Serguei Karaganov è parte essenziale della componente meno attendista della dirigenza russa. Ci offre una prospettiva molto articolata del punto di vista di una componente che sta, probabilmente, prendendo sempre più piede tra i centri decisori russi_Giuseppe Germinario
Colpire l’Ucraina e i Paesi europei con missili nucleari. Mettere fine ai principi di non proliferazione per allargare il club delle potenze nucleari. Abbassare la soglia di utilizzo della bomba.
Marlène Laruelle introduce e commenta la seconda parte della chiave di lettura di Sergei Karaganov sul futuro della guerra e della deterrenza nucleare.
MARLENE LARUELLE_In un momento di nuova escalation tra Occidente e Russia, continuiamo a studiare i principali testi strategici russi che contribuiscono a definire l’evoluzione del contesto geopolitico in cui stiamo vivendo.
Ecco un nuovo articolo di Sergei Karaganov, uno degli architetti intellettuali della politica estera russa e direttore dell’influente Consiglio per la politica estera e di difesa: una figura chiave del pensiero strategico russo e un sostenitore dell’uso delle armi nucleari nell’attuale conflitto con l’Ucraina.
In questo testo, Karaganov delinea la sua visione dell’ordine mondiale come dovrebbe emergere dalla guerra in Ucraina, proponendo sia un nuovo destino eurasiatico per la Russia, incentrato sulla Siberia e sul perseguimento dell’isolazionismo verso tutto ciò che proviene dall’Occidente, sia una nuova politica estera orientata verso il “Sud globale”, che in Russia viene chiamato “maggioranza mondiale”.
SERGUEI KARAGANOV_Il nostro cammino – con la freccia dell’antica volontà tartara
ha trafitto il nostro petto…
…e l’eterna battaglia! Possiamo solo sognare la pace
attraverso il sangue e la polvere…
La giumenta della steppa vola, vola.
Ed increspa l’erba…
Alexander Blok, “Sul terreno di Kulikovo”
Molti degli indirizzi politici necessari sono già stati definiti nel 2021 nella “Strategia di sicurezza nazionale della Federazione Russa” e soprattutto nel “Concetto di politica estera della Federazione Russa” approvato nel 2023. È partendo da questa base che cercherò di andare oltre.
Il mio precedente articolo trattava della situazione di pericolo senza precedenti in cui ci troviamo oggi (Karaganov, 2024). In questo articolo espongo le nuove politiche e priorità che ritengo la Russia debba adottare, sulla base della Strategia di sicurezza nazionale russa (2021) e soprattutto del suo Concetto di politica estera (2023).
La politica estera
Il mondo estremamente pericoloso dei prossimi due decenni richiede una correzione della politica estera e di difesa. Ho già scritto che esse dovrebbero basarsi sul concetto di “Fortezza Russia”: massima autonomia, sovranità, sicurezza, indipendenza, concentrazione sullo sviluppo interno.
L’idea della “Fortezza Russia” è venuta alla ribalta in questi ultimi anni come metafora della scelta di sovranità isolazionista della Russia. Riecheggia un antico tema bizantino, quello della potenza cateconica che frenerà le forze dell’Anticristo e riporterà il mondo alla sua antica gloria nell’ora del Giudizio Universale. Anche nei discorsi ufficiali russi, i riferimenti biblici sono aumentati notevolmente.
Ma, naturalmente, non l’autarchia, che sarebbe fatale. Abbiamo bisogno di una ragionevole apertura per una favorevole cooperazione economica, scientifica, culturale e informativa con i Paesi amici della maggioranza mondiale (MM). L’apertura non è un fine in sé, ma un mezzo al servizio dello sviluppo materiale e spirituale interno. L’apertura liberal-globalista, come abbiamo già visto, è mortale. Voler integrare a tutti i costi le “catene internazionali del valore” è una follia quando gli stessi creatori del vecchio modello di globalizzazione lo stanno distruggendo, militarizzandone i legami economici.
Il ruolo dell’interdipendenza come strumento di mantenimento della pace è stato sopravvalutato in passato, ma oggigiorno è soprattutto pericoloso. Dovremmo cercare di creare “catene del valore” sul nostro territorio per aumentarne la connettività, in particolare l’interazione del centro del Paese con la Siberia e – più prudentemente – con gli Stati amici. Oggi questi sono la Bielorussia, la maggior parte degli Stati dell’Asia centrale, la Cina, la Mongolia, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO) e i Paesi BRICS.
La politica della “fortezza Russia” richiede il massimo non coinvolgimento nei conflitti che scoppieranno nel corso del “terremoto geostrategico” che è iniziato. In queste nuove condizioni, il coinvolgimento diretto non è un vantaggio ma un handicap. Le ex potenze coloniali stanno iniziando a sperimentarlo, in particolare gli Stati Uniti, che si trovano ad affrontare un crescente antiamericanismo e degli attacchi contro le loro basi. Queste ultime, e altri asset diretti all’estero, diventeranno sempre più vulnerabili – e vale la pena di contribuire indirettamente a quest’evoluzione aumentando il costo dell’impero americano e aiutando la classe politica estera americana a guarire dalla malattia egemonica globalista del dopoguerra, in particolare degli ultimi trent’anni.
Siamo stati abbastanza saggi da non lasciarci coinvolgere nei nuovi conflitti armeno-azero e israelo-palestinese. Ma, ovviamente, non possiamo ripetere il fallimento ucraino quando le élite anti-russe salgono al potere nei Paesi vicini o quando questi vengono destabilizzati dall’esterno. Il Kazakistan è il caso più preoccupante. Dobbiamo lavorare in modo proattivo con altri Paesi amici.
Per continuare la sua svolta, solo parzialmente riuscita, verso est attraverso l’Estremo Oriente, la Russia ha bisogno di una nuova e completa strategia nazionale siberiana, che preveda non solo l’avanzamento, ma anche il “ritorno” al periodo romantico dello sviluppo della regione dei Trans-Urali.
La Russia deve essere “siberianizzata”, spostando il suo centro di sviluppo spirituale, politico ed economico verso gli Urali e l’intera Siberia (non solo la parte del Pacifico). La Via del Mare del Nord, la Via della Seta del Nord e le principali vie terrestri Nord-Sud devono essere rapidamente sviluppate. I Paesi dell’Asia centrale, ricchi di manodopera ma poveri di acqua, devono essere integrati in questa strategia.
Il tema della rifocalizzazione della Russia sulla Siberia esiste fin dal XIX secolo ed è stato ripreso da figure chiave del pensiero russo più recente, come Alexander Solzhenitsyn e, meno noto, Vadim Tsymbursky. Per loro, la riscoperta dell’identità siberiana della Russia è una garanzia di rinnovamento nazionale, lontano dalle peregrinazioni dell’occidentalismo. Tuttavia, questa “siberianizzazione” della Russia è un mito, perché la popolazione russa nel suo complesso si sta spostando da Est a Ovest, abbandonando gradualmente la Siberia, l’Artico e l’Estremo Oriente per stabilirsi nelle regioni europee del Paese.
L’integrazione consapevole nel nuovo mondo passa anche attraverso la scoperta delle nostre radici asiatiche. Il grande sovrano russo, il principe Sant’Alessandro Nevskij, non solo ricevette uno yarlyk che autorizzava il suo regno da Batu Khan a Sarai, ma attraversò anche l’odierna Asia Centrale e la Siberia meridionale nel 1248-1249 per farlo vidimare nella capitale mongola di Karakorum. Qui, pochi anni dopo, Kubilai Khan iniziò la sua ascesa al potere, che sarebbe culminata con l’ascesa al rango di imperatore e l’instaurazione della dinastia Yuan su Cina, Mongolia, Corea e alcuni Paesi adiacenti. Kubilai, che conosciamo grazie a Marco Polo, ha quasi certamente incontrato Alessandro. La madre di Kubilai era cristiana e le sue forze comprendevano reclute russe provenienti dalle province di Smolensk e Ryazan. Allo stesso modo, l’esercito di Alessandro comprendeva i mongoli, di cui voleva rovesciare l’autorità, ma che usava per proteggere le sue terre dai nemici a ovest – nemici che minacciavano, come diremmo oggi, l’identità della Russia. La storia delle relazioni tra Russia e Cina è molto più profonda di quanto si pensi.
Vale la pena di notare i riferimenti eurasisti di Karaganov, che ripete quasi parola per parola le idee espresse dai padri fondatori dell’eurasismo negli anni Venti. Per loro, l’interazione tra i principi di Moscovia e i khan dell’Orda d’Oro fu proprio il momento della nascita della Russia, il grande impulso che determinò la traiettoria storica del Paese per i secoli a venire.
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La Russia non sarebbe diventata un grande impero e probabilmente non sarebbe sopravvissuta nella pianura russa, attaccata da sud, est e ovest, senza lo sviluppo della Siberia e delle sue innumerevoli risorse. Pietro costruì un grande impero basato in gran parte su queste risorse. I proventi delle carovane che trasportavano seta e tè dalla Cina all’Europa lungo la Via della Seta settentrionale, che passava per la Russia, furono utilizzati per equipaggiare i reggimenti del nuovo esercito russo.
Sarebbe stato preferibile concludere la nostra odissea occidentale ed europea un secolo prima. Oggi non c’è più molto di utile da prendere in prestito dall’Occidente, anche se vi si sta infiltrando molta spazzatura. Ma completando il viaggio in ritardo, conserveremo la grande cultura europea, oggi rifiutata dalla moda post-europea. Senza di essa non avremmo creato la più grande letteratura del mondo. E senza Dostoevskij, Pushkin, Tolstoj, Gogol e Blok, non saremmo diventati un grande Paese e una grande nazione.
Anche in questo caso, Karaganov adotta le classiche narrazioni russe, già presenti ad esempio in Fëdor Dostoevskij, secondo cui la Russia è l’ultima potenza europea, l’ ultimogenita, l’epigono, colui che permetterà all’identità europea di conservare la sua autenticità (bizantina) e di riconciliarsi con il resto del mondo.
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Nella nuova situazione internazionale, si deve dare priorità incondizionata allo sviluppo di una coscienza difensiva nella società, alla volontà di difendere la patria, anche con le armi. I “fiocchi di neve” (снежинок) della nostra società devono sciogliersi e i suoi guerrieri devono moltiplicarsi. Ciò significa sviluppare il nostro vantaggio competitivo, che sarà necessario in futuro: la capacità e la volontà di combattere, ereditate dalla dura lotta per la sopravvivenza in una pianura gigantesca, aperta su tutti i lati.
La politica estera odierna dovrebbe concentrarsi sullo sviluppo complessivo delle relazioni con i Paesi della maggioranza mondiale. Un altro obiettivo ovvio, ma non ancora formulato, è quello di lavorare con i Paesi della maggioranza mondiale per garantire l’uscita più pacifica possibile dell’Occidente dalla sua posizione dominante di quasi cinque secoli. E l’uscita più pacifica possibile degli Stati Uniti dall’egemonia di cui godono dalla fine degli anni Ottanta (anche se è stata incontrastata solo per i primi 15 anni circa). L’Occidente dovrebbe essere ricollocato in un posto più modesto ma dignitoso nel sistema mondiale. Non è necessario espellerlo: dato il vettore di sviluppo dell’Occidente, se ne andrà da solo. Ma è necessario dissuadere con fermezza qualsiasi azione della retroguardia dell’ancora potente organismo dell’Occidente. Le relazioni normali possono essere parzialmente ristabilite tra una ventina d’anni. Ma non sono un fine in sé.
Nel nuovo mondo diversificato, multireligioso e multiculturale, dobbiamo sviluppare un altro vantaggio competitivo: l’internazionalismo e l’apertura culturale e religiosa. Nell’istruzione, dobbiamo concentrarci sull’ insegnamento delle lingue, delle culture e delle vite dei Paesi e delle civiltà emergenti dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. In termini di politica estera, non si tratta solo di incoraggiare, ma anche di imporre con fermezza un riorientamento dell’obsoleto e già semplicemente misero occidentalismo verso l’altro mondo.
Ho scritto molto sulla necessità di una riforma radicale dell’apparato di politica estera. È in corso, ma è ostacolata dall’inerzia burocratica e mentale e dalla segreta speranza di un impossibile ritorno allo status quo ante. Mi permetto anche di chiedere misure amministrative: i diplomatici inviati in Occidente dovrebbero essere pagati meno di quelli inviati nei Paesi della maggioranza mondiale. È importante lavorare con la maggioranza mondiale per creare nuove istituzioni che aiutino a costruire un nuovo mondo e a prevenire o almeno a rallentare la nostra caduta in una serie di crisi.
Le Nazioni Unite sono sull’orlo dell’estinzione, perché sono ingessate dai burocrati occidentali e quindi non possono essere riformate. Non abbiamo bisogno di smantellare le Nazioni Unite, ma dobbiamo costruire organismi paralleli basati sui BRICS+ e su una SCO allargata, integrandoli con l’Organizzazione dell’Unità Africana, la Lega Araba, l’ASEAN e il Mercosur. Nel frattempo, potrebbe essere possibile creare una conferenza permanente di queste istituzioni all’interno delle Nazioni Unite.
Se la Russia è una civiltà di civiltà, perché non iniziare a costruire un’organizzazione di organizzazioni con i nostri amici e partner – un prototipo della futura ONU?
Pechino è la principale risorsa esterna per il nostro sviluppo interno, un alleato e un partner per il prossimo futuro. Vale la pena promuovere lo sviluppo della potenza navale e strategico-militare della Cina per privare gli Stati Uniti del loro ruolo di egemone aggressivo e facilitare la loro transizione verso un neo-isolazionismo relativamente costruttivo di tipo anni Trenta, ovviamente con aggiustamenti per il nuovo mondo.
Cina e Russia sono potenze complementari. La loro coalizione, se si riuscirà a preservarla, cosa che dovrebbe essere possibile, potrebbe diventare negli anni un fattore determinante della costruzione di un nuovo sistema mondiale. È una fortuna che la moderna filosofia della politica estera cinese sia vicina alla nostra.
Allo stesso tempo, la strategia naturale della Russia dovrebbe essere quella di eliminare la dipendenza economica unilaterale e lavorare per un “equilibrio amichevole” con la Repubblica Popolare Cinese, interagendo con la Turchia, l’Iran, l’India, il Pakistan, i Paesi dell’ASEAN, il mondo arabo, le due Coree e persino, a lungo termine, con il Giappone. La sfida più grande è evitare un conflitto intercoreano che potrebbe essere provocato dagli Stati Uniti. L’elemento più importante dell’“equilibrio amichevole” dovrebbe essere il nuovo sviluppo per la Siberia. Il bilanciamento è utile anche per Pechino, che intende ridurre i timori che i suoi vicini eurasiatici nutrono nei confronti della potenza cinese. Infine, le relazioni amichevoli, quasi alleate, con la Cina, le relazioni amichevoli con l’India e lo sviluppo della SCO dovrebbero diventare la base per un sistema di sicurezza, sviluppo e cooperazione nella Grande Eurasia. Spero che la sua creazione diventi un obiettivo ufficiale della politica estera russa.
Qui troviamo l’eredità predominante di Yevgeny Primakov, ex ministro degli Esteri e primo ministro, il primo a formulare in modo così esplicito, nella seconda metà degli anni ’90, che il futuro geopolitico del mondo si sarebbe giocato attraverso la creazione di un triangolo Russia-Cina-India. Si noti il legame di Karaganov tra la politica interna – sviluppare un destino siberiano per la Russia – e la politica estera – avvicinarsi alle potenze asiatiche.
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Questa strategia fornirà una rete di sicurezza se i geni storici, espansionistici, cioè mongoli, si risveglieranno improvvisamente in una Cina che ha vissuto in pace per diversi secoli. Ma questi geni ci uniscono. Entrambi i Paesi sono essenzialmente eredi del grande impero di Gengis Khan. Identificare queste radici comuni è un compito affascinante per gli storici di entrambi i Paesi. Se la Russia rimarrà forte (e dovremo lottare per questo), se la Cina rimarrà un gigante amante della pace e se i loro leader e i loro popoli approfondiranno la loro amicizia, questi due Paesi diventeranno il baluardo della pace e della stabilità internazionale.
L’India è un altro alleato naturale nella creazione di un nuovo sistema mondiale e nella prevenzione di uno scivolamento verso la terza guerra mondiale. Il Paese è un’importante fonte di tecnologia, di manodopera per il nuovo sviluppo della Siberia e rappresenta un mercato quasi illimitato. Il compito più importante è quello di coinvolgere l’India nella costruzione del Grande Partenariato Eurasiatico, da cui è ancora un po’ lontana, per evitare che diventi un equilibratore ostile della Cina, come auspicato dagli Stati Uniti, e per smussare la naturale competizione tra India e Cina. Il triangolo Russia-Cina-India di Primakov garantisce uno sviluppo relativamente pacifico della Grande Eurasia. Sono necessari sforzi particolari per attenuare le contraddizioni tra India e Pakistan, che finora sono rimaste alla periferia della diplomazia russa. Vi ricordo che questo è uno dei focolai più pericolosi di un possibile conflitto termonucleare. Nel frattempo, abbiamo bisogno di centinaia di indologi, di decine di specialisti provenienti dal Pakistan, dall’Iran, dall’Indonesia e da altri Paesi del Sud-Est asiatico, nonché di africanisti. E, naturalmente, migliaia di accademici cinesi.
Se negli anni ’90 la fuga di cervelli accademici era particolarmente visibile nel campo degli studi orientali, negli ultimi anni quest’ultimo ha subito un visibile rilancio, segno della svolta geopolitica della Russia verso il “Sud globale”. Il regime sta nuovamente incoraggiando la formazione di specialisti nelle varie regioni non occidentali del mondo, facendo rivivere un ricco patrimonio sovietico che era caduto in disuso.
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L’ASEAN ha bisogno di maggiore attenzione come parte della strategia della Grande Eurasia, e non si tratta solo di mercati e di piacevoli destinazioni turistiche. È una regione in cui potrebbero scoppiare gravi conflitti entro un decennio, soprattutto perché gli Stati Uniti, in via di estinzione, sono ancora interessati a favorirli.
Lo stato delle nostre relazioni con il mondo arabo è molto soddisfacente. Le relazioni con molti dei suoi leader – Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Algeria – sono praticamente amichevoli. L’equilibrio esterno della Russia contribuisce a stabilizzare questa regione tormentata, che gli Stati Uniti hanno iniziato a minare attivamente. La Cina è stata brillantemente coinvolta in questa politica di equilibrio esterno, contribuendo al riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran.
Per quanto riguarda il Nord America, la Russia dovrebbe facilitare il ritorno a lungo termine degli Stati Uniti verso il neo-isolazionismo, che è naturale per loro, a un nuovo livello globale. È chiaro che un ritorno al paradigma politico precedente alla Seconda Guerra Mondiale non è possibile, e probabilmente sarebbe addirittura indesiderabile. La dipendenza degli Stati Uniti dal mondo esterno fornisce loro gli strumenti per esercitare pressione. Se le attuali élite liberal-globaliste lasciano il potere, gli Stati Uniti potrebbero persino tornare a essere l’equilibratore globale relativamente costruttivo che erano prima della seconda metà del XX secolo. Non c’è bisogno di una strategia globale per contenere gli Stati Uniti, perché sprecherebbe solo le risorse di cui abbiamo bisogno per il nostro ringiovanimento interno.
Il discorso di Karaganov riflette l’idea, dominante tra le élite russe, che figure isolazioniste come Donald Trump siano la migliore opzione che la Russia possa sperare dagli Stati Uniti. Ma riecheggia anche l’idea espressa dalla scuola dei “giovani conservatori” (Boris Mezhuev e Mikhail Remizov sono i più noti) che la Russia non dovrebbe cercare di combattere gli Stati Uniti su tutti i fronti perché non ha i mezzi per farlo – e che questa strategia ha esaurito l’Unione Sovietica e le è costata la vita.
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Non esistono contraddizioni irriducibili tra noi e gli Stati Uniti. Le contraddizioni che esistono oggi sono state causate dall’espansione degli Stati Uniti, facilitata dalla nostra debolezza e stupidità negli anni ’90, che ha contribuito all’aumento del sentimento egemonico negli Stati Uniti. La crisi interna degli Stati Uniti e l’impegno delle sue attuali élite verso valori post-umani indeboliranno ulteriormente il “soft power” di Washington, ossia la sua influenza ideologica. Nel frattempo, una dura politica di deterrenza (vedi sotto) dovrebbe creare le condizioni necessarie affinché gli Stati Uniti evolvano verso una normale grande potenza.
L’Europa – un tempo faro di modernizzazione per noi e per molte altre nazioni – si sta rapidamente avviando verso il nulla geopolitico e, speriamo di sbagliarmi, la decadenza morale e politica. Vale la pena sfruttare il suo mercato ancora ricco, ma il nostro sforzo principale nei confronti dell’antico subcontinente dovrebbe essere quello di separarci da esso moralmente e politicamente. Dopo aver perso la sua anima – il cristianesimo – sta ora perdendo il frutto dell’Illuminismo – il razionalismo. Inoltre, su ordine esterno, l’euroburocrazia sta isolando la Russia dall’Europa. Di questo gli ne siamo grati.
La rottura con l’Europa è un calvario per molti russi. Ma dobbiamo superarlo il più rapidamente possibile. Naturalmente, la chiusura non deve né diventare un principio, né essere totale. Ma parlare di ricreare un sistema di sicurezza europeo è una pericolosa chimera. La cooperazione e i sistemi di sicurezza devono essere costruiti nel quadro del continente del futuro – la Grande Eurasia – invitando solo i Paesi europei che sono interessati e che ci interessano.
La posizione di Karaganov su questo tema non è unanime, come lui stesso ammette. Le élite russe sono divise tra, da un lato, coloro che sperano in una forma di “gentlemen’s agreement” con l’Occidente e nella possibilità di una Realpolitik che ricostruisca parte delle relazioni con gli Stati Uniti e l’Europa e, dall’altro, Karaganov e coloro che ritengono che questo mondo sia morto e che la Russia non debba cercare di resuscitarlo.
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Un elemento importante della nuova strategia di politica estera dovrebbe essere una strategia ideologica offensiva (e non difensiva, come spesso è avvenuto in passato). I tentativi di “compiacere” l’Occidente e di negoziare con esso non sono solo immorali, ma anche controproducenti secondo la Realpolitik. È tempo di alzare apertamente la bandiera della difesa dei normali valori umani contro i valori post-umani, persino anti-umani, dell’Occidente.
Uno dei principi fondamentali della politica russa dovrebbe essere la lotta attiva per la pace – proposta molto tempo fa, poi respinta, dai leader della politica estera russa stanchi degli slogan sovietici. E non solo una lotta contro la guerra nucleare. Lo slogan di mezzo secolo fa – “La guerra nucleare non dovrebbe mai essere scatenata, perché non ci possono essere vincitori” – è magnifico, ma anche idealistico. Come ha dimostrato il conflitto in Ucraina, apre la porta a grandi guerre convenzionali. E queste guerre possono diventare e diventeranno sempre più frequenti e mortali, pur rimanendo a portata di mano, a meno che non vengano contrastate da una politica attiva di pace.
Il nostro unico obiettivo ragionevole per quanto riguarda le terre dell’Ucraina mi sembra ovvio: la liberazione e la riunificazione con la Russia di tutto il sud, l’est e (probabilmente) il bacino del Dnieper. Le regioni occidentali dell’Ucraina saranno oggetto di futuri negoziati. La soluzione migliore sarebbe quella di creare uno Stato cuscinetto smilitarizzato con uno status ufficiale di neutralità (con basi russe per garantire la neutralità) – un luogo dove vivere per i residenti dell’attuale Ucraina che non vogliono essere cittadini della Russia e vivere sotto le leggi russe. Per evitare provocazioni e migrazioni incontrollate, la Russia dovrebbe costruire una recinzione lungo il confine con lo Stato cuscinetto, come quella che Trump ha iniziato a costruire al confine con il Messico.
Karaganov esprime qui la sua posizione sui futuri piani di armistizio con l’Ucraina: l’annessione delle quattro regioni, compresi i territori che non sono (ancora) sotto il controllo militare russo, e un residuo Stato ucraino che non solo sarebbe neutrale (non membro della NATO) ma ospiterebbe addirittura basi militari russe – quest’ultima una condizione ovviamente inaccettabile per Kiev e l’Occidente.
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L’aspetto politico-militare
Nel lanciare un’azione militare attiva preventiva (anche se tardiva) contro l’Occidente, abbiamo agito in conformità con le vecchie percezioni, senza aspettarci che il nemico lanciasse una grande guerra. E non abbiamo usato la deterrenza nucleare attiva e l’intimidazione fin dall’inizio. Questo vale anche oggi. Così facendo, non solo stiamo spianando la strada alla morte di centinaia di migliaia di persone, se non milioni, se consideriamo le perdite dovute al brutale deterioramento della qualità della vita della popolazione ucraina, di decine di migliaia di nostri uomini. Ma stiamo anche rendendo un cattivo servizio al mondo intero. L’aggressore, l’Occidente de facto, rimane impunito. La strada è libera per ulteriori aggressioni.
Abbiamo dimenticato i principi fondamentali della deterrenza. Una parte con un maggiore potenziale convenzionale, umano ed economico trae vantaggio dalla riduzione del ruolo della deterrenza nucleare, e viceversa. Quando l’URSS aveva una superiorità nel campo delle forze militari polivalenti, gli Stati Uniti e la NATO si affidavano spudoratamente al concetto di first strike. È vero che gli Stati Uniti stavano bluffando e che, se avevano intenzione di farlo, era solo contro le forze sovietiche che avanzavano in territorio alleato. Non era previsto alcun attacco contro il territorio sovietico, poiché non vi era alcun dubbio che le città americane sarebbero state oggetto di rappresaglia.
L’aumento dell’uso della deterrenza nucleare e l’accelerazione dell’escalation hanno lo scopo di convincere l’Occidente che ha tre opzioni nel conflitto ucraino. Primo, ritirarsi con dignità, ad esempio alle condizioni proposte sopra. In secondo luogo, essere sconfitti, fuggire come in Afghanistan e affrontare un’ondata di rifugiati armati e talvolta disonesti. Oppure, terzo, esattamente la stessa cosa, con in più gli attacchi nucleari sul suo territorio e la disintegrazione sociale che ne consegue.
La tradizione russa è quella di infliggere una dura sconfitta agli invasori europei e poi concordare un nuovo ordine.
È quello che fecero Alessandro I, Kutuzov e de Tolly nel 1812-1814, prima che si tenesse il successivo Congresso di Vienna. Poi Stalin, Zhukov, Konev e Rokossovsky sconfissero l’esercito paneuropeo di Hitler, portando all’accordo di Potsdam. Ma per raggiungere un simile accordo oggi, dovremmo spianare la strada alle truppe russe usando armi nucleari. E subiremmo comunque enormi perdite, anche morali. Dopo tutto, si tratterebbe di una guerra offensiva. Un deterrente nucleare valido e un cuscinetto di sicurezza nell’Ucraina occidentale dovrebbero garantire la fine dell’aggressione. L’operazione militare speciale deve essere continuata fino al raggiungimento della vittoria. I nostri nemici devono sapere che se non si ritirano, la leggendaria pazienza della Russia si esaurirà e la morte di ogni soldato russo sarà pagata con migliaia di vite dall’altra parte.
Sarà impossibile evitare che il mondo precipiti in una serie di conflitti e, successivamente, in una guerra termonucleare globale, garantire la continua rinascita pacifica del nostro Paese e la sua trasformazione in uno degli architetti e costruttori del nuovo sistema mondiale, se la nostra politica di deterrenza nucleare non verrà radicalmente rivitalizzata e aggiornata. Ho toccato molti aspetti di questa politica nei miei precedenti articoli e in altri documenti. In realtà, la dottrina russa prevede già l’uso di armi nucleari per contrastare un’ampia gamma di minacce, ma la politica attuale va oltre la dottrina. Dovremmo chiarire e rafforzare la formulazione e adottare le misure tecnico-militari corrispondenti. La cosa più importante è dimostrare che siamo pronti e in grado di usare le armi nucleari in caso di emergenza.
Non ho dubbi che questa dottrina sia già in fase di aggiornamento, come dimostrato da una serie di misure concrete. La più evidente è il dispiegamento di sistemi missilistici a lungo raggio nel nostro Paese gemello, la Bielorussia. Questi missili sono chiaramente destinati ad essere utilizzati non solo quando “l’esistenza stessa dello Stato” è minacciata, ma anche molto prima. Tuttavia, le disposizioni della dottrina che specificano le condizioni per l’uso delle armi nucleari presentano alcune lacune che devono essere colmate, in particolare nel caso di una situazione di guerra ovviamente breve.
Karaganov è stato uno degli artefici della nuova dottrina nucleare, entrata in vigore molto recentemente, che abbassa la soglia per l’uso delle armi nucleari nei conflitti convenzionali. Karaganov aveva assunto posizioni molto radicali nel corso del 2023 e questo testo dimostra che egli difende esplicitamente l’uso delle armi nucleari nel conflitto attuale.
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Intensificando la deterrenza nucleare, non solo riporteremo gli aggressori sul terreno della realtà, ma renderemo un servizio inestimabile all’umanità intera. Attualmente non esiste altra protezione contro una serie di guerre e un grande conflitto termonucleare. La deterrenza nucleare deve essere attivata. L’Istituto di Economia e Strategia Militare Globale, recentemente creato presso la Scuola Superiore di Economia e diretto dall’ammiraglio Sergei Avakyants e dal professor Dmitry Trenin, fornirà un supporto accademico. Presenterò qui solo alcune delle mie opinioni, che devono essere sviluppate e attuate al più presto.
La politica della Russia dovrebbe basarsi sul presupposto che la NATO è un blocco ostile che ha dimostrato la sua aggressività con la sua politica precedente e che sta conducendo una guerra de facto contro la Russia. Di conseguenza, qualsiasi attacco nucleare alla NATO, anche preventivo, è moralmente e politicamente giustificato. Questo vale soprattutto per i Paesi che sostengono più attivamente la giunta di Kiev. I vecchi e soprattutto i nuovi membri dell’Alleanza devono capire che la loro sicurezza è stata notevolmente indebolita da quando sono entrati a far parte del blocco e che le loro élite al potere comprador li hanno messi sull’orlo della vita o della morte. Ho scritto in diverse occasioni che se la Russia lancia un attacco preventivo di rappresaglia contro un Paese della NATO, gli Stati Uniti non reagiranno, a meno che la Casa Bianca e il Pentagono non siano popolati da pazzi che odiano la patria, pronti a distruggere Washington, Houston, Chicago o Los Angeles in nome di Poznan, Francoforte, Bucarest o Helsinki.
La politica russa sull’utilizzo delle armi nucleari dovrebbe, a mio avviso, scoraggiare la minaccia di ritorsioni e l’uso su larga scala di armi biologiche o informatiche contro la Russia o i suoi alleati. La corsa agli armamenti in questo settore, guidata dagli Stati Uniti e da alcuni suoi satelliti, deve essere fermata.
È ora di porre fine alla disputa imposta dall’Occidente sulla possibilità di utilizzare “armi nucleari tattiche”. Il suo utilizzo era teoricamente previsto durante l’ultima guerra fredda. Oggi, a giudicare dalle fughe di notizie, gli strateghi statunitensi stanno lavorando a un’ulteriore miniaturizzazione delle testate nucleari. È sciocco e miope seguire questa strada, perché erode ulteriormente la stabilità strategica – un indicatore della probabilità di una guerra nucleare globale. A quanto mi risulta, questo approccio è anche militarmente inefficace.
