UCRAINA. LA GENESI DI UNA POLITICA DI AGGRESSIONE E I SUOI IDEATORI_ di Antonio de Martini

UCRAINA. LA GENESI DI UNA POLITICA DI AGGRESSIONE E I SUOI IDEATORI.

I DUE UOMINI CHE HANNO DIFESO L’IMPERO BRITANNICO ORA SONO I SUGGERITORI DELLA POLITICA USA.

La parte dell’opinione pubblica mondiale più sensibile alla propaganda si chiede perché mai l’Ucraina sia stata brutalmente attaccata dalla Russia. La parte più critica dell’opinione si chiede come mai sia successo.

Ventimila, forse, persone al mondo fanno risalire l’iniziativa agli Stati Uniti e di queste non più di diecimila conoscono le ragioni che hanno indotto il governo Usa ad un gesto tanto intriso di disperata audacia e probabilmente meno di duemila, non addetti ai lavori, conoscono quale meccanismo sia stato usato come intelaiatura dell’aggressione. Meno ancora ne conoscono la storia, che inizia nel 1898 con un uomo che Churchill definì “a man of no illusions”: Alfred Milner; e continua con un ammiraglio, capo dell’SIS ( secret intelligence service), l’ammiraglio Hugh Sinclair , morto il 4 novembre 1939 nome in codice Quex.

Naturalmente in questa, come in ogni mia descrizione, non offro considerazioni di carattere etico, prassi alla quale credo sempre meno e invito chi abbia a cuore la morale nei rapporti tra stati a passare oltre.

IL PRIMO

Alfred Milner, di padre inglese, nacque e studiò in Germania fino all’università. Gli rimase per tutta la vita un accento tedesco che lo spinse a mostrarsi più patriota degli altri e divenne un ” public servant”. Diventato giovanissimo governatore del Sud Africa britannico quando l’impero inglese, perse le speranze di assorbire pacificamente le due repubbliche boere ( Stato libero di Orange e la Repubblica del Sud Africa) che possedevano il Transvaal, (l’oltrefiume Vaal) che aveva avuto la ventura di avere nelle sue viscere la più grande vena aurifera mai trovata nel continente, nel 1867, decise l’aggressione.

Falliti i tentativi di assorbimento ” con le buone” , immigrazione massiccia inclusa, gli inglesi sarebbero passati alle maniere forti immediatamente, ma un forte movimento pacifista in patria, era di ostacolo, dato che la pubblica opinione capiva la “missione civilizzatrice” del’Inghilterra coi neri, ma i boeri erano bianchi e olandesi di origine e assalirli fu considerato un crimine e provocò polemiche violentissime pro e contro Paul Kruger, rustico presidente dei boeri, descritto come un macellaio.

Il giovane governatore si chiese se il movimento pacifista ( capitanato dalla sorella di un ufficiale destinato a diventare il comandante delle truppe inglesi in Francia nella prima guerra mondiale) avrebbe cambiato atteggiamento se i boeri avessero sparato il primo colpo e decise di giocarsi la carriera su questa carta.

In un messaggio ” Very secret” chiese ai suoi capi in Inghilterra ” Will not the arrival of more ( British ndr) troops so frighten the Boers that they will take the first step and rush part of our territory?”

Facendo questo, ” they would put themselves in the wrong and become the aggressors“.

Londra approvò e spedì di rinforzo oltre a un paio di battaglioni, nientemeno che il più famoso bardo dell’epoca Rudyard Kipling che per l’occasione, coi suoi reportages convinse l’opinione pubblica e coniando espressioni rimaste nella storia e nella letteratura, come ” il fardello dell’uomo bianco” ( che poverino deve amministrare gli incapaci..) e ” a est di Suez” espressione storica globale anch’essa.

I due battaglioni furono fatti sfilare minacciosamente alle frontiere più e più volte, fino a che il rustico Presidente Kruger abboccò vedendo il verme ma non l’amo, e attaccò.

Per vincere la guerra Milner si inventò anche i campi di concentramento, per facilitarsi il controllo dei civili boeri ( a volte dimenticando di nutrirli) e i Boy scout ( idea trovata buona dalla religione cristiana e diffusa in tutto il pianeta) che furono i primi bambini-soldato al mondo anche se addetti prevalentemente alla messaggistica e ai collegamenti.

Nessuna meraviglia se la prima guerra mondiale lo troverà a capo di gabinetto del premier e amante della di lui nuora.

l’Inghilterra aveva imparato a schivare l’ira dei pacifisti e a trasformarla in energia patriottica. Lo Zar di Russia, inviò un corpo di volontari a difesa dei Boeri e questa non é – come vedete- la sola somiglianza tra la campagna d’Africa di Milner e la guerra in atto in Ucraina.

IL SECONDO

L’Ammniraglio Hugh Sinclair era a capo del Secret Intelligence Service dal 1923, quando, prima dell’incontro di Monaco e un anno prima di morire fu chiamato da Neville Chamberlain , all’epoca era il primo ministro, ” asking Admiral Sinclair for a paper on what Britain should or could do to restrain Hitler without war”.

Nella foto accanto: il frontespizio di uno studio della Rand Corporation datato gennaio 2020 opera delle signore Stephanie Pezard e Ashley L. Rhoades della Rand Corporation , di 27 pagine che riecheggia fin dal titolo quanto meno lo spirito documento SINCLAIR britannico.

Della serie , come diceva Salvador Dalì, che ” tutto ciò che non é tradizione é plagio”.

Il documento, dal titolo ” What we should do” fu recapitato a Chamberlain il 18 settembre ( undici giorni prima dell’incontro di Monaco con Hitler).Il documento, fu redatto Da Sinclair, il suo vice, Menzies ( che doveva succedergli due mesi dopo la dichiarazione di guerra, il maggiore Malcom L Woollcombe ( capo della sezione politica)e forse il suo vice David Footman ( che risultò poi amico intimo di Guy Burgess , spia del KGB e quindi potrebbe essere stato trafugato. Perciò nel dopoguerra lo divulgarono eccezionalmente agli studiosi).

Inutile elencare tutto il documento, ma vale forse la pena di citare qualche briciola. Ad esempio sull’Italia: La Gran Bretagna “could never rely in an Emergency on the fickle ( incostante) and unscroupolous italiana. Italy would never be a stable factor in any defensive front, even if such were desirable” ma ” we can at least always work to keep them on the right side, treating them , above all, as equals, playing up to their pride, and always being quick to remove any suspicions which they may entertain as to our motives, at the same time never relaxing our vigilance on them”.

Sui paesi oggetto delle mire egemoniche tedesche, ( “L’Europa centrale e del sud est”, quindi non l’Italia) ” we should inject resisting power“, ” helping them financially” e ” making them realize that we and the French are strong and united.”

Se a questo si aggiunge la voce ” Turchia” giudicata ” powerful factor in Balkan resistance” e ” a bulwark in the Middle East”, avrete sotto i vostri occhi lo stesso identico quadro completo di oggi, mettendo la Russia al posto della Germania.

Notevole che non si faccia cenno alla instabilità psicologica di Hitler che invece si é fatta nella propaganda, così come si é fatta con Putin.

L’obbiettivo era assicurare la pace per dodici mesi per consentire al ministero dell’aeronautica di mettere in linea cinquantadue ” fast eight-gun Spitfire fighter into squadron service”.

Per avere la pace necessaria alla preparazione, suggeriva di abbandonare la Cecoslovacchia al suo destino.

I generali tedeschi che davano per scontata una resistenza da parte inglese ( che aveva garantito l’integrità cecoslovacca), vista la situazione desistettero dai piani del generale Beck e dell’ammiraglio Canaris che volevano defenestrare Hitler ( e lo aveva detto agli inglesi tramite Canaris) e si allontanarono dai congiurati.

La seconda occasione di liberarsi di Hitler si presentò cinque anni dopo con lo sbarco di Normandia e fu anche questa un fallimento. Gli inglesi , che prepararono la bomba, non sapevano che il Fuhrer lavorasse in una baracca con tenui pareti che crollarono senza provocare lo spostamento d’aria necessario alla uccisione degli abitanti.

E come da previsioni di Beck, la Germania perse la guerra e cinque milioni e mezzo di uomini.

Questa descrizione storica ( di Antony Cave Brown ) assomiglia come una goccia d’acqua alla situazione attuale con la Russia al posto della Germania e la Cina al posto della Russia.

Da queste descrizioni storiche, ( di Hochshield per Milner , Cave Brown per l’intesa coi vertici militari avversari e con gli inglesi sostituiti dagli USA) si può dedurre il modus operandi anglosassone ormai consolidato e la situazione Ucraina in cui

a) sono stati gli USA a provocare lo scontro e Putin ad abboccare come un contadinotto boero

b) esiste un canale di comunicazione tra gli alleati e vertici russi pronti a sostituire Putin ai primi cenni di sconfitta, ma non prima.

c) l’assunzione da parte inglese del ruolo di brillante secondo detenuto dai francesi nel 39.

d) la strategia é quella immaginata dal conte Schulemburg ( ex ambasciatore a Mosca)nel 1941/42 per la Russia occupata dalla wehrmacht: ” trasformare la guerra in guerra civile tra russi, altrimenti sono imbattibili.”

L’unica incognita é rappresentata dalle elezioni francesi di domenica che potrebbero , con Macron, rifiutarsi di rifornire con armi ( che comunque non giungerebbero mai integre al fronte, stante la superiorità aerea russa) come ha fatto la Germania e attorno a questi due renitenti si creerebbe una nuova Europa meno succuba degli USA, con una Italia giudicata inaffidabile da tutti.

https://corrieredellacollera.com/2022/04/21/ucraina-la-genesi-di-una-politica-di-aggressione-e-i-suoi-ideatori/

Dal Grande Gioco triangolare alla polarizzazione_di Alessandro Visalli

Dal Grande Gioco triangolare alla polarizzazione. Circa la posizione diplomatica e strategica cinese: Qin Gang e Yongnian Zheng

 

Sulla rivista cinese Guancha è presente[1] la notizia che il 18 aprile 2022 l’ambasciata cinese a Washington ha pubblicato sulla rivista “The National Interest” un articolo[2] a firma dell’ambasciatore Qin Gang. Nell’articolo l’ambasciatore definisce la posizione del paese.

 

La crisi e le sue ragioni

In primo luogo, la Cina afferma di amare la pace e opporsi alla guerra in ogni possibile circostanza, quindi di sostenere il rispetto del diritto internazionale e le norme che proteggono sovranità ed integrità territoriale di tutti i paesi, incluso l’Ucraina. La posizione cinese è dunque “westfaliana”, incardinata sul principio di sovranità (mentre quella Usa è, almeno dal tempo della crisi Jugoslava, ovvero dalla fine della Guerra Fredda “non vestfaliana”[3] ed imperniata sull’affermazione di una guida unica del mondo). Questa è la principale linea di divergenza che la nota, scritta in un misurato linguaggio diplomatico, esprime. Come risulta anche da precedenti esternazioni dell’ambasciatore si intravede l’interesse della Cina per la prosecuzione di un Grande Gioco triangolare, tra Russia, Usa e Cina ed il forte disappunto per il tentativo americano di semplificare il quadro polarizzandolo in uno ‘scontro di civiltà’ con fortissime connotazioni ideologiche.

Il secondo capoverso entra nella questione centrale delle lezioni che dalla crisi devono essere apprese. Riferendosi non per caso al “sistema internazionale del dopoguerra” (imperniato sull’Onu e quindi sul principio vestfaliano di autodeterminazione dei popoli e sovranità delle nazioni) l’ambasciatore denuncia come si trovi ora a dover fronteggiare la pressione più pesante dal tempo della Guerra Fredda (ovvero dal 1991). In rapida successione si è avuta, infatti, una pandemia, la crisi Ucraina e le relative sanzioni senza precedenti, quindi la spirale dell’inflazione riattivata e la recessione incombente. La ‘caldaia’ del sistema internazionale è perciò sotto pressione critica, bisogna ridurre la pressione.

