Cosa succederà dopo l’attacco dei droni al Cremlino di martedì sera?_ Andrew Korybko

Cosa succederà dopo l’attacco dei droni al Cremlino di martedì sera?
Andrew Korybko

L’immagine tratta da un video mostra un oggetto volante che esplode in un’intensa esplosione di luce vicino alla cupola del palazzo del Senato del Cremlino a Mosca, Russia, 3 aprile 2023. /CFP

Nota dell’editore: Andrew Korybko è un analista politico americano con sede a Mosca. L’articolo riflette le opinioni dell’autore e non necessariamente quelle della CGTN.

Il 3 maggio la Russia ha accusato l’Ucraina di aver tentato di assassinare il Presidente Vladimir Putin con un attacco di droni, cosa che Kyiv ha negato. I due droni sono stati neutralizzati dai servizi di sicurezza e non hanno danneggiato Putin né causato vittime o danni. Mosca considera questo incidente con i droni come un attacco terroristico e ha dichiarato che si riserva il diritto di reagire in un momento e in un luogo a sua scelta.

Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Mao Ning ha dichiarato, durante la regolare conferenza stampa del 4 maggio, che “la posizione della Cina sulla crisi ucraina è coerente e chiara. Tutte le parti devono evitare di intraprendere azioni che potrebbero far degenerare ulteriormente la situazione”. Anche il consigliere di Stato e ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha ribadito la posizione centrale della Cina sulla promozione dei colloqui di pace per contribuire a raggiungere una soluzione politica della crisi ucraina il 5 maggio durante l’incontro con l’omologo russo Sergei Lavrov a margine della riunione dei ministri degli Esteri dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai nello Stato indiano di Goa. Lavrov ha sottolineato che la Russia attribuisce importanza al documento di posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina.

Il contesto in cui si è svolto l’incontro è quello delle tensioni che precedono la prevista controffensiva dell’Ucraina contro le forze russe in quei territori che Kyiv rivendica come propri ma che Mosca considera come votati per unirsi a lei in referendum contestati lo scorso settembre.

Le ultime notizie trapelate dal Pentagono suggeriscono che l’Ucraina sta lottando per prepararsi a questa operazione e Politico, nel suo rapporto della scorsa settimana, ha citato funzionari dell’amministrazione Biden senza nome che hanno espresso serie preoccupazioni su ciò che accadrebbe se fallisse.

Nei giorni scorsi sono deragliati diversi treni russi nel territorio universalmente riconosciuto di quel Paese, che Mosca ha sostenuto essere il risultato di un sabotaggio. Inoltre, Mosca ha precedentemente accusato l’Ucraina di aver effettuato diversi attacchi transfrontalieri con i droni nell’ultimo semestre, il che rafforza la sua affermazione che Kyiv sia responsabile dell’incidente di martedì sera al Cremlino.

Tornando all’incidente in sé e a ciò che potrebbe accadere in seguito, tutti dovrebbero essere sollevati dal fatto che il Presidente Putin non sia stato ferito, cosa che avrebbe potuto portare a un’escalation della crisi senza precedenti e forse persino impensabile.


Un cartello “No Drone Zone” si trova vicino alla Piazza Rossa di Mosca, in Russia, e vieta ai veicoli aerei senza pilota di sorvolare l’area, il 3 maggio 2023. /CFP

Con la garanzia della sua sicurezza, la Russia potrebbe quindi essere meno propensa a reagire emotivamente a questo incidente e prendersi invece il tempo per riflettere attentamente sulle sue prossime mosse. I politici potrebbero quindi ricordare che saranno soprattutto i civili a sopportare il peso di un’eventuale escalation.

Sebbene gli attacchi di Mosca contro obiettivi militari mirino a raggiungere obiettivi rilevanti, finora non sono stati in grado di raggiungere l’obiettivo desiderato dal Cremlino, ovvero la capitolazione di Kiev e il suo accordo a rispettare gli interessi di sicurezza della Russia così come la sua leadership li considera. I precedenti suggeriscono quindi che un maggior numero di attacchi su larga scala potrebbe non fare una grande differenza in questo senso, anche se potrebbero temporaneamente disturbare i preparativi dell’Ucraina per la sua prevista controffensiva.

A questo proposito, va notato che anche Kiev e i suoi partner occidentali non sono riusciti finora a raggiungere l’obiettivo che volevano, ovvero la capitolazione di Mosca e il suo accordo a lasciare tutto il territorio che l’Ucraina considera suo. I precedenti suggeriscono quindi che anche la loro controffensiva pianificata probabilmente non farà una grande differenza in questo senso e quindi non farà altro che perpetuare il conflitto, le cui conseguenze saranno in gran parte a carico dei civili.

Le osservazioni condivise nei due paragrafi precedenti suggeriscono naturalmente che lo scenario più ottimale è che entrambe le parti prendano seriamente in considerazione l’immediata ripresa dei colloqui di pace con l’obiettivo di raggiungere un cessate il fuoco il prima possibile. Ciascuna delle due parti sostiene di avere in mente gli interessi dei civili, che ovviamente trarrebbero il massimo beneficio se le armi fossero messe a tacere. Perché ciò avvenga, tuttavia, ciascuna parte dovrebbe scendere a compromessi e qui sta il dilemma.

La Russia e l’Ucraina sono ancora convinte di poter raggiungere i loro obiettivi massimalisti in questo conflitto, anche se il loro continuo perseguimento non fa che estendere inavvertitamente le difficoltà che i civili stanno vivendo.

Dopo l’incidente di martedì sera, è più che mai urgente che entrambe le parti prendano seriamente in considerazione la de-escalation, che può essere facilitata dai servizi diplomatici di terze parti neutrali, se ogni combattente ha la possibilità di fare un passo indietro.

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NOTA BREVISSIMA SULLA SITUAZIONE UCRAINA, di Roberto Buffagni

NOTA BREVISSIMA SULLA SITUAZIONE UCRAINA

 

Una brevissima notazione sulla situazione ucraina. Quando ci avrò riflettuto a sufficienza, ne scriverò più distesamente. Per ora, enuncio in forma quasi apodittica le mie persuasioni.

A mio avviso, in estrema sintesi la situazione è la seguente:

  1. C’è un’aspra lotta di fazioni, collegate tra di loro, all’interno delle Amministrazioni USA e Ucraina. La fazione moderata (militari, obiettivo strategico: riduzione del danno) e la fazione estremista (politici neoconservatori, obiettivo strategico: fuga in avanti) sono in equilibrio, nessuna riesce a prevalere. Manca purtroppo l’intervento di un paese europeo maggiore che faccia pendere l’ago della bilancia a favore della fazione moderata. Il compromesso che ne risulta è un obiettivo comune: guadagnare tempo in attesa delle elezioni presidenziali USA 2024, e nella speranza di trovare una via d’uscita dalla trappola strategica in cui gli Stati Uniti e l’Ucraina si sono ficcati. Ciascuna fazione fa, nel frattempo, i suoi progetti, e coltiva le sue speranze e ambizioni, incompatibili con quelli degli avversari.
  2. Perseguire l’obiettivo “guadagnare tempo” esige che la situazione ucraina non registri una incontrovertibile smentita della narrazione ufficiale, secondo la quale l’Ucraina ha speranza di vincere o almeno di prolungare indefinitamente la guerra, così indebolendo la Russia e “punendo l’aggressore”. La realtà dei fatti militari – l’Ucraina non solo non può vincere la Russia ma di fatto ha già perduto la guerra – non deve risultare chiara anche ai ciechi, in specie ai ciechi che voteranno alle elezioni presidenziali USA del 2024.
  3. L’obiettivo “guadagnare tempo” si può perseguire in due modi:
  4. a) controffensiva ucraina che raggiunga un obiettivo utile dal pdv propagandistico (es., occupazione anche parziale di città importante) senza essere immediatamente seguita da contrattacco devastante russo e sconfitta folgorante. Purché lenta, una sconfitta andrebbe egualmente bene.
  5. b) rinvio perenne della controffensiva ucraina, mascherato con attività episodica delle truppe regolari e con attacchi asimmetrici (es. plurimi attentati in Russia), nella speranza che i russi a loro volta non sferrino un’offensiva in forze con l’obiettivo di concludere le ostilità una volta per tutte.
  6. Il modo a), “controffensiva”, è molto rischioso. Le FFAA ucraine e la società ucraina nel suo complesso non sono in grado di sostenere una controffensiva su larga scala: anche nel caso di un primo successo tattico, o anche operativo, mancano le riserve, il materiale e la logistica per sostenerlo, riprendere l’iniziativa e trasformarlo in un successo strategico; e c’è sempre la possibilità, tutt’altro che improbabile, che la controffensiva ucraina si infranga catastroficamente sulle difese russe, che hanno dalla loro tutti i vantaggi: fortificazioni, truppe fresche addestrate in numero sufficiente, logistica adeguata, retrovie ben protette, ampia capacità industriale mobilitata, vasto sostegno politico della popolazione.

