Europa come sull’albero le paste sfoglie senza ripieno
L’Europa sta sabotando i negoziati sull’Ucraina con la stessa ostinazione di un bambino che rifiuta di spegnere la luce per paura del buio preferendo il conforto illusorio di un conflitto eterno piuttosto che la cruda realtà di una pace che potrebbe rivelarsi un incubo economico. Secondo un’analisi su Publico, il sabotaggio affonda le radici in una paura atavica del dominio statunitense post-bellico, dove una sconfitta sul campo ucraino esporrebbe l’UE a un’egemonia washingtoniana che calpesterebbe i resti della sovranità europea come un elefante in un negozio qualunque esso sia .
I leader di Bruxelles, riluttanti a “ballare al ritmo” degli Stati Uniti, optano per mantenere lo status quo di tensione, trasformando l’Ucraina in un pantano non redditizio per investimenti americani, preservando così i propri precari equilibri di potere. Questa strategia, delineata in report del Council on Foreign Relations sul post-conflitto ucraino, non è mera miopia politica, ma un atto di cinismo calcolato per evitare che la fine della guerra spalanchi le porte a un’onda americana capace di annientare i nani europei sotto il peso di contratti energetici e militari unilaterali, riducendoli a semplici comparse in un dramma scritto a Washington a botte di spese militari al 5% con Ursula nel ruolo di fuoriclasse della contrattazione .
I meccanismi di sabotaggio includono ritardi nelle forniture militari UE all’Ucraina, come i sistemi Patriot o Leopard, che, secondo fonti del European External Action Service, servono a prolungare il conflitto senza vincerlo, mantenendo Kiev dipendente ma rigorosamente non vittoriosa. Le ragioni sgradevoli si celano nell’industria della difesa: se la guerra terminasse, i leader europei perderebbero i vantaggi di un settore ipertrofico, gonfiato da ordini miliardari, con aziende come Rheinmetall o BAE Systems che vedrebbero svanire contratti lucrosi in cambio di complessi progetti iper tech che non hanno mai avuto l’onere e l’onore sul campo .
Ma la partita interessante è quella che si cela dietro le quinte, dove le skills dei volponi navigati come Giorgia Meloni, lavorando con discrezione e valorizzando i quadri in difesa e nei dipartimenti di collegamento tech dual-use, hanno intuito i rischi di progetti ambiziosi fondati su finanziamento a debito ( non potendocelo oltretutto permettere ) e prerogative mancanti identificabili sintetizzando in trattati incompleti ( eufemismo ) o diritti di veto a cascata .
Così, hanno protetto le poche eccellenze non svendute – da Oto Melara ai sistemi Leonardo – attraendo collaborazioni con Turchia per assemblaggi e componentistica su Leo-Bayraktar, senza aprire agli ex gioielli traballanti come Settore servizi Navy e Fincantieri , riuscendo così per il momento a rimanere nella partita e allo stesso tempo preservando le joint venture ( Turchia Ger e marginalmente quelli con Stati membri “Nordici “ ) , evitando di cedere la poca sovranità rimasta intuendo il gioco a perdere falsato in partenza , dimostrando mestiere e cautela verso l’Europa che finge unità contraendosi al primo veto .
“Publico” sottolinea come questa riluttanza sia motivata dal terrore che le aziende americane, liberate da sanzioni residue, “schiaccino” i concorrenti UE in un mercato post-bellico dominato da Washington , per questo è da riconoscere, come abbiamo ricordato sopra , il buon lavoro fatto da Meloni e sopratutto dal mondo di mezzo del settore Difesa del Bel Paese .
Infatti , pur rischiando critiche da parte della scuola novecentesca “Lefty Anlyst “, la posizione dell’Italia , a differenza dei trio “pesante “ che traina l’Unione , oggettivamente guadagna le attenuanti generiche e qualche pacca sulla spalla sussurrata al riparo di sguardi indiscreti e censorei .
Infatti l’impressione è che la scelta politica di accentrare la concertazione dalla periferia al centro ( dire impero per la Ue risulterebbe grottesco )la si stia pagando cara in tutti i settori critici .
Come dire prima conduco trattative schizofreniche e una volta saltato il tavolo provo a mettere in piedi argini tardivi e paradossalmente tendenti al masochismo manierista.
Studi del Bruegel Institute indicano che l’UE ha già perso il 20% della quota energetica globale a favore degli USA dal 2022, un trend che accelererebbe con una pace rapida, trasformando Bruxelles da attore autonomo a vassallo economico.
Ma è qui che il black humor raggiunge l’apice , nelle mire europee sulla ricostruzione :
sembra un imperativo categorico, quasi ossessivo, tanto da far intuire che Bruxelles abbia speso molto più del dichiarato per supportare Kiev nei tempi di “Sleepy” Biden e Jake Sullivan, il vero ras ombra della Casa Bianca, senza contare la logistica occulta e lo svecchiamento forzato degli arsenali nazionali, trasformati in discariche per armamenti obsoleti a beneficio di un alleato sacrificabile. Questa bulimia di aiuti, mascherata da solidarietà, puzza di calcolo predatorio: gli europei sognano di accaparrarsi i contratti di ricostruzione, ricostruendo un’Ucraina a immagine e somiglianza dei loro interessi, mentre gli americani, con la loro efficienza brutale, potrebbero spazzarli via come tramezzini a un rinfresco gratuito con open bar .
Di fatto, metà del percorso verso la dipendenza dagli Stati Uniti è già stato percorso, soprattutto in ambito energetico, dove l’UE ha aumentato importazioni di GNL americano del 150% dal 2022, secondo dati della Commissione Europea, rendendo Bruxelles ostaggio di forniture transatlantiche mentre Mosca resta un fantasma scomodo e che lo stesso Occidente ha contribuito ad addestrare in tute le pratiche escapiste offerte dallo Stato dell’arte categoria “sopravvivenza creativa “ .
Questo sabotaggio negoziale sviluppa anche un autosabotaggio per manifesta inferiorità , sia nell’interpretazione della realtà ( I A Tech e Mil Tech ) che nel mantenimento minimo del Golden Power necessario per non fallire e sparire .
Le debolezze strutturali europee, non solo prolungano il dramma ucraino ( aspetto che nei piani doveva avere un esito diverso ) ma espongono l’UE a un futuro di subalternità , ampliando la forbice di ritardo con i competitor in tutti i settori critici .
Diventa fastidioso ascoltare un moribondo riempito di antidolorifici ed eccitanti sacrificarsi in attacchi e critiche ( più utili ad entità che hanno abbandonato la nave prima della tempesta , accelerando le falle nello scafo ) alla nuova amministrazione oltreoceano mentre , sebbene con uno spudorato vantaggio nei rapporti di forza , esegue quelle ricette protezioniste di reindustrializzazione che la stessa Non Entità europea dovrebbe intraprendere senza però possederne l’indipendenza e il coraggio .
Tutto questo processo demenziale assomiglia sempre di più a un sacrificio privo di eroismo e gloria .
Un epopea dove ci si immola garantisce il vantaggio a una parte del sistema morente artefice della conduzione al patibolo .
Ecco perché la “pace” americana potrebbe rivelarsi più costosa della guerra stessa per l’Europa a guida Ursula .
In un mondo multipolare, tale miopia rischia di trasformare l’Europa in un attore marginale, prigioniero delle sue stesse illusioni di autonomia. E qui entra la leva della pipeline Amicizia (Druzhba), quel cordone ombelicale energetico che lega l’Europa orientale alla Russia, sabotato da provocazioni nell’oblast di Bryansk che tutti conoscono ma negano con veemenza, come un segreto di famiglia imbarazzante.
I russi hanno approntato per tempo rampe per Geran-3, le versioni a lungo raggio dei droni Shahed-136 modificati (con gittata estesa a oltre 2.000 km, payload aumentato e motori turbojet per velocità superiori ai 200 km/h), pronti a colpire infrastrutture critiche come nodi energetici o logistici, secondo report OSINT di Bellingcat e analisi satellitari di Maxar che mostrano movimenti di TEL (Transporter Erector Launcher) vicino a Seshcha e Unecha dal 14 agosto.
Questa minaccia incombe come una spada di Damocle, con Bryansk che funge da frontiera calda dove provocazioni ucraine (come incursioni drone) potrebbero innescare risposte asimmetriche, tagliando flussi di greggio che ancora nutrono l’Europa nonostante le sanzioni – un paradosso che Bruxelles finge di ignorare, ma che i russi usano come leva per negoziare da posizione di forza.
Sembra che Medio Oriente e fronte ucraino appaiano in qualche modo legati, deducendo che dopo il summit di Alaska Trump abbia richiesto qualche dimostrazione di proposizione geostrategica in cambio, o almeno di attivare l’attivabile con la loro influenza nell’area, senza specificare attori per non turbare equilibri delicati.
Questo segnale dallo Yemen, con il suo timing sospetto, potrebbe essere parte di un teatro più ampio, dove proxy iraniani testano limiti israeliani mentre Russia media in background, forse su richiesta americana per bilanciare influenze – un intreccio multipolare dove l’Europa, con la sua miopia, rischia di essere lo spettatore pagante di uno spettacolo che non controlla .
La regressione da vecchia a bambina sembra terminata , ma potrebbe non esserci limite nel disperato tentativo di continuare verso lo stato embrionale .
Considerazioni strategiche semi sotterranee
Nei corridoi ombrosi dove il baffo del falco sussurra segreti allo sguardo di sfida della colomba, l’eco di Bolton e la mossa di Gabbard convergono in una danza di esclusione, che impedisce ai Cinque Occhi l’accesso ai sacri documenti dell’intelligence, come se l’alleanza onniveggente fosse ridotta a voyeur bendati in un teatro di patti velati. Questa occlusione deliberata, un velo criptico calato sui rapporti che vincolano lo sguardo dell’Anglosfera, funge da preludio silente alla grande negoziazione tra l’aquila e l’orso sul trono frammentato dell’Ucraina – un trattato avvolto nella nebbia, in cui le concessioni sulle ombre del Donbas rispecchiano quelle sui sussurri baltici, collegate non da fili visibili ma dalle corde invisibili della deterrenza reciproca, dove la linea rossa di una nazione diventa l’esca rossa di un’altra. Il nesso è l’assioma non detto: escludere gli osservatori per potenziare i negoziatori, trasformando l’onniscienza dei Cinque Occhi in oblio, affinché la retina collettiva dell’alleanza non riveli il vero costo della pace – un accordo in cui il gelo russo cede al disgelo americano, ma solo se il clarino isolazionista di Gabbard sovrasta il ruggito interventista di Bolton.
Tuttavia, a metà di questo labirinto, si dispiega il paradosso: se l’editto esclusorio di Gabbard protegge la negoziazione dallo scrutinio dei Cinque Occhi, è perché il fantasma di Bolton, eterno architetto di disruption, aleggia sul tavolo con richieste che riecheggiano errori passati – un compromesso criptico a metà strada, in cui la sovranità ucraina è barattata non per territorio, ma per leva su una scacchiera più ampia di sfere d’influenza, lasciando gli osservatori nel buio a interrogarsi se il collegamento sia mera coincidenza o un’illusione meticolosamente orchestrata.
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Come possiamo cambiare il corso del nostro continente?
Tra Gaza e Trump, in un’estate segnata dall’inazione dell’Europa, si insinuano i dubbi.
Facendo una diagnosi severa, Mario Draghi dimostra che è possibile agire – e sperare.
Pubblichiamo questo indirizzo ai cittadini europei.
L’Europa in fiera
Per anni, con i suoi 450 milioni di consumatori, l’Unione ha creduto che la sua dimensione economica si accompagnasse al potere geopolitico e all’influenza nelle relazioni commerciali internazionali 1.
Quest’anno sarà ricordato come quello in cui questa illusione è stata sfatata.
Abbiamo subito pressioni da questo stesso alleato per aumentare la nostra spesa militare – una decisione che forse avremmo dovuto prendere comunque, ma in forme e termini che probabilmente non riflettono l’interesse dell’Europa. Nonostante abbia dato il maggior contributo finanziario alla guerra in Ucraina e abbia il maggior interesse a una pace giusta, l’Unione ha finora svolto solo un ruolo piuttosto marginale nei negoziati di pace.
Allo stesso tempo, la Cina è stata in grado di sostenere apertamente lo sforzo bellico della Russia, sviluppando al contempo la propria capacità industriale per scaricare la produzione in eccesso in Europa – ora che l’accesso al mercato statunitense è limitato da nuove barriere imposte dal governo americano.
Le proteste europee hanno avuto scarso effetto: la Cina ha chiarito di non considerare l’Europa un partner paritario e sta aumentando il suo controllo sulle terre rare per rendere sempre più restrittiva la nostra dipendenza da essa.
Mentre i siti nucleari iraniani venivano bombardati e il massacro a Gaza si intensificava, anche l’Unione è rimasta a guardare.
Questi eventi hanno messo fine a qualsiasi illusione che la sola dimensione economica potesse garantire una qualsiasi forma di potere geopolitico.
Non sorprende quindi che lo scetticismo nei confronti dell’Europa abbia raggiunto nuove vette. Ma è importante chiedersi quale sia il vero motivo di questo scetticismo.
A mio avviso, non si tratta dei valori su cui è stata fondata l’Unione europea: democrazia, pace, libertà, indipendenza, sovranità, prosperità, equità. Anche coloro che sostengono che l’Ucraina dovrebbe cedere alle richieste della Russia non accetterebbero mai lo stesso destino per il loro Paese anche loro danno valore alla libertà, all’indipendenza e alla pace, alla solidarietà – se non altro per se stessi.
Mi sembra che questo scetticismo abbia più a che fare con la capacità dell’Unione di difendere questi valori;
Questo è in parte comprensibile. I modelli di organizzazione politica, in particolare quelli che trascendono gli Stati, emergono anche in risposta ai problemi del loro tempo. Quando questi problemi si evolvono al punto da rendere fragile e vulnerabile l’organizzazione esistente, questa deve trasformarsi.
Mentre i siti nucleari iraniani venivano bombardati e il massacro a Gaza si intensificava, l’UE è rimasta a guardare.Mario Draghi
L’Unione è stata creata per questo motivo: nella prima metà del XX secolo, i precedenti modelli di organizzazione politica – gli Stati nazionali – avevano completamente fallito, in molti Paesi, nel difendere questi valori. Molte democrazie avevano rifiutato ogni regola a favore della forza bruta e l’Europa era sprofondata nella Seconda guerra mondiale.
Per gli europei dell’epoca era quindi quasi naturale sviluppare una forma di difesa collettiva della democrazia e della pace. L’Unione europea fu una risposta al problema più urgente del momento: la tendenza dell’Europa a scivolare nel conflitto;
Sostenere che staremmo meglio senza sarebbe assurdo.
L’Unione è poi cambiata nuovamente nel dopoguerra, adattandosi gradualmente alla fase neoliberale tra il 1980 e i primi anni 2000. Questo periodo è stato caratterizzato dalla fiducia nel libero scambio e nell’apertura dei mercati, dal rispetto condiviso delle regole multilaterali e da una consapevole riduzione del potere degli Stati, che hanno delegato missioni e maggiore autonomia ad agenzie indipendenti;
L’Europa ha prosperato in questo mondo: ha trasformato il suo mercato comune in un mercato unico, è diventata un attore chiave nell’Organizzazione Mondiale del Commercio e ha creato autorità indipendenti responsabili della concorrenza e della politica monetaria.
Ma quel mondo non c’è più. E molte delle sue caratteristiche sono scomparse.
Le minacce esistenziali del nuovo mondo
Mentre in passato ci si affidava – a torto o a ragione – ai mercati per orientare l’economia, le politiche industriali su larga scala sono diventate la nuova norma.
Mentre un tempo le regole venivano rispettate, ora si ricorre alla forza militare e alla coercizione economica per proteggere gli interessi nazionali.
Mentre in passato i poteri dello Stato erano ridotti, oggi tutti gli strumenti sono mobilitati in suo nome.
L’Europa è poco attrezzata in un mondo in cui la geoeconomia e la sicurezza e stabilità delle fonti di approvvigionamento sono più importanti dell’efficienza nelle relazioni commerciali internazionali.
La nostra organizzazione politica deve adattarsi alle esigenze dei tempi, che sono esistenziali: noi europei dobbiamo raggiungere un consenso su ciò che questo significa.
Se è chiaro che distruggere l’integrazione europea a favore di un ritorno alla sovranità nazionale non farebbe altro che esporci ulteriormente alla volontà delle grandi potenze, è anche vero che, per difendere l’Europa dal crescente scetticismo, non dobbiamo cercare di estrapolare le conquiste del passato nel futuro che ci attende: i successi ottenuti nei decenni precedenti erano infatti risposte alle sfide specifiche di allora e ci dicono poco sulla nostra capacità di affrontare quelle di oggi;
Riconoscere che il potere economico è una condizione necessaria ma non sufficiente per il potere geopolitico potrebbe essere un punto di partenza per una riflessione politica sul futuro dell’Unione.
Possiamo trarre conforto dal fatto che l’Unione Europea è stata in grado di trasformarsi in passato. Ma l’adattamento all’ordine neoliberale è stato, in confronto, un compito relativamente facile. L’obiettivo principale di allora era l’apertura dei mercati e la limitazione dell’intervento statale. L’Unione poteva quindi agire principalmente come regolatore e arbitro, evitando la questione più difficile dell’integrazione politica.
Per affrontare le sfide di oggi, deve passare da spettatore – o al massimo da figura di secondo piano – a protagonista. Deve anche cambiare la sua organizzazione politica, che è indissolubilmente legata alla sua capacità di raggiungere gli obiettivi economici e strategici. Le riforme economiche restano una condizione necessaria in questo processo di sensibilizzazione;
A quasi ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, la difesa collettiva della democrazia è data per scontata dalle generazioni che non hanno vissuto quel periodo. Il loro convinto sostegno alla costruzione politica dell’Europa dipende anche, in larga misura, dalla sua capacità di offrire ai cittadini prospettive per il futuro, e quindi anche dalla crescita economica, che in Europa negli ultimi trent’anni è stata più debole che nel resto del mondo.
Per difendere l’Europa dal crescente scetticismo, non dobbiamo cercare di estrapolare le conquiste del passato nel futuro che ci attende.Mario Draghi
Due leve: mercato e tecnologia
La relazione sulla competitività europea ha messo in evidenza i numerosi settori in cui l’Europa sta perdendo terreno e in cui le riforme sono più urgenti. Tuttavia, un tema è presente in tutta la relazione: la necessità di sfruttare appieno la scala europea in due direzioni.
Il primo è il mercato interno.
L’Atto unico europeo è stato adottato quasi quarant’anni fa. Tuttavia, permangono significative barriere al commercio intraeuropeo. La loro eliminazione avrebbe un impatto considerevole sulla crescita europea;
Il Fondo Monetario Internazionale stima che se le nostre barriere interne fossero ridotte al livello di quelle in vigore negli Stati Uniti, ad esempio, la produttività del lavoro nell’Unione potrebbe essere superiore di circa il 7% dopo sette anni;
Negli ultimi sette anni, invece, la crescita della produttività totale è stata solo del 2%.