Qin Guang

Il centro della crisi è in Europa, per la quale è necessario sia cessare la guerra sia progettare un sistema equilibrato, stabile e sostenibile di sicurezza comune. L’esempio da seguire è illuminato dalla diversa reazione che l’Occidente e i paesi orientali ebbero alla fine della Guerra Fredda ed al cambio di regime con crollo del Urss e del relativo impero. Mentre la Nato si estendeva verso oriente, ricercando una sicurezza a scapito di quella russa, la Cina, la stessa Russia ed i paesi dell’Asia centrale hanno promosso il meccanismo “Shangai Five”. Nel 1996, proprio mentre il Presidente Clinton annunciava l’estensione ad Est della Nato, la Cina, la Russia, il Kazakistan il Kirghizistan e il Tagikistan hanno firmato un Trattato sulle regioni di confine. In esso, poi sviluppato come “Organizzazione per la Cooperazione di Shangai”, i principi ordinatori sono stati la fiducia reciproca, il vantaggio reciproco, l’uguaglianza, la consultazione, il rispetto della diversità culturale e il perseguimento dello sviluppo comune. Come conclude dunque l’ambasciatore, se si sceglie la sicurezza a danno degli altri questa diversa scelta porterà frutti cattivi.

Questa crisi sembra porre fine anche al principio stabilito nelle visite del Presidente Eltsin in Usa ed in Cina nel 1992: quello di non considerarsi avversari. Sulla base di tale criterio le relazioni tra Cina e Russia in trenta anni si sono attenute al triplice principio di non confrontarsi, non prendere di mira terzi paesi, non allearsi ma restare indipendenti. Quindi “la Cina è stata e rimarrà un Paese indipendente che decide la propria posizione in base ai meriti di ogni questione, immune da pressioni o interferenze esterne”. Tuttavia, le relazioni tra Usa e Russia stanno scivolando verso una nuova guerra fredda che non è nell’interesse né della Cina, né della Russia e neppure degli Usa. Una relazione peggiore tra Russia e Usa non porterà, avverte, ad una migliore relazione tra Cina e Usa. Ma, d’altra parte, anche se la relazione tra Cina e Russia peggiorasse ciò non porterebbe a migliorare quella degli Usa con la Russia stessa, o viceversa (in altre parole, il messaggio agli Usa è <non ci separerete per combatterci uno alla volta>). L’articolo prosegue negando che le buone relazioni tra Cina e Russia implichino un “Asse Pechino-Mosca” nel rifiuto delle sanzioni. E avvertendo che trascinare verso il basso le relazioni tra Cina e Usa (ad esempio, coinvolgendo Taiwan) non farebbe bene a nessuno ed alle future generazioni.

 

Una proposta di cooperazione per il disegno del Nuovo Ordine

Venendo al centro del testo, per l’ambasciatore i destini attuali dell’Ucraina sono legati nuovamente a quelli di tutto il mondo (nella Seconda guerra mondiale il paese è stato sede di alcune delle battaglie più decisive del conflitto). Ricordando l’orrore della guerra ed i quattro decenni di pace, bisogna aver perciò chiaro che in nessun modo “qualsiasi paese o blocco di paesi” può avere la “sicurezza assoluta” ignorando quella degli altri, o, per dirlo meglio, a danno degli altri. Come dice “senza rispetto, fiducia, accomodamento reciproco e cooperazione il mondo non sarà mai pacifico”. Quindi la Cina e gli Stati Uniti devono collaborare sia a combattere il riscaldamento globale come il raffreddamento del clima politico internazionale, superando ogni diversa percezione della crisi ed esercitando sforzi congiunti nella prospettiva di lungo termine. Affrontare insieme le altre aree di crisi, prevenire gli impatti sull’economia ed il commercio globale, la finanza, l’energia, il cibo e le filiere industriali e di approvvigionamento.

Cina e Stati Uniti, come grandi paesi, hanno questa responsabilità storica: impegnarsi per una pace duratura, la sicurezza universale e la prosperità comune per i 7,8 miliardi di abitanti del mondo.

 

La lettera dell’Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica Popolare Cinese negli Stati Uniti si conclude quindi con una precisa offerta: la Cina offre la cogestione e propone il ridisegno delle Istituzioni internazionali su una rinnovata base ‘vestfaliana’, fondata sul riconoscimento della pluralità dei valori ed il rispetto reciproco. Propone di creare un nuovo Ordine mondiale sulla base del multilateralismo e di diplomazie variabili che incontrino gli interessi di tutti.

 

Il liberalismo non-vestfaliano degli Usa

Chiaramente questa offerta non è ricevibile dagli Stati Uniti, perché contrasta con il preteso carattere di “paese indispensabile” e “forza del bene” (Bush), il paese che “sta dalla parte della civiltà” e “fa ciò che è giusto” (George Bush). Quella forza che lavora per valori universali e ad affermare ovunque nel mondo valori considerati propri, come la “democrazia, sicurezza e benessere”. Gli Stati Uniti non hanno rispetto per chi non si conforma ai loro valori, che ritengono doversi affermare ovunque, ovvero per chi è fuori del loro canone. Questa impostazione “non vestfaliana” è in contrasto con l’art 1 dello Statuto dell’Onu (che riconosce il diritto all’autodeterminazione dei popoli, un principio in strutturale tensione con l’interpretazione individualistica dei diritti umani proposta dagli Usa), con i Trattati in sede Onu del 1966 e con l’Atto Finale di Helsinki del 1975 (in particolare Principio VII e VIII). Infatti, in base ai Patti del 1966, tutti i popoli sono liberi “di determinare, senza intervento dall’esterno, il proprio status politico e seguire il proprio sviluppo economico, sociale e culturale”. In base alla dichiarazione dell’Assemblea generale del 24 ottobre 1970, inoltre, l’attuazione del principio dell’autodeterminazione si esplica nella fondazione di uno Stato sovrano ed indipendente, nella sua libera unione con altri e nella sua libertà di cambiare status politico. Entrambe le dichiarazioni, del 1966 e del 1970, avvengono non per caso in una fase di liberazione dei paesi del Sud dai legami che si erano istituiti nella fase coloniale con le ‘potenze bianche’ del Nord. Il principio di autodeterminazione, così definito, si classifica nella tassonomia Onu come ius cogens, diritto inderogabile a tutela di valori fondamentali. Si tratta di un diritto di libertà dal dominio concreto di un popolo su un altro.

 

Al contrario, la pretesa propria della cultura liberale, tecnicamente totalitaria (ovvero che si pensa come espressione della totalità del Giusto e del Bene), ed etnograficamente connotata[4], sottordina gerarchicamente il principio di autodeterminazione al principio di universale affermazione della ‘democrazia liberale’, a sua volta collassata sulla libertà dell’individuo (ma interpretato, anche senza esserne del tutto cosciente, nel quadro della società dei proprietari[5]). È peraltro dalla fine della Guerra Fredda che nelle élite politiche statunitense, sia democratiche come repubblicane, è emersa la convinzione che la politica internazionale debba conformarsi ad un Ordine Post-nazionale e quindi “non vestfaliano”. Alla fine, lo scopo è rendere tutto il mondo simile agli Usa e promuovere una forma di interdipendenza ancorata ai principi liberali. In questa accezione la stessa dizione non-liberale (o illiberale) è diventata un giudizio di valore inappellabile e non più una semplice descrizione di differenza legittima[6].

 

Contesto, interregno e tensioni di trasformazione

Per approfondire questa posizione, che ha i crismi dell’ufficialità (anche se veicolata attraverso l’indiretta forma di un articolo di giornale, al quale non è obbligatorio rispondere), proviamo a confrontarla con la posizione che emerge dal discorso programmatico[7] tenuto il 7 aprile dal prof. Yongnian Zheng al Ciclo di Conferenze “Situazione politica” presso l’Università cinese di Hong Kong.

Quel che si vede, anche nell’articolo dell’ambasciatore, è l’avvio di una fase di ricostruzione dell’ordine mondiale che vedrà le Grandi Potenze, e le potenze intermedie, impegnate probabilmente per decenni, fino a che l’interregno sarà concluso. Gli interregni tra diversi Ordini mondiali sono il tempo più pericoloso nel quale vivere, individualmente e come paesi.

Questo interregno, anticipato dalla ‘scuola dei sistemi-mondo’ già sul finire degli anni Ottanta[8], è determinato dall’esaurimento delle risposte per acquistare tempo che l’Occidente ha messo in essere dalla crisi dell’Ordine Americano degli anni Settanta. Oggi l’assetto individuato da finanziarizzazione e globalizzazione a guida anglosassone (la prima in cogestione con la piattaforma londinese e la seconda dominata dalle grandi aziende statunitensi) che era già giunto a crisi terminale con il crac del 2007-8 (termine allontanato con sempre più disperate mosse di finanza pubblica non convenzionale le quali aggravano costantemente la situazione), viene condotto a termine dall’insorgenza di quattro fattori:

  • L’impatto dell’epidemia alla scala mondiale, che fa da preludio alla guerra come quasi sempre è avvenuto nella storia (i quattro cavalieri della fame, peste, guerra e conquista). Impatto che si è rivelato diverso in relazione ai sistemi sociali e politici, ed in linea generale ha colpito in modo più severo i paesi in cui le relazioni tra la popolazione ed il governo sono fondate su un individualismo più pronunciato. Queste tensioni hanno anche esacerbato le disuguaglianze, senza riuscire a ripartire i costi in modo equo, e favorito nazionalismo e risposte politiche estreme,
  • La guerra russo-ucraina, la tensione da lungo tempo accumulata in seguito al crollo dell’Urss, all’avanzamento progressivo ed inarrestabile della Nato, alle crisi economiche nei paesi ex satelliti (o nelle Repubbliche Socialiste), sono alla fine sfociate nel progetto di parte della società e della élite Ucraina di disaccoppiare i propri destini da quelli russi e aderire alle offerte apparentemente generose avanzate dalla Ue e dalla Nato. La crisi economica devastante che ha portato uno dei più poveri paesi europei a rimuovere, su spinta organizzativa interessata degli Stati Uniti, il legittimo governo filorusso in favore di un nuovo governo spiccatamente nazionalista, ha anche condotto al progetto (esplicito in una intervista[9] del 2019 del consigliere del Presidente ucraino Arestovich) di risolvere i problemi del paese attraverso una guerra maggiore con il vicino russo. Questo progetto, che arriva tre anni prima ad identificare con incredibile precisione le direttrici di attacco, le modalità e persino le date possibili, ha almeno due distinte ragioni: la costruzione della nazione dal fuoco della guerra (espellendo in tal modo la componente russa dal cuore e dalla mente del popolo, se del caso anche dal corpo); la soluzione del problema del sottosviluppo economico[10], trovando un ruolo geopolitico indispensabile che giustifichi l’erogazione di aiuti a tempo indeterminato dall’Occidente. Ruolo, cioè, che può forzare politicamente il braccio di ferro in corso da decenni tra il FMI (che ha un programma di aiuto vitale per l’economia da 15 anni e sempre sospeso) e gli oligarchi che controllano governo, banche, grandi industrie. Con l’organizzazione internazionale che continuava a chiedere riforme strutturali che il sistema politico locale non poteva concedere e la necessità impellente dei soldi internazionali per restare solvibile, la guerra sarà apparsa ad un certo punto come unica credibile strada per non essere alla fine costretti a tornare a Mosca ed ai suoi aiuti[11]. Questa è la ‘causa interna’ della guerra in corso.

In questo contesto, con sanzioni senza precedenti a danno della Russia, la speranza di una totale sconfitta del gigante geopolitico euro-asiatico è però molto bassa. Il paese ha una lunghissima storia di resistenza e capacità di soffrire senza cedere, risultando come tomba di alcuni dei più grandi eserciti della storia umana. Tra l’altro non è illimitata la disponibilità di armi che l’Occidente può mandare a distruggersi nel calderone ucraino. Secondo una interessante analisi di parte cinese[12] lo svuotamento in corso degli arsenali sovietici, da parte dei paesi dell’ex Patto di Varsavia potrebbe essere giunto al suo limite, e la dotazione di armi occidentali è tutt’altro che infinita. Ormai tra i due terzi e la metà della dotazione di “Javelin”, “Stinger”, NLAW, etc. dei magazzini Nato e Usa è stata consumata, la produzione annuale della Lockheed è di 6.000 “Javelin”, che bastano appena per due settimane di guerra. La scorsa settimana le aziende che producono armi sono state convocate alla Casa Bianca per programmare un ampliamento, ma non è così facile e gli Usa non sono gli stessi della II WW (basti dire che i motori dei razzi li comprano in Russia e moltissimi componenti in Cina). Per potenziare le forze sul campo (almeno 2 brigate Usa e 1 Nato, più la difesa aerea nei paesi baltici e Polonia) sarebbero necessari almeno 27 miliardi una tantum e 11 all’anno in seguito. Al contrario, la Russia ha enormi depositi di armi sovietiche e la sua industria militare riesce senza sforzo a sostituire i materiali usurati. Tuttavia anche la possibilità che la Russia vinca in modo completo, raggiungendo i suoi obiettivi, è altrettanto piccola.