Il modo b), “rinvio sine die” è meno rischioso, perché continuando con la guerra d’attrito, i russi risparmiano la loro risorsa più preziosa, gli uomini, ottengono egualmente l’obiettivo finale di incapacitare le FFAA ucraine, e prevengono la possibilità che la fazione estremista americano-ucraina sfrutti l’emozione di un’Ucraina sull’orlo della catastrofe per provocare il coinvolgimento diretto di truppe occidentali. In sintesi, il tempo lavora per la Russia, salvo grossi imprevisti (v. punto 5).

Il rischio principale del modo b), “rinvio sine die” è che lo stillicidio di attentati e provocazioni, e l’attesa spasmodica di una soluzione definitiva del conflitto, esasperi la popolazione russa, provocando una pressione politica per l’accelerazione del conflitto a cui il governo russo senta di dover rispondere: nel 2024 ci sono anche le elezioni presidenziali russe.

  1. Se quanto ho ipotizzato ai punti precedenti si avvicina alla realtà, gli obiettivi di fase del governo russo e della posizione risultante dal conflitto tra fazioni USA + Ucraina potrebbero convergere nella comune scelta di guadagnare tempo.

Si tratta però di una convergenza molto precaria perché

  1. a) l’equilibrio tra le fazioni USA e Ucraina è estremamente instabile. In esse, la caotica frammentazione del potere può dar luogo a iniziative autonome di gruppi anche molto piccoli di dirigenti che lo compromettono irreversibilmente. Esempio: una esplosione nucleare sotto falsa bandiera, provocata dagli ucraini e addebitata ai russi (l’Ucraina ne ha le capacità tecniche)
  2. b) le rivalità interne alla classe dirigente russa potrebbero far pendere la bilancia a favore di una escalation del conflitto, con l’obiettivo di concluderlo rapidamente.

Per imprimere una svolta verso l’opzione “riduzione del danno” e la ricerca di una soluzione diplomatica, il fattore decisivo sarebbe l’intervento ufficiale di un paese europeo maggiore che rivendicasse la necessità di aprire una trattativa con la Russia senza precondizioni. Temo non sia probabile.

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La guerra in Ucraina e la sicurezza europea, di Zachary Paikin

La guerra in Ucraina e la sicurezza europea: quanto è duratura la strategia americana?
QUINCY BRIEF NO. 39
25 APRILE 2023 23 min lettura

SCRITTO DA
Zachary Paikin
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Sintesi
Introduzione
I rischi della previsione
Sanzioni – a quale scopo?
Definire la vittoria
Il posto della Russia in Europa
Conclusioni e raccomandazioni
Sintesi
A più di un anno dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il morale degli Stati Uniti e dei suoi alleati occidentali appare alto.1 Spronati all’azione dall’atto di aggressione di Mosca, la NATO appare più unita, l’UE sembra essere diventata un attore geopolitico più importante e l’Ucraina ha resistito e respinto l’assalto russo in una misura che pochi inizialmente pensavano possibile. L’amministrazione Biden è finora riuscita lodevolmente a incrementare l’assistenza a Kiev senza confrontarsi direttamente con Mosca.

Se l’attuale politica degli Stati Uniti nei confronti della Russia e dell’Ucraina può essere sostenibile per qualche tempo, ciò non significa che non finirà mai la strada.

Tuttavia, anche se l’attuale politica degli Stati Uniti nei confronti della Russia e dell’Ucraina può essere sostenibile per qualche tempo, ciò non significa che non finirà mai la strada. Le sanzioni contro la Russia – una delle principali economie globali – sono state aumentate a un livello mai visto prima, ma non sono state efficaci nel costringere Mosca a cambiare rotta. Gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno ancora trovato un accordo su quello che ritengono un finale di guerra accettabile. Grande potenza o meno, la Russia rimarrà un attore popoloso, potente e potenzialmente dirompente in Europa. Senza proporre in modo chiaro e credibile politiche in grado di abbassare la temperatura, e senza iniziare a prevedere come potrebbe essere un futuro ordine di sicurezza europeo, gli Stati Uniti rischiano di prolungare il conflitto, con conseguenze potenzialmente imprevedibili se la stanchezza popolare per la guerra continuerà a crescere.

Oltre al continuo sostegno all’Ucraina, proposte diplomatiche accuratamente elaborate possono rendere più prevedibile l’esito della guerra, ridurre il rischio di escalation e stabilizzare la rivalità tra Stati Uniti e Russia. Anche se la finestra per perseguirle potrebbe non aprirsi prima della fine dell’anno, il momento per iniziare i preparativi è adesso. In particolare, l’amministrazione Biden dovrebbe

– Segnalare la propria disponibilità a rivitalizzare il principio della sicurezza indivisibile nell’area euro-atlantica, per garantire che le preoccupazioni in materia di sicurezza di tutti gli attori regionali siano ascoltate in modo equo.

– Coordinarsi con gli alleati per comunicare proposte di alleggerimento delle sanzioni in cambio di un disimpegno graduale delle forze russe a seguito di un cessate il fuoco, che porterebbe a un processo politico a più lungo termine per risolvere l’integrità territoriale dell’Ucraina, creando al contempo lo spazio necessario per concentrarsi sulla discussione delle garanzie di sicurezza per tutte le parti.

– Costruire la fiducia sviluppando proposte ad hoc per il controllo degli armamenti nel continente, per controbilanciare l’attuale dinamica di aumento della produzione militare-industriale per un’era di nuova guerra interstatale in Europa.

Introduzione
Un anno fa, gli Stati Uniti e i loro alleati europei si sono uniti per attuare sanzioni coordinate e di ampia portata in risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Da allora, la storia che gli Stati Uniti hanno potuto raccontare a se stessi è stata in gran parte positiva. La NATO ha riscoperto il suo scopo dopo decenni di incertezza post-Guerra Fredda sul suo ruolo in un ambiente internazionale cambiato. A marzo, gli alleati di Washington e i partner dell’UE hanno adottato la loro Bussola strategica, che rappresenta la prima valutazione collettiva della minaccia intrapresa dagli Stati membri dell’organizzazione. A giugno si è verificata una pietra miliare con l’offerta dello status di Paese candidato all’UE all’Ucraina e alla Moldavia, cosa che non sarebbe avvenuta se non ci fosse stata la guerra. Lo scorso autunno, grazie alla crescente assistenza militare occidentale, le forze ucraine hanno lanciato una controffensiva di successo contro l’esercito russo e hanno riconquistato Kherson.

Ma un anno dopo, la domanda persistente è quanto a lungo gli Stati Uniti potranno sostenere questa strategia. L’attuale percorso sembra abbastanza robusto da resistere alle pressioni per un certo periodo di tempo in almeno tre aspetti – l’imposizione di sanzioni economiche, la definizione di una partita finale accettabile e la risoluzione delle questioni in sospeso relative alla sicurezza paneuropea – ma a un certo punto potrebbe esaurirsi. L’insieme di questi ostacoli suggerisce che un’opportunità per introdurre dinamiche più de-escalatorie nel conflitto potrebbe e dovrebbe essere trovata prima della fine del 2023 – se gli Stati Uniti decideranno di agire in tal senso.

I rischi della previsione
Alcuni dei fattori che determinano la sostenibilità dell’approccio statunitense all’Ucraina si basano su eventi che sono pericolosamente difficili da prevedere. L’esito di una guerra si basa non solo sull’equilibrio delle forze, sugli armamenti e sulla strategia, ma anche su fattori più intangibili come lo slancio e la determinazione. Può darsi che l’Ucraina abbia già acquisito uno “slancio irreversibile”, come afferma il generale americano in pensione Ben Hodges.2 In alternativa, la parziale mobilitazione militare della Russia può contribuire a impedire ulteriori sostanziali guadagni ucraini e a gettare le basi per un’inversione di tendenza.

Anche la situazione interna di tutte le parti coinvolte è difficile da prevedere. Nessuno può dire se o quando si raggiungerà un punto di svolta nel sostegno popolare all’attuale politica statunitense. Tale punto di svolta potrebbe essere il risultato della “stanchezza da Ucraina”, oppure potrebbe arrivare a causa di sfide geopolitiche più pressanti che emergono in altri teatri. Le tendenze recenti indicano che gli americani sono sempre più divisi sulla guerra, con il sostegno bipartisan degli elettori che si è chiaramente eroso dall’inizio della guerra3.

Nel caso della Russia, si potrebbe far riferimento ai costi crescenti della guerra in termini di perdite militari e danni economici e quindi immaginare che il sostegno a Putin possa crollare, se non nella popolazione in generale, almeno all’interno dell’élite. Ma anche in questo caso, individuare o calcolare quando ciò possa accadere è estremamente difficile. Nell’estate del 1991 il crollo completo dell’Unione Sovietica nelle sue 15 repubbliche costitutive nel giro di pochi mesi non era considerato l’esito più probabile. Anche oggi la situazione potrebbe cambiare rapidamente: Putin potrebbe sparire entro l’anno prossimo, oppure potrebbe rimanere al potere per molti anni a venire.