Penso che sarebbe auspicabile limitare la potenza delle testate nucleari a 30-40 chilotoni, per esempio, o a una bomba e mezza o due bombe di Hiroshima, in modo che i potenziali aggressori e le loro popolazioni capiscano a cosa vanno incontro. L’abbassamento della soglia di utilizzo e l’aumento della resa minima delle munizioni sono necessari anche per ripristinare un’altra funzione perduta della deterrenza nucleare, ovvero la prevenzione di grandi guerre convenzionali. Deve essere chiaro ai pianificatori strategici di Washington e ai loro funzionari europei che la distruzione di aerei russi sul nostro territorio o ulteriori bombardamenti di città russe saranno sanzionati (dopo un attacco di avvertimento con testate non nucleari) dall’uso di armi nucleari. A quel punto potrebbero decidere di liquidare la giunta di Kiev.
Sembra inoltre necessario modificare (in parte, pubblicamente) l’elenco degli obiettivi degli attacchi nucleari di rappresaglia. Dobbiamo pensare seriamente a chi, esattamente, intendiamo dissuadere. Dopo che gli americani, “in difesa della democrazia” e in nome delle loro ambizioni imperiali, hanno ucciso milioni di persone in Vietnam, Cambogia, Laos e Iraq, hanno commesso mostruosi atti di aggressione contro la Jugoslavia e la Libia e, contro ogni avvertimento, hanno deliberatamente gettato centinaia di migliaia, se non milioni, di ucraini nel fuoco della guerra, non è chiaro se la minaccia di ritorsioni, anche contro le città, sia un deterrente sufficiente per l’oligarchia globalista. È chiaro che non si preoccupano nemmeno dei propri cittadini e non si lasceranno spaventare da perdite all’interno della propria popolazione.
Forse varrebbe la pena di designare i luoghi di ritrovo di questa oligarchia come obiettivi per la prima ondata, o addirittura per attacchi preventivi di rappresaglia?
Dio colpì con una pioggia di fuoco Sodoma e Gomorra, immerse nell’abominio e nella dissolutezza. L’equivalente moderno: un attacco nucleare limitato all’Europa. Un’altra allusione all’Antico Testamento: per purificare il mondo, Dio scatenò il grande diluvio. I nostri siluri nucleari Poseidon possono scatenare diluvi simili sotto forma di tsunami. Oggi gli Stati più sfacciatamente aggressivi sono quelli costieri. L’oligarchia globalista e lo Stato profondo non devono sperare di sfuggire come Noè e la sua pia famiglia.
Permettetemi di ripeterlo. Migliorare la credibilità e l’efficacia della deterrenza nucleare è necessario non solo per porre fine alla guerra che l’Occidente ha scatenato in Ucraina, o per collocare pacificamente l’Occidente in una posizione molto più modesta, ma auspicabilmente dignitosa, nel futuro sistema mondiale. Soprattutto, la deterrenza nucleare è necessaria per fermare l’ondata di conflitti in arrivo, per evitare una “età delle guerre” e per impedire che si intensifichino fino al livello termonucleare globale.
È quindi necessario aumentare la scala della deterrenza nucleare senza tener conto della guerra in Ucraina. A seguito delle misure già adottate o previste, ritengo che sarebbe auspicabile, previa consultazione con gli Stati amici, ma senza far ricadere su di loro la responsabilità, procedere rapidamente verso una ripresa dei test sulle armi nucleari. Prima in sotterraneo, e se ciò si rivelasse insufficiente, testando la Tsar Bomba-2 sulla Novaya Zemlya, riducendo al minimo i danni all’ambiente naturale del mio Paese e agli Stati amici della maggioranza mondiale.
Non protesterei nemmeno troppo se una simile dimostrazione di esplosione nucleare fosse effettuata dagli Stati Uniti. Dopo tutto, rafforzerebbe l’effetto universale della deterrenza nucleare. Ma Washington non vuole ancora aumentare il ruolo del fattore nucleare nella politica mondiale, affidandosi invece al suo potere ancora considerevole nel campo dell’economia e delle forze polivalenti.
Prima o poi la Russia dovrà cambiare la sua politica ufficiale di non proliferazione nucleare. La vecchia politica era utile in quanto riduceva il rischio di uso non autorizzato e di terrorismo nucleare. Ma era ingiusta nei confronti di molti Stati non occidentali e ha smesso di funzionare molto tempo fa. Nell’aderirvi, abbiamo preso spunto dagli americani, che volevano minimizzare non solo i rischi, ma anche i contrappesi alla loro superiorità convenzionale (in particolare navale). Storicamente e filosoficamente, la proliferazione contribuisce alla pace. È spaventoso immaginare cosa sarebbe successo se l’URSS e poi la Cina non avessero sviluppato armi nucleari. Con l’acquisizione di armi nucleari, Israele ha acquisito sicurezza di fronte ai suoi vicini ostili. (Tuttavia, lo Stato ebraico ha abusato di questa fiducia rifiutando una soluzione equa alla questione palestinese e scatenando una guerra a Gaza chiaramente genocida. Se i suoi vicini avessero avuto armi nucleari, Israele avrebbe agito con più modestia). Dopo aver condotto gli esperimenti nucleari, l’India è diventata più sicura nelle sue relazioni con una Cina più potente. Il conflitto tra India e Pakistan è ancora in corso, ma gli scontri sono diminuiti da quando i due Paesi hanno ottenuto lo status nucleare.
Karaganov difende una politica a favore della proliferazione nucleare, vista come la nuova norma strategica che garantirà un mondo multipolare in cui tutte le potenze regionali avranno testate nucleari – quello che lui chiama “multilateralismo nucleare”.
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La Corea del Nord è più fiduciosa e sta migliorando la sua posizione internazionale, soprattutto perché la Russia ha finalmente smesso di inseguire l’Occidente e ha ripreso una cooperazione di fatto con Pyongyang. Una limitata proliferazione nucleare potrebbe anche rivelarsi utile come barriera alla creazione e all’uso di armi biologiche. Un aumento della minaccia nucleare potrebbe scoraggiare la militarizzazione delle tecnologie di intelligenza artificiale. Ma soprattutto, le armi nucleari, compresa la loro proliferazione, sono necessarie per ripristinare gli aspetti della deterrenza nucleare che hanno smesso di funzionare, al fine di evitare non solo grandi guerre convenzionali (come in Ucraina), ma anche una corsa agli armamenti convenzionali. Una guerra convenzionale non può essere vinta se il potenziale nemico dispone di armi nucleari e, soprattutto, è pronto a usarle.
Un maggiore uso del deterrente nucleare è già necessario per raffreddare i “leader” europei senza cervello che parlano dell’inevitabilità di un confronto tra Russia e NATO e chiedono che le forze armate siano preparate. A chi parla e a chi ascolta va ricordato che in caso di guerra tra Russia e NATO in Europa, di molti Paesi europei all’interno dell’alleanza rimarrebbe ben poco nei primi giorni dopo lo scoppio del conflitto.
Certo, la proliferazione comporta dei rischi. Ma nel contesto del disordine e della ridistribuzione del mondo che è iniziata, essi sono molto inferiori a quelli causati dall’indebolimento della deterrenza nucleare.
L’ordine mondiale policentrico e sostenibile del futuro non può essere raggiunto senza il multilateralismo nucleare.
Certamente ad alcuni Paesi dovrebbe essere vietato in modo permanente e deciso di possedere un arsenale nucleare o anche solo di avvicinarsi ad acquisirne uno. La Germania, che ha scatenato due guerre mondiali e un genocidio, deve diventare l’obiettivo legittimo di un attacco preventivo e deve essere distrutta completamente se mai mettesse le mani su una bomba nucleare. Tuttavia, già ora, dimenticando la sua mostruosa storia, sta cercando di ottenere questa punizione agendo come uno Stato vendicatore, il principale sponsor europeo della guerra in Ucraina. In Europa, tutti i Paesi che hanno partecipato all’invasione dell’URSS da parte di Hitler dovrebbero temere un destino simile. Credo che la Polonia non potrà evitare un simile destino in caso di estrema necessità, se intende dotarsi di armi nucleari. Tuttavia, ripeto per l’ennesima volta, che Dio ce ne preservi.
La Cina avrà tutto il diritto e persino l’obbligo morale – con il sostegno della Russia e di altri Paesi della maggioranza mondiale – di punire il Giappone, la cui aggressione è costata la vita a decine di milioni di cinesi e di altri asiatici, e il cui sogno è ancora di vendicarsi rivendicando i territori russi, se mai Tokyo si avvicinasse alle armi nucleari.
È necessario un equilibrio nucleare duraturo in Medio Oriente. Israele, se supera la delegittimazione dovuta alle atrocità commesse a Gaza. L’Iran, se abbandona l’ambizione ufficialmente dichiarata di distruggere Israele. Uno degli Stati del Golfo o un raggruppamento di Stati del Golfo. Il candidato più accettabile per il possesso a nome dell’intero mondo arabo sono gli Emirati Arabi Uniti, se non l’Arabia Saudita e/o l’Egitto. Naturalmente, il passaggio alle armi nucleari da parte dei principali Paesi a maggioranza mondiale deve essere misurato e accompagnato dalla formazione del personale e delle élite interessate. La Russia può e deve condividere la sua esperienza. È già necessario sviluppare un dialogo intenso con i principali Paesi della maggioranza mondiale sull’essenza e la modernizzazione della politica di deterrenza nucleare. Se gli Stati Uniti, che si spera stiano passando il più pacificamente possibile dal ruolo accidentale di egemone mondiale a quello di normale grande potenza, vogliono tornare alla lettura classica della Dottrina Monroe e tornare a essere un egemone in America Latina, possiamo prendere in considerazione la possibilità di aiutare il Brasile o anche il Messico (se lo desiderano) a ottenere lo status nucleare.
Molte delle proposte sopra esposte susciteranno un’ondata di critiche, come gli articoli dell’anno scorso sulla deterrenza nucleare. Ma si sono rivelate estremamente utili per le comunità strategiche nazionali e internazionali, risvegliandole dal loro sogno letargico di parassitismo strategico. Gli americani hanno rapidamente smesso di dire che la Russia non avrebbe mai usato armi nucleari in risposta all’aggressione occidentale in Ucraina. Poi hanno iniziato a parlare del pericolo di un’escalation nucleare in Ucraina. Hanno poi parlato del fatto che avrebbero perso una guerra contro la Russia e la Cina. L’Europa, che ha perso completamente la sua classe di pensiero strategico, continua a lamentarsi, ma non è così pericolosa.
La prossima cosa da fare è pensare insieme. Credo che lo faremo pubblicamente e a porte chiuse con esperti dei principali Paesi della maggioranza mondiale e, in futuro, con rappresentanti più lucidi del mondo occidentale. Concludo con queste righe di speranza dello stesso Alexander Blok: “Prima che sia troppo tardi – rimettete la vecchia spada nel fodero, / Compagni! Saremo fratelli!”. Se sopravvivremo ai prossimi due decenni, se eviteremo un altro secolo di guerre, come lo è stato il XX secolo, soprattutto nella sua prima metà, i nostri figli e nipoti vivranno in un mondo multicolore, multiculturale e molto più giusto.
Professore emerito Università Nazionale di Ricerca-Scuola Superiore di Economia, Mosca, Russia Facoltà di Economia Mondiale e Affari Internazionali Supervisore Accademico; Consiglio per la Politica Estera e di Difesa Presidente onorario del Presidium
Inizio questo articolo con le parole del mio più amato poeta russo Alexander Blok, paragonabile per il suo dono della chiaroveggenza al più grande genio russo Fëdor Dostoevskij. Da tempo osservo che il mondo si sta inesorabilmente muovendo verso un’ondata di conflitti militari che minacciano di sfociare in una terza guerra termonucleare mondiale che, con ogni probabilità, può distruggere la civiltà umana. Questa previsione è stata una delle ragioni principali per cui ho pubblicato una serie di articoli sul perché è necessario ripristinare la credibilità della deterrenza nucleare, che ha tenuto il mondo al sicuro per più di cinquant’anni.
Molti fattori strutturali indicano un’altissima probabilità di escalation qualitativa dei conflitti militari, che porta il mondo sull’orlo della catastrofe finale, ma a parte questo può portare innumerevoli disgrazie all’umanità in generale e alla Russia in particolare. Non voglio spaventare chi è già nervoso e non è ancora pronto ad accettare la nuova realtà, soprattutto vista l’isteria che ha suscitato la mia precedente serie di articoli relativamente “vegetariani”. Ma non si può nascondere un’anguilla in un sacco, e i miei colleghi più sagaci hanno cominciato a scrivere con sempre maggiore determinazione sulla probabilità di scivolare in una grande guerra, offrendo ricette per prevenirla e prepararsi ad affrontarla se si scatena. Il primo, ovviamente, è l’articolo “Warfare in a New Epoch: The Return of Big Armies” di Vasily Kashin e Andrei Sushentsov, basato su un rapporto del Valdai Club e pubblicato su Russia in Global Affairs.Un altro dei nostri maggiori esperti di relazioni internazionali, Fyodor Lukyanov, ha sostenuto la stessa idea, ma con il suo modo di fare caratteristico.[2] Un altro dei nostri maggiori esperti di relazioni internazionali, Fyodor Lukyanov, ha sostenuto la stessa idea, ma con il suo modo di fare caratteristico.[3]
Dall’altra parte, anche lo “Stato profondo” americano ha iniziato ad avvertire dell’alta probabilità di una terza guerra mondiale e a speculare su come gli Stati Uniti possano evitare la sconfitta se devono combattere su due o tre fronti contemporaneamente (Europa, Pacifico e Medio Oriente).[4]
Ho deciso di partecipare alla discussione. Naturalmente, preferirei una risposta negativa alla domanda posta nel titolo di questo articolo. Ma per questo dobbiamo comprendere le cause dell’escalation dei conflitti e promuovere una politica molto più attiva di salvaguardia della pace. Sono convinto che dobbiamo adeguare considerevolmente tutte le politiche – interne, militari ed estere – e offrire un nuovo paradigma di sviluppo a noi stessi e al mondo.
In questo primo articolo cercherò di presentare la mia visione delle sfide. Il secondo descriverà i modi attivi e proattivi per rispondere ad esse. Non credo che elencando le sfide scoprirò qualcosa di nuovo. Ma nel loro insieme disegnano una realtà più che allarmante che richiede un’azione decisa.
La prima e principale sfida è l’esaurimento del moderno tipo di capitalismo basato principalmente sul profitto, per il quale incoraggia il consumo dilagante di beni e servizi che sono sempre meno necessari per la normale vita umana. Il torrente di informazioni senza senso degli ultimi due o tre decenni rientra nella stessa categoria. I gadget divorano una quantità colossale di energia e tempo che le persone potrebbero altrimenti utilizzare per attività produttive. L’umanità è entrata in conflitto con la natura e ha iniziato a minare la base stessa della sua esistenza. Anche in Russia, la crescita del benessere implica principalmente un aumento dei consumi.
La seconda sfida è quella più evidente. I problemi globali – l’inquinamento, il cambiamento climatico, la diminuzione delle riserve di acqua dolce, unicamente adatta all’agricoltura, e di molte altre risorse naturali – non vengono risolti; al contrario, vengono proposte le cosiddette soluzioni verdi, il più delle volte finalizzate a consolidare il dominio dei privilegiati e dei ricchi sia nelle loro società che a livello globale. Si pensi, ad esempio, ai continui tentativi di spostare l’onere della lotta all’inquinamento ambientale e alle emissioni di CO2 sui produttori, la maggior parte dei quali si trova al di fuori del vecchio Occidente, piuttosto che sui consumatori dell’Occidente, dove il consumo eccessivo sta assumendo forme grottesche. Si stima che il 20-30% della popolazione mondiale, concentrata principalmente in Nord America, Europa e Giappone, consumi il 70-80% delle risorse prelevate ogni anno dalla biosfera,[5] e questo divario continua a crescere.
Ma la malattia del consumismo si sta diffondendo nel resto del mondo. Noi stessi soffriamo ancora del consumo ostentato, così di moda negli anni Novanta e ora in via di estinzione (se davvero in via di estinzione), anche se con estrema lentezza. Da qui l’intensificarsi della lotta per le risorse e l’acuirsi delle tensioni interne, anche a causa di consumi diseguali e della crescente disuguaglianza in molti Paesi e regioni.
La consapevolezza che l’attuale modello di sviluppo non porta da nessuna parte, ma anche la non volontà e l’incapacità di abbandonarlo, sono la ragione principale dell’ostilità sempre più crescente verso la Russia e, in misura leggermente minore, verso la Cina (il prezzo della rottura delle relazioni con essa è molto più alto).
Per distrarre le persone dalle sfide non affrontate, serve un nemico.
Già a metà degli anni 2010, le sanzioni si spiegavano apertamente con la necessità di contenere il corpo tentacolare dell’Unione Europea. Ora sono uno dei principali vincoli che tengono insieme l’Occidente.
I politici europei parlano sempre più spesso della necessità, se non dell’opportunità, di prepararsi a una guerra mondiale, dimenticando ovviamente, in un attacco di amnesia storica e di degrado intellettuale, che se dovesse iniziare, i Paesi europei della NATO non avrebbero più di alcuni giorni o addirittura ore di vita. Ma Dio non voglia, ovviamente.
Un processo parallelo è l’aumento della disuguaglianza sociale, che sta crescendo in modo esplosivo dal crollo dell’URSS comunista che ha seppellito la necessità di uno Stato sociale. Nei Paesi occidentali sviluppati, la classe media, fondamento dei sistemi politici democratici, si sta riducendo da circa 15-20 anni e sta diventando sempre meno efficiente.
La democrazia è uno degli strumenti con cui le élite oligarchiche, detentrici di potere e ricchezza, governano le società complesse. È per questo che le tendenze autoritarie e persino totalitarie sono in aumento in Occidente, nonostante tutte le grida sulla protezione della democrazia, ma non solo.
La terza sfida è il degrado dell’uomo e della società, soprattutto nell’Occidente relativamente sviluppato e ricco. L’Occidente (ma non solo) è vittima di una civiltà urbana che vive in un relativo comfort, ma che si è anche distaccata dall’habitat tradizionale in cui l’uomo si è formato storicamente e geneticamente. La continua diffusione delle tecnologie digitali, che avrebbero dovuto promuovere l’istruzione di massa, è sempre più responsabile dell’istupidimento generale e aumenta la possibilità di manipolare le masse non solo per gli oligarchi, ma anche per le masse stesse, portando a un nuovo livello di oclocrazia. Inoltre, le oligarchie che non vogliono condividere i loro privilegi e le loro ricchezze mettono deliberatamente in pericolo le persone e incoraggiano la disintegrazione delle società, cercando di renderle incapaci di resistere all’ordine delle cose che è sempre più ingiusto e pericoloso per la maggior parte di loro. Non solo promuovono, ma impongono ideologie, valori e modelli di comportamento anti-umani o post-umani che rifiutano le basi naturali della moralità umana e quasi tutti i valori umani fondamentali.
L’onda dell’informazione si combina con condizioni di vita relativamente prospere: l’assenza delle principali sfide che hanno sempre guidato lo sviluppo dell’umanità: la fame e la paura della morte violenta. Le paure si stanno virtualizzando.
Il pensiero a clip è caratterizzato da un degrado intellettuale universale.
Possiamo già vedere che le élite europee hanno perso quasi completamente la capacità di pensare strategicamente, e non ne è rimasta praticamente nessuna nel senso meritocratico tradizionale. Stiamo assistendo a un declino intellettuale dell’élite al potere negli Stati Uniti, un Paese con enormi capacità militari, anche nucleari. Gli esempi si moltiplicano. Ho già citato uno degli ultimi che mi ha davvero scioccato. Sia il Presidente degli Stati Uniti Biden che il suo Segretario di Stato Blinken hanno sostenuto che la guerra nucleare non è peggiore del riscaldamento globale.[6] Ma questa malattia minaccia l’intera umanità e richiede un’azione di contrasto decisiva. Il nostro pensiero è sempre meno adeguato ad affrontare sfide sempre più complesse. Per distrarre le persone dai problemi irrisolti e per distrarsi, i politici stanno suscitando interesse per l’intelligenza artificiale. Per tutte le sue possibili applicazioni utili, non sarà in grado di riempire il vuoto dell’intelligenza, ma indubbiamente comporta ulteriori enormi pericoli. Ne parlerò più avanti.
La quarta fonte più importante dell’aumento delle tensioni globali negli ultimi quindici anni è la redistribuzione senza precedenti del potere dal vecchio Occidente alla nascente Maggioranza Mondiale. Le placche tettoniche hanno iniziato a muoversi sotto il precedente sistema internazionale, provocando un lungo terremoto geopolitico, geoeconomico e geoideologico a livello mondiale. Le ragioni sono molteplici.
In primo luogo, l’URSS degli anni 1950-1960 e poi la Russia, che si era ripresa da un declino durato quindici anni, hanno tolto il terreno da sotto l’Europa e dalla superiorità militare dell’Occidente che durava da 500 anni. Ripeto quello che è stato detto molte volte: era la base su cui poggiava il loro dominio nella politica, nella cultura e nell’economia mondiale, che permetteva loro di imporre i propri interessi e il proprio ordine politico, la propria cultura e, soprattutto, di sottrarre il PNL mondiale. La perdita di un’egemonia durata 500 anni è alla base dell’odio rabbioso dell’Occidente verso la Russia e dei tentativi di schiacciarla.
In secondo luogo, gli errori dell’Occidente stesso, che era arrivato a credere nella sua vittoria finale, si è rilassato, ha dimenticato la storia ed è caduto nell’euforia e nella letargia del pensiero. Ha commesso una serie di errori geopolitici spettacolari. Dapprima ha respinto altezzosamente (forse per nostra fortuna) l’aspirazione della maggior parte dell’élite russa alla fine degli anni ’80 e ’90 di integrarsi nell’Occidente. Volevano essere uguali, ma sono stati snobbati. Di conseguenza, la Russia si è trasformata da potenziale partner e persino alleato, dotato di un enorme potenziale naturale, militare e intellettuale e di capacità produttive minori, ma comunque considerevoli, in un avversario e nel nocciolo strategico del non-Occidente, che viene spesso definito Sud globale, ma un nome più appropriato è Maggioranza mondiale.
Terzo, essendo arrivato a credere che non ci fossero alternative al modello del capitalismo globalista liberal-democratico, l’Occidente non solo non ha visto, ma ha anche sostenuto l’ascesa della Cina, sperando che la grande civiltà-stato seguisse la strada della democrazia, cioè fosse governata in modo meno efficace e si accodasse strategicamente all’Occidente. Ricordo il mio stupore quando l’offerta fantasticamente lucrativa fatta dall’élite russa negli anni ’90 fu rifiutata. Pensavo che l’Occidente avesse deciso di finire la Russia. Ma si è scoperto che era stato semplicemente guidato da un misto di arroganza e avidità. In seguito, la politica nei confronti della Cina non sembrò più così sorprendente. Il livello intellettuale delle élite occidentali è diventato evidente.
Poi gli Stati Uniti sono stati coinvolti in una serie di conflitti non necessari – Afghanistan, Iraq, Siria – e li hanno prevedibilmente persi, rovinando l’aura del loro dominio militare e sprecando trilioni di dollari investiti in forze di impiego generale. Ritirandosi sconsideratamente dal Trattato ABM, forse nella speranza di ripristinare la superiorità nelle armi strategiche, Washington ha risvegliato in Russia un senso di autoconservazione, distruggendo infine ogni speranza di accordo amichevole. Nonostante la sua condizione di miseria, Mosca ha avviato un programma di ammodernamento delle sue forze strategiche che, alla fine degli anni 2010, le ha permesso per la prima volta nella storia non solo di recuperare il ritardo, ma anche di andare avanti, seppur temporaneamente.
La quinta fonte di tensione nel sistema mondiale – il già citato, quasi istantaneo per gli standard storici, cambiamento a valanga dell’equilibrio di potere globale; il rapido declino della capacità dell’Occidente di sifonare il GWP ha causato la sua furiosa reazione. L’Occidente, ma soprattutto Washington, sta distruggendo la sua posizione un tempo privilegiata nella sfera economica e finanziaria, armando i legami economici e usando la forza nel tentativo di rallentare l’indebolimento delle proprie posizioni e di danneggiare i concorrenti. Una raffica di sanzioni e di restrizioni al trasferimento di tecnologia e di beni ad alta tecnologia spezza le catene di produzione. La stampa sfrenata di dollari, e ora dell’euro, accelera l’inflazione e aumenta il debito pubblico. Cercando di mantenere il proprio status, gli Stati Uniti stanno minando il sistema globalista che essi stessi hanno creato, ma che ha dato quasi pari opportunità ai concorrenti in ascesa, più organizzati e laboriosi, della Maggioranza Mondiale. La deglobalizzazione economica e la regionalizzazione sono in corso; le vecchie istituzioni di gestione economica globale stanno vacillando. L’interdipendenza, un tempo vista come uno strumento per sviluppare e rafforzare la cooperazione e la pace, sta diventando sempre più un fattore di vulnerabilità e mina il suo stesso ruolo stabilizzatore.
La sesta sfida. Dopo aver lanciato un disperato contrattacco, in primo luogo contro la Russia, ma anche contro la Cina, l’Occidente ha iniziato una campagna di propaganda quasi senza precedenti, simile a un tempo di guerra, demonizzando i concorrenti, soprattutto la Russia, e tagliando sistematicamente i legami umani, culturali ed economici. L’Occidente sta calando una cortina di ferro ancora più pesante di quella precedente e sta costruendo l’immagine di un nemico universale. Da parte russa e cinese, la guerra delle idee non è così totale e feroce, ma l’onda contraria sta crescendo. Tutto ciò crea una situazione politica e psicologica in cui l’Occidente disumanizza i russi e, in parte ma in misura minore, i cinesi (rompere i legami con loro è più costoso), e noi guardiamo all’Occidente con un disprezzo sempre più fastidioso. La disumanizzazione spiana la strada alla guerra. Sembra essere parte dei preparativi per la guerra in Occidente.
La nostra risposta crea i presupposti per una lotta spietata contro chi non è degno di rispetto o di clemenza.
La settima sfida. Gli spostamenti tettonici, l’ascesa di nuovi Paesi e continenti e il riaccendersi di vecchi conflitti soppressi dal confronto strutturato dell’era della Guerra Fredda porteranno inevitabilmente (se i nuovi leader non contrastano questa tendenza con una politica attiva di pace) a una serie di conflitti. Le contraddizioni “interimperialiste” sono probabili non solo tra i vecchi e i nuovi, ma anche tra i nuovi attori. I primi bagliori di tali conflitti sono già visibili nel Mar Cinese Meridionale e tra India e Cina. Se i conflitti si moltiplicheranno, come è più che probabile, provocheranno una reazione a catena che aumenterà il rischio di una guerra mondiale. Finora il pericolo principale è rappresentato dal già citato feroce contrattacco lanciato dall’Occidente. Ma i conflitti possono scoppiare e scoppieranno quasi ovunque, anche alla periferia della Russia.
In Medio Oriente, il conflitto israelo-palestinese è esploso in modo prevedibile, minacciando di coinvolgere l’intera regione. In Africa infuria una serie di guerre. I conflitti minori non si fermano mai nei devastati Afghanistan, Iraq e Siria. L’Occidente, che gode ancora del dominio dell’informazione e della propaganda, preferisce semplicemente non notarli. L’America Latina e l’Asia non sono storicamente così bellicose come l’Europa, dove sono iniziate la maggior parte delle guerre, comprese due guerre mondiali nell’arco di una generazione, ma le guerre sono avvenute anche lì e molti confini sono stati tracciati arbitrariamente e imposti dalle ex potenze coloniali. L’esempio più lampante è quello dell’India e del Pakistan, ma ce ne sono decine di altri.
Data la traiettoria di sviluppo dell’Europa, finora inesorabilmente in discesa in termini di decelerazione economica, crescente disuguaglianza, aumento dei problemi migratori, crescente disfunzione di sistemi politici ancora relativamente democratici e degrado morale, ci si può aspettare, con un grado di probabilità molto elevato nel medio termine, la stratificazione e poi persino il crollo dell’Unione Europea, l’ascesa del nazionalismo e la fascistizzazione dei sistemi politici. Finora hanno preso piede elementi di neofascismo liberale, ma sta già emergendo il fascismo nazionalista di destra. Il subcontinente tornerà al suo abituale stato di instabilità e persino fonte di conflitti. L’inevitabile ritiro degli Stati Uniti, che stanno perdendo interesse nella stabilità del subcontinente, aggraverà questa tendenza. Non restano più di dieci anni. Vorrei sbagliarmi, ma non sembra.
L’ottava sfida. La situazione è aggravata dal vero e proprio collasso della governance globale non solo nell’economia, ma anche nella politica e nella sicurezza; dalla rinnovata e feroce rivalità tra le grandi potenze; dalla struttura fatiscente delle Nazioni Unite che rende l’organizzazione sempre meno funzionale; dal sistema di sicurezza in Europa rovinato dall’espansione della NATO. Anche i tentativi degli Stati Uniti e dei loro alleati di mettere insieme blocchi anticinesi nella regione indo-pacifica e la lotta per il controllo delle rotte marittime aumentano il potenziale di conflitto. L’Alleanza Nord Atlantica, che in passato era un sistema di sicurezza che svolgeva un ruolo ampiamente stabilizzante e di bilanciamento, si è trasformata in un blocco che ha commesso diversi atti di aggressione e che ora sta conducendo una guerra in Ucraina.
Le nuove organizzazioni, istituzioni e vie progettate, tra l’altro, per garantire la sicurezza internazionale, come la SCO, i BRICS, la Belt and Road continentale e la Northern Sea Route, sono state finora solo parzialmente in grado di compensare il crescente deficit di meccanismi di sostegno alla sicurezza. Questo deficit è aggravato dal crollo, principalmente su iniziativa di Washington, del precedente sistema di controllo degli armamenti, che ha svolto un ruolo limitato ma utile nel prevenire una corsa agli armamenti, ma ha comunque fornito maggiore trasparenza e prevedibilità, riducendo in qualche modo il sospetto e la sfiducia.
La nona sfida. L’arretramento dell’Occidente, in particolare degli Stati Uniti, dalla sua posizione dominante nella cultura, nell’economia e nella politica mondiale, sebbene incoraggiante in quanto apre nuove opportunità per altri Paesi e civiltà, comporta rischi spiacevoli. Ritirandosi, gli Stati Uniti stanno perdendo interesse a mantenere la stabilità in molte regioni e, al contrario, iniziano a provocare instabilità e conflitti. L’esempio più evidente è il Medio Oriente, dopo che gli americani si sono assicurati una relativa indipendenza energetica. È difficile pensare che l’attuale conflitto israelo-palestinese a Gaza sia solo il risultato della palese incompetenza dei servizi di sicurezza israeliani e soprattutto statunitensi. Ma anche se fosse così, ciò indica una perdita di interesse per uno sviluppo pacifico e stabile. Tuttavia, ciò che conta davvero è che, mentre si ritirano lentamente nel neo-isolazionismo, gli americani vivranno per molti anni nel paradigma mentale del dominio imperiale e, se consentito, fomenteranno conflitti in Eurasia.
La classe politica americana rimarrà, almeno per un’altra generazione, nel quadro intellettuale delle teorie di Mackinder, stimolate da un dominio geopolitico durato 15 anni ma transitorio. In particolare, gli Stati Uniti cercheranno di ostacolare l’ascesa di nuove potenze, in primo luogo la Cina, ma anche la Russia, l’India, l’Iran, molto presto la Turchia e i Paesi del Golfo. Da qui la sua politica, finora riuscita, di provocare e fomentare un conflitto armato in Ucraina, i tentativi di trascinare la Cina in una guerra per Taiwan (finora falliti) e di esacerbare i disaccordi sino-indiani, i continui sforzi per fomentare il conflitto nel Mar Cinese Meridionale, e di fomentare il conflitto nel Mar Cinese Orientale, di silurare sistematicamente il riavvicinamento intra-coreano e di fomentare (finora senza successo) il conflitto in Transcaucasia e tra gli Stati arabi del Golfo e l’Iran. Possiamo aspettarci lo stesso nel vicinato comune di Russia e Cina.
