprimersi in questo modo,  fino ai nostri giorni tutti i tentativi della Chiesa cattolica sono stati indirizzati a piegare la legge civile ai dettami della religione finalizzandola, quando le condizioni storiche lo rendevano possibile, alla costruzione di uno stato teocratico. Invece un pensiero, come il Repubblicanesimo Geopolitico, non proprio intenzionato ad essere l’ottuso cantore del “Brave New World”, del mondo liberal-liberista, della democrazia di massa e rappresentativa e dei formidabili diritti dell’uomo oltre a notare l’intima contraddittorietà delle parole di Cristo riconosce in questa parole una contraddizione che è anche la propria trattandosi di un “crampo del pensiero” che è proprio di ogni pensiero autenticamente rivoluzionario che pur volendo generare una propria incontestabile legalità ha con la legge positiva (e, conseguentemente,  anche con la futura legge rivoluzionaria) un rapporto non proprio molto sereno (anche se, come vedremo) dialetticamente molto profondo. E che nel cristianesimo delle origini e nella futura Chiesa cattolica il rapporto con la legge civile fosse dialetticamente assai poco risolto, ben lo vediamo dalla lettera di S. Paolo ai Romani –  come da noi mostrato  in Rm 3, vv. 19-31 posto in esergo al presente  commento a Perché la Chiesa Cattolica viene attaccata dall’Onu   – dove al versetto 31, dopo un irrisolto ragionamento in merito al rispetto della legge civile chiedendosi «Rendiamo allora inoperante  [katargoumen: rendiamo inoperante, rendiamo inefficace,  annulliamo, aboliamo, distruggiamo, superiamo, sospendiamo, ndr] la legge mediante la fede?» scioglie la domanda con un contraddittorio «Nient’affatto, anzi confermiamo la legge.», contraddittorio perche ai vv. 21-24 aveva appena affermato «Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù.». Sul problema della  katargēsis messianica della legge civile  in  Rm 3, vv. 19-31 (ma noi  con non forzata analogia possiamo ben parlare del problema della katargēsis  rivoluzionaria rispetto alla legge, cioè del problema mai risolto della rivoluzione rispetto non solo alla legge che l’ha preceduta ma anche rispetto alla legge “rivoluzionaria” prossima ventura) si è magistralmente espresso Giorgio Agamben in il Tempo che resta e in Homo Sacer , opere entrambe da cui traiamo ora  ampie citazioni e commentando le quali potremmo cominciare a formulare le nostre conclusioni riguardo le comuni radici fra ogni autentico pensiero rivoluzionario, fra i quali deve essere annoverato anche il Repubblicanesimo Geopolitico, e l’irrisolto rapporto che il cristianesimo e la Chiesa cattolica hanno intrattenuto fin dagli inizi con la legge. Scrive quindi Agamben a proposito della katargēsis messianica: «Come dobbiamo pensare lo stato della legge sotto l’effetto della katargēsis messianica? Che cos’è una legge che è, insieme, sospesa e compiuta? Per rispondere a queste domande, non trovo nulla di più istruttivo che far ricorso a un paradigma epistemologico che sta al centro dell’opera di un giurista che ha posto la sua concezione della legge e del potere sovrano sotto una costellazione esplicitamente antimessianica –  ma che, proprio per questo, in quanto «apocalittico della controrivoluzione»  – non può evitare di introdurre in essa dei  theologoumena genuinamente messianici. Secondo Schmitt – avrete capito che è a lui che mi riferisco –  il paradigma che definisce la struttura e il funzionamento proprio della legge non è la norma, ma l’eccezione: “Il caso d’eccezione rende palese nel modo più chiaro l’essenza dell’autorità statale. Qui la decisione si distingue dalla norma giuridica e (per formulare un paradosso) l’autorità dimostra di non aver bisogno del diritto per creare diritto … L’eccezione  è più interessante del caso normale. Quest’ultimo non prova nulla, l’eccezione prova tutto; non solo esso conferma la regola: la regola stessa vive solo dell’eccezione. (Schmitt 1921, 41) [nell’ultima edizione italiana : Carl Schmitt, Teologia politica, in Id., Le categorie del politico, trad. it, Bologna, 1972 (ed. 2013), p.41, ndr]”. È importante qui non dimenticare che, nell’eccezione, ciò che è escluso dalla norma non è, per questo, senza rapporto con la legge; al contrario, questa si mantiene in relazione con l’eccezione nella forma della propria autosospensione. La norma si applica, per così dire, all’eccezione, disapplicandosi, ritirandosi da essa. L’eccezione è, cioè, non semplicemente un’esclusione, ma un’esclusione inclusiva, un’ex-ceptio nel senso letterale del termine: una cattura del fuori. Definendo l’eccezione, la legge crea e definisce nello stesso tempo lo spazio in cui l’ordine giuridico-politico può avere valore. Lo stato di eccezione rappresenta, in questo senso, per Schmitt la forma pura e originaria della vigenza della legge, a partire dalla quale soltanto essa può definire   l’ambito normale della sua applicazione. » (Giorgio Agamben, Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai Romani,Torino: Bollati Bolinghieri, 2000, pp. 98-99), una   katargēsis  messianica che sembra letteralmente esplodere sotto il peso delle sue contraddizioni: «Di qui l’ambiguità del gesto di Rm. 3, 31, che costituisce la pietra d’inciampo di ogni lettura della critica paolina della legge: “Rendiamo dunque inoperante [katargoumen] la legge attraverso la fede? Non sia! Anzi, teniamo ferma [histdnomen] la legge”. Già i primi commentatori avevano notato che l’apostolo sembra qui contraddirsi (contraria sibi scribere: Origene 1993, 150): dopo aver dichiarato più volte che il messianico rende inoperosa la legge, qui sembra affermare il contrario. In verità è proprio il significato del suo terminus technicus che si tratta qui per l’apostolo di precisare, riportandolo al suo etimo. Ciò che è disattivato, fatto uscire dall’ enérgeia, non è, per questo, annullato, ma conservato e tenuto fermo per il suo compimento.» (Ibidem, p. 94).

Per Agamben, quindi, mettendoci la katargēsis messianica  di fronte ad una legge  sospesa e compiuta  al tempo stesso, per ricostruire la vera genealogia della Gestalt dello stato di eccezione schmittiano, la cui intima natura espressiva è la messa al mondo della legge stessa ma contraddittoriamente facendola precedere in importanza gerarchica ed operativa  proprio dal  suo annullamento e/o negazione, lo stato di eccezione appunto, dobbiamo ricorrere alla lettera di S. Paolo ai  Romani. Riprendiamo più per esteso la citazione schmittiana del Tempo che resta: «Il caso d’eccezione rende palese nel modo più chiaro l’essenza dell’autorità statale. Qui la decisione si distingue dalla norma giuridica e (per formulare un paradosso) l’autorità dimostra di non aver bisogno del diritto per creare diritto. […] Solo una filosofia della vita concreta non può ritrarsi davanti all’eccezione e al caso estremo, anzi deve interessarsi ad esso al più alto grado. Per essa l’eccezione può essere più importante della regola, e non in base ad una ironia romantica per il paradosso, ma con tutta la serietà di un punto di vista che va più a fondo delle palesi generalizzazioni di ciò che comunemente si ripete. L’eccezione è più interessante del caso normale. Quest’ultimo non prova nulla, l’eccezione prova tutto; non solo essa conferma la regola: la regola stessa vive solo dell’eccezione. Nell’eccezione, la forza della vita reale rompe la crosta di una meccanica della ripetizione. » ( Carl Schmitt, Teologia politica, in Id., Le categorie del politico, trad. it, Bologna, 1972 (ed. 2013), pp. 40-41).