La difficoltà di fare previsioni favorisce la continuazione di una dinamica nelle relazioni tra Russia e Occidente che è in gioco da molti anni: Ovvero, ciascuna parte crede che il tempo sia dalla sua parte e sottovaluta la potenziale resistenza dell’altra. Anche se non ha creato questa dinamica, la guerra è servita solo a rafforzarla. Molti in Occidente si sono profondamente convinti che non ci potrà essere un ordine di sicurezza cooperativo in Europa finché Putin resterà al Cremlino, così come Putin ha chiaramente affermato di considerare l’Occidente sovranazionale e decadente come destinato a fallire a causa delle sue presunte anomalie politiche e culturali4.

Ciascuna delle due parti ritiene che il tempo sia dalla sua parte e sottovaluta la potenziale capacità di recupero dell’altra.

Riporre le proprie speranze in un cambiamento di regime in Russia come panacea è una scommessa altamente incerta. Mentre alcuni in Occidente fantasticano sulla caduta di Putin o addirittura sul collasso della Russia stessa, lo scenario più probabile è che la Russia continuerà a esistere governata da Putin o da un successore all’interno del regime, il cui spazio di manovra sarà limitato da fattori politici interni o, peggio, che potrebbe essere più naturalmente predisposto ad abbracciare il nazionalismo e il revanscismo di Putin.

Ma il Cremlino non può pensare automaticamente di poter semplicemente aspettare gli Stati Uniti. Un nuovo inquilino della Casa Bianca potrebbe cercare di cambiare rotta, allontanandosi dai problemi dell’Europa e concentrandosi invece sulla sfida di una Cina in ascesa. Ciò avverrebbe soprattutto se una guerra prolungata che si protrae fino al 2024 diventasse una questione politica nelle prossime elezioni presidenziali. Tuttavia, un cambio del presidente in carica non produrrà necessariamente un cambiamento radicale nella politica statunitense, dati i vari disaccordi tra Washington e Mosca che esistevano durante l’amministrazione Trump su questioni come il trattato INF e la Siria.

Gli Stati Uniti hanno combattuto diverse lunghe guerre nella storia recente, tra cui Vietnam, Afghanistan e Iraq. Sebbene la stanchezza accumulata da queste guerre possa favorire una politica estera statunitense più contenuta, le forze americane non stanno combattendo direttamente in Ucraina e l’economia statunitense non è stata colpita in modo particolare da questa guerra. E dato che la politica estera degli Stati Uniti nel periodo successivo alla Guerra Fredda è stata orientata verso una forma di supremazia globale (vale a dire, il mantenimento dello status di Washington come potenza preminente in tutti i principali teatri geostrategici del pianeta), è più probabile che un presidente “America first” cerchi di sfruttare la crescente dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti piuttosto che abbandonarla per perseguire un più completo pivot verso l’Asia. L’insieme di questi fatti suggerisce che la strategia statunitense è notevolmente resistente – e probabilmente lo rimarrà se rimarrà concentrata sugli sviluppi sul campo di battaglia e sulla formazione delle scelte di politica estera della Russia, piuttosto che sulla determinazione degli eventi all’interno della Russia stessa.

Detto questo, nell’approccio statunitense alla Russia permangono tre debolezze specifiche, ognuna delle quali minaccia di manifestarsi più chiaramente – e più pericolosamente – con il protrarsi della guerra. Si tratta della capacità del regime di sanzioni occidentali di influenzare le azioni della Russia, della sfida di produrre un endgame adeguato sul campo di battaglia e della difficoltà di trovare un posto per Mosca nel tessuto di sicurezza continentale dopo la guerra.

Sebbene queste tre tendenze non incidano immediatamente sulla capacità di Washington di mantenere l’attuale rotta, esse rischiano comunque di provocare una pericolosa escalation del conflitto nel peggiore dei casi. Nel migliore dei casi, renderanno più difficile costruire qualcosa che si avvicini a un ordine di sicurezza europeo stabile una volta che la polvere di questa guerra si sarà posata. Un’Europa perennemente instabile minaccia la libertà di manovra degli Stati Uniti nel lungo periodo, quando si tratta di elaborare una grande strategia agile, rendendo meno probabile che le azioni occidentali in Ucraina servano a scoraggiare non solo la Russia oggi, ma anche la Cina domani.

Sanzioni – a che scopo?
La prima questione riguarda la logica alla base della campagna di sanzioni occidentali contro la Russia.

I primi cicli di sanzioni imposti dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia si sono spinti più in là di quanto molti si aspettassero, prendendo di mira persino la banca centrale russa. Putin probabilmente si aspettava che una rapida vittoria in Ucraina, abbinata a una gestione economica esperta in patria e all’avversione al rischio di un’economia tedesca dipendente, avrebbe risparmiato alla Russia la maggior parte delle sofferenze economiche.

La guerra di Putin non è andata secondo i piani e i Paesi occidentali hanno dimostrato maggiore unità e determinazione di quanto alcuni osservatori si aspettassero. Di conseguenza, l’impatto delle sanzioni occidentali sull’economia e sulla macchina da guerra russa è stato significativo. Mentre la Russia consuma le sue scorte di armi, i divieti di esportazione sui semiconduttori e sui beni a doppio uso hanno almeno in parte indebolito lo sforzo industriale russo per sostenere le sue truppe, con un impatto diretto sulla situazione sul campo di battaglia.6 A prescindere dalla capacità della Russia di aumentare la produzione e di mettere la sua economia in condizioni di guerra, si può presumere che l’acquisizione di droni iraniani o di munizioni nordcoreane non fosse in cima alla lista dei desideri di una presunta grande potenza all’inizio di questa guerra.

Detto questo, nonostante la loro crescente forza per tutta la durata della guerra, le misure restrittive dell’Occidente non sono riuscite a cambiare il comportamento della Russia in politica estera o a scoraggiare Mosca dal continuare a perseguire i suoi obiettivi militari in Ucraina, come in effetti è avvenuto dall’intervento iniziale della Russia nel 2014. Sebbene le sanzioni rappresentino indubbiamente un onere per il bilancio statale russo – e quindi possano costringere il regime a ridurre le politiche sociali popolari – non hanno rappresentato lo scenario economico apocalittico che molti avevano previsto, con l’economia russa che si è contratta solo del 3 o 4 percento circa nel 20227.

Nonostante la loro crescente forza per tutta la durata della guerra, le misure restrittive dell’Occidente non sono riuscite a cambiare il comportamento della Russia in politica estera o a scoraggiare Mosca dal continuare a perseguire i suoi obiettivi militari in Ucraina.

Un approccio basato sul bastone e non sulla carota ha in definitiva ridotto l’influenza di Washington, a prescindere dall’impressionante livello di coordinamento e unità degli alleati. Una volta imposte, le sanzioni possono essere estremamente difficili da revocare: basti pensare all’emendamento Jackson-Vanik del Congresso, approvato nel 1974 e rimasto in vigore fino al 2012 nonostante la transizione politica post-sovietica della Russia.

La chiara definizione delle condizioni di revoca delle sanzioni (ad esempio, se la Russia soddisfa determinate condizioni nel contesto di un accordo negoziale) è fondamentale per la loro efficacia. Di conseguenza, anziché limitare le opzioni di Putin, il modo in cui è stata portata avanti la campagna di sanzioni ha incoraggiato la Russia a intensificare il conflitto. Nell’attuale clima politico, è difficile immaginare che i sostenitori di una riduzione della campagna di massima pressione avranno molto successo. Questo è vero non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa: Sebbene basti un solo Stato membro dell’UE per porre il veto al rinnovo delle sanzioni, i governi euroscettici come quello ungherese sembrano più interessati a usare la mera minaccia di un veto per assicurarsi il mantenimento dell’accesso ai fondi strutturali dell’UE.8 L’attuale assenza di un’uscita realistica dalla campagna di sanzioni complicherà senza dubbio gli sforzi, per quanto graduali, per costruire un nuovo ordine di sicurezza europeo dopo la guerra.

Inoltre, a prescindere dal fatto che le sanzioni riusciranno a indebolire l’economia e le capacità militari della Russia nel medio-lungo termine, esse fanno ben poco per affrontare la pericolosa e imprevedibile scala di escalation che si sta verificando in questo momento. Per esempio, in reazione alle perdite sul campo di battaglia, la Russia potrebbe ricorrere a capacità che finora sono rimaste in disparte, rendendo la vita più difficile all’Ucraina e forse anche prendendo di mira o interdicendo beni statunitensi e alleati. Dato che le sanzioni richiedono diversi mesi o addirittura anni per essere pienamente applicate, una strategia che ha privilegiato l’imposizione dei costi rispetto a un sostegno più attivo per una via d’uscita diplomatica nei primi mesi della guerra ha contribuito a una logica che favorisce uno stallo prolungato.