Il punto vulnerabile più evidente è il Kazakistan. C’è già stato un tentativo di questo tipo. È stato fermato dalle forze di pace russe della CSTO, intervenute su richiesta della leadership kazaka. Ma questo continuerà fino a quando l’attuale generazione di élite politiche statunitensi non se ne andrà e, se e quando, saliranno al potere persone meno globaliste e più orientate alla nazione. Ci vorranno almeno 15-20 anni. Ma naturalmente questo processo deve essere incoraggiato in nome della pace internazionale e anche nell’interesse del popolo americano, anche se gli ci vorrà molto tempo per prendere coscienza dei suoi interessi. Ciò avverrà se e quando il degrado dell’élite americana sarà fermato e gli Stati Uniti subiranno un’altra sconfitta, questa volta in Europa per l’Ucraina.
Lottando disperatamente per preservare l’ordine mondiale degli ultimi 500 e soprattutto 30-40 anni, gli Stati Uniti e i loro alleati, compresi quelli nuovi che sembravano essersi uniti al vincitore, hanno provocato e stanno ora fomentando una guerra in Ucraina. All’inizio speravano di schiacciare la Russia. Ora che questo tentativo è fallito, prolungheranno il conflitto, sperando di logorare e abbattere il nostro Paese – il nucleo politico-militare della Maggioranza Mondiale – o almeno di legargli le mani, impedirgli di svilupparsi e ridurre l’attrattiva delle sue alternative (non ancora chiaramente formulate, ma abbastanza ovvie) al paradigma politico e ideologico occidentale.
Tra un anno o due, l’operazione militare speciale in Ucraina dovrà concludersi con una vittoria decisiva, in modo che le attuali élite americane e le relative élite di comprador in Europa si rassegnino alla perdita del loro dominio e accettino una posizione molto più modesta nel futuro sistema internazionale.
Un compito a lungo termine ma urgente è quello di promuovere il ritiro pacifico dell’Occidente dalle sue precedenti posizioni egemoniche.
La decima sfida. Per molti decenni, la relativa pace sul pianeta è stata mantenuta grazie alla paura delle armi nucleari. Negli ultimi anni, tuttavia, l’abitudine a vivere in pace, il degrado intellettuale di cui sopra e la mentalità da clip nelle società e nelle élite hanno favorito l’ascesa del “parassitismo strategico”. Le persone non temono più la guerra, nemmeno quella nucleare. L’ho già scritto nei miei articoli precedenti. Ma non sono il solo a lanciare l’allarme. Questo problema viene regolarmente sollevato dall’eminente pensatore russo di politica estera Dmitry Trenin.[7]
E infine, l’undicesima e più ovvia sfida, o meglio un insieme di sfide. È in corso una nuova corsa agli armamenti, qualitativa ma anche quantitativa. La stabilità strategica – un indicatore della probabilità di una guerra nucleare – è minata da tutte le parti. Appaiono o sono già apparsi nuovi tipi di armi di distruzione di massa, che non sono coperti dal sistema di limitazioni e divieti. Questi includono molti tipi di armi biologiche che colpiscono sia le persone e i singoli gruppi etnici, sia gli animali e le piante. Un possibile scopo di queste armi è provocare la fame e diffondere malattie umane, animali e vegetali.[8] Gli Stati Uniti hanno creato una rete di laboratori biologici in tutto il mondo e altri Paesi hanno probabilmente fatto lo stesso. Alcune armi biologiche sono relativamente accessibili.
Oltre alla diffusione e al drammatico aumento del numero e della portata dei missili e di altre armi di varie classi, è in corso la rivoluzione dei droni. Gli UAV sono relativamente e/o del tutto economici, ma possono trasportare armi di distruzione di massa. Soprattutto, la loro proliferazione di massa, già iniziata, può rendere la vita normale insopportabilmente pericolosa. Poiché il confine tra guerra e pace sta diventando sempre più labile, queste armi sono lo strumento perfetto per attacchi terroristici e puro banditismo. Quasi ogni persona che si trova in uno spazio relativamente non protetto diventa una potenziale vittima di malfattori. Missili, droni e altre armi possono causare danni colossali alle infrastrutture civili, con tutte le conseguenze che ne derivano per le persone e i Paesi. Lo vediamo già accadere durante il conflitto in Ucraina.
Le armi non nucleari a lungo raggio ad alta precisione minano la stabilità strategica “dal basso”. Nel frattempo, sono in corso lavori (iniziati di nuovo negli Stati Uniti) per miniaturizzare le armi nucleari, che erodono la stabilità strategica “dall’alto”. Ci sono sempre più segnali che indicano che la corsa agli armamenti si sta spostando nello spazio.
Le armi ipersoniche, in cui noi e i nostri amici cinesi siamo ancora all’avanguardia, grazie a Dio e ai nostri progettisti, prima o poi si diffonderanno. Il tempo di volo per raggiungere gli obiettivi sarà ridotto al minimo. Il rischio di un attacco di decapitazione ai centri decisionali aumenterà drasticamente. La stabilità strategica subirà un altro colpo devastante. I veterani ricordano come noi e la NATO siamo stati presi dal panico per i missili SS-20 e Pershing. Ma la situazione attuale è molto peggiore. In caso di crisi, missili sempre più precisi e invincibili a lungo raggio minacceranno le più importanti comunicazioni marittime, come i canali di Suez e Panama, gli stretti di Bab al-Mandeb, Hormuz, Singapore e Malacca.
La corsa agli armamenti incontrollata che si sta sviluppando in quasi tutti i settori può portare il mondo al punto in cui i sistemi di difesa missilistica e aerea dovranno essere posizionati ovunque. Naturalmente, i missili a lungo raggio e ad alta precisione, come altre armi, possono anche rafforzare la sicurezza e, ad esempio, neutralizzare definitivamente il potenziale della flotta di portaerei statunitense e ridurre la possibilità di Washington di perseguire politiche aggressive e di sostenere i suoi alleati. Ma poi anche loro si affretteranno a dotarsi di armi nucleari, cosa più che probabile nel caso della Repubblica di Corea e del Giappone.
Infine, il fattore più alla moda ma anche molto pericoloso.
L’intelligenza artificiale nella sfera militare non solo aumenta in modo significativo la pericolosità delle armi, ma crea anche nuovi rischi di escalation nei conflitti locali, quando persone, società e Stati perdono il controllo delle armi.
Possiamo già vedere armi autonome sul campo di battaglia. Questo tema richiede un’analisi approfondita a parte. A questo punto, l’intelligenza artificiale nella sfera strategico-militare comporta maggiori pericoli. Ma forse crea anche nuove opportunità per prevenirli. Tuttavia, affidarsi all’IA e ai modi e ai metodi tradizionali per rispondere alle sfide crescenti sarebbe sciocco e persino avventato.
Posso continuare a elencare i fattori che creano una situazione militare-strategica prossima alla guerra o addirittura bellica nel mondo. Il mondo è sull’orlo o ha già superato una serie di disastri, se non una catastrofe globale. La situazione è estremamente, forse senza precedenti, allarmante, ancor più di quanto non lo fosse ai tempi di Alexander Blok, che presagiva il XX secolo che si è rivelato così terribile per il nostro Paese e per il mondo. Ma invito il lettore a non cadere nel panico e nello sconforto. Le ricette ci sono e alcune soluzioni sono già in fase di realizzazione. Ne parlerò nel prossimo articolo.
Tutto è nelle nostre mani, ma dobbiamo renderci conto di quanto siano profonde, gravi e senza precedenti le sfide attuali, e renderci all’altezza non solo rispondendo, ma anche restando un passo avanti. Ripeto: la Russia ha bisogno di una nuova politica estera, di nuove priorità per il suo sviluppo interno e di nuove priorità per la società, per ogni cittadino responsabile di questo Paese e del mondo. Ne parlerò nel prossimo articolo.
Come prevenire una terza guerra mondiale
Sergei A. Karaganov
A metà giugno ho pubblicato sulla rivista Profil un articolo intitolato “L’uso delle armi nucleari può salvare l’umanità dalla catastrofe globale”. L’articolo è stato pubblicato in russo e in inglese quasi contemporaneamente sul sito web della rivista Russia in Global Affairs. È stato ampiamente ristampato in tutto il mondo, scatenando uno tsunami di risposte, obiezioni e dibattiti, decine di migliaia di reazioni. Non sono mancate nemmeno le parole di sostegno.
[2] Kashin, Vasily B. e Sushentsov, Andrei A., 2023. “La guerra in una nuova epoca: Il ritorno dei grandi eserciti”. Rossiya v globalnoi politike, 21(6), pp. 10-118. Disponibile su: https://www.globalaffairs.ru/articles/bolshaya-vojna/. La versione in lingua inglese sarà disponibile nel prossimo numero (22(1), 2024) di Russia in Global Affairs.
[3] Cfr: Lukyanov, F.A., 2023a. Polupolyarny mir [Un mondo semipolare]. Rossiya v gobalnoi politike, 3 ottobre. Disponibile a: https://globalaffairs.ru/articles/polupolyarnyj-mir/; Lukyanov, F.A., 2023b. Nyneshnyaya “Tretya mirovaya voina” budet rastyanutoi vo vremeni i rasplredelyonnoi v prostranstve [“La terza guerra mondiale” sarà prolungata nel tempo e distribuita nello spazio]. Rossiiskaya Gazeta, 8 novembre. Disponibile su: https://rg.ru/2023/11/08/chto-budet-posle-status-kvo.html
[8] Zavriev, S.K., 2022. Sovremennye problemy biobezopasnosti i perspektivy mezhdunarodnogo sotrudnichestva [Problemi moderni di biosicurezza e prospettive di cooperazione internazionale]. Mirovaya ekonomika i mezhdunarodnye otnosheniya, 66(4), pp. 94-100.
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È la fine dell’anno e quindi vorrei augurare a tutti un felice anno nuovo: ecco l’inizio del 2025. B ha detto meglio che il 2025 vedrà un notevole e precipitoso declino dell’Occidente verso la tirannia e l’illiberalismo.
Data la bizzarra natura coordinata delle repressioni speculari di ogni nazione occidentale su libertà fondamentali come la libertà di parola, la totale delegittimazione della democrazia e delle elezioni, l’assoluta dispettosa inimicizia che le nostre élite al potere hanno mostrato verso l’uomo comune, il contadino, l’operaio, lo schiavo salariato – dato che tutte queste cose, e quanto siano state straordinariamente coordinate tra i governi dell’Occidente, il 2025 ci ha insegnato che l’intero ordine occidentale deve necessariamente prendere la direzione da un nodo centralizzato di governance da qualche parte. Quel posto può essere nei retrobottega del WEF o del Bilderberg o altro ancora, ma il dominio dall’alto è ora più chiaro che mai.
Citando Mearsheimer, B scrive: “La cosa più orribile, però, è il crollo dei concetti umanitari che un tempo l’Occidente sosteneva di tenere alti. Mearsheimer lo dice meglio quando denuncia la bancarotta morale dell’Occidente“:
Dato il presunto impegno dell’Occidente per i diritti umani e soprattutto per la prevenzione dei genocidi, ci si sarebbe aspettati che Paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Germania avessero fermato il genocidio israeliano sul nascere.
Invece, i governi di questi tre Paesi, soprattutto gli Stati Uniti, hanno appoggiato in ogni occasione l’inimmaginabile comportamento di Israele a Gaza. In effetti, questi tre Paesi sono complici di questo genocidio.
Inoltre, quasi tutti i numerosi sostenitori dei diritti umani in quei Paesi, e in Occidente più in generale, sono rimasti in silenzio mentre Israele eseguiva il suo genocidio. I media tradizionali non hanno fatto quasi alcuno sforzo per denunciare e contestare ciò che Israele sta facendo ai palestinesi. Anzi, alcuni importanti organi di informazione hanno sostenuto con convinzione le azioni di Israele.
Esatto, il 2024 è stato l’anno del genocidio senza mezzi termini, e per di più con la totale sbianchettatura di questo genocidio da parte dei media aziendali comprati e pagati.
Più di ogni altra cosa, dichiaro l’anno 2024 come la morte dei media tradizionali. Mai prima d’ora la loro parzialità, la loro criminalità e la loro totale ostilità alla verità erano state più apertamente evidenti, più palesemente ostentate. Scandalo dopo scandalo hanno rovinato le ultime briciole di credibilità rimaste, dalla copertura della chiara demenza di Biden, dell’incompetenza presidenziale e della vera e propria criminalità familiare, alla copertura del genocidio di Israele per tutto l’anno, con trucchi “creativi” di formattazione e sintassi, oltre alla mancanza di imparzialità o di capacità di mettere in discussione la narrativa di Stato. Si sono rivelati nient’altro che un’antiquata tribuna di disinformazione e controllo della narrazione. Quest’anno è stata davvero la morte, a lungo attesa e molto meritata, dei media tradizionali come istituzione.
Praticamente tutto ciò che è degno di nota, qualsiasi rivelazione o denuncia degna di nota, è stato pubblicato su Twitter, Substack o su un rifugio associato di “cittadini giornalisti”. Le persone si stanno allontanando sempre di più dalla programmazione aziendale in generale, sia che si tratti di MSM o di Hollywood o persino dei principali sport – con titoli recenti che riportano un calo del 50% degli spettatori dell’NBA, per esempio.
Ho proposto un paio di articoli fa come il mondo stia entrando in un periodo di illegalità da parte di uomini forti, a causa del crollo sistemico delle precedenti istituzioni internazionali e delle barriere di sicurezza che hanno mantenuto una parvenza di “ordine” in tutto il mondo. Ora sta diventando quasi un passe-partout parlare di confische illegali di terre, occupazioni, ecc. e realizzarle. Dall’azione di Israele sul territorio siriano, alle sfacciate richieste di revanscismo della Turchia, all’improvvisa e inspiegabile richiesta di Trump di annettere la Groenlandia e il Canada, sta diventando quasi surreale.
Le megacorporazioni si stanno fondendo per diventare monopoli dominanti solo per avere una chance contro altri consorzi onnipotenti, mentre solo i primi dieci titoli controllano ormai quasi il 40% del mercato azionario:
Il potere si sta consolidando in sempre meno mani, mentre il mondo vacilla sull’orlo del caos.
Milioni di americani hanno smesso di seguire i telegiornali, molti perché sono così sicuri che ci saranno cattive notizie che si sintonizzano. Si stanno perdendo l’occasione. È facile perdere di vista la realtà: non è mai stato un momento migliore per essere vivi. Gli americani più poveri hanno accesso a cure mediche migliori di quelle di cui godevano i reali più ricchi un secolo fa…
No, non si stanno perdendo nulla – e no, non si stanno sintonizzando a causa di un’assurda paura delle “cattive notizie” – vi hanno sintonizzato perché siete degli imbroglioni criminali.
Stranamente, il WaPo include questa inusuale ammissione di innocenza della Russia:
Anche ammettere gli errori e imparare da essi è importante. La Redazione ha sbagliato a ritenere che la Russia abbia sabotato il gasdotto Nord Stream. Si è scoperto, come ha riportato il Post, che l’ipotesi più probabile è che dietro l’attacco ci siano gli ucraini, che sperano di ridurre la dipendenza europea dal gas russo. Questo non significa che Washington debba tagliare i ponti con Kiev, ma è importante chiamare in causa sia gli alleati che gli avversari quando sbagliano.
Beh, se questo non è stridente!
La verità è che i più anziani tra noi ricorderanno che gli eventi attuali sono per molti aspetti una replica dei turbolenti anni ’70. Anche la marcia istituzionale verso tendenze antidemocratiche è iniziata con la Commissione Trilaterale, il seminale The Crisis of Democracy del 1975, la cui tesi centrale era:
Il rapporto ha osservato lo stato politico degli Stati Uniti, dell’Europa e del Giappone, e afferma che negli Stati Uniti i problemi di governance “derivano da un eccesso di democrazia” e chiede quindi azioni “per ripristinare il prestigio e l’autorità delle istituzioni governative centrali”.
Rileggete: i problemi della nostra società derivano da un “eccesso di democrazia”, secondo le élite che governano il nostro mondo. Ricordiamo che la Commissione Trilaterale è stata fondata da Rockefeller e Zbigniew Brzezinski – quest’ultimo merita di essere ricordato soprattutto in un giorno di lutto mondiale per la morte di Jimmy Carter: Brzezinski era il consigliere per la sicurezza nazionale di Carter.
Pertanto, possiamo considerare gli eventi odierni come influenzati dagli incerti anni ’70, con la stagflazione degli anni ’80 che potrebbe essere la nostra diretta continuazione parallela – a meno che Trump, per miracolo, non scuota le cose. E proprio come il globalismo, l’offshoring e la bolla tecnologica delle dotcom hanno momentaneamente risollevato le cose negli anni ’90, le nostre élite tecnologiche si affannano ora a cercare una qualche forma di boom tecnologico dell’IA per rianimare il cadavere delle nostre economie.
Ma c’è una grande ragione per essere entusiasti del futuro nel 2025: la caduta di molti regimi atlantici tirannici e antidemocratici è vicina. Che si tratti dei leader stessi o delle camere legislative, tutto in Canada, Francia, Germania, Regno Unito e oltre è in subbuglio – e questo non può che essere un bene, perché la marea di forze populiste potrebbe di nuovo fare incursioni record; il 2025 sarà probabilmente l’anno in cui i partiti di opposizione non potranno più essere semplicemente ignorati o nascosti sotto il tappeto, dato che AfD, FPO, PVV, NR, Reform UK e altri continuano ad avanzare contro tutti gli ostacoli illegali e i sabotaggi. Stiamo già iniziando a vedere le tessere del domino cadere nelle periferie: Georgia, Romania, Corea del Sud, quasi Moldova, ecc. I pilastri sono i prossimi, e la demolizione del Partito Democratico da parte di Trump è il primo rompighiaccio.
Ricordiamo che l’intero sistema è appeso a un minuscolo filo sfilacciato e che basta una piccola spinta da parte di Trump per demolire l’ultimo residuo di “integrità” europea, eccitando al contempo l’opposizione verso una svolta finale. Con la crisi energetica europea che sta per esplodere a causa delle cancellazioni del gas da parte dell’Ucraina, della rappresaglia di Fico e delle minacce di Trump affinché l’Europa compri l’energia americana, la situazione è destinata a precipitare nel 2025.
Soprattutto, il 2025 ci porterà al culmine più decisivo e significativo della saga della guerra d’Ucraina. In un modo o nell’altro, gli eventi che accadranno il prossimo anno determineranno il destino non solo dell’Ucraina, ma di tutta l’Europa e dell’umanità nel suo complesso. Questo perché la guerra ucraina, come è noto, non è altro che il conflitto per procura di un più ampio scontro metafisico globale tra sistemi di credenze e strutture ideologiche opposte: il vincitore determinerà la direzione dell’intera umanità per il prossimo secolo. Come molti grandi conflitti, tuttavia, esiste una possibilità non nulla che da questo conflitto non emerga una vittoria “chiara”, ma piuttosto qualcosa di più confuso, incompleto e insoddisfacente, che sarà analizzato e sezionato per i decenni a venire.
Come ultimo saluto, vorrei condividere due discorsi di Capodanno che evidenziano la spaccatura. Il primo è quello di Zelensky, che ha dedicato la seconda metà del suo lungo discorso a rivestire il famoso monumento sovietico alla Patria con le bandiere dei Paesi atlantisti.
Versione doppiata dall’AI:
E soprattutto, c’è stata una sfilza di discorsi di circostanza da parte di tutte le figure di spicco –Putin, Medvedev, Belousov, ecc. Ma solo un discorso ha catturato la vera tensione e l’ansia dei tempi, quello dell’ex Primo Ministro della RDP Alexander Borodai.
Vorrei lasciarvi con questa riflessione più equilibrata sullo stato delle cose. Anche se può sembrare solenne, o addirittura minacciosa, è l’unica che rende conto della reale gravità dei pericoli che ci attendono e dei cambiamenti epocali che devono ancora avvenire; se c’è un solo discorso che ascolterete oggi, che sia questo:
Detto questo, buon anno a tutti. Al 2025!
Il vostro sostegno è inestimabile. Se vi è piaciuta la lettura, vi sarei molto grato se sottoscriveste un impegno mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, in modo da poter continuare a fornirvi rapporti dettagliati e incisivi come questo.
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NOTA DELL’AUTORE: Nel corpo principale di questo articolo riprodurrò la risposta ufficiale della Nigeria alle accuse infondate del generale Abdourahamane Tchiani, che guida la giunta militare della Repubblica del Niger sin dal colpo di stato del 26 luglio 2023.
Ciascuno dei quattro paesi contribuisce con truppe militari, che sono sotto il comando generale di un generale dell’esercito nigeriano. L’attuale comandante generale della MNJTF è il maggiore generale nigeriano Ibrahim Sallau Ali, che ha il suo quartier generale nella vicina Repubblica del Ciad.
Uno screenshot di un video di propaganda dell’ISWAP che mostra un attentatore suicida nigeriano all’interno di un pick-up modificato per fungere da dispositivo esplosivo improvvisato trasportato su veicolo (VBIED)
Il 2 dicembre 2022 la giunta militare del Niger si è ritirata dall’inefficace Forza congiunta del G5 Sahel finanziata dall’UE, ma ha saggiamente deciso di ripristinare la cooperazione con le forze armate della Nigeria sulla sicurezza delle frontiere, dopo un periodo di distacco.
La mossa conciliatoria della giunta è stata un fattore chiave nella decisione dei vertici delle forze armate nigeriane di abbandonare il suo stridente sostegno all’intervento militare per invertire il colpo di stato che ha rovesciato il presidente civile del Niger, Mohammed Bazoum, che aveva collaborato inequivocabilmente con l’esercito nigeriano per proteggere il confine internazionale condiviso lungo 1.600 km, soggetto a infiltrazioni terroristiche jihadiste.
Dopo che l’alto comando militare nigeriano abbandonò la sua agitazione pro-intervento, il presidente Bola Tinubu perse l’unico elettorato interno che sosteneva il suo piano originale di entrare nella Repubblica del Niger e ripristinare il deposto governo Bazoum.
Senza alcun sostegno interno, Tinubu rifiutò tutte le suppliche degli USA di andare avanti e intervenire in Niger. Inoltre, represse l’agitazione degli stati membri più piccoli della ECOWAS che volevano una rigorosa attuazione del protocollo della ECOWAS che facilitava gli interventi militari in Liberia (1990, 2003), Sierra Leone (1997), Guinea-Bissau (1998, 2012, 2022) e Gambia (2017).
Immagini fisse da un video di propaganda dell’ISWAP che mostra abili terroristi jihadisti che utilizzano trapani verticali, torni, attrezzature per saldatura e dispositivi di verniciatura a spruzzo per produrre piccoli razzi non guidati in un nascondiglio che si sospetta si trovi da qualche parte in una zona remota dello Stato di Borno in Nigeria, adiacente al confine internazionale con il Camerun
ECOWAS è un’organizzazione regionale creata dalla Nigeria nel 1975 per integrare economicamente l’Africa occidentale sotto la sua guida. Anni di instabilità politica e guerre civili, spesso alimentate da incessanti colpi di stato, hanno spinto ECOWAS a istituire un protocollo che consentiva l’intervento militare negli stati membri in difficoltà.
Non c’era nulla di insolito nel tentativo della ECOWAS di intervenire nella Repubblica del Niger. Infatti, il 2 febbraio 2022, le truppe della ECOWAS guidate dalla Nigeria sono intervenute nella Guinea-Bissau di lingua portoghese per sventare un tentativo di colpo di stato. Quel particolare evento è passato completamente inosservato agli esperti nello spazio dei media alternativi. Di seguito è riportato un breve videoclip dell’intervento della ECOWAS :
Contrariamente alla mitologia popolare nei media alternativi, la Francia non ha mai avuto una forte influenza sulla Nigeria anglofona. La Francia è un importante partner commerciale per la Nigeria, ma la sua influenza politica è quasi nulla. Infatti, la speranza della Francia di un intervento militare guidato dalla Nigeria in Niger era basata su due fattori:
Il presidente Tinubu avrebbe seguito il protocollo di intervento ECOWAS come i suoi predecessori hanno fatto molte volte in passato. Mentre era in carica, l’ex presidente nigeriano Mohammed Buhari, recentemente in pensione, ha autorizzato interventi militari in Gambia (2017) e Guinea Bissau (2022). L’intervento in Guinea-Bissau è avvenuto esattamente 22 giorni prima che le truppe russe invadessero l’Ucraina.
Nel caso in cui il presidente Tinubu facesse marcia indietro sulla questione, la Francia credeva che gli americani altamente influenti sarebbero stati in grado di convincerlo a un intervento militare. Tuttavia, ho previsto in un articolo del 12 agosto 2023 che la decisione di Tinubu sarebbe dipesa esclusivamente dalla situazione politica interna in Nigeria, e non dai desideri di Blinken, Sullivan e Nuland. Come ho spiegato in un altro articolo , la forte disapprovazione interna in Nigeria, unita alla ribollente animosità di Tinubu contro l’amministrazione Biden, ha fatto sì che la speranza della Francia fosse infranta.
Per i lettori che non lo sapessero ancora, il Dipartimento di Stato di Tony Blinken ha sostenuto il candidato di terze parti genuinamente popolare (Peter Obi) che si è candidato contro Tinubu alle elezioni presidenziali del 2023. Dopo quelle elezioni controverse, gli americani hanno lanciato minacce vuote di imporre sanzioni agli ufficiali della commissione elettorale e al partito politico di Tinubu per accuse credibili di illeciti elettorali. Dopo aver fatto una grande scenata rifiutandosi di riconoscere Tinubu come presidente “debitamente eletto”, gli americani hanno pubblicato a malincuore una nota di congratulazioni e hanno inviato una delegazione del Dipartimento di Stato alla cerimonia di inaugurazione presidenziale di Tinubu.
Tinubu ha incontrato Biden a margine del vertice del G20 a Nuova Delhi il 10 settembre 2023. Il leader nigeriano ha respinto tutte le richieste di intervento militare e ha insistito sulla sua politica rivista di risoluzione della situazione in Niger attraverso un dialogo pacifico.
Oltre alla sua appartenenza alla MNJTF, la giunta militare del Niger è anche un membro attivo della Lake Chad Basin Commission (LCBC) , che è ampiamente finanziata dalla Nigeria. La LCBC riunisce otto paesi per combattere il terrorismo jihadista nell’area del bacino del Ciad, che si sovrappone alla cintura del Sahel. Gli otto paesi che appartengono alla LCBC sono Nigeria, Algeria, Libia, Camerun, Ciad, Niger, Repubblica Centrafricana e Sudan.
Ok, queste sono sufficienti informazioni di base da parte mia. Di seguito la confutazione ufficiale della Nigeria alle accuse mosse dalla giunta militare della Repubblica del Niger.
DICHIARAZIONE UFFICIALE DEL GOVERNO FEDERALE DELLA NIGERIA
Il governo federale della Nigeria respinge fermamente le accuse diffuse in un video virale dal leader militare della Repubblica del Niger, il generale Abdourahamane Tchiani , secondo cui non esisterebbe alcuna collusione tra Nigeria e Francia per destabilizzare il suo Paese.
Queste affermazioni appartengono esclusivamente al regno dell’immaginazione, poiché la Nigeria non ha mai stretto alcuna alleanza, palese o segreta, con la Francia o con qualsiasi altro paese per sponsorizzare attacchi terroristici o destabilizzare la Repubblica del Niger in seguito al cambio antidemocratico alla guida di quel paese.
Il presidente Bola Ahmed Tinubu, in qualità di presidente della CEDEAO , ha dimostrato una leadership esemplare, mantenendo aperte le porte dell’organismo subregionale per un nuovo coinvolgimento della Repubblica del Niger nonostante la situazione politica del paese.
Il comandante della forza della MNJTF, il maggiore generale nigeriano Ibrahim Sallau Ali, saluta le truppe ciadiane della MJNTF il 2 agosto 2023. Il Ciad è un paese dell’Africa centrale e quindi non è membro della CEDEAO
La Nigeria resta impegnata a promuovere la pace, l’armonia e gli storici legami diplomatici con il Niger. Le Forze armate nigeriane, in collaborazione con i partner della Multinational Joint Task Force, stanno riuscendo a frenare il terrorismo nella regione.
È quindi assurdo suggerire che la Nigeria cospirerebbe con una potenza straniera per minare la pace e la sicurezza di un paese vicino. Né il governo nigeriano né alcuno dei suoi funzionari è mai stato coinvolto nell’armare o supportare un gruppo terroristico per attaccare la Repubblica del Niger.
Nel novembre 2022, Mohammed Buhari, all’epoca presidente in carica della Nigeria, convocò una riunione dei leader nazionali di tutte le 8 nazioni africane appartenenti alla LCBC per discutere del pericolo rappresentato dal flusso di armi dall’Ucraina ai terroristi jihadisti nell’area del bacino del Ciad
Inoltre, nessuna parte della Nigeria è stata ceduta a nessuna potenza straniera per operazioni sovversive nella Repubblica del Niger. Ribadiamo il nostro pieno supporto agli alti funzionari del governo nigeriano per il loro instancabile impegno nel promuovere la pace e la sicurezza tra il governo e il popolo della Nigeria e del Niger, e per i loro sforzi verso una più forte cooperazione nella regione ECOWAS.
La Nigeria ha una lunga tradizione di salvaguardia della sua sovranità e integrità territoriale. A differenza di alcune nazioni, la Nigeria non ha mai permesso a potenze straniere di stabilire basi militari sul suo suolo. Ciò dimostra il nostro impegno per l’indipendenza nazionale e la leadership regionale.
L’accusa che la Nigeria cerchi di sabotare gli oleodotti e l’agricoltura del Niger è infondata e controproducente. La Nigeria ha costantemente sostenuto lo sviluppo economico del Niger attraverso progetti congiunti di energia e infrastrutture, come il Trans-Saharan Gas Pipeline e il Kano-Maradi Railway Project .
Il 12 dicembre 2024, il Marocco ha acceso una nuovissima centrale elettrica da 20 Megawatt che aveva costruito nella capitale Niamey per la Repubblica del Niger. Fino a poco tempo fa, la Nigeria forniva il 70% dell’elettricità totale utilizzata in Niger in modo completamente gratuito. Prima del colpo di stato, la Nigeria inviava periodicamente anche camion carichi di grano gratuito alla Repubblica del Niger
È illogico suggerire che la Nigeria possa indebolire le iniziative che ha attivamente promosso. Le affermazioni sulla presunta istituzione di un cosiddetto “quartier generale terroristico di Lakurawa” nello Stato di Sokoto , presumibilmente orchestrato dalla Nigeria in collaborazione con la Francia, sono infondate.
La Nigeria è stata leader regionale nella lotta al terrorismo, dedicando risorse e vite significative per garantire la stabilità nel bacino del lago Ciad e oltre. Di recente, l’esercito nigeriano ha lanciato l’operazione Forest Sanity III per affrontare specificamente la minaccia del gruppo terroristico Lakurawa.
Come può un governo che combatte attivamente la minaccia Lakurawa essere ora accusato di ospitare lo stesso gruppo all’interno dei suoi confini? Queste accuse non hanno prove credibili e sembrano essere parte di un tentativo più ampio di distogliere l’attenzione dalle sfide interne del Niger. Il pubblico è invitato a ignorare queste false accuse.
Chi avanza tali affermazioni, in particolare il leader militare della Repubblica del Niger, deve fornire prove credibili per suffragarle. Ogni tentativo di ricattare la Nigeria sulla posizione di principio assunta dalla CEDEAO contro la presa di potere incostituzionale nella Repubblica del Niger è sia disonesto che destinato a fallire .