La più probabile conseguenza della guerra, per l’analista cinese, è in mezzo tra questi due estremi: una possibile piattaforma potrebbe vedere, da una parte, l’allontanarsi dell’adesione alla Nato, e, dall’altra, un piano di sostegno e ricostruzione dell’economia ucraina sostenuto in modo condiviso da Fmi, Ue, Cina e altri (Arabia Saudita, Turchia, Usa?). Chiaramente l’accordo non dipende solo dall’Ucraina e dalla Russia, dato che la posta in gioco riguarda i rapporti internazionali tra le Grandi Potenze (di qui l’articolo dell’ambasciatore, che si occupa della ‘causa esterna’), ed un correlato di questo accordo di vitale importanza per l’Ucraina passa per la risoluzione delle sue esigenze finanziarie impellenti. Per cui qualcuno dovrà decidere di farsi carico della ricostruzione integrale dell’economia per togliere la ‘causa interna’ della guerra.

Al momento la guerra segnala la disintegrazione del sistema mondiale imperniato sulle Nazioni Unite. E mostra alcuni risultati come la creazione di unità nei paesi europei ed allineamento di questi con gli Usa (tagliando i ponti che alcuni, come la Germania, stavano tendendo da decenni con la Russia e la stessa Cina), ma, al converso, anche l’avvicinamento della Russia stessa alla Cina.

L’osservatore cinese dubita che la Ue resterà di questa posizione, ciò perché i danni per le economie e la società europee saranno molto ingenti, e la capacità di resistenza di queste è giudicata molto inferiore a quella della popolazione russa. Inoltre, la ri-militarizzazione della Germania dovrebbe provocare nel medio termine reazioni di preoccupazione ed allarme nelle controparti francesi.

  • La competizione per il Nuovo Ordine vedrà all’opera su un lungo arco temporale alcune Grandi Potenze come gli Usa, la Cina e la stessa Russia, ma anche la Turchia (paese che ha grande importanza ed influenza per la Cina, in corso di de-secolarizzazione e molto implicato in regioni delicate come lo Xinijang), l’India che è tirata da tutte le parti per scegliere un campo di gioco, il Giappone che è decisivo per la questione di Taiwan e l’Indonesia. Ovviamente dal lato dell’emisfero occidentale andrebbero nominati anche il Brasile, il Messico, alcuni grandi paesi africani come la Nigeria, l’Arabia Saudita, l’Iran, l’Egitto, l’Australia e forse il Canada.
  • Le relazioni bilaterali tra Cina e Usa, nella Guerra Fredda si instituì una sorta di triangolo Cina-Usa-Unione Sovietica nel quale in effetti i primi due, pur non essendo alleati, contenevano insieme l’ultima; ma dopo la fine di questa gli Usa cominciarono a concentrarsi sulla Cina, vista come un potenziale concorrente a lungo termine. L’11 settembre 2001, spostò l’attenzione, creando una sorta di decennio franco che terminò con Obama. Questi spostò nuovamente l’attenzione strategica sulla Cina con il “Pivot to Asia”. L’allentamento dell’attenzione all’Europa, il ritiro dall’Afghanistan e il minor protagonismo nel Mediterraneo dell’epoca Trump sono motivati con questo riorientarsi ad Est (inizialmente accompagnato da tentativi di ricucire con la Russia, poi fermati dalle forze interne antirusse). Mentre per un certo periodo era sembrato che il triangolo si stesse riformando, ma a parti invertite (per cui, senza essere alleati, più o meno tacitamente Russia e Cina bilanciavano il potere statunitense) ora gli Usa puntano ad una semplificazione del quadro e stanno cercando di formare una Nato orientale contro la Cina. Fa parte di questa strategia di polarizzazione l’enfasi di Biden per l’alternativa secca tra “democrazia americana” e “autocrazia cinese (o russa)” come lotta di sistema.

 

 

Rispondere alle sfide

La risposta a queste quattro sfide proposta dal politologo parte da due percezioni del sistema politico e sociale cinese:

  • se la guerra è qualcosa al quale bisogna opporsi, nello stesso tempo bisogna farlo alla sua causa, che è l’allargamento della Nato;
  • la guerra è usata dagli Stati Uniti per fare pressione sulla Cina e polarizzare l’ordine mondiale in due soli blocchi, operazione che è contro gli interessi cinesi.

 

Ma questo non deve significare che gli Stati Uniti in quanto tali siano gli avversari. Occorre essere razionali e individuare la struttura profonda della situazione che si è creata, opponendosi in modo determinato a quanto in essa provoca questi esiti. Concretamente quindi, negli Stati Uniti sono presenti diversi gruppi di interesse, tra i quali il potente network di Wall Street (che vorrebbe casomai più apertura e investimenti reciproci), le forze connesse con il sistema militare-industriale (che spingono per il confronto che, male che vada, farà crescere enormemente il loro business), le industrie civili e i loro lobbisti (che hanno grandissimi interessi impegnati e non vogliono lo scontro). Alcuni sono fieramente anti-Russi, altri anti-Cinesi, o entrambi, altri sono orientati a compromessi o agli scambi finanziari e commerciali. Questi ultimi hanno a lungo prevalso, ora non più, ma serbano una loro influenza.

Caso a parte è quello dell’Europa, con la quale non ci sono mai state dispute geopolitiche, ma solo interessi commerciali. Ora è allineata, “rapita”, dagli Stati Uniti, ma questo potrebbe non durare sempre.

 

Le relazioni sino-americane sono per concludere da considerare molteplici; in alcune aree sono di cooperazione, in altre di competizione ed in altre di conflitto o di possibile guerra.

  • Le aree di cooperazione sono relative al clima, la salute mondiale e la proliferazione nucleare (ovvero la limitazione dell’accesso alle armi nucleari da parte delle potenze minori, cosa che sarà crescentemente difficile dopo questa guerra). La cooperazione presuppone la reciproca forza, e quindi si espanderà via via ad altri settori, come l’esplorazione spaziale.
  • Le aree di competizione sono soprattutto relative all’economico.
  • Le aree di conflitto si possono dividere in confronti a bassa intensità, come per le questioni dei diritti umani nello Xinjiang, nel Tibet ed a Hong Kong, tutto sommato controllabili, e i potenziali conflitti armati, come nel Mar cinese meridionale ed a Taiwan. In quest’ultimo caso la posizione cinese è univocamente determinata: non c’è spazio per concessioni.

 

Che genere di Ordine Mondiale emergerà da questa fare caotica dipenderà anche da quale area prevarrà dentro i diversi paesi, ed in particolare in quelli ‘sistemici’ (il paese più grande del mondo e con la maggiore quantità di materie prime strategiche, quello dotato della maggiore popolazione ed industria, il paese con il maggiore esercito).

 

Abbiamo bisogno della pace, per trovare il tempo di risolvere questi problemi, a vantaggio di tutti i popoli del mondo.

[1] – Qin Gang “Se c’è un conflitto simile tra Russia e Ucraina in altri luoghi, la Cina prenderà la stessa posizione”, Guancha, 18 aprile 2022.

[2] – Qin Gang, “The ukraine crisisi and its aftermath”, The National Interest, 18 aprile 2022

[3] – Come sostenuto in un’ampia letteratura internazionale la fine della Guerra Fredda ha visto gli Usa passare ad una posizione che prevede l’estensione di una politica “fondata sui valori”, in vece di una “fondata sulla sovranità” (e l’autodeterminazione dei popoli). In sostanza gli Stati Uniti si sentono in diritto di intervenire ogni qual volta i valori di libertà individuale e di espressione sono violati, ritenendoli universalmente validi.

[4] – Ovvero disegnata secondo il modello storicamente situato (nella forma di vita occidentale e nella versione illuminista di questa) che è abbastanza obiettivamente una potentissima arma ideologica. Una cosa che inizia a prendere forma durante la guerra fredda come arma contro un altro consenso (tramite la sistematica denuncia della violazione dei “diritti umani” da parte degli Stati Uniti a sostegno etico e legittimazione delle proprie iniziative sia contro l’Unione Sovietica e contro la Repubblica Popolare Cinese ed i loro alleati) e da allora viene usata, senza soluzione di continuità, contro chiunque si elevi ad ostacolare il dominio imperiale statunitense. In effetti, già l’idea in sé dei “diritti umani” può essere accusata di individualismo metodologico il quale è, esso stesso, alla base della microfondazione della teoria economica. I diritti sono immaginati come inerenti all’individuo naturale, cioè a un individuo astratto astorico, aculturale e dunque sono utilizzabili come marcatore e punto di riferimento del giudizio sulle azioni e sulle dinamiche collettive. Il dispositivo dei “diritti umani” crea, cioè, un decisivo passaggio teorico in cui richieste individuali che non fanno per sé stesse riferimento a nessun organismo sociale dato (o contesto culturale noto) e che finora nessuno ha riconosciuto possono essere poste come eticamente fondanti ed esistenti in natura e restare lì, in attesa che qualcuno ad un certo punto se ne faccia carico. Magari in appoggio alle sue istanze politico-strategiche.

[5] – Questa formula è proposta da Thomas Piketty nel suo “Capitale e ideologia”, (2020), p.125 e seg. Designa in questo modo la trasformazione che, a partire dal XVIII secolo, in Europa e nelle colonie europee, con ritmi e modalità differenti, ha portato le società tradizionali a trasformarsi in società nelle quali la libertà è rappresentata concretamente dal possesso di beni, in vece, dei “privilegi” politici. La sacralizzazione della proprietà, dalla quale emerge quella forma sociale particolare che chiamiamo ‘capitalismo’, ovvero il rispetto assoluto dei diritti di proprietà che è il nucleo stesso della individualità dei diritti, è la risposta al vuoto lasciato dalla religione nel generare coesione sociale ed attese di comportamento stabili. Si genera una nuova forma di ‘trascendenza’ che evita la propagazione del caos (ivi, p. 152).

[6] – Si veda anche il post “Politica estera basata sui valori o sull’autodeterminazione. Note sulla svolta di Biden”, Tempofertile, 5 aprile 2022.

[7] – Yongnian Zheng, “Il gioco dei grandi poteri e la ricostruzione dell’ordine mondiale”, Guancha, 18 aprile 2022

[8] – Ne parlo diffusamente in Alessandro Visalli, “Dipendenza”, Meltemi 2020.

[9] – Oleksiy Arestovych è Consigliere del capo dell’ufficio del presidente dell’Ucraina per le comunicazioni strategiche nel campo della sicurezza e della difesa nazionale. Intervista del 2019.

[10] – Il paese, come racconta Limes in tempi non sospetti il 9 luglio 2021, dal 1991 non ha fatto altro che ridurre il proprio benessere economico rispetto ai vicini. Dal 2014 si è trovato a dipendere crescentemente da aiuti economici e militari occidentali, del Fmi e della Ue, oltre che degli Usa. Come scrive la rivista “L’Ucraina post-sovietica si è trovata di fronte al difficile problema di costruire uno Stato e una nazione in assenza di una solida legitimizzazione storica basata su tradizioni istituzionali, confini chiari e stabili e una cultura nazionale”. Un programma di sostegno del FMI, erogato come accade con il contagocce e tra molte condizionalità, ha tenuto costantemente il paese sull’orlo del collasso, senza farlo precipitare né sollevare. In questa condizione di oggettiva precarietà, per non dire ricatto, il Covid ha portato ad un crollo del 7% dell’economia (seguita ad uno del 15% del 2009 e del 10% del 2015) ed un impatto devastante sulla popolazione ed il consenso. Con un paese che è abituato a rivolgersi a vicini potenti è chiaro che il rischio per il governo Zelensky si era fatto esistenziale.