Se le sanzioni non sono riuscite a dissuadere l’aggressione russa e i loro effetti più importanti non si faranno sentire per qualche tempo, è difficile evitare la deduzione che uno dei loro obiettivi più immediati sia stato quello di destabilizzare il sistema di élite della Russia – se non il regime russo stesso. Quest’ultima opzione presenta evidentemente un rischio di escalation significativo (anche se non conoscibile), data la posta in gioco esistenziale per Putin. Sanzionare l’élite russa, da parte sua, non è una panacea. Il comune ritornello occidentale secondo cui la Russia è una cleptocrazia – una “stazione di servizio mascherata da Paese”, per citare il defunto senatore statunitense John McCain – si presta a far credere che sanzionare l’élite economica possa indurre Putin a subire immense pressioni e a cambiare il suo comportamento in politica estera.9 La logica di questa affermazione è palesemente assurda: non si può credere che la Russia ritiri le sue forze dall’Ucraina e modifichi radicalmente i suoi obiettivi geostrategici solo a causa delle restrizioni imposte a una manciata di uomini ricchi.10

Contrariamente a quanto si crede, il potere politico in Russia non è principalmente appannaggio degli uomini d’affari. L’influenza di quest’ultimo gruppo è stata deliberatamente ridotta – anche se il loro potere economico è rimasto intatto – come mezzo per stabilizzare la scena politica russa dopo i caotici anni Novanta.11 Tagliare loro l’accesso all’Occidente li rende più dipendenti dal Cremlino, soprattutto perché si contendono i beni lasciati dal ritiro occidentale dal mercato russo.

Le speranze iniziali che lo sforzo bellico russo si rivelasse massicciamente impopolare in patria sono state in gran parte deluse, nonostante la persistenza di varie sacche di malcontento. Il lungo impegno militare in Ucraina, unito alla percezione che il popolo russo sia stato ingiustamente preso di mira per azioni militari di cui non era responsabile, ha creato le condizioni in cui il regime può favorire l’effetto “raduno intorno alla bandiera”.

La chiara articolazione delle condizioni di revoca delle sanzioni (ad esempio, se la Russia soddisfa determinate condizioni nel contesto di un accordo negoziale) è fondamentale per la loro efficacia.

Anche se occasionalmente hanno prodotto successi politici come il JCPOA, le sanzioni massicce e le campagne di isolamento non hanno indotto cambiamenti politici in Iran, Corea del Nord, Venezuela e Cuba; questo rende difficile vedere come le sanzioni potrebbero influenzare un cambiamento profondo in Russia. Proprio come la Russia, gli Stati presi di mira dalle sanzioni negli ultimi anni hanno dimostrato la volontà di assorbire i costi per perseguire quelli che considerano i loro interessi fondamentali. Sebbene si possano ancora compiere sforzi per massimizzare l’impatto delle sanzioni esistenti, almeno un aspetto fondamentale dell’approccio statunitense (e occidentale) nei confronti della Russia potrebbe aver raggiunto il limite della sua efficacia, soprattutto per quanto riguarda la capacità di plasmare le percezioni e le azioni della Russia. Si può sanzionare l’avversario solo fino a un certo punto e, una volta colti i frutti più bassi, ulteriori misure possono avere un rendimento decrescente.

Le varie misure che oggi esistono per navigare in canali a prova di sanzioni, se combinate con l’interesse personale che Putin ha investito in questa guerra, suggeriscono che le sanzioni hanno dei limiti quando si tratta di costringere gli avversari.12 Ciò solleva la questione di quale sia il finale della guerra che queste sanzioni mirano a facilitare.

Definire la vittoria
Ufficialmente, la posizione degli Stati Uniti è quella di sostenere l’Ucraina “fino a quando sarà necessario” – esternando di fatto a Kiev la decisione su quando i combattimenti dovranno cessare.13 L’espressione “fino a quando sarà necessario” è evidentemente vaga, e nasconde la misura in cui gli interessi statunitensi e ucraini possono divergere. Tuttavia, mentre Washington potrebbe essere disposta a calibrare il livello di assistenza che fornirà a Kiev in futuro, non ha ancora mostrato il desiderio di prevedere una data di fine delle ostilità14.

L’Ucraina è comprensibilmente preoccupata che la Russia possa essere rafforzata da qualsiasi concessione territoriale. Un cessate il fuoco non implicherebbe certo la risoluzione delle relazioni politiche tra Russia e Ucraina, ma c’è il rischio, per quanto basso, che se la Russia subisse una significativa battuta d’arresto militare, Putin inasprirebbe ulteriormente il conflitto, magari utilizzando anche armi non convenzionali. Un atto del genere costringerebbe probabilmente gli Stati Uniti e i loro alleati a rispondere in qualche modo, sia con un massiccio attacco informatico sia con un attacco convenzionale diretto alle forze russe, dato che un nuovo ciclo di sanzioni si rivelerebbe evidentemente insufficiente. Ne deriverebbe probabilmente un confronto diretto tra la NATO e la Russia, cosa che gli Stati Uniti cercano attualmente di evitare.

Se da un lato l’Ucraina vuole evidentemente il massimo sostegno occidentale possibile per ripristinare la propria integrità territoriale e rafforzare la propria posizione in vista di futuri negoziati, dall’altro gli Stati Uniti e i loro alleati devono preoccuparsi della propria sicurezza. Una vittoria russa in questa guerra, comunque definita, metterebbe certamente a rischio le norme consolidate dell’ordine di sicurezza europeo. Ma anche una vittoria ucraina inequivocabile comporta rischi per la sicurezza. Un conflitto prolungato, da parte sua, rischia di coinvolgere Washington in un conflitto militare su due fronti se le relazioni tra Stati Uniti e Cina continueranno a deteriorarsi.

Ad oggi, gli Stati Uniti non hanno articolato una precisa strategia finale, consentendo loro di mantenere un certo grado di flessibilità al mutare delle condizioni sul campo di battaglia. Questo ha permesso a Washington di aumentare la pressione contro Mosca nella misura in cui lo ritiene sicuro e necessario. Tuttavia, questa mancanza di chiarezza può anche essere problematica. Sostenuta dai successi iniziali dell’Ucraina nel resistere all’assalto russo, l’amministrazione Biden ha inquadrato questo conflitto in termini massimalisti, sostenendo che è in gioco non solo la sovranità ucraina, ma anche l'”ordine internazionale basato sulle regole” in generale.15 La logica deduzione è che qualsiasi cosa al di sotto della liberazione di tutto il territorio ucraino sovrano – o, per lo meno, di tutto il territorio detenuto prima del 24 febbraio 2022 – rappresenterebbe una sconfitta inaccettabile.

Lasciando da parte termini come “ordine internazionale basato su regole”, che possono essere deliberatamente opachi, la realtà è che attualmente sono in discussione diverse norme distinte.16 Queste includono la sovranità dell’Ucraina, la sua integrità territoriale e il suo diritto all’autodeterminazione nazionale (alcuni potrebbero interpretare quest’ultimo come l’aspirazione ad aderire a organismi occidentali come la NATO e l’UE).

Forse questa guerra non avrebbe potuto essere evitata, data l’ossessione di Putin per l’Ucraina.17 Ma qualsiasi accordo teorico che Mosca e le capitali occidentali avrebbero potuto concordare per evitare la guerra avrebbe preservato la sovranità dell’Ucraina, limitando al contempo la sua capacità di entrare a far parte delle istituzioni occidentali (la sua integrità territoriale sarebbe rimasta intatta, ad eccezione della Crimea e del Donbas orientale). L’Ucraina ha vinto la lotta per la propria sovranità nelle prime settimane dell’invasione su larga scala da parte della Russia. Detto questo, l’integrità territoriale dell’Ucraina è stata ulteriormente compromessa e la sua adesione alla NATO appare improbabile nel prossimo futuro. E sebbene all’Ucraina sia stato riconosciuto lo status di Paese candidato all’adesione all’UE, la piena adesione rimane lontana anni, se non decenni.

Se l’Ucraina non è in grado di riprendere tutto il suo territorio con la forza, forse la vittoria dell’Ucraina non dovrebbe essere vista in termini territoriali, ma piuttosto in relazione alla possibilità di sopravvivere come Stato sovrano e vitale, in grado di tracciare un percorso verso un futuro “europeo”. Anche se non si tratta di un parallelo perfetto, data la diversa situazione geopolitica dell’Europa all’epoca, la Finlandia ha mantenuto la propria sovranità dopo la Seconda guerra mondiale ed è diventata una democrazia prospera e ben posizionata per entrare nell’UE, nonostante sia stata costretta a cedere il territorio all’URSS. Lo sviluppo di un elevato tenore di vita e di una governance democratica sono stati i fattori critici che hanno permesso a Helsinki di entrare a far parte della comunità occidentale, il che suggerisce che per Kiev la lotta più importante è quella per garantire lo stato di diritto, promuovere istituzioni statali funzionali e perseguire riforme chiave piuttosto che riconquistare tutto il territorio. Questi compiti essenziali diventeranno tanto più difficili quanto più a lungo persisterà la guerra.

Se l’Ucraina non può riconquistare tutto il suo territorio con la forza, forse la vittoria per l’Ucraina non dovrebbe essere vista in termini territoriali, ma piuttosto rispetto alla possibilità di sopravvivere come Stato sovrano e vitale, in grado di tracciare un percorso verso un futuro “europeo”.