Questo è il luogo di tutta la produzione schmittiana dove meglio comincia a prendere forma quel concetto definito in sede di elaborazione teorica del Repubblicanesimo Geopolitico  come  ‘stato di eccezione permanente’ , uno ‘stato di eccezione permanente’ che troverà la sua completa forma stilistico-espressiva (anche se non la sua compiuta definizione lessicale, la cui responsabilità risale interamente allo scrivente, sull’argomento cfr. Massimo Morigi, Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico: Lo Stato di Eccezione in cui Viviamo è la Regola ed anche Idem, La Democrazia che Sognò le Fate (Stato di eccezione, Teoria dell’Alieno e del Terrorista e Repubblicanesimo Geopolitico) ) all’ VIII tesi di Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin: «La tradizione degli oppressi ci insegna che lo ‘stato di eccezione’ in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di eccezione; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che viviamo sono ‘ancora’ possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.».

Attraverso questo e altri luoghi benjaminiani è stato del tutto naturale per il Repubblicanesimo Geopolitico una reinterpretazione di Walter Benjamin alla luce del concetto di ‘iperdecisionismo’, un iperdecisionismo benjaminiano che va addirittura oltre  il  decisionismo del giuspubblicista fascista Carl Schmitt risolto in funzione katechontica e non  rivoluzionaria come invece in Benjamin (cfr ancora  Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico: Lo Stato di Eccezione in cui Viviamo è la Regola e La Democrazia che Sognò le Fate (Stato di Eccezione, Teoria dell’Alieno e del Terrorista e Repubblicanesimo Geopolitico) ) e ‘stato di eccezione permanente’ e ‘iperdecisionismo’ benjaminiani assunti in pieno  dal Repubblicanesimo Geopolitico che nella Stimmung del loro contraddittorio e dialettico rapporto con la legge (qualsiasi movimento rivoluzionario sviluppa sempre un contradditorio rapporto con la legge: proprio come nella  katargēsis  paolina vorrebbe, attraverso un diktat originario e ad legibus solutus, cioè assoluto, abolire la vecchia legge ma, al tempo stesso, conservarne i suoi principi ordinatori in una nuova legge, ma da negarsi nel momento stesso che viene resa vigente) ben si riflettono nel tortuoso e tormentato precedere della lettera di S. Paolo ai romani.

«In his interpretation […], Kurt Weinberg has suggested that one must see the figure of a “thwarted Christian Messiah” in the shy but obstinate man from the country (Kafka’s Dichtungen, pp. 130-31). The suggestion can be taken only if it is not forgotten that the Messiah is the figure in which the great monotheistic religions sought to master the problem of law, and that in Judaism, as in Christianity or Shiite Islam, the Messiah’s arrival signifies the fulfillment and the complete consummation of the Law [evidenziazione nostra]. In monotheism, messianism thus constitutes not simply one category of religious experience among others but rather the limit concept of religious experience in general, the point in which religious experience passes beyond itself and calls itself into question insofar as it is law (hence the messianic aporias concerning the Law that are expressed in both Paul’s Epistle to the Romans and the Sabbatian doctrine according to which the fulfillment of the Torah is its transgression)  [evidenziazione nostra]. But if this is true, then what must a messiah do if he finds himself, like the man from the country, before a law that is in force without signifying? He will certainly not be able to fulfill a law that is already in a state of suspension, nor simply substitute another law for it (the fulfillment of law is not a new law) [evidenziazione nostra]. […]  This is precisely the situation that, in the Jewish tradition (and, actually, in every genuine messianic tradition), comes to pass when the Messiah arrives. The first consequence of this arrival is that the Law (according to the Kabbalists, this is the law of the Torah of Beriah, that is, the law in force from the creation of man until the messianic days) is fulfilled and consummated [evidenziazione nostra]. But this fulfillment does not signify that the old law is simply replaced by a new law that is homologous to the old but has different prescriptions and different prohibitions (the Torah of Aziluth, the originary law that the Messiah, according to the Kabbalists, would restore, contains neither prescriptions nor prohibitions and is only a jumble of unordered letters). What is implied instead is that the fulfillment of the Torah now coincides with its transgression. This much is clearly affirmed by the most radical messianic movements, like that of Sabbatai Zevi (whose motto was “the fulfillment of the Torah is its transgression”). From the juridico-political perspective, messianism is therefore a theory of the state of exception – except for the fact that in messianism there is no authority in force to proclaim the state of exception; instead, there is the Messiah to subvert its power [evidenziazione nostra].» (Giorgio Agamben, Homo sacer. Sovereign Power and Bare Life, Stanford University Press-Stanford, 1998, pp.37-38). Con  quest’ultima citazione agambeniana veniamo allora a chiudere rapidamente il nostro discorso sulla longue durée delle vere ragioni del perché la Chiesa cattolica oggi come ieri ha un rapporto conflittuale con i grandi agenti strategici che dominano la politica internazionale (oltre naturalmente i già accennati contrasti geopolitici contingenti velocemente riassunti nella presente comunicazione come in Perché la Chiesa Cattolica viene attaccata dall’Onu ) . Detto brutalmente: oggi come ieri i grandi agenti strategici non potranno mai accettare una grande organizzazione spirituale ma anche secolare in cui una parte così fondamentale del suo essere la principale, se non l’unica,  agenzia di senso etico e comportale presente sullo scenario geopolitico derivi direttamente dalla  paolina  katargēsis messianica col suo dialetticamente rivoluzionario (rivoluzionario anche al di là della consapevolezza che ne ha la Chiesa) rapporto con la legge, proprio quella legge sulla quale i grandi agenti strategici, mentre ne operano lo svuotamento di fatto, vorrebbero operare, a scopo di continuazione dei rapporti di forza a loro favorevoli, una sua deificazione e mummificazione per l’eternità ( e l’esempio più clamoroso e chiaro di questa deificazione e mummificazione sono le retoriche sullo stato di diritto, la democrazia rappresentativa e i diritti umani). E  quelle dottrine che, come il Repubblicanesimo Geopolitico, sono basate  su una loro katargēsis rivoluzionaria che mai accetterà un rapporto morto e reverenziale con la legge sono destinate, proprio come la Chiesa cattolica, ad una eterna lotta contro questi agenti strategici conservatori. Il Repubblicanesimo Geopolitico si propone quindi come il primo grande agente strategico che storicamente opera a favore di una dialetticamente consapevole katargēsis rivoluzionaria. L’irrisolto rapporto con la legge ha connotato i duemila anni di vita del cristianesimo come in ultima istanza, oltre ad essere l’innesco delle rivoluzione stesse,  ha minato alle basi i tentativi rivoluzionari che dal XVIII secolo fino ad oggi sono stati uno dei principali motori (pur se fallimentari nel loro esito) della storia umana (se la rivoluzione non ossifica e deifica la legge, seppur rivoluzionaria, viene subito spazzata via; se invece lo fa forse sopravvive ma nega le sue stesse ragioni e poi, alla fine, sparisce lo stesso sotto il peso delle sue contraddizioni). Chiaramente non possiamo pretendere che il successo possa arridere solo in virtù della consapevolezza della presenza di una ineliminabile contraddizione ma, come la storia della Chiesa e quella dei movimenti rivoluzionari ben dimostra, questa sensibilità sulla presenza del “thwarted Christian Messiah” – conscia o inconscia, chiaramente o confusamente espressa  non importa –  ha impedito che il discorso rivoluzionario, religioso, culturale o sociale che fosse, cadesse per sempre nel ridicolo e in un definitivo oblio. E al Repubblicanesimo Geopolitico questo al momento basta e avanza.