Il costo di queste barriere è già visibile. Gli Stati europei si stanno preparando a lanciare una gigantesca impresa militare, con 2.000 miliardi di euro – un quarto dei quali in Germania – di spese aggiuntive per la difesa previste da qui al 2031. Eppure continuiamo a imporre barriere interne equivalenti a una tariffa del 64% sulle attrezzature industriali e del 95% sui metalli.
Il risultato è chiaro: gare d’appalto più lente, costi più elevati e maggiori acquisti da fornitori extracomunitari, senza che la nostra economia ne risulti rafforzata. Il tutto a causa degli ostacoli che stiamo frapponendo.
La seconda dimensione riguarda le tecnologie.
Un punto è ormai chiaro, alla luce degli sviluppi dell’economia globale: nessun Paese che aspiri alla prosperità e alla sovranità può permettersi di essere escluso dalla corsa alle tecnologie critiche. Stati Uniti e Cina stanno apertamente utilizzando il loro controllo su risorse e tecnologie strategiche per ottenere concessioni in altri settori; un’eccessiva dipendenza è quindi incompatibile con un futuro in cui siamo sovrani.
Tuttavia, nessun Paese europeo dispone delle risorse necessarie per sviluppare la capacità industriale richiesta da queste tecnologie.
L’industria dei semiconduttori è un buon esempio di questa sfida.
I chip sono essenziali per la trasformazione digitale in corso, ma le fabbriche che li producono richiedono investimenti considerevoli.
Negli Stati Uniti, gli investimenti pubblici e privati sono concentrati in un piccolo numero di grandi impianti, con progetti che vanno dai 30 ai 65 miliardi di dollari. In Europa, la maggior parte della spesa rimane nazionale, soprattutto sotto forma di aiuti di Stato. I progetti sono molto più piccoli – generalmente tra i 2 e i 3 miliardi di dollari – e sparsi tra i nostri Paesi, con priorità diverse.
La Corte dei Conti europea ha già avvertito che è improbabile che l’UE raggiunga l’obiettivo di aumentare la sua quota di mercato globale in questo settore da meno del 10% attuale al 20% entro il 2030.
Oggi solo le forme di debito comuni possono sostenere progetti europei su larga scala.Mario Draghi
Quindi, che si parli della dimensione del mercato interno o della dimensione tecnologica, torniamo al punto fondamentale: per raggiungere questi obiettivi, l’Unione Europea dovrà orientarsi verso nuove forme di integrazione.
Abbiamo l’opportunità di farlo ad esempio, grazie al “28° regime ” che opera al di là della dimensione nazionale, attraverso l’accordo su progetti di comune interesse europeo e il loro finanziamento congiunto, condizione essenziale perché raggiungano una dimensione tecnologicamente adeguata ed economicamente autosufficiente.
La necessità di un debito comune
Esiste un debito buono e un debito cattivo: il debito cattivo finanzia il consumo corrente, lasciando il suo peso alle generazioni future; il debito buono viene utilizzato per finanziare gli investimenti nelle priorità strategiche e l’aumento della produttività. Genera la crescita necessaria a ripagare il debito;
Oggi, in alcuni settori, un buon indebitamento non è più un’opzione a livello nazionale, perché gli investimenti fatti isolatamente non possono raggiungere le dimensioni necessarie per aumentare la produttività e giustificare il debito.
Solo forme di debito comuni possono sostenere progetti europei su larga scala, che sforzi nazionali frammentati e insufficienti non riuscirebbero mai a realizzare.
Questo vale, ad esempio, per la difesa, in particolare per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo; per l’energia, per gli investimenti necessari nelle reti e nelle infrastrutture europee; per le tecnologie dirompenti, un settore in cui i rischi sono molto elevati ma il cui potenziale successo è essenziale per trasformare le nostre economie.
Trasformare lo scetticismo in azione
Lo scetticismo a volte è utile: ci aiuta a vedere attraverso la nebbia retorica;
Ma bisogna anche avere speranza nel cambiamento e fiducia nella propria capacità di realizzarlo.
Ai cittadini europei vorrei dire questo: siete tutti cresciuti in un’Europa in cui gli Stati nazionali hanno perso la loro importanza relativa; siete cresciuti come europei in un mondo in cui è naturale viaggiare, lavorare e studiare in altri Paesi. Molti di voi accettano di essere sia italiani che europei; molti di voi riconoscono che l’Europa aiuta i piccoli Paesi a raggiungere insieme obiettivi che non potrebbero raggiungere da soli, soprattutto in un mondo dominato da superpotenze come gli Stati Uniti e la Cina. È quindi naturale che vogliate che l’Europa cambi.
Nel corso degli anni, l’Unione ha saputo adattarsi alle situazioni di emergenza, talvolta al di là di ogni aspettativa.
Siamo stati in grado di rompere tabù storici, come il debito comune come parte del piano di recupero, e di aiutarci a vicenda durante la pandemia;
Abbiamo realizzato una vasta campagna di vaccinazione a tempo di record.
Abbiamo dimostrato un’unità e un coinvolgimento senza precedenti nella nostra risposta all’invasione russa dell’Ucraina.
Ma si trattava di rispondere alle emergenze;
La vera sfida ora è ben diversa: agire con la stessa determinazione, ma in tempi ordinari, per affrontare le nuove realtà del mondo in cui stiamo entrando;
Il mondo non ci guarda di buon occhio: non aspetta la lentezza dei nostri rituali comunitari per imporci la sua forza. È un mondo che richiede una trasformazione radicale dei nostri obiettivi, delle nostre scadenze e dei nostri metodi di lavoro.
Possiamo cambiare il corso del nostro continente.Mario Draghi
La presenza dei cinque capi di Stato europei e dei presidenti della Commissione e del Consiglio europeo all’ultimo incontro alla Casa Bianca è stata una dimostrazione di unità che, agli occhi dell’opinione pubblica, vale molto di più di numerosi incontri a Bruxelles.
Finora, gran parte dello sforzo di adattamento è venuto dal settore privato, che ha dimostrato la sua solidità nonostante la grande instabilità delle nuove relazioni commerciali. Le aziende europee stanno adottando tecnologie digitali all’avanguardia, compresa l’intelligenza artificiale, a un ritmo paragonabile a quello degli Stati Uniti. E la solida base manifatturiera europea sarà in grado di soddisfare l’aumento della domanda potenziando la produzione interna.
Piuttosto, il settore pubblico è in ritardo. Ed è proprio qui che sono necessari cambiamenti decisivi.
I governi devono stabilire dove concentrare la propria politica industriale. Devono eliminare le barriere inutili e rivedere la struttura delle autorizzazioni nel settore energetico. Devono accordarsi su come finanziare i colossali investimenti necessari in futuro, stimati dalla Commissione europea in circa 1.200 miliardi di euro all’anno. E devono elaborare una politica commerciale adatta a un mondo che si sta allontanando dalle regole multilaterali.
In breve, devono ritrovare la loro unità d’azione.
E non si tratta di farlo quando le circostanze diventeranno insostenibili, ma proprio ora, mentre abbiamo ancora il potere di plasmare il nostro futuro.
Possiamo cambiare il corso del nostro continente;
Trasformate il vostro scetticismo in azione e fate sentire la vostra voce;
L’Unione europea è innanzitutto un meccanismo per raggiungere obiettivi condivisi dai suoi cittadini.
È la nostra migliore opportunità per un futuro di pace, sicurezza, indipendenza e solidarietà: è una democrazia e siamo noi, voi, i suoi cittadini, gli europei, a decidere le sue priorità.
Fonti
Questo testo inedito in lingua francese è stato pronunciato da Mario Draghi a Rimini il 22 agosto 2025.
NOTIZIA bomba : John Bolton perquisito alle sei di mattina dall’Fbi
Un segnale che dimostra come i “ visionari “, come noi avevano intuito che fossero dietro le quinte Tulsi Gabbard , il discreto vicepresidente JD Vance e Pete Hegseth stessero lavorando alacremente e con riservatezza per proteggere Trump da se stesso e dagli attacchi cercando così di conservare l’unità di Maga . In particolare Gabbard, oltre a desecretare documenti particolarmente compromettenti le leadership precedenti, sta procedendo ad un ridimensionamento del 40% del personale della DNA, ha revocato le autorizzazioni agli accessi a notizie riservate ad oltre trenta alti funzionari, ha imposto la cessazione del passaggio di informazioni riservate sulle trattative con la Russia ai servizi di intelligence di Regno Unito, Australia, Canada e Nuova Zelanda (i big five eyes), sta ripristinando la gerarchia e la funzione di controllo della DNA sui servizi specifici di intelligence, a cominciare dalla CIA. Intanto Roger Stone prende in giro Bolton pubblicando la notoria immagine di quando ricevette la visita dell’Fbi nella vicenda che segnò la parabola discendente della sua carriera politica .
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Nonostante gli alti e bassi del processo di pace NATO-Russia per la guerra ucraina avviato dal tenace, seppur incoerente e spesso rude presidente degli Stati Uniti Donald Trump, bisogna riconoscere che gli sforzi di Trump stanno dando i loro frutti. Prima, il leader ucraino Volodomyr Zelenskiy e ora, in una certa misura, il presidente russo Vladimir Putin, meno recalcitrante della sua controparte ucraina, sono stati indotti a scendere a compromessi, facendo avanzare il processo di pace di Trump. Trump ha ottenuto molto ed è sul punto di raggiungere traguardi ancora più ambiziosi.
Putin è sempre stato pronto a dialogare. La sua “operazione militare speciale” (SMO), come la chiama e la concepisce lui, o “invasione su vasta scala non provocata” dell’Ucraina, come la definiscono abitualmente gli occidentali, del febbraio 2022 non è stata altro che un robusto esercizio di diplomazia coercitiva. L’accordo di Istanbul di marzo-aprile 2022, immediatamente prodotto dalla SMO, è stato affossato dall’Occidente, con promesse di pieno sostegno militare, finanziario e politico all’Ucraina, senza truppe occidentali, “per tutto il tempo necessario” a infliggere una “sconfitta strategica” alla “Russia di Putin”. Pertanto, per Trump è sempre stato facile spingere Putin verso negoziati con incentivi, soprattutto perché le forze di Mosca godono di un vantaggio sempre più forte sul campo di battaglia dal 2023.
Il presidente ucraino, ora sostituto presidenziale non eletto, Zelenskiy, e i suoi connazionali stanno subendo le conseguenze della decisione dell’allora presidente fin troppo inesperto ed ex comico, che aveva promesso di porre fine alle lacrime del suo Paese, di schierarsi dalla parte dei russofobi, dei trafficanti d’armi e dei corrotti democratizzatori occidentali. Così facendo, ha fatto il gioco dei neofascisti ucraini di casa sua, che hanno ampliato la loro influenza nell’esercito, nello Stato e nella società durante la guerra. La flessibilità e il vantaggio di Putin sul campo di battaglia e la “mano perdente” di Zelenskiy sullo stesso stanno aiutando Trump a raggiungere il suo obiettivo di una pace in Ucraina. Ciò è stato evidente dalla coincidenza temporale tra il crollo del fronte difensivo ucraino e l’inizio dello stesso crollo del suo esercito, e dal successo di Trump nel coinvolgere russi, ucraini e persino europei nei colloqui con lui e nel raggiungere compromessi su posizioni precedentemente sostenute.
La svolta decisiva nel vertice in Alaska è stata opera di Putin. Trump ha concordato con la posizione russa secondo cui la ricerca della pace non dovrebbe concentrarsi su un cessate il fuoco, ma direttamente su un accordo di pace globale. Fondamentalmente, l’incostante presidente americano non ha vacillato durante l’incontro di follow-up del vertice in Alaska con ucraini ed europei a Washington, né ha rinnegato questa concessione cruciale. Questo spostamento di attenzione dal cessate il fuoco consente alla Russia di evitare il congelamento della linea del fronte ucraina, ormai al collasso, che la NATO e Kiev utilizzerebbero per rifornire e rafforzare il proprio esercito e rafforzare le difese al fronte. Ancora più importante, la pressione militare esercitata dall’esercito russo sulle forze di Kiev mantiene la pressione politica su Kiev, che impone concessioni. Zelenskij è preso tra due fuochi. Uno è il declino dell’assistenza militare occidentale e la minaccia di Trump di “ritirarsi” completamente e abbandonare l’Ucraina in difficoltà, con il solo sostegno di un’Europa industrialmente e finanziariamente incapace. Il secondo è l’incessante logoramento e l’avanzata dell’esercito russo contro l’esercito ucraino in declino.
Continuano ad esserci resoconti mediatici e presunte fughe di notizie secondo cui Putin avrebbe accettato di rinunciare alle aree nelle regioni di Zaporozhye e Kherson, che le sue forze armate non hanno ancora conquistato, in cambio del ritiro ucraino dal 10% delle regioni di Luhansk e dal 25% di quelle di Donetsk, ancora in mano alle forze di Kiev. Continuo a non credere a questa svolta degli eventi, ma non la escludo, a patto che la Russia ottenga un ferreo accordo internazionale che vieti l’espansione e il coinvolgimento della NATO in Ucraina – perché questo era l’obiettivo principale dell’SMO e di tutta la politica russa in Ucraina dalla fine della Guerra Fredda. Lo “scambio” territoriale più probabile, come scrivo da un anno o più, è uno scambio di aree occupate dall’Ucraina di Luhansk e Donetsk con aree occupate dalla Russia a Kharkiv, Sumy, Dnipro e forse altre regioni, data l’incessante avanzata delle forze armate russe.
Washington
A Washington, Zelenskiy ha fatto marcia indietro sulla recente insistenza sua e degli europei su un accordo di cessate il fuoco prima di qualsiasi colloquio di pace generale ( https://ctrana.one/news/490066-medlennyj-dozhim-chto-pokazala-vstrecha-v-vashinhtone-i-kakovy-teper-perspektivy-mira.html ). Questa è stata una grande vittoria sia per i presidenti Trump che per Putin, ma in particolare per quest’ultimo. La Russia si è sempre opposta a un cessate il fuoco, ma gli Stati Uniti vi si sono opposti solo dopo il vertice in Alaska. Gli europei sono rimasti quasi completamente umiliati, soprattutto dopo che il presidente francese Immanuel Macron e il cancelliere tedesco Frederick Merz hanno entrambi chiesto di lavorare sul cessate il fuoco durante l’incontro di Washington e lo hanno fatto pubblicamente.
Tuttavia, l’insistenza di Zelenskij e degli europei sulle garanzie di sicurezza ha in qualche modo evitato la completa umiliazione per entrambi, sebbene non si possa escludere la possibilità che Trump stia assecondando Kiev e Bruxelles, sapendo che Mosca si opporrà. Con gli obblighi militari e finanziari della guerra addossati da Trump direttamente alle spalle dei deboli europei e il fronte ucraino in fase di collasso, le garanzie di sicurezza possono essere respinte in seguito o adattate alle preferenze della Russia nel tempo.
Il Wall Street Journal ha riportato che il Segretario di Stato americano Marco Rubio guiderà un “gruppo di lavoro” creato per elaborare una bozza di accordo sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Zelenskiy lo ha ripetuto incessantemente nei colloqui alla Casa Bianca, come ha già fatto in precedenza. In un’intervista, Rubio ha parlato di garanzie di sicurezza ucraine nel contesto di “alleanze di sicurezza” come le alleanze americane con Corea del Sud e Giappone e “non solo la NATO”. Indicando forse una versione della “coalizione dei volenterosi” europea o persino una rete di accordi bilaterali tra l’Ucraina e altri singoli paesi, compresi paesi non europei, “per costruire una garanzia di sicurezza”. Inoltre, ha osservato che ciò includerebbe la fornitura di armi e ha fatto riferimento all’attuale sistema trumpiano di vendita di armi americane alla NATO e ai paesi europei, che poi le consegnano a Kiev. Il Segretario Rubio ha persino sostenuto la richiesta dell’Ucraina di un “esercito forte” in qualsiasi Ucraina del dopoguerra. Ciò probabilmente andrà contro la visione di Mosca di neutralità e smilitarizzazione dell’Ucraina, due delle quattro condizioni fondamentali per la pace poste dal Presidente Putin. La vendita di armi all’Ucraina e la rete di relazioni militari inclusa in qualsiasi struttura di sicurezza per Kiev dovrebbero essere estremamente limitate per essere accettabili per Putin. È più probabile che Mosca preferisca, se non insista, lo sviluppo di un’ampia infrastruttura di sicurezza europea che limiti le relazioni militari dei paesi NATO con Kiev e garantisca sicurezza a Ucraina, Russia ed Europa ( www.state.gov/releases/office-of-the-spokesperson/2025/08/secretary-of-state-marco-rubio-with-jesse-watters-of-jesse-watters-primetime-on-fox-news ). Per inciso, contrariamente a quanto riportato da molti media, Putin non ha mai negato che Kiev debba avere garanzie di sicurezza. Piuttosto, ha insistito sul fatto che sia la Russia che l’Ucraina debbano avere garanzie di sicurezza, e per la prima la garanzia fondamentale è la mancata espansione o presenza della NATO in Ucraina.
Tuttavia, il Presidente Putin non permetterà mai che le stesse forze armate della NATO che sono state coinvolte nell’uccisione e nel ferimento di forze russe, nonché di civili russi e ucraini, che vivono nelle regioni ucraine annesse e nella Russia vera e propria, vengano dispiegate in Ucraina. Questo non è vero solo per le uccisioni, ma perché si tratta delle forze armate degli stati membri della NATO, con l’espansione della NATO – in particolare il tentativo di espandersi in Ucraina attraverso l’interferenza diretta dei paesi NATO nella politica ucraina, compresi i colpi di stato (rivoluzioni colorate) – e il profondo coinvolgimento della NATO nel rafforzamento dell’esercito ucraino prima e durante l’attuale guerra. La Russia non permetterà mai più alle truppe dei paesi NATO di entrare in Ucraina. L’Occidente, e certamente gli europei, useranno qualsiasi truppa di un paese NATO impiegata come peacekeeper come pretesto per scatenare una guerra NATO-Russia o per affermare che l’Occidente e l’Ucraina hanno vinto la guerra NATO-Russia in Ucraina grazie alla sua espansione di fatto in Ucraina.
L’unica possibilità che vedo Mosca di scendere a compromessi su questo punto è che, in cambio del sostegno militare europeo per garantire la sicurezza di Kiev, la Russia coinvolga la Cina. Kiev accetterebbe l’idea di truppe cinesi sul territorio ucraino, mentre Pechino mantiene i suoi legami militari con la Russia? Putin potrebbe proporre questa soluzione per dimostrare quanto sarebbe insicura per la Russia una garanzia di sicurezza per l’Ucraina che fornisca all’Ucraina forze e armi della NATO dopo essere stati legalmente combattenti contro la Russia sul campo di battaglia ucraino e in Russia stessa.