La Nigeria ha investito 1,96 miliardi di dollari nella linea ferroviaria lunga 393 km che va da Kano, nella Nigeria settentrionale, a Maradi, nella Repubblica del Niger meridionale. Una volta completata l’anno prossimo, si prevede che la ferrovia trasporterà 9.300 passeggeri e 3.000 tonnellate di merci al giorno tra Kano e Maradi. Il Niger senza sbocco sul mare ha bisogno di questa ferrovia per collegarsi alle attività commerciali che coinvolgono i porti marittimi della Nigeria
Il generale TchianiLe accuse non solo sono infondate, ma rappresentano anche un pericoloso tentativo di distogliere l’attenzione dalle carenze della sua amministrazione.
La Nigeria rimane impegnata a promuovere la stabilità regionale e continuerà a guidare gli sforzi per affrontare il terrorismo e altre sfide transnazionali. Esortiamo il Niger a concentrarsi sul dialogo costruttivo e sulla collaborazione piuttosto che a spacciare accuse infondate.
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POSTSCRIPT: Non sono un fan dell’incompetente governo nigeriano guidato da Bola Tinubu, ma sono d’accordo al 100% che le accuse della giunta militare del Niger sono ridicole. Immagino che limitarsi a dichiarare di essere “anti-francese” e “anti-imperialista” non sia sufficiente per far crescere un’economia o liberarsi rapidamente dei terroristi jihadisti predoni.
Con la scomparsa della soffocante presenza francese, la giunta fatica a trovare scuse per spiegare alla popolazione nazionale perché gli standard di vita e la situazione della sicurezza in Niger non siano migliorati magicamente.
Ritengo che sia stato economicamente disastroso per Niger, Mali e Burkina Faso, paesi senza sbocco sul mare, isolarsi dagli stati costieri membri della CEDEAO, da cui dipendono fortemente per l’accesso al commercio internazionale via mare.
È anche disastroso che la giunta maliana stia litigando con l’Algeria per il rifiuto della prima di attuare un processo di pace che la seconda ha mediato alcuni anni fa. Questo processo avrebbe visto i separatisti tuareg deporre le armi in modo che il Mali potesse concentrarsi esclusivamente sulla lotta al terrorismo jihadista.
Nel frattempo, sorgono periodici litigi tra la giunta militare guidata da Tchiani e la vicina Repubblica del Benin, membro della ECOWAS, che fornisce il porto marittimo che consente l’esportazione di petrolio greggio trasportato tramite condotte dal Niger senza sbocco sul mare ai clienti esteri. Scriverò di più sulla vicina Repubblica del Niger nel corso del nuovo anno. Nel frattempo, buon Natale a tutti i miei stimati lettori.
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Ho passato parte degli ultimi anni ad assistere a continue trasformazioni in Medio Oriente, e gli ultimi quindici mesi ad aggiornare settimanalmente, con continue integrazioni, il manuale del “surrealismo geopolitico”. Salutiamo la suddetta degradazione relativista, che, cronicizzata nel decennio scorso, ha prodotto l’inquietante thriller psicologico nel quale, consapevoli o meno, tutti noi speriamo di non sprofondare.
Nella scena di oggi siamo comparse impotenti; la protagonista, invece, è la distopia cangiante in varie sfumature di despotismo. Per sua natura non si preoccupa di chi resterà dopo, dei danni che fa nel mentre e, perché no, di chi paga il conto. Il loop temporale di eventi paradossali è diventato una sorta di laboratorio sperimentale dove ogni attore locale e internazionale rischia il proprio “gioco”, a scapito di sé stesso prima e di tutti gli altri dopo, tanto da presentare prima la conseguenza e poi l’effetto.
Sfogliando l’atlante della “democrazia export”, la grande ossessione auto-assolutoria del suprematismo coloniale, ovvero l’essere dalla “parte giusta”, sta generando una serie di singolarità ricorrenti. Talmente inedite che i corsi e ricorsi vichiani interrompono per una volta la loro innata ciclicità, accelerando verso la parabolica della vergogna.
È così che vediamo alleanze effimere quanto contraddittorie sbancare incontrastate, senza effettivamente essersi misurate con forze se non uguali, almeno vagamente contrarie. Sicuro, la realtà percepita, qui in Occidente, delle presunte imprese di alcuni attori…
In diversi abbiamo notato che l’eccessiva porosità, sia delle difese che della struttura di comando dell’Esercito Baathista, non possa essere ricondotta esclusivamente alle disastrate finanze statali e al venir meno dei preziosissimi alleati sciiti, che si rivelarono determinanti nella lunga e faticosa guerra civile (non sarebbe corretto definirla in questo modo).
La fuga di Assad
Airbus A320-200 modificato per funzioni governative e un Yak-40 , usati per il volo verso Mosca
Non importa se la loro presentabilità politica è oltre lo scandalo e insiste sulla teoria che vorrebbe essere postulato. Se gli interessi dei “giusti” coincidono con quelli di milizie con telaio Al-Qaeda, motore Al-Nusra, preparazione MIT e una guida satellitare esotica, e si riesce nel posizionare in pole questa gran turismo non comune, poi è un dettaglio secondario giudicare la decenza di chi vorrebbe narrarne le gesta epiche, omettendo che si tratti di un pick-up nero modello Mad Max (“Interceptor” però quello low budget).
La comparsa e il rafforzamento, estero-su-estero diretto, di gruppi come Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), erede di Al-Qaeda in Siria, è particolarmente emblematica: da un lato, ha combattuto Assad per “liberare” la Siria; dall’altro, pare intessere rapporti ambigui con Israele, se è vero — come insinuano alcune analisi e rapporti dal campo — che si sono verificati atteggiamenti ambigui di non belligeranza e taciti “consensi” sulla condivisione di certe aree di influenza.
Non bisogna stupirsi in un contesto così frammentato: dopotutto, i contatti sotterranei fra fazioni apparentemente in conflitto diventano quasi “fisiologici”, soprattutto quando si tratta di vendere o comprare armi, assicurarsi appoggi tattici o supervisione di intelligence garantendo “corridoi”, rotte di contrabbando e la pirateria delle risorse altrui estorte in maniera disinvolta da milizie concorrenti.
Parallelamente, c’è l’Esercito Siriano Libero (FSA) — un’entità che nei primi anni del conflitto godeva di un’immagine quasi romantica di “resistenza laica al regime di Assad” — che si trova sempre più alle strette. Si vocifera di un potenziale e imminente scontro proprio tra FSA e HTS per il controllo di diverse porzioni di territorio, in special modo nel nord della Siria. Sarebbe un ulteriore passo verso quella balcanizzazione che da tempo in tanti intravedono, con piccole enclavi che combattono fra loro, mentre potenze regionali come Turchia e Qatar cercano di spingere per il ripristino di una sorta di “sultanato musulmano”, cioè un sistema di governo modellato sulle dottrine dei Fratelli Musulmani.
Doha e Ankara si sono già prodigate a sostegno di gruppi a ispirazione islamista, sperando di trasformare la Siria in una pedina strategica, in funzione anti-sciita e, perché no, nella prospettiva di spazzare via l’asse della resistenza e lo spazio di influenza elastica che Teheran aveva tessuto a immagine del suo pragmatismo persiano.
Le raccomandazioni dello zio d’America
Recentemente, una delegazione statunitense ha incontrato a Damasco Ahmed al-Sharaa, noto come Abu Mohammad al-Julani, leader di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS). La delegazione includeva Barbara Leaf, assistente del Segretario di Stato per gli Affari del Vicino Oriente, e Roger Carstens, inviato presidenziale speciale per gli affari degli ostaggi.
Durante l’incontro, al-Julani ha assicurato che HTS non permetterà a gruppi terroristici di operare in Siria o di minacciare gli Stati Uniti e i loro alleati. In seguito a queste discussioni, gli Stati Uniti hanno deciso di ritirare la taglia di 10 milioni di dollari precedentemente offerta per informazioni su al-Julani. Se li sono giocati a Las Vegas.
Questo incontro rappresenta un cambiamento significativo nelle relazioni tra gli Stati Uniti e HTS, poiché è la prima interazione pubblica tra allenatori statunitensi e al-Julani, nonché la prima partita diplomatica statunitense a Damasco, inaugurando gli “Internazionali di Siria” con un tabellone davvero esplosivo, come hanno dimostrato gli incontri precedenti.
Successivamente all’incontro, gli Stati Uniti hanno annunciato la revoca della taglia di 10 milioni di dollari sul leader di HTS, precedentemente inserito nella lista delle ricompense per la giustizia. Questa decisione ha suscitato indignazione e scandalo, poiché è sia una percezione di debolezza continuata del Dipartimento di Stato, senza attenuanti generiche, che un messaggio pericoloso di autorevolezza (quella che comunque continuano a dissimulare).
Le azioni dell’amministrazione Biden in Siria sono un delitto seriale che inevitabilmente ricorda parenti illustri.
Analizzando il pattern operativo degli Stati Uniti del secolo scorso e della prima decade di quello che, sulla carta, doveva essere “il Nuovo Secolo Americano”, dimostra che non solo hanno perso lo smalto degli antenati, ma hanno anche smarrito il limite della decenza e del contatto con la realtà.
Preferire un terrorista come al-Julani, graziarlo e, secondo alcune fonti, addirittura finanziare direttamente (vedi Clinton, Sullivan, versetto 2012, il vangelo della geopolitica) il suo gruppo, rappresenta un pericolo per la stabilità della Siria e del Medio Oriente. Questo episodio dimostra come gli Stati Uniti abbiano perso coerenza strategica. Da una parte demonizzano certi attori regionali (ad esempio, il regime di Assad o gli alleati dell’Iran) dall’altra cercano compromessi con figure altrettanto problematiche, se non peggiori.
(Roger Carstens,Barbara Leaf, Al-Julani , primo viaggio dal 2012 del Dipartimentio di Stato Usa )
La Turchia, l’equilibrista
La Turchia, in particolare, ha assunto un ruolo da vero e proprio “equilibrista”. Un giorno si mostra dialogante con Mosca e aperta a cooperazioni che vanno dal settore energetico all’acquisto di sistemi missilistici russi; il giorno dopo torna a parlottare con Washington, ridestando la propria identità di membro NATO e “guardiano meridionale” dell’Alleanza.
Come non menzionare gli analisti che tentano ancora di giustificare ogni scelta di Ankara, arrampicandosi sugli specchi del dogma o pericolosamente scivolando nelle paludi della propaganda: dipingono Erdogan come l’ “uomo forte non esente da difettucci di poco conto”, con un piede dentro i Brics, mentre è sotto gli occhi di tutti che la sua posizione è sempre più incerta, stretta fra richieste statunitensi, sguardi severi di Israele e — al tempo stesso — il bisogno di non provocare troppo la Russia.
Nell’analisi del tangibile risulta sempre più impervio analizzare le mani semplicemente contando le carte e attendendo la mano buona.
L’inversione di tendenza globale potrebbe essere ancora lungi dall’attivare ricette che possano impensierire il “padrone del pallone”, che, come gli ultimi turbo eventi hanno dimostrato, riesce con qualche difficoltà passeggera a decidere chi gioca. Persa qualche partita e aggiustata la formazione, ha ricominciato a macinare gioco e risultati.
Nel mezzo di questa confusione, i Curdi appaiono nuovamente sul punto di venire “sedotti e abbandonati sulla strada per Damasco ” dagli Stati Uniti, uno scenario che non sarebbe una novità
Tantomeno un sacrilegio . Basta guardare la cronaca degli ultimi decenni per vedere come Washington si sia affrettata a sostenere l’FDS quando faceva comodo nella lotta contro Daesh, salvo poi lasciare che altre potenze regionali — Turchia in primis — muovessero pedine ostili nei confronti dei Curdi stessi.
La reliquia di Abdullah Öcalan, leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), dal 1999 nel carcere di massima sicurezza sull’isola di Imrali, ha recentemente ricevuto una visita familiare dopo oltre quattro anni di isolamento. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha mostrato apertura verso una possibile grazia per Öcalan, a condizione che il PKK rinunci alla violenza e si sciolga. Le dichiarazioni rispetto alle quali consiglia di abbandonare la lotta armata sono in linea con determinati inspiegabili piani del socialismo del Rojava.
Accanto a questi scenari, c’è l’Iran, che, nella metafora del “pokerista”, a volte sembra foldare tutte le mani, seduto in un angolo, svogliato spettatore che per ora non investe troppo, lasciando che l’escalation scorra davanti ai suoi occhi. Molti si chiedono: è una scelta di prudenza o un sintomo che nasconde ben altre patologie?
( Raisi scende dal Mi8 di fabbricazione russa -anno 1968- qualche ora prima dello schianto)
Teheran è scossa dalle proteste interne e dalle sanzioni che ne minano l’economia, come provano a rappresentare le agenzie occidentali ,oppure si tratta di un calcolo tattico per evitare di trovarsi invischiata in un confronto diretto — come dargli torto — al quale crede di non poter vincere al momento.
Eppure, questa passività desta più di qualche sospetto: Hezbollah ha recentemente dichiarato presagi circa un progetto di balcanizzazione dell’area. Facendo un flashback, possiamo mettere in correlazione le falle della sicurezza che hanno portato alla decapitazione delle figure chiave con, in primis, la morte di Raisi e del ministro degli esteri Hossein Amirabdollahian (ritenuto da molti una figura forse più cruciale del primo ministro) e le voci circa un possibile tradimento interno con sospetti su Esmail Qaani, comandante della Forza Quds iraniana.
Secondo alcune fonti, Qaani sarebbe sotto custodia e interrogato dai Guardiani della Rivoluzione iraniani nell’ambito di un’indagine su possibili falle nella sicurezza che hanno permesso a Israele di colpire la leadership di Hezbollah.
(Hossein Amirabdollahian)
Inoltre, si riporta che l’Ayatollah Ali Khamenei avesse avvertito Nasrallah di un complotto israeliano per assassinarlo, consigliandogli di lasciare il Libano. Nasrallah avrebbe scelto di rimanere, portando alla sua morte nell’attacco israeliano.
La coltre di nebbia di guerra calata sulla scomparsa di Raisi , che ricordiamo era in pratica l’unico successore designato della guida suprema , ha sicuramente aggravato i sospetti , indagini velocissime , confusione sul numero degli elicotteri , il maltempo non c’era e dulcis in fundo quella richiesta di aiuto alla Turchia con quel drone giunto troppo in fretta e con delle strane rotte notate dal tracciato del transponder .
Molti analisti e tecnici osint militari hanno sollevato diversi dubbi , ma nonostante il “ peso politico “ enorme della vicenda è stato seppellito in fretta “ furbi et orbi “ , quasi una “damnatio memoriae” sulla quale ci concentreremo nei prossimi articoli.
Gli interrogativi si sprecano. E, nel frattempo, c’è chi sospetta che Israele stia osservando la partita con la consueta lucidità, lasciando che i propri potenziali nemici — di varia denominazione — si indeboliscano a vicenda. A sud, con il Libano in crisi politica e Hezbollah forse meno centrale di un tempo, la minaccia si è apparentemente ridimensionata. A nord, la Turchia e i gruppi turcomanni sarebbero stati incoraggiati a spostare l’attenzione verso il nord della Siria, con i Curdi potenzialmente nel mirino, e la stessa Russia che non desidera uno scontro diretto con Tel Aviv.
( Scontri Hts , miliziani ex esercito di Siriano 26-12-24 )
Un microcosmo di caos non randomico
Gli scontri del 26 dicembre sono un microcosmo del caos che potrebbe attendere la Siria se non si trova una via d’uscita a queste rivalità intestine. In quel giorno, Idlib e Tartus sono diventate teatri di battaglie che hanno coinvolto non solo HTS e fazioni rivali, ma anche le ultime vestigia di fedeltà al vecchio regime di Assad.
No Future ! HTS e FSA: Nemici Amici e la Guerra Interminabile
Gli scontri tra Hay’at Tahrir al-Sham (HTS) e le fazioni ex-Esercito Siriano Libero (FSA) non sono una novità. Sono capitoli ricorrenti di un manuale che tutti conosciamo: quello della frammentazione dell’opposizione. Dalla battaglia di Idlib nel 2017, quando HTS iniziò a consolidare il proprio potere eliminando i concorrenti, agli scontri a Darat Izza nel 2019, fino agli episodi più recenti. Era inevitabile che, dopo la caduta di Bashar al-Assad, queste rivalità sopite esplodessero di nuovo.
Eppure, mentre queste fazioni si combattevano, HTS si è autoproclamato il difensore del popolo siriano, con Abu Mohammad al-Julani che si è ritagliato un ruolo quasi messianico. Da jihadista radicale a “statista” locale, la trasformazione di al-Julani è stata accompagnata da una campagna mediatica ben orchestrata. E adesso? Il rischio è che questa santificazione faccia di lui l’uomo forte di una Siria frammentata. Ma a quale prezzo?
Gli scontri del 26 dicembre 2024 sono un microcosmo del caos che potrebbe attendere la Siria se non si trova una via d’uscita a queste rivalità intestine. In quel giorno, Idlib e Tartus sono diventate teatri di battaglie che hanno coinvolto non solo HTS e fazioni rivali, ma anche le ultime vestigia di fedeltà al vecchio regime di Assad.
Da un lato, HTS si è scontrato con le fazioni ex-FSA per il controllo di risorse strategiche, dimostrando che la lotta per il potere non si fermerà con la caduta di Assad. Dall’altro, Tartus ha visto esplodere le tensioni tra le forze di sicurezza siriane e le milizie filo-Assad, culminate in 17 morti e la destabilizzazione di una delle poche aree che erano rimaste fedeli al regime. Questo, unito alle proteste alawite per la profanazione di un loro santuario, ha mostrato come nessuno sia immune dal caos.
E noi, che tutto questo abbiam previsto, non possiamo che vedere in questi eventi un monito: la Siria post-Assad rischia di essere prigioniera dei suoi stessi demoni, una terra dove ogni fazione vuole un pezzo del futuro. Ma a me sembra di ascoltare una colonna sonora in loop dei Sex Pistols.
Al-Julani: il Santo Opportunista?
Abu Mohammad al-Julani si è posizionato come l’uomo del momento, ma la sua ascesa ha radici in un passato fatto di strategie spietate. La sua capacità di ripulire l’immagine di HTS, presentandolo come una forza di stabilizzazione, è stata incredibile. Ma dietro questa narrazione c’è la realtà di un gruppo che ha combattuto non solo contro Assad, ma anche contro chiunque minacciasse il suo dominio. Praticamente tutti.
Se la Siria non si libera dall’idea che un uomo forte possa salvarla — tranquilla Siria, sei in buona compagnia — rischia di finire in una spirale di autoritarismo teocratico elegante come il completo di al-Julani, con la sua aura quasi messianica, candidato perfetto solo quando non veste Prada. Il problema è la cravatta.
La Siria ha bisogno di un nuovo paradigma, uno che metta da parte il culto della personalità e le rivalità settarie. Gli scontri del 26 dicembre sono un campanello d’allarme.
Il futuro della Siria non può essere costruito su leader Masters of Al-Qaeda, una notte dei jihadisti viventi che emergono dalle macerie fumanti di una guerra civile costruita su battaglie tribali per il controllo di città e risorse.
( al-Julani Hts )
Multipolar News
La Russia mantiene truppe e basi militari sul territorio, e l’Iran non si è ufficialmente ritirato, ma la verità è che la “resistenza” non può dar nulla per scontato. Se Teheran dovesse davvero continuare il suo “fold strategico” — attendendo momenti più propizi o, peggio, mossa dall’incertezza interna e dalle sue proprie contraddizioni — il rischio è che, a lungo andare, si crei una fascia settentrionale controllata dalla Turchia (e associati), e una serie di enclave più piccole dove le varie milizie, dai Curdi alle brigate filo-siriane, si barcamenano in cerca di sopravvivenza.
La prospettiva di un nuovo “Sultanato” islamista in Siria, promosso da Turchia e Qatar, è stata sempre ritenuta un’ipotesi estrema. Eppure, se guardiamo la storia recente, le cosiddette ipotesi estreme si sono realizzate più volte, complici gli errori di calcolo occidentali e la determinazione di leader regionali decisi a sfruttare ogni minimo varco.
( L’elicottero di Raisi )
Diamo un nome alle cose
Il vero interrogativo riguarda questo giocatore di poker chiamato Iran, che, foldando ogni mano, sta osservando la tavolata con aria distaccata, mentre intorno s’infiammano rivalità e dispute sanguinose. La sua scelta di non puntare, di non scoprire le proprie carte, avrà esiti felici? Oppure si tratta di un errore grave che, col senno di poi, verrà giudicato come una rinuncia a difendere i propri alleati storici, da Hezbollah agli iracheni sciiti, e di conseguenza un’ulteriore mossa per farsi logorare dall’interno e dall’esterno?
Del resto, se è vero che anche i Curdi, in passato strumento di politica statunitense per arginare Daesh, sono stati abbandonati più volte, non è escluso che pure Teheran finisca per patire le scelte di potenze che badano esclusivamente al proprio tornaconto. Chi ne trarrà vantaggio?
In mezzo a tutto questo, spiccano gli analisti che, come già accennato, paiono ignorare i fatti. Leggendo certi editoriali, par di capire che la Turchia stia facendo una politica “coerente” o che l’Iran sia ancora “solido e compatto”, lasciato indietro Assad. Eppure, è lampante che Ankara sia immersa in un “ballo pericoloso” che combina rapporti contraddittori con USA, Israele, Russia e Qatar, e che, all’interno della Federazione Russa, diversi “falchi” militari inizino a mostrarsi scontenti del doppio gioco turco.
Non ci sarebbe nulla di male ad ammettere le contraddizioni e a riconoscere che l’epoca dei blocchi netti e perfettamente coerenti è tramontata. Ma certuni continuano con la propaganda, distribuendo attenuanti generiche alle mosse turche e interpretando come “casuali” scelte che in realtà seguono una logica ben precisa: salvaguardare l’interesse di Erdogan in ogni scenario, quale che sia il costo umano o geopolitico.
Siamo, dunque, in un quadro talmente fluido da rendere la Siria un mosaico di conflitti permanenti: FSA e HTS che potrebbero ricominciare a scambiarsi salve di Grad da un momento all’altro; i Curdi che maledicono le “fatality” di Kissinger sulla vera anima del loro alleato senza però poterne fare a meno; la Turchia che alza la posta guardando verso est e Mosul, sapendo perfettamente che in certe posizioni di gioco non si può fare altro che rilanciare; il Qatar che, insieme ad altri attori, muove pedine con cautela.
Il risultato è — e spero di sbagliarmi — un rompicapo ai confini della realtà che assomiglia troppo al caos che fu indotto nei Balcani, dove tutti i player provano a realizzare i loro sogni “bagnati dai due Fiumi”. Assad non era Tito, ma paradossalmente le “proxy” forces, per spregiudicatezza, sono sicuramente più simili ai Mladić, Karadžić e altri protagonisti di quell’epoca.
La diplomazia diventa esercizio di dissimulazione e il conflitto, non me ne vogliano i puri di cuore, scompare, superato dalla sua rappresentazione streaming artefatta in alta risoluzione.
Pensare che all’inizio qualcuno parlava di “primavera araba”: ironia della sorte, siamo finiti in un Medio inverno pre-nucleare, sommerso da un fall-out di contraddizioni, doppi giochi . Se la primavera non arriva come potrebbe l’estate non finire mai ?
Diga di Giz Galasi , il Bell 212 di Raisi si allontana
FONTI
Middle East Eye, 15 ottobre 2021;; Al-Monitor, 10 settembre 2020
2 dicembre 2019; Escobar, Pepe, “Raging Twenties,” Asia Times, 18 marzo 2020
BBC News, 3 luglio 2019; The Guardian, 30 aprile 2020
Le Monde Diplomatique, 11 maggio 2021; The Duran, 19 febbraio 2023
Foreign Affairs, 12 agosto 2022; Politico, 9 novembre 2021
Limes, 15 giugno 2022; Al Jazeera English, 27 settembre 2022
The Times of Israel, 27 maggio 2021; Carnegie Middle East Center, 14 ottobre 2022
The Intercept, 23 agosto 2021; Project Syndicate, 17 gennaio 2022
The Moscow Times, 4 marzo 2022; The Duran, 27 maggio 2023
Brookings Institution, 9 dicembre 2022; Der Spiegel, 19 luglio 2021
Asia Times, 22 ottobre 2022; European Foreign Affairs Review, 14 settembre 2021
The Washington Quarterly, 10 novembre 2021; Il Manifesto, 28 febbraio 2022
Jacobin Italia, 11 giugno 2019; Escobar, Pepe, “BRICS 2.0: The Strategic Shift,”,
Limes, 16 marzo 2023; Politica Internazionale, 2 maggio 2022
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Diverse persone hanno chiesto aggiornamenti sulla situazione dei voli azeri e sull’affondamento della nave russa Ursa Major. Volevo aspettare di avere maggiori informazioni, ma l’argomento rientra nel tema generale del reportage di oggi, quindi discutiamone:
Per quanto riguarda l’incidente aereo di Aktau, oggi Putin avrebbe “chiesto scusa” ad Aliyev per il coinvolgimento della Russia, ma entrambi i leader sembrano evitare dichiarazioni dirette sull’accaduto. Entrambi i leader hanno fatto riferimento ad alcuni “eventi esterni” e sembrano aver concordato di non attribuire esplicitamente la colpa dell’incidente a un abbattimento. Questo potrebbe essere dovuto a ragioni politiche o potrebbe essere semplicemente una cautela onesta nel non voler saltare alle conclusioni mentre le indagini proseguono, dal momento che non è stata raggiunta alcuna conclusione ufficiale.
Tuttavia, è difficile credere che sia necessaria una qualsiasi “indagine”, dato che se un missile AD russo avesse abbattuto l’aereo, la Russia avrebbe probabilmente avuto quei dati immediatamente disponibili dalle forze armate, a meno che qualcuno nel comando del battaglione di difesa aerea non abbia successivamente insabbiato la notizia.
A prima vista, sembra ovvio che l’aereo sia stato abbattuto da un missile errante. Tuttavia, dobbiamo considerare che il registro di volo ufficiale dei piloti kazaki neutrali menziona un “bird strike”, anche se al momento non abbiamo modo di verificare se queste trascrizioni siano reali al 100%:
Si potrebbe sostenere che i piloti possono commettere un errore supponendo che un motore esploso sia un “bird strike” se non c’era nient’altro di visibile o ovvio per loro, tuttavia essi menzionano specificamente che la cabina di pilotaggio è stata colpita, il che è strano; ciò implicherebbe che hanno visto gli uccelli colpire effettivamente il vetro della cabina di pilotaggio. Si dice che il tempo fosse nebbioso, quindi potremmo anche ipotizzare che “qualcosa” abbia colpito la cabina di pilotaggio e che loro abbiano semplicemente pensato che si trattasse di uccelli: è difficile saperlo con certezza.
Per quanto ne sappiamo, sono stati colpiti da uno dei droni ucraini, che potrebbe aver assomigliato a un uccello attraverso la nebbia, mentre gli correvano incontro – anche se questo è meno probabile.
Inoltre, è interessante notare che il lato dell’aereo con le schegge è il lato sinistro:
Si noti che la carenatura danneggiata della pista dei flap si trova sull’ala sinistra nella foto scattata da un passeggero:
Poiché l’aereo era diretto a nord quando è stato colpito, il “missile” atteso sarebbe arrivato da ovest, cioè da sinistra, il che è coerente con il danno da schegge. Ciò è coerente con i video dall’interno della cabina che sembrano mostrare fori di schegge sui sedili e sul soffitto sul lato sinistro.
La freccia rossa indica la potenziale direzione del missile:
Ma se un missile russo ha abbattuto l’aereo, come alcuni sostengono, come è possibile, si potrebbe chiedere? Beh, innanzitutto non c’è IFF (Identity Friend Foe) tra i sistemi AD e gli aerei di linea. Gli aerei di linea non dovrebbero semplicemente trovarsi in prossimità di zone di combattimento attive. Ma i moderni sistemi AD sono ovviamente progettati per distinguere i diversi oggetti in base alla loro traccia radar, alle caratteristiche di volo, come la velocità, l’altitudine, ecc. Sfortunatamente, un aereo di linea in discesa e pronto ad atterrare potrebbe assomigliare molto a un drone, dato che la sua velocità e la bassa altitudine imiterebbero esattamente uno di questi OWA-UAS ucraini che volano esattamente alla stessa velocità e altitudine di un aereo di linea che si avvicina a una pista. Questo è particolarmente vero se si considera che, a quanto pare, in quel momento era in corso un pesante disturbo del GPS russo, che potrebbe aver seriamente compromesso i segnali di tutti, compreso l’AD russo, dato che il coordinamento di queste cose spesso non è così agevole come si vorrebbe.
Ricordiamo che i moderni sistemi radar potrebbero non essere così perspicaci come si potrebbe pensare. Per esempio, giorni fa abbiamo scoperto da fonti collegate all’esercito statunitense che l’abbattimento del proprio F/A-18 Super Hornet da parte degli Stati Uniti è stato “molto peggiore di quanto si pensasse”, per due motivi:
La USS Gettysburg che ha abbattuto l’Hornet era appena passata attraverso un ampio aggiornamento da 200 milioni di dollari che ha aggiornato enormemente il suo sistema AEGIS, i radar, ecc. agli standard più moderni e avanzati. Infatti, è stato il primo incrociatore della classe Ticonderoga a completare con successo l’importante programma di aggiornamento SLEP (Service Life Extension Program) della Marina.
Inoltre, si scopre che il Gettysburg ha quasi abbattuto un secondo Hornet, che ha schivato il missile all’ultimo secondo:
Quindi: una delle navi più avanzate della Marina americana, appena ammodernata per quasi un quarto di miliardo di dollari, non è stata in grado di riconoscere i propri jet in arrivo, soprattutto per la presenza dell’IFF, e ha cercato di abbatterne due di seguito? È chiaro che la discriminazione radar moderna non è così “perfetta” come si pensa, a prescindere dal Paese.
La presenza di nebbia avrebbe complicato ulteriormente la situazione nei pressi di Grozny, dato che è stato utilizzato un sistema Pantsir, che si basa anche sul rilevamento visivo elettro-ottico dei bersagli come ridondanza al radar.
Tuttavia, il mio unico punto di scetticismo è che l’aereo sembra aver subito un danno da schegge molto leggero, che non è coerente con un missile moderno che lo ha colpito. Vedete, un gigantesco aereo di linea è il bersaglio più facile del mondo per qualsiasi sistema AD moderno, dove la possibilità che il missile colpisca di striscio è molto bassa. Un tale “bersaglio grasso e lento” verrebbe colpito in modo molto più diretto e completamente abbattuto, con una conseguente dispersione dei frammenti che mostra una penetrazione molto più grave, piuttosto che una leggera dispersione che lascia l’aereo continuare a volare per centinaia di chilometri. Ma in questo caso, il danno da schegge è così lieve e l’aereo è arrivato così lontano – attraversando l’intero Mar Caspio – che sono estremamente scettico sul fatto che un missile sia stato puntato direttamente sull’aereo. Il tipo di danno sembra più coerente con l’esplosione di qualcosa nelle vicinanze, ma che non è stato diretto direttamente contro l’aereo. L’unico scenario che si adatta alla spiegazione di cui sopra? Un drone potrebbe essere stato abbattuto “vicino” all’aereo e l’esplosione della testata a frammentazione del drone stesso e del missile potrebbe aver colpito l’aereo che stava volando, ma solo di sfuggita.
Un’altra cosa da ricordare: Ho riferito in precedenza che l’SBU ucraino ora invia regolarmente droni più piccoli sulla traiettoria degli aerei russi proprio per indurre i sistemi AD ad agganciare il bersaglio e, auspicabilmente, colpire invece gli aerei. Questo sarebbe stato fatto durante gli abbattimenti di Il-76 e/o A-50 AWACS. Viene effettuata da qualche agente a terra che può far volare anonimamente un piccolo UAV stile Mavik o addirittura un drone FPV direttamente sulla traiettoria dell’aereo per “adescare” l’AD.