[11] – Si veda ad esempio, “FMI: l’Ucraina ne ha bisogno ‘come sangue nelle vene”, Osservatorio Balcani e Caucaso, 26 febbraio 2021; Stefano Grazioli, “L’Ucraina di Zelensky tra crisi economica e riforme necessarie”, Ispi, 3 giugno 2020; Gian Paolo Caselli, “Il trentennio perduto dell’Ucraina”, Limes, 9 luglio 2021,

[12] – Chen Feng, “L’esercito ucraino ha iniziato a crollare? Dove andrà la guerra russo-ucraina?”, Guancha, 18 aprile 0222.

https://tempofertile.blogspot.com/2022/04/dal-grande-gioco-triangolare-alla.html?fbclid=IwAR2Fka0Ck5Jm0tN1qscHx4bxm4k7rxy478xJMNl3tAXnQFcCjyDJlDSOklc

presentazione del 7 aprile di John Mearsheimer

Punto di vista ACURA: trascrizione della presentazione del 7 aprile di John Mearsheimer

Grazie mille per avermi invitato ad essere qui. E ricordo con affetto i nostri viaggi in Germania, specialmente quando Steve e io abbiamo discusso della questione ucraina all’epoca. Sono d’accordo con quello che hai detto, Katrina, quando hai detto che questa è la crisi più pericolosa dalla seconda guerra mondiale. Penso che in realtà sia più pericoloso della crisi dei missili cubani, che non serve a minimizzare il pericolo di quella crisi. Ma penso che fondamentalmente quello che abbiamo qui sia una guerra tra Stati Uniti e Russia e non c’è fine in vista. Non riesco a pensare a come questo possa finire nel prossimo futuro. E penso che ci sia una possibilità molto pericolosa di escalation. Prima di tutto, l’escalation fino al punto in cui gli Stati Uniti stanno effettivamente combattendo contro la Russia, le due parti si stanno scontrando militarmente, cosa che finora non è avvenuta.

E penso che qui ci sia un serio pericolo di escalation nucleare. Non sto dicendo che sia probabile, ma posso raccontare storie su come accade realmente. Quindi la domanda è: come siamo finiti in questo pasticcio? Cosa l’ha causato? E il motivo per cui è molto importante affrontare questo problema è che ha ogni sorta di implicazioni per la comprensione del pensiero russo. Se vuoi capire come pensano i russi di questa crisi, devi capirne le cause. Ora il punto di vista dominante, che ovviamente rifiuto, è che Vladimir Putin o sia un aggressore congenito o sia semplicemente determinato a ricreare l’Unione Sovietica o una qualche versione dell’Unione Sovietica. È un espansionista, è un imperialista. Penso che questa argomentazione sia sbagliata e il mio punto di vista è che si tratta davvero degli sforzi dell’Occidente di trasformare l’Ucraina in un baluardo occidentale ai confini della Russia.

E l’elemento chiave di questa strategia, ovviamente, è l’espansione della NATO. E nella mia storia, tutto risale alla decisione dell’aprile 2008 al vertice della NATO a Bucarest, dove si diceva che sia la Georgia che l’Ucraina sarebbero diventate parte della NATO. I russi all’epoca avevano chiarito chiaramente che ciò era inaccettabile, che né la Georgia né l’Ucraina sarebbero entrate a far parte della NATO. E in effetti, i russi hanno chiarito che lo consideravano una minaccia esistenziale. Molto importante per capire quelle parole. Dal punto di vista russo fin dall’inizio, questa è stata percepita come una minaccia esistenziale. Molte persone in Occidente non credono che sia una minaccia esistenziale per i russi, ma ciò in cui credono è irrilevante perché l’unica cosa che conta è ciò che pensano Putin e i suoi compagni russi, e pensano che sia una minaccia esistenziale.

Ora penso, ad essere onesto, che l’evidenza sia schiacciante che questo non è un caso di Putin che agisce come un imperialista, ma è un caso di espansione della NATO. Se guardi al suo discorso del 24 febbraio che giustifica il motivo per cui la Russia ha invaso l’Ucraina, si tratta solo dell’espansione della NATO e del fatto che è percepito come una minaccia esistenziale per la Russia. Se si guarda al dispiegamento delle forze in Ucraina, è difficile sostenere che i russi siano decisi a conquistare, occupare e integrare l’Ucraina in una Russia più grande. Se ascolti Zelenskyy parlare di una possibile soluzione, la prima cosa a cui va è parlare di creare un’Ucraina neutrale. Questo ti dice che si tratta davvero dell’espansione della NATO e della neutralità ucraina. Inoltre, non ci sono prove che Putin affermi che ciò che vuole fare è in realtà rendere l’Ucraina parte della Russia.

Non ci sono prove che dica che questo è fattibile e che intende farlo. Non c’è dubbio, nel suo cuore vorrebbe vedere l’Ucraina far parte della Russia. Nel suo cuore probabilmente vorrebbe vedere il ritorno dell’Unione Sovietica. Ma come ha chiarito chiaramente, ciò non è possibile e chiunque la pensi in questo modo non sta pensando in modo chiaro. In effetti lo ha detto. Quindi vorrei che qualcuno mi indicasse le prove in cui chiarisce che ciò che sta effettivamente facendo in termini di formulazione della politica è cercare di creare una Russia più grande o ricostituire l’Unione Sovietica. Tutto questo per dire che se credi come me che sta affrontando una minaccia esistenziale, in effetti stai dicendo che lo vede come una minaccia alla sopravvivenza della Russia. E se si trova in una situazione del genere, non può perdere. Quando affronti una minaccia esistenziale, non perdi. Non hai scelta. Devi vincere.

Ora, questo ci porta dalla parte americana. Cosa stanno facendo gli americani? Quello che stiamo facendo, che è quello che abbiamo fatto dopo lo scoppio della crisi il 22 febbraio 2014, è raddoppiare. Abbiamo deciso che quello che faremo è sconfiggere la Russia all’interno dell’Ucraina. Daremo una sconfitta decisiva contro i russi all’interno dell’Ucraina. E allo stesso tempo, strangoleremo la loro economia. Metteremo loro sanzioni malvagie e li metteremo in ginocchio. Noi, in altre parole, vinceremo e loro perderanno. Inoltre, l’amministrazione Biden e lo stesso presidente hanno fatto di tutto per intensificare la retorica e ritrarre i russi come la fonte di tutti i mali e per ritrarci come i buoni e per creare l’impressione nella mente delle persone che questa sia una situazione che non non si presta al compromesso perché non puoi scendere a compromessi con il diavolo. In effetti, quello che bisogna fare qui è vincere.

Ora, saprai che sarebbe una sconfitta devastante per Joe Biden se i russi dovessero vincere questa guerra. E ovviamente, come ti ho appena detto, dal punto di vista russo, devono vincere questa guerra perché questa è una minaccia esistenziale che stanno affrontando. Quindi la domanda che ti vuoi porre è, dove ci lascia? Entrambe le squadre devono vincere. È impossibile per entrambe le squadre vincere, non quando si pensa alla situazione che stiamo affrontando qui. Quindi, come otteniamo un accordo negoziato? Solo che non lo vedo succedere. Non vedo i russi dare alcun motivo significativo e certamente non vedo gli americani dare alcun motivo significativo. Quindi cosa è probabile che accada? Ora si parla da parte nostra, e anche da parte russa, che questa guerra durerà per anni. In altre parole,

Ora, capisco che a questo punto non siamo coinvolti nei combattimenti, ma siamo il più vicino possibile a essere coinvolti. E poi inizi a dire a te stesso, non è possibile che verremo trascinati in questo? C’è un’enorme pressione politica sull’amministrazione Biden affinché noi implementiamo la no-fly zone per entrare effettivamente per scopi umanitari in Ucraina e così via. Finora Biden ha saputo resistere a quella pressione, ma riuscirà a resistervi per sempre? E se avessimo un incidente militare che ci trascinasse nei combattimenti? Quindi potremmo benissimo finire in una situazione in cui gli Stati Uniti e la Russia stanno combattendo l’uno contro l’altro in Ucraina. Poi veniamo alla questione dell’escalation nucleare.

Penso prima di tutto, se gli Stati Uniti vengono trascinati in una lotta contro la Russia ed è una guerra convenzionale in Ucraina o per l’Ucraina nell’aria, gli Stati Uniti picchieranno i russi. Se gli ucraini stanno facendo così bene contro i russi militarmente, puoi immaginare quanto meglio faranno gli americani negli scontri aria-aria e anche a terra, giusto? In quella situazione, non crede che sia possibile che la Russia si rivolga alle armi nucleari? Penso sia possibile. Ho studiato un sacco di storia militare. Ho studiato la decisione giapponese di attaccare gli Stati Uniti a Pearl Harbor nel 1941. Ho studiato la decisione tedesca di lanciare la prima guerra mondiale durante la crisi di luglio del 1914. Ho esaminato la decisione egiziana di attaccare Israele nel 1973 .

Questi sono tutti casi in cui i decisori si sono sentiti in una situazione disperata e hanno capito tutti che in un modo molto importante stavano lanciando i dadi, stavano perseguendo una strategia incredibilmente rischiosa, ma sentivano semplicemente di non avere scelta. Sentivano che era in gioco la loro sopravvivenza. Quindi quello di cui stiamo parlando qui è prendere un paese come la Russia, giusto, che pensa di affrontare una minaccia esistenziale, che pensa che la sua sopravvivenza sia in gioco e che lo stiamo spingendo al limite. Stiamo parlando di romperlo. Stiamo parlando non solo di sconfiggerlo in Ucraina, ma di romperlo economicamente. Questa è una situazione straordinariamente pericolosa, e trovo davvero straordinario che stiamo affrontando l’intera questione in un modo così disinvolto. E comunque, Penso che molto di questo abbia a che fare con il fatto che così tante persone che sono state coinvolte nel pensare a questo problema oggi sono state sollevate durante il momento unipolare e non durante la Guerra Fredda. Durante la Guerra Fredda, come qualcuno come Jack può dirti anche meglio di me, abbiamo riflettuto a lungo sulla guerra nucleare.

Abbiamo riflettuto a lungo sulle relazioni tra USA e Unione Sovietica e su come ciò potrebbe portare a una guerra nucleare. Le persone che sono cresciute nel momento unipolare sono molto più sprezzanti su questi temi. E penso che questo rappresenti una situazione molto pericolosa. Ora vorrei notare che anche se i russi e gli americani non finissero per combattersi, ma gli ucraini fossero in grado di scaglionare i russi in Ucraina e infliggere loro sconfitte significative, i russi potrebbero comunque rivolgersi alle armi nucleari. È possibile. È probabile? No, ma è possibile. E questo mi spaventa molto e dovrebbe spaventare la maggior parte degli americani e certamente la maggior parte degli europei. Quindi tutto questo per dire, quando guardo alle relazioni USA-Russia oggi, penso che siamo effettivamente in guerra l’uno con l’altro. Anche se ancora una volta, gli americani non stanno combattendo contro i russi sul campo di battaglia,

Ora che dire dell’Ucraina? Gli ucraini non hanno alcuna agenzia? Voglio dire, dopo tutto, è il loro paese che viene distrutto. Si potrebbe argomentare che l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, è disposto a combattere questa guerra fino all’ultimo ucraino. E il risultato finale è che l’Ucraina è in effetti un paese distrutto. Dato che hanno un’agenzia, non è possibile che gli stessi ucraini dicano basta e mettano fine a tutto questo? Purtroppo, non credo che sia il caso. E penso che il fatto sia che gli Stati Uniti non permetteranno agli ucraini di concludere un accordo che gli Stati Uniti trovano inaccettabile.

Non vogliamo che ciò accada. Come ho detto prima, l’amministrazione Biden intende infliggere una sconfitta decisiva alla Russia. Se gli ucraini decideranno di concludere un accordo e consentire alla Russia di vincere in un certo senso significativo, gli americani diranno che è inaccettabile. E gli americani lavoreranno con i nazionalisti di destra in Ucraina per indebolire Zelenskyy o il suo successore. Quindi non vedo in alcun modo che l’Ucraina possa intervenire e porre fine a questa crisi. Lo vedo solo andare avanti e indietro. Posso concludere dicendo che George Kennen ha affermato alla fine degli anni ’90 che l’espansione della NATO è stato un tragico errore e che avrebbe portato all’inizio di una nuova Guerra Fredda. All’inizio sembrava che avesse torto. Abbiamo avuto la prima tranche di espansione nel 1999 e ce la siamo cavata. Abbiamo avuto la seconda tranche di espansione nel 2004 e siamo riusciti a farla franca. Ma poi, quando nell’aprile 2008 è stata presa la decisione per una terza tranche, che includerebbe Georgia e Ucraina, è abbastanza chiaro che avevamo spostato un ponte troppo oltre. E il risultato finale, mi dispiace dirlo, è che penso che la previsione di Kennen si sia rivelata vera. Grazie.

https://usrussiaaccord.org/acura-viewpoint-transcript-of-john-mearsheimers-april-7th-presentation/

SULLA SECONDA FASE DELLE OSTILITA’ IN UCRAINA, di Roberto Buffagni

SULLA SECONDA FASE DELLE OSTILITA’ IN UCRAINA

 

Nel video linkato in calce[1], il giornalista e documentarista italiano Giorgio Bianchi, che dal 2014 segue il conflitto in Ucraina, riporta quanto gli ha detto nel Donbass una fonte di alto livello e degna di fede del campo russo.