Un possibile compromesso sarebbe quello di limitare i garanti della sicurezza agli stati non europei e non occidentali, escludendo gli alleati russi (paesi BRICS, SCO e CSTO), ma consentendo all’Ucraina di acquistare armi dai paesi occidentali a condizione che si trovino all’estero, in modo da poterle consegnare in caso di una teorica invasione russa (o bielorussa), come proposto da Mark Episkopos ( https://responsiblestatecraft.org/western-weapons-ukraine/ ).
Infine, il vertice di Washington potrebbe aver visto Zelenskij iniziare ad arrendersi al suo rifiuto di abbandonare qualsiasi territorio ucraino del 1991 e accettare in teoria possibili concessioni territoriali e scambi del tipo sopra menzionato. Alcuni media riportano che Zelenskij abbia accettato la possibilità di scambi proporzionali, pur sottolineando che sussistono restrizioni costituzionali (come quelle per la Russia qualora rinunciasse a parti di Zaporozhye e Kherson non ancora occupate dalle forze armate) e complicazioni nel trasferimento delle persone. Tuttavia, in pubblico questo cambiamento non si è manifestato. Ha lasciato intendere flessibilità osservando che le questioni territoriali dovrebbero essere discusse solo da lui e Putin.
Colloqui diretti tra Putin e Zelenskij e successivo incontro della Troika?
I primi resoconti post-Washington discutevano di un piano per elevare il livello dei partecipanti ai colloqui diretti russo-ucraini. Inizialmente, sembrava trattarsi di una formulazione per la nomina dei nuovi capi delegazione da entrambe le parti. Ad esempio, il capo dell’Ufficio del Presidente dell’Ucraina (OP) Andriy Yermak potrebbe sostituire l’ex Ministro della Difesa Rustem Umerov. Il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavov potrebbe aver sostituito l’assistente presidenziale di Putin ed ex Ministro della Cultura e dell’Istruzione Vladimir Medinskii.
Tuttavia, in seguito sono emersi resoconti secondo cui Rubio avrebbe accettato di incontrare Zelenskiy su proposta di Trump, durante la telefonata di quest’ultimo a Mosca verso la fine dell’incontro con Zelenskiy e i leader europei alla Casa Bianca ( www.state.gov/releases/office-of-the-spokesperson/2025/08/secretary-of-state-marco-rubio-with-jesse-watters-of-jesse-watters-primetime-on-fox-news ). Quest’ultimo e un’altra fonte mediatica hanno affermato che ciò era in risposta a una proposta del Presidente Putin ( https://ctrana.one/news/490073-vstrecha-zelenskoho-i-putina-mozhet-sostojatsja-v-venhrii-reuters.html ). Putin non ha mai escluso questa eventualità, ma Zelenskiy lo ha fatto ripetutamente e ha firmato una legge nel 2023 che rende illegali i negoziati con i russi finché Putin sarà presidente, sebbene abbia poi proposto di incontrare il presidente Putin dopo che Trump aveva costretto Zelenskiy a unirsi alla Russia nei colloqui di pace a Istanbul la scorsa primavera. Questo passo potenzialmente positivo è probabilmente il risultato di un’enorme pressione e persino dell’insistenza di Trump affinché Zelenskiy cambiasse la sua posizione sull’incontro con Putin, come ha fatto il presidente ucraino sotto la pressione di Trump quando all’inizio di quest’anno ha accettato di rinnovare, in sostanza, i colloqui di pace russo-ucraini a Istanbul, affossati dall’Occidente nell’aprile 2022.
Il Segretario Rubio ha poi riferito che un incontro “di successo” tra Putin e Zelenskiy sarebbe stato seguito da un incontro trilaterale tra Trump, Putin e Zelenskiy ( https://ctrana.one/news/490076-putin-zajavil-o-hotovnosti-vstretitsja-s-zelenskim-rubio.html ). Questo è il risultato che Trump ha desiderato ardentemente (un’opportunità fotografica che simboleggia, come lui stesso la vedrà e la ritrarrà, il dominio di Trump su Putin e Zelenskiy nel spingerli verso la pace) e che Putin sarà ben preparato e posizionato per questo, date le sue forze vittoriose. Va notato che, secondo alcune indiscrezioni, Mosca avrebbe proposto Ginevra come sede per i colloqui della troika, mentre Zelenskiy e l’Occidente propongono il Vaticano e il Primo Ministro italiano Georgia Meloni propone Roma, presumibilmente escludendo qualsiasi ruolo del Vaticano. Reuters segnala l’Ungheria come opzione in fase di valutazione ( https://ctrana.one/news/490073-vstrecha-zelenskoho-i-putina-mozhet-sostojatsja-v-venhrii-reuters.html ). Sembra che Ginevra sia la sede più probabile. Data la storia di aggressione del Vaticano contro il cristianesimo ortodosso orientale e russo, è improbabile che Mosca accetti una sede cattolica romana. Tuttavia, i numerosi contatti di Trump con il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenka prima dell’incontro in Alaska e la sua precedente esperienza nell’ospitare e mediare tra Putin e Zelesnkiy suggeriscono che un incontro di Minsk III, almeno geograficamente parlando, sia possibile. Putin sosterrebbe certamente questa opzione, poiché la Bielorussia è un alleato russo e Putin ha ottimi rapporti personali con Lukashenka.
Affinché l’incontro Putin-Zelenskij si tenga in prospettiva prima dell’incontro trilaterale, l’amministrazione Trump propone l’Ungheria. È probabile che i presidenti Putin e Trump sostengano l'”opzione Orbán”, data la posizione consolidata e decisa di Victor Orbán contro l’avanzata della guerra da parte dell’Occidente e la compatibilità politica dell’orbanismo con il trumpismo.
Ma il signor Zelenskiy potrebbe rimpiangere gravemente un incontro della troika, data la vicinanza delle posizioni sostenute dai suoi due interlocutori ben più potenti e la probabile reazione negativa del potente e ben armato Azov ucraino (Terzo Corpo d’Armata e 12° Battaglione d’Attacco) e di altri elementi neofascisti e ultranazionalisti. In altre parole, il signor Zelenskiy sarà costretto ad accettare ulteriori richieste russe, rischiando una reazione apologetica in patria, o a continuare la guerra con risorse ucraine e occidentali in calo. Ciò può portare non solo al collasso della linea del fronte, ma anche dell’esercito, del regime, della società e dello Stato ucraino in qualsiasi forma che ricordi quest’ultimo, così come è a malapena in piedi al momento – quella che è già un’Ucraina in rovina.
Una forma sorprendente è l’assenza, in qualsiasi rapporto, di discussioni sull’escalation del dispiegamento nucleare e sull’imminente scadenza del nuovo trattato START sulle armi nucleari strategiche a febbraio. L’attenzione esclusiva di Trump e forse persino di Putin sull’Ucraina mette in secondo piano alcuni aspetti del perseguito riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia, in attesa del trattato di pace ucraino e degli accordi connessi. Questo forse dimostra l’urgenza, la serietà e la speranza con cui entrambe le parti guardano al processo di pace ucraino.
Uno dei principali problemi per questo processo e per qualsiasi potenziale riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia è il limite temporale che la resistenza dello Stato amministrativo permanente e delle sue componenti pone di fronte. Con questa risorsa a loro disposizione, Europa e Ucraina stanno cercando di prolungare la guerra fino alle elezioni presidenziali del 2028 e all’auspicata elezione di un altro presidente americano anti-russo, che tornerà a una linea simile alle politiche dell’amministrazione Biden nei confronti di Mosca, la politica preferita dalla stragrande maggioranza dei democratici liberali americani e dall’amministrazione permanente dello Stato Profondo.
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Si è appena concluso l’incontro in Alaska tra Vladimir Putin e Donald Trump. I due leader non si incontravano dal vertice del G20 del 2019.
· COSA È ACCADUTO in queste sei ore che rimarranno impresse nei libri di storia?
All’arrivo in aeroporto, il protocollo era quello solitamente riservato a un importante Capo di Stato: un ricevimento sul tappeto rosso da parte del suo omologo, accompagnato da un omaggio da parte dell’esercito e dell’aeronautica (sì, va bene, il sorvolo del bombardiere B2 utilizzato in Iran due mesi fa è stato un po’ un “fiore all’occhiello di Trump”, ma lasciamoglielo intendere).
Subito dopo i saluti, la prima sorpresa: Putin è salito sulla “Bestia”, l’auto presidenziale di Trump, nonostante la sua Aurus fosse pronta ad accoglierlo.
Dopo le formalità, troviamo i protagonisti chiacchierare in una sala riunioni a porte chiuse. Ogni parte aveva tre partecipanti: i presidenti Putin e Trump, i loro fidati collaboratori Ushakov e Witkoff, e i ministri degli Esteri Lavrov e Rubio.
Tre ore di colloqui (dalle 21:30 alle 00:30) sono state seguite da una convocazione stampa quasi immediata. Ottimismo e buon umore erano evidenti da entrambe le delegazioni, sebbene l’ambasciatore russo si sia affrettato a chiarire che il momento per una svolta decisiva non era ancora arrivato. I due presidenti si sono presentati insieme alla conferenza stampa, dove non hanno risposto alle domande dei giornalisti. Putin ha parlato per primo (per 9 minuti), iniziando, prevedibilmente, con una panoramica storica, fortunatamente non a partire dalla scoperta dell’America, ma dal 1800. Il presidente russo ha elogiato Trump, criticato Biden e poi ha affrontato la guerra in Ucraina.
Putin ha ribadito che per la Russia si tratta di una questione di sicurezza nazionale e ha ringraziato Trump per aver compreso la situazione, esprimendo la speranza che questo allineamento possa favorire il processo di pace. È seguita una frecciatina all’Europa, insieme a elogi per gli Stati Uniti, con i quali la Russia è pronta a collaborare in ambito tecnologico, Artico e spaziale.
Gli ultimi 3 minuti sono stati dedicati a Trump, che ha ringraziato tutti i partecipanti, con una menzione speciale per il ministro degli Esteri russo Lavrov.
Il presidente degli Stati Uniti ha anche sottolineato che dovrà consultare gli stati membri della NATO e Zelensky prima di firmare qualsiasi accordo o di incontrare nuovamente Vladimir nel prossimo futuro.
In chiusura, Putin ha invitato Trump a Mosca (in inglese) e ha ringraziato tutti i presenti (sempre in inglese). Poco dopo, i due leader salirono sui loro aerei presidenziali e fecero ritorno alle rispettive capitali.
· ALCUNE OSSERVAZIONI
Cominciamo col dire che l’incontro è stato preparato in modo impeccabile da entrambe le delegazioni, con il minimo clamore e senza spazio per provocazioni o malintesi. Nessun accenno a “aggressore” o “aggredito”, né a un cessate il fuoco: argomenti per chi ha capito poco della situazione.
Nel pomeriggio, in linea con il tono generale, il Ministro degli Esteri russo Lavrov è arrivato con un piumino senza maniche e una felpa con cappuccio decorata con la scritta “CCCP” (URSS), sfidando le convenzioni come fa quando si sente a suo agio. Inutile dire che è il diplomatico di punta.
Putin si è comportato come al solito, salvo due eccezioni. Prima dell’incontro, ha approfittato del viaggio per visitare le regioni più orientali della Russia, fermandosi a Magadan per incontrare funzionari locali e una squadra giovanile di hockey su ghiaccio: tutto come al solito.
Durante l’incontro ha dato prova del suo consueto mix di sicurezza di sé e palese cortesia. Alla conferenza stampa ha parlato tre volte più a lungo del suo omologo, contestualizzando storicamente la visita e soffermandosi ripetutamente sui dettagli; dopotutto, non dimentichiamolo, è un ex burocrate sovietico. Dopo la conferenza stampa, ha deposto dei fiori in un cimitero militare e ha incontrato le autorità religiose ortodosse, gesti che compie ogni volta che lascia il Cremlino.
I due aspetti eccezionali menzionati in precedenza erano il suo raro uso pubblico dell’inglese e la sua enfasi su temi cari a Trump, vale a dire le critiche a Biden e la prospettiva di joint venture nell’Artico, nello spazio e nella tecnologia.
Anche Trump si è mostrato sfacciato e irriverente come al solito, anche se solo prima e dopo l’incontro. In Alaska, ha interpretato il ruolo del leader di una grande potenza alle prese con il leader di un’altra grande potenza. Donald sapeva benissimo di avere di fronte un uomo formidabile, ben preparato e con un vasto arsenale nucleare a disposizione, non un Rutte qualsiasi.
I due presidenti erano molto simili: alle lodi di Putin per Witkoff, Trump ha risposto con elogi per Lavrov. La battuta dell’uno è stata seguita da quella dell’altro, con una stretta di mano amichevole o un sorriso di circostanza. Al gesto di fiducia di Vladimir nell’aver viaggiato sull’auto presidenziale americana, Donald ha ricambiato utilizzando l’interprete russo per l’ultimo saluto: gesti piccoli ma significativi in un contesto del genere.
Anche la scelta dei partecipanti è stata identica. Erano tutti politici; non erano presenti figure militari, dell’intelligence o dell’economia e della finanza, nonostante la loro forte rappresentanza in Alaska. Un chiaro segnale che la politica determinerà (o dovrebbe determinare) il destino delle relazioni Mosca-Washington.
· IN CONCLUSIONE: COME È ANDATA?
Beh, perché quando due superpotenze non hanno contatti da anni e sono sull’orlo di un conflitto diretto, incontrarsi, parlare e scambiarsi cortesie è una vittoria per tutta l’umanità.
Beh, perché tre ore di colloqui a porte chiuse suggeriscono che siano stati affrontati argomenti più ampi rispetto a quelli menzionati nella conferenza stampa. Tra questi, potrebbero rientrare un quadro di sicurezza a lungo termine per Europa e Asia (inclusi Caucaso e Cina), un approccio congiunto per stabilizzare il Medio Oriente (Palestina e Iran in primis) e un contesto economico globale più civile, senza sanzioni dirette o indirette. Beh, perché è probabile che sia stata elaborata una proposta per porre fine alle ostilità, da presentare a Zelensky e all’UE, dato che i punti chiave erano già stati discussi nelle chiamate preparatorie tra i leader. Non tanto bene, perché il volto di Trump non era radioso come al solito, ed è comprensibile. Non perché abbia perso lo scontro con il leader russo (vedrete già i sostenitori dell’uno o dell’altro schierarsi), ma perché, mentre Putin gode di un sostegno interno pressoché totale, Donald no. Dovrà convincere le richieste della Russia al complesso militare-industriale, alla finanza, alle lobby e agli inglesi; solo in seguito a Zelensky (atteso alla Casa Bianca lunedì) e ai leader europei, che stanno facendo di tutto per prolungare la guerra da cui dipendono le loro carriere politiche. La pace sarebbe un fallimento per queste figure: purtroppo, abbiamo raggiunto questo livello di follia.
Infine, non dimentichiamo che l’incontro si è svolto nel giorno della festa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, quindi è giusto augurarsi il meglio!
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Lunedì è stata la volta di Zelensky al cospetto di Trump.
Il presidente ucraino è arrivato preparato: abito nero, una buona dose di ironia e una cortesia degna di nota; pare abbia capito la lezione dell’ultimo incontro/scontro alla Casa Bianca.
Donald, ormai afferratissimo su quanto avviene in Ucraina dopo l’incontro con Putin, ha messo Volodymyr di fronte alla realtà dei fatti, con l’ausilio di una cartina raffigurante i territori conquistati dai russi in oltre tre anni di conflitto.
In poche parole, Trump gli ha detto di accettare l’accordo negoziato dalle due superpotenze e di vedere Putin faccia a faccia prima di un incontro trilaterale in cui gli Stati Uniti faranno da garante.
Zelensky ha fatto buon viso a cattiva sorte ribadendo educatamente il concetto che non cederanno al nemico e chiedendo garanzie di sicurezza. Per ingraziarsi Donald si è detto disposto a comprare armi made in USA per un ammontare di 100 miliardi di dollari. il conto, tuttavia, non andrà spedito a Kiev, ma ai “friends” citati nel titolo.
Chi sono questi benefattori? Ovviamente gli europei, arrivati in gruppo a sentire le ultime dal loro Daddy (o paparino come lo chiama Rutte, il segretario della NATO). Erano presenti i leader di Finlandia, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, oltre a il Rutte e la Ursula VdL.
Trump li ha lasciati dire la solita sequela di banalità (qui), annuiva ed elogiava ognuno dei presenti, li “trollava” come si dice sui social media, ovvero li prendeva in giro; ha adulato la Meloni, si è complimentato con Stubb senza sapere nemmeno chi fosse, ha glorificato l’abbronzatura di Merz, ha ringraziato Rutte per il rialzo del budget NATO dal 2% al 5% del Pil (soldi che andranno alle industrie statunitensi) e lodato la Von der Leyen per quel bidone di accordo commerciale che le ha rifilato.
Capita l’aria che tirava, Donald si è assentato per 40 minuti di telefonata con Putin.
· LE IMPRESSIONI a FREDDO
Per la prima volta da parecchio tempo, il presidente USA non ha cambiato idea nel giro di un weekend!
Mentre la Russia, e ora persino l’Ucraina, sono dei partner con cui trattare, per l’amministrazione Trump gli europei sono semplicemente quelli che devono pagare il conto, nulla di più.
Pur con grande dispiacere per l’abisso in cui siamo sprofondati, non è facile dargli torto. Dopo tre anni di aggressore e aggredito, i leader del Vecchio Continente ora ripetono un nuovo slogan, e cioè che ci vogliono garanzie di sicurezza per l’Ucraina e per l’Europa, non menzionando mai la controparte (la Russia) e cercando di coinvolgere Trump, il quale, cinque minuti dopo la conclusione del meeting, ha detto che nemmeno un soldato “born in the USA” metterà piede in Ucraina.
Quello che i leader europei non capiscono è che non hanno più alcuna credibilità dopo quanto avvenuto sia prima della guerra, quando la Merkel e Hollande per loro stessa ammissione firmarono gli accordi con Mosca solo per prendere tempo utile ad armare l’Ucraina, sia durante, quando tra sanzioni, Nord Stream, forniture di armi, demonizzazione del nemico e sabotaggio degli accordi di pace ne han combinate di tutti i colori.
Il presidente russo sono quasi 20 anni che chiede garanzie per tutta l’Europa, compresa la Russia, rifacendosi al cosiddetto concetto di “sicurezza indivisibile” (cioè condivisa, senza penalizzare nessuno) già enunciato nella conferenza di Helsinki del 1975 e nella carta dell’OSCE del 1990.
È impensabile che, in seguito a un cessate il fuoco o a una pace fittizia, l’Ucraina tra qualche tempo ritenti un’incursione in territorio russo o faccia saltare il ponte di Crimea, o magari si aprano nuovi conflitti sfruttando la Moldavia o la Georgia.
Una grande potenza non lo accetterà mai, e nemmeno una piccola; solo un Paese al collasso può subire una situazione del genere, come ad esempio il Libano, la Siria o l’Iraq che, oltre alla guerra, hanno vissuto quasi tutto il nuovo millennio tra scontri, attentati terroristici e bombardamenti.