Quindi, la mia valutazione personale per ora, in assenza di nuove informazioni, è che è probabile che un missile AD russo possa aver avuto a che fare con l’incidente, ma mi sembra comunque sbagliato che si sia trattato di un colpo direttamente mirato – sembra che ci sia dell’altro nella storia. Ma c’è anche la possibilità che si sia trattato di una vera e propria provocazione ucraina sotto forma di un attacco terroristico fatto passare per un abbattimento russo.
Ursa Maggiore
Non c’è molto da dire sull’affondamento in sé, se non che è stato quasi certamente effettuato dai servizi speciali ucraini e forse britannici, come dichiarato. Mi sono a lungo chiesto quando l’Ucraina avrebbe iniziato a esportare i suoi droni navali per dare la caccia alle flotte russe in tutto il mondo, anziché solo nel Mar Nero. Abbiamo visto che questi droni hanno una portata enorme, in grado di andare da Odessa al ponte di Kerch in un percorso circolare che li porta ben al di fuori della Crimea, che può arrivare a quasi 1000 km di distanza totale. Ciò significa che le navi russe nel Mediterraneo e altrove possono essere facili prede, dato che gli Starlink che alimentano questi droni sono in grado di farli navigare ovunque.
Non sto dicendo che un drone navale sia responsabile in questo caso, ma era solo questione di tempo prima che l’Ucraina iniziasse a prendere di mira le risorse navali russe in tutto il mondo, che sono essenzialmente bersagli facili.
Ma questo porta a un tema molto più ampio, che si collega anche all'”abbattimento” del volo Aktau:
La Russia sta entrando in un periodo molto pericoloso. Può sembrare un luogo comune dirlo, perché da molto tempo si parla costantemente di “collasso” dell’Ucraina, ma questa volta si sta davvero arrivando al punto in cui le cose si scontrano con il muro. In particolare, a seconda di ciò che farà Trump, l’Ucraina potrebbe non superare il prossimo anno. Zelensky è ora costretto a imbarcarsi in una grande operazione globale per “sparare tutte le armi” nel provocare la Russia al massimo, a tutto spiano.
Questa non è solo una mia speculazione, ma è stata supportata da diversi rapporti che affermano che l’Ucraina ha attivato un piano su larga scala. Esso coinvolge altri Paesi nell’aumento della pressione sulle operazioni della Russia da ogni possibile angolazione. Il più ovvio e dichiarato è stato il nuovo annuncio che gli Stati Uniti e gli alleati stanno dichiarando una guerra elevata alla “flotta di petroliere ombra” della Russia. Ciò ha prodotto risultati immediati, in quanto ieri è stata orchestrata una nuova provocazione riguardante la nave “Eagle S” della Russia, sospettata di aver presumibilmente tagliato altri cavi sottomarini tra Estonia e Finlandia.
Ora l’SVR russo riferisce che le stesse agenzie di intelligence britanniche e statunitensi si stanno attrezzando per aumentare le pressioni ibride sulle rimanenti basi siriane della Russia:
SVR (Servizio Informazioni Estere)
️ Le agenzie di intelligence di Stati Uniti e Regno Unito preparano attacchi terroristici contro le basi russe in Siria
Dopo il rovesciamento di Assad, Stati Uniti e Regno Unito si stanno impegnando per impedire che la situazione in Siria si stabilizzi.
Gli attacchi terroristici contro le strutture militari russe in Siria dovrebbero essere organizzati da militanti del bandito ISIS. I terroristi hanno già ricevuto droni d’attacco (foto d’archivio) per gli attacchi. Per nascondere il loro coinvolgimento, i comandi militari di Stati Uniti e Regno Unito hanno dato istruzioni alle loro forze aeree di continuare a colpire sporadicamente le posizioni dell’ISIS.
Londra e Washington sperano che tali provocazioni costringano la Russia ad evacuare i suoi militari dalla Siria. Allo stesso tempo, le nuove autorità siriane saranno accusate di non aver controllato i radicali, ha sottolineato il dipartimento.
Ciò è particolarmente preoccupante perché i “ribelli moderati” hanno postato video inquietanti in cui guardano gli aerei russi Su-35S decollare appena fuori dalla base aerea di Khmeimim:
Le provocazioni continuano e l’Occidente sa esattamente quali sono i punti di pressione da applicare:
L’ufficiale di riserva delle forze speciali lituane Aurimas Navis sogna di catturare Kaliningrad: “Kaliningrad è molto importante se iniziamo a pensare seriamente a come fermare la Russia. Se venisse sottratta alla Russia, sarebbe un grande passo avanti verso la fine della guerra”. Ho detto 10 anni fa che i Paesi della NATO dovrebbero semplicemente entrare a Kaliningrad e indire un referendum. Spero che i cittadini di Kaliningrad scelgano l’Europa. Questo può essere fatto semplicemente perché lì sono rimasti pochi soldati”.
Oppure che ne dite di questo:
La Russia sta lavorando a uno scenario di attacco alla Finlandia – I propagandisti finlandesi intimidiscono la popolazione
La pubblicazione Iltalehti Journal, citando fonti della NATO, scrive in un nuovo folle articolo che la Russia starebbe preparando un possibile attacco alla Finlandia e ad altri Paesi del fianco orientale dell’Alleanza.
“Secondo le stime, l’obiettivo dell’invasione russa potrebbe essere rappresentato dai confini della Pace di Turku del 1743. In particolare, le forze russe potrebbero prendere di mira la regione fino al fiume Kymijoki e, a nord, lo stretto di Puumalan”.
RVvoenkor
Ancora una volta, hanno perso la guerra sul campo, quindi ora non hanno altra scelta che far sanguinare la Russia in tutto il mondo. Cercheranno di bruciare ogni rapporto che la Russia ha, come con l’Azerbaigian per l’incidente aereo. Questo si aggiunge alla campagna appena lanciata per destabilizzare la società russa attraverso attacchi incendiari finanziati dall’SBU: in tutta la Russia, nelle ultime due settimane, la gente è stata costretta e soggiogata ad appiccare incendi, a perpetrare sabotaggi, ecc.
Questo naturalmente eccita i “turbo patrioti”, i fanatici e i preoccupati a lanciare invettive su Putin per essere “debole” e non aver bombardato Londra, Washington, Kiev, ecc. come “messaggio” per fermare queste provocazioni. Realisticamente parlando, non c’è molto che la Russia possa fare per fermare direttamente queste escalation. L’unico modo per fermarle è vincere la guerra nel modo più rapido e deciso possibile.
Da questo punto di vista, credo che le critiche all’approccio della Russia abbiano un merito: ci sono molte argomentazioni che possono essere avanzate sul fatto che la Russia avrebbe potuto terminare la guerra molto più rapidamente applicando una maggiore brutalità; qualcuno può citare gli Oreshnik sui ponti del Dnieper? Purtroppo è impossibile dire con certezza quale approccio sarebbe stato più efficace a lungo termine. Un’argomentazione sostiene che colpire Kiev con gli Oreshnik non avrà alcun effetto sulla sconfitta dell’AFU vera e propria. Ma c’è la possibilità che un attacco decapitante che elimini la leadership dell’Ucraina possa portare lo Stato a un collasso morale, o a lotte caotiche per il controllo che porteranno al collasso dell’ordine con la dissoluzione dell’intera AFU in fazioni ostili.
Per ora dobbiamo convivere con le scelte fatte dalla Russia, che sembrano basarsi sulla copertura delle scommesse e sul non sovraccaricare il mazzo in nessuna direzione. La Russia sembra credere di poter minimizzare il contraccolpo di queste provocazioni ed escalation per un tempo sufficiente a permettere alle Forze Armate russe di spezzare la spina dorsale dell’AFU. Probabilmente è una valutazione corretta, ma c’è sempre il cavallo oscuro o la “carta selvaggia”, in particolare con le nuove notizie sull’Ucraina che sta nuovamente pianificando una provocazione nucleare.
Per il momento, tuttavia, possiamo aspettarci un periodo di pressioni internazionali intensificate sulle risorse marittime e sulle flotte mercantili russe, in accordo con i nuovi giochi per il transito del gas e dell’energia, che si stanno attivando.
Tutto questo fa parte di una più ampia operazione sistemica volta a paralizzare l’economia russa nel lungo periodo, a rendere i costi della guerra i più alti possibile per creare malcontento nella società contro la classe dirigente.
Ma secondo un nuovo rapporto del Financial Times, Trump potrebbe porre rapidamente fine a tutto questo:
Trump potrebbe costringere l’Ucraina a fare la pace senza garanzie di sicurezza e alleggerire le sanzioni contro la Russia, – Financial Times
“La natura affaristica di Trump, la sua determinazione ad evitare guerre e il suo disprezzo per gli alleati democratici porteranno gli Stati Uniti a facilitare importanti accordi con Russia e Cina…
L’America si concentrerà sull’affermazione del dominio nella propria regione, spingendo Messico e Canada e intendendo conquistare il Canale di Panama e la Groenlandia. Trump costringerà l’Ucraina a un accordo di pace, senza fornire garanzie di sicurezza. Allenterà le sanzioni contro la Russia e sarà felice di vedere Putin alla cena del Ringraziamento a Mar-a-Lago”.
Questo è solo un altro motivo per cui la Russia probabilmente sceglie di giocare con più cautela: vede che i risultati che favoriscono il collasso dell’Ucraina hanno maggiori probabilità senza dover ricorrere a misure estreme o disperate.
A corollario di quanto detto sopra, c’è un nuovo articolo del NYT che sta facendo il giro del mondo:
Che Biden ha dato all’Ucraina fino a 500 missili ATACMS – e sono già quasi del tutto esauriti, senza altri lotti in arrivo:
In primavera, il presidente Biden ha ceduto. L’amministrazione ha spedito all’Ucraina ben 500 missili dalle scorte del Pentagono, hanno detto i funzionari statunitensi.
…
A quel punto, all’Ucraina erano rimaste solo “decine di missili”, forse una cinquantina, hanno detto i due funzionari statunitensi.Non aveva alcuna probabilità di ottenerne altri, hanno detto. Le limitate forniture americane erano già state assegnate per l’impiego in Medio Oriente e in Asia. I funzionari britannici, che hanno permesso all’Ucraina di utilizzare i suoi missili a lungo raggio Storm Shadow all’interno della Russia dopo la decisione di Biden, hanno anche affermato di recente di non avere molte altre forniture.
Pensateci un attimo: si dice che la scorta totale di ATACMS degli Stati Uniti sia di circa 1500-2000 unità al massimo. Ciò significa che gli Stati Uniti hanno spedito circa il 25-33% della loro intera riserva strategica e che questa quantità gigantesca è già stata sparata contro obiettivi russi senza praticamente alcun risultato apprezzabile.
Questo non è certo di buon auspicio per l’Ucraina e nemmeno per gli Stati Uniti in un’ipotetica guerra contro la Russia.
E unnuovo pezzo del WaPo fornisce un ulteriore triste resoconto della situazione dell’Ucraina in prima linea:
Ma la maggior parte del personale militare ucraino riconosce che la carenza di soldati è ora altrettanto critica del deficit di armi. Alcuni lavori specializzati nel 33° – come l’autista per i veicoli corazzati – sono stati ridotti a una sola persona in un battaglione, hanno detto i soldati, complicando la logistica per trasportare le truppe in modo sicuro avanti e indietro dalle postazioni di trincea.
Ora i guadagni russi continuano.
È stato segnalato un importante sfondamento a Chasov Yar, con le forze russe che hanno preso d’assalto l’intero distretto di Pivnichnyi:
Nel frattempo, la principale via di rifornimento di Velyka Novosilka sarebbe stata tagliata:
Ora un rapporto sostiene che questa strada sterrata è l’unica via d’uscita dalla roccaforte:
Le conquiste più importanti sono state l’espansione del controllo in ogni direzione a nord di Kurakhove, verso l’asse di Pokrovsk:
E proprio a Kurakhove è stata presa d’assalto la sezione industriale finale con la centrale termica, il che significa che la Russia è ora a distanza di sicurezza dalla conquista dell’intera città:
Ci sono state anche molte altre conquiste minori, ma ne parleremo un’altra volta quando si consolideranno in movimenti più significativi.
L’Europa continua a crollare, con il presidente tedesco che ha sciolto il Bundestag fino alle elezioni lampo di febbraio:
Con l’entrata in scena di Trump, si prevede che la crisi europea si aggravi, il che fa presagire un futuro ancora più negativo per l’Ucraina.
L’anno prossimo l’Ucraina avrà ancora meno sistemi con cui colpire la Russia, come abbiamo visto gli ATACMS e altre armi di questo tipo sono quasi esauriti. La Russia, invece, continua a migliorare le proprie capacità difensive: non solo grazie alla nuova iniziativa di Belousov di decentralizzare ogni nodo logistico di brigata e ogni deposito di munizioni, ma anche grazie all’aumento delle infrastrutture su vasta scala per quanto riguarda i bunker delle basi aeree. Nuove foto hanno mostrato che sta procedendo una campagna su larga scala per la costruzione di rifugi di cemento, il che significa che l’Ucraina avrà sempre meno opportunità di condurre attacchi dolorosi contro la Russia, il tutto con una fornitura di armi in diminuzione.
Arestovich ha proposto la nuova teoria secondo cui l’Ucraina ridurrà la mobilitazione a 18 o addirittura a 15 unità e cercherà di resistere fino al 2026, quando le elezioni di midterm del Congresso degli Stati Uniti dovrebbero riportare i Democratici al controllo del Congresso. Altri hanno sposato questa teoria, secondo la quale l’Ucraina potrebbe avere di nuovo una parvenza di possibilità di ottenere maggiore assistenza. Di questo passo, tuttavia, è difficile credere che anche con la mobilitazione l’Ucraina possa resistere a lungo.
Il vostro sostegno è inestimabile. Se vi è piaciuta la lettura, vi sarei molto grato se sottoscriveste un impegno mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, in modo da poter continuare a fornirvi rapporti dettagliati e incisivi come questo.
Domanda: L’anno 2024 è stato tutt’altro che facile e, probabilmente, piuttosto impegnativo. L’anno prossimo potrebbe rivelarsi altrettanto difficile. Ultimamente è difficile avere fiducia in prospettive rosee. Tuttavia, proviamo a tracciare dei risultati preliminari.
Tutti e suo fratello parlano di colloqui quasi inevitabili (se crediamo alla retorica e alle dichiarazioni pubbliche) tra la Russia e la NATO, gli Stati Uniti e l’Ucraina sulla questione ucraina.
Si parla di un “accordo” inevitabile che farà comodo a una delle due parti e porrà fine allo spargimento di sangue. A giudicare dalle dichiarazioni rilasciate dal Presidente Putin al Ministero degli Esteri il 14 giugno, le condizioni che abbiamo posto sono chiare e articolate. E nessuno ha intenzione di soddisfarle. Che cosa si può dire al riguardo? Questa retorica sui colloqui non è forse un caso di wishful thinking?
Sergey Lavrov: Non ci siamo fatti illusioni sulle prospettive. Anche la soluzione della crisi ucraina non ha prospettive. È chiaro da tempo a tutti coloro che hanno posizioni imparziali che la crisi può essere risolta solo nel contesto di accordi sulla sicurezza e la stabilità durature in Europa, che tengano conto degli interessi della Federazione Russa e degli interessi legittimi di tutti gli altri Paesi.
Tutti pensano che l’arrivo dell’amministrazione Trump cambierà le cose. Ci sono molte speculazioni in merito.
Come ho già detto, non ci facciamo illusioni. A Washington esiste un consenso bipartisan abbastanza solido sul sostegno al regime di Kiev. I documenti dottrinali degli Stati Uniti descrivono il nostro Paese come un avversario che deve essere “sconfitto strategicamente”. In discorsi gratuiti, i funzionari dell’amministrazione Biden ci hanno persino definito un nemico.
Non abbiamo mai affermato che con l’amministrazione Trump alla Casa Bianca il processo negoziale sulla sicurezza globale e sull’Ucraina inizierà a prescindere da tutto. Non sarà, come molti sperano, un esito inevitabile.
Abbiamo sentito parlare dell’interesse di Donald Trump, che ha nominato Keith Kellogg come suo inviato speciale per l’Ucraina, a fermare questa guerra il prima possibile. Siamo sempre stati favorevoli a che non iniziasse mai, il che è confermato dal nostro sostegno al documento firmato da Yanukovich e dall’opposizione nel febbraio 2014. Era garantito dai Paesi europei, ma l’opposizione lo ha stracciato la mattina dopo.
Abbiamo anche sostenuto gli accordi di Minsk, che hanno fermato l’attacco terroristico del regime di Kiev contro i suoi cittadini nel Donbass.
Il Presidente Vladimir Putin continua a fare riferimento al fatto che abbiamo sostenuto gli Accordi di Istanbul nell’aprile 2022, anch’essi in gran parte stracciati per volontà dell’Occidente.
Il Presidente Putin ha ripetutamente sottolineato che non ci allontaniamo mai dai colloqui. Abbiamo bisogno di proposte serie e concrete. Quando le avremo, decideremo come rispondere in base ai nostri interessi nazionali, agli obiettivi dell’operazione militare speciale e al discorso del 14 giugno del Presidente Vladimir Putin al Ministero degli Esteri.
Lei ha detto che questo discorso “contiene condizioni”. In linea di massima, non ci sono condizioni. Contiene la richiesta di adempiere a ciò che è stato ripetutamente concordato nel corso di molti anni: la smilitarizzazione dell’Ucraina (che è una violazione diretta degli accordi secondo i quali la NATO non “ingloberà” un numero crescente di Paesi a est e si avvicinerà direttamente al confine della Federazione Russa), e il rispetto degli obblighi previsti dalla Carta delle Nazioni Unite, anche per quanto riguarda i diritti umani, tra cui i diritti linguistici e religiosi. Queste possono davvero essere definite condizioni? Questo è il minimo indispensabile di ciò che ogni normale membro della comunità internazionale deve fare.
L’espressione della volontà delle regioni della RPD, della LPR e delle regioni di Kherson e Zaporozhye è una condizione preliminare? No. La Carta delle Nazioni Unite dice esplicitamente che tutti i Paesi devono rispettare il valore territoriale di quegli Stati che rispettano il diritto delle nazioni all’autodeterminazione, come è accaduto durante i referendum citati. Soprattutto, la Carta invita a rispettare l’integrità territoriale dei Paesi i cui governi rappresentano l’intera popolazione che vive sul territorio in questione. Possono le popolazioni della Crimea, del Donbass e della Novorossiya dire che i loro interessi sono rappresentati da un regime nazista che ha annunciato lo sterminio di tutto ciò che è russo, di fatto il suo obiettivo principale, mentre continuano a “giocare” nell’interesse dell’Occidente, che ha bisogno di eliminare un forte concorrente come la Federazione Russa dalla scena internazionale? L’Occidente vuole eliminare qualsiasi concorrente. Per quanto riguarda noi, l’Ucraina è stata scelta come strumento a questo scopo.
I principi formulati dal Presidente Vladimir Putin non sono precondizioni. In realtà derivano dal diritto internazionale.
D’altra parte, il discorso prevalente che sentiamo oggi sia in Occidente che in Ucraina riguarda la tregua e solo la tregua. Si tratta di guadagnare tempo per permettere al regime di Kiev di recuperare le forze, con l’aiuto dell’Occidente, e riprendere i suoi tentativi di infliggere una sconfitta strategica alla Russia, agendo su istruzioni dei loro capi occidentali.
Il Presidente Vladimir Putin lo ha ribadito più volte, durante la Direct Line, alla riunione del Valdai Discussion Club e al forum sugli investimenti Russia Calling! Non ci accontenteremo di una tregua. Abbiamo bisogno di accordi affidabili e giuridicamente vincolanti, volti a eliminare le cause profonde del conflitto, ad affrontare problemi come la sicurezza comune in Europa, l’espansione della NATO, la recente decisione dell’Unione Europea di diventare un’appendice del blocco nord-atlantico, cancellando di fatto tutte le differenze tra queste organizzazioni, e soprattutto a sostenere i diritti delle persone che vivono in questi territori e che hanno sostenuto la riunificazione con la Federazione Russa. Ciò non significa che la richiesta di rispettare le libertà linguistiche e religiose, abolite per legge da Vladimir Zelensky, non valga per il resto dell’Ucraina. La maggior parte delle persone che vi abitano parla il russo come lingua madre. L’aggressione linguistica iniziata dal regime di Kiev non sarà certamente tollerata.
Per quanto riguarda una possibile procedura di pace immaginata dagli ucraini e dai loro responsabili, l’ex ministro degli Esteri ucraino Dmitry Kuleba è emerso di recente in una nuova veste. Ha annunciato che l’Ucraina deve ottenere l’adesione alla NATO perché, anche se l’attuale generazione raggiunge alcuni accordi e trascorre il prossimo periodo a ricostruire l’Ucraina, la generazione successiva cercherà sicuramente di vendicarsi per la sconfitta che, secondo loro, l’Ucraina subirà se rispetterà la volontà dei suoi cittadini. Secondo Dmitry Kuleba, l’unico modo per impedire all’Ucraina di attaccare inevitabilmente la Russia in futuro è quello di ammettere subito il Paese alla NATO, vincolandolo con obblighi legali all’alleanza a non attaccare la Russia.
Olga Skabeyeva, concludendo il suo saluto, ha detto di avere poca fiducia in qualcosa di buono. La fede e la speranza sono i nostri valori tradizionali. Ci sono molti proverbi che riguardano questi concetti e i loro significati, tra cui quello sulla speranza: “La speranza è eterna”. Ma questa idea è contestata da un altro aforisma: la speranza è il nutrimento della giovinezza. Per evitare di essere fuorviati da vuote speranze, che possono essere “il nutrimento della giovinezza e la delizia della vecchiaia”, abbiamo bisogno di una soluzione definitiva, completa, giuridicamente vincolante e duratura dei problemi in Europa, compresa la crisi ucraina.
Domanda: Parliamo delle prospettive attuali. Nella sua intervista con Tucker Carlson, lei ha detto che il mondo è più vicino che mai a un conflitto nucleare. Francamente, è stato piuttosto inquietante. Cosa pensa di questa situazione? Quali azioni dovremmo intraprendere? Le persone in Occidente stanno già investendo in bunker. Dovremmo prepararci anche noi?
Sergey Lavrov: Siamo pronti a prendere tutte le misure necessarie per garantire che i cittadini americani e quelli di altre nazioni occidentali non sperperino il denaro (che al momento non è in abbondanza per loro) nella costruzione di bunker. Saremmo lieti di aiutare i contribuenti occidentali a risparmiare su questi bunker.
Non abbiamo mai avviato una discussione su cosa si debba fare con le armi nucleari e se queste possano essere utilizzate. Al contrario, è stato su iniziativa della Russia che nel 2021, prima a livello di Vladimir Putin e Joe Biden, poi tra i leader di tutti gli Stati del G5 dotati di armi nucleari – i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza – è stato riaffermato il principio di Gorbaciov-Reagan del 1987: non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare, quindi non dovrebbe mai essere istigata. Questa è stata un’iniziativa russa.
Qualsiasi altra proposta o osservazione simile, che suggerisca la possibilità di un conflitto nucleare, è stata formulata esclusivamente dalle capitali occidentali. Un anno fa il capo dello Stato Maggiore dell’esercito tedesco ha osservato che la Russia non dovrebbe intimidirli eccessivamente, ricordando che la NATO è un’alleanza nucleare. Tutti ricordano la dichiarazione di Liz Truss, in qualità di Primo Ministro della Gran Bretagna, che non ha esitato a premere il pulsante nucleare. Anche i funzionari francesi hanno ribadito il loro status di potenza nucleare.
Recentemente, i generali del Pentagono hanno deliberato apertamente sulla possibilità di “attacchi nucleari limitati” con la Federazione Russa, con l’intenzione di assicurarsi di uscire vittoriosi da tale “scambio”. Abbiamo chiesto direttamente (visto che è stato proprio un generale a fare questa dichiarazione) il significato di questa affermazione. La loro risposta è stata tutt’altro che soddisfacente, in quanto hanno cercato di sminuire il significato di tali dichiarazioni, sostenendo che fossero puramente teoriche. In pratica, non c’era nulla di simile. Ma una simile retorica può essere considerata una seria espressione di opinione da parte di un rappresentante ufficiale del Dipartimento militare?
In ogni caso, non siamo interessati a inasprire la questione dei rischi legati all’uso delle armi nucleari. Siamo fermamente convinti del principio che ho citato prima: in una guerra nucleare non ci possono essere vincitori. Il Presidente Vladimir Putin lo ha ribadito in numerose occasioni. Tuttavia, vorrei mettere in guardia dal mettere alla prova la nostra pazienza e la nostra determinazione a difendere i nostri legittimi interessi nazionali con tutti i mezzi disponibili. Vladimir Putin ha elaborato questo concetto durante la Linea diretta e in precedenti discorsi. Confidiamo che chi ha orecchie ascolti e chi ha mente comprenda.
Domanda: Ogni giorno si verificano provocazioni da parte ucraina, evidentemente con l’assistenza dei Paesi della NATO. Uno degli episodi più recenti riguarda gli attacchi dei droni che hanno preso di mira un edificio residenziale a Kazan. Anche i giornali occidentali hanno paragonato questo fatto agli eventi di New York dell’11 settembre 2001, facendo un parallelo con quell’attacco terroristico. Ricordiamo chiaramente la reazione degli Stati Uniti in quell’occasione. C’è qualcosa che ci dissuade dal rispondere in modo analogo?
Sergey Lavrov: Innanzitutto, mi asterrei dal fare paragoni diretti con l’attacco terroristico dell’11 settembre. Ci sono numerose teorie (non tutte di cospirazione) che richiedono ulteriori chiarimenti su ciò che è accaduto allora, su chi ha orchestrato l’attacco e per quale scopo.
Per quanto riguarda gli incessanti atti terroristici perpetrati dal regime di Kiev, che prende deliberatamente di mira strutture puramente civili come edifici residenziali, ospedali, cliniche, negozi e luoghi in cui la gente si riunisce e si rilassa, questo è oltraggioso. È una palese violazione di tutte le convenzioni antiterrorismo e delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Esprimiamo la nostra condanna, anche se purtroppo quasi nessuno in Occidente e nessuno dei leader delle organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU, l’OSCE, l’UNESCO e altri, si unisce a noi in questa denuncia. Naturalmente non ci fermiamo qui.
Diffondiamo regolarmente informazioni e presentiamo video pertinenti che illustrano i nostri sforzi per smantellare le strutture direttamente associate alla preparazione e all’esecuzione di attività da parte delle Forze Armate dell’Ucraina. Avvertiamo che qualsiasi continuazione di questo percorso sarà accolta da risposte sempre più decise da parte nostra. Per quanto posso accertare, pur non essendo un esperto militare, l’impatto sull’apparato militare di Kiev, non solo in rappresaglia a queste azioni terroristiche ma anche durante gli ultimi mesi dell’operazione militare speciale, è piuttosto sostanziale.
Non è indispensabile agire immediatamente dopo un attacco dei banditi a Kazan o nelle regioni di Kursk, Bryansk e Belgorod. Possiamo permetterci di aspettare. Siamo un popolo paziente. Tuttavia, a volte bisogna “misurare sette volte, tagliare una”. È essenziale misurare con attenzione per garantire che, quando agiamo, sia completamente efficace.
Domanda: Se possibile, parliamo del Primo Ministro della Slovacchia Robert Fico. Sono pienamente consapevole che i colloqui si sono svolti a porte chiuse e non sono disponibili dettagli. Non ci sono nemmeno conferenze stampa o dichiarazioni per i media. C’è qualcosa che può condividere con i nostri telespettatori? Almeno qualcosa? Tutti sperano di vedere almeno qualche progresso durante i colloqui. Il primo ministro slovacco Robert Fico è qui. Il primo ministro ungherese Viktor Orban sembra essere una persona ragionevole. A che punto è la situazione?
Sergey Lavrov: Non direi che non sono state fornite informazioni. Il Cremlino ne ha condivise alcune e anche il segretario stampa Dmitry Peskov ha fornito un commento. Non c’è nulla di particolarmente segreto;
Il Primo Ministro della Slovacchia ha dichiarato esplicitamente che l’anticipata cessazione del transito del gas russo attraverso l’Ucraina, che Vladimir Zelensky aveva ripetutamente e orgogliosamente annunciato pubblicamente, era il motivo immediato della sua visita.
Abbiamo discusso delle opzioni che consentirebbero di continuare le forniture di gas a Paesi come la Slovacchia, l’Ungheria e l’Austria, che, a quanto ho capito, sono interessati a questo. Si tratta di un loro interesse economico che non ha nulla a che vedere con gli obblighi dell’UE. Sono stati spinti a seguire un’unica politica estera e di sicurezza, ma le forniture di gas sono al di là della politica. Si tratta di garantire condizioni normali nel Paese durante l’inverno, in modo che le famiglie, le imprese manifatturiere e il settore sociale possano funzionare correttamente;
Le azioni di Vladimir Zelensky creano problemi proprio ai Paesi europei. Molti di essi affermano con orgoglio che la dipendenza dalla Russia deve essere eliminata. Ricordate il capo della Commissione europea Ursula von der Leyen che ha detto che il gas naturale liquefatto americano costa alla Germania meno del gas russo? Quando un giornalista le ha chiesto di chiarire a quali cifre si riferisse, visto che la realtà è opposta e rappresenta un onere aggiuntivo per l’economia, ha risposto che il gas americano è migliore e più economico in senso politico.
Questo dimostra la prontezza e la capacità di eseguire gli ordini provenienti dall'”elefante” che finora è rimasto fermo, mentre l'”asino” democratico è ancora alla guida di Washington D.C. e New York. Tuttavia, gli elefanti repubblicani si muoveranno presto e vedremo come si posizioneranno i “cagnolini”;
A proposito di gas, Vladimir Zelensky ha recentemente insultato la Slovacchia, l’Ungheria e altre figure politiche sensibili in un’intervista. Quando gli è stato chiesto perché non approverebbe il transito, dal momento che la Slovacchia può acquistare il gas direttamente al confine russo-ucraino (che poi diventerebbe gas slovacco o ungherese), ha risposto che anche se lo facessero, finirebbero per pagare il gas alla Russia e quindi finanziare la guerra. Ha suggerito che se si assicurassero che il gas diventi slovacco e non russo e si astenessero dal pagare la Russia fino alla fine della guerra, allora si potrebbe prendere in considerazione.
Il modo in cui funziona la mente di questa persona non può essere compreso dalle persone normali. Credo che non sia necessario commentare tutto ciò che Zelensky ha da sputare, soprattutto perché sputa regolarmente e le cose variano a seconda delle sue condizioni.
Permettetemi di condividere con voi una delle sue gemme più recenti. Un paio di settimane fa, rispondendo a una domanda su cosa dovrebbe fare la Russia per risolvere la crisi, ha dichiarato pubblicamente che dovrebbe andare a quattro zampe. Qualche domanda più tardi, nel corso della stessa intervista, ha suggerito di invitare la Russia a un forum successivo a quello di Bürgenstock, quando il loro ultimatum sarà stato ultimato, e di consegnarlo alla Russia. Se si soppesano queste due affermazioni (cosa deve fare la Russia per raggiungere un accordo e che la Russia deve essere presente al secondo vertice), nella sua frase iniziale ha effettivamente nominato e definito lo scopo di questo vertice;
Domanda: Un commento brillante ed esaustivo sulla situazione. Una breve domanda di approfondimento, però. La Russia è da tempo senza ambasciatore negli Stati Uniti. Si tratta di una pausa tecnica o di una sorta di demarcazione diplomatica?
Sergey Lavrov: No, non è un demarche. Gli americani hanno accolto il nuovo candidato come un professionista con un ampio background nelle relazioni sovietico-americane e russo-americane. La data di partenza è prevista in linea con il momento migliore per l’arrivo del nuovo ambasciatore a Washington, considerando l’imminente insediamento del presidente eletto Donald Trump tra sole tre settimane. Non c’è nessuna politica in gioco.