E’ notevole che il contenuto riportato da Bianchi coincida con quanto scritto da Gilbert Doctorow il 14 aprile[2] nel suo articolo The Russian Way of War – Part Two. Doctorow è uno storico americano, collaboratore dell’American Committee for U.S.-Russia Accord (ACURA)[3] del quale fu cofondatore il professor Stephen Cohen[4] (Princeton University), uno dei maggiori studiosi della Russia sovietica e post-sovietica.  Oggi Doctorow è residente a Bruxelles. Per decenni ha studiato la Russia e lavorato colà per imprese occidentali, come consulente. Ha dunque una vasta rete di relazioni in Russia.

I punti essenziali riportati da Bianchi sono:

  1. La Russia non prende in considerazione la possibilità di perdere questa guerra.
  2. Il campo occidentale ha chiarito che non intende trattare, ma anzi prolungare il più possibile la guerra per indebolire la Russia.
  3. Le sanzioni hanno già quasi raggiunto il massimo possibile.
  4. La demonizzazione della Russia da parte del campo occidentale è totale.
  5. Le FFAA russe hanno subito serie perdite.
  6. Dunque, non è più interesse russo continuare a condurre una guerra limitata, con mezzi limitati, per obiettivi limitati raggiungibili mediante trattativa diplomatica parallela alle operazioni militari.
  7. La Russia quindi ha deciso di impiegare tutti i mezzi a sua disposizione per raggiungere la vittoria sul campo, forse previa dichiarazione formale di guerra all’Ucraina.

Chiarisco il punto 1. Per la Russia, “perdere questa guerra” significa “interrompere le ostilità senza essersi assicurati gli obiettivi minimi dichiarati”, ossia a) Donbass indipendente b) neutralizzazione militare Ucraina c) neutralizzazione milizie armate nazionaliste radicali. I rapporti di forza oggettivi tra Ucraina e Russia fanno sì che la Russia possa “perdere questa guerra” solo se interrompe le ostilità con una decisione politica. Coeteris paribus, ossia se la NATO non interviene direttamente nel conflitto, è impossibile che la Russia subisca una sconfitta militare, se prosegue le ostilità. È incerto soltanto come, quando e a quale costo la Russia vincerà militarmente.

Chiarisco il punto 2. Che il campo occidentale non intenda favorire una trattativa tra Ucraina e Russia è chiarissimo, e non abbisogna di spiegazioni. Aggiungo una mia congettura. Secondo me la dirigenza russa ha concluso che gli Stati Uniti intendono prolungare il più possibile la guerra in Ucraina, per indebolire la Russia in vista di un obiettivo strategico: frammentazione della Russia sul modello jugoslavo. Ritengo che dal punto di vista russo, la strategia complessiva americana è quella di attaccare contemporaneamente i suoi maggiori avversari, Russia e Cina, al fine di riconfermare la propria egemonia mondiale. La Russia è il primo obiettivo perché è la più debole. Probabilmente gli Stati Uniti pensano anche che in caso di frammentazione della Russia, la Cina potrebbe essere associata agli Stati Uniti nella spartizione del bottino, e ricondotta a una (provvisoria) partnership con gli Stati Uniti.

Un indizio a suffragio di questa congettura sono gli articoli che linko in calce. Il primo è di Ray McGovern, ex analista CIA a capo per la sezione Unione Sovietica. Tema: rapporto Cina-Russia. È solido? I russi hanno informato i cinesi dell’invasione? Hanno ottenuto il loro consenso?[5] McGovern argomenta che sì, il rapporto Russia – Cina è più che solido, e che i cinesi erano al corrente dell’invasione.

Il secondo, su “Foreign Policy” è di Matthew Kroenig, vicedirettore dell’Atlantic Council’s Scowcroft Center for Strategy and Security, uno dei più importanti think tank USA. Il titolo parla da sé: Washington Must Prepare for War With Both Russia and China/ Pivoting to Asia and forgetting about Europe isn’t an option[6]. L’accesso all’articolo è pagamento. Ma il terzo articolo che linko, di Deborah Veneziale, The U.S. is preparing war with China and Russia at the same time[7] analizza l’articolo di Kroenig e ne cita ampi stralci. Cosa assai interessante, è stato scritto per un pubblico cinese e pubblicato su “Guancha”[8].

Se la mia congettura è corretta, la Russia ritiene che in questo conflitto sia a rischio la propria sopravvivenza, e dunque è disposta a battersi fino alle estreme conseguenze, compreso uno scontro diretto con la NATO e l’impiego delle armi nucleari. Faccio notare che anche qualora il campo occidentale non intendesse perseguire questi scopi strategici, e la Russia avesse equivocato le intenzioni americane, per prevedere che cosa farà la Russia contano soltanto le percezioni russe.

Per concludere. Sinora, la Russia ha condotto una guerra limitata, con mezzi limitati, per raggiungere obiettivi limitati con una trattativa diplomatica parallela alle ostilità. Il quadro giuridico in cui si svolgono le ostilità è quello dell’aiuto militare alle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, la cui indipendenza è stata riconosciuta dalla Duma russa prima dell’inizio dell’invasione: è per questo che i russi chiamano le ostilità “operazione militare speciale” e non “guerra”.

È probabile che prima di passare alla seconda fase delle ostilità, la Russia dichiari formalmente guerra all’Ucraina, per cambiare il quadro giuridico del conflitto, sia all’interno, sia all’esterno del paese. Non conosco la legislazione russa e dunque non sono in grado di valutare l’importanza del cambiamento del quadro giuridico tra “operazione militare speciale” e “guerra” formalmente dichiarata. In Italia, la differenza sarebbe decisiva.

In ogni caso, è probabile che nel prossimo futuro assisteremo a una forte, progressiva escalation del conflitto in Ucraina.

Come profetizzato dal professor John Mearsheimer sin dal 2015[9], l’Ucraina subirà immani distruzioni e gravi perdite civili. Per sventare questa tragedia, questa “inutile strage”, basterebbe che un paese europeo importante rompesse il fronte occidentale e promuovesse un ridisegno del sistema di sicurezza europeo che tenga conto delle esigenze russe. Temo che non accadrà.

 

 

[1] https://youtu.be/0Wtxd7Ay8Cs

[2] https://gilbertdoctorow.com/2022/04/14/the-russian-way-of-war-part-two/?fbclid=IwAR0qsuDV38Tzaxk2rv4mGqh_n_sIc4nX836D5qg7xkNMcfVPI3EXJsyw2dc

[3] https://usrussiaaccord.org/

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Stephen_F._Cohen

[5] https://original.antiwar.com/mcgovern/2022/04/03/the-late-deceased-paradigm-on-russia-china/

[6] https://foreignpolicy.com/2022/02/18/us-russia-china-war-nato-quadrilateral-security-dialogue/

[7] https://mronline.org/2022/02/27/the-u-s-is-preparing-war-with-china-and-russia-at-the-same-time/

[8] https://www.guancha.cn/DeborahVeneziale/2022_02_26_627801.shtml

[9] https://youtu.be/JrMiSQAGOS4

Ucraina, una realtà rimossa_con Max Bonelli

Poiché il Team di You Tube ha rimosso il video, l’unico link disponibile è quello di rumble. D’ora in poi si suggerisce di privilegiare tale accesso

La realtà della situazione in Ucraina fatica pesantemente ad emergere non ostante alcune crepe che qua e là cominciano ad emergere nel sistema mediatico nazionale. Una cappa opprimente comune a tutti i paesi europei, ma che in Italia sta raggiungendo i vertici della disinformazione più dozzinale. Negli Stati Uniti, come testimoniato anche dal filmato iniziale di questa conversazione, la situazione è in buona misura diversa e più favorevole. Merito soprattutto dello scontro politico aperto fra le compagini politiche e all’interno degli stessi centri decisori; grazie anche al fatto che quanto avviene in Europa e nell’Ucraina stessa non è solo la conseguenza, ma l’esito diretto di decisioni statunitensi prese sul campo con una catena di comando sempre più diretta. E le decisioni, per essere prese e per renderle efficaci, hanno bisogno di una relativa trasparenza nella fase di elaborazione. I paesi europei sono sempre più, con rare eccezioni, soggetti passivi di queste scelte. La mediocrità tragicamente banale del ceto politico e della classe dirigente italiani, a cominciare dai nostri due presidenti, ne sono l’emblema più disarmante e sconfortante. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v116vrq-ucraina-una-realt-negata-con-max-bonelli.html

QUANDO CHI STA PERDENDO SI PORTA VIA IL PALLONE_ di Pierluigi Fagan

QUANDO CHI STA PERDENDO SI PORTA VIA IL PALLONE.

In un precedente post abbiamo usato una immagine simbolo del mondo come un pallone oggetto di giochi di contesa. Oggi continuiamo con la metafora del sogno di possederlo tutto questo pallone-mondo e laddove la realtà intralcia i sogni, si può arrivare a sottrarre l’oggetto stesso del contendere. Se non vincerò al gioco di quel pallone, mi porto via il pallone o lo buco, così nessun altro potrà giocarvi, fine dei giochi.

Ieri abbiamo assistito in mondovisione, forse per la prima volta che io ricordi, ad una seduta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il nostro miglior uomo, nostro in quanto occidentali, ha arringato piuttosto arrabbiato il Mondo dicendo che se questa istituzione planetaria non è in grado di istruire un processo tipo Norimberga, se non è in grado di estromettere la Russia ed il suo fastidioso diritto di veto dal Consiglio di Sicurezza, allora tanto vale che l’ONU si sciolga ed ammetta la sua inutilità ed impotenza, lasciando il campo a qualche nuova forma ordinativa. Dopo settantasette anni, l’Assemblea dell’Umanità è stata arringata e sferzata da un ex comico ucraino che dopo aver invocato ripetutamente atti che porterebbero alla Terza guerra mondiale, dopo aver arringato e sgridato o parlamenti occidentali distribuendo via Zoom voti dei buoni e dei cattivi, dopo aver detto al parlamento degli ebrei israeliti di decidere da che parte stare nella grande battaglia finale del Bene contro il Male nella piana di Armageddon, arriva a dire al Mondo che deve sciogliere questa sua unica istituzione che ne riflette la globalità, visto che non riesce a decidere da che parte stare.

A fine marzo 2022 si contano 59 guerre attive di varia intensità nel mondo, ma solo la sua conta. Quella in Libia ha fatto pare 15.000 morti mal contati così come quella in Yemen, la ventennale in Afghanistan ha fatto 50.000 vittime civili, forse 200.000 in Iraq, quella in Siria ha fatto circa 500.000 morti, ma nessuno ha mai avuto la possibilità di andare all’ONU a lamentarsene.

Il corrispettivo di Zelensky nel sistema finanziario globale, il nostro miglioro uomo in quel ambito, quel Larry Fink CEO di BlackRock, ha serenamente sancito quello che già i più sapevano ovvero la fine della globalizzazione. Il denaro si traferirà sul digitale e la transizione energetica va spalmata ad anni se non decenni, nel mentre si torna al carbone o si sdogana in fretta il nucleare. I prezzi aumenteranno violentemente, ma molte produzioni prima disperse nelle catene del valore globale torneranno entro i confini dei sistemi di civiltà. L’Europa dell’est, ad esempio, potrebbe diventare il posto migliore in cui riportare produzioni appaltate in Asia, contando su poche regole e basso costo del lavoro. Ma se qualcuno in Africa o in Sud America si mostrerà buon amico del nuovo sistema occidentale, potrà meritare anche lui qualche delocalizzazione.