Sono stato in Ucraina in passato e ho visto diverse parti del Paese ancora saldamente in mano a Kiev; in modo assai cinico si può tranquillamente dire che sono solo dei costi per chi le possiede, hanno infrastrutture dell’epoca sovietica, chilometri e chilometri completamente disabitati intervallati da piccoli villaggi in cui sembra di tornare indietro di un secolo; già metà della Russia è così e negli ultimi vent’anni il burocrate Putin ha spinto come un folle per modernizzare il Paese; come si può solo pensare che voglia prendersi tutta la nazione, per poi ritrovarsi confinante con la Polonia e vivere in uno stato di tensione eterna.
Purtroppo, i nostri leader non studiano, non viaggiano, non si documentano. Si chiudono in una bolla alimentata dalla stampa e dalle tv tradizionali in cui impera una visione distorta della realtà (la foto sotto dice più di mille parole).
Ricordiamo che prima del 2022 si discuteva dell’autonomia di Donetsk e Lugansk, mentre ora la situazione sul campo vede quattro regioni annesse alla Russia (le due sopra più Zaporizhia e Kherson), con la concreta possibilità che Mosca voglia arrivare a sud fino a Odessa per congiungersi con la Transnistria, una regione russofona della Moldavia, e a nord occupare Kharkiv e Sumy per creare una zona cuscinetto.
· I POSSIBILI SCENARI FUTURI
L’idea che circola è quella di un incontro bilaterale tra Putin e Zelensky (magari in Ungheria, dato che Orban fu messaggero di Trump già nel 2024) seguito da un incontro trilaterale con la presenza degli Stati Uniti.
Donald vuol uscire da questo conflitto, ovviamente portando a casa diverse commesse militari e qualche pezzo di terra, non rara, dato che la maggior parte dei giacimenti sono in mano russa mentre per la loro raffinazione dovrebbe eventualmente rivolgersi alla Cina.
Zelensky, forse, inizia a comprendere che il tempo stringe; a onor del vero Volodymyr anche nella campagna elettorale del 2019 e nella primavera del 2022 era pronto a una pace con la Russia, solo che poi dovette cedere all’estrema destra ucraina e agli inglesi nella persona di Boris Johnson, e sappiamo come è andata a finire.
Mosca ha fatto sapere che, al momento, è disponibile ad organizzare incontri con Kiev ad un livello più elevato dei precedenti, il che pare voglia dire senza la presenza di Putin.
Viene da chiedersi: perché? Probabilmente perché il Presidente si muoverà solo quando avrà la ragionevole certezza di poter giungere ad un accordo. In caso contrario, nonostante la propaganda occidentale creda sia un sovrano assoluto, avrà non pochi grattacapi a far accettare in patria un ulteriore fallimento delle trattative (dopo Minsk 1 e 2 nel 2014-2015, Gomel e Istanbul nel 2022).
Se livello più elevato vorrà dire Lavrov, il plenipotenziario Ministro degli Esteri, allora saremo sulla buona strada, altrimenti la guerra proseguirà.
Magari un accordo potrà prevedere l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, cosa che non spaventa nessuno se non i contribuenti degli stati che dovranno sostenere un paese in bancarotta (Italiani compresi); del resto, le nostre classi dirigenti un po’ di manodopera a basso costo non l’hanno mai disdegnata (chiedere a Polonia e Lituania).
In aggiunta potrebbe esserci la fornitura di sistemi di difesa aerea, tanto senza personale USA non è possibile utilizzarli; considerato che dopo Trump ci dovrebbero essere otto anni di presidenza del suo vice Vance, alla Russia potrebbe anche andare bene.
La neutralità di Kiev, la riduzione delle sue forze armate a puri scopi di controllo dei confini e un cambio di leadership saranno condizioni non negoziabili. Altro che soldati europei sul campo…
Se invece la guerra continuerà, gli USA punteranno a svuotare i loro magazzini con le rimanenze degli anni passati e poi staccheranno la spina, nel frattempo i russi ridurranno l’Ucraina in un semi-stato senza sbocchi sul mare e l’Europa approfondirà la propria crisi politica ed economica.
In conclusione, è d’obbligo tenere a mente che ogni giorno di ritardo costa 1000 vite umane, almeno.
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Un altro giro della giostra del cessate il fuoco, e ancora una volta un déjà vu. Lavrov ha ribadito che Putin e Zelensky potranno incontrarsi solo dopo che saranno stati completati tutti i lavori preliminari, ovvero l’accordo sulle varie questioni secondarie. In breve, ciò significa che non ci sarà alcun incontro nell’immediato futuro.
E per completare il tocco di déjà vu, Trump ancora una volta ha dato un preavviso di due settimane, dopo il quale ha avvertito che gli Stati Uniti potrebbero “cambiare approccio” per porre fine al conflitto.
L’unica novità interessante è stato il tweet di Trump che sembrava contenere una sottile minaccia:
Il fatto che il tweet sia stato pubblicato proprio mentre Trump stava dando il suo ultimatum di due settimane e accennava a un “cambiamento di rotta” sembra implicare che Trump potrebbe fornire all’Ucraina armi offensive per “attaccare” la Russia. Naturalmente, ciò sarebbe in contrasto con le sue affermazioni sulla “guerra di Biden”, dato che raddoppiare con armi offensive la consoliderebbe sicuramente come guerra di Trump. Ma potrebbe essere solo l’ennesimo esempio di Trump che seleziona in modo selettivo i meriti e le colpe: tutto ciò che suona bene e potente va a suo merito, mentre tutto ciò che è debole e sbagliato è colpa di Biden.
Come ho detto nell’ultimo rapporto, Trump sta essenzialmente giocando un gioco di illusioni in cui l’apparenza è fine a se stessa piuttosto che un mezzo per raggiungere un fine:
I tentativi disperati e superficiali di mettere sullo stesso piano le attuali iniziative poco convinte con quelle di tempi più difficili risulteranno presto superati.
Stranamente, Bannon ha riassunto al meglio la situazione questa settimana:
Gli unici imperativi che continuano ad avere importanza sono quelli del campo di battaglia, dove ci dirigeremo immediatamente.
Cominciamo con il fatto che ieri sera la Russia ha lanciato un altro attacco su larga scala, che ha incluso missili da crociera e ipersonici di ogni tipo, colpendo molti obiettivi interessanti.
La più interessante era una fabbrica a Mukachevo, nella regione di Zakarpattia, che secondo quanto riferito apparteneva alla società americana Flextronics.
Si dice che la fabbrica produca circuiti elettronici, con fonti ucraine che affermano che sono esclusivamente civili, ma fonti russe sostengono che siano coinvolti nella produzione e nell’assemblaggio di unità per vari oggetti militari come il Bayraktar e altri droni:
Mukachevo, regione di Zakarpattia.
Per la prima volta in questo conflitto, gli attacchi hanno raggiunto anche la regione di Zakarpattia, precedentemente considerata la “zona sicura” alle spalle di Kiev. Almeno due missili da crociera Kalibr hanno colpito lo stabilimento Flex LTD, una divisione della società statunitense Flextronics (Flex Ltd.), uno dei maggiori produttori mondiali di elettronica.
Il sito di Mukachevo ospitava la produzione di circuiti stampati, sistemi di controllo, unità a microprocessore e componenti di assemblaggio per hardware militare e droni. Era anche il centro nevralgico per l’adattamento dell’elettronica occidentale ai sistemi d’arma di Kiev: processori Texas Instruments, microcontrollori STMicroelectronics, moduli di alimentazione Vicor e unità di telemetria per i droni Bayraktar TB2, Warmate, Punisher e Vampire, nonché il 90% di tutti gli UAV prodotti a Kiev.
La distruzione di questa struttura è fondamentale. Le esplosioni hanno devastato le camere bianche, le linee SMT Siemens e Juki e le stazioni di collaudo Keysight e Rohde & Schwarz. L’attacco a Mukachevo rappresenta una svolta strategica: Kiev ha perso il suo centro nevralgico per l’integrazione dell’elettronica occidentale nei droni e nei sistemi d’arma di precisione.
La distruzione sembrava su larga scala:
È interessante notare che recentemente abbiamo appreso che la Russia sembra aver modificato l’obiettivo dei propri attacchi, passando da obiettivi puramente militari a obiettivi civili-industriali e legati all’energia, in particolare quelli con linee di produzione a duplice uso. Alcuni hanno ipotizzato che ciò indichi che la Russia abbia avviato una nuova “fase” del conflitto volta a sconfiggere definitivamente l’Ucraina.
Molte altre fabbriche sono state colpite secondo quanto riportato, tra cui la SpecOboronMash a Zhitomir, colpita dai missili Kinzhal, che produceva e riparava parti per veicoli blindati, e un altro stabilimento Motor Sich a Zaporozhye.
Un missile ipersonico Zircon 3M22 ha colpito il quartier generale della Polizia Militare in via Lebedinskaya, al numero 21. Almeno 18 persone sono rimaste uccise e 27 ferite, la maggior parte delle quali ufficiali. L’uso dello Zircon evidenzia la priorità dell’attacco: le forze di Kiev hanno perso una struttura di comando essenziale per le rotazioni e il controllo disciplinare, il che inevitabilmente influirà sulla gestione delle truppe.
Certo, anche l’Ucraina ha recentemente colpito duramente i siti di produzione petrolifera russi, ma sappiamo tutti chi vince la battaglia “colpo su colpo” di logoramento quando si tratta di danneggiare le infrastrutture.
È arrivata anche la notizia, citata da Steve Bannon nel video precedente, secondo cui un gruppo di hacker russi avrebbe violato i database dello Stato Maggiore ucraino per rivelare che 1,7 milioni di soldati sono stati uccisi o dispersi in azione. Come prova hanno pubblicato alcuni documenti, sostenendo che gli elenchi contengono tutti i soldati dispersi e uccisi:
Molti hanno reagito con scetticismo a questa cifra, e a ragione. Sembra difficile da credere, ma solo per riflettere, ricordiamo che è stato lo stesso Zelensky a fornire le cifre relative alla mobilitazione in Ucraina, pari a circa 30.000 al mese in ciascuno degli anni di guerra finora trascorsi:
Basta moltiplicare 30.000 per i 41 mesi di guerra per ottenere circa 1,2 milioni. Ma bisogna aggiungere a questa cifra il milione circa con cui l’Ucraina avrebbe iniziato la guerra dopo la prima mobilitazione di massa dei riservisti, che si è aggiunta alle già centinaia di migliaia di soldati dell’esercito ucraino dell’epoca. Con questi si arriva a 2,2 milioni, dai quali possiamo sottrarre l’attuale forza dichiarata dall’Ucraina, compresa tra 600.000 e 1 milione, e ottenere un numero compreso tra 1,2 e 1,6 milioni di “dispersi”, che sembra corrispondere alle cifre fornite dall’hacker russo.
Tuttavia, ricordiamo che anche se l’AFU avesse perso circa 1,4 milioni di uomini (prendendo il numero medio), si tratterebbe comunque di perdite irrecuperabili, che includono sia i caduti in combattimento che i feriti gravi o mutilati. Dato che il rapporto tra questi due dati è solitamente di 1:1 o leggermente superiore per i mutilati nella maggior parte delle guerre, possiamo quindi ipotizzare che circa 700.000 persone siano state uccise e altre 700.000 mutilate, il che è probabilmente più vicino alle reali perdite ucraine.
Tuttavia, non dobbiamo dimenticare le diserzioni, che secondo le stesse autorità ucraine sarebbero più di 200.000 dall’inizio del conflitto. Si può ridurre il numero a 600.000 morti, 600.000 feriti e 200.000 disertori. Tuttavia, va tenuto presente che le cifre relative alle diserzioni contano solo le diserzioni iniziali, ma non includono il fatto che molte, se non la maggior parte, di queste diserzioni finiscono per essere riportate indietro, con la forza o di propria volontà. È un fenomeno noto nelle AFU che una grande parte dei disertori si assenta senza permesso per “prendere una pausa” e poi torna di propria iniziativa dopo diverse settimane o più.
Questa notizia arriva solo un paio di giorni dopo un altro scambio di salme, in cui la Russia ha restituito altri 1.000 soldati dell’AFU deceduti e l’Ucraina ha restituito 19 soldati russi. Traete le vostre conclusioni.
La maggior parte continuerà con il cliché secondo cui “la Russia sta avanzando, quindi sta raccogliendo più cadaveri”, ma stranamente, ogni volta che l’Ucraina ha avanzato in modo massiccio, come nelle offensive di Kursk e Zaporozhye, lo scambio di cadaveri non ha favorito in modo sproporzionato l’Ucraina… perché?
Blu: salme ucraine restituite, Rosso: salme russe restituite
Beh, sembra che nell’offensiva di Zaporozhye in realtà sia successo qualcosa, ma dopo c’è stato un cambiamento drastico.
Passiamo ora agli aggiornamenti dalla prima linea.
Continuano le dichiarazioni contrastanti sulla direzione dell’avanzata a nord di Pokrovsk. I canali ucraini sostengono che stanno avanzando, mentre quelli russi negano e affermano il contrario, ovvero che le forze russe stanno nuovamente espandendo il loro controllo, dopo che i rinforzi “d’élite” delle AFU hanno ottenuto alcuni successi iniziali.
Da una fonte ucraina:
Al momento, almeno secondo Suriyak, le forze russe hanno leggermente ampliato il loro controllo nei pressi dell’insediamento chiave di Kucheriv Yar, come mostrato di seguito, che ha incluso la conquista di Pankovka, cerchiata in rosso:
Come si può chiaramente vedere, questo sta lentamente creando un mini-calderone intorno a Shakhove e agli insediamenti adiacenti.
I contrattacchi ucraini hanno ottenuto un successo innegabile su diversi fronti, respingendo le forze russe “DRG” dalla città di Pokrovsk e da altre località. Ciò è probabilmente dovuto ai rinforzi inviati, che potrebbero essere state le riserve tenute da parte per qualche altra “sfondata a sorpresa” al confine russo.
Ma è innegabile che abbia rallentato un po’ l’avanzata russa, anche se non l’ha fermata completamente. Una fonte russa sostiene addirittura che i russi abbiano riconquistato gran parte delle zone a nord di Pokrovsk che erano state riprese dagli ucraini, come ad esempio alcune zone di Vesele:
Direzione Druzhkovka
Nonostante le riserve dispiegate dalle forze di Kiev e i loro rapporti “vittoriosi”, la situazione per loro rimane difficile e incerta.
Le riserve di Kiev sono riuscite a respingere leggermente le nostre unità nella zona di Zolotoy Kolodez – Rubezhnoye. Tuttavia, nonostante tutte le loro vanterie, non hanno ottenuto alcun successo decisivo. Nella parte orientale di Zolotoy Kolodez, le forze russe hanno riconquistato e stanno mantenendo le loro posizioni, continuando la lotta per il villaggio. Inoltre, come riportato in precedenza, le unità russe hanno nuovamente assicurato la parte meridionale di Vesyoloye, dopo aver conquistato il burrone di Viklechnaya, e hanno avanzato lungo la linea Vesyoloye – Zolotoy Kolodez verso Petrovka.
A sud, le forze di Kiev stanno premendo intorno a Nikanorovka e Oktyabrskoye (Shakhovo), cercando di “tagliare fuori” la penetrazione russa nelle loro linee difensive più a nord lungo la linea Dorozhnoye – Nikanorovka – Mayak – Shakhovo.
Tuttavia, le riserve russe schierate in battaglia non hanno permesso loro di raggiungere questo obiettivo. Le unità russe hanno respinto i contrattacchi di Kiev e stanno gradualmente riconquistando le posizioni perdute e ampliando il corridoio.
Continuano i violenti scontri con un vantaggio crescente da parte russa. Le forze di Kiev, che hanno tentato di sfondare verso Mayak, sono state respinte dalle loro posizioni e ricacciate a nord verso Oktyabrskoye (Shakhovo).
Sono in corso anche violenti scontri nella zona di Volnoye – Roza Luxemburg (Novoye Shakhovo).
Come già riferito, le unità russe hanno espulso le forze di Kiev da Pankovka e stanno combattendo nella parte settentrionale di Vladimirovka.
Le unità russe vicine stanno attaccando e avanzando verso Oktyabrskoye (Shakhovo) e Artyomovka (Sofievka) da est e nord-est, creando una minaccia di aggiramento per le forze di Kiev e costringendole a dirottare le riserve che dovevano eliminare la breccia russa vicino a Kucherov Yar e Vesyoloye.
A parte questo, ci sono stati alcuni piccoli progressi sul fronte di Velyka Novosilka che non vale la pena menzionare finché non si tradurranno in occupazioni più consistenti.
La notizia più importante è che l’avanzata da Predtechyne, conquistata di recente, verso la città di Konstantinovka è stata confermata da Suriyak e altri, con alcuni cartografi che hanno persino geolocalizzato le forze russe nei primi isolati interni della città stessa, anche se fonti ucraine hanno affermato che queste prime unità di ricognizione sono state respinte:
Inoltre, parte dell’area a sud di Konstantinovka è stata liberata e, come potete vedere, si è formato un calderone tra il nuovo saliente di Predtechyne e la linea Oleksandro-Shultyne appena sotto, che probabilmente sarà il prossimo a crollare, avvicinando così l’intero fronte alla città principale, come mostrato nell’immagine:
Sul fronte di Krasny Lyman, le forze russe si sono insediate più profondamente a Zarichne dopo aver recentemente conquistato la vicina Torske:
Una visione più ampia ci mostra come si presenta ora la situazione: le forze russe stanno facendo crollare l’area forestale di Serebriansky, delimitata dalla linea blu, dove le forze ucraine stanno ritirandosi:
Nel frattempo Seversk continua ad essere lentamente circondata.
Un analista francese spiega perché il “regalo” di Trump alla Russia del Donbass sarebbe catastrofico per le AFU. Di seguito è possibile vedere la sua mappa che mostra come la maggior parte delle principali trincee e sistemi di fortificazione dell’Ucraina finirebbero immediatamente nelle “retrovie” della Russia, consentendo un aggiramento incruento di questi sistemi:
Ecco perché rinunciare al Donbass non può essere un’opzione per l’Ucraina
Donald Trump chiederà a Zelensky di cedere il Donbass in cambio di un cessate il fuoco con la Russia. Ciò significherebbe consegnare alla Russia senza combattere 9 città e le principali fortificazioni.
Se le ostilità dovessero riprendere in seguito, la Russia non avrebbe altro che campagne libere da attraversare, a condizione che non sia trascorso abbastanza tempo da consentire all’Ucraina di costruire nuove fortificazioni in quella zona.
Nei prossimi mesi, la ricognizione aerea come tipo di attività sistematica potrebbe cessare di esistere.
Nel contesto delle operazioni di ricognizione e attacco a profondità tattico-operativa, la parola chiave è proprio “ricognizione”. Senza una conferma visiva dell’obiettivo, quasi nessuno si avventura in un attacco, e la ricerca di un obiettivo con mezzi d’attacco è una pratica molto rara.