Domanda: Per una nota più leggera, avete avuto modo di decorare il vostro albero di Capodanno? Sentite l’allegria delle feste?
Sergey Lavrov: L’allegria è combattiva, perché la distensione durante le vacanze di Capodanno non è un’opzione. Alcuni politici e analisti seri non escludono la possibilità di provocazioni da parte dei nazionalisti di Kiev e dei loro sostenitori occidentali durante le vacanze di Capodanno e il Natale ortodosso. Osserveremo questa festività mentre conduciamo un’analisi vigile e attiva degli sviluppi in corso.
Subito dopo questa intervista, mi dirigo verso l’albero nell’atrio del Ministero. È l’Albero dei Desideri, e io e i miei vice partecipiamo attivamente a questa nobile iniziativa.
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La narrazione dominante dei media e delle reti al potere ripete continuamente che una sconfitta dell’Ucraina sarebbe anche una sconfitta della Francia e dell’Europa. Eppure, se analizziamo le conseguenze del conflitto in Ucraina da un punto di vista geopolitico, una vittoria russa in questo conflitto offrirà dei vantaggi alla Francia, se Parigi saprà sfruttarli. Si tratta ovviamente di uno scenario a lungo termine, poiché il superamento della crisi attuale richiederà almeno diversi anni.
Una vittoria dell’Ucraina avrebbe definitivamente formalizzato la vassallizzazione degli Stati europei della NATO e dell’UE a Washington .
L’operazione militare russa iniziata nel 2022 continuerà e porterà inevitabilmente alla neutralizzazione de de jure o de facto dell’Ucraina, cioè alla sua rinuncia alla NATO, condizione minima e necessaria per uscire dalla crisi.Poiché l’adesione dell’Ucraina alla NATO e all’UE è stata impossibile dopo l’intervento militare russo, Mosca cercherà di perpetuare questa situazione in una nuova architettura di sicurezza, in modo che il problema non riemerga tra qualche anno o decennio. L’Unione europea e i suoi Stati membri non sono in grado di sostituirsi agli Stati Uniti se Donald Trump riduce o ritira gli aiuti di Washington a Kiev, al di là di un periodo limitato (da pochi mesi a un anno?). La prospettiva di una vittoria russa sta quindi diventando sempre più chiara, nonostante la propaganda mediatica e politica continui ad affermare il contrario. In Francia e in Europa si sta scatenando il panico tra i politici e gli pseudo-esperti che dal 2022 prevedono la vittoria dell’Ucraina.
Cominciamo a immaginare il contrario, in uno scenario geopolitico immaginario. Una vittoria dell’Ucraina sarebbe soprattutto una vittoria degli Stati Uniti contro la Russia. Oltre a rafforzare il prestigio di Washington, il suo strumento, la NATO e l’UE “otanizzata”, godrebbero di una legittimità decuplicata nella strutturazione dell’Europa e dell’Eurasia secondo la visione geopolitica unipolare americana. La NATO è uno strumento offensivo per l’espansione statunitense sul continente europeo, per il controllo del Rimland[1] e per la frammentazione dell’Europa, mantenendo gli europei occidentali alla periferia geopolitica. Va ricordato che l’obiettivo geopolitico degli Stati Uniti è quello di frammentare lo spazio eurasiatico per mantenere la propria egemonia europea e globale. Da qui il sabotaggio di Washington del Nord Stream per recidere i legami energetici e geopolitici tra Germania, Francia e Russia.
Con l’adesione di Kiev alla NATO e all’UE, facilitata dalla sconfitta della Russia, l’Ucraina, cavallo di Troia degli Stati Uniti, diventerebbe un nuovo strumento di controllo di Washington sull’UE e sulla NATO. Ciò faciliterebbe la definitiva supremazia geopolitica degli Stati Uniti in Europa – grazie alla preminenza di un asse Washington/Londra/Varsavia/Kiev/Paesi nordici/Paesi baltici, al quale si aggancerebbero Germania e Italia, emarginando definitivamente la Francia. La visione gollista di un equilibrio europeo e la possibilità di controbilanciare l’Europa americano-tedesca sarebbero rese impossibili. Assisteremmo a un’americanizzazione illimitata del vecchio continente – già in fase avanzata – che allontanerebbe definitivamente la Francia, annegata nel mondo liquido della potenza marittima americana. Ciò cristallizzerebbe per decenni lo status di periferia geopolitica della Francia e degli altri Paesi europei membri della NATO e dell’UE.
L’Europa diventerebbe una parte permanente dell’area euro-atlantica sotto l’egemonia americana, senza alcun margine di manovra perché bloccata da un arco di crisi nell’Europa orientale e da una frattura con la Russia che, indebolita e svalutata, non sarebbe più in grado di offrire un’alternativa geopolitica alla sudditanza agli Stati Uniti.
Washington imporrebbe le sue priorità geopolitiche (Cina e Russia come nemici prioritari), geostrategiche (controllo totale delle questioni di difesa da parte del complesso militare-industriale americano), geoeconomiche (aumento delle esportazioni di gas di scisto americano), culturali e politiche, e così via.
Il posto della Francia in un mondo dominato dall’America sarebbe, nella migliore delle ipotesi, quello di una potenza ridotta e non indipendente, che beneficia di una nicchia geopolitica concessa da Washington per gestire una piccola porzione di territorio nell’area euro-atlantica in opposizione alla Russia, con il pretesto dell’autonomia strategica europea. Nella peggiore delle ipotesi, non sarebbe altro che una potenza supplementare, una colonia geopolitica che applica integralmente le priorità geopolitiche degli Stati Uniti, come la maggior parte degli altri Stati europei non sovrani della NATO. Sotto la presidenza di Emmanuel Macron, la Francia si sta avvicinando a una situazione del genere.
Inimicarsi la Russia va contro gli interessi geopolitici a lungo termine di Francia, Germania e di tutte le nazioni europee. A differenza di Washington e Londra che, come potenze marittime, cercano di frammentare l’Eurasia e di silurare qualsiasi accordo tra Parigi, Berlino, Mosca e Pechino.
In Europa, il complesso militare-industriale europeo “NATOizzato”, gerarchicamente integrato con il complesso militare-industriale americano all’interno della NATO, spinge per questa sottomissione, cercando di beneficiare delle briciole concesse da Washington. Anche le reti globaliste al potere in Francia, beneficiarie e approfittatrici della globalizzazione neoliberista americana, spingono per questa alienazione geopolitica. Questa minoranza detiene oggi le leve del potere in Francia, nell’UE e nella NATO.
Un mondo multipolare sarebbe tuttavia più vantaggioso per la Francia, perché le offrirebbe, in quanto potenza equilibratrice, un maggiore margine di manovra per riconquistare la propria sovranità e prosperare, in particolare con un pivot verso la Russia. La Francia non è una superpotenza come gli Stati Uniti, né uno Stato-civiltà come la Russia e la Cina. Il suo posizionamento come potenza equilibratrice è l’unico modo per evitare di sprofondare nell’obsolescenza e nella sudditanza. Il progetto unipolare occidentalista, sotto la guida di Washington, mira a stabilire una gerarchia di civiltà, in cui la Francia e gli europei non sono altro che una sottocategoria (cfr. le alleanze esclusive AUKUS e Five Eyes delle potenze marittime anglosassoni ), mentre il progetto multipolare russo, basato sull’Europa delle nazioni e sulla diversità delle civiltà, è molto più in sintonia con il progetto geopolitico di indipendenza nazionale promosso dal generale de Gaulle.
La minaccia russa non esiste per i francesi e gli europei se gli Stati membri della NATO non cercano di minacciare Mosca.
Si potrebbe sostenere che una vittoria russa porterebbe esattamente alla stessa configurazione, con la NATO e la sua estensione, l’UE, che si rafforzerebbero per fronteggiare una Russia rafforzata dal suo successo in Ucraina e vista come una minaccia.
Tuttavia, si tratta di una fallace narrazione atlantista che inventa una minaccia russa che non esiste né per la Francia né per gli europei. La Russia non ha alcun interesse geopolitico ad attaccare un Paese della NATO. Il suo obiettivo è chiaro. Chiede di fermare l’espansione dell’Alleanza e rifiuta la presenza di infrastrutture offensive ai suoi confini. Cosa c’è di più normale per uno Stato sovrano di fronte a un’alleanza ostile? Comprendere una situazione geopolitica significa innanzitutto rendere intelligibili le rivalità all’interno del territorio. La geografia è fondamentale per la percezione della sicurezza. Cosa farebbero gli Stati Uniti se Mosca o Pechino installassero basi militari in Canada e Messico, o se Russia e Cina cercassero di dislocare il territorio degli Stati Uniti, come stanno facendo le reti neoconservatrici di Washington per frammentare il mondo russo e trasformare la Russia in una moltitudine di Stati indipendenti – ma vassalli degli Stati Uniti – se non ingaggiare un conflitto per evitarlo? Senza l’allargamento della NATO e la proliferazione delle infrastrutture militari statunitensi in Ucraina e nelle ex repubbliche dell’URSS, non ci sarebbe alcun timore di accerchiamento geopolitico da parte di Mosca.
La minaccia russa esiste solo nella misura in cui gli Stati europei della NATO e dell’UE si posizionano come alleati degli Stati Uniti per accerchiare la Russia e indebolirla, sostenendo Kiev, diventando così cobelligeranti. L’autorizzazione concessa all’Ucraina di utilizzare i missili forniti dall’Occidente per colpire in profondità il territorio russo, de facto rafforza lo status di belligeranza degli Stati che li forniscono (Stati Uniti, Regno Unito, Francia e persino Germania). Rappresentano una minaccia diretta per la Russia e aumentano il rischio di un conflitto frontale. Sebbene non vi sia alcuna minaccia di invasione degli Stati della NATO da parte della Russia, non si può escludere una risposta con missili ipersonici. Mosca non è in conflitto con le nazioni europee, ma cerca di contrastare l’espansione del sistema euro-atlantico di egemonia americana in Europa, che sta invadendo i territori russi.
Inoltre, vincendo la guerra in Ucraina, Mosca riconquisterebbe il suo involucro geopolitico ideale, quello del mondo russo, i cui confini non sarebbero più minacciati da Washington e dalla NATO. Ciò stabilizzerebbe il continente europeo. La Russia, senza l’Ucraina nella NATO, avrebbe confini più sicuri.
Si potrebbe quindi ipotizzare una reinizializzazione delle relazioni tra gli europei occidentali e la Russia per promuovere uno spazio eurasiatico di stabilità e prosperità e un avvicinamento lungo un asse Francia-Germania-Russia, che coincida con l’involucro della civiltà europea e permetta di evitare un condominio americano-cinese. Ciò significherebbe negoziare una nuova architettura di sicurezza europea con la Russia, ma su un piano di parità geopolitica e sul principio degli interessi comuni europei – non occidentalisti – e dell’accettazione della diversità delle civiltà. Questa è l’unica opzione che ha senso dal punto di vista geopolitico.
Un tale avvicinamento consentirebbe anche di affrontare le minacce derivanti dall’arco di crisi dell’Europa meridionale (la minaccia islamista sul territorio francese ed europeo), senza disperdersi troppo su due fronti.
Gli interessi geopolitici francesi si difendono meglio con una vittoria russa
Con la prospettiva di una vittoria russa in Ucraina – unita a una presidenza Trump che potrebbe essere meno ostile a Mosca – sta emergendo un’alternativa geopolitica all’intrappolamento euro-atlantico. La Francia sembra essere nella posizione migliore per cogliere questa opportunità una volta risolta la questione ucraina. A quel punto potrebbe concentrarsi sulle sue vere priorità geopolitiche: la minaccia esistenziale per la nazione rappresentata dall’immigrazione, dal terrorismo islamico e dal conseguente rischio di conflitto civile, ma anche dall’ideologia americana, in particolare dal wokismo e dalla “società aperta”, tendenze osteggiate anche dalla Russia, pilastro orientale della civiltà europea, e ora anche da Donald Trump.
Una vittoria russa sarebbe una boccata d’aria fresca per la Francia, attualmente bloccata in un progetto europeo tedesco-americano che la sta portando all’inevitabile dissoluzione. Un’alleanza inversa, grazie a un riavvicinamento franco-russo, è necessaria per controbilanciare l’asse Washington-Berlino. L’obiettivo più lontano sarebbe quello di allontanarsi da questa Europa tedesco-americana, per favorire una configurazione geopolitica ideale, lungo l’asse Parigi-Berlino-Mosca con un’estensione verso Pechino. Questa opzione bilancerebbe un asse Parigi-Berlino-Washington, perché la Francia, in quanto potenza equilibratrice, ha la vocazione di posizionarsi al centro di tutte le aree geopolitiche.
La Russia, una minaccia per l’ordine euro-atlantico
La Russia non è una minaccia per la Francia, ma per l’ordine euro-atlantico. La fallace retorica delle istituzioni euro-atlantiche e dei governi vassallizzati sulla “minaccia esistenziale della Russia” oscura la vera posta in gioco. Esistenziale per chi? La minaccia non riguarda gli interessi vitali della Francia, ma l’ordine spaziale euro-atlantico dominato da Washington, che vive e respira il confronto con Mosca (nominando il nemico per mobilitare i suoi ausiliari e impedire qualsiasi defezione).
L’UE e la NATO sono state create in un ordine spaziale e geopolitico diverso dall’attuale ordine multipolare, quello della Guerra Fredda, come sottoinsieme dell’Occidente capitalista, e queste organizzazioni sono state mantenute sotto l’ordine unipolare americano. Ora sono in difficoltà e la loro sopravvivenza è in gioco di fronte a un nuovo ordine spaziale multipolare in cui i popoli e le nazioni potrebbero riconquistare la loro libertà dall’inevitabile globalizzazione e americanizzazione. Da qui il panico per l’elezione di Donald Trump, che potrebbe mettere in discussione questo edificio.
La domanda geopolitica centrale è la seguente: la nuova amministrazione Trump si allontanerà dalle dottrine geopolitiche anglosassoni ossessionate dal controllo e dalla frammentazione dell’Eurasia e ridefinirà il posto degli Stati Uniti in un mondo multipolare? Per il momento, nulla suggerisce che la nuova amministrazione abbandonerà questa posizione geopolitica, ma ciò non può essere escluso a lungo termine;
L’Unione europea non può più prosperare senza il progetto americano di unipolarismo, perché non ha una strategia geopolitica indipendente ed è incapace di elaborare una strategia multipolare. In futuro, saranno sempre più le coalizioni precarie e temporanee di Stati nazionali e di civiltà a determinare la configurazione geopolitica globale.
L’UE non può quindi sopravvivere senza inimicarsi la Russia per liberarsi dei suoi paradigmi obsoleti e continuare così il suo vassallaggio alla NATO, senza il quale non ha alcun peso. Per la NATO, l’UE la completa come strumento per estendere la zona di influenza euro-atlantica e il progetto di un’Europa controllata da Washington.
Con la vittoria della Russia in Ucraina, l’UE è sul punto di perdere il monopolio del discorso sull’Europa a favore del modello di un’Europa delle nazioni, i cui promotori avranno influenza a causa della perdita di credibilità della NATO, che vive di guerra e non può più espandersi.
In realtà, la vittoria della Russia è imbarazzante solo per coloro che hanno posizionato la Francia come Stato vassallo nel continuum Washington/NATO/UE, mantenendo l’illusione dell’autonomia strategica europea.
L’interesse degli Stati Uniti è la continua vassallizzazione dell’UE.
Con l’elezione di Donald Trump, il posto riservato all’Europa non cambia; è quello di un Rimland, una periferia geopolitica che deve essere in grado di garantire la propria difesa, ma rifornendosi principalmente dagli Stati Uniti e allineandosi alle loro priorità geopolitiche. La Russia rimane un avversario contro cui gli europei devono resistere, in modo che Washington possa concentrarsi sui suoi sforzi contro la Cina. Donald Trump, che difende ” America First “, non aiuterà la Francia a riconquistare la propria sovranità e indipendenza geopolitica,
Se Donald Trump riuscirà a disimpegnare gli Stati Uniti dal conflitto ucraino, che hanno provocato e perso, è interesse degli Stati Uniti far ricadere sugli europei il peso della loro politica di destabilizzazione della Russia e trasferire loro la responsabilità di contenerla, mantenendo il controllo della loro dottrina geopolitica e sancendo la divisione dell’Europa.
Questo è lo scenario da sogno per i governi atlantisti oggi al potere e per i loro complessi militari-industriali, perché non solo sono incapaci di un pensiero geopolitico indipendente, ma si oppongono anche a qualsiasi sfida al loro status di ausiliari vassalli, che richiederebbe loro di assumersi maggiori responsabilità e di osare pensare con la propria testa. Oggi non ci sono leader politici in grado di agire in modo indipendente nell’UE, a parte Victor Orban e Robert Fico, anche se nei limiti dell’appartenenza dell’Ungheria e della Slovacchia all’UE e alla NATO. Se si vuole sperare in un cambiamento, le reti attualmente al potere dovranno essere sostituite.
Senza una svolta verso una maggiore indipendenza da parte degli Stati europei, solo una profonda crisi sistemica nell’area euro-atlantica è in grado di cambiarne la configurazione.
*
In conclusione, se la Francia vuole avere qualche possibilità di riguadagnare spazio di manovra e di fare perno sulla Russia, una vittoria di Mosca è nel suo interesse. In questo scenario, il progetto europeo avrebbe maggiori possibilità di essere riformato – con i paradigmi geopolitici dell’UE e della NATO che diventerebbero obsoleti – per avvicinarsi alla visione gollista di un’Europa delle nazioni più indipendente dagli Stati Uniti.
Un altro scenario potrebbe essere l’inesorabile deriva verso un inasprimento del conflitto e, peggio, una terza guerra mondiale guidata da Washington se Trump decidesse di inasprire la situazione dopo aver rifiutato le richieste russe. L’Europa diventerebbe il campo di battaglia di questa escalation potenzialmente nucleare, con tutto ciò che ne consegue.
[1] Frangia marittima dell’Eurasia. Il controllo di quest’area è di fondamentale importanza per controllare l’Heartland, la massa terrestre eurasiatica incarnata da Russia e Cina.
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Il vaso di Pandora delle speculazioni è già stato aperto dagli Stati Uniti e dall’Ucraina, quindi non c’è bisogno che la Russia si trattenga dall’iniettare le proprie speculazioni, anche se molto più ragionevoli, nel discorso globale.
La CNN ha citato un funzionario statunitense senza nome per riferire che l’incidente del volo J2-8243 dell’Azerbaijan Airlines in Kazakistan, che viaggiava da Baku a Grozny prima di deviare improvvisamente dalla rotta verso il Mar Caspio, potrebbe essere stato causato dalle difese aeree russe che hanno erroneamente sparato sul volo. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha ammonito a non indulgere in speculazioni e ad attendere la conclusione delle indagini, ma il suo consiglio è rimasto ovviamente inascoltato dagli Stati Uniti, che hanno interesse a plasmare la narrazione.
In questo caso, si vuole assolvere l’Ucraina da ogni responsabilità dopo che si è scoperto che aveva lanciato attacchi di droni a lungo raggio su Grozny intorno all’ora dell’incidente, il che avrebbe potuto portare le difese aeree russe a sparare erroneamente sull’aereo o le schegge di un drone distrutto avrebbero potuto colpirlo. RT ha riferito che le indagini preliminari hanno ipotizzato che la colpa sia stata di un bird strike, ma le riprese dell’aereo precipitato che appariva pieno di buchi hanno fatto ipotizzare che sia accaduto qualcos’altro.
La diffusione virale del rapporto della CNN, che per alcuni ha un’aria autorevole in quanto cita un funzionario statunitense senza nome, richiede che venga messo in discussione, nonostante Peskov abbia messo in guardia da qualsiasi speculazione. La sequenza di eventi che si sono verificati suggerisce effettivamente che qualcosa è accaduto in volo sulla strada per Grozny che ha portato l’aereo a deviare improvvisamente dalla rotta verso il Caspio, ma le riprese successive all’incidente suggeriscono che potrebbe essere stato colpito da detriti di droni invece che da un colpo diretto della difesa aerea.
A prescindere da quale spiegazione si ritenga più credibile, il punto è che entrambe sono state causate dagli sconsiderati attacchi di droni dell’Ucraina contro Grozny, che è molto lontana dalla zona di operazione speciale. Gli attacchi di questa settimana non sono stati i primi, e il motivo per cui la città è stata presa di mira ha probabilmente a che fare con la convinzione dell’Ucraina che questi attacchi possano scatenare disordini politici in quella regione, un tempo separatista, aprendo così un cosiddetto “secondo fronte” per distogliere l’attenzione e le forze russe da quello principale.
Un ulteriore obiettivo può essere intuito da ciò che un alto funzionario ucraino ha dichiarato alla CNN nel suo rapporto. Andrey Kovalenko, capo del “Centro per la lotta alla disinformazione” che fa parte del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale, ha dichiarato che “la Russia avrebbe dovuto chiudere lo spazio aereo sopra Grozny, ma non l’ha fatto”. In altre parole, questi attacchi di droni erano deliberatamente destinati a creare un ambiente non sicuro, che avrebbe costretto la Russia a chiudere il suo spazio aereo o a causare una tragedia.
Chiudere a tempo indeterminato l’intero spazio aereo meridionale per precauzione a causa della lunga gittata dei droni ucraini sarebbe stata oggettivamente una reazione eccessiva con costi finanziari incalcolabili, proprio come se gli Stati Uniti avessero fatto lo stesso in risposta a misteriosi avvistamenti di droni sulla costa orientale all’inizio del mese. Tuttavia, proprio perché la Russia non l’ha fatto, l’Ucraina e i suoi alleati mediatici affermeranno prevedibilmente che si è trattato di un atto irresponsabile dopo quanto è accaduto, anche se la colpa di Kiev è stata spiegata.
Ciò che la Russia deve fare al più presto è respingere questa narrazione emergente di guerra d’informazione, sottolineando al massimo quanto sia imprudente per l’Ucraina effettuare attacchi con i droni così lontano dalla zona di operazioni speciali, per non parlare delle infrastrutture civili come gli aeroporti locali. Il vaso di Pandora della speculazione è già stato aperto dagli Stati Uniti e dall’Ucraina, quindi non c’è bisogno che la Russia si trattenga dall’iniettare la propria speculazione, anche se molto più ragionevole, nel discorso globale.
Il leader americano di ritorno potrebbe sostenere l’opposizione contro i nemici liberal-globalisti al potere.
Il capo dell’ufficio del Primo Ministro ungherese Viktor Orban ha annunciato giovedì di aver concesso asilo all’ex Vice Ministro della Giustizia polacco fuggitivo Marcin Romanowski sulla base del fatto che la crisi dello stato di diritto in Polonia e la relativa guerra legale contro gli oppositori del partito al governo rendono impossibile un giusto processo. Romanowski è accusato di abuso di fondi pubblici durante il suo periodo nel precedente governo. La Polonia ha convocato l’ambasciatore ungherese e ha richiamato i propri da Budapest in risposta.
Durante l’estate è stato valutato che ” La Fratellanza Polacco-Ungherese, vecchia di 700 anni, è ufficialmente morta a livello di Stato-Stato ” dopo che i liberal-globalisti al potere in Polonia hanno ripetutamente denigrato l’Ungheria per i suoi legami con la Russia e hanno quindi costretto Orbán a reagire finalmente a queste provocazioni con alcune parole taglienti. Tuttavia, un riavvicinamento è ancora ipoteticamente possibile, anche se solo se gli ex (molto imperfetti) conservatori-nazionalisti tornassero al potere. È questo lo scenario per cui Orbán nutre speranza.
Non avrebbe approvato la richiesta di asilo di Romanowski se non avesse pensato che avrebbe potuto dare i suoi frutti in futuro. Per far sì che ciò accada, i conservatori-nazionalisti devono mantenere la presidenza durante le elezioni dell’anno prossimo, dopodiché dovranno riprendere il controllo del parlamento durante le prossime elezioni del 2027 (a meno che non vengano convocati prima, anche se questo non può essere dato per scontato). Questa sequenza di eventi potrebbe prevedibilmente svolgersi durante il secondo mandato di Trump.
Il vicepresidente eletto JD Vance ha criticato duramente il primo ministro polacco Donald Tusk sui social media all’inizio dell’anno, prima che gli venisse chiesto di unirsi alla lista di Trump, e aveva persino inviato una lettera al segretario di Stato Antony Blinken prima di allora sulla mancanza di libertà dei media durante i primi giorni del suo governo. L’eurodeputato conservatore-nazionalista Dominik Tarczynski ha poi incontrato il team di Trump dopo le elezioni per informarli di tutte le volte in cui Tusk e il suo ministro degli Esteri Radek Sikorski avevano insultato Trump in passato.
La nuova amministrazione, quindi, probabilmente non sarà in buoni rapporti con Tusk e Trump potrebbe persino insultarlo a sua volta, come sta attualmente insultando il primo ministro canadese Justin Trudeau. Gli Stati Uniti potrebbero anche arrivare a minacciare la Polonia di sanzioni per la sua nuova crisi dello stato di diritto, preferendo apertamente l’opposizione conservatrice-nazionalista e cercando così di influenzare le prossime due elezioni. L’obiettivo sarebbe quello di aiutare a negare la presidenza ai liberal-globalisti e poi spazzarli via dal parlamento in seguito.
Questo non verrebbe perseguito solo per dispetto o solidarietà ideologica, ma anche per la ragione pragmatica che i conservatori-nazionalisti sono più filoamericani dei liberal-globalisti, questi ultimi più allineati con la Germania che con gli USA. Di sicuro, gli USA mantengono ancora molta influenza sulla Polonia anche con il loro attuale assetto di governo, ma potrebbero averne ancora di più se l’opposizione tornasse al potere. A Orban però non importa nulla di tutto ciò, dal momento che è interessato solo alle relazioni bilaterali.
Finché i liberal-globalisti continueranno a governare la Polonia, i legami con l’Ungheria rimarranno problematici a causa della loro opposizione ideologicamente guidata alle sue politiche interne ed estere, che hanno distrutto la loro fratellanza a livello di stato. È solo attraverso un possibile ritorno al potere dei conservatori-nazionalisti sostenuto da Trump che questo danno potrà essere riparato. La decisione di Orban di concedere asilo a Romanowski è quindi intesa a mantenere alto il loro morale e incoraggiarli a continuare a combattere fino ad allora.
Il suo intento era in realtà quello di assolvere gli ebrei dalla responsabilità collettiva per i crimini di Zelensky e per la sua radicale crociata ideologica contro la Chiesa ortodossa russa, che gli antisemiti attribuiscono loro esclusivamente a causa della loro appartenenza etno-nazionale e religiosa a lui.
Putin è stato nuovamente accusato di antisemitismo dopo le sue osservazioni su ebrei, Ucraina e Chiesa ortodossa russa (ROC) che ha condiviso durante la sua sessione annuale di domande e risposte con il pubblico a metà dicembre. I media mainstream presentano questo come prova che lui è Hitler 2.0 mentre i membri pro-resistenza della comunità Alt-Media sostengono che è la prova che lui è segretamente antisionista anche se non ha mai mosso un dito per salvare il loro movimento dalla recente distruzione da parte di Israele. Ecco cosa ha detto :
“Sai, ciò che sta accadendo riguardo alla Chiesa ortodossa russa in Ucraina è una situazione unica. Questa è una violazione grossolana e sfacciata dei diritti umani, dei diritti dei credenti. La chiesa viene fatta a pezzi davanti agli occhi di tutti. È come un’esecuzione tramite plotone di esecuzione, eppure il mondo sembra ignorarlo.
Penso che coloro che si impegnano in tali azioni lo riavranno indietro. Hai detto che stanno facendo a pezzi le cose, ed è esattamente ciò che sta accadendo. Queste persone non sono nemmeno atee. Gli atei sono individui che credono nell’idea che Dio non esista, ma questa è la loro fede, le loro convinzioni e la loro visione del mondo.
Ma questi non sono atei; sono persone senza alcuna fede. Sono ebrei etnici, ma chi li ha mai visti in una sinagoga? Non sono nemmeno cristiani ortodossi, dal momento che non frequentano le chiese. E certamente non sono seguaci dell’Islam, poiché è improbabile che vengano visti in una moschea.
Si tratta di individui senza parenti o amici. Non si preoccupano di nulla di ciò che è caro a noi e alla stragrande maggioranza del popolo ucraino. Alla fine, un giorno scapperanno e andranno in spiaggia piuttosto che in chiesa. Ma questa è una loro scelta.
Credo che un giorno la gente in Ucraina, e la maggior parte degli ucraini è ancora legata all’Ortodossia, valuterà di conseguenza le proprie azioni”.
Il punto che Putin ha cercato di trasmettere è che l’identità etno-nazionale di Zelensky, di cui è ferocemente orgoglioso, non ha nulla a che fare con la sua crociata ideologica radicale contro la Chiesa ortodossa russa che la stragrande maggioranza degli ucraini segue. Nonostante si consideri ebreo, Zelensky non frequenta nemmeno la sinagoga, il che suggerisce che sfrutti la sua identità etno-nazionale come scudo per deviare dalle critiche alle sue politiche anti-ROC e ad altre politiche sulla falsa base che tali politiche siano presumibilmente antisemite.
Putin è un orgoglioso filosemita da sempre, come dimostrato dal suo elogio documentato di Israele e degli ebrei, di cui i lettori possono saperne di più qui , che ha raccolto decine di sue citazioni su di loro dal sito web ufficiale del Cremlino tra il 2000 e il 2018. È stato anche l’ospite d’onore di Bibi al Fighting Antisemitism Forum di gennaio 2020 ed è stato elogiato dall’ex Primo Ministro Bennett nell’ottobre 2021 come “un amico molto intimo e sincero dello Stato di Israele”. Nessuno dei due gli avrebbe conferito questi onori se fosse stato un antisemita.
Lavrov si è cacciato nei guai poco dopo, a maggio 2022, per aver affermato che le speculazioni sull’ascendenza ebraica di Hitler “non significano assolutamente nulla” per sostenere che l’identità etno-religiosa di una persona alla nascita non predetermina le sue opinioni politiche più avanti nella vita. Indipendentemente dal fatto che si sia d’accordo o meno con l’esempio sensibile che ha usato, il punto in sé è valido, ed è ciò che Putin ha cercato di riecheggiare durante il suo Q&A annuale a fine dicembre, facendo riferimento all’identità etno-nazionale di Zelensky.
Come ha detto Lavrov nella sua intervista sopra menzionata , “I saggi ebrei dicono che gli antisemiti più accaniti sono solitamente ebrei. ‘Ogni famiglia ha la sua pecora nera’, come diciamo noi”. Allo stesso modo, Putin ha voluto sottolineare che Zelensky non rappresenta i suoi “parenti o amici” poiché sta facendo a pezzi la ROC, cosa che Putin non crede che un ebreo timorato di Dio farebbe. Le sue osservazioni mirano quindi a impedire alle persone di giudicare negativamente tutti gli ebrei sulla base della crociata ideologica radicale di Zelensky.
Se Putin fosse stato davvero un antisemita, allora non solo non sarebbe mai stato invitato da Bibi al Fighting Antisemitism Forum né sarebbe stato elogiato da Bennett come “un amico molto intimo e sincero dello Stato di Israele”, ma avrebbe anche sostenuto in modo significativo l’Asse della Resistenza contro Israele. Invece, si è seduto e ha lasciato che Israele li distruggesse, senza mai fare nulla di significativo per fermarlo. L’unica cosa che la Russia ha fatto è stata rilasciare alcune dichiarazioni taglienti contro Israele. Ecco tre briefing di base su questa politica:
Con questi fatti in mente, uniti a quelli condivisi sul suo filosemitismo duraturo, come documentato dal sito web ufficiale del Cremlino, è quindi disonesto descrivere Putin come antisemita solo per come ha trasmesso il suo ultimo punto su Zelensky. Il suo intento era in realtà quello di assolvere gli ebrei dalla responsabilità collettiva per i crimini di Zelensky e per la sua radicale crociata ideologica contro la ROC che gli antisemiti attribuiscono loro solo a causa della loro associazione etno-nazionale e religiosa con lui.