Nel frattempo, il sistema occidentale scopre improvvisamente che tutto ciò porta a doversi difendere dalla barbarie circondante e quale miglior difesa dell’attacco? Eccoci, quindi, tutti obbligati a riarmarci, siamo improvvisamente tutti in guerra. Tutti ora a studiare i missili ipersonici, bio-armi, cosmo-armi, psico-armi, info-armi e chissà cos’altro.

La guerra è una istituzione umana che, contrariamente a quanto alcuni ritengono, compare tardi nella nostra storia. La più antica prova di un massacro da scontro armato che abbiamo, data a soli 13.000 anni fa. Se ne trovano pochissimi altri esempi sino a che l’atmosfera territoriale in quel della Mesopotamia si scalda, più o meno a partire da 6000 anni fa. Lì si manifesta quella densità territoriale che in rapporto allo spazio e sue risorse, è il motivo per cui facciamo guerre ovvero pratica di violenza tra gruppi umani. Da allora, non abbiamo più smesso.

Finita quella ucraina scommetto sul Polo Nord, tanto lì non ci sono spettatori e ci si potrà darsele di santa ragione. Ci sono 412 miliardi di barili di petrolio e gas fossile, praticamente il 22% delle riserve globali, per un valore totale di 28.000 miliardi di dollari, più uranio, terre rare, oro, diamanti, zinco, nickel, carbone, grafite, palladio, ferro e le insidiose rotte della via della Seta del Sauron pechinese appoggiate dagli orchi russi.

Gli Stati Uniti debbono risolvere l’impossibile equazione del come mantenere un sostanziale controllo diretto ed indiretto sul Mondo onde preservare il loro comodo rapporto tra una esigua popolazione (4,5% del pianeta) ed una cospicua ricchezza (25% del Pil mondiale). Questo, nel mentre l’85% del mondo, cioè il non-Occidente, cresce in demografia e ricchezza, da decenni e per previsti decenni futuri. Il mondo si è molto densificato negli ultimi settanta anni, quindi, che si fa?

La guerra, appunto. Prima si rinserrano le fila del sistema occidentale, poi si rompe il consesso mondiale a vari livelli (la rottura delle c.d. organizzazioni multilaterali dall’ONU al WTO, continuerà nelle prossime settimane a mesi, potete giurarci), poi ci si trova nel più semplice formato “Civiltà vs Barbarie”, poi sarà quel che sarà.

La costruzione del blocco delle democrazie di mercato procede spedito a dimostrazione del fatto che tutto questo è stato a lungo prima pensato, poi preparato, ora eseguito con visione ed intenzione assai decisa. Catturata l’Europa, ora la NATO si rilancia in chiave globale. Alla riunione NATO del 6 aprile, si è messo in agenda la possibile disdetta dell’accordo del 1997 che istituì il Consiglio permanente congiunto Nato-Russia che vietava all’Alleanza di schierare ordigni nucleari nelle repubbliche ex Patto di Varsavia. Svezia e Finlandia stanno per rompere gli indugi per entrare operativamente nell’Alleanza portando la minaccia diretta a San Pietroburgo. Nel documento finale compaiono aggregati alle intenzioni nord atlantiche, gli AP4 (Asia-Pacifico-4 ovvero Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Giappone) dopo che gli USA ed UK avevano già stretto l’alleanza militare diretta con Australia. Il Giappone, dopo lunga preparazione delle opinioni pubbliche che va avanti da qualche anno, sta valicando l’autoimposto limite al riarmo. Poi sarà l’aggiornamento dei Paesi a cui è concessa l’arma atomica. Il lungo post WWII è terminato, le potenze perdenti ora sono inglobate funzionalmente nel dominio a centro americano e così pioveranno miliardi per il riarmo di Germania e Giappone.

Tutto questo si sta svolgendo davanti ai nostri occhi attoniti. Villaggio globale, multiculturalismo, globalizzazione, soft power, governo mondiale, comunità di destino, cura della casa naturale comune planetaria ed una susseguente arruffata collezione di concetti che ancora un mese fa facevano sistema dogmatico di riferimento di ogni buon occidentale dal cuore d’oro, via. Ora il gioco diventa improvvisamente duro e quindi è il momento in cui i duri cominciano a giocare. Cominciando dal portarsi via il pallone perché o si fa parte della SuperLega delle democrazie di mercato di pelle bianca o non si gioca più. Si spara.

Non vi piace? Vabbe’, è previsto, almeno all’inizio un po’ di smarrimento è concesso. Ma vedrete che tra qualche mese, dopo bombardamenti psico-valoriali 7/24, finirete col schierarvi con Rampini. Basta con questa lagnosa autocoscienza critica occidentale, siamo la Civiltà guida ed un sordido mondo sempre più trafficato ci assedia. Tutti quindi a difendere le mura della città stante che, com’è noto, la miglior difesa è l’attacco. A livello di sistema-mondo, il motto ora è “la Russia fuori, la Cina sotto, nuovi alleati dentro”. Il regolamento di conti finale si sta preparando in gran fretta, per un Nuovo Secolo Americano questa è l’ultima chiamata e la risposta che vediamo approntarsi promette fuochi artificiali di grande effetto. Del resto senso comune dice che “non c’è due senza tre” e la prima impensabile WWIII, fa capolino all’orizzonte degli eventi che mai avremmo voluto vedere.

– SONDERWEG – Alle radici del cosmo russo : cicli della storia. FINE [cap.4]_di Daniele Lanza

COSA è la Russia ? Cosa NON è ?
Quello che chiamiamo “Russia” e che identifichiamo con i confini politico amministrativi tratteggiati sulle carte non è quanto pensiamo o meglio, lo è solo in parte. La Russia – l’entità unitaria panrussa emersa nella prima età moderna, sopravvissuta sino ad oggi traverso innumerevoli mutazioni – sebbene ovviamente detenga lo status legale di stato, non lo è nella stessa accezione in cui lo sono i suoi analoghi europei ad occidente e questo per ragioni di fondo che a loro volta sollevano quesiti ultimi, come la natura e il significato dello stato stesso – in generale – e il suo rapporto con la società.
Per rimarcare la distanza tra il modello russo e gli stati europei si cita normalmente la dimensione geografica non comparabile naturalmente (che la Russia non sia uno stato nazionale in senso europeo è lapalissiano), ma nel fare questo si sorvola un elemento che ha più a che fare con la metafisica che con il materiale : l’analisi filosofica ha suggerito che altro non si tratti che di Costantinopoli, metafisicamente eiettata dal Bosforo e riemersa oltre 1000 km a nord nel cuore della pianura slavo orientale, entro i piccoli confini di un principato russo : a quest’ultimo, inizialmente minuscolo depositario simbolico della tradizione greca, le circostanze storiche permettono però di ingigantirsi all’inverosimile riproponendo l’impero bizantino (o quello ellenistico di Alessandro addirittura, per essere visionari all’iperbole) idealmente traslato su differenti coordinate geografiche.
Benchè le circostanze e quindi le strutture materiali mutino con l’andare del tempo, il substrato concettuale “universale” (che è il proprio SONDERWEG e al tempo stesso eccezionalità) tende a persistere, ridipingendosi di era in era a seconda del caso (con le tendenze o ideologie del momento) : l’andamento imponderabile degli eventi porta lo stato russo ad allontanarsi e scollarsi talvolta dalla propria “unicità” o “eccezionalità” per poi tornarvi inevitabilmente come per una legge della fisica, allorchè questa distanza dal sonderweg diventi intollerabile. Abbiamo dunque a che fare con un fenomeno analizzabile col metro della storia di lunghissimo corso : l’andamento ciclico di una civilizzazione. L’andamento ciclico della storia russa si percepisce alla luce dei passaggi che si sono visti nei capitoli precedenti : la Terza Roma si affievolisce si secolarizza (non riesce a far fronte alla secolarizzazione che investe tutto l’emisfero europeo) lasciando sul terreno un già grande aggregato territoriale che però è troppo fragile per affrontare le sfide dell’era nuova. Serve pertanto un nuovo “credo secolare” che Pietro il grande fornisce al paese trasformando il vecchio zarato in IMPERO RUSSO : Pietro Romanov che probabilmente realizzava la vulnerabilità del vecchio stato, bene memore del quasi annullamento agli inizi del secolo stesso per opera dei polacchi, decide dunque per un ritorno al concetto di “eccezionale” che si stava perdendo, tramite la sua idea di stato. Recuperare l’eccezionalità è una zona di passaggio TRAUMATICA, dal momento che per alterare l’andamento storico in corso occorrono misure radicali : così come quasi due secoli avanti Ivan il terribile carica con ideali messianici il proprio giovane zarato lanciandolo in imprese per l’epoca titaniche, Pietro il grande a sua volta sfigura il volto della società russa del suo tempo, ne attua una metamorfosi di prima grandezza consegnandola temporaneamente all’occidente.
Quando l’impero è oramai decadente e non può più servire allo scopo di difendere la sacralità dello spazio russo da interferenze esterne (ma anzi si va verso il collasso e lo smembramento territoriale) allora tutto si rimette in moto : in questo frangente una forza si interpone per impedirne la fine e questa è rappresentata dai bolscevichi stessi che invertono dalle fondamenta il moto di decomposizione dello stato russo (bramato dai suoi rivali). Nel riportare la capitale da San Pietroburgo a MOSCA, simbolicamente pongono fine non solo alla parentesi imperiale, ma anche alla parentesi OCCIDENTALE del paese, recuperando in un solo colpo non soltanto un’ideale universale (nell’ideologia socialista) , ma anche recuperando il destino distaccato dall’occidente della civilizzazione russa : il sonderweg, il cammino separato (in questo caso nei confronti dell’occidente) è recuperato nella cortina di ferro che cala attorno al primo stato socialista al mondo (perlomeno in prospettiva nazionalista e “autoctonista” si può interpretare così la dinamica).
Il processo rivoluzionario con quanto consegue, è il cataclisma che si abbatte sulla società russa della prima metà del 900, eppure anche questo in un’ottica patriottica è un male necessario : polverizzare i muri del presente, tramite una purificazione militare – per quanto traumatico – onde evitare che la sua decadenza trascini nel baratro finale (pathos dell’avvicendarsi di crepuscolo e rinascita).
Questo cammino ci porta i nostri giorni : l’era sovietica che per buona parte del secolo puntella il paese, si dissolve aprendo la strada allo spettro della disintegrazione territoriale impedita 70 anni prima. Non solo è in gioco la Russia “estesa” ovvero il suo hinterland di repubbliche post-sovietiche, ma ora lo stesso HEARTLAND è a rischio : a rischio di smarrire sé stesso, come ebbro di idee estranee alla propria tradizione ancestrale nell’era della comunicazione di massa, della globalizzazione, che agiscono come veicoli formidabili della dominanza occidentale sulla cultura planetaria con tempistiche di rapidità sconosciuta al passato.
Ancora una volta la storia si ripete dunque ! Come al tempo di Ivan IV, come al tempo di Pietro il Grande, come al tempo della rivoluzione d’ottobre, assistiamo ad un momento di grave crisi non solo dello stato russo, ma della stessa IDEA RUSSA ovvero in quanto civilizzazione a sé stante. La tragedia del decennio Ieltsiniano seguita da un “salvatore” nel ventennio a seguire non è dunque strana, ma al contrario segue perfettamente la logica di riassestamento del “destino” : varcata la soglia critica……si mette in moto qualcosa che si muove in direzione opposta per salvaguardare il “nucleo” della civiltà.
Vladimir Putin risulta quindi essere una di quelle enigmatiche (o tragiche) figure, quali statisti o sovrani che loro malgrado si trovano in fasi di passaggio : di coloro che trovano dietro sé macerie e dinnanzi a sé l’ignoto, dovendo farvi fronte con i mezzi che hanno. Se una spiegazione (non giustificazione) si può trovare per l’attuale presidente di Russia si potrebbe dire che è una persona ordinaria in circostanze (per il proprio paese) NON ordinarie : e disgraziatamente non si può far fronte a circostanze straordinarie con mezzi ordinari. In ottica russa nazionalista e considerato il contesto altro non sarebbe che uno strumento della storia, cui è affidato l’arduo compito di restaurare il giusto sentiero per la propria civiltà rimettendone in sesto la struttura materiale che si chiama stato.
La “creatura” in questione – al di là della formalità giuridica – NON è uno stato nazionale e nemmeno uno stato multietnico (come si vantano d’essere i più moderni stati d’occidente) : è uno stato sovranazionale ovvero sé stesso ed al tempo medesimo più di questo, definendosi proprio in quella che per noi è una contraddizione in termini (ma la stessa tradizione cristiana non vede forse tre entità in una sola ??). Si può evitare di sprofondare nella trappola semantica semplicemente superandola ed arrivando alla comprensione che quella russa è una forma di civilizzazione indipendente, a sé stante. Quella cui abbiamo assistito in questo ultimo mese tra Russia e Ucraina NON è una guerra tra due stati, ma una guerra CIVILE (interna alla “sovranazionalità” russa) e l’attrito trasformatosi in seconda guerra fredda tra paesi dell’occidente e Mosca NON è un conflitto tra stati (come la storia della diplomazia ci direbbe) bensì un confronto di civiltà : quella occidentale di stampo latino e germanico – immensa e frammentata in una moltitudine di stati e lingue diverse , mentre dall’altro quella russa di stampo bizantino, entità più limitata demograficamente ed economicamente, ma altrettanto grande geograficamente, unificata politicamente e linguisticamente e non priva di risorse naturali ed alleati (soprattutto). Questo il corretto modo – benchè troppo astratto per molti – di leggere le cose.
Il presidente legale (Vladimir Putin) dello spazio territoriale coincidente con tale civilizzazione ha come deciso – consapevolmente o meno – di assumersi un complesso ruolo storico che lo inserisce nel solco dei predecessori in quell’andamento ciclico che abbiamo tentato di descrivere. Una sfida molto ambiziosa considerato il grado di permeabilità del mondo odierno rispetto a secoli ed anche solo generazioni passate : COME ritornare al proprio sonderweg nel 21° secolo ? L’unica cosa certa, osservando l’andamento ciclico è che produrre il riavvicinamento comporta fiumi di sangue o in ogni caso un sacrificio collettivo di entità non calcolabile.
Il Sonderweg è in buona parte idea : reggerà la società russa al prezzo richiesto per tornare all’”idea” rinunciando al bene materiale che la generazione di apertura al mondo esterno ha portato? Non occorre perdersi in una diatriba “idea-materia” degna di Platone e Aristotele per carità (!), basti riflettere più concretamente sulla determinazione che caratterizza ogni suo passo a partire dall’inizio del conflitto : l’indifferenza riguardo lo scollegamento della Russia da molti benefit offerti dalla civiltà del consumo e della rete internet (dai fast food ai social network) è prova lampante di un atteggiamento particolare….non si odia l’occidente, ma se ne può fare a meno. Forse si invita a farne a meno : non si negano le comodità occidentali al proprio popolo, ma si ottiene che sia l’occidente a toglierle ottenendo così un doppio vantaggio : l’influenza materiale occidentale si attenua e non si potrà incolpare (direttamente) lo stato russo per questo (dall’esterno si dirà che è la Russia ad aver iniziato il conflitto, meritandosi la risposta, ma da una prospettiva interna non è così : la popolazione , che in generale supporta il proprio stato, se non il governo, attribuirà la colpa alla negatività occidentale contro i russi. Si incolperà il mondo esterno e non la Russia in sé). In sintesi efficace e dura come la pietra : nemmeno la minaccia di uno scollegamento totale dall’internet globale pare aver sortito un effetto significativo, nei giorni peggiori.
Concludiamo.
Riguardo il presidente concluderemmo che oramai – prossimo alla pensione – si è addossato un ruolo che va ben oltre la vita mortale di alcuno, fuori misura. Ha rinunciato ad un comune successore preferendo invece prendere una decisione storica che avrà obbligatoriamente riflessi su qualsiasi successore avrà mai : ha rimesso in moto la catena degli eventi, ha prodotto un’alterazione nello scorrimento temporale (per parlare come in fantascienza) della storia per il secolo in questione………questa la sua eredità a prescindere da come vada.
Vladimir Putin è un uomo profondamente solo, non compreso né dai nemici e nemmeno dagli amici, da coloro che ne sostengono le cause per pura fedeltà, dalla folla urlante che pure lo applaude per fisiologico trasporto patriottico, ma senza capire l’essenza intima delle sue ragioni. Un uomo che lascia ai suoi successori un enigmatico vuoto : COME farà la Russia a difendere il proprio nucleo vitale e il binario prestabilito (sonderweg) nel contesto globalizzato del 21° secolo ? Quale energia si utilizzerà per rendere coesa la società ? Ideologia ? Fede dinastica ? Fede religiosa ? Tutte sono esaurite storicamente e nulla di nuovo è stato proposto : il VUOTO è il peggiore nemico della Russia (non gli USA o la Nato), la più macroscopica lacuna che nemmeno l’uomo “del destino” ha potuto per ora modificare : l’assenza di un verbo materiale traverso il quale l’idea russa possa reincarnarsi come nei secoli passati, di volta in volta. Nessun nuovo anello dell’andamento ciclico è stato forgiato per questa fase di passaggio : possiamo quindi concludere che Putin nel scegliere uno “stato di cose” (o ritorno al sonderweg) anziché un successore in carne ed ossa ha optato per una variante grandiosa nell’uscire di scena…solo che al momento è monca. Come un regista che ha una grande sceneggiatura, ma di fatto scarso budget per realizzarlo sullo schermo (per metterla così).
I cicli passati sono analizzabili, ma quelli futuri sono imponderabili. Il 21° secolo vedrà.