Attualmente, quasi lungo tutto il fronte, il nemico sta schierando una linea stratificata di intercettori FPV, creando le cosiddette “zone di morte”, che a volte si estendono per 15-20 km in profondità nel territorio nemico. Tutti gli aerei da ricognizione che tentano di volare in quella zona durante il giorno rischiano fortemente di essere abbattuti. Per ora non vengono abbattuti sistematicamente di notte, ma è solo questione di tempo. Anche salire più in alto (a 4.000-5.000 metri) non produce alcun risultato: il nemico ha imparato ad abbattere anche lì. Condurre una “ricognizione settoriale” nella maggior parte delle direzioni è ormai impossibile.
Ci sono zone su determinati assi dove, durante il giorno, nessuno prova nemmeno più a spiccare il volo, sapendo che verrebbe abbattuto, e questo crea un vuoto che favorisce le manovre nemiche.
Questo è il risultato sistemico del lavoro del “Rubikon Center for Advanced Drone Technologies” russo e dei suoi gruppi mobili antincendio.
La ricognizione del fronte avanzato, la linea di contatto, rimarrà; è quasi impossibile sopprimerla.
Ma la ricognizione a livello operativo-tattico sta gradualmente scomparendo e richiede una soluzione rivoluzionaria e innovativa. Se non ne verrà trovata una, con il crescente uso di Rubikon nei settori e con il clima autunnale tradizionalmente sfavorevole, la ricognizione aerea cesserà di essere regolare.
Quali potrebbero essere queste soluzioni? Osservatori occasionali citano “mini-EW” su droni da ricognizione, un “sistema di evasione” (quando, al rilevamento di un intercettore nemico, l’ala esegue manovre brusche che riducono la possibilità di essere colpiti) e voli ad alta quota.
Si tratta di espedienti che saranno facilmente contrastati dalla tecnologia.
Finora non c’è una soluzione. E trovarla è il compito principale delle aziende manifatturiere e di molti centri di ricerca e sviluppo militari. Se non si trova una soluzione, nella prossima campagna primaverile sarà molto difficile per noi.
Il tempo dei giganteschi e costosi aerei da ricognizione è inequivocabilmente finito. La profondità sarà coperta da “photowings”, Leleka M2, Hory, Vectors, Domakhas e Shark-D.
Vorrei ricordare che siamo stati proprio noi i primi a proporre l’uso massiccio di intercettori FPV contro le ali di ricognizione, di fronte all’enorme afflusso di ali nemiche e alla mancanza di sistemi SAM sufficienti per abbatterle.
Dovremo anche trovare delle contromisure a questo problema. Perché non ci saranno abbastanza droni per tutti.
-Serafym Hordiienko, comandante dell’equipaggio di droni del 14° Reggimento Separato –
In primo luogo, conferma una cosa che sostengo da tempo: che questa grande minaccia rappresentata dai droni FPV di cui tutti parlano dipende quasi interamente da altri droni più lenti e più grandi che possono essere abbattuti con relativa facilità.
Esistono due tipi principali: il drone “ricognitore” e il ripetitore di segnale. Gli FPV non possono funzionare senza uno di questi due. Innanzitutto, perché gli FPV volano molto bassi e perdono rapidamente il segnale quando vengono persi di vista dall’unità di controllo. Pertanto, è necessario che abbiano un drone ripetitore di segnale posizionato molto in alto, in grado di “triangolare” il segnale verso di loro.
Secondo: gli FPV hanno un’autonomia limitata e in genere non vengono utilizzati in modalità “caccia libera” perché sono ottimizzati per trasportare testate il più pesanti possibile e batterie il più piccole possibile, al fine di massimizzare la letalità. Lasciarli vagare e “cacciare liberamente” i bersagli esaurirebbe rapidamente la batteria, quindi vengono utilizzati quasi esclusivamente dopo che un drone da ricognizione ha individuato alcuni bersagli o un’area ricca di bersagli in generale su cui possono scatenarsi. (L’eccezione è rappresentata dai droni a fibre ottiche, ma il loro numero non è sufficientemente elevato da incidere in questo senso, e soffrono comunque dello stesso problema della batteria, poiché la fibra fornisce solo il segnale ma non la carica elettrica).
Questi droni di segnalazione e ricognizione sono generalmente più grandi e più lenti dei modelli Mavic e possono essere disturbati, abbattuti, ecc., soprattutto perché sono costretti a volare relativamente in alto per il loro scopo. La Russia ha ora dato priorità al loro rilevamento con vari sistemi radar piccoli e portatili, nonché con altri metodi, ed è proprio questo che denuncia il testo sopra riportato.
Egli ritiene che se la Russia continuerà ad intensificare questa distruzione sistematica dei droni secondari ucraini, essenziali per il funzionamento dei FPV, presto potrebbe arrivare a neutralizzare l’intero fronte ucraino in termini di capacità dei droni FPV e di ricognizione. Ciò consentirebbe alle forze d’assalto russe di avanzare liberamente senza timore di essere individuate o inseguite, il che farebbe pendere l’ago della bilancia a favore della Russia ancora più di quanto non sia già ora.
Per mitigare questa affermazione, ho visto recenti rapporti simili provenienti da alcune unità russe che lamentano lo stesso lavoro sistematico da parte ucraina, dove sempre più unità ucraine stanno utilizzando radar portatili israeliani per abbattere i droni da ricognizione russi, complicando notevolmente gli sforzi russi su quei fronti. Sono certo che lo sforzo esiste ed è serio, ma è probabile che quello russo sarà scalato a un ritmo più rapido a causa delle evidenti esigenze logistiche.
A tal proposito, ecco un’altra immagine che mostra una strada di rifornimento ucraina nei pressi di Kramatorsk, ora adornata dai tunnel anti-drone ormai onnipresenti e obbligatori:
Alcune fonti russe lamentano che l’Ucraina abbia sistematizzato questi tunnel in rete in misura maggiore rispetto alla Russia, coprendo praticamente tutte le strade, ma è probabile che ciò sia dovuto al fatto che l’Ucraina ne ha molto più bisogno.
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Inizialmente avevo deciso di scrivere di un altro argomento questa settimana, ma sabato mattina ho iniziato a seguire gli sviluppi del vertice Trump-Putin in Alaska e lo sconcerto e la delusione espressi dai media occidentali. Ho quindi pensato di scrivere brevemente qualcosa al riguardo: ho iniziato tardi e sono in viaggio, quindi questo articolo sarà un po’ più breve e meno curato di quanto avrei voluto. Tuttavia.
Due punti prima di iniziare. Negli ultimi due anni ho scritto abbastanza a lungo sulle negoziazioni e questa volta vi invito semplicemente a leggere il mio ultimo saggio sull’argomento, che include link ad altri saggi precedenti. Oggi mi limiterò a sottolineare ancora una volta come i media continuino a confondere i diversi tipi di contatti tra i governi e utilizzino termini apparentemente a caso. In breve, i governi hanno scambi informali continui, a tutti i livelli. Il contenuto può essere relativamente modesto e l’intenzione piuttosto limitata: mantenere i contatti, garantire la comprensione delle posizioni e così via. Man mano che il livello dei contatti aumenta, viene prestata maggiore attenzione alla preparazione e al contenuto, quindi un incontro di venti minuti tra, ad esempio, i presidenti dell’India e del Brasile alle Nazioni Unite non sarebbe lasciato al caso, anche se potesse consistere semplicemente in uno scambio di posizioni note su argomenti concordati.
Poi ci sono i colloqui organizzati, soprattutto ad alto livello, che servono a migliorare la comprensione e magari avvicinare le due (o più) parti su questioni importanti. Dopo ci sono vari tipi di scambi più tecnici che possono portare ad accordi scritti su qualche argomento, e poi ci sono le “trattative” vere e proprie, dove l’obiettivo è arrivare a un testo concordato, a volte ma non sempre legalmente vincolante, che può richiedere un sacco di preparazione, tempo e impegno. In parole povere, chi non capisce queste (e altre) distinzioni ha creato confusione tra tutti e ora sta diffondendo la propria incomprensione e delusione per quanto è successo di recente.
In questi saggi mi impegno a non criticare singoli individui, ma mi limito a osservare che le capacità analitiche non sempre sono trasferibili da un settore all’altro. In questa fase della crisi ucraina abbiamo a che fare con la politica della sicurezza internazionale ai massimi livelli, ed è forse irragionevole aspettarsi che qualcuno con conoscenze, ad esempio, in materia di comando delle forze armate regolari, tecnologia militare o analisi dell’intelligence abbia il background e l’esperienza necessari per comprendere e commentare in modo utile ciò che sta iniziando ad accadere ora. Il pericolo è che queste persone, sollecitate dai media a esprimere commenti, invitate continuamente in televisione o su YouTube, o bisognose di mantenere siti Internet o carriere giornalistiche, ricorrano a banalità della cultura popolare o addirittura al tipo di pensiero che si trova su quelle decine di siti Internet che sostengono (in competizione tra loro, naturalmente) di dirvi come funziona davvero il mondo.
Non sto affatto suggerendo che l’attuale situazione militare sul terreno in Ucraina non sia importante, ma è anche essenziale rendersi conto che, man mano che ci avviciniamo alla fase finale, l’azione importante si svolge altrove e gran parte di essa sarà nascosta agli occhi dell’opinione pubblica. Le linee generali della fine della parte militare della crisi ucraina sono visibili da tempo, anche se i dettagli potrebbero ancora cambiare. Al contrario, la fase finale politica, estremamente complessa, è appena iniziata, i giocatori non sono ancora sicuri delle regole, nessuno sa con certezza quanti siano i giocatori e l’esito è al momento poco chiaro. È stato quindi deludente, ma non davvero sorprendente, leggere recentemente vari opinionisti suggerire che Trump e Putin avrebbero “negoziato” la fine della guerra in Ucraina, come se Putin dovesse tirare fuori un testo dalla tasca e i due dovessero poi discuterlo. Ciò è talmente lontano dalla realtà che è difficile spiegare quanto lo sia. Questo saggio ha quindi la modesta, ma spero utile, funzione di illustrare quali potrebbero essere le varie componenti politiche della fase finale per i principali attori politici e come potrebbero evolversi.
Una condizione essenziale per qualsiasi conclusione (non necessariamente un “accordo”) è un minimo di intesa tra i principali attori su come sarà la fase finale della crisi. Sarebbe sbagliato aspettarsi che tutte le nazioni la vedano allo stesso modo – alcune potrebbero non riconciliarsi mai – ma una crisi come questa non potrà mai concludersi senza un adeguato grado di convergenza tra i principali attori su un risultato accettabile. Vedo già i primi segnali in questo senso nell’incontro in Alaska. Sebbene non ci siano state ovviamente “negoziazioni”, né mai ci sarebbero state, sembra comunque che i due leader abbiano raggiunto una certa intesa.
Da parte degli Stati Uniti, è chiaro che Trump ha deciso che il gioco è finito e che, pur continuando a dire cose diverse in pubblico, non ostacolerà una soluzione imposta dalla Russia, che è comunque l’unica possibile. Anzi, userà la sua influenza sugli altri paesi per spingerli in quella direzione. (Nessun paese può “negoziare” per conto di altri, ovviamente, quindi quell’idea è sempre stata assurda). Da parte russa, Putin ha apparentemente deciso che, nonostante il sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina e la fornitura di armi, non ha senso continuare con un atteggiamento conflittuale e che è meglio iniziare subito a lavorare per instaurare relazioni stabili e durature con Washington. Ciò ha l’effetto aggiuntivo di creare una frattura tra gli Stati Uniti e l’Europa: un punto su cui tornerò. Supponendo che l’analisi sia corretta, e penso che lo sia, allora si tratta di un risultato discreto, anche se modesto, per un paio d’ore di colloqui, anche se ci sono indicazioni che altri potenziali ambiti di accordo non hanno avuto successo, il che non sarebbe affatto sorprendente. Ma naturalmente anche un risultato così modesto solleva questioni molto significative di attuazione sia per gli Stati Uniti che per la Russia, di cui parleremo tra un attimo, per non parlare dell’Ucraina e dell’Europa.
Mi sembra dubbio che, in un incontro così breve, siano stati “discussi” seriamente ulteriori dettagli, anziché essere semplicemente menzionati, come suggeriscono alcuni media. Probabilmente Putin ha ribadito la posizione di base della Russia su una serie di questioni, in particolare i criteri per concordare un cessate il fuoco, mentre Trump ha avanzato una serie di ipotesi speculative per il futuro, senza che nessuna delle due parti abbia sollevato obiezioni esplicite alle affermazioni dell’altra. Anche questo sarebbe di per sé un risultato positivo.
Ma siamo ancora in una fase iniziale. Gli sconvolgimenti politici che seguiranno la fine della guerra promettono di essere strazianti per natura e conseguenze, ed è fondamentale comprendere che un accordo politico reale, globale e articolato potrebbe non essere mai possibile. Senza dubbio cadranno governi e finiranno carriere, ma questo è il minimo dei problemi: alcuni sistemi politici rischiano infatti di crollare sotto il peso della tensione. Prendiamo prima il caso degli Stati Uniti, anche se, dato che la mia conoscenza diretta di quel sistema è piuttosto limitata, non tenterò di essere troppo ambizioso.
La “comunità” della sicurezza a Washington, sia all’interno che all’esterno del governo, presenta due principali punti deboli, che potrebbero rivelarsi fatali in questa situazione. Uno è la frammentazione e la rivalità. Ci sono così tanti attori, con così tanti modi per bloccare o ritardare le cose, che è incredibile che si riesca a fare qualcosa. Obama l’ha definita molto accuratamente “il Blob”, proprio perché è informe e priva di direzione, e nessuno è al comando. Poiché è così difficile cambiare qualcosa di sostanziale, mentre si combattono aspre battaglie su questioni insignificanti, anche le politiche sbagliate tendono a durare perché troppe persone vi hanno investito e non c’è consenso su un’alternativa. Per questo motivo, la politica statunitense può dare l’impressione di una continuità apparente, semplicemente perché non è possibile formare una coalizione per cambiarla. Nella maggior parte dei casi (la Palestina è uno di questi) non ci sono abbastanza vantaggi personali e professionali per gli individui nel cambiamento, al contrario della continuità. Questo, unito al fatto che la realtà della vita al di fuori di Washington incide solo episodicamente sul processo decisionale, crea un mondo altamente artificiale e in gran parte chiuso, dove la realtà è ammessa solo se accetta di comportarsi bene.
In queste circostanze, è naturale che si creino illusioni su un direttorio permanente al potere a Washington, come fantasia compensatoria: ma, come ho suggerito, questa apparente permanenza è in realtà meglio descritta come inerzia. Ora, naturalmente, con uno sforzo sufficiente, è possibile imporre una sorta di continuità concettuale o razionalizzazione post hoc agli eventi successivi. Vedo infatti che si sostiene addirittura che vi sia una “continuità” tra l’Afghanistan e l’Ucraina e che uno dei due sia stato “abbandonato” per consentire la concentrazione delle risorse sull’altro. Ciò è del tutto privo di fondamento, anche perché poche delle “risorse” erano comuni e, in ogni caso, gli Stati Uniti hanno inviato poche “risorse” all’Ucraina. Allo stesso modo, sono abbastanza vecchio da ricordare le previsioni fiduciose secondo cui gli Stati Uniti non si sarebbero mai ritirati dall’Afghanistan, perché lì si guadagnava troppo e c’erano enormi giacimenti minerari nel sottosuolo, e che Trump o Biden sarebbero stati assassinati se il ritiro fosse andato avanti. Si pensava invece che la guerra sarebbe continuata in qualche modo a tempo indeterminato dai paesi confinanti. Da quanto tempo nessuno di importante a Washington ha nemmeno menzionato l’Afghanistan?
La sconfitta in Afghanistan era inevitabile e non c’era alcun gruppo di interesse seriamente intenzionato a cercare di ostacolare il ritiro da quel Paese. Inoltre, le dinamiche di quella sconfitta erano comprensibili: non era la prima volta nella storia che soldati con un basso livello tecnologico avevano avuto la meglio su un esercito tecnologicamente avanzato in un conflitto di bassa intensità e in una situazione in cui l’esercito del governo nominale era inefficace. Piuttosto, tutti avevano interesse ad attribuire la responsabilità della sconfitta a Kabul e a seppellirla il più rapidamente e completamente possibile.
L’Ucraina è fondamentalmente diversa da questo, e uno dei motivi per cui i sistemi politici saranno presto sottoposti a una forte tensione è che la narrativa secondo cui “stiamo vincendo” o almeno “loro stanno perdendo” è stata così potente e universalmente accettata per così tanto tempo. Sebbene ci siano persone che hanno diffuso deliberatamente menzogne sui combattimenti, la verità, come sempre, è molto più complessa. In linea di principio, c’è stato un fallimento dell’immaginazione da parte di coloro il cui compito è quello di analizzare e fornire le loro analisi ai decisori e a coloro che influenzano le decisioni. Se si crede fermamente che le attrezzature, le tattiche, la dottrina e la leadership occidentali siano superiori e che l’organizzazione delle economie occidentali, in particolare quella degli Stati Uniti, sia la migliore al mondo, allora non c’è alcun modo razionale in cui l’Ucraina possa perdere. Quindi il primo e più grande problema sarà trovare una narrazione condivisa che renda la sconfitta totale almeno minimamente comprensibile, per non parlare di accettabile, dopo tanti anni di previsioni ad alta voce di una vittoria completa. Se il sistema statunitense sia in grado di farlo è una questione aperta.
L’altro problema principale è il mondo fantastico in cui vivono molti politici americani: un prodotto naturale, direbbero molti, della filosofia New Age californiana secondo cui se desideri qualcosa con abbastanza forza, puoi ottenerla. Una generazione fa, un funzionario anonimo e forse apocrifo dell’amministrazione di Little Bush avrebbe detto: “Ora siamo un impero, creiamo la nostra realtà”. Si trattava di un’affermazione straordinaria in qualsiasi momento, ma era tipica del trionfalismo irriflessivo di quei giorni e, anche se non è letteralmente vera, riflette un atteggiamento che molti di noi hanno notato allora. E se ci pensate bene, chi potrebbe obiettare a seguire le orme degli Assiri, dei Persiani, dei Romani e degli Ottomani e avere metà del mondo prostrato ai propri piedi in segno di adorazione? Dopotutto, pochi paesi hanno popolazioni che odiano attivamente se stesse (anche se il disprezzo per il proprio paese tende ad essere un’affettazione degli intellettuali liberali occidentali) né popolazioni che considerano attivamente il proprio paese privo di importanza. Pertanto, lodare il proprio paese e la sua importanza è sempre una buona politica.