 

Massimo Morigi – 29 agosto 2017

 

PERCHÉ LA CHIESA CATTOLICA VIENE ATTACCATA DALL’ONU 

Di MASSIMO MORIGI del 9 aprile 2014

La Chiesa cattolica è la più antica – e ormai unica – “agenzia di senso” globale ancora in dotazione ed operativa in un mondo in cui tutte le narrazioni politiche della modernità hanno fallito e stanno lasciando un panorama di autentica devastazione. In questo quadro, per quanto riguarda il perimetro delle (post)liberaldemocrazie occidentali, si cerca di riempire lo spazio geopolitico dell’ ideologia con quelle che viene definita “noopolitik” (politica di conquista a livello planetario delle menti e delle intelligenze: la propaganda di vecchia memoria ma enormemente potenziata rispetto al passato dalla nascita di internet e da più scaltrite conoscenze della psicologia delle masse), la cui apparente ragione sociale è la difesa dei diritti umani, una difesa che in realtà non è altro che la copertura per l’aggressione prima mediatica (ed eventualmente, in seguito, anche militare) di quei paesi che non si vogliono piegare al Washington consensus. Papa Francesco ha poi, da parte sua, avuto il coraggio di opporsi con tutte le sue forze – e con successo – all’aggressione alla Siria e alla “strategia del caos” che gli Stati uniti volevano applicare anche su questo paese mediorientale, sempre con la scusa della difesa dei diritti umani. E, a questo punto, fa la sua comparsa la ridicola commissione dell’ONU che non solo accusa la Chiesa di ogni possibile nequizia sessuale ma che anche vorrebbe imporre alla Santa Sede una sua particolare ideologia “politically correct” in materia di morale sessuale. Al di là delle considerazioni che si potrebbero fare in merito ad un tentativo di delegittimazione di stampo mafioso-totalitario contro la Santa Sede, rimanendo su un piano più asettico, c’è solo da notare che anche da questo episodio emerge in tutta evidenza che tutto l’impianto politico, ideologico ed infine anche istituzionale che ha retto a livello interno ed internazionale le cosiddette liberaldemocrazie dopo il secondo conflitto mondiale ha definitivamente cessato non solo diciamo di essere efficace ma anche minimamente credibile. Ed è altrettanto evidente che nel contrastare questo vuoto culturale e politico la Chiesa cattolica non solo non deve essere lasciata sola ma deve essere affiancata anche da apporti che se, apparentemente, hanno più a che fare con quello che deve essere dato a Cesare piuttosto che a Dio, cionondimeno affondano le loro radici, come il repubblicanesimo geopolitico, in una concezione di vita e di cultura che è nata nello stesso terreno sul quale ha prosperato la religione che ha dato forma alla civiltà occidentale.

PER PRECISARE ANCORA MEGLIO IL CAMPO DEL NEMICO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO, di Massimo Morigi

Proseguono le spigolature a proposito del “repubblicanesimo geopolitico” con un commento attuale DELL’AUTORE al testo 

SEMBRA POCO, MA FORSE È MOLTO, VERAMENTE MOLTO

Di MASSIMO MORIGI

 

«Diventa sempre più necessaria una nuova politica estera italiana e la creazione di una struttura statuale in grado di resistere a questo nuovo tipo di guerra, rafforzare la solidarietà europea e limitare drasticamente le attività delle fondazioni, ONG , Think Tank e tutti gli altri strumenti di sovversione miranti –  nei fatti – a disgregare il nostro stato. La Patria è finita a puttane da un bel pezzo. Ne riparleremo dopo averli cacciati.»: agli URL https://corrieredellacollera.com/2017/07/22/marco-tullio-cicerone-e-tajip-erdogan-democrazie-gemelle-con-suggerimenti-per-noi-di-antonio-de-martini/, http://www.webcitation.org/6s8qrEbxM e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com%2F2017%2F07%2F22%2Fmarco-tullio-cicerone-e-tajip-erdogan-democrazie-gemelle-con-suggerimenti-per-noi-di-antonio-de-martini%2F&date=2017-07-22.  In sede di commento di “PER PRECISARE ANCORA MEGLIO IL CAMPO DEL NEMICO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO”  ora sull’ “Italia e il Mondo” avendo evidentemente fiducia sulle potenzialità prassistiche del Repubblicanesimo Geopolitico e a fine gennaio 2015 sul “Corriere della Collera” (agli URL https://corrieredellacollera.com/2015/01/29/italia-lelezione-del-presidente-della-repubblica-affidata-a-cricche-il-grande-baratto-ci-privano-della-sovranita-politica-in-cambio-della-indulgenza-individuale-come-nei-paesi-dellest-degli-an/, http://www.webcitation.org/6s8qXhvlw e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com%2F2015%2F01%2F29%2Fitalia-lelezione-del-presidente-della-repubblica-affidata-a-cricche-il-grande-baratto-ci-privano-della-sovranita-politica-in-cambio-della-indulgenza-individuale-come-nei-paesi-dellest-degli-an%2F&date=2017-07-22),  penso che non vi possa essere miglior incipit della citazione  della chiusa dell’articolo di Antonio de Martini appena pubblicato dallo stesso De Martini sempre sul “Corriere della Collera” e che invito tutti  ad andare a leggere nella sua interezza perché accanto a considerazioni di filosofia politica (che sottoscrivo in pieno e  che sono riassunte nelle ultime parole citate) contiene anche considerazioni di geopolitica mediorientale che fanno da coerente quadro alla visione filosofico-politica che con queste brevi parole intendo sviluppare. In effetti, sulle ragioni teoriche esposte in “PER PRECISARE ANCORA MEGLIO IL CAMPO DEL NEMICO DEL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO” molto poco o molto ci sarebbe da aggiungere. Molto poco sul piano fattuale perche la politica italiana e la politica internazionale hanno mostrato sul piano fattuale, nonostante siano passati pochi mesi dall’articolo,  una ulteriore violentissima e travolgente deriva verso quella politica di inflazione dei diritti messa in atto dalle classi dirigenti liberaldemocratiche per gabbare quei poveri “agenti omega-strategici” ai quali vengono sempre più sottratti diritti sostanziali e spazi reali e concreti di possibilità di azione pubblica e personale (spazi vitali sostanziali e concreti di azione che per il Repubblicanesimo Geopolitico, che può essere definito anche “Lebensraum Repubblicanesimo”, sono l’unico vero indicatore non metafisico ragionando sul quale ha senso parlare di libertà), per non menzionare il “trascurabile” dettaglio che la retorica sui diritti umani è proprio quell’elemento che non permettendo una reale e seria lotta contro il “terrorismo”,  la criminalità organizzate e,  per ultimo ma fondamentale,  la squilibrata distribuzione delle risorse fra la popolazione risulta così essere, de facto, la miglior formula per comprimere questi residui spazi di libertà degli “agenti omega-strategici” perché impedendo questa retorica la possibilità di mettere in atto politiche repressive e/o di proiezione geopolitica veramente violente ed efficaci (oltre, al contrario di quelle che vengono messe oggi in atto dalle moderne democrazie, con obiettivi concreti di azione sociale e non fantasmatici tipo la difesa della democrazia interna ed internazionale), rende possibile, accanto alla diuturna  ripetizione ad nauseam  del mantra su sacri principi scaturiti dalla rivoluzione francese, l’instaurazione di uno stato di eccezione permanente vista l’inefficacia (voluta) di queste farlocche risposte politiche (inefficaci per combattere il “terrorismo” ma, ovviamente, molto efficaci attraverso lo “stato di eccezione permanente” per consolidare il potere delle classi dirigenti liberaldemocratiche). Molto, al contrario, ci sarebbe da dire sul piano teorico, perché un pensiero che si proponga concretamente di tracciare le mappe degli amici e dei nemici della Weltanschauung  liberaldemocratica non dovrebbe assolutamente fare a meno di tutta una serie di autori, segnatamente i pensatori controrivoluzionari, vedi Joseph-Marie de Maistre, Louis de Bonald, Juan Donoso Cortés per finire con Charles Maurras, molti dei quali ebbero una importanza fondamentale nello sviluppo del pensiero realista del giuspubblicista fascista Carl Schmitt e autore al quale il Repubblicanesimo Geopolitico, pur respingendo la sua Katechontica  visione reazionaria e dialetticamente monca – e anzi presentandosi, in veste di “acceleratore” benjaminiano, come la sua polare antitesi –,  deve importantissime suggestioni nella sua inedita visione realista. E per chiudere l’ancora molto non detto teorico sul Repubblicanesimo Geopolitico e sul tracciamento delle sue “amity lines”, mi limiterò ad aggiungere che in “GLOSSE AL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO” di prossima pubblicazione un autore controrivoluzionario viene in verità citato. Si tratta di Edmund Burke. Le ragioni di questa ruolo di primazia riservato a Burke è dato dal semplice dato di fatto che in sede di iniziale costruzione teorica del Repubblicanesimo Geopolitico (e siamo tuttora in questa fase) e nella elaborazione del suo pensiero rivoluzionario era sì  necessario scegliere autori anche antirivoluzionari ma la cui natura katechontica contro i venti della rivoluzione dell’ ’89 non fosse sostanzialmente toccata da nessuna venatura di tipo mistico che avrebbe inevitabilmente “intorpidito”, almeno a livello di recezione del messaggio,  l’impostazione realistica e dialettica del Repubblicanesimo Geopolitico (dialettica che, al contrario di quando crede l’ingenuo realismo, essendo basata su un radicale immanentismo, è l’assoluto rifiuto del misticismo). Lasciandoci quindi alle spalle i problemi teorici e le sue apparenti – o reali ? –  contraddizioni (ma come, nelle “GLOSSE” di prossima pubblicazione si è ancora in una fase teoricamente meno avanzata rispetto a queste parole che le precedono e che, in aggiunta, si limitano ad indicare un futuro svolgimento rispetto alle future “Glosse” ma non lo sviluppano ?), torniamo allora alle proposte concrete di De Martini sottoscritte da noi in pieno su come effettualmente combattere i nemici che il Repubblicanesimo Geopolitico – ma, ancor meglio, su come  un elementare buon senso politico animato da un autentico amor di Patria deve intendere la futura azione politica. Ed  è quindi allora venuto il momento di dire a chiare lettere che fra i grandi agenti interni ed internazionali politici ed economici che restringono sempre più i residui spazi di azione degli agenti omega-strategici  basandosi sulla tronfia retorica dei diritti umani e politici (che riducono, insomma, il Lebensraum di azione dei “poveracci” dal punto di vista economico e del potere politico, e per non avere l’impressione di volersi tirar fuori da questa torma di disgraziati, anche della classe intellettuale e per una trattazione più approfondita di questi agenti omega-strategici si rimanda volentieri alla nostra “TEORIA DELLA DISTRUZIONE DEL VALORE”) ci sono anche le ONG che solo un deficiente (politico, per carità) non capirebbe che sono strumenti in mano agli agenti alfa-strategici (grande potenza imperiale occidentale con relativi reggicoda emersi più o meno vittoriosi dalla seconda guerra mondiale,  grande finanza, politici asserviti al sistema liberaldemocratico) per distruggere i popoli e quel poco che rimane ancora dei loro  spazi di libertà (la libertà, per intenderci, come pensata dal Repubblicanesimo Geopolitico o Lebensraum Repubblicanesimo e non certo la libertà mitologica liberaldemocratica, capostipite Benjamin Constant). C’è nello scenario politico italiano ed internazionale qualcuno che non in preda a misticismi reazionari o al delirium tremens del “terrorismo” (funzionale alla permanenza dello status quo) che intenda far sua questa consapevolezza di riscrittura ab imis delle categorie (e dell’azione) del politico? Aspettando allora lo scioglimento (o meglio, l’ulteriore sviluppo) di tutti i nodi e le  contraddizioni teoriche segnalate anche in questo articolo, la migliore prospezione di una feconda unione fra pensiero e azione è stata allora indicata anche  dall’autore citato all’inizio inizio di queste parole e che per non eccedere in piaggeria non nomino per l’ennesima volta. Sembra poco ma forse è molto, veramente molto … 