Oggi ci sono poche basi per una soluzione negoziata. La Russia continua a insistere sulla capitolazione dell’Ucraina alle sue richieste (certamente amorfe e mutevoli), mentre l’Ucraina crede di poter riprendere militarmente tutto il suo territorio. Ognuno ritiene che la posizione dell’altro sarà alla fine minacciata per puro esaurimento di uomini, risorse o volontà politica – e che il tempo è quindi dalla sua parte. Tuttavia, se diventa chiaro che nessuna delle due parti sarà in grado di realizzare pienamente i propri obiettivi politici e militari, l’integrità territoriale dell’Ucraina potrebbe dover essere risolta attraverso un processo politico differito.18 Se l’attuale ritmo degli eventi non porta ai risultati desiderati per nessuna delle due parti, e nessuna delle due è disposta ad accettare una situazione di stallo a causa della retorica esistenziale presente da tutte le parti, allora potrebbe prospettarsi una scala di escalation pericolosa e forse incontrollabile. Questo non solo metterebbe a rischio la sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi alleati europei, ma complicherebbe anche gli sforzi per stabilizzare la situazione fino a un punto in cui un nuovo ordine di sicurezza europeo possa essere gradualmente – anche se imperfettamente – costruito.

Anche per quanto riguarda la dimensione globale del conflitto, la vittoria non è assicurata per l’Occidente. In effetti, la risposta dell’Occidente alla guerra potrebbe perversamente ridurre il sostegno globale per l'”ordine basato sulle regole” che sostiene di difendere. Questo va al di là del fatto che gli Stati non occidentali si risentono del fatto che le preoccupazioni dell’Occidente siano considerate universali, quando la stessa cortesia non viene estesa a loro.19 Potenze come la Cina, che temono di diventare le prossime vittime delle sanzioni occidentali, potrebbero non essere dissuase dal perseguire i loro obiettivi strategici fondamentali (ad es, La confisca dei beni privati dei cittadini russi, sebbene forse moralmente giustificata, potrebbe anche indurre alcuni a mettere in dubbio l’imparzialità del sistema giuridico occidentale.

Inquadrare la guerra come una lotta senza quartiere tra democrazia e autoritarismo (piuttosto che come uno sforzo contingente per difendere la sovranità di un Paese) ha incoraggiato molti Paesi del Sud globale a rimanere in disparte, favorendo al contempo un atteggiamento occidentale non sufficientemente attento all’impatto deleterio della guerra sui Paesi non occidentali. Di conseguenza, non solo l’Occidente non è riuscito a riunire una coalizione globale per vincere la lotta contro la Russia, ma l’apparente non allineamento di gran parte dell’Asia in questo conflitto suggerisce che anche l’esito della lotta a lungo termine contro la Cina rimane incerto.

Un’alleanza transatlantica militarmente rafforzata, se associata a una relativa perdita di influenza in gran parte del mondo in via di sviluppo, non rappresenta nel complesso una chiara vittoria a lungo termine per l’Occidente quando si tratta di plasmare il futuro dell’ordine globale. Se questo si aggiunge solo alle spinte esistenti che ci portano verso un mondo multipolare, in cui il potere degli Stati Uniti è in qualche modo controllato da altri Stati, solleva la questione a lungo termine del ruolo che gli Stati Uniti e i loro alleati sono disposti a riconoscere alla Russia nell’ordine di sicurezza europeo.

Il posto della Russia in Europa
Il posto della Russia nell’ordine di sicurezza europeo è rimasto irrisolto dalla fine della Guerra Fredda. I tentativi di creare “spazi comuni” da Lisbona a Vladivostok o di produrre una revisione del Trattato di sicurezza europeo sono tutti falliti.21 Il consolidamento dell’ordine continentale europeo post-Guerra Fredda attorno alla NATO e all’UE ha lasciato la Russia senza un ruolo in un sistema di sicurezza condiviso che possa ritenere commisurato al suo status rivendicato e in sintonia con i suoi interessi vitali dichiarati.

Un’alleanza transatlantica militarmente rafforzata, se associata a una relativa perdita di influenza in gran parte del mondo in via di sviluppo, non rappresenta nel complesso una chiara vittoria a lungo termine per l’Occidente quando si tratta di plasmare il futuro dell’ordine globale.

La questione del posto della Russia in Europa è al centro dell’attuale guerra – e non solo perché è iniziata con la richiesta di Mosca di garanzie di sicurezza all’interno dell’architettura di sicurezza europea.22 La narrazione convenzionale è che questa guerra riguardi l’Ucraina e il suo diritto di rimanere un Paese sovrano in un percorso verso la democrazia liberale e le istituzioni occidentali. In realtà, però, questa guerra riguarda più la Russia, in particolare il suo impegno a rimanere una potenza imperiale convinta del proprio eccezionalismo. Questo, a sua volta, tocca forse la questione fondamentale che ha afflitto le relazioni tra la Russia e l’Occidente nell’era post-Guerra Fredda, ovvero il fatto che ciascuna parte ha cercato di trasformare l’altra.

La Russia è uscita dalla Guerra Fredda con il sincero desiderio di unirsi all’Occidente, anche se solo a condizioni ritenute accettabili. Per Mosca, il prezzo delle relazioni amichevoli era che l’Occidente avrebbe dovuto qualificare la sua struttura radicata di leadership statunitense per creare un tipo completamente diverso – e più inclusivo – di comunità politica e di sicurezza europea, anche se l’aspetto di tale comunità era incerto.23 L’approccio occidentale, al contrario, presumeva che la convergenza nel regno dei valori (e l’effettiva sottomissione alle agende strategiche ed economiche occidentali) fosse il segno più sicuro di una Russia amichevole.24 L’incapacità di ciascuna parte di aderire alle aspettative dell’altra ha esposto sia la Russia che i Paesi occidentali alla delusione.

Questa tendenza a sperare che l’altra parte si trasformi è presente anche nell’attuale guerra: Il cambio di regime in Russia e la scomparsa di una politica estera liberale internazionalista in Occidente restano il probabile risultato preferito da ciascuna parte. Ma questa dinamica è precedente alla guerra. Se rimane intatta, suggerisce non solo che i tentativi di raggiungere un equilibrio stabile nel dopoguerra saranno estremamente fragorosi, ma anche che gli sforzi per uscire dal prolungato e pericoloso stallo odierno saranno estremamente difficili. Più la guerra in Ucraina si protrae, più il dividendo della pace europea degli ultimi decenni appare irrecuperabile.

Alcuni potrebbero sostenere che se la Russia fosse sconfitta in Ucraina questi problemi sarebbero risolti, con Mosca costretta ad accettare l’allineamento dell’Ucraina con l’Occidente. Ma una sconfitta militare potrebbe avere l’effetto opposto: Invece di porre fine allo sciovinismo e all’imperialismo russo, potrebbe inaugurare un nuovo periodo di revanscismo. Il successore di Putin, chiunque esso sia, erediterà questa guerra o la sua eredità e, dato il clima attuale, avrà difficoltà a prenderne le distanze in una misura che gli Stati Uniti e i loro alleati possano ritenere politicamente sufficiente. Una parte della classe politica russa può ritenere che l’invasione dell’Ucraina sia stata un errore, ma le preoccupazioni per la sicurezza dell’élite riguardo all’espansione della NATO rimangono pervasive e l’inquadramento discorsivo delle relazioni Russia-Occidente come ostili si è radicato. A questo punto potrebbero vedere una vittoria militare come una questione di prestigio nazionale.25

Non si può nemmeno augurare alla Russia di allontanarsi nella speranza che il suo futuro sia a est. A prescindere dal discorso eurasiatista promosso negli ultimi anni nei circoli politici russi, uno dei principali vantaggi del partenariato sino-russo per Mosca è quello di de-securizzare un teatro di secondaria importanza (l’Asia centrale) per poter dedicare maggiori risorse alla rivalità con l’Occidente.26 La Russia rimarrà sia occidentale che orientale. Persino Pietro il Grande, a cui Putin si è paragonato l’anno scorso, è ricordato come un occidentalizzatore, sebbene abbia condotto guerre di espansione territoriale in Europa27.

Grande potenza o meno, la Russia conserva un significativo potere dirompente e una notevole partecipazione al sistema di sicurezza europeo.

Grande potenza o no, la Russia conserva un significativo potere dirompente e una notevole partecipazione al sistema di sicurezza europeo. Ci si può accontentare dell’idea che la Russia finirà per avvicinarsi alla prospettiva dell’Occidente una volta diventata una democrazia liberale, per quanto improbabile sia questa prospettiva – e per quanto problematica, dato che presuppone che a una grande potenza si possa dire quali sono i suoi interessi. Ma un giorno del genere è ancora molto lontano. L’esito più probabile è che la Russia si ricostituisca dopo la guerra come una potenza di qualche tipo, così come è più probabile che gli Stati occidentali mantengano le loro attuali posizioni strategiche piuttosto che acconsentire alle preferenze normative di Mosca su come organizzare la sicurezza europea.