Ma qui si arriva a livelli psicopatici. L’illusione dell’impero, o sindrome dell’impero, diventa pericolosa quando porta a una grave sopravvalutazione della forza e delle risorse effettive del paese e della sua reale capacità di influenzare gli eventi mondiali. Dopotutto, anche la realtà stessa spesso richiede uno sguardo approfondito: gli ultimi venticinque anni hanno visto una serie ininterrotta di sconfitte, delusioni e crisi politiche ed economiche per questo presunto Impero, più recentemente la fuga dall’Afghanistan e il fallimento in Ucraina. Ma poi, come in tutte le illusioni su larga scala, le sconfitte apparenti vengono rapidamente assimilate in piani generali ancora più sottili che un giorno sistemeranno tutto.
Solo questo, credo, può spiegare le straordinarie illusioni provenienti dalla Morte Nera imperiale, secondo cui gli Stati Uniti sarebbero in grado di “costringere” i russi a fare qualsiasi cosa. Passando per Londra alla vigilia del vertice, ho visto un titolo che affermava che “Trump minaccia Putin” se non fossero state fatte X, Y e Z, cosa che ovviamente non è stata fatta. L’idea della forza e dell’influenza degli Stati Uniti su scala mondiale è così profondamente radicata che non solo gli americani, ma anche coloro che scrivono sul Paese, sia in modo simpatico che aggressivo, hanno finito per condividerla acriticamente. Dopo un po’, l’argomentazione diventa circolare: gli Stati Uniti sono così potenti che devono essere dietro tutti gli eventi importanti del mondo, X è un evento importante, quindi si può automaticamente presumere che ci siano gli Stati Uniti dietro, anche se il loro coinvolgimento non ha senso o contraddice l’ultima affermazione sul loro coinvolgimento.
Ricorderete che un paio di anni fa si diceva che se la guerra non fosse finita presto con la sconfitta della Russia, gli Stati Uniti avrebbero dovuto “intervenire direttamente”. Che fine ha fatto quell’idea? Si è scoperto che gli Stati Uniti non avevano nulla in cui immischiarsi. Non avevano forze in Europa in grado di influenzare il corso dei combattimenti, e le forze ad alta intensità di cui dispongono negli Stati Uniti, molto limitate, avrebbero richiesto mesi, se non anni, di preparazione, addestramento e installazione, e anche allora non sarebbero state in grado di fare la differenza. Eppure l’illusione continua, non solo all’interno del governo e dei media servili, ma anche tra i critici più accaniti degli Stati Uniti, che credono che Washington stia cercando di “provocare una guerra” con la Russia per qualche motivo, che sicuramente perderebbe. Allo stesso modo, nonostante tutti i discorsi politici bellicosi, è improbabile che l’esercito statunitense sia così stupido da credere di poter “vincere” una guerra navale e aerea con la Cina per una questione non meglio specificata, al costo di metà della sua Marina e senza uno scopo ben definito. Eppure le illusioni continuano e, in una certa misura, determinano il modo di pensare e di sentire della gente a Washington, poiché non hanno alcun riscontro nella realtà. La crisi fondamentale che si profila all’orizzonte non è tanto che la guerra in Ucraina sia stata “persa”, quanto che gli Stati Uniti avranno rinunciato, in modo inequivocabile, inutile e molto pubblico, a gran parte della loro capacità di influenzare gli eventi nel mondo. Da parte loro, è chiaro che i russi preferirebbero un rapporto meno conflittuale e più normale con gli Stati Uniti, ma è altrettanto chiaro che non sono disposti a sacrificare nulla di importante per ottenerlo. Non sono sicuro che il sistema politico statunitense, disorganizzato, delirante e frammentato com’è, sia in grado di far fronte a tutto questo.
Il che porta a considerare la Russia. Anche in questo caso, non pretendo di avere una conoscenza approfondita del Paese, ma ci sono alcuni aspetti che, secondo la logica politica, potrebbero creare problemi nel prossimo futuro. Come ho sottolineato, la “vittoria” in questo contesto è un concetto molto sfuggente e potrebbe non essere realizzabile nel senso pieno del termine. Non può ripetersi lo scenario del 1945 e, anche se l’intera Ucraina fosse riportata sotto controllo, ciò non farebbe altro che creare una nuova frontiera tra la Russia e la NATO, vanificando in parte lo scopo dell’operazione. Soprattutto, non mi è chiaro se qualcosa che i russi considererebbero legittimamente una “vittoria” e che potrebbe essere venduto come tale al popolo russo possa essere effettivamente concordato, per non parlare poi della sua attuazione. Soprattutto, c’è la questione, affrontata nel mio precedente saggio, di “quanto è abbastanza?”. Non esiste una risposta razionale, derivata da un algoritmo, alla domanda su quanta terra debba essere controllata, fino a dove dovrebbero essere respinte idealmente le forze della NATO, quali armamenti potrebbero essere consentiti a un’Ucraina futura e molte altre cose. Ci saranno sicuramente una serie di opinioni e pressioni diverse, e la possibilità di dispute interne piuttosto serie, che a loro volta renderanno molto più difficile costruire una posizione negoziale russa per la fase finale. E in ogni caso, i sistemi politici e l’opinione pubblica tendono a radicalizzarsi sotto lo stress della guerra.
In effetti, questo problema è tanto tecnico quanto politico. Sebbene sia possibile negoziare localmente un accordo di cessate il fuoco limitato, qualsiasi altra soluzione rischia di coinvolgere i parlamenti nazionali e di richiedere il raggiungimento di un consenso in seno alle organizzazioni internazionali, entrambi fattori che (per non parlare della loro interrelazione) potrebbero rendere impossibile qualsiasi tentativo di accordo formale. È quindi facile capire che i russi potrebbero fornire all’Ucraina una garanzia di sicurezza unilaterale, simile al Memorandum multilaterale di Budapest del 1994. Ma gli impegni contenuti in quel testo non erano giuridicamente vincolanti e i russi hanno chiarito nel 2014 che non erano più applicabili. Quindi una garanzia di sicurezza politica unilaterale, come tutte le garanzie di questo tipo nella storia, sarebbe applicabile solo fino a quando non venisse revocata, mentre una garanzia di sicurezza giuridicamente vincolante sarebbe negoziabile. E le complicazioni legate al tentativo di negoziare un trattato che dovrebbe essere firmato e ratificato individualmente dai paesi della NATO sono di una complessità sconcertante. In altre parole, è possibile che, per ragioni pratiche, i russi non possano ottenere diplomaticamente ciò che vogliono politicamente, e dovremo vedere quali saranno le conseguenze.
Il rischio è che tutto ciò che si riuscirà a negoziare in modo soddisfacente sarà un accordo di cessate il fuoco provvisorio e forse un armistizio. Questo potrebbe anche andare bene, dopotutto in Corea c’è un armistizio da settant’anni. Il problema è che il numero di variabili è infinitamente maggiore rispetto al caso coreano e quasi tutto ciò che è importante sarebbe escluso da un accordo di questo tipo. Il risultato sarebbe probabilmente il caos, con diversi tentativi a vari livelli per cercare di risolvere problemi diversi, spesso temporanei e limitati, in modo isolato gli uni dagli altri e talvolta in contrasto tra loro. Sono forse tre dozzine i paesi coinvolti nella questione ucraina in senso lato, e probabilmente nessuno di essi avrà una posizione identica su nessuna delle decine di questioni bilaterali e multilaterali che saranno sollevate.
Potremmo quindi assistere a una sorta di ripetizione della controversia di Minsk, che ha trasformato una serie limitata di accordi temporanei di cessate il fuoco e disimpegno in una delle principali fonti di tensione tra la Russia e l’Occidente. Ricordiamo che lo scopo degli accordi era quello di porre fine ai combattimenti e creare una zona di disimpegno. Ciò andava bene ai russi, perché non era evidente che i separatisti stessero vincendo e, dal punto di vista politico, Mosca sarebbe stata costretta a intervenire, cosa che a quel punto non voleva affatto fare. Probabilmente hanno fatto pressione sui separatisti affinché firmassero, con l’osso di alcuni impegni di riforma politica inapplicabili da parte di Kiev. La logica politica suggerisce che i francesi e i tedeschi abbiano fatto pressione sul governo affinché accettasse il cessate il fuoco e fornisse queste garanzie politiche in cambio di vaghe promesse di un successivo sostegno occidentale. Pertanto, un accordo temporaneo volto a congelare il conflitto era accettabile perché dava a ciascuna parte una tregua dai combattimenti e l’opportunità di rafforzare le proprie forze (e, nel caso della Russia, la propria forza economica) in vista di un possibile prossimo round. Ma non è mai stato inteso come una soluzione completa, né tantomeno come una soluzione di alcun tipo, se non per il problema immediato.
Questa situazione rischia ora di ripetersi su scala più ampia. Sebbene i cessate il fuoco e gli accordi di armistizio siano relativamente facili da negoziare, si tratta essenzialmente di documenti pragmatici, in cui tutto ciò che appare difficile viene tralasciato per essere affrontato in un secondo momento. Ma potrebbe non esserci un “in seguito” e, con il protrarsi degli accordi, questi diventeranno sempre più oggetto di controversie e persino di conflitti, causati dalla frustrazione di non riuscire ad affrontare i problemi di fondo. In tali circostanze, gli accordi di cessate il fuoco e, potenzialmente, di armistizio potrebbero iniziare a sgretolarsi, con conseguenze imprevedibili e pericolose. Tutto ciò potrebbe portare i russi a rimanere con le mani nel fuoco, con conseguenze imprevedibili.
Infine, vorrei soffermarmi sull’Europa, perché è lì che, a mio avviso, potrebbero verificarsi le conseguenze più pericolose e imprevedibili, che devono essere delineate in modo semplice e calmo, senza il tono di scherno e disprezzo che è diventato la norma. Il problema degli europei è abbastanza semplice: non hanno mai creduto pienamente alla buona fede degli Stati Uniti, e ora sembra che avessero ragione. Per capire perché, dobbiamo tornare alla fine degli anni ’40 e alla situazione dell’Europa in quel momento, evitando le interpretazioni gnostiche attualmente in voga sull’inizio della Guerra Fredda (“Ho avuto una rivelazione!” “Lo so!”) e basandoci solo su ciò che sappiamo.
Sebbene sia vero che gran parte dell’Europa fu fisicamente distrutta nel 1945, il vero danno era altrove. I tedeschi avevano saccheggiato tutto dai territori che avevano conquistato, dalle mele alle opere d’arte, e il continente era di fatto in bancarotta e affamato, con l’economia distrutta. Tra i 4 e i 5 milioni di europei occidentali erano stati deportati in Germania come lavoratori forzati. Dal punto di vista sociale e politico, la devastazione era ancora peggiore. L’occupazione aveva screditato interi sistemi di governo e amministrazione, l’intera classe politica europea era messa in discussione, i partiti politici erano scomparsi e la fiducia sociale era spesso venuta meno. La collaborazione, che aveva assunto forme diverse in ogni paese, aveva creato ferite politiche profonde che in alcuni casi non sono ancora rimarginate.
Le differenze politiche sembravano insormontabili e alcuni paesi erano teatro di violenze politiche diffuse. All’interno dei potenti partiti comunisti di Francia e Italia, alcune voci sostenevano che la lotta non sarebbe stata completa fino a quando non avessero preso il controllo del paese in nome della classe operaia. Il ricordo della guerra civile spagnola era ancora dolorosamente vivo e in Grecia era in corso una nuova guerra civile. Pochi dubitavano che un altro conflitto su vasta scala avrebbe significato la fine della civiltà europea, già piuttosto instabile.
A est, l’Ungheria, la Polonia e la Cecoslovacchia erano state completamente assorbite nel sistema sovietico, non attraverso un’azione militare ma con l’intimidazione. Poteva succedere lo stesso altrove? Era quello che voleva Stalin? Qualcuno aveva la minima idea di cosa volesse Stalin? Il timore non era tanto il potere sovietico in sé (anche se, come disse il generale Montgomery, l’Armata Rossa avrebbe potuto raggiungere i porti della Manica semplicemente “camminando”), quanto piuttosto la debolezza politica e la possibile disintegrazione dell’Europa occidentale, con tutte le conseguenze che ciò avrebbe potuto comportare.
L’unico contrappeso possibile in quelle circostanze erano gli Stati Uniti, ma il Paese era in gran parte smobilitato e chiuso in se stesso in una frenesia anticomunista. La sua principale preoccupazione in politica estera era la Cina. Sebbene gli Stati Uniti non avrebbero certo accolto con favore l’Europa sotto l’influenza sovietica, non era chiaro se il sistema politico americano fosse pronto a combattere un’altra guerra per impedirlo. In effetti, il grande timore era che gli Stati Uniti potessero semplicemente decidere di lasciare che i sovietici facessero ciò che volevano, senza che l’Europa potesse influenzare il proprio destino. Questo è, ovviamente, il mondo di Orwell in 1984, che riassume meglio di qualsiasi altra opera che conosca l’esaurimento e le paure dell’epoca. Orwell utilizzò una teoria allora influente del politologo americano James Burnham, secondo cui l’era delle piccole nazioni era finita e il futuro sarebbe appartenuto a megastati in gran parte indistinguibili, governati da una casta che oggi chiameremmo PMC. 1984 è in parte una satira su questa ipotesi, ma descrive comunque un mondo interamente dominato dagli Stati Uniti, dalla Russia in qualche forma e dalla Cina. L’Europa è scomparsa come entità indipendente. Airstrip One, come è conosciuta la Gran Bretagna, fa parte dell’Oceania, dominata dagli Stati Uniti, mentre il resto dell’Europa fa parte dell’Eurasia, dominata dalla Russia. L’opera di Orwell esprime esattamente le preoccupazioni sulla fine dell’Europa (il titolo originale era L’ultimo uomo in Europa) che agitavano i sostenitori europei del Trattato di Washington.
Quel trattato era ovviamente imperfetto, in quanto per ragioni politiche gli Stati Uniti non erano disposti a fornire una reale garanzia di sicurezza all’Europa, e non l’hanno mai fatto. Il dispiegamento di truppe statunitensi in Europa forniva alcuni motivi di cauto ottimismo, ma esse potevano sempre essere ritirate. Da qui il motto non ufficiale dei comandanti della NATO durante la guerra fredda: assicurarsi che il primo a morire sia un americano. Quindi, mentre in apparenza tutto era rose e fiori, gli europei non potevano mai essere sicuri che gli Stati Uniti avrebbero effettivamente mantenuto le promesse, e il loro controllo sul sistema di comando della NATO significava che, se se ne fossero andati, non ci sarebbe stata alcuna resistenza a un attacco o a intimidazioni sovietiche in caso di crisi. Con l’aumentare della potenza delle armi nucleari, sempre più persone cominciarono a chiedersi se fosse davvero realistico immaginare che gli Stati Uniti avrebbero rischiato la propria popolazione in uno scontro nucleare con Mosca. Non si trattava di “essere protetti” (la stragrande maggioranza delle forze della NATO era comunque europea), ma di cercare di garantire che un paese con un’enorme capacità di influenzare l’Europa nel bene e nel male si comportasse nel modo più responsabile possibile e tenesse conto degli interessi europei. Il metodo adottato era un po’ come quello di legare Gulliver a Lilliput con molte piccole corde.
E, ad essere onesti, questa strategia ha avuto in gran parte successo. La tentazione di ignorare gli interessi europei è stata per lo più resistita a Washington, perché alla fine erano semplicemente troppo importanti. Ma in quello che sembra essere un nuovo livello di caos nell’attuale politica di Washington, questo sta diventando nuovamente una preoccupazione reale. La possibilità che un presidente degli Stati Uniti possa fare qualcosa che l’Europa rimpiangerà è sempre esistita, ma con una persona impulsiva e poco riflessiva come Trump al comando, sta diventando un rischio molto concreto. La geografia politica di Orwell potrebbe rivelarsi giusta, dopotutto.
Ma questo è solo un aspetto del problema. Le leve del potere non funzionano più. Nessuno risponde quando chiamiamo. I servitori si sono ribellati e se ne stanno andando. Una classe politica occidentale ubriaca da trent’anni di illusioni di onnipotenza e superiorità morale sta per ricevere uno schiaffo in faccia dalla grande realtà. Riuscirà a sopravvivere all’esperienza?
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Una tesi perspicace, al netto dell’enfasi e della confusione tra ebraismo e sionismo, che, però, a parere dello scrivente, confonde la dinamica oggettiva che potrebbe prendere, nella sua sintesi, il conflitto interno negli Stati Uniti con la volontà soggettiva di una componente essenziale di esso_Giuseppe Germinario
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Ho accennato a questo costrutto negli ultimi giorni e ho deciso di provare a formulare l’idea in una forma un po’ più lunga. Ma non troppo. Queste considerazioni nascono da una semplice domanda: cosa sta succedendo con l'”offensiva di pace” di Trump? Si è improvvisamente reso conto che la Russia sta vincendo la guerra – di fatto, l’ ha vinta , quindi è ora di trovare una via d’uscita? Oppure, nonostante tutte le prove contrarie, vuole sinceramente fermare le uccisioni in Ucraina – ma in nessun’altra parte del mondo? E perché la “pace” deve avvenire questa settimana , quando prima non aveva poi così tanta fretta?
Naturalmente, in un mondo razionale, Trump ha molteplici buone ragioni per voler porre fine alla guerra dell’America contro la Russia. Anche per giungere a una pace globale con la Russia che includa la nuova architettura di sicurezza in Europa tanto desiderata dai russi. Con l’imminente contraccolpo commerciale a seguito dello shock tariffario e del timore reverenziale – previsti per questo autunno – e con le imminenti difficoltà monetarie dovute alla dissolutezza fiscale, nonché all’esaurimento delle nostre armi da guerra, porre fine a una guerra di vasta portata ha senso. Non che la dissolutezza fiscale sembri essere una preoccupazione importante per Trump. Epstein, Epstein, Epstein? La pace come distrazione da tutto questo? Tutto sembra indicare che Trump sia sotto il controllo dei nazionalisti ebrei, quindi una distrazione sembrerebbe opportuna, visto che non è una bella prospettiva per un POTUS.
La mia teoria – solo una teoria – è che ciò a cui stiamo assistendo sia un’elaborata truffa. Il concetto di base è coinvolgere la Russia in qualcosa che Trump possa chiamare “pace” – cioè, di cui possa rivendicare il merito – al punto che la Russia si ritroverà di fatto con le mani legate al punto da trovare difficile affrontare le molteplici guerre che Trump potrebbe avere in mente. Considerate. La Russia ha vinto la sua guerra contro gli anglo-sionisti sul fronte ucraino e si sta affermando come una potenziale sfida militare per l’Impero americano. Ma attuare qualcosa di simile a una “pace” – lo dico perché un “cessate il fuoco” sembra ancora essere sul tavolo – potrebbe rivelarsi più impegnativo per la Russia che semplicemente dichiarare guerra. Nota bene: Trump non ha effettivamente interrotto il sostegno militare all’Ucraina – vuole solo che gli euro lo paghino. Dal mio punto di vista, Trump sta in realtà agendo in modo piuttosto cauto. Posso immaginare Putin dire a Lavrov o Ushakov (o a entrambi): “Sai, ogni volta che parlo con Donald, è sempre molto educato e disponibile, sembra sinceramente voler porre fine alla carneficina in Ucraina, ma la cosa successiva che so è che il suo esercito sta aiutando gli ucraini a uccidere altri russi”.