Putin considera Zelensky un ideologo senza Dio, non un ebreo timorato di Dio, quindi non vuole che gli antisemiti sfruttino l’identità ebraica etnica di Zelensky per diffamare tutti gli ebrei e forse persino giustificare attacchi contro di loro nel peggiore dei casi su questa falsa base. Lungi dall’essere antisemiti, le sue ultime osservazioni sugli ebrei, l’Ucraina e la ROC erano quindi presumibilmente filosemite, anche se si crede ancora che avrebbe potuto esprimere il suo punto di vista in un modo meno controverso.
Le relazioni polacco-ucraine potrebbero continuare a peggiorare a causa delle provocazioni dell’Ucraina e delle risposte della Polonia, che tengono conto dei sentimenti della società.
La piattaforma polacca di milblog WarNewsPL ha condiviso un filmato su X la scorsa settimana che mostrava le Forze armate ucraine che sventolavano la bandiera Bandera dell'”Esercito insurrezionale ucraino” (UPA) in cima a un veicolo corazzato per il trasporto di personale (APC) polacco. Ciò ha spinto il ministro della Difesa polacco Wladyslaw Kosiniak-Kamysz a postare circa un’ora dopo che si trattava di “una provocazione che non sarebbe dovuta accadere” e a dichiarare che stava organizzando un incontro urgente con l’addetto ucraino a Varsavia “per chiarire la questione”.
Ci sono diverse ragioni per cui questo è così scandaloso. Innanzitutto, l’UPA è considerato un gruppo terroristico in Polonia perché ha preso di mira lo stato e i civili polacchi durante il periodo tra le due guerre, dopo di che ha genocidiato i polacchi in Volinia e Galizia orientale durante la seconda guerra mondiale. In secondo luogo, l’Ucraina si rifiuta ancora oggi di riesumare e seppellire correttamente i resti di quelle vittime del genocidio nonostante abbia già fatto lo stesso per oltre 100.000 soldati della Wehrmacht . E in terzo luogo, la Polonia ha dato più veicoli all’Ucraina di chiunque altro.
Di conseguenza, sventolare la bandiera UPA di Bandera in cima a un APC polacco equivale a sputare in faccia alla Polonia da parte dell’Ucraina. Il pubblico ha pagato per questo veicolo che lo Stato ha donato al suo vicino come parte degli aiuti forniti in solidarietà con la causa di Kiev. L’Ucraina non sarebbe nemmeno in grado di combattere fino ad oggi se non fosse stato per gli aiuti polacchi e la Polonia che ha tacitamente promesso un continuo supporto se Kiev avesse abbandonato i colloqui di pace della primavera del 2022. È quindi così irrispettoso che l’Ucraina sventoli quella bandiera terroristica e genocida in cima a un veicolo polacco.
” La maggior parte dei polacchi ora vuole la pace in Ucraina anche a spese di Kiev “, secondo i risultati di un sondaggio di novembre condotto da un istituto di ricerca finanziato con fondi pubblici, quindi questa ultima provocazione aumenterà prevedibilmente quella maggioranza ancora di più la prossima volta che i polacchi saranno intervistati. Potrebbe anche complicare i piani della coalizione liberal-globalista al potere di fornire più equipaggiamento militare all’Ucraina a credito invece di continuare a regalare il resto delle sue scorte esaurite gratuitamente, poiché l’opinione pubblica si sta rapidamente rivoltando contro Kiev.
Di conseguenza, la già piccola quantità di polacchi che sono a favore del dispiegamento delle loro forze in Ucraina con qualsiasi pretesto (solo il 14% secondo i risultati del sondaggio estivo dell’European Council on Foreign Relations ) probabilmente diminuirà ulteriormente. Questi cambiamenti nel sentimento pubblico potrebbero rendere tale scenario politicamente impossibile almeno fino a dopo le prossime elezioni presidenziali di maggio, poiché la coalizione liberal-globalista al potere potrebbe non osare rischiare di perdere voti a favore dei rivali conservatori-nazionalisti prima di allora.
I polacchi sono già ben consapevoli di ciò che ha scritto poiché è stato ampiamentesegnalatoInloromedia . Ponomarenko ritiene che “la Polonia abbia bisogno di un’Ucraina debole, dove sarà possibile vendere beni polacchi, ottenere manodopera a basso costo da qui e imporre la propria visione del mondo. La sconfitta teorica ucraina nella guerra è percepita da loro non come parte della tesi che ‘la Polonia diventerà la prossima vittima della Russia’, ma come un’opportunità per rimuovere un potenziale concorrente per il ruolo di leader regionale con mani straniere”.
Sono anche consapevoli di come l’attuale leader dell'”Organizzazione dei nazionalisti ucraini” (OUN) Bogdan Chervak abbia minacciosamente avvertito che “i polacchi stanno giocando col fuoco” dopo essere stato innescato da una mappa shitpost della Polonia a fine ottobre. L’UPA era l’ala armata dell’OUN e la combinazione della sua minaccia fortemente implicita che è ancora fresca nella mente dei polacchi insieme all’ingratitudine di Ponomarenko per il sostegno polacco all’Ucraina può accelerare la diffusione del sentimento anti-ucraino più di ogni altra cosa.
Tutto ciò potrebbe spingere la coalizione liberal-globalista al potere ad assumere una posizione ancora più dura nei confronti dell’Ucraina prima delle elezioni presidenziali di maggio, che stanno cercando con tutte le loro forze di vincere. Devono sostituire il presidente conservatore-nazionalista uscente con uno dei loro per impedire ai loro oppositori di porre il veto alla loro legislazione interna volta a trasformare completamente la società polacca. Ecco perché hanno un interesse politico personale nel canalizzare il sentimento pubblico su questo tema nelle loro politiche.
Indipendentemente dal fatto che vincano o meno la presidenza, potrebbero comunque mantenere e forse persino espandere queste politiche più severe per aumentare le loro possibilità elettorali prima delle prossime elezioni parlamentari del 2027. La tendenza emergente è quindi che le relazioni polacco-ucraine potrebbero continuare a peggiorare a causa delle provocazioni dell’Ucraina e delle risposte della Polonia a esse che promulga tenendo a mente i sentimenti della società. L’ultimo scandalo potrebbe quindi contribuire a una nuova e molto più difficile era di relazioni tra loro.
Lo scopo della pubblicazione del loro rapporto è quello di informare l’opinione pubblica occidentale dei presunti piani di Sandu, segnalare che la Russia non è interessata a scatenare un conflitto lì (non importa come possa presentare la sua risposta alle sue potenziali provocazioni in Transnistria) e incoraggiare indirettamente i suoi sostenitori a fermarla.
Il Foreign Intelligence Service (SVR) russo ha avvertito lunedì che la Moldavia potrebbe presto attaccare la Transnistria. Secondo le loro fonti, la neo-eletta (ma controversa) presidentessa Maia Sandu ha parlato in una recente riunione di governo di sfogare la sua rabbia per i piani dell’Ucraina di tagliare il gas russo all’Europa all’inizio dell’anno sulla regione separatista del suo paese, il che potrebbe innescare un conflitto più ampio. Ecco cinque briefing di base per mettere i lettori al corrente del contesto del loro rapporto:
Per riassumere, diverse migliaia di truppe russe si trovano in Transnistria, quindi un’escalation lì potrebbe portare Mosca a rappresaglie dirette contro la Moldavia, rischiando così l’ingresso della Romania, membro della NATO, nel conflitto a sostegno di questo paese vicino che i nazionalisti considerano parte della loro civiltà. Questo scenario è stato nelle carte fin dall’inizio della specialeoperazione , ma non venne attivata per ragioni sulle quali si può solo fare delle ipotesi, forse per il timore della NATO di un’escalation incontrollabile.
In ogni caso, il rapporto di SVR chiarisce che Sandu agirebbe unilateralmente se andasse avanti con quanto riportato, scrivendo che “L’Unione Europea, ovviamente, non sarebbe contraria all’emergere di un nuovo punto di crisi nella zona di interessi diretti della Russia. Ma Bruxelles non è ancora pronta per questo. E il confine dell’UE è vicino, è pericoloso. Ma nessuno può garantire che il presidente moldavo non proverà davvero a scatenare una vera guerra nella regione”.
Gli osservatori dovrebbero anche ricordare cosa è stato scritto all’inizio del loro rapporto su come “Lei si è rifiutata categoricamente di discutere questa questione (di forniture di energia dalla Russia che presto sarebbero state interrotte) con l’Ucraina e ha categoricamente attribuito ogni responsabilità alla Russia. Secondo Sandu, ‘se Mosca non trova un modo per consegnare gas qui, allora Chisinau se la prenderà con la filo-russa Transnistria’”. Indipendentemente dalla veridicità della loro affermazione, questa inquadratura è intesa a dipingerla come una canaglia, vendicativa e irresponsabile.
Questa sembra essere una descrizione accurata, anche se non si può provare che abbia effettivamente detto ciò che hanno scritto. Lo scopo dietro la pubblicazione del loro rapporto è informare il pubblico occidentale dei suoi presunti piani, segnalare che la Russia non è interessata a scatenare un conflitto lì (non importa come Sandu potrebbe rigirare la sua risposta alle sue potenziali provocazioni in Transnistria) e incoraggiare indirettamente i suoi protettori a fermarla. Il problema, però, è che alcuni funzionari occidentali potrebbero volere che lei porti avanti questa aggressione.
I membri più falchi anti-russi delle burocrazie militari, di intelligence e diplomatiche permanenti degli Stati Uniti (“stato profondo”) hanno a lungo praticato le politiche di “militarizzazione del caos” e “escalation per de-escalate”. Anche alcuni dei loro surrogati mediatici sono molto espliciti a questo proposito. È impossibile valutare la loro influenza all’interno dello “stato profondo” a causa dell’opacità di questa oscura rete, ma è noto che a volte ottengono ciò che vogliono.
Ad esempio, armare l’Ucraina fino ai denti e dare il via libera a quella che la Russia sostiene essere l’imminente offensiva di Kiev sul Donbass ha spinto Putin ad autorizzare l’operazione speciale, che alcuni dei loro surrogati mediatici hanno presentato come una “trappola per orsi” pianificata in anticipo. D’altro canto, il noto scenario della Transnistria e quello associato della Bielorussia (di cui i lettori possono saperne di più qui ) non sono ancora stati attivati, confermando così che non sono loro a comandare completamente.
C’è anche la preoccupazione tra alcuni osservatori che questi membri anti-russi ultra-falchi dello “stato profondo” a volte vadano alle spalle dei loro pari nel tentativo di provocare la Russia senza autorizzazione, come alcuni credono abbia spinto Kiev a portare a termine le sue provocazioni più audaci. Altre volte gli osservatori credono che Zelensky o forse anche funzionari militari e dell’intelligence più canaglia intorno a lui potrebbero agire unilateralmente per lo stesso scopo indipendentemente dall’approvazione dei falchi statunitensi.
Queste percezioni sono importanti quando si analizza l’avvertimento di SVR sull’imminente attacco della Moldavia alla Transnistria. Il modo in cui hanno inquadrato tutto suggerisce che questo non è ciò che l’Occidente vuole, ma che Sandu potrebbe comunque farlo per le sue ragioni. Se è questo che sta realmente pianificando, allora dovrebbero frenarla prima che metta in moto una serie di escalation che l’Occidente potrebbe essere impotente a fermare, rischiando così una crisi di rischio calcolato in stile cubano nel peggiore dei casi.
Ciò potrebbe ostacolare i piani di alcuni che vorrebbero che la Polonia inviasse truppe sul posto per mantenere la pace.
L’opinione pubblica in Polonia sulla guerra per procura NATO-Russia in Ucraina è più importante che in qualsiasi altro posto in Occidente a causa del suo ruolo logistico fondamentale nel conflitto. In precedenza, gli agricoltori avevano anche bloccato il confine per protestare contro l’afflusso di grano ucraino a basso costo che aveva devastato il loro mercato interno, quindi esiste un precedente per cittadini arrabbiati che hanno nuovamente complicato il flusso di armi e attrezzature verso quel luogo. È fondamentale tenerlo a mente dopo aver scoperto che la maggior parte dei polacchi ora desidera la pace in Ucraina anche a spese di Kiev.
Il Centre for Public Opinion Research (CBOS), finanziato con fondi pubblici , ha pubblicato i risultati a pagamento del suo ultimo sondaggio su questo argomento, riportati in inglese da Notes From Poland . Hanno scoperto che il 55% dei polacchi a novembre riteneva che fosse meglio “impegnarsi soprattutto per la fine della guerra e il ritorno della pace, anche se l’Ucraina dovesse rinunciare a parte del suo territorio o a parte della sua indipendenza”, rispetto al 39% che sosteneva questa opinione a settembre. Ciò è stato attribuito alla vittoria di Trump e alle recenti perdite dell’Ucraina.
La stessa spiegazione è stata avanzata quando si è tenuto conto del 61% dei polacchi che a novembre credevano che l’Ucraina avrebbe dovuto cedere parte del suo territorio per la pace, rispetto al 44% che la pensava così a settembre. Questi dati sono significativi poiché dimostrano che i polacchi nel loro insieme non credono più che l’Ucraina possa raggiungere i suoi obiettivi massimi, rendendo così estremamente improbabile che cambieranno idea sulla questione dell’invio di truppe polacche lì.
I risultati del sondaggio estivo dell’European Council on Foreign Relations , pubblicati a luglio, hanno mostrato che solo il 14% dei polacchi sosteneva questo scenario all’epoca. Considerando quanto appena scoperto dal CBOS, si può quindi supporre che questa percentuale già triste sia scesa a seguito della vittoria di Trump e delle recenti perdite dell’Ucraina. Ciò a sua volta contestualizza la riluttanza del governo polacco a contribuire alla missione di mantenimento della pace post-conflitto di cui si sta ora discutendo .
Ecco dieci briefing di approfondimento che i lettori possono consultare per saperne di più sui calcoli della Polonia:
Di seguito verranno riassunti per agevolare il lettore nel caso in cui non abbia il tempo di leggerli tutti.
La Polonia pensava di poter trasformare l’Ucraina nel suo partner minore per tutto il corso del conflitto, infliggendo una sconfitta strategica alla Russia e diventando così il principale alleato degli Stati Uniti. Niente di tutto ciò si è verificato dopo che l’Ucraina ha invertito le dinamiche della loro relazione alleandosi di piùconGermania , Russia sopravvissero alla guerra per procura senza precedenti dell’Occidente e agli attacchi delle sanzioni, e gli USA diedero priorità ai legami con Germania e Ucraina rispetto a quelli con la Polonia. Tutto ciò portò la Polonia a ricalcolare i suoi piani strategici.
Le elezioni presidenziali del prossimo maggio incidono pesantemente su tutto ciò che fa fino ad allora. I liberal-globalisti al potere vogliono sostituire il presidente conservatore-nazionalista uscente con uno dei loro, il che permetterebbe loro di attuare radicali cambiamenti ideologici in Polonia impedendo i veti presidenziali. Allo stesso modo, l’opposizione vuole mantenere il controllo della presidenza per ostacolare i piani dei rivali, ed entrambi stanno ora canalizzando l’opinione pubblica sostenendo politiche più severe nei confronti dell’Ucraina.
Di conseguenza, non c’è praticamente alcuna possibilità che una delle due parti sostenga l’invio di truppe polacche in Ucraina, anche come peacekeeper dopo un cessate il fuoco, un armistizio o un trattato di pace, almeno fino a dopo le elezioni, poiché perderebbero molti voti se lo facessero, il che rovinerebbe i rispettivi piani nazionali. Anche dopo le elezioni, tuttavia, ciascuna si sposterà in vista delle elezioni parlamentari dell’autunno 2027. Questa tempistica riduce ulteriormente la possibilità che una delle due rischi l’ira pubblica sostenendo questo scenario.
Nel caso in cui le truppe venissero inviate in Ucraina, ciò sarebbe possibile solo con l’approvazione del Presidente, dopo aver ricevuto una richiesta dal Primo Ministro, quindi o entrambe le parti verrebbero incolpate se i ruoli rimanessero divisi o ricadrebbe interamente sui liberal-globalisti se conquistassero la presidenza. Lo stesso vale se all’esercito venisse ordinato di rompere qualsiasi blocco di confine protestando con i polacchi. Gli imperativi interni descritti in questa analisi potrebbero quindi rendere ciò politicamente impossibile da realizzare.
Purtroppo, alcuni ebrei israeliani credono che esista una gerarchia di vittimismo al cui vertice si trovi il loro gruppo etnico-nazionale e religioso, ed è per questo che incolpano disonestamente i polacchi dell’Olocausto, per sostenere questa falsa percezione che alcuni hanno sfruttato per rivendicare privilegi socio-culturali e politici.
Il famoso attivista israeliano Arsen Ostrovsky, che è anche un ricercatore senior presso il Misgav Institute for National Security and Zionist Strategy , ha provocato uno scandalo in Polonia. Venerdì ha twittato di “quanto sia triste” che Varsavia arresterà Netanyahu in base al suo impegno legale internazionale nei confronti della CPI se si recherà ad Auschwitz per partecipare all’evento dell’80 ° anniversario della liberazione il mese prossimo. Ostrovsky ha poi aggiunto alla fine del suo post che “Forse la Polonia non ha imparato appieno le lezioni dell’Olocausto, o la propria responsabilità…”
Fu quest’ultima parte a spingere i polacchi a verificarne i fatti, poiché il loro gruppo etno-nazionale era l’unica popolazione occupata che i nazisti minacciarono di giustiziare per aver aiutato gli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Molti furono assassinati per questo atto di carità che avevano compiuto in solidarietà con i loro concittadini ebrei. Lo Stato sotterraneo polacco aveva persino un intero gruppo, Zegota , dedicato a salvare gli ebrei. Nonostante ciò, alcuni polacchi collaborarono ancora con i nazisti, ma lo storico Edward Reid dimostrò che si trattava solo dello 0,1% di loro .
Lì sta il nocciolo della questione, poiché questa percentuale statisticamente insignificante di quel gruppo etnico-nazionale è stata maliziosamente travisata da alcuni ebrei israeliani per dare collettivamente la colpa dell’Olocausto a tutti i polacchi. L’ex presidente israeliano Reuven Rivlin una volta si è persino vantato con i media locali di aver detto al suo omologo polacco Andrzej Duda che “bisogna imparare cosa è successo in passato. Dire che non è successo niente e che siamo stati entrambi vittime non è corretto”. Questo è un revisionismo storico fattualmente falso.
I polacchi furono le prime vittime dei genocidi nazisti, non gli ebrei, e furono presi di mira per lo sterminio fin dal primo giorno dell’invasione, dopo che i nazisti avevano già stilato una lista di oltre 60.000 polacchi (il ” Libro speciale dell’accusa – Polonia “) da uccidere tramite ” Operazione Tannenbaum “. Ciò faceva parte di quella che è nota come ” Intelligenzaktion “. Infatti, i primi prigionieri del famigerato campo di sterminio nazista di Auschwitz erano polacchi dissidenti. In confronto, gli ebrei non furono presi di mira per lo sterminio fino alla metà del 1941.
Una volta che ciò accadde, costituirono circa la metà dei circa 6 milioni di cittadini polacchi che furono genocidiati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, il che dovrebbe unire polacchi ed ebrei attraverso le loro sofferenze. Purtroppo, alcuni ebrei israeliani credono che esista una gerarchia di vittimismo in cima alla quale si trova il loro gruppo etnico-nazionale e religioso, motivo per cui incolpano disonestamente i polacchi per l’Olocausto, al fine di sostenere questa falsa percezione che alcuni hanno sfruttato per richiedere privilegi socio-culturali e politici.
Ciò non solo imbianca la responsabilità dei nazisti per l’Olocausto, ma suggerisce anche che i precedenti genocidi contro gli ebrei da parte degli ucraini durante la ribellione di Khmelnitsky e la Koliszczyzna furono giustificati sullo stesso falso standard di colpa e punizione collettiva. Chabad stima che il primo abbia genocidiato circa 600.000 ebrei e distrutto 300 delle loro comunità in quello che può essere descritto come un proto-Olocausto, mentre il secondo è tristemente famoso per il massacro di Uman in cui furono uccisi migliaia di ebrei.
Tutti gli ebrei furono presi di mira da quei genocidiari ucraini perché alcuni di loro erano stati degli affittuari molto brutali (” arendators “) durante il periodo del Commonwealth che approfittavano pienamente della gente del posto. È difficile stimare la percentuale di ebrei che si sono impegnati in tali atti, ma era probabilmente uguale o superiore allo 0,1% dei polacchi che collaborarono con i nazisti durante la seconda guerra mondiale. Anche i polacchi locali furono vittime di questi brutali affittuari, ma la maggior parte dei polacchi oggigiorno non incolpa collettivamente tutti gli ebrei.
Non incolpano neanche tutti gli ebrei per il fatto che alcuni di loro abbiano accolto i bolscevichi nel 1920, i sovietici nel 1939 e poi siano tornati in Polonia sui carri armati sovietici nel 1944 per imporre un impopolare regime comunista in cui gli ebrei erano rappresentati in modo sproporzionato nella sua polizia segreta durante i suoi primi anni più brutali . È quindi altamente immorale per alcuni ebrei israeliani incolpare tutti i polacchi per l’Olocausto a cui ha partecipato una percentuale altrettanto insignificante. Questo doppio standard rischia persino di alimentare l’antisemitismo tra i polacchi.
Ostrovsky è l’ultimo ebreo israeliano a impegnarsi in questo vile revisionismo per sostenere false percezioni su una gerarchia di vittimismo in cima alla quale siede il loro gruppo etnico-nazionale e religioso con tutti i privilegi socio-culturali e politici che ne esigono. I suoi compatrioti, co-etnici e correligionari dovrebbero condannare questo perché imbianca inconsapevolmente i nazisti e giustifica i precedenti genocidi degli ebrei da parte degli ucraini sullo stesso falso standard di colpa e punizione collettiva.
MAGA 2.0 è destinato a essere più assertivo dal punto di vista geopolitico rispetto a MAGA 1.0.
Trump ha minacciato che gli USA potrebbero riprendere il controllo del Canale di Panama se rimanesse sotto la gestione parziale indiretta cinese e continuasse a far pagare agli USA quelle che ha descritto come tariffe esorbitanti per il passaggio. Poi ha pubblicato poco dopo: “Ai fini della sicurezza nazionale e della libertà in tutto il mondo, gli Stati Uniti d’America ritengono che la proprietà e il controllo della Groenlandia siano una necessità assoluta”. Entrambi sono suoi se li vuole davvero, ma non è chiaro se lo voglia.
Per quanto riguarda il Canale di Panama, l’imperativo immediato di Trump sembra essere quello di ridimensionare l’influenza cinese su questa cruciale via d’acqua, che apparentemente teme possa essere sfruttata dalla Repubblica Popolare per tagliare fuori gli Stati Uniti dalle spedizioni transoceaniche in caso di crisi su Taiwan. Potrebbe anche voler costringere Panama a chiudere le rotte dei migranti illegali verso gli Stati Uniti attraverso il Darien Gap. Entrambe sono ragionevoli dal punto di vista della sua visione del mondo MAGA che mira a ripristinare l’egemonia unipolare degli Stati Uniti.
I suoi obiettivi in Groenlandia potrebbero essere simili nel senso di garantire che le aziende cinesi non ottengano un monopolio sulle riserve minerarie critiche di quell’isola, nonché di impedire la costruzione di “infrastrutture a duplice uso” che potrebbero un giorno dare a Pechino vantaggi militari e di intelligence. Il controllo diretto sulla Groenlandia scarsamente popolata e praticamente indifesa, che formalmente rimane parte della Danimarca, è visto come il mezzo più efficace per raggiungere tale scopo.
La minaccia di Trump al Canale di Panama e la sua rivendicazione della Groenlandia sono probabilmente anche pensate per fare leva sulle aspettative dei suoi sostenitori che “renderà l’America di nuovo grande” in un modo geopolitico visibile. Anche se non imponesse il controllo formale degli Stati Uniti su di loro, espellere l’influenza cinese da entrambi e sostituirla con l’influenza economica degli Stati Uniti potrebbe essere sufficiente a soddisfarli. Ciò potrebbe anche consolidare la sua eredità e gettare le basi per il suo successore, che probabilmente sarebbe JD Vance , per stabilire un controllo formale in seguito.
Entrambe sono a disposizione di Trump se le vuole davvero, dato che nessuna delle due potrebbe opporsi in modo significativo all’esercito statunitense se autorizzasse un’invasione. Sarebbero operazioni a basso costo con alti ritorni economici e politici, anche se si svolgessero a spese della reputazione internazionale degli Stati Uniti. La comunità globale le denuncerebbe prevedibilmente come invasioni imperialiste, ma nessuno ostacolerebbe gli Stati Uniti né le sanzionerebbe in seguito. Il massimo che potrebbe seguire è una dura retorica, niente di più sostanziale.
Trump vuole rimodellare l'”ordine basato sulle regole” a vantaggio degli Stati Uniti dopo che la Cina ha magistralmente utilizzato le regole del precedente sistema contro l’Occidente per dare una spinta alla sua traiettoria di superpotenza. Pertanto, utilizzerà esplicitamente doppi standard per respingere la Repubblica Popolare nel tentativo di costruire quella che può essere descritta come “Fortezza America”. Ciò si riferisce alla reimposizione dell’egemonia degli Stati Uniti sull’intero emisfero occidentale in seguito all’espulsione dell’influenza cinese e russa da lì.
Resta da vedere su quali metodi Trump farà affidamento per riaffermare l’influenza degli Stati Uniti sul Canale di Panama e sulla Groenlandia, ma non si possono escludere mezzi militari data la facilità con cui può usarli per raggiungere questi obiettivi, se necessario. È disposto ad accettare i costi per la reputazione internazionale degli Stati Uniti, poiché preferirebbe che il suo paese fosse temuto più che amato in ogni caso. A giudicare dalle osservazioni di Trump su queste due questioni, MAGA 2.0 è pronto a essere più assertivo geopoliticamente di MAGA 1.0.
Lo scopo è quello di creare un falso precedente che possa poi essere sfruttato per scoraggiare altri paesi dal fare affari con Rosatom, sostenendo che ciò metterebbe in dubbio l’impegno di quel governo nei confronti delle pratiche anticorruzione.
Il nuovo accordo di governo del Bangladesh sostenuto dagli Stati Uniti ha avviato un’indagine sulla corruzione nella centrale nucleare di Rooppur (RNPP) costruita in Russia, sulla base del fatto che l’ex Primo Ministro Sheikh Hasina e i suoi parenti avrebbero sottratto 5 miliardi di $ da questo progetto da 12,65 miliardi di $ finanziato al 90% da prestiti russi. La Rosatom ha immediatamente negato queste accuse e ha affermato che sono solo un mezzo per screditare il principale investimento della Russia in Bangladesh. Ecco la loro dichiarazione completa come riportato da TASS :
“Rosatom si impegna a seguire una politica di apertura e il principio di lotta alla corruzione in tutti i suoi progetti e mantiene un sistema di approvvigionamento trasparente. Le revisioni contabili esterne confermano regolarmente l’apertura dei processi aziendali del progetto. Rosatom State Corporation è pronta a difendere i propri interessi e la propria reputazione in tribunale. Consideriamo le false dichiarazioni sui media come un tentativo di screditare il progetto Rooppur NPP, che viene implementato per risolvere i problemi di approvvigionamento energetico del paese e mira a migliorare il benessere della popolazione del Bangladesh”.
Questa analisi dell’estate su come ” L’Occidente non può competere con la ‘diplomazia nucleare’ della Russia “, scritta in risposta all’attacco del Financial Times all’epoca contro la RNPP, spiega più in dettaglio come la Rosatom rafforza i suoi paesi partner attraverso termini preferenziali. Le ultime accuse di corruzione sono quindi effettivamente intese a screditare questo progetto, ma c’è molto di più che verrà ora toccato in questa analisi.
Il nuovo assetto di governo in Bangladesh ha preso il potere con il sostegno degli Stati Uniti orchestrando una Rivoluzione colorata che si è trasformata brevemente in una serie di atti di terrorismo urbano prima di rovesciare il governo. Di conseguenza, è in debito con il suo patrono e incapace di prendere decisioni importanti senza la sua approvazione. Questa ultima politica di indagine su presunte tangenti collegate al RNPP è semplicemente uno stratagemma per raggiungere diversi obiettivi contemporaneamente.
Questi stanno screditando Hasina; screditando la Russia; probabilmente infliggendo gravi danni finanziari ai suddetti se il nuovo accordo di governo si rifiutasse di rimborsare la maggior parte del prestito del Bangladesh con questo pretesto; screditando Rosatom; e dando così agli Stati Uniti un vantaggio ingiusto nella loro competizione NPP con la Russia. Questa falsa indagine è già sfruttata dai media occidentali per travisare la Russia e la sua compagnia statale NPP come corrotte, il che va a vantaggio dei loro concorrenti americani e di altri paesi occidentali.
Lo scopo è creare un falso precedente che può poi essere trasformato in un’arma per spaventare altri paesi dal fare affari con Rosatom, sulla base del fatto che ciò getterebbe discredito sull’impegno di quel governo verso le pratiche anti-corruzione. Coloro che vogliono costruire centrali nucleari saranno quindi spinti a considerare contratti occidentali più costosi con termini peggiori, per evitare la copertura occidentale negativa che accompagnerebbe la scelta di Rosatom.
Ogni governo che deciderà ancora di fare affari con Rosatom anziché con i suoi concorrenti occidentali dovrà quindi prepararsi a un’intensa campagna di guerra informativa occidentale che riceverà falsa credibilità dal coinvolgimento di “ONG” finanziate dall’Occidente all’interno della loro società. Cercheranno di ingannare la gente comune sull’integrità del governo ricordando loro il falso precedente RNPP per far credere alla gente che anche i loro leader stanno complottando per sottrarre miliardi dal loro accordo finanziato pubblicamente con la Russia.
Potrebbe seguire un basso livello di agitazione che potrebbe poi essere ridimensionato in modo appropriato a seconda della risposta delle autorità, ad esempio se ricorressero a misure di forza per ripristinare il controllo nel caso in cui scoppiasse una rivolta. Ciò non significa che una Rivoluzione Colorata seguirà immediatamente la conclusione di un accordo con Rosatom, ma solo che qualsiasi governo decida ancora di fare affari con loro vedrà la propria reputazione messa in discussione attraverso questi mezzi e questo potrebbe quindi alimentare ulteriori disordini in un secondo momento.
Il nuovo accordo di governo del Bangladesh non dovrebbe andare d’accordo con i giochi dei loro mecenati americani, poiché il paese ha davvero bisogno dell’energia accessibile che verrà generata dal RNPP. Mettere a repentaglio il futuro di questo progetto strategico come favore per essere messi al potere è senza dubbio un tradimento, poiché va contro gli obiettivi interessi nazionali del loro paese per il bene di quelli stranieri. Speriamo che si rendano conto del danno che stanno infliggendo al Bangladesh e riconsiderino questa indagine politicizzata.
La demagogia tossica del nuovo assetto di governo sostenuto dagli Stati Uniti potrebbe presto portare l’India a percepire il Bangladesh come una minaccia.
Le relazioni indo-bangladesi continuano a peggiorare dopo il cambio di regime sostenuto dagli Stati Uniti in estate , dopo che Mahfuj Alam, l’assistente speciale del consigliere capo e leader de facto del Bangladesh Muhammad Yunus, ha condiviso una mappa provocatoria su X che avanzava rivendicazioni territoriali sugli stati indiani circostanti. Ciò ha spinto l’India a registrare una forte protesta, anche se il post è stato poi cancellato. Non c’è più alcun dubbio che il nuovo assetto di governo a Dhaka sia ultra-nazionalista e nutra un profondo odio per l’India.