Pertanto, la sfida strutturale di trovare un posto adeguato per una Russia eccezionale e distinta in un’Europa di Stati nazionali ordinari rimane all’ordine del giorno della storia. Dato che le rimostranze sul posto della Russia nell’ordine di sicurezza europeo hanno avuto un ruolo di primo piano nel periodo che ha preceduto l’invasione su larga scala dell’Ucraina, le dinamiche del conflitto ucraino e dell’ordine continentale sono profondamente interconnesse. Così come un conflitto prolungato in Ucraina rende più difficile il raggiungimento di un nuovo ordine di sicurezza continentale, se gli Stati Uniti non si dimostrano aperti alla costruzione di un nuovo patto continentale, la guerra continuerà, minando ulteriormente le prospettive di sicurezza dell’Ucraina.

Il rapporto della Russia con l’Ucraina è complesso, sia per le tendenze post-coloniali che per le percezioni legate alla sicurezza. Discutere i futuri contorni di un ordine di sicurezza europeo in modo da rispondere alle legittime preoccupazioni sia di Mosca che di Kiev potrebbe non alleviare del tutto la sindrome post-imperiale (o addirittura imperiale) della Russia, così come una completa vittoria ucraina non la garantisce. Ma rappresenta comunque un’alternativa migliore rispetto a una continua e potenzialmente incontrollabile spirale di violenza con un punto finale che nessuno può prevedere.

Conclusioni e raccomandazioni
La strategia statunitense in Ucraina ha finora registrato successi significativi. Kiev è stata in grado di invertire la tendenza della guerra in una misura che pochi inizialmente ritenevano possibile, mentre l’amministrazione Biden ha giustamente trovato un cauto equilibrio tra l’assistenza all’Ucraina e il mantenimento delle forze statunitensi fuori dai combattimenti.

Tuttavia, più la guerra si protrae, maggiore è il rischio che Washington diventi un co-belligerante di qualche tipo, in termini pratici se non legali.28 L’affermazione di Mosca secondo cui non sta combattendo contro l’Ucraina, ma piuttosto contro la NATO sul territorio ucraino, può avere uno scopo politico, ma più la Russia subisce battute d’arresto, più è probabile che questa narrazione sia davvero creduta. Né si può prevedere con certezza il grado di sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina oltre il 2023. Pertanto, un conflitto prolungato può offrire alcune opportunità, come l’indebolimento delle forze armate russe a basso costo, ma presenta anche rischi significativi. E, come sottolineato in precedenza, ci sono limiti alla capacità di Washington di modellare il comportamento della Russia e di indirizzare il conflitto verso un esito accettabile senza affrontare le questioni che affliggono l’ordine di sicurezza dell’Europa.

Nonostante la parziale mobilitazione militare della Russia volta a stabilizzare le sue linee, non si possono escludere ulteriori guadagni ucraini. Se Mosca continuerà a insistere su termini effettivamente massimalisti, i colloqui volti a produrre un cessate il fuoco saranno probabilmente infruttuosi. Ma dopo le nuove offensive ucraine in primavera e in estate, potrebbe essere possibile determinare con maggiore sicurezza la misura in cui Kyiv può fare progressi sostenuti e significativi verso il recupero del territorio occupato. A quel punto, potrebbe essere diventato evidente sia per Mosca che per Kiev che realizzare la totalità dei loro obiettivi militari è impraticabile, almeno entro i confini dell’attuale guerra.

Dopo le nuove offensive ucraine della primavera e dell’estate, potrebbe essere possibile determinare con maggiore sicurezza la misura in cui Kyiv può compiere progressi sostenuti e significativi verso il recupero del territorio occupato.

Pertanto, l’autunno del 2023 potrebbe segnare un momento in cui gli alleati transatlantici possono sviluppare e proporre una visione condivisa della fine dell’attuale fase delle ostilità e delle condizioni per un cessate il fuoco o per una soluzione negoziata parziale che sia Kiev che Mosca potrebbero accettare. Questo, a sua volta, potrebbe spostare gradualmente il discorso popolare negli Stati Uniti e in Europa dalle attrezzature e dalle misure di cui l’Ucraina ha bisogno per vincere al compito più cruciale di ricostruire il Paese.

Pur mantenendo il sostegno all’Ucraina, l’amministrazione Biden dovrebbe iniziare a sviluppare proposte politiche da mettere in atto nel corso dell’anno. Queste proposte potrebbero essere di tre tipi e dovrebbero essere finalizzate a persuadere Mosca che può garantire alcuni dei suoi interessi fondamentali attraverso mezzi diplomatici piuttosto che militari.

In primo luogo, l’amministrazione Biden dovrebbe dichiarare esplicitamente la propria volontà di rinnovare e reinterpretare il principio della sicurezza indivisibile nella regione euro-atlantica, sia in ambito bilaterale che in sede OSCE. Questa mossa dimostrerebbe la capacità dell’amministrazione di mostrare empatia strategica, dal momento che le principali rimostranze della Russia nell’era post-Guerra Fredda hanno riguardato principalmente il suo status percepito come di secondo livello nell’ordine di sicurezza europeo. Più che la stabilità strategica e il controllo degli armamenti, si tratta della questione di quali principi fondamentali debbano informare tale ordine. Come misura di buona fede e di rafforzamento della fiducia reciproca, gli alti funzionari russi dovrebbero comunicare chiaramente che l’interesse principale del loro Paese è quello di ottenere garanzie di sicurezza piuttosto che estinguere la nazionalità ucraina.

Mentre lo spazio per raggiungere un consenso tra Russia e Occidente sullo status dell’Ucraina si è decisamente ridotto dall’inizio della guerra, il principio della sicurezza indivisibile offre maggiori promesse. Nell’interpretazione di Mosca, la sicurezza indivisibile implica che nessuno Stato dell’area euro-atlantica dovrebbe aumentare la propria sicurezza a spese di un altro Stato.29 Segnalare il desiderio di sviluppare intese condivise sulla natura di questo principio potrebbe quindi aprire la strada a discussioni più dettagliate sulle garanzie di sicurezza sia per la Russia che per l’Ucraina. Ciò contribuirebbe anche ad alleviare la percezione russa della natura esistenziale di questa guerra, dato che l’interpretazione occidentale prevalente del principio è incentrata sull’inseparabilità delle preoccupazioni di sicurezza umane e statali, che è servita da pretesto per le critiche occidentali a quelli che la Russia considera i suoi affari interni.

In secondo luogo, gli Stati Uniti dovrebbero avviare consultazioni con i loro alleati europei su proposte di revoca di alcune delle misure economiche adottate contro la Russia, se Mosca accetta di soddisfare alcune condizioni in cambio. Ad esempio, le sanzioni sui beni statali russi potrebbero essere parzialmente rimosse in cambio di un ritiro graduale della Russia dal territorio occupato e dell’inserimento di una forza di interposizione riconosciuta a livello internazionale. Ulteriori misure di buona fede potrebbero essere accompagnate dal ripristino di altri legami economici, con il riconoscimento che l’interdipendenza con le armi è ancora preferibile all’assenza di interdipendenza – poiché quest’ultima opzione lascia essenzialmente a Mosca la minaccia della forza come unico mezzo rimasto per esercitare influenza in Europa, dove ha ancora interessi significativi.

Sebbene la revoca delle sanzioni avverrebbe solo dopo che la Russia avrà adempiuto a determinate misure, per motivi di credibilità l’amministrazione Biden deve indicare che è aperta a questa possibilità. Finché Mosca riterrà che le prospettive di alleggerimento delle sanzioni siano scarse, non avrà alcun incentivo a scendere a compromessi sui suoi obiettivi militari, il che non fa che alimentare la logica dell’escalation. Le voci nel Congresso degli Stati Uniti, tra i membri più falchi dell’UE e nell’establishment della sicurezza russa potrebbero cogliere l’opportunità di disaccoppiare economicamente e consolidare una dinamica permanente di confronto. Quanto più a lungo si protrarrà l’attuale stato di guerra, tanto minore sarà l’incentivo a ristabilire i legami economici – una delle poche aree in cui è persistito una sorta di spazio comune europeo nonostante la crescente divergenza dei sistemi politici del continente. È giunto il momento che i funzionari dalla mentalità sobria diano prova di leadership, riconoscendo il fatto che tutte le parti dovranno imparare a condividere lo spazio euro-atlantico che chiamano casa.

Anche se la revoca delle sanzioni avverrebbe solo dopo che la Russia avrà adempiuto a determinate misure, per motivi di credibilità l’amministrazione Biden deve indicare che è aperta a questa possibilità.

Infine, con la Russia che sta mettendo la sua economia sul piede di guerra e i Paesi occidentali che cercano di ripristinare la loro capacità di aumentare la produzione militare-industriale, l’amministrazione Biden dovrebbe lanciare una task force transatlantica per sviluppare proposte per accoppiare i miglioramenti delle capacità militari occidentali con le salvaguardie multilaterali est-ovest. Sebbene il raggiungimento di accordi tradizionali per il controllo degli armamenti si sia rivelato eccezionalmente difficile dopo la firma del New START e l’approfondimento della struttura di potere multipolare del mondo, gli sforzi persistenti per individuare accordi ad hoc aiuterebbero a evitare una corsa al ribasso. E dato che un cessate il fuoco o un accordo in Ucraina potrebbe eventualmente comportare una componente di controllo degli armamenti per quanto riguarda le limitazioni al posizionamento di forze e missili, questa task force potrebbe avere un effetto positivo sugli sforzi per prevenire nuove ostilità tra Mosca e Kiev.