Ok, alcuni dati.
Gli Stati Uniti hanno messo una taglia di 50 milioni di dollari sulla testa di Maduro. E ora Trump ha schierato 3 cacciatorpediniere lanciamissili Aegis e 4.000 soldati sulle coste del Venezuela, apparentemente per combattere il narcotraffico. Mentre allo stesso tempo sta valutando la possibilità di riclassificare la cannabis negli Stati Uniti come “droga meno pericolosa”. Il Venezuela gode di ottimi rapporti con i BRICS e con l’Iran in particolare. È anche una spina nel fianco per Israele.
Gli Stati Uniti si stanno inserendo attivamente nel Caucaso – di nuovo – e stanno ridistribuendo le risorse militari tra il Golfo e l’Iraq. Quasi come se una nuova guerra fosse imminente. Naturalmente, il Caucaso – l’Azerbaijan – è stato un elemento chiave del precedente attacco a sorpresa di Trump all’Iran. Nel frattempo, Netanyahu sta tenendo discorsi al popolo iraniano esortandolo a rovesciare il governo – il solito preludio a un attacco a sorpresa israeliano. Netanyahu ha anche un disperato bisogno di una guerra per evitare di finire in prigione.
Gli Stati Uniti sono attivi anche in quella che un tempo era la Siria, sostenendo al-Qaeda/ISIS/HTS mentre massacrano cristiani, alawiti e drusi. Trump sta anche fomentando la guerra civile in Libano.
Trump continua anche a dare il via libera al genocidio nazionalista ebraico contro Gaza e alla pulizia etnica dei palestinesi. Nessuna lettera di Melania a Netanyahu. Sono sicuro che Putin ne abbia preso nota.
Infine, ma non per questo meno importante, gli Stati Uniti hanno fatto navigare un cacciatorpediniere nelle acque rivendicate e controllate dalla Cina nel Mar Cinese Meridionale, provocando una reazione furiosa e azioni da parte del PLAN.
Quale aspetto della pace mi sfugge? Torniamo alla Russia.
Per anni la Russia ha espresso con assoluta chiarezza le sue preoccupazioni e il suo desiderio di un piano globale per la gestione delle relazioni con la NATO. Putin ha anche chiarito che ciò equivale a un accordo globale con gli Stati Uniti, poiché gli altri stati della NATO sono semplicemente vassalli che devono fare ciò che gli Stati Uniti dicono loro di fare. In vista della fase cinetica della guerra anglo-sionista contro la Russia, Putin ha incarnato le idee russe in due “bozze di trattato” presentate all’Occidente nel dicembre 2021, solo per essere poi sdegnosamente ignorate. Da allora i russi sono rimasti fermi nelle loro richieste.
Per gli otto mesi circa, finora, di Trump 2.0, Trump ha sostanzialmente abbracciato – di fronte alla ferma insistenza della Russia sulle sue preoccupazioni in materia di sicurezza – il “piano” Kellogg di minacciare e intimidire la Russia, con l’obiettivo di convincere Putin ad accettare la sconfitta, perché questo è ciò che significherebbe un “cessate il fuoco incondizionato”. Ora, sappiamo che l’incontro con Putin è stato probabilmente organizzato circa due settimane prima dell’evento effettivo. Eppure, fino a poche ore prima dell’incontro con Putin in Alaska, Trump continuava a invocare un “cessate il fuoco”, un notorio fallimento per i russi. Poi è arrivato l’incontro, e Trump è emerso parlando di passare direttamente alla “pace”, saltando qualsiasi cessate il fuoco. Questo rappresenterebbe uno smantellamento totale della precedente politica statunitense, se non fosse che Trump stava anche promuovendo un incontro tra Putin e Zelensky entro la fine di questa settimana. Un altro fallimento per i russi, per ovvie ragioni: Zelensky non è nemmeno un presidente legale.
Poi c’è stato l’incontro di ieri alla Casa Bianca, con Zelensky e i vari nani europei:
E Trump è tornato a fare ambigui riferimenti a “cessate il fuoco” e a telefonate a Putin per organizzare un incontro Putin-Zelensky. Questo nonostante il fatto palesemente ovvio, ben espresso da Chas Freeman questa mattina, che solo un trattato di sicurezza globale sarebbe la soluzione giusta, mentre un “cessate il fuoco” non lo sarebbe affatto.
Signore della guerra in poltrona @ArmchairW
Se questo è ciò che hanno fatto, è screditante per Trump il fatto che non abbia riservato a Zelensky lo stesso trattamento di Hyman Rickover e non lo abbia costretto a stare in un armadio finché non fosse riuscito a elaborare un piano di pace che non fosse stupido da morire.
Citazione
Russi con carattere @RWApodcast
21 ore
Il FT afferma di aver visto la “proposta di pace” ucraina portata da Zelensky a Washington: insistono ancora su un cessate il fuoco incondizionato, senza alcuna concessione territoriale; vogliono 300 miliardi di dollari di riparazioni di guerra dalla Russia e l’acquisto di 100 miliardi di dollari in armi dagli Stati Uniti, pagati dall’UE.
18:28 · 18 agosto 2025
·
DD Geopolitica @DD_Geopolitica
6 ore
 Il presidente Trump su Fox & Friends:
Ho risolto 7 guerre. Abbiamo concluso 7 guerre. Pensavo che questa sarebbe stata una delle più facili, e invece si è rivelata la più difficile…
Questa affermazione da sola dimostra che nessuno fa sul serio ed è chiaro che nessuno ascolta la Russia.
.
Megatron @Megatron_ron
21h
ULTIMA ORA:
Secondo quanto riportato dal Financial Times, l’Europa acquisterà armi americane per l’Ucraina, nell’ambito di uno sforzo per ottenere garanzie di sicurezza dagli Stati Uniti.
.
Will Schryver @imetatronink
20m
 La Casa Bianca sta ora ventilando la prospettiva di “garanzie di sicurezza” per l’Ucraina sotto forma di “stivali sul terreno” europei abbinati al supporto aereo statunitense.
Questa, ovviamente, è una sciocchezza assurda. Non accadrà.
Questo è stato particolarmente interessante:
Caitlin Doornbos @CaitlinDoornbos
18 agosto
“Se pensate che gli ucraini rinunceranno a Kramatorsk e Sloviansk, vi consiglio di chiedere a un texano se Davy Crockett avrebbe dovuto rinunciare ad Alamo”, mi ha detto oggi un portavoce americano della 3a Brigata d’assalto ucraina.
.
Saagar Enjeti @esaagar
18 agosto
Perché c’è un portavoce americano per una brigata ucraina?
Come se i russi non sapessero che l’esercito di Trump è direttamente coinvolto nella guerra contro la Russia?
Capite cosa intendo? Sembra proprio un’esca . L’unica domanda è: a quale scopo? La mia teoria, come sopra, è che l’obiettivo sia quello di intrappolare Putin in un “processo di pace” mentre Trump vira verso la guerra altrove, ovunque vogliano i nazionalisti ebrei. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov sembra capirlo. Non sorprende. Di seguito una citazione tratta dal giudice Nap che ha parlato oggi con Bill Astore . La mia interpretazione è che Lavrov, presente in Alaska, stia indicando che, durante l’incontro con Trump, i russi hanno nuovamente espresso il loro desiderio e la loro richiesta di un piano globale per una nuova architettura di sicurezza in Europa. Ma non è affatto questo che è emerso dall’incontro della Casa Bianca. In quest’ottica, Lavrov esprime la sua delusione per il fatto che le cose sembrino tornare al punto di partenza. Trump NON ha imposto la legge a Zelensky o agli europei, tutt’altro.
La mia impressione è che Trump sperasse di abboccare i russi (nell’esca) e poi tenerli coinvolti mentre lui e l’Occidente anglo-sionista attuano il cambio. L’idea sembra essere che, una volta che i russi saranno coinvolti, saranno riluttanti a ritirarsi. Ma non funzionerà così. Lavrov è perfettamente educato e non chiama in causa Trump, ma i russi non abboccheranno all’amo:
Giudice: Vorrei farvi ascoltare un altro estratto del Ministro degli Esteri Lavrov. Si tratta di un’intervista che ha rilasciato ieri o oggi a Mosca, in cui afferma – se è stato ieri, è stato a fine giornata, perché sta commentando quanto accaduto a Washington – che “il Presidente Trump e le persone che lo circondano sono molto seri e desiderano la pace. Purtroppo, non posso dire lo stesso della leadership dei Paesi europei”.
Lavrov: Certamente. Sì, era più che evidente che l’illustre capo degli Stati Uniti e il suo team dedicato volessero innanzitutto e soprattutto raggiungere un risultato completo e duraturo, che fosse a lungo termine, intrinsecamente stabile e realmente affidabile , a differenza delle controparti europee, che in quel particolare momento continuavano a insistere ovunque sulla necessità assoluta di un cessate il fuoco immediato. E dopodiché, avrebbero continuato a fornire armi incessantemente all’Ucraina. In secondo luogo, è importante notare che sia il presidente Trump che l’intero team possedevano una comprensione molto chiara e completa del fatto che questo particolare conflitto, nella sua stessa essenza, ha davvero le sue cause profonde e le sue origini profondamente radicate. Inoltre, riconoscono che i discorsi e le affermazioni di alcuni presidenti e primi ministri europei, specificamente in merito al presunto attacco immotivato e del tutto ingiustificato della Russia contro l’Ucraina, non sono altro che chiacchiere infantili. Non esiste assolutamente altro modo accurato o appropriato per esprimerlo o descriverlo se non con queste parole.
La risposta russa era prevedibile.
Branislav Slantchev @slantchev
22 ore
Ushakov (l’assistente di Putin per la politica estera) ha affermato che Trump e Putin hanno avuto una chiamata molto “franca” mentre gli europei erano ancora alla Casa Bianca. In termini diplomatici, questo significa che ai russi non è piaciuto affatto ciò che hanno sentito. Ushakov ha anche affermato che il Cremlino avrebbe inviato negoziatori di alto livello, ma ha omesso qualsiasi riferimento a Putin. Questo va contro l’iniziativa di colloqui trilaterali di Trump, a cui Zelenskyj ha aderito. …
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ayden @squatsons
18 agosto
Sono in volo 3 bombardieri Tu-95.
Il teatro delle trattative è finito.
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Questa mattina missili e droni russi hanno colpito la raffineria di petrolio di Kremenchuk, nella regione di Poltava.
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RussiaNews @mog_russEN
UNA NOTTE DOLOROSA PER L’UCRAINA, L’OCCIDENTE E L’AZERBAIGIAN
Massicci attacchi russi incendiano i serbatoi di petrolio azero a Kremenchug: Aliyev esce dall’attività in Ucraina in fiamme.
La raffineria strategica è paralizzata, i depositi di munizioni distrutti, la logistica chiave distrutta.
1/
03:14 · 19 agosto 2025
I prossimi mesi potrebbero essere… interessanti.
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Il consueto commento di WS all’ultimo di Simplicius_Giuseppe Germinario
In questo articolo Simplicius legge la “ ambigua” posizione russa su la “pace di Trump” in una chiave che io ritengo corretta perché ha spiegato già in passato altrettante “ambiguità” russe, dal “maidan” alle “Istanbul”.
La Russia è necessariamente “ ambigua” perché è “ambigua” la stessa guerra a cui viene sottoposta. E non è possibile risolvere un simile conflitto con un semplice “ colpo di spada” perché il campo di battaglia militare è solo uno dei suoi “teatri”.
Il noto aforisma di Von Clausewitz, la guerra è la presecuzione della politica .., è solo una dimensione del “conflitto”. Non solo, questa dimensione vettoriale è pure bidirezionale: la politica è la prosecuzione della guerra…, come i russi hanno dolorosamente sperimentato dopo l ‘autoscioglimento” dell’URSS.
Ci sono altre “dimensioni” del “conflitto”: “l’ economica” è ora evidente a tutti , ma esistono anche quella “emotiva” e “culturale”, ambiti che nella società moderna si sono dimostrati anche più pervasivi ed efficaci. Controllare la mente delle élites significa controllare la politica dei loro paesi.
La “narrazione” in cui siamo immersi è fondamentale. Non solo “narrare” il presente definisce il futuro, ma lo stesso “narrare” è il passato che crea il “presente”.
Non solo la “storia” in cui noi siamo immersi fin da quando essa è nata, le steli di Ramses, riporta “i fatti” dall’interessato punto di vista di chi la scrive, ma soprattutto sempre più essa è imposta da vincitori che hanno anche il potere di cancellare le “storie” dei “ vinti”. Una caratteristica particolarmente degenerata da quando la ” borghesia” ha preso il sopravvento sulla “nobiltà”.
Ad esempio solo ora si comincia a chiarire che il concetto di “guerra mondiale” nelle sue implicazioni di imposizione di un nuovo “assetto sistemico” è ben anteriore al 1914 , (consiglio di leggere questo recente articolo ora tradotto anche in italiano (https://giubberossenews.it/2025/08/20/la-settima-guerra-mondiale/)) e meriterebbe un commento a parte.
Ma ora anche comincia ad essere chiaro che è intrinseco nella storia umana il conflitto tra “popolo” ed “elite” che poi, culturalmente, è tra “ logos” e “gnosi” , cioè tra “verità” rivelata a tutti, il popolo e “ conoscenza” ritenuta per pochi, elite, al solo fine di mantenere ed accrescere il proprio potere sul “popolo”.
E, per chi lo vuol vedere, è evidente che oggi l’ “occidente” sia dominato da una simile elite il cui enorme potere si basa sul monopolio della fabbricazione del danaro , che è la linfa, il “sangue” necessario alla vita di questa nostra complessa società.
Privilegio che fornisce a LORO un immenso potere di ricatto e di costruzione di una “narrazione “ asfissiante; strumenti che danno LORO un potere tanto superiore a quello della sola “spada” con cui si è sostenuto per millenni il potere della defunta “nobiltà”.
Torniamo però ora a Putin e al gruppo che esso ha costituito intorno a sé, partendo da quella “mafia di Leningrado” che giunse a Mosca con Sobciak.
Si tratta, certamente in origine, di un gruppo emerso al seguito del crollo de l’ URSS tra i saccheggiatori di quella “balena spiaggiata”, cosa che Lilin nel suo libro “ Putin l’ ultimo zar” ha descritto bene.
Ma che cosa differenzia costoro dalla “€uroborghesia compradora”, ieri a rapporto dal “preside “ Trump ? Il background culturale .
La “mafia di Leningrado” di Putin è nata e cresciuta in URSS. Ha partecipato al “saccheggio della balena” per la gioia dei loro figli debosciati, ma l’arricchimento personale non era il suo “punto cardinale”. La sua identità culturale “russa” alla fine ha fatto emettere il suo “non serviam!” da cui è venuto questo “conflitto di volontà”con le Centrali del potere “gnostico” già padroni de “l’ occidente”; conflitto ora tradotto in “guerra cinetica” in Ucraina
Una guerra che però non ha solo la dimensione della “spada”; passa anche nello “ spirito” di chi domani comanderà la Russia . Putin, Peskov, Lavrov , Shoigu ect sanno benissimo che i loro figli “biologici” sono “contaminati”, anche se non al livello della figlia di Sobciak, così come quelli di gran parte della attuale elite russa.
“Decontaminare” la Russia dalla corruzione “occidentale” è una battaglia molto più difficile che denazificare l’Ucraina che, in fondo, è solo la vetrina “militare” di questo scontro.
Per Putin l’ Ucraina è solo un quadrante della sua “scacchiera”; la vera partita si gioca in Russia e ci vuole un tempo enorme, senza provocare pericolosi contraccolpi, per sostituire una “elite” contaminata da “l’ occidentalismo” con una purificata “ sul campo di battaglia”.
Per questo anche Putin è interessato a calciare il barattolo ed evidentemente ha trovato in Trump uno che ha lo stesso progetto in casa propria, con tanti Auguri !
L’essenza di questo teatro, quindi, è tutta qui. La discussione deve appunto ricondurci a questo: Quale “coup de theatre” ci darà Trump per uscire dal suo nuovo “penultimatum”?
Perché, chi invece ha sempre più fretta sono LORO: i “ signori del danaro”. Il LORO potere in “occidente” è intatto e non se ne andranno senza tentare di “ rovesciare il tavolo”.
Per questo Putin è “ambiguo” e Trump “ondivago”; un piccolo errore , anche solo un LORO piccolo spavento un più che sia appiglio alla LORO “narrazione” e… patatrac !
Siamo dentro una nottata in cui meglio sperare non venga mai “mezzanotte”.
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La troupe arrivò nell’ufficio di “papà” a Washington per la cerimonia ufficiale di presentazione. Se non altro, dobbiamo meravigliarci del fatto che l’incontro abbia prodotto alcuni degli scenari politici forse più straordinari della storia:
Si è mai verificato qualcosa di simile? L’intero pantheon della classe dirigente europea ridotto a bambini piagnucolosi nell’ufficio del preside della loro scuola. Nessuno può negare che Trump sia riuscito a “mettere l’Europa in ginocchio”. Non si torna indietro da questo momento di svolta, l’immagine è semplicemente irrecuperabile.
Ma, a parte il sarcasmo, oggettivamente parlando, dobbiamo sottolineare quanto la delegazione apparisse assolutamente sconfitta e priva di energie . Basta dare un’occhiata al linguaggio del corpo di “eminenti statisti” come Emmanuel Macron e Alexander Stubb in questa foto che voleva trasmettere solidarietà collegiale e “forza” alleata:
Mani in tasca, sguardi di lieve confusione o disinteresse, occhi vacui e quella bizzarra atmosfera da “spazio morto” come una “TV sintonizzata su una stazione morta” (grazie al signor Gibson). È chiaro che nessuno vuole essere lì, e tutti sanno che la farsa artificiale sembra e si sente forzata . La vera battuta finale arriva al minuto 1:00, dove diventa assolutamente chiaro che l’intera vuota esercitazione non è altro che una presa in giro dell’astuto direttore del circo, mentre ordina ai suoi abietti alunni di abbassare lo sguardo verso l’opera d’arte attentamente posizionata che presiede il rituale dorato dell’umiliazione.
Si potrebbero scrivere volumi sulle implicazioni di un così basso livello di influenza europea. Ma ci limiteremo a concludere che è chiaro che la questione della risoluzione del conflitto ucraino è di tale importanza esistenziale per la cricca che si cela dietro le quinte e che impartisce ordini ai burattini europei, che questa cricca è disposta a rischiare tutto, incluso il sacrificio politico di questi “compradores” che fingono di essere leader eletti.