L’India nord-orientale è salita all’attenzione internazionale a metà del 2023 dopo la breve violenza etno-religiosa scoppiata nel suo stato di confine di Manipur tra i Meiteis indù locali e i discendenti dei Kuki cristiani immigrati dal Myanmar e accusati di aver partecipato al traffico di droga regionale . Il Bangladesh era solito sostenere la violenza separatista e il terrorismo identitario nella regione prima che l’ex leader Sheikh Hasina salisse al potere, da qui le preoccupazioni dell’India che potrebbe tornare ai suoi vecchi modi.
Alam lo sa, come tutti quelli che vivono in questa parte dell’Asia meridionale, eppure ha comunque condiviso la sua mappa provocatoria. Non è chiaro quale fosse la sua motivazione, ma ha sicuramente peggiorato il dilemma di sicurezza tra loro emerso dopo la cacciata di Hasina sostenuta dall’estero diversi mesi fa. L’India considerava le Maldive lo stato più anti-indiano della regione dopo il Pakistan dopo che un demagogo aveva vinto la presidenza alla fine dell’anno scorso, ma ora il Bangladesh ha sostituito il suo ruolo dopo che Delhi e Male hanno recentemente sistemato i loro problemi .
Le implicazioni di questo sviluppo sono enormi. A differenza delle Maldive, il Bangladesh potrebbe rappresentare una seria minaccia per la sicurezza dell’India se tornasse a sostenere la violenza separatista e il terrorismo identitario negli stati del Nord-Est. Inoltre, questo potrebbe essere clandestinamente sostenuto da Cina, Pakistan e/o persino dagli Stati Uniti, tutti e tre con i loro seri problemi con l’India. Qualsiasi movimento in questa direzione potrebbe avere conseguenze economiche reciprocamente svantaggiose, data la loro complessa interdipendenza.
È ovviamente anche possibile che Alam abbia condiviso quella mappa provocatoria come parte di uno stratagemma per radunare la popolazione dietro il suo nuovo assetto di governo su base ultra-nazionalista e che le autorità non abbiano intenzione di mantenere le rivendicazioni territoriali che ha spinto in quel ruolo attraverso i mezzi suddetti. Potrebbe anche aver pensato di aver scatenato una guerra psicologica contro l’India allo scopo di estorcerle concessioni economiche e forse anche politiche, ma questo ovviamente si è ritorto contro se così fosse stato.
Il Bangladesh dovrebbe seguire le orme delle Maldive, risolvendo i suoi problemi con l’India il prima possibile, per evitare che il dilemma di sicurezza di quei due rischi di sfuggire al controllo con conseguenze incerte. Non c’è motivo per cui il Bangladesh debba pugnalare alle spalle il suo alleato storico, l’India, che è stata responsabile dell’aiuto che ha ricevuto per ottenere l’indipendenza, avanzando rivendicazioni informali sul suo territorio universalmente riconosciuto. La demagogia tossica del nuovo accordo di governo sostenuto dagli Stati Uniti potrebbe presto portare l’India a percepire il Bangladesh come una minaccia.
Non ha bisogno di questa tecnologia per garantire i suoi interessi di sicurezza nazionale nei confronti dell’India, quindi o intende vendere questi missili ad altri, minacciare un giorno gli Stati Uniti, oppure scommette di poter negoziare la fine di questo programma in cambio di molti più aiuti militari convenzionali da parte degli Stati Uniti.
Il Pakistan ha denunciato le sanzioni degli Stati Uniti sul suo programma di missili balistici come ” discriminatorie ” dopo che sono state imposte restrizioni ad alcune delle sue aziende e persino a un’agenzia statale sulla base del fatto che la loro ricerca sulle armi a lungo raggio è “una minaccia emergente per gli Stati Uniti” poiché questi missili potrebbero un giorno raggiungere il suolo americano. Il Pakistan è il tradizionale partner regionale degli Stati Uniti il cui precedente governo multipolare ha contribuito a rovesciare tramite un postmodernocolpo di stato nell’aprile 2022, quindi questa è una sorpresa.
L’unica seria minaccia militare che il Pakistan deve affrontare e che il suo programma missilistico è progettato per scoraggiare è l’India. I suoi missili a corto e medio raggio esistenti sono più che sufficienti a tale scopo, tuttavia, sollevando così domande sul perché stia ricercando quelli a lungo raggio che possono eventualmente raggiungere l’emisfero occidentale. Data la sua storia di proliferazione nucleare e missilistica, è possibile che il Pakistan abbia in programma di vendere questa tecnologia, ma non è chiaro chi ne sarebbe il destinatario.
La Corea del Nord ha già capacità missilistiche a lungo raggio, mentre gli alleati sauditi e turchi del Pakistan non ne hanno bisogno, sebbene l’Iran potrebbe essere interessato, ma solo se si verificasse un riavvicinamento significativo tra loro. In ognuno di questi casi, il Pakistan saprebbe che condividere questa tecnologia con loro rovinerebbe all’istante i suoi rapporti con gli Stati Uniti, proprio come sapeva che continuare a svilupparla avrebbe inevitabilmente portato a una pressione pubblica americana su di esso.
È quindi sorprendente che il Pakistan abbia rifiutato di limitare questo programma anche dopo che gli Stati Uniti lo avevano discretamente avvisato in merito. Di sicuro, il Pakistan ha il diritto sovrano di ricercare qualsiasi tecnologia ritenga necessaria per garantire la sua sicurezza nazionale, ma i missili a lungo raggio non sono richiesti per questo, come è stato spiegato. Quindi non ha bisogno di queste capacità, il che getta sospetti sulle sue intenzioni, ergo perché gli Stati Uniti hanno deciso di sanzionare il Pakistan e di attirare l’attenzione globale su questo problema.
Se il Pakistan rimane imperturbabile e continua a sviluppare questa tecnologia, allora i suoi legami politici con gli Stati Uniti ne soffriranno, il che potrebbe portare l’America a tirare le fila del FMI per subordinare i futuri pacchetti di aiuti alla fine di questo programma da parte del Pakistan. Il “fratello di ferro” del Pakistan, la Cina, non sta più investendo nel corridoio economico Cina-Pakistan, fiore all’occhiello della Belt & Road Initiative, allo stesso livello di prima a causa di una nuovaterroristminacce che hanno preso di mira sempre più i suoi cittadini, quindi è improbabile che sia lui a pagare il conto.
La Russia, con cui il Pakistan sta coltivando relazioni economiche strategiche , non può aiutare neanche lei, poiché è concentrata sulla sopravvivenza alle peggiori sanzioni della storia, mentre gli Stati del Golfo probabilmente non vorranno mettersi dalla parte sbagliata di Trump fornendo un sostegno finanziario che può essere interpretato come tacita approvazione di questo programma sanzionato. Il Pakistan, quindi, potrebbe non averci pensato del tutto, poiché un sollievo economico-finanziario probabilmente non arriverà se gli Stati Uniti lo puniranno per aver sviluppato queste tecnologie missilistiche a lungo raggio.
Potrebbe essere che la leadership militare del Pakistan speri di negoziare la fine di questo programma come parte di un accordo con gli Stati Uniti per un aiuto militare molto più convenzionale in cambio, sperando che ciò possa poi provocare più problemi nei legami indo-americani e quindi alla fine funzionare a vantaggio del Pakistan del dividi et impera. Questa sarebbe una scommessa rischiosa, tuttavia, poiché gli Stati Uniti potrebbero non voler creare problemi inconciliabili con l’India nonostante la recente pressione crescente su di essa come punizione per la politica estera indipendente di quel paese .
A quanto pare, il Pakistan ha effettivamente secondi fini per sviluppare la tecnologia missilistica a lungo raggio, anche se si può solo ipotizzare se intenda venderla ad altri, minacciare un giorno gli Stati Uniti o se faccia parte di uno stratagemma per negoziare aiuti militari molto più convenzionali dall’America. In ogni caso, è stata una sorpresa e potrebbe portare a conseguenze imprevedibili, con lo scenario peggiore che potrebbe emergere un dilemma di sicurezza tra esso e gli Stati Uniti che porti il Pakistan a essere considerato un nemico.
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Bentornati a tutti, spero che tutti si siano goduti il Natale, chiunque lo abbia festeggiato. Durante i cicli di notizie lente tornerò all’edizione “medley” che non sarà tematica, ma piuttosto coprirà alcuni argomenti disparati in via di sviluppo. Questo è un ciclo di questo tipo, quindi, senza ulteriori indugi, alcuni dei principali sviluppi:
Bilderberg
Uno dei temi ricorrenti qui è stata la lenta ristrutturazione globale che si è verificata con la rinascita dei movimenti di destra/conservatori/tradizionalisti e il crollo del globalismo neoliberista.
Un altro tema ricorrente è stato il revolving-doorism, di cui ho parlato nell’ultimo pezzo, della coorte globalista che vede il costante riciclo delle stesse poche figure devote all'”establishment” attraverso una serie di posizioni burocratiche non elette all’interno delle strutture di potere del super-Stato globalista. Se ci si pensa bene, è incredibile come i burattinai facciano semplicemente ruotare i loro factotum stantii e marci da una posizione all’altra, proprio quando il burattino si esaurisce. Una volta che hanno accumulato una quantità irreversibile di malcontento pubblico, vengono semplicemente spediti al nuovo posto o alla nuova carica, ruotando intorno alla scacchiera come pedine degli scacchi, in questo caso.
Abbiamo visto Mario Draghi passare da presidente della Banca Centrale Europea (BCE) a primo ministro italiano; più recentemente Kaja Kallas da primo ministro dell’Estonia a luogotenente destro della von der Leyen come vicepresidente della Commissione europea; ora l’ex primo ministro norvegese Jens Stoltenberg, che è stato ruotato nella posizione di segretario generale della NATO, è stato nuovamente riciclato dai suoi controllori nella leadership del Bilderberg:
L’aspetto più sinistro di questa nomina è l’implicazione, data negli articoli precedenti, che Stoltenberg sia stato scelto specificamente per la sua “esperienza” e la sua leadership sulla situazione Ucraina-Russia, che potrebbe segnalare la principale area di attenzione che la cabala Bilderberger avrà nei prossimi anni:
Ora è in atto un importante cambiamento di potere: Stoltenberg, che ha partecipato al suo primo vertice Bilderberg nel 2002, è stato scelto per la sua esperienza nella strategia transatlantica.
Questo avviene mentre Trump, i cui frequenti attacchi alla NATO hanno scatenato l’indignazione dell’Europa, sale ancora una volta allo Studio Ovale. Il presidente eletto ha ribadito che non spenderà più miliardi di denaro dei contribuenti americani per finanziare le guerre di altri Paesi.
In breve: il clan vede sgretolarsi la solidarietà europea, con le potenze europee ora impantanate in una crisi politica dopo l’altra – ieri ho annunciato l’ascesa di Alice Weidel dell’AfD come nuova favorita per il posto di cancelliere di Scholz nei nuovi sondaggi. Oggi, il partito di Nigel Farage ha superato il Partito Conservatore al secondo posto in tutto il Regno Unito:
Il partito politico britannico di destra Reform UK, guidato da Nigel Farage, è ora ufficialmente il secondo partito del Regno Unito per numero di iscritti, con circa 132.000 membri.
Il partito conservatore di centro-destra è attualmente a 131.000 membri e in calo, mentre il partito laburista di centro-sinistra rimane il più grande, con oltre 366.000 membri.
Le élite al potere sono in crisi e Stoltenberg – nonostante la sua evidente mancanza di intelligenza, arguzia o grazia sociale di qualsiasi tipo – è stato apparentemente ritenuto fanaticamente devoto alla causa tanto da qualificarsi per questo ruolo amministrativo di primo piano, forse come una sorta di mandriano.
L’articolo del DailyMail fa un interessante accenno alla rilevanza dell’Ucraina per il gruppo Bilderberg, visti gli altri membri di rilievo:
L’amministratore delegato di [Palantir] Alex Karp, che fa anche parte del comitato direttivo del Bilderberg, ha recentemente sottolineato l’impatto di Palantir, affermando che l’azienda è stata “responsabile della maggior parte degli obiettivi in Ucraina”.
Questo legame diretto con la guerra moderna esemplifica come l’impero tecnologico di Thiel si allinei con gli interessi del Bilderberg in materia di sicurezza e investimenti militari.
[Il mandato di Stoltenberg come capo della NATO è stato dominato dal conflitto Russia-Ucraina e dalla crescente espansione della NATO, rendendolo una scelta naturale per guidare le discussioni del Bilderberg sulla difesa transatlantica.
Qualche mese fa il FT ha riportato come le aziende di difesa globali stiano assistendo alla più grande frenesia di profitto “dai tempi della Guerra Fredda”:
La domanda di lavoratori dell’industria della difesa in Occidente sale ai livelli della Guerra Fredda.Secondo il FinancialTimes, la spesa militare globale ha raggiunto la cifra record di 2,443 trilioni di dollari.
Tre dei maggiori appaltatori statunitensi – Lockheed Martin, Northrop Grumman e General Dynamics – hanno quasi 6.000 posti di lavoro da coprire, mentre 10 aziende intervistate stanno cercando di aumentare le posizioni di quasi 37.000 in totale, ovvero quasi il 10% della loro forza lavoro complessiva.
Questo aggiunge un contesto affascinante alla storia del Bilderberg, soprattutto se si considera che Alex Karp, CEO di Palantir, e Peter Thiel sono entrambi membri di spicco del Bilderberg. Ora, con l’assunzione di Stoltenberg, possiamo vedere ancora una volta i contorni della struttura dello Stato profondo globale: si tratta di pezzi grossi legati all’esercito e all’intelligence che presiedono sindacati segreti a cui partecipano tutti i principali leader politici e commerciali del mondo. Come si può facilmente immaginare, i tamburi di guerra vengono battuti con forza e le “gravi minacce” vengono messe in scena per mantenere il treno dei guadagni nel ciclo infinito del complesso finanziario-militare-industriale.
La leadership di Stoltenberg, unita all’influenza smisurata di Thiel, indica un Gruppo Bilderberg sempre più intrecciato con l’innovazione militare e la strategia politica.
Il Guardian osserva che Stoltenberg assumerà anche la presidenza dell’influente Conferenza sulla sicurezza di Monaco e che, affiancato al vertice dal “collega veterano del Bilderberg” Mark Rutte – un’altra marionetta riciclata che è stata primo ministro olandese – “segna una concentrazione del controllo ai vertici dell’alleanza atlantica in un momento critico”.
È interessante notare che anche Fareed Zakaria della CNN è stato nominato nel comitato direttivo del Bilderberg, evidenziando ancora una volta il nesso tra potere militare, industriale e mediatico concentrato in cabale segrete per dirigere gli eventi mondiali:
Ma l’arrivo di Stoltenberg potrebbe segnare un cambiamento: si tratta di una nomina di grande rilievo e segue la recente elezione dell’intervistatore di alto profilo della CNN Fareed Zakaria al comitato direttivo del gruppo, forse segnalando un’uscita dall’ombra per il gruppo, che non ha bisogno di pubblicità.
Siria-Turchia-Israele
Mentre la riforma della Siria prende forma, le opinioni continuano ad essere varie per quanto riguarda chi ne beneficia di più e chi è al posto di comando. Lo stesso Lavrov ha recentemente osservato che Israele sarà il principale beneficiario, e molti sono d’accordo con questa prospettiva.
Ma io continuo a sostenere che questo è solo un fenomeno di breve durata. Il vincitore finale è la rinascita dell’Impero Ottomano.
Jolani è sempre più amico di alti funzionari turchi: l’ultima volta è stato il capo del MIT di Erdogan, la principale agenzia di intelligence turca. Questa volta Jolani ha ospitato il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, che in passato è stato anche direttore del MIT. Jolani ha anche accompagnato Fidan in giro per Damasco e i due hanno ammirato le bellezze del luogo, sorseggiando insieme un caffè dalla cima del Monte Qasioun che domina la capitale:
E questo avviene in mezzo a notizie secondo cui la Turchia stabilirà la sua presenza nelle accademie militari di Aleppo e Damasco:
La Turchia invierà consiglieri militari per addestrare il nuovo esercito siriano nelle accademie di Aleppo e Damasco, scrive la risorsa turca ClashReport, citando le sue fonti.
Si parla anche del possibile dispiegamento di un’unità dell’esercito turco a Homs per addestrare operatori di difesa aerea per le nuove autorità siriane.
Come se non bastasse, il figlio di Erdogan, Bilal, è stato visto in un video che invita a un grande raduno pro-Palestina sul ponte di Galata a Istanbul per il 1° gennaio, proprio come hanno fatto lo scorso Capodanno, da cui è tratto il filmato. Ma il grande cambiamento sta nel fatto che si riuniscono sotto la bandiera di un nuovo interessante slogan:
“Ieri Santa Sofia, oggi la Moschea degli Omayyadi (Damasco), domani Al-Aqsa (Gerusalemme)”.
Questo sembra essere il manifesto ufficiale dell’evento, con lo slogan stampato anche sopra:
Come si può vedere, si sta lentamente creando un fervore nazionalista per la riconquista di Gerusalemme. Israele è ora alle prese con un membro della NATO seriamente armato e notoriamente tenace, che mira a una moderna riconquista delle sue antiche terre. Per come stanno andando le cose, la Turchia potrebbe presto controllare per procura praticamente tutto ciò che accade in Siria e Israele si troverà ad affrontare la sua più grande sfida di sempre direttamente alle porte di casa.
Con gli Stati Uniti che sostengono Israele, potrei prevedere che la Turchia sarà costretta a stringere legami più stretti con la Russia e forse anche con l’Iran, per circondare Israele e tenerlo sotto pressione. La Russia è già pronta a firmare il grande partenariato strategico globale con l’Iran il 17 gennaio, proprio come ha fatto di recente con la Corea del Nord:
Russia e Iran potrebbero firmare un nuovo accordo di partenariato strategico prima dell’insediamento di Trump – Newsweek
Secondo la pubblicazione, il nuovo accordo tra Teheran e Mosca indica un tentativo dei due Paesi di “unire le forze” in un contesto di “isolamento sulla scena mondiale”.
Newsweek osserva che l’accordo con l’Iran era in cantiere da molti anni. A fine ottobre, il ministro degli Esteri russo S. Lavrov ha dichiarato che l’accordo sarà pronto per la firma nel prossimo futuro e “formalizza l’impegno delle parti a una stretta cooperazione in materia di difesa, all’interazione nell’interesse della pace e della sicurezza regionale e globale”.
Il nuovo accordo bilaterale dovrebbe sostituire l’accordo strategico ventennale firmato tra i Paesi nel 2001 e prorogato nel 2020. Conterrà promesse di cooperazione nei settori dell’energia, della produzione, dei trasporti e dell’agricoltura. – RVvoenkor
Il presidente Pezeshkian si recherà a Mosca per firmarlo personalmente in quella data.
Israele ora si affanna per indebolire il più possibile l’Iran, colpendo brutalmente lo Yemen negli ultimi giorni e pregando Trump di dare la sua benedizione per colpire gli impianti nucleari iraniani al suo arrivo. Ma credo che Israele si stia concentrando sull’avversario sbagliato e abbia di fatto scambiato un nemico con uno molto più potente.
Ucraina
Ieri la Russia ha scatenato un’altra serie di attacchi alle infrastrutture energetiche, colpendo con successo una miriade di obiettivi, secondo quanto riportato:
I missili contro il sistema energetico ucraino hanno colpito tre centrali idroelettriche sul Dnepr: a Dneprodzerzhinsk, Svetlovodsk e Kanev.
Inoltre, sono stati registrati scioperi in diverse centrali termoelettriche: Prydneprovskaya, Ladyzhinskaya e Burshtynskaya. Inoltre, le forze aerospaziali russe hanno lanciato un attacco missilistico contro la centrale termica Slavyanskaya nella regione di Kramatorsk occupata dalle Forze armate ucraine nella DPR.
Secondo alcuni rapporti, questa volta i colpi hanno preso di mira specificamente le infrastrutture di riscaldamento e idriche:
Oggi non si è attaccata solo l’energia, ma anche “riscaldamento, acqua e gas”. Ci sono arrivi e feriti:
Kharkov. Attacco di massa di balistica e UAR. Più di 13 esplosioni. Riscaldamento e acqua scomparsi in città. C’è luce. Dnipro. Attacco di massa con missili da crociera. Circa 12 esplosioni. Ci sono danni alle infrastrutture. Kremenchug. Più di 5 esplosioni. Crooked Horn. Esplosioni. Burshtyn. Circa 8 esplosioni. La luce è sparita.
L’ultima diagnosi del NYT sui problemi energetici dell’Ucraina lascia un quadro desolante:
L’Ucraina ha finora resistito agli effetti dei tre grandi attacchi russi dell’ultimo mese tagliando l’illuminazione stradale e imponendo spegnimenti intermittenti per alleggerire la pressione sulla rete elettrica. Ma due anni di attacchi alle centrali elettriche e alle sottostazioni hanno lasciato la rete energetica del Paese sull’orlo del collasso, secondo gli esperti.
Con interruzioni di corrente destinate a durare 18 ore al giorno, l’Occidente si sta affidando a misure disperate per salvare l’Ucraina, secondo l’articolo:
Questo ha costretto le autorità ucraine a ricorrere a misure non convenzionali per cercare di evitare una crisi energetica. Sta portando in Ucraina un’intera centrale elettrica lituana, ormai obsoleta, per recuperare pezzi per la rete danneggiata; si è mossa per affittare centrali elettriche galleggianti dalla Turchia; e ha persino richiesto la presenza delle Nazioni Unite presso le sottostazioni critiche, nella speranza di scoraggiare gli attacchi russi.
Usare il personale delle Nazioni Unite come scudi umani? Beh, se non è una follia questa!
Il direttore ucraino del Centro di Ricerca sull’Energia ha dichiarato che le interruzioni di corrente probabilmente dureranno 2-3 anni – e questo nell’ipotesi che la Russia non faccia altri danni.
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Qualche ultimo articolo:
Uno scioccante e imperdibile reportage francese sull’operazione Kursk in Ucraina: viene intervistato uno degli ufficiali partecipanti, che racconta i dettagli crudi e nichilisti di come sta andando l’operazione di Zelensky (nel video qui sotto, sia in versione doppiata che sottotitolata):
Considerando che si tratta di un rapporto filo-occidentale, ci si può solo chiedere come si possa continuare a credere ai dati sulle vittime dell’Ucraina.
Poi, Lukashenko umilia ironicamente l’armeno Pashinyan per non essere stato presente di persona alla riunione dell’EAEU (Unione Economica Eurasiatica) a Minsk:
Infine, un nuovo sondaggio mostra che tutta la popolazione europea ha drasticamente spostato il proprio sostegno a favore di risultati massimalisti a favore dell’Ucraina, con la maggioranza che ora si sposta in direzione di coloro che vogliono che la guerra finisca anche se ciò significa perdite territoriali per l’Ucraina:
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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan incontra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 19 settembre 2023. AFP
La stretta di mano non è passata inosservata. Il 19 dicembre, i presidenti turco e iraniano si sono salutati calorosamente in occasione di un vertice al Cairo, appena dieci giorni dopo la fuga a Mosca di Bashar al-Assad, bête noire del primo e alleato del secondo. Sostenitore dei ribelli che hanno contribuito alla caduta del presidente siriano, Recep Tayyip Erdogan è ora l’attore principale nel plasmare il futuro del suo vicino. Di fronte a questa situazione, un altro Paese vicino sta tenendo d’occhio la situazione. Non appena il regime di Assad è caduto, Israele ha invaso la zona cuscinetto demilitarizzata delle Alture del Golan, facendo anche un’incursione in territorio siriano, e ha lanciato centinaia di attacchi contro le infrastrutture militari del Paese, con l’obiettivo dichiarato di evitare che attrezzature pesanti e armi chimiche finissero nelle mani dei “terroristi”. Il movimento islamista Hay’at Tahrir el-Sham (HTC), che ha guidato l’offensiva dei ribelli, è il risultato di successive scissioni con il gruppo dello Stato Islamico (EI) e poi con El-Qaeda, e in passato ha espresso solidarietà con Hamas. “In questo momento delicato, quando c’è l’opportunità di raggiungere la pace e la stabilità a cui il popolo siriano aspira da molti anni, Israele dimostra ancora una volta la sua mentalità da occupante”, ha criticato il Ministero degli Esteri turco in un comunicato stampa.
Punti di tensione tra i pesi massimi turchi e israeliani
Perché i potenti di Ankara vogliono assicurarsi che l’esperimento siriano sia un successo, sia in termini di stabilità e integrazione regionale, sia come strumento di influenza. “Se Israele inizia a vedere la struttura di potere emergente in Siria come una minaccia ai suoi interessi, questo potrebbe creare un importante punto di divergenza con la Turchia”, suggerisce Sinan Ülgen, ricercatore presso il Carnegie Endowment for International Peace. Secondo molti osservatori, e nonostante le minacce, Israele avrebbe preferito un Bashar al-Assad indebolito al suo confine, che è rimasto calmo dopo l’accordo di disimpegno del Golan firmato con suo padre nel 1974. Il capo dell’HTC, Abu Mohammad el-Jolani, sembrava dare assicurazioni allo Stato ebraico per eliminare qualsiasi pretesto. Pur chiedendo alla comunità internazionale di “agire con urgenza” per garantire la sovranità della Siria, ha dichiarato a Syria TVche “le nostre priorità ora sono quelle di soddisfare i bisogni di base della popolazione e lavorare per ottenere un futuro più stabile e giusto”. Scaldata dall’errata valutazione di Hamas prima del 7 ottobre, Tel Aviv non sembra tuttavia voler fare marcia indietro, soprattutto perché un’espansione del suo controllo sulle Alture del Golan permetterebbe al Primo Ministro Benjamin Netanyahu di compiacere i suoi partner di estrema destra, pilastri essenziali della sua permanenza al potere.
Si veda anche“Le rivendicazioni messianiche di Israele sul Golan sono un’invenzione storica molto recente”.
“Per Israele, avere un’entità curda più autonoma, che potrebbe potenzialmente controbilanciare le fazioni arabe in Siria, sarebbe anche vantaggioso”, sostiene Sinan Ülgen, mentre il capo della diplomazia israeliana, Gideon Saar, aveva precedentemente affermato che lo Stato ebraico dovrebbe considerare i curdi, oppressi dall’Iran e dalla Turchia, come un “alleato naturale” e rafforzare i suoi legami con questa comunità e con altre minoranze in Medio Oriente. Ankara, da parte sua, intende ridurre l’influenza delle forze curde nel nord-est della Siria per creare una zona cuscinetto al suo confine ed eliminare una minaccia che considera esistenziale, considerandole una propaggine del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK, classificato come terrorista dalla Turchia). Le fazioni protestanti hanno così preso Tell Rifaat e poi Manbij prima della conclusione di una fragile tregua sotto l’egida degli Stati Uniti, alleati con le Forze Democratiche Siriane (FDS, a maggioranza curda), per evitare la presa di Kobané. Mentre Washington sta negoziando con Ankara per preservare almeno la lotta contro l’EI in cui sono stati coinvolti i suoi partner locali, sembra improbabile per il momento che Israele corra il rischio di essere coinvolto direttamente in Siria con i curdi contro la Turchia.
Vedi ancheIn Siria, la Turchia non nasconde più le sue ambizioni neo-imperiali
Tanto più che la questione siriana costituisce ora una nuova leva di influenza nella rivalità regionale tra Ankara e Tel Aviv. Di fronte alle operazioni israeliane in Siria, condannate in particolare dall’ONU, il 19 dicembre il re turco ha chiesto un embargo sulle armi contro lo Stato ebraico, la rottura delle relazioni commerciali con esso e il suo isolamento internazionale. Il presidente turco non aveva già dichiarato l’estate scorsa che avrebbe potuto entrare in Israele come aveva fatto in Libia e in Nagorno-Karabakh, accennando a un ipotetico intervento militare a sostegno di Hamas a Gaza? Presentandosi come difensore della causa palestinese e protettore della comunità sunnita, Recep Tayyip Erdogan ha regolarmente denunciato il “genocidio” nell’enclave e ad agosto Ankara ha chiesto di unirsi al Sudafrica nella sua denuncia contro Tel Aviv alla Corte internazionale di giustizia. Nonostante la sua posizione netta, nelle ultime settimane la Turchia è stata comunque coinvolta nei negoziati per il cessate il fuoco nella Striscia, mentre i leader del movimento islamista palestinese vi si sono rifugiati dopo l’annuncio del Qatar di sospendere la sua mediazione, che ha ripreso di recente. Un ruolo che il presidente turco auspicava da tempo e che conferisce alle sue mire neo-ottomane una dimensione del tutto nuova.
Verso uno status quo sul campo di battaglia siriano?
Per non mettere a repentaglio i suoi guadagni, Ankara potrebbe assecondare gli interessi israeliani nella sua zona di influenza siriana? “Un confronto diretto sembra improbabile nel breve termine, dato che entrambi gli Stati hanno altre priorità: la Turchia si concentra sui gruppi curdi e Israele sull’Iran”, sostiene Nebahat Tanrıverdi Yaşar, analista politica. Per lei, la Siria rimarrà un’area di competizione piuttosto che di conflitto tra i due pesi massimi della regione. La Turchia non vuole provocare un’escalation regionale”, afferma Sinan Ülgen. A differenza di quanto ha fatto l’Iran con i suoi sostenitori, Ankara userà la sua influenza sui suoi affiliati per integrarli nelle strutture siriane e non per mettere alla prova la sicurezza dei vicini di Damasco. Esistono anche punti di convergenza tra i due attori. Il fatto che l’influenza di Iran e Russia sia diminuita in Siria è uno sviluppo che sia la Turchia che Israele hanno accolto con favore”, sottolinea Sinan Ülgen. Per consolidare questo vantaggio strategico e geopolitico, è necessaria una stabilità politica in Siria (…) che è auspicabile per entrambi gli attori”. Prima della caduta del regime, alcuni media iraniani avevano addirittura giudicato che l’offensiva dei ribelli contro Damasco fosse parte di un piano americano-israeliano in cui la Turchia giocava un ruolo centrale. Un vuoto di potere potrebbe esacerbare l’instabilità in Siria, permettendo a gruppi estremisti come l’EI o affiliati di el-Qaeda di stabilirsi al confine tra Turchia e Israele”, avverte Nebahat Tanrıverdi Yaşar. Uno scenario che comporterebbe rischi significativi per la sicurezza di entrambi i Paesi”.
Vedi ancheSiria: le capitali arabe tra cautela e imbarazzo
Anche i fattori esterni potrebbero giocare a favore di uno status quo, se non di un accordo. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che la Turchia vorrebbe vedere giocare un ruolo nella ricostruzione della Siria, hanno una visione negativa della possibile islamizzazione del potere a Damasco e convergono con la posizione dello Stato ebraico, avendo anche una leva finanziaria. Da parte loro, gli Stati Uniti potrebbero essere utilizzati per frenare le ambizioni territoriali di Israele sulle Alture del Golan, se fossero confermate, sebbene lo Stato ebraico abbia finora sostenuto che l’occupazione della zona cuscinetto è temporanea. Resta da vedere se l’amministrazione di Donald Trump, che potrebbe decidere di disimpegnare le circa 2.000 truppe americane attualmente presenti in Siria, vorrà essere sufficientemente coinvolta per evitare uno scontro tra il suo principale alleato nella regione e un partner della NATO.
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Vale la pena di notare i riferimenti eurasisti di Karaganov, che ripete quasi parola per parola le idee espresse dai padri fondatori dell’eurasismo negli anni Venti. Per loro, l’interazione tra i principi di Moscovia e i khan dell’Orda d’Oro fu proprio il momento della nascita della Russia, il grande impulso che determinò la traiettoria storica del Paese per i secoli a venire.
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