 

SONDERWEG – Alle radici del cosmo russo : 1721-1921 (dai vascelli di Pietro alla corrente elettrica di Lenin [cap.3], di Daniele Lanza

3
Il nostro “spazio sacro” pian piano sbiadisce con l’avanzare dell’età di mezzo della storia europea.
Ecco quindi un secondo momento, ancor più stravolgente che ritroviamo al momento di passaggio col secolo ancora seguente (XVIII) : la riforma epocale orchestrata da Pietro il grande (primo ¼ del 18° secolo), sembrerebbe violare il canone di fondo del cosmo russo in quanto comparto geoculturale caratterizzato distinto da quello dell’occidente. In effetti l’identità pienamente europea scelta dal nuovo zar è qualcosa di emblematico che contrasta radicalmente col concetto di Russia vigente al suo tempo, con la sua immagine prestabilita, che esce fuori dalla storia (nel senso di uscire fuori del proprio destino naturale).
La questione ontologica che le riforme petrine schiudono è oggetto di riflessione sia nel momento in cui vengono messe in atto, sia nelle fasi storiche a venire quando diverranno oggetti di studio, nonché – tra i circoli intellettuali – quesito accademico ai massimi sistemi in merito all’identità russa. Le stesse correnti conservatrici e patriottiche contemporanee possono avere qualche frizione in merito : i più tradizionalisti sostenitori dell’idea eurasista sottolineano l’acuta contraddizione, lo strappo con una tradizione di autoctonia rispetto all’occidente, che si ricuce simbolicamente col ritorno della capitale in Mosca, sprofondati nello heartland russo, all’indomani della rivoluzione d’ottobre, mentre gli oppositori viceversa sostengono la scelta di Pietro il grande in favore della patria più forte che generò con le sue scelte. Nota oltremodo agli specialisti di filologia slava e filosofi la cesura morale mai sanata tra “occidentalisti” e “slavofili” che incendia il discorso culturale del XIX nell’impero zarista : i primi sono favorevoli ad un’apertura nei confronti del mondo esterno, mentre i secondi mostrano invece un atteggiamento strenuamente conservatore in merito al nucleo di civilizzazione russa da preservare dalla minaccia di idee aliene ad esso. Per proporre un’analogia efficace che renda l’entità del contrasto si può affermare che mentre in occidente nell’impero kaiseriano contemporaneo infuriava la kulturkampf tra l’identità prussiana sostenuta da Bismark e l’influenza ecclesiastica cattolica, nel contesto russo imperiale tale battaglia di cultura concerneva il rapporto tra occidente e Russia ossia il tema esistenziale in merito all’identità russa
Ad essere sinceri tale diatriba perde senso se si adotta un criterio d’analisi di corso ancor più lungo – cioè se si considera la bisecolare parentesi imperiale russa in un più grande continuum che copre il mezzo millennio che arriva ai giorni nostri – e considerando una straordinaria elasticità mentale tipica degli antichi imperi : la Russia imperiale occidentalizzata di Pietro il grande, per quanto in antitesi con la tradizione autoctona è anch’essa a modo suo una estesissima e particolare fase di transizione del cosmo slavo orientale adottata al fine di SOPRAVVIVERE alle sfide della modernità, che un sovrano molto acuto già intuiva. Pietro il grande viaggiò fuori del suo paese, la Russia profonda, più di altri, rendendosi conto – assai più dei suoi predecessori – di quanto fosse inadeguato il paese alla sfida che si sarebbe posta nel secolo entrante (1700) : si optò pertanto per una soluzione estrema, simile ad una terapia d’urto come adattare forzatamente il paese ai metodi e alle consuetudini dei suoi rivali d’occidente (che già allora si percepiva avrebbero presto controllato il globo). Diventare simili al proprio nemico, imparare da lui ed assumerne le armi proprio per evitare di esserne travolti un giorno : farlo meglio e il più presto possibile prima che sia troppo tardi (la stessa cosa che il Giappone imperiale tentò di fare a metà 800 per difendersi da europei e americani che bussavano alle porte ! La Cina lo ha fatto a partire dal 900. La Russia semplicemente decise di farlo 1-2 secoli prima).
Una vera contraddizione in termini ne nasce….una Russia che accetta l’estremo sacrificio di trasformarsi dalle fondamenta al fine di sopravvivere e rimanere sé stessa (perlomeno mantenere un suo nucleo inalterato. L’identità russa come è consegnata al mondo dalle riforme petrine, cela un dilemma : l’operazione di occidentalizzazione ha successo e la Russia recupera in qualche modo un’ideale imperiale (più standardizzato e razionalizzato) anche se al prezzo estremo di allontanarsi dal suo alveo d’origine. La Russia si innova e si fortifica sebbene a costo di prendere a modello gli stati europei la cui civilizzazione è rivale a quella slavo orientale : il paradosso di una sopravvivenza assicurata assumendo la forma e le abitudini dell’avversario il cui modello si vuole evitare. Contraddizione eliminata, spazzata via quando ancora altri 2 secoli più tardi un’onda sismica bussa alla porta (nel 1917).
Si entra quindi nel secolo veloce (900) : il paese, malgrado le centinaia d’anni d’espansione territoriale è nuovamente in situazione di drammatica inadeguatezza rispetto al mondo circostante che incalza e in particolare rispetto a quel “golden standard” che è l’occidente europeo (ed americano ora). La Russia imperiale agli inizi del XX secolo sta annegando infatti : prima nazione bianca ad essere sconfitta sul campo da un paese asiatico emergente (Giappone, 1904), percorso da disordini, che infine si lancia nella mischia di quella grande guerra globale in gestazione da quasi 50 anni in Europa (la chiamiamo prima guerra mondiale). Il conflitto che è la tomba della società liberale europea, per quanto riguarda la Russia significa la potenziale disgregazione di quanto si era costruito nelle centinaia di anni passati : il rapido disfacimento totale e la potenziale liquefazione della patria (in un contesto moderno di penetrazione sempre più rapida del pensiero occidentale) a rischio di perdersi definitivamente.
Eppure no : guarda caso anche in tale frangente disperato accade qualcosa (accade sempre “qualcosa” come in base ad un indecifrabile equilibrio della storia). La Russia profonda si solleva, abbraccia la rivoluzione popolare (1917), scagliandosi con vigore mai visto contro tutti i suoi nemici, interni ed esterni : le antiche nobiltà di stampo germanico – che costellavano l’aristocrazia imperiale – scompaiono…..la dinastia imperiale muore, la capitale lascia le sponde del Baltico per tornare ad essere un punto nel cuore della Russia centrale. In generale cala una cortina di separazione tra il cosmo russo e il resto d’Europa che sembrava esser stata superata alle soglie dell’era contemporanea, quando si pensava (probabilmente) che più nulla oramai poteva tener separati i popoli in impermeabile isolamento.
Come se la parte più profonda del paese (il popolo slavo essenzialmente), dopo secoli di torpore, si fosse decisa a rovesciare tutto e tutti, liberandosi di quella sovrastruttura imperiale che un tempo era stata la sorgente di forza del paese……ma che ora ne era al contrario una catena che ne intralciava lo sviluppo relegandolo allo stato di arretratezza che ne sanciva la sconfitta, come la grande guerra aveva insegnato. Tempo dunque di tornare a quell’autonomia di pensiero, quell’autosufficienza che esisteva in un tempo remoto ormai dimenticato…sotto l’egida efficace e dinamica del verbo socialista : insolita, ma efficace l’affinità tra l’ideologia socialista e l’antica mentalità slava (poco prona al mercantilismo e capitalismo anglosassoni) e in parole semplici il marxismo-leninismo poteva ben rappresentare la nuova e più appropriata veste di quel nucleo di civilizzazione autonoma ed esprimerne il messaggio alternativo con il linguaggio e l’energia adatta ai tempi correnti.
Anche in questo caso – come al tempo di Pietro il grande – a casi estremi, estremi rimedi : la frattura tra passato e presente è totale….la faglia di divisione con l’anacronistico passato è profonda. Come vorranno i teorici della rivoluzione d’ottobre (di ieri e di oggi), essa costituisce un evento che “esce fuori della storia” ovvero fuori della rutine convenzionale del destino che aveva accompagnato la storia dell’umanità fino a quel momento, per inaugurare una nuova umanità……
Perlomeno questo avrebbe voluto la retorica comunista. La rivoluzione socialista dei bolscevichi “esce” dalla storia esattamente come ne “esce” la rivoluzione imperiale di Pietro il grande tanto tempo prima : la ragione e le circostanze sono le medesime del resto. Si tratta di SALVARE il grande paese e il suo cuore dal potere delle forze esterne ad esso, rafforzandolo, modernizzandolo con misure draconiane, anche a costo del consenso……modernizzare il corpo della nazione anche contro la sua volontà per il suo stesso bene (con la speranza che un giorno ringrazierà, come un giovanotto inesperto che dopo grida ed urla un giorno riconoscerà la saggezza del proprio educatore di un tempo). Prodigiosi saranno gli effetti del 1917, riportando una civilizzazione russa in decadenza di nuovo nel novero delle potenze planetarie del secolo XX. Tanto si potrebbe dire sulla rivoluzione socialista che la Russia fa propria, ma più di ogni cosa questo : nell’invertire il trend di decadenza dell’impero recupera quell’eccezionalità perduta, che era la fede ortodossa dei primi tsar dal XVI sec in avanti, sacrificata in nome di un più moderno, ma secolarizzato spirito imperiale da Pietro il grande nel XVIII. L’era socialista (almeno nelle premesse) non soltanto si sbarazza di un vestito ormai anacronistico come l’impero, ma addirittura lo supera tornando In UN CERTO SENSO alla carica universale della cristianità di Bisanzio (debitrice alla lontana dell’ellenismo stesso) in quel faro dei popoli che era l’entità sovietica, provvista di ineguagliabile ideale di giustizia sociale ed internazionalismo (…). L’Unione Sovietica torna ad incarnare una “patria dello spirito” come era quella di secoli addietro, anche se in differente ed inimmaginabile guisa : i bolscevichi in tale prospettiva (eterodossa per i più) i veri ed autentici salvatori della patria che ne ristabiliscono il destino naturale sotto la guida di Lenin, mentre i bianchi si ritrovano nello sgradito ruolo di falsi nazionalisti, combattenti a sostegno di una Russia (occidentalizzata) che non è quella reale, che deraglia dalla sua prerogativa “autoctona”.
Lungi dall’essere eterno il faro dei popoli tuttavia.
L’esperimento socialista sovietico si arena all’improvviso dopo 7 decadi, riportando nuovamente al disfacimento della patria come 70 anni prima : si rimette in moto quel moto di disgregazione che lo stato nato dalla rivoluzione bolscevica aveva arrestato per buona parte del secolo XX.
Tempo di perestroika, Gorbachev e quindi Eltsin (si sa pressochè tutto) e quel tragitto che ci porta sino a noi oggi.
Mi sono addossato la responsabilità di dare al lettore una visione globale delle cose (obiettivo arrogante più che ambizioso, eppure le circostanze autorizzano un tentativo almeno). Cerchiamo di andare al punto della situazione e concludere questo fiume di parole che ormai può confondere chi lo legge. Torniamo idealmente all’incipit di questa serie di capitoli, con il prossimo e conclusivo…