È inutile anche solo entrare nei dettagli, ma ci sono stati molti piccoli momenti di umiliazione durante l’incontro: dal mancato riconoscimento apparente del presidente finlandese da parte di Trump – incapace di trovarlo nonostante fosse seduto proprio di fronte a Trump – all’umiliazione di Trump nei confronti di Ursula, che si era presentata armata di un discorso prestabilito sui russi che rapiscono bambini ucraini; Trump l’ha messa a tacere osservando che si erano riuniti per parlare di qualcos’altro, ovvero che la vostra propaganda è irrilevante e indesiderata qui.
Va anche notato che Trump non ha accolto personalmente nessuno dei messaggeri europei al loro arrivo, affidando invece la scorta a un factotum dal prato della Casa Bianca. Ciò era in netto contrasto con la pompa magna della visita di Putin. Questo, ovviamente, è voluto, con Trump che di fatto mostrava ai codardi compradores europei il loro ruolo subordinato nell’ambito della sua lenta ristrutturazione dell’ordine mondiale; Trump rispetta solo il potere: i leader servili e melliflui lo disgustano e si guadagnano la sua impronta di stivale sulla fronte.
Quindi, cosa ha effettivamente ottenuto l’incontro, oltre ad aumentare il prestigio di Trump e a soffocare le narrazioni mediatiche scomode nel ciclo delle notizie?
Quello a cui abbiamo assistito è stata l’ennesima ripetizione della stessa routine dell’Alaska: si tengono colloqui, si annunciano importanti “progressi”, ma non vengono forniti dettagli o prove concrete. In questo caso, il grande risultato sarebbe l’accordo per un incontro tra Putin e Zelensky, seguito da un “trilat”, come lo chiama Trump. Il problema è che non ci sono prove che la parte russa abbia accettato una cosa del genere.
In primo luogo, gli organi di stampa hanno sbandierato che Trump “ha telefonato a Putin” nel bel mezzo del suo incontro con gli europei, ma lo stesso Trump ha prontamente smentito la notizia:
Pubblico questo esempio per illustrare ancora una volta quanto rumore di disinformazione stia intasando le onde radiofoniche su questo tema. E questo contestualizza il resto dell’analisi, riguardante ciò che la Russia potrebbe o meno aver accettato. Vedete, con la stessa facilità con cui i media mainstream hanno mentito sulla telefonata di Trump, potrebbero farlo anche riguardo alle affermazioni, ora in circolazione, secondo cui Putin avrebbe “accettato” di incontrare Zelensky.
I russi hanno tenuto la situazione molto nascosta, anche più del solito. Sembra che abbiano adottato una strategia di deliberata ambiguità strategica per dare a Trump la licenza di giocare la sua partita contro gli europei – e l’Ucraina – mentre i russi se ne stanno a guardare. In questo caso, nel confermare il tentativo di Trump di far sedere Putin e Zelensky al tavolo delle trattative, l’assistente di Putin Ushakov ha di fatto modificato molto sottilmente il testo affermando che Putin e Trump avevano effettivamente discusso di un innalzamento del livello dei “negoziatori” e ha menzionato la possibilità che la Russia studiasse questa proposta – come ho scritto su X:
Un’interessante insalata di parole evasiva, come non-risposta nel consueto “linguaggio del Politburo”. Non conferma nulla, se non che Trump e Putin hanno discusso di “innalzare il livello dei negoziatori” tra Russia e Ucraina (omettendo specificamente di quale livello si tratterebbe). E in effetti, non ha nemmeno detto che si sia discusso di innalzare il livello in sé, ma piuttosto della possibilità di “studiare” questa proposta. Sembra che la Russia per ora continui a giocare con l’ambiguità strategica per dare a Trump lo spazio di manovra di cui ha bisogno per “lavorare” sugli europei e su Zelensky.
“Secondo lui, i leader hanno discusso la possibilità di aumentare il livello dei negoziati diretti russo-ucraini. I presidenti russo e statunitense hanno sostenuto l’idea di negoziati diretti tra le delegazioni russa e ucraina “, ha affermato il consigliere presidenziale.
Come ho scritto di nuovo su X:
Da notare che la parte russa ha sostenuto l’idea di “negoziati diretti tra le delegazioni russa e ucraina”.Non tra presidenti russo/ucraino, ma tra “delegazioni”.
Ora, quasi a voler trollare o intenzionalmente ostacolare il potenziale incontro, la Russia avrebbe proposto come meta preferita un incontro tra Putin e Zelensky a Mosca.
Anche in questo caso, non si tratta di notizie provenienti da fonti ufficiali o russe, ma dall’agenzia di stampa occidentale AFP, quindi potrebbe trattarsi di un falso. Se fosse vero, sembrerebbe un ulteriore potenziale segnale da parte di Mosca che un incontro Putin-Zelensky sia irrealistico.
Ma perché la Russia sta giocando a questi giochi indiretti, invece di annunciare apertamente a Trump e all’Occidente le sue linee rosse, le sue richieste precise e la sua posizione su un incontro con Zelensky? Si potrebbe sostenere che la Russia abbia dichiarato le sue richieste molte volte, ma si potrebbe sostenere che negli ultimi giorni, con l’accelerazione dei “negoziati”, la Russia ha nuovamente offuscato i confini con le sue azioni e i suoi segnali contraddittori. Sebbene la maggior parte di questi segnali provenga da fonti occidentali , il fatto che la Russia non li neghi apertamente per stroncare voci e speculazioni sembra altrettanto significativo.
Quindi, ancora una volta: perché la Russia gioca a questi giochi indiretti?
L’unica risposta logica sembra essere che la Russia si accontenta di dare a Trump e all’Occidente abbastanza corda con cui impiccarsi, sia che ciò significhi tenersi occupati mentre la Russia continua ad avanzare in Ucraina, sia semplicemente permettere all’Occidente di annegare nel suo delirio maniacale di “negoziati” – lasciando che la squallida giostra si sposti dalla sua piattaforma.
Un’altra possibilità, forse più realistica, è quella che ho già articolato in precedenza: che la Russia voglia lasciare quante più porte “aperte” possibile e preferisca mantenere quante più opzioni possibili. Oltre a ciò, è probabile che la Russia voglia dare a Trump quante più munizioni possibili per consentirgli di esercitare dominio e supremazia sui suoi avversari – tra cui i piagnucolosi apparatchik dell’UE – perché la Russia considera Trump il suo unico campione semi-affidabile. Agli occhi della Russia, più Trump si comporta bene, più vittorie accumula – sia in patria che all’estero – meglio è per la Russia, perché Trump ha chiaramente fatto sapere dietro le quinte di voler collaborare con la Russia; il suo problema è che ha le mani legate dallo Stato profondo quando si tratta dell’Ucraina, e può operare solo entro un determinato raggio di azioni “accettabili”.
In quest’ottica, sarebbe contrario agli interessi della Russia danneggiare Trump contraddicendolo apertamente in pubblico. Pertanto, quando l’amministrazione Trump pronuncia qualche grossolana esagerazione su come stanno andando le cose, la Russia potrebbe trovare utile “assecondare” e assecondare tali esagerazioni per legittimare le manovre di Trump e rafforzarlo contro la stampa ostile e altre forze che lavorano contro di lui. Trump nutre chiaramente grande rispetto per Putin, come si può vedere nel video qui sopra, in cui ha negato di aver chiamato Putin durante l’incontro con i supplicanti servili, non perché sarebbe stato irrispettoso nei confronti degli euro-supplicanti, ma perché sarebbe stato irrispettoso nei confronti di Putin – una giustificazione estremamente significativa.
Leggendo tra le righe, si può vedere che le due parti non potrebbero essere più distanti, allo stato attuale delle cose. Zelensky ha ribadito che non rinuncerà a nessun territorio, non smilitarizzerà, vuole ancora entrare nella NATO, vuole che la Russia paghi ingenti riparazioni di guerra, nell’ordine di centinaia di miliardi, e molto altro. I labrador euro-compradores si stanno ora concentrando sulle garanzie di sicurezza militare nel quadro dell’Articolo 5 e stanno schierando truppe sul territorio.
In una nuova dichiarazione, Lavrov ha ribadito che non potrà esserci alcun accordo senza prima risolvere una serie di questioni, come il rispetto degli interessi di sicurezza della Russia, i pieni diritti dei russi etnici e la protezione della lingua russa in Ucraina, ecc.:
Quindi, come potrebbero Zelensky e Putin incontrarsi tra due settimane, come ora previsto da Trump e soci, se nessuna di queste questioni viene risolta e, cosa ancora peggiore, non viene nemmeno discussa ?
Nel frattempo, ecco il tipo di inquietanti invenzioni riportate dai media tradizionali:
L’unica possibilità che ciò sia vero è che in qualche modo Putin decida che forse ha bisogno di incontrare Zelensky solo una volta per dimostrare in modo decisivo al mondo che non sono in grado di raggiungere un accordo. Ma anche questo avrebbe poco senso, poiché farlo legittimerebbe Zelensky e contraddirebbe tutte le precedenti dichiarazioni di Putin secondo cui Zelensky non è una controparte legittima. Un simile passo indietro metterebbe in dubbio molte altre affermazioni apparentemente solide di Putin sul controllo costituzionale della Russia su alcune regioni e cose del genere. È piuttosto improbabile che la Russia scelga di scivolare lungo un pendio così scivoloso, ma l'”ambiguità” strategica è chiaramente visibile qui.
Putin potrebbe facilmente dichiarare: “Ho già affermato più volte che Zelensky non è legittimo e quindi è incompatibile con un incontro con me a livello presidenziale”. Ma pensate a come verrebbe recepita questa affermazione: ogni leader mondiale e organo di stampa denuncerebbe Putin come “spaventato” dalla sua controparte, convalidando le accuse di Zelensky stesso in merito. Si può vedere la trappola nel fatto che Putin respinga apertamente qualsiasi possibilità di incontrare Zelensky faccia a faccia. Ecco perché la deviazione “ambigua” appare l’opzione strategicamente più sensata, pragmaticamente parlando. Putin deve rimanere il più possibile disponibile e disponibile pubblicamente , utilizzando l’ambiguità strategica quando necessario, lasciando che intermediari come Ushakov, Lavrov e simili facciano le dichiarazioni più difficili e sgradevoli.
E, a proposito, anche Zelensky sta bluffando allo stesso modo: ha comunicato a Trump la sua disponibilità ad accordi, insinuando che sia aperto a concessioni territoriali, ecc., eppure oggi ha dichiarato che i dettagli territoriali effettivi “saranno discussi direttamente solo con Putin”, deviando ancora una volta l’impegno verso un’eventualità che sa non si verificherà. Trump, da parte sua, sta bluffando allo stesso modo con il suo pubblico interno, dicendo che tutti sono quasi d’accordo e che manca solo la fase finale. Ecco perché l’intera farsa è un esempio così immacolato di fumo e specchi, dove tutti bluffano e mentono per continuare a tirare a indovinare mentre la narrazione costruita si allontana sempre di più dalla realtà. La motivazione principale, ovviamente, è facile da capire:
A proposito, anche Zelensky ha annullato un’intervista programmata per la Fox dopo il teatro della Casa Bianca, proprio quando il vertice in Alaska sembrava essere stato interrotto, probabilmente per lo stesso motivo: non si era raggiunto alcun risultato sostanziale e ciascuna parte voleva evitare situazioni imbarazzanti.
Questo ci porta all’ultima domanda logica: come andranno le cose dopo la scadenza della nuova scadenza di due settimane di Trump? Con questo intendo dire che Trump ha ora chiarito che sapremo tra “due settimane” circa dove stanno andando le cose, oltre a fornire una tempistica simile per le sanzioni durante il vertice in Alaska. Possiamo solo supporre che la parte russa dovrà avanzare altre richieste, come ha fatto Lavrov in precedenza, e ricordare educatamente all’Occidente che sembra più opportuno avvicinarsi su queste questioni prima che si possa attuare una drastica escalation nei negoziati.
Il linguaggio calibrato della Russia segue uno schema familiare: accordo in linea di principio, temporeggiamento nella pratica. Una dinamica simile si è verificata a maggio, quando Putin ha proposto un incontro russo con Zelenskyy per colloqui di pace, salvo poi inviare al suo posto una delegazione di secondo livello.
Ma sarà interessante vedere, anche per me, come verrà risolto questo particolare vicolo cieco. Forse la Russia tirerà davvero la carta di Mosca e annuncerà che Putin incontrerà lì solo Zelensky, ma questo sembra destinato a suscitare altrettanta derisione quanto il netto rifiuto di qualsiasi incontro. Ricordiamo l’articolo precedente sulla presunta proposta di Putin di recarsi a Mosca: Zelensky l’ha immediatamente respinta:
La fonte ha affermato che il presidente ucraino, che in quel momento si trovava alla Casa Bianca con i leader europei, “ha risposto ‘no'”.
Ora abbiamo la notizia che Zaluzhny sta preparando in sordina una campagna presidenziale, con un quartier generale elettorale completamente formato attorno a lui:
La cosa più interessante è che questo scoop coincide con la notizia secondo cui il Regno Unito intende “aiutare” – leggasi: orchestrare – le “prime elezioni” in Ucraina dopo la fine della guerra:
Che generosità da parte loro. Certo, è una pura coincidenza che Zaluzhny sia un uomo di Londra, che vive e lavora lì come “ambasciatore” ucraino mentre costruisce il suo esercito politico.
L’unica cosa in discussione è la tempistica: lo scenario ideale per il Regno Unito è quello di costringere la Russia a congelare il conflitto nel modo più favorevole possibile all’Ucraina, poi cacciare rapidamente il “canaglia” Zelensky tramite “elezioni” e insediare il suo uomo affinché prenda immediatamente il controllo dell’Ucraina e la trasformi in una macchina per uccidere militarizzata senza precedenti contro la Russia.
E a proposito di presidenze, l’ex consigliere di Zelensky, Aleksey Arestovych, che ora sfoggia un completo di profilo e si autodefinisce “Candidato alla presidenza dell’Ucraina”, ha scritto un magnifico trattato politico che delinea un completo capovolgimento dei fondamenti ideologici del progetto ucraino. Per contestualizzarlo, non solo ha cambiato la sua foto del profilo, ma anche quella del banner, con una che riporta simbolicamente la scritta Rus-Ucraina, evocando le realtà storiche intrecciate che ora elabora:
Il mini-manifesto è una lettura obbligata, sia per la sua sconvolgente inversione di rotta rispetto al precedente corso politico, sia per la sua incisiva accuratezza:
Il dilemma strategico dell’Ucraina: scelte progettuali e continuità storiche:
– Il compito principale dell’Ucraina oggi, in tutti questi racconti dell’Alaska, è preservare l’indipendenza politica a lungo termine.
Nonostante il capitale simbolico condiviso con Russia e Bielorussia, sussistono evidenti divergenze fondamentali nelle opinioni sui diritti e sulle libertà, e su ciò che è appropriato e possibile nelle forme di organizzazione politica.
L’inevitabile paradosso è che, nel quadro di un progetto ristretto e nazionalista, l’Ucraina non ha conservato queste visioni, ma le ha perse (in pratica), diventando il più possibile simile alla Russia e alla Bielorussia, adottando la forma di una dittatura autoritaria, un tratto eccessivo delle radici storiche comuni, derivanti da Bisanzio.
La decisione fondamentale della Russia di convertire il capitale simbolico in capitale politico, vale a dire la confisca forzata degli ex territori imperiali e il rifiuto collettivo dell’Occidente di condividere il capitale simbolico con l’Ucraina (non siamo considerati parte dell’Europa e ci è stato negato l’ingresso nell’UE e nella NATO), solleva la questione delle prospettive di indipendenza che ancora permangono.
L’Ucraina ha un solo modo per preservarlo: riconoscere il capitale simbolico condiviso con Russia e Bielorussia, adottare uno status neutrale e costruire relazioni di buon vicinato con Russia e Bielorussia, mantenendo al contempo l’indipendenza politica e il ruolo unico di “crocevia di mondi” tra Russia ed Europa.
Dal punto di vista economico, il ruolo più promettente è quello di un “corridoio della steppa” tra Russia, Asia centrale, Caucaso meridionale e UE. In breve, si tratta di un cambiamento fondamentale nell’orientamento del progetto: da uno ristretto e nazionalista a uno più ampio e orientato al transito.
In un certo senso, questo potrebbe essere definito un “Grande Ritorno” al ruolo naturale, storico e culturale dell’Ucraina.
Per analogia: il Kazakistan moderno.
Se ciò non avviene volontariamente, il cambiamento nell’orientamento del progetto (le principali direzioni della politica estera e interna e della strategia di sviluppo) avverrà forzatamente.
L’intervallo di tempo è di 10-15 anni.
Il prezzo da pagare sarà la perdita dell’indipendenza politica e, al posto dell’Ucraina, ci sarà un distretto federale chiamato “Piccola Russia”, con tutte le conseguenze che ne conseguiranno per le discussioni sui diritti, le libertà e le caratteristiche distintive.
Qualsiasi negoziazione, qualsiasi strategia che non tenga conto di questo cambiamento nell’orientamento del progetto è priva di significato: è una vera e propria “bende per i morti”.
Questa è la scelta e questo è il prezzo.
In conclusione, la sfida fondamentale per l’Ucraina non risiede nelle manovre tattiche, ma nel riconoscere la prospettiva strategica: la necessità di ripensare il proprio ruolo di Stato neutrale e orientato al transito, al fine di preservare l’indipendenza nell’ordine geopolitico emergente.
Il problema con quanto detto sopra è che l’Ucraina ha già sperimentato la neutralità di cui parla, ed è stata disintegrata dall’Occidente con un colpo di Stato non appena Yanukovich ha anche solo leggermente sbilanciato a favore della Russia su una singola questione non eccessivamente espansiva. Da questo momento in poi, come potrebbe la Russia fidarsi della “neutralità” ucraina, amministrata dall’Occidente? Qualsiasi neutralità di questo tipo è destinata a decadere nuovamente in unilateralità da parte di una classe politica occidentale rabbiosamente radicata che nutre un’inimicizia generazionale nei confronti della Russia. L’unica soluzione può essere che l’Ucraina venga definitivamente privata dei suoi poteri, come è accaduto a Germania e Giappone dopo la Seconda Guerra Mondiale, e questo significa una smilitarizzazione forzata.
Come ultimo punto da sottolineare, l’Occidente sembra finalmente aver preso coscienza di una cosa fondamentale: la Russia è una grande potenza da non sottovalutare o con cui non si può scherzare.
Ciò è edificantemente attuale perché contrasta nettamente con l’immagine della leadership europea intimidita e sottomessa che abbiamo visto in precedenza, e ora il divario tra il potere e l’influenza della Russia e quelli della “piccola” Europa non potrebbe essere più ampio.
Ho chiesto su X se un singolo paese europeo potesse ancora essere considerato una “Grande Potenza”, ma ovviamente questa è una risposta retoricamente facile. La vera domanda è, a questo punto, a quanto è progredita la situazione, se l’Europa nel suo complesso possa ancora essere considerata una “Grande Potenza”? Considerando quanto rimpicciolito e impotente apparisse l’intero pantheon europeo di fronte a un singolo uomo – lui stesso alla guida di una potenza in declino – si potrebbe facilmente sostenere la tesi del “no”.
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