Massimo Morigi – 22 luglio 2017

QUI SOTTO IL TESTO DI RIFERIMENTO

Per precisare ancora meglio, per porre la base per un futuro dibattito e per perimetrare il campo del nemico del Repubblicanesimo Geopolitico: la costituzione materiale dell’Italia si esprime attraverso un regime di libera ed autorizzata conflittualità fra diversi gruppi oligarchici totalmente irresponsabili e in cui questa irresponsabilità viene dissimulata attraverso l’uso ideologico del concetto di ‘democrazia’, un uso ideologico che trova il momento di sua massima espressione nelle contese elettorali formalmente libere ma sostanzialmente del tutto inutili nel mettere in discussione l’irresponsabilità dei gruppi dirigenti.
Sotto questo punto di vista, la “democrazia” italiana ha profonde analogie con la “democrazia” degli ex paesi del socialismo reale, nella quale l’ideologia della dittatura del proletariato e la sua pratica – ed antinomica – traduzione nella cosiddetta democrazia popolare era solo un feticcio per nascondere gli scontri fra i vari gruppi di potere operanti all’interno del partito unico comunista (in certi casi era anche consentito un vero e proprio pluripartitismo ma senza possibilità teorica e pratica di contestare il sistema oligarchico e ciò configura ancor più profonde analogie col sistema italiano e, più in generale con le democrazie elettoralistiche occidentali) e, come nel sistema italiano, rispondenti solo verso il loro interesse di gruppo ed irresponsabili rispetto al soggetto – il proletariato nei sistemi socialisti, il popolo senza aggettivazione di classe sociale nelle democrazie rappresentative – in nome e per conto del quale esercitavano il potere pubblico.
A differenza che nei paesi del socialismo reale, in Italia esiste ancora una certa libertà di espressione politica e, soprattutto, nell’esercizio dei diritti afferenti alla sfera personale (attenzione questa libertà di per sé non significa affatto democrazia, un dispotismo illuminato può ben permettere lo ius murmurandi ed anche una notevole tolleranza rispetto a stili di vita non omologabili a quelli della maggioranza della popolazione).
É peraltro di empirica evidenza che anche questa libertà – e in questo aspetto la situazione italiana segue un trend del tutto analogo alle altre più consolidate e tradizionali democrazie elettoralistico-rappresentative dei paesi maggiormente sviluppati – sta subendo nel nostro paese un singolare fenomeno: una forte contrazione a livello di esercizio dei diritti politici e una apparente espansione per quanto riguarda i diritti afferenti alla sfera personale (un aumento e una sempre più marcata sottolineatura politico-ideologica dei cosiddetti diritti alla “diversità”).
Insomma, disvelando il trucchetto delle oligarchie irresponsabili potremmo sintetizzare: nella democrazia dei postmoderni vi togliamo sempre maggiori quote di potere (democrazia puramente elettoralistica e, in Italia, ancora peggio che altrove, dove non si scelgono i propri rappresentanti e dove la maggiore carica dello stato è fornita attraverso una elezione di secondo grado) e in, cambio, vi riempiamo di chiacchiere in merito a fantomatici diritti alla diversità, che, apparentemente, significano maggiore democrazia ma, in realtà, di per sé sono solo in grado di definire una situazione di dispotismo illuminato, dove i moderni despoti, le oligarchie irresponsabili, sono ben felici di concedere al popolo alcuni infantili divertimenti e trasgressioni fra le lenzuola (e qualche sollievo dagli ingenui sensi di colpa derivanti dalle strutture di dominio che si giustificavano e poggiavano sulla polarizzazione sessuale e non ancora, come oggi, sul totale nascondimento, attraverso l’ideologia democratica, delle oligarchie e degli agenti strategici dominanti).
Massimo Morigi – 29 gennaio 2015