 

Ucraina! Il vizio d’origine di un regime_di Max Bonelli

La narrazione di casa nostra ci presenta ossessivamente Zelensky, un attore nel pieno esercizio delle sue funzioni e il regime ucraino come i paladini delle libertà del mondo occidentale in antitesi al totalitarismo dell’invasore russo. Max Bonelli ci offre un primo spaccato inquietante della natura del regime ucraino, impegnato a combattere con la stessa intensità sia l’esercito russo che una parte molto significativa della propria popolazione. Un regime che ovviamente ha il diritto di opporsi militarmente, ma che altrettanto ovviamente in questi anni ha perseguito politicamente una linea di aperta ostilità ed aggressione verso la Russia e di feroce repressione verso una componente fondamentale della propria popolazione e ai danni della consistente opposizione politica presente nel paese. Il regime ha avuto quasi dieci anni per cercare un accordo dignitoso con le parti. Istigato e lautamente foraggiato dalle componenti più avventuriste delle élites statunitensi ed europee ha scelto la strada di un nazionalismo territoriale ed etnico che prescinde dalla complessità ed eterogeneità del paese. Un aspetto particolarmente inquietante anche e soprattutto per i paesi della Unione Europea. Il lirismo che ammanta le azioni della dirigenza europeista, visto l’esito dell’esperimento ucraino ed il veleno introiettato dall’accettazione senza remore nel proprio seno del particolare nazionalismo proprio di buona parte dei paesi dell’Europa Orientale, è una maschera che con disinvoltura nasconde ormai a stenti intenti particolarmente inquietanti, già intravisti nella gestione della crisi pandemica ed una supina ed autodistruttiva subordinazione politica all’avventurismo statunitense, disposto ad alimentare e strumentalizzare chiunque, per quanto impresentabile, pur di perseguire i propri obbiettivi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v10kpiv-peccati-dorigine-di-un-regime-con-max-bonelli.html

 

 

gli ultimi giorni della battaglia per Mariupol, di gilbert doctorow

Leggi tutto: gli ultimi giorni della battaglia per Mariupol

L’operazione russa per la presa della città portuale di Mariupol sta volgendo a buon fine. Il “successo” deve essere inteso oggi in un senso qualificato, dal momento che gran parte della città ora giace in rovina e fino a 4.000 civili potrebbero essere stati uccisi nei combattimenti, in gran parte vittime degli ultranazionalisti ucraini felici scatenati. I soldati del battaglione Azov e altri irregolari che trattenevano la città da posizioni fortificate nelle comunità residenziali di questa città di 460.000 hanno sparato arbitrariamente a coloro che hanno cercato di fuggire dai sotterranei dei condomini per andare a prendere l’acqua o che hanno osato tentare di raggiungere i corridoi umanitari e uscire dal città. La popolazione civile fu tenuta in ostaggio e costituiva uno “scudo umano”. Hanno protetto le forze ucraine dalla piena furia dell’artiglieria russa e dagli attacchi aerei di precisione,

Tutti i combattimenti per Mariupol hanno avuto pochissima copertura nei media occidentali. Tutto ciò di cui abbiamo sentito parlare è stata la difficoltà di stabilire corridoi umanitari e interviste con i pochi civili terrorizzati che sono riusciti a raggiungere l’Occidente. Ad essere onesti, la situazione sul campo a Mariupol è stata riferita solo in parte dai russi perché è stato un lavoro in corso che hanno mantenuto sotto regole di segretezza in linea con la loro intera “operazione militare speciale”.

Ora che la cattura di Mariupol è nella sua fase finale, alcune informazioni di valore sono state pubblicate nei media russi alternativi e propongo di presentarle qui per dare ai lettori un’idea di come questa guerra viene perseguita e perché. Fonte principale:  https://www.9111.ru/questions/777777777771838727/

In effetti, la maggior parte della città vera e propria è stata presa dall’esercito russo e dalle milizie di Donetsk, con la significativa assistenza di un battaglione di ceceni guidato dal loro leader Kadyrov. Poiché le rotte fuori città in direzione est sono state liberate e poiché i cecchini e altre forze Azov sono stati respinti per fornire un certo livello di sicurezza nelle strade, un gran numero di civili ha lasciato la città la scorsa settimana. Si stima che la popolazione civile rimasta a Mariupol attualmente sia circa un terzo di quella che era all’inizio del conflitto.

I combattenti Azov, altri irregolari e le forze dell’esercito ucraino erano all’inizio circa 4.000 e ora sono stati ridotti a causa delle vittime. Tra di loro ci sono “mercenari stranieri” come dicono da tempo i russi. Ora dalle conversazioni telefoniche intercettate di questi belligeranti, sembra che tra gli stranieri ci siano istruttori della NATO. Ciò significa che la guerra per procura tra Russia e USA/NATO inizia ad avvicinarsi a un confronto diretto, contraddicendo le dichiarazioni pubbliche dell’amministrazione Biden. Se i russi riusciranno a portare in vita questi istruttori della NATO, che è uno dei loro compiti prioritari, le prossime sessioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU potrebbero essere molto tese.

A dire il vero, le 4.000 forze nemiche sopra menzionate erano solo quelle all’interno della città. Le forze ucraine, forse dieci volte di più, erano posizionate a ovest della città all’inizio delle ostilità. Presumibilmente sono stati respinti in Occidente.

Come sappiamo da circa una settimana, le restanti forze dell’Azov e altre forze ucraine si sono ritirate dalla città vera e propria in due località alla periferia di Mariupol: il porto e il territorio industriale dell’Azovstal. I russi ora hanno completamente accerchiato entrambi.

Il porto corre per circa 3 chilometri lungo il mare e raggiunge nell’entroterra circa 300 metri. È da qui che la scorsa settimana il gruppo Azov ha cercato di inviare in elicottero una dozzina o più dei suoi alti ufficiali. L’elicottero è stato abbattuto dai russi, uccidendo tutti a bordo. Anche un elicottero di soccorso è stato distrutto dai russi, ma qui è sopravvissuto un ucraino ed è stato interrogato sull’operazione fallita.

Il porto viene ora sgomberato dalle forze nemiche, con la milizia del Donbas in testa.  

Il complesso industriale dell’Azovstal è molto più difficile da decifrare. Si compone di due acciaierie. La loro caratteristica specifica sono i livelli sotterranei che scendono da sei a otto piani, dove il nemico deve essere stanato con metodi d’assedio non con sbarramenti di artiglieria o bombardamenti. Potrebbero esserci fino a 3.000 nazionalisti e soldati dell’esercito ucraino. Il compito principale per i russi è controllare tutti gli ingressi e le uscite della metropolitana.

I russi non stanno bombardando per due motivi:

Primo, non ha senso distruggere l’infrastruttura sopra il livello del suolo se il nemico è rintanato al di sotto. Inoltre, nelle vicinanze sono presenti alcuni edifici residenziali.

Secondo, se bombardi e seppellisci i nazionalisti sottoterra, non ci saranno testimoni da portare in tribunale per parlare delle atrocità che queste persone hanno commesso nel Donbas. E potrebbero benissimo esserci in questi bunker sotterranei ancora altri laboratori biologici che fino ad ora sono stati tenuti molto accuratamente nascosti alla vista. I russi vogliono mettere le mani sulla prova.

Qualunque sia il livello di distruzione, la vittoria russa in attesa sulle forze ucraine a Mariupol è tutt’altro che di Pirro. Si tratta di una vittoria a sangue pieno di grande importanza strategica in quanto dà ai russi il pieno controllo del litorale del Mar d’Azov. Sigilla il ponte terrestre che collega la terraferma della Federazione Russa con la Crimea. È anche un elemento chiave per garantire l’approvvigionamento idrico della Crimea, che era stata interrotta dall’Ucraina per infliggere il massimo dolore alla Crimea russa. Con l’acqua che scorre ancora una volta dal Dnepr, vi sono solide basi per riprendere l’agricoltura in Crimea ai suoi livelli tradizionali e anche per sostenere gli afflussi turistici, una fonte di reddito fondamentale per la regione. A ciò si aggiunga la probabilità che con un po’ di tempo e investimenti, Mariupol riassuma il suo importante ruolo economico di porto marittimo e città industriale.

©Gilbert Doctorow, 2022

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