Nessuna di queste proposte costringerebbe gli Stati Uniti ad abbandonare quelli che attualmente percepiscono come i loro principali obiettivi e interessi di politica estera. Esse offrono semplicemente l’opportunità di sviluppare un approccio più sostenibile e lungimirante alla gestione delle relazioni con gli avversari americani. Questa strategia riconoscerebbe i limiti della compellenza senza un’equivalente dose di rassicurazione, riconoscendo al contempo la necessità di gestire i quadri di sicurezza regionale con una mentalità inclusiva in assenza di prospettive per un ordine di sicurezza pienamente cooperativo.

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Zachary Paikin
Zachary Paikin è ricercatore presso il Centre for European Policy Studies (CEPS) di Bruxelles e ricercatore non residente presso l’Institute for Peace & Diplomacy, un think tank nordamericano attivo sia a Ottawa che a Washington.

https://quincyinst.org/report/the-ukraine-war-european-security-how-durable-is-americas-strategy/?mc_cid=1e91486550&fbclid=IwAR1Z1tgNHvq3Xnrn8ngc6yGzkZJI4yALk7lo66UiBAL4xI8Mo-EecwUAm_0

Il più alto ufficiale militare polacco ha condiviso alcune verità impopolari sulla guerra per procura tra NATO e Russia, di ANDREW KORYBKO

Il più alto ufficiale militare polacco ha condiviso alcune verità impopolari sulla guerra per procura tra NATO e Russia

ANDREW KORYBKO
29 APR 2023

Nessuno dovrebbe dubitare delle intenzioni del Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate polacche, il generale Rajmund Andrzejczak, o sospettare che sia un cosiddetto “agente russo”, dal momento che desidera sinceramente che l’Occidente vinca la sua guerra per procura con la Russia in Ucraina, ma è anche molto preoccupato che possa perdere, a meno che la sua parte non riconosca le verità impopolari che ha appena condiviso, dal momento che la mancanza di ciò potrebbe condannare Kiev alla sconfitta.

L’ultima volta che il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate polacche, il generale Rajmund Andrzejczak, ha attirato l’attenzione dei media è stato a fine gennaio, quando ha spiegato quanto formidabile fosse la Russia in quel momento. Il quotidiano polacco Do Rzecy ha riferito della sua recente partecipazione a una sessione strategica con l’Ufficio per la sicurezza nazionale, durante la quale ha condiviso alcune verità impopolari sulla guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina.

Andrzejczak ha affermato che la situazione non è affatto buona per Kiev se si considerano le dinamiche economiche di questo conflitto, richiamando in particolare l’attenzione sulle finanze, le questioni infrastrutturali, le questioni sociali, la tecnologia, la produzione alimentare, ecc. Da questo punto di vista, egli prevede che la Russia possa continuare a condurre le sue operazioni speciali per altri 1-2 anni prima di iniziare a sentire una pressione strutturale per ridurre le sue attività.

Al contrario, Kiev sta bruciando decine di miliardi di dollari di aiuti, ma è ancora molto lontana dal raggiungere i suoi obiettivi massimi. Andrzejczak ha detto candidamente che i partner occidentali della Polonia non stanno valutando adeguatamente le sfide che ostacolano la vittoria dell’Ucraina, comprese quelle legate alla “corsa alla logistica”/guerra di logoramento” che il capo della NATO ha dichiarato a metà febbraio. Un altro grave problema riguarda la riluttanza dei rifugiati a tornare presto in patria.

Questi fattori economici, logistici e demografici si sono combinati per convincerlo che deve urgentemente sensibilizzare il più possibile su questi problemi per “dare all’Ucraina una possibilità di costruire il suo futuro sicuro”, che nel contesto in cui ha condiviso questa motivazione, è un eufemismo per un aumento degli aiuti occidentali. Ha poi aggiunto che “come soldato, sono anche obbligato a presentare la variante più sfavorevole e difficile da attuare, dando campo a tutti coloro che possono e devono aiutare l’Ucraina”.

Nessuno dovrebbe quindi dubitare delle intenzioni di Andrzejczak o sospettare che sia un cosiddetto “agente russo”, dal momento che vuole sinceramente che l’Occidente vinca la sua guerra per procura con la Russia in Ucraina, ma è anche molto preoccupato che possa perdere se la sua parte non riconosce le verità impopolari che ha appena condiviso. A suo avviso, il mancato riconoscimento potrebbe condannare Kiev alla sconfitta, anche se si può argomentare in modo convincente che perpetuare indefinitamente questo conflitto, come cerca di fare la Polonia, potrebbe essere ancora più disastroso.

Dopo tutto, nessuna delle tre sfide su cui ha richiamato l’attenzione può essere superata a breve. L’unica eccezione potrebbe essere quella demografica, ma ciò comporterebbe la modifica della legislazione dell’UE per consentire l’espulsione dei rifugiati, cosa improbabile. I fattori economici e logistici sono sistemici e riguardano non solo l’Ucraina, ma l’intero Occidente in generale. È semplicemente impossibile sostenere il ritmo, l’entità e la portata degli aiuti multidimensionali dell’Occidente all’Ucraina se il conflitto si trascina.

Come ha ammesso lo stesso Andrzejczak, “non abbiamo munizioni. L’industria non è pronta non solo a inviare attrezzature all’Ucraina, ma anche a rifornire le nostre scorte, che si stanno sciogliendo”. Considerando che la Polonia è il terzo più importante patrocinatore dell’Ucraina dopo l’Asse anglo-americano, ciò suggerisce fortemente che tutti gli altri membri della NATO stanno lottando tanto quanto l’Ucraina per mantenere il ritmo, l’entità e la portata del sostegno, se non di più, dal momento che molti sono molto più piccoli e quindi meno in grado di contribuire in questo senso.

Di conseguenza, questa osservazione significa che l’imminente controffensiva di Kiev sarà probabilmente il suo “ultimo urrà” prima della ripresa dei colloqui di pace con la Russia, poiché l’Occidente non sarà in grado di mantenere l’assistenza per molto tempo ancora. Andrzejczak sembra ben consapevole di questo fatto “politicamente scomodo”, per cui vuole che il suo schieramento conceda ai suoi proxy quanto più possibile fino alla fine dell’operazione, nella speranza di potersi trovare in una posizione relativamente più vantaggiosa al momento della ripresa dei colloqui.

Lui e coloro che la pensano come lui stanno facendo due azzardi molto pericolosi: 1) si aspettano che l’imminente controffensiva abbia almeno un lieve successo nel guadagnare terreno; e 2) prevedono che la Russia accetterà di riprendere i colloqui di pace una volta che l’operazione sarà finalmente terminata. I rischi corrispondenti sono evidenti in quanto: 1) la controffensiva potrebbe fallire a tal punto che la Russia sfrutterebbe questo disastro per guadagnare invece una quantità incerta di terreno; e/o 2) Mosca potrebbe non riprendere i colloqui su richiesta di Kiev.

Nessun politico responsabile darebbe per scontata una di queste variabili, motivo per cui è probabilmente meglio che Kiev abbandoni la controffensiva e accetti la proposta di cessate il fuoco della Cina, invece di correre il rischio crescente che fallisca e/o che la Russia continui a combattere sapendo che il sostegno occidentale potrebbe presto finire. Questi scenari peggiori, tra loro interconnessi, stanno diventando sempre più probabili a causa delle sfide economiche e logistiche individuate da Andrzejczak, con la sola possibilità di incidenti russi a bilanciare le probabilità.

Tuttavia, tutti gli indizi suggeriscono che la controffensiva inizierà presto, nonostante le gravi sfide ad essa connesse, con questa decisione guidata da fattori politici legati alla necessità di mostrare all’opinione pubblica occidentale che i loro oltre 150 miliardi di dollari di aiuti sono stati spesi per qualcosa di tangibile. Anche se dovesse rivelarsi uno spettacolo disastroso, i decisori sono disposti a correre questo rischio, e alcuni come Andrzejczak vogliono andare fino in fondo per la disperazione di segnare una vittoria finale prima di riprendere i colloqui di pace.

02https://korybko.substack.com/p/polands-top-military-official-shared?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=118112205&isFreemail=true&utm_medium=email

https://dorzeczy.pl/opinie/433303/gen-andrzejczak-sytuacje-oceniam-jako-bardzo-zla.html

Il generale Andrzejczak sulla guerra in Ucraina: Purtroppo la situazione non è buona
Aggiunto: 27 aprile 2023, 17:1311284 26

Il Gen. Rajmund Andrzejczak, capo dello Stato Maggiore dell’Esercito polacco Fonte: KPRP / Przemysław Keler
Valuto la situazione della sicurezza come molto negativa, molto pericolosa per la Polonia”, ha dichiarato il generale Rajmund Andrzejczak, capo dello Stato Maggiore dell’esercito polacco, a proposito della guerra in Ucraina.
Durante un dibattito strategico presso l’Ufficio di sicurezza nazionale, Andrzejczak ha affermato che “la guerra non è una questione militare. – La guerra è stata, è, e non c’è alcuna indicazione che sarà in altro modo, una politica, e ha un numero fondamentale di fattori economici tra i suoi fattori determinanti: finanza, questioni infrastrutturali, questioni sociali, tecnologia, produzione di cibo e tutta una serie di questioni che devono essere messe in questa scatola per capire questa guerra”, ha sottolineato.