SERVE UNA NUOVA NORIMBERGA, di Massimo Morigi

Prosegue lo zibaldone, datato, di Massimo Morigi con testi e note che possono aiutare alla comprensione del suo “repubblicanesimo geopolitico”_ Germinario Giuseppe

Una chiosa allo scritto

A distanza di alcuni anni da “Serve una nuova Norirmberga” una considerazione spicca fra i vari ragionamenti che possono essere fatti e si tratta dell’elementare ammissione di un fallimento perché laddove si proponevano terribili azioni politico-giudiziarie, la nuova Norimberga appunto, e con tanto di mobilitazione popolare per impedire la rivalutazione truffaldina del patrimonio delle banche a danno dell’oro della Banca d’Italia, la proposta non ha prodotto ad oggi dal punto di vista politico alcunché di significativo, a meno che non si considerino politicamente significative le reazioni “bloggistiche” del sottoscritto e di pochi altri, ma queste, come viene naturale concludere visto il deprimente esito della vicenda “nuova Norimberga” e mobilitazione popolare davanti alla Banca d’Italia, alla fine sono più da classificare fra le invettive modello vox clamantis in deserto che fra le azioni di natura politica che, come il più elementare buon senso suggerisce, devono suscitare un minimo di seguito. Questo per quanta riguarda il fallimento politico di coloro che cercarono – e fra questi il sottoscritto – facendo leva su una indignazione popolare che mai ci fu sull’argomento di far nascere qualcosa di politicamente concreto che si lasciasse dietro alle spalle le solite truffaldine logomachie della politica che, indisturbate, sono proseguite fino ai giorni nostri. E anche se l’indignazione popolare generale verso la oscena commistione fra potere politico e potere finanziario non c’è mai stata, nel frattempo ci sono state diverse piccole indignazioni popolari dei truffati dal fallimento degli istituti di credito toscani e veneti e quindi cosa concludere su questo punto? Colpa di chi non ha saputo comunicare con i giusti mezzi e con la giusta energia il messaggio o colpa del popolo che protesta solo quando si sente direttamente toccato nei suoi interessi? Si tratta, è vero, di una domanda retorica ma la cui risposta, evitando la retorica, può fornirci anche degli schiarimenti dal punto di vista della teoria politica. In breve. Se la risposta retorica alla domanda retorica implicherebbe il dire che prima di giudicare un popolo non reattivo bisognerebbe giudicare noi stessi (insomma, si tratterebbe in questa risposta di rappresentare una sorta di paternalismo bonario e democratico dove l’autonominato intellettuale rifiuta “democraticamente” di dannare il popolo insensibile e fa questa “democratica” concessione proprio perché gli è consentito di autonominarsi guida, benché fallace e debole, delle masse), la risposta invece teoricamente più significativa abbandona il terreno dei ruoli che personalmente si rivestono (o, meglio, che si vorrebbero rivestire) per andare invece a comprendere perché azioni politiche che viste con un minimo di distacco e senso critico devono essere definite criminali non vengono percepite dalle popolazioni che vivono nelle cosiddette democrazie rappresentative come tali e comunque sono giudicate di una gravità inferiore rispetto ai crimini che vengono compiuti in tempo di guerra e dai regimi autoritari. E la risposta che dà il Repubblicanesimo Geopolitico è che la forma di governo democratica gode di una sorta di bonus ideologico che recita più o meno così: 1) In democrazia, cioè laddove è il popolo a comandare, il popolo, pur potendo fare errori sul breve periodo, non potrà mai prendere decisioni sbagliate se questa azione decisionale si proietta in tempi ragionevolmente lunghi e 2) L’intrinseca bontà delle forme di governo democratico è garantita dagli universalistici diritti politici e dell’uomo nati dalla rivoluzione francese che hanno presieduto storicamente alla nascita delle moderne democrazie e che oggi non consentono che all’interno di queste democrazie si verificano quei crimini e quei soprusi che erano prima della rivoluzione francese il marchio dell’ancien régime e nel XX secolo dei regimi autoritari e/o totalitari. Come più volte ripetuto, è chiaro che questo è un racconto che non sta più letteralmente in piedi e il Repubblicanesimo Geopolitico intende rappresentare la critica più spietata a questo obnubilamento politico e teorico. Nei prossimi interventi sul Repubblicanesimo Geopolitico che verranno ripresi dall’ “Italia e il Mondo” emergerà sempre, insomma, l’intreccio fra le illusioni ideologiche della democrazia e le concrete pratiche di potere dei grandi agenti strategici che attraverso queste illusioni ideologiche esercitano il loro potere. E il far emergere con i giusti nessi queste pratiche di potere con i loro strumentali fantasmi ideologici penso consenta, infine, anche di non rifiutare la retoricità della domanda iniziale ma di darle uno sbocco positivo che non si rifugi in una semplice algida teoria della dinamica del potere: non si tratta, allora, di autonominarsi intellettuali più o meno severi o più o meno accomodanti ma si tratta di innestare un processo politico-cognitivo – e quindi anche retorico, come Gramsci aveva ben capito quando nei Quaderni del carcere disegna la figura e il ruolo di mito del moderno Principe – che sulla conoscenza a livello di massa della natura conflittuale della politica e della società inneschi il rivoluzionamento e rovesciamento di quei rapporti di forza e di quei fantasmi ideologici che permettono di dire che quello che accade nei regimi cosiddetti democratici non è mai un crimine ed è, comunque, sempre meglio per forza di cose (per forza, cioè, diciamo noi, dell’illusione ideologica democraticistica) di tutto quello che nel bene e nel male è storicamente accaduto prima che sorgessero le democrazie. Ma nihil sub sole novum: un certo Clausewitz, un certo Hegel, un certo Marx, e, infine, un certo Antonio Gramsci. À suivre …
Massimo Morigi – 2 giugno 2017

Il testo

Per spiegare la oscena realtà che si cela dietro il proposito di rivalutazione della quote della Banca d’Italia, che è stato bocciato dalla BCE, solo poche righe. Tramite questo provvedimento squinternato verrebbe rivalutato il capitale sociale di Bankitalia finora gestito fiduciariamente al 95% dalle banche italiane ex pubbliche (valore attualmente segnato nei bilanci al prezzo di 156.000 euro). Il decreto mira a tramutarlo da quota di partecipazione con valore simbolico a quota proprietaria (da segnarsi a patrimonio) rapportata al valore reale della Banca d’Italia, valore reale rappresentato dai diritti di signoraggio e dalle sue riserve auree raccolte da sei generazioni di Italiani. Questo significa, in pratica, che il popolo italiano (NOI) non sarebbe più il possessore delle riserve auree della Banca d’Italia ma lo diverrebbero gli istituti di credito che “partecipano” al suddetto “aumento” di capitale: detto in altre parole, si tratta di un furto ai danni del popolo italiano per sostenere con una semplice scrittura contabile la tradizionale sottocapitalizzazione delle banche italiane. Ma non siamo di fronte al solito esempio di malcostume della nostra vita pubblica. Questo tentativo di furto dell’oro della banca d’Italia non è l’ennesimo scandalo politico ma, molto più semplicemente, il più grande crimine contro il nostro paese e il nostro popolo compiuto da quando ha raggiunto la sua unità; un crimine che per la sua gravità suona come il preannuncio della dissoluzione di ogni parvenza di legittimità democratica per l’attuale sistema politico oligarchico ed instaura, de facto, uno stato di eccezione (o meglio, lo conferma, perché la decisione della Consulta in merito all’incostituzionalità dell’attuale legge elettorale già delegittimava tutto il sistema politico uscito dalle ultime elezioni) e richiama l’esigenza di istituire un tribunale speciale tipo Norimberga per giudicare questi disegni criminosi. In attesa Massimo Morigi, Repubblicanesimo Geopolitico Copiaincolla II dal “Corriere della Collera” e dall’ “Italia e il Mondo”, in Internet Archive da Domenica 31 maggio 2017, pagina 4 di 11 che la magistratura si muova con i suoi riconosciuti senso dello Stato e leggendaria tempestività e che il dibattito politico riesca a produrre una decisione in merito alle coppie di fatto (o che scelga, à la carte, quale sia il migliore sistema elettorale) rimaniamo attivi e fiduciosi nella reazione degli italiani. Fate circolare questa notizia e mandate la vostra adesione a [indirizzo e. mail cancellato per questa riedizione dell’articolo, ndr] per organizzare una manifestazione in occasione della prossima assemblea della Banca d’Italia che si terrà a fine maggio. Vogliono gli azionisti? Ebbene, ci saremo. Massimo Morigi – 4 gennaio 2014

*La prima parte di Repubblicanesimo Geopolitico Copiaincolla dal “Corriere della Collera” e dall’ “Italia e il Mondo” è leggibile e scaricabile agli URL Internet Archive https://archive.org/details/RepubblicanesimoGeopoliticoCopiaincollaDalCorriereDellaColleraE e https://ia801609.us.archive.org/19/items/RepubblicanesimoGeopoliticoCopiaincollaDalCorriereDellaColleraE/RepubblicanesimoGeopoliticoCopiaincollaDalCorriereDellaColleraEDallitaliaEIlMondo.pdf, per ResearchGate all’ URL https://www.researchgate.net/publication/315516889_REPUBBLICANESIMO_GEOPOLITICO_COPIAINCOLLA_DAL_CORRIERE_DELLA_COLLERA_E_DALL’ITALIA_E_IL_MONDO : DOI: 10.13140/RG.2.2.26753.66407 e per Academia.edu all’URL https://www.academia.edu/32001089/REPUBBLICANESIMO_GEOPOLITICO_COPIAINCOLLA_DAL_CORRIERE_DELLA_COLLERA_E_DALLITALIA_E_IL_MONDO. A pagina 11 Gepoliticus Child di Salvador Dalì.

LA NATO E L’ADDESTRAMENTO PREVENTIVO PER LE CITTÀ RIBELLI EUROPEE. (a cura di) Luigi Longo

 

Riporto due scritti sulla militarizzazione del territorio europeo attraverso la NATO. Il primo riguarda il processo di americanizzazione e di militarizzazione delle città europee a partire dal Trattato di Velsen che istituisce la Eurogendfor, la polizia continentale con ampi poteri che fa capo alla NATO e, quindi, agli USA ( per una conoscenza ufficiale della Eurogendfor si veda il sito www.eurogendfor.org ).

Il primo scritto comprende lo stralcio dei paragrafi 3 “ l’americanizzazione del territorio europeo e italiano “ e 3.2 “ la militarizzazione delle città e dei territori” tratti dal mio, l’americanizzazione del territorio ( appunti per una riflessione), pubblicato su www.conflittiestrategie.it, 29/3/2014.

Il secondo scritto concerne la costruzione di una città-modello per l’addestramento di truppe al fine di combattere i cittadini europei che potrebbero ribellarsi ai loro sub-agenti dominanti a causa della grave crisi d’epoca che si accentuerà, tra alti e bassi congiunturali, mano a mano che la fase multicentrica avanza. La costruzione della città-modello è in realizzazione nella parte nord-orientale dello stato federale della Sassonia-Anhalt in Germania. Lo scritto è di Peter Koenig, Germania e Nato-Repressione fascista in Europa? ed è apparso su www.comedonchisciotte.org., 21/5/2017.

 

 

L’AMERICANIZZAZIONE DEL TERRITORIO

(appunti per una riflessione)

 

di Luigi Longo

 

 

Gli Stati Uniti appaiono, nel mondo di oggi, una realtà onnipresente:                                          non solo essi sono una delle superpotenze da cui dipende l’avvenire                                             dell’umanità (e, invero, data la terrificante capacità distruttiva delle

                                               armi moderne, la sua stessa esistenza): ma le teorie scientifiche, i                                                processi tecnologici, i condizionamenti culturali, i modelli di                                                        comportamento americani penetrano, per il bene come per il male,                                              tutta la nostra vita, influenzandola assai più di quanto comunemente                                            non appaia.

Raimondo Luraghi

 

 

In questo dopoguerra non si capisce più niente, questi                                                                   americani hanno cambiato tutto […] questi americani ne                                                              combinano di tutti i colori.

Antonio de Curtis (Totò)

 

 

[…] non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive                                                 degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre in                                                abbondanza tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, vivono popoli la cui                                             vita si svolge nella mitezza presso cui la coercizione e l’aggressione

                                               sono sconosciute. Posso a stento crederci; mi piacerebbe saperne di                                            più, su questi popoli felici. Anche i bolscevichi sperano di riuscire a                                             far scomparire l’aggressività umana, garantendo il soddisfacimento                                            dei bisogni materiali e stabilendo l’uguaglianza sotto tutti gli altri                                         aspetti tra i membri delle comunità. Io la ritengo una illusione.                                                  Intanto, essi sono diligentemente armati, e fra i modi con cui tengono                                     uniti i loro seguaci non ultimo è il ricorso all’odio contro tutti gli                                                           stranieri. D’altronde non si tratta, come Ella stessa [ Einstein, mia                                               precisazione] osserva, di abolire completamente l’aggressività umana;                                               si può cercare di deviarla al punto che non debba trovare espressione                                          nella guerra.[…] finché gli Stati e nazioni pronti ad annientare senza                                          pietà altri Stati e altre nazioni, questi sono necessitati a prepararsi                                              alla guerra.

Sigmund Freud[1]

 

 

  1. L’americanizzazione del territorio europeo e italiano. I segni del processo di americanizzazione del territorio, sia europeo, sia italiano, intesi come conseguenza della egemonia del modello sociale americano, che si ramifica in maniera profonda dopo il secondo conflitto mondiale ( fine della fase policentrica), con la ricostruzione e il conseguente sviluppo economico e sociale dei Paesi ( fase monocentrica), possono essere così delineati per comodità di sintesi:
  • La perdita della impalcatura urbana e territoriale europea.
  • Lo sviluppo quantitativo della città e del territorio ( la cultura quantitativa del territorio, la città diffusa, la città infinita, la ruralizzazione delle città, eccetera).
  • Il declino della città e del territorio come patrimonio sociale.
  • Le città e i territori della sicurezza e del controllo.
  • Il progetto di realizzazione del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic trade and investment partnership).
  • La militarizzazione delle città e dei territori.

 

 

Tratterò brevemente gli ultimi due segni su evidenziati perché li ritengo prioritari in questa fase sociale europea e italiana che vede un aumento di temperatura della fase multipolare per le strategie di attacco degli USA – soprattutto via Siria e Ucraina – nei riguardi della Russia.

Premetto due brevi considerazioni, una storica per comprendere la nascita della potenza mondiale americana; l’altra territoriale per capire la costruzione della sovranità europea.

La prima. L’americanizzazione del territorio europeo e italiano è un processo che inizia con la dottrina di Monroe[2], cioè l’alt dato alle potenze europee di interessarsi al continente America, ovviamente negli interessi degli Stati Uniti e non dell’autodeterminazione dei popoli, e si consolida con la guerra civile americana[3], che rappresenta  per gli USA la svolta che permetterà loro sia di divenire una potenza mondiale, sia di operare una de-europeizzazione del territorio americano che consentirà la costruzione e la riorganizzazione del territorio (città e campagna), a partire da una propria identità, progettualità, disegno e visione[4].

La seconda. La città e il territorio europeo e italiano devono essere oggetto di un processo di de-americanizzazione[5] a partire da un progetto di sovranità su cui innestare una strategia di relazioni sociali altre, cioè, <<[…] trovare il sistema di vita << originale >> e non di marca americana, per far diventare << libertà >> ciò che oggi è << necessità >> >>.

 

 

3.2 La militarizzazione delle città e dei territori. Non nascondo che faccio fatica ad immaginare una Europa che si autodetermina avendo sul suo territorio una miriade di basi militari NATO e NATO-USA ( la Germania ne ha 70, l’Italia ne ha 111; sono dati da aggiornare ed escludono quelle che non si sanno)[6]. E’ fuori dubbio che gli USA sono egemoni nella NATO non fosse altro perchè è la potenza mondiale che spende in armamenti più della metà degli interi Stati mondiali ( 900 miliardi di dollari annui), e il suo presidente Barack Obama ha fatto sapere, in queste giornate europee, che<< […] «aerei Nato pattugliano i cieli del Baltico, abbiamo rafforzato la nostra presenza in Polonia e siamo pronti a fare di più». Andando avanti in questa direzione, avverte, «ogni stato membro della Nato deve accrescere il proprio impegno e assumersi il proprio carico, mostrando la volontà politica di investire nella nostra difesa collettiva». Tale volontà è stata sicuramente confermata a Obama da Napolitano e Renzi. Il carico, come al solito, se lo addosseranno i lavoratori italiani[7]>>. Così come è fuori dubbio che le strategie americane di politica estera, che ricalcano il vecchio retaggio da guerra fredda che impone supremazia militare ed economica e strategie regionali tese a proteggere incondizionatamente i Paesi alleati[8], porteranno, mano mano che avanzerà la fase multipolare, ad una militarizzazione delle città e dei territori europei che esprime capacità militare, capacità di sicurezza e di controllo, capacità economica in funzione prevalentemente anti Russia. Non è un caso che la NATO non fu abolita una volta imploso il vecchio nemico “comunista”, ma fu rifondata probabilmente per meglio prepararsi ad un cambio di politica estera fondata sugli USA come unica potenza mondiale egemone: la nazione “eccezionale” universale. Oggi, per fortuna mondiale, non è così. La fase multipolare si va delineando e le strategie di politica estera americane fanno fatica a confrontarsi con le nascenti potenze mondiali ( soprattutto Russia e Cina).

Ho già trattato, nei miei precedenti scritti, la infrastrutturazione del territorio europeo in funzione della Nato (l’intervento sulla TAV) e le città NATO ( i due interventi sull’Ilva di Taranto). Voglio qui aggiungere una riflessione che riguarda la nuova polizia continentale con ampi poteri, l’Eurogendfor, istituita con il Trattato di Velsen (Olanda) e approvata all’unanimità dalla Camera e dal Senato all’assemblea di Montecitorio del 14 maggio 2010 ( legge n.84 il “Trattato di Velsen”). Per indicare i caratteri principali del Trattato di Velsen riporterò i seguenti passi dell’articolo di Matteo Luca Andriola:<< […] la Forza di gendarmeria europea (European Gendarmerie Force), conosciuta come Eurogendfor o Egf, che viene ora a proporsi come il primo corpo poliziesco-militare dell’Unione Europea, a cui partecipano cinque nazioni, cioè l’Italia, la Francia, l’Olanda, la Spagna e il Portogallo ai quali, in seguito, si è pure aggiunta la Romania, un’istituzione, quindi, con valenza sovranazionale.[…] Fra il 2006 e il 2007 il processo di genesi dell’Eurogendfor fa passi da gigante: il 23 gennaio 2006 viene inaugurato il quartier generale a Vicenza, la stessa città dove ha sede il Camp Ederle delle truppe Usa, divenendo operativa a tutti gli effetti, mentre il 18 ottobre 2007 viene firmato il trattato di Velsen, sempre in Olanda […]All’art. 3 si legge che «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR». Questa nuova “super-polizia” è, recita l’art. 1 del Trattato, «una Forza di Gendarmeria Europea operativa, pre-organizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi al fine di eseguire tutti i compiti di polizia nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi», al servizio, non tanto dei cittadini dell’Ue o degli Stati firmatari del Trattato (le “Parti”), ma, sostiene l’art. 5, sarà «messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche». Quindi un’Arma che può essere a disposizione degli Stati Uniti, dato che la Nato è, a tutt’oggi, il braccio armato di Washington in Occidente.[…] Colpisce, inoltre, il fatto che l’European gendarmerie force goda di una completa immunità internazionale. L’art. 4, recita che l’«EGF potrà essere utilizzato al fine di: condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico; monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi comprese l’attività di indagine penale; assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale d’intelligence; svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti; proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici; formare gli operatori di polizia secondo gli standard internazionali: formare gli istruttori, in particolare attraverso programmi di cooperazione»[…] A quali casi si fa riferimento nel trattato di Velsen? A quelli inquadrati «nel quadro della dichiarazione di Petersberg». Cioè? A Petersberg, nei pressi di Bonn, si riunì il 9 giugno 1992 il Consiglio ministeriale della UEO ( Unione dell’Europa Occidentale) che approvò una Dichiarazione che individuava una serie di compiti precedentemente attribuiti all’UEO da assegnare all’Unione europea, cioè le cosiddette «missioni di Petersberg», cioè le “missioni umanitarie” o di evacuazione, missioni intese cioè al mantenimento dell’ordine pubblico, nonché operazioni costituite da forze di combattimento per la gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace. Ergo, oltre all’intervento in caso di catastrofe naturale, l’Eurogendfor può intervenire per sedare delle manifestazioni in assetto da «forze di combattimento» >>[9].

Questa nuova istituzione europea di polizia continentale, che fa capo alla NATO, di controllo e sicurezza territoriale, con sede in una città NATO simbolo come Vicenza, trova comprensione in tre direzioni da approfondire: 1. Il ruolo della NATO che non è un ruolo direttamente militare ( viene sempre più velato ) ma economico, di sviluppo di territori, di sicurezza, di controllo, di penetrazione e di ampliamento di territori in funzione di contrasto delle potenze mondiali emergenti, soprattutto la Russia; 2. La perdita della peculiarità territoriale ( di città e di territori) europea trova nel modello sociale e territoriale egemonico americano, direttamente e indirettamente tramite l’egemonia nelle istituzioni internazionali, una delle cause fondamentali del suo declino e della sua specificità storica:<< L’Europa si formò con l’emigrazione, l’America con la conquista. Per usare il linguaggio dei geologi, diremo che quella procede da alluvione e questa da azione vulcanica. E’ questo un primo tratto che differenzia la vita europea dall’americana.

Eccone un altro: la civiltà dell’America fu un’opera di governo, un’impresa di Stato, un grande atto amministrativo; quella dell’Europa un’opera anonima, popolare, senza azione legislativa […] Ogni civiltà ha un’opera genuina che è la città. La città è la sintesi di una civiltà, il gesto o il ritmo che traduce la sua anima. Atene è la Grecia, come Roma è l’Impero, Firenze è il Rinascimento, Siviglia è l’anima spagnuola ( New York è la modernità:” tutto ciò che è di solido, si dissolve nell’aria”, mia aggiunta)[10] >>[11]; 3.La politica di coesione e la cooperazione territoriale europea è funzionale alla strategia americana per aprire varchi ad Est risucchiando sempre più territori dalla sfera di influenza Russa ( ultimo caso: l’Ucraina).

Un esempio: si dice che << Una pluralità di questioni è associata alla coesione territoriale: il coordinamento delle politiche in regioni estese come quella del Mar Baltico, il miglioramento delle condizioni lungo le frontiere esterne orientali, la promozione di città sostenibili e competitive a livello mondiale, la lotta all’emarginazione sociale in alcune parti di regioni più ampie e nei quartieri urbani sfavoriti, il miglioramento dell’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e all’energia in regioni remote e le difficoltà di alcune regioni che presentano determinate caratteristiche geografiche.[…] Il modello di insediamento europeo è unico. In Europa sono sparse circa 5 000 città piccole e quasi 1 000 città grandi, che fungono da centri di attività economica, sociale e culturale. In questa rete urbana relativamente densa le città molto grandi sono però poche. Nell’UE solo il 7% delle persone abita in città con oltre 5 milioni di abitanti, rispetto al 25% negli USA, e solo 5 città europee sono annoverate fra le 100 più grandi città del mondo.

Questo modello di insediamento contribuisce alla qualità della vita nell’UE, sia per gli abitanti delle città, che sono vicini alle zone rurali, sia per i residenti delle zone rurali, che beneficiano della prossimità dei servizi. È inoltre un modello più efficiente dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse in quanto evita le diseconomie dei grandi agglomerati e l’elevato uso di energia e di terre che caratterizzano l’espansione urbana; tali diseconomie assumeranno dimensioni ancora più preoccupanti con il progredire dei cambiamenti climatici e l’adozione di misure per adeguarvisi o per contrastarli >>[12], questo modello così delineato cosa ha a che fare con la realtà urbana e territoriale sempre più modellata su quella americana?[13].

 

 

 

 

 

[1] Le citazioni scelte come epigrafi sono tratte da: Raimondo Luraghi, Gli Stati Uniti, Utet, Nuova storia universale dei popoli e delle civiltà, volume sedicesimo, Torino, 1974, pag. XXI; Film: Totò, Fabrizi e i giovani di oggi, 1960; Sigmund Freud, Perché la guerra?. Carteggio con Albert Einstein, La città del sole, Napoli, 1996, pp. 24-25-28.

[2] Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli.

[3] Raimondo Luraghi, La spada e le magnolie, Donzelli, Roma, 2007.

[4] Per una introduzione alla costruzione e contrapposizione politica e ideologica della concezione del territorio tra USA e URSS si veda Bernardo Secchi, La città del ventesimo secolo, Laterza, Roma-Bari, 2008, pp.63-85.

[5] Non leggo gli Usa come uno stato canaglia o una superpotenza canaglia alla Noam Chomsky (come fa nel suo “De-americanizzare il mondo”, 8/11/2013, www.comedonchisciotte.com ), ma leggo la de-americanizzazione dell’Europa come un processo che limiti l’egemonia degli USA per agevolare un mondo multipolare, possibilmente basato sull’autodeterminazione dei popoli.

[6] Sul senso del potere politico e militare dell’occupazione del territorio europeo da parte degli USA attraverso le proprie basi militari e quelle della Nato, si veda l’intervista ad Alexander Dugin, L’occupazione è occupazione, 29/01/2014, www.millennium.org.

[7] Secondo i dati del Sipri, l’autorevole istituto internazionale con sede a Stoccolma, l’Italia è salita nel 2012 al decimo posto tra i paesi con le più alte spese militari del mondo, con circa 34 miliardi di dollari, pari a 26 miliardi di euro annui. Il che equivale a 70 milioni di euro al giorno, spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all’estero in Manlio Dinucci, Quando ci costa la libertà della Nato, il Manifesto, 29/03/2014.

[8] Sui limiti della politica estera degli USA collegati al vecchio retaggio da guerra fredda, sulle difficoltà di impostare una politica estera adatta alla nuova fase multipolare che si sta delineando e sulle lacune nonché sui conflitti decisionali basati su vecchi schemi cognitivi e su un modello decisionale istituzionale che esalta l’esecutivo, la natura elitaria, la lotta interistituzionale, i “groupthink”, si veda l’interessante articolo di Giulia Micheletti, Le origini interne della strategia geopolitica statunitense, 03/03/2014, www.eurasia-rivista.org.

[9] Matteo Luca Andriola, Il trattato di Velsen e l’Eurogendfor, 13/03/2014, www.comunismoecomunita.org.

[10] Per la città di New York come simbolo della modernità, si veda Marshall Berman, L’esperienza della modernità, il Mulino, Bologna, 1985.

[11] Giovanni B. Teràn, La nascita dell’America spagnuola ,in Leonardo Benevolo e Sergio Romano, a cura di, La città europea fuori d’Europa, Libri Scheiwiller, Credito Italiano, Verona, 1998, pag.79. Si legga Fernand Braudel, Le strutture del quotidiano. Civiltà materiale, economia e capitalismo ( secoli XV-XVIII), Einaudi Torino, 1982, volume primo.

[12] Commissione delle Comunità Europee, Libro verde sulla coesione territoriale. Fare della diversità territoriale un punto di forza, 6/10/2008, www.europa.eu, pp. 3 e 5.

[13] Si veda David Harvey, Città ribelli, il Saggiatore, Milano, 2013; Mike Davis, Il pianeta degli slum, Feltrinelli, Milano, 2006;Alessandro Petti, Arcipelaghi e enclave. Architettura dell’ordinamento spaziale contemporaneo, Bruno Mondadori, Milano, 2007.

LEBENSRAUM, NOOPOLITIK, ITALIA E CINA – Di Massimo Morigi

 

Proseguiamo con la pubblicazione di una serie di riflessioni datate, legate a contingenze politiche, di Massimo Morigi. Non si tratta, ovviamente, di una opera sistematica, ma di spunti tesi a suscitare discussione e ragionamento_ Giuseppe Germinario

A fronte della Cina che ha appena annunciato che verrà posta una restrizione sulla pena di morte ed una revisione sulla politica demografica, sono sempre più conclamati, in entrambe le sponde dell’Atlantico, i casi che dimostrano un apparente inevitabile declino delle democrazie rappresentative, una decadenza in cui l’avventurista politica turbobellicista statunitense (vedi caso Siria) fa benissimo il paio con l’avventurista politica economica europea attraverso la quale, il continente al quale è stato assegnato il premio Nobel per la pace, non si è peritato, per cervellotiche e criminali decisioni della sua ascarizzata tecnoburocrazia continentale, di ridurre letteralmente alla fame la parte sud del continente. Perché trattiamo nello stesso post due fatti che apparentemente non sembrano avere alcun legame fra loro? Molte semplicemente perché la Cina sta sempre più puntando, oltre che sugli aspetti materiali della geopolitica, anche sulla noopolitik, sta puntando cioè anche alla conquista di quel Lebensraum costituito dalle rappresentazioni culturali, ideali e/o ideologiche che fino a poco tempo fa era un elemento di grave handicap internazionale per un Celeste Impero governato dal partito unico comunista ma che ora, viste le male parate interne ed internazionali delle democrazie rappresentative occidentali, si presenta come uno spazio ormai del tutto abbandonato. È quindi di tutta evidenza che se il primo frutto della evoluzione postdemocratica delle democrazie rappresentative si presenta come un’affermazione delle burocrazie ed oligarchie irresponsabili, la seconda conseguenza sarà non solo l’immiserimento fino al decesso delle libertà politiche a livello interno ma anche, a livello geopolitico, la definitiva scomparsa di qualsiasi appeal del modello liberaldemocratico, apparentemente vincitore dopo la caduta del muro di Berlino, per i paesi emergenti. “L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni” si presenta quindi molto meno neutrale e spoliticizzata di come l’avrebbero voluta le élite postdemocratiche di entrambe le sponde dell’Atlantico. Noi in Italia, per cominciare a pensare in termini geopolitici e di

noopolitik, dovremmo cominciare di smettere di pensare che la salvezza possa venire puntando sulla vecchio quadro internazionale emerso dal secondo conflitto mondiale e condotti, in questo devastato scenario, da una classe dirigente che ha delegato la sovranità nazionale alle tecnoburocrazie europee. In mancanza di questa (rivoluzionaria) presa di coscienza, l’unica noopolitik che ci sarà consentita saranno gli spettacoli di varietà sui “mitici” anni Sessanta (dove tutto andava bene perché il quadro internazionale non ci poteva permettere che andassero male).

 

 

 

18 NOVEMBRE 2013

1 49 50 51 52 53 54