– Quando guardo alla guerra in Ucraina, prima di tutto la vedo attraverso queste lenti politiche, e sfortunatamente non ha un bell’aspetto”, ha valutato. Ha spiegato che nel breve orizzonte di pianificazione, 1-2 anni, “non c’è alcuna indicazione che la Russia non abbia i soldi per la guerra”. – Gli strumenti finanziari di cui disponeva prima della guerra, le dinamiche di spesa e l’efficacia delle sanzioni o l’intera complessa situazione economica indicano che la Russia avrà i soldi per la guerra, ha aggiunto.

– L’Ucraina ha enormi problemi finanziari. Sappiamo di quanto ha bisogno al mese. Sappiamo qual è l’aiuto americano, di tutto l’Occidente civilizzato. Sappiamo anche qual è l’aiuto polacco in questo settore, perché siamo il secondo donatore e probabilmente dovremmo essere un importante ispiratore per gli altri. La velocità di logoramento nell’area finanziaria oggi va a svantaggio (dell’Ucraina – ndr) a mio avviso. Purtroppo”, ha detto.

Gen. Andrzejczak: la situazione è molto pericolosa per la Polonia
Ha inoltre sottolineato che nel prossimo futuro non c’è alcuna indicazione che gli ucraini fuggiti dalla guerra torneranno a casa e inizieranno il processo di ricostruzione del Paese. Ha sottolineato che il vertice della Nato che si terrà a luglio a Vilnius sarà “più che altro un vertice della nostra credibilità, non solo della Nato, ma di tutto l’Occidente”. – Se siamo in ritardo, se non cogliamo questa opportunità e non mostriamo determinazione, non daremo all’Ucraina la possibilità di costruire un futuro sicuro”, ha sottolineato.

– Come soldato, è anche mio dovere presentare l’opzione più sfavorevole e difficile, dando spazio a tutti coloro che possono e devono aiutare l’Ucraina, valuto questa situazione di sicurezza come molto negativa, molto pericolosa per la Polonia”, ha detto Andrzejczak.

Alla domanda se i leader occidentali si rendano conto che l’Ucraina è molto lontana dal vincere la guerra con la Russia, il generale ha risposto che “una prospettiva disincantata sulla valutazione delle minacce è ancora una sorpresa per molti, ancora scioccante”.

– Non abbiamo le munizioni. L’industria non è pronta non solo a inviare attrezzature all’Ucraina, ma anche a ricostituire le nostre scorte, che si stanno sciogliendo. Questa consapevolezza non è la stessa che c’è qui sulla Vistola, e questo deve essere comunicato assolutamente, senza anestesia, a tutti e in tutti i forum dove è possibile, cosa che sto facendo”, ha sottolineato il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito polacco.

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Se avessimo più di un martello… Forse non saremmo in questo guaio, di AURELIEN

Se avessimo più di un martello…
Forse non saremmo in questo guaio.

AURELIEN
19 APR 2023

Forse avete osservato la politica occidentale nei confronti dell’Ucraina nell’ultimo anno o giù di lì con stupefacente incredulità, e di tanto in tanto vi siete posti domande come: Si accorgono che non funziona, perché continuano così? Perché non accettano l’ovvio? Perché non provano almeno a fare qualcosa di diverso? Non sarete stati i soli. Non sorprende quindi che Internet, alla ricerca di qualsiasi spiegazione, abbondi di teorie cospirative di europei ricattati da Washington o altro. In realtà, quello che stiamo vedendo accade in molte crisi politiche. Io la chiamo la teoria dell’inerzia della politica, e spesso incoraggia gli Stati e le alleanze a continuare a fare cose stupide, perché non riescono a mettersi d’accordo collettivamente su qualcosa di meno stupido.

Si potrebbe pensare che ormai le leadership politiche occidentali abbiano iniziato a nutrire qualche piccolo dubbio sull’utilità della loro politica di confronto con la Russia, soprattutto dopo l’intervento di quest’ultima in Ucraina. Ci sono fattori di complicazione, naturalmente: per la classe dirigente europea, come ho spiegato, questa è una guerra santa contro l’anti-Europa a est. Per molte nazioni più piccole, con poche o nessuna fonte di informazione indipendente e poca influenza, c’è poca alternativa all’assecondare ciò che vogliono gli Stati più grandi. Allo stesso modo, alcuni Stati sono guidati principalmente da uno storico razzismo anti-slavo. (Non pretendo di capire cosa stia succedendo a Washington). Ma si potrebbe comunque pensare che ormai i dubbi si stiano insinuando: dopo tutto, gli europei alla fine hanno interrotto le Crociate quando è diventato chiaro che la Terra Santa non sarebbe mai stata liberata dagli invasori arabi.

Ma, come ho suggerito, questo schema è molto comune nelle crisi internazionali, e tra poco fornirò alcuni esempi passati. La teoria dell’inerzia della politica afferma che le istituzioni e i gruppi politici continueranno sempre a seguire le politiche esistenti, a meno che non venga esercitata una forza contraria sufficiente a farle cambiare. Pensate a una politica come a un oggetto che si muove nello spazio libero. Continuerà il suo percorso fino a quando qualche altra forza non lo colpirà. Maggiore è la velocità e maggiore è la massa, maggiore è la forza che deve essere esercitata. Ciò implica che il contenuto effettivo della politica, che sia sensato, fondato o addirittura praticabile, non è importante. Ciò che conta è l’inerzia accumulata della politica: quanto sostegno ha, da quanto tempo è in vigore e quanto è determinato questo sostegno. Nel caso dell’Ucraina (e non è l’unico) le forze che hanno agito sulla politica hanno di fatto aumentato la sua massa e la sua velocità nella stessa direzione. (Questo ha una relazione con le teorie di Jacques Ellul, di cui ho già parlato in precedenza, che sosteneva che quella che lui chiamava tecnica consiste in processi che pensiamo di sviluppare perché ci sono utili, ma che alla fine finiscono per controllarci).

Perché? Perché la politica è essenzialmente una questione di compromessi e di interessi condivisi. Ogni volta che è coinvolta più di una nazione, è necessario un compromesso di qualche tipo, perché, per definizione, gli obiettivi e le situazioni di due Paesi non possono mai essere identici. Aumentando aritmeticamente il numero dei Paesi, aumentano geometricamente le relazioni tra di essi. Questo significa che qualsiasi politica collettiva è un po’ come un iceberg: si vede la parte pubblica, che è il consenso, spesso faticosamente raggiunto, ma non si vede la massa privata, molto più grande, fatta di riserve, di accomodamenti inopportuni, di sordidi accordi di retroguardia, di eccezioni e trattamenti speciali richiesti, di resistenze nascoste e di molte altre cose. È normale che il consenso sia complesso e fragile, e questo va bene finché tutti vanno nella stessa direzione. Ma cosa succede quando ci si trova nella condizione di dover cambiare qualcosa?

Pensate a un esempio classico: La NATO alla fine della Guerra Fredda. L’intera giustificazione pubblica della NATO era stata la minaccia sovietica, che era appena scomparsa. Era dunque giunto il momento di chiudere i battenti? Beh, come ho già sottolineato in precedenza, la NATO presentava diversi vantaggi, non dichiarati ma importanti, per tutta una serie di Paesi, e di conseguenza c’erano preoccupazioni reali su ciò che sarebbe potuto accadere in Europa occidentale se fosse improvvisamente scomparsa. Ma in ogni caso, la NATO non poteva scomparire all’improvviso, perché i suoi membri avevano firmato, individualmente e in blocco, il Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa, che di fatto imponeva alla NATO di amministrarne la metà. Molto bene, quindi, ma che dire del futuro? I problemi fondamentali erano due. Uno era il ritmo isterico degli eventi dell’epoca e la proliferazione dei problemi. Oltre alla fine della Guerra Fredda in sé, alla fine del Patto di Varsavia e alla caduta dell’Unione Sovietica, all’unificazione della Germania e al piccolo problema di cosa fare delle armi nucleari sovietiche al di fuori della nuova Russia, c’erano banalità come la Prima Guerra del Golfo e le sue conseguenze, e (per gli europei) i Trattati di Maastricht sull’Unione Politica e Monetaria, oltre alla solita schiera di problemi transitori che reclamavano l’attenzione dei governi occidentali venticinque ore al giorno. Anche solo liberare un po’ di spazio nelle menti dei governi per iniziare a pensare al futuro della NATO sarebbe stato uno sforzo erculeo.

Il secondo problema era che non c’erano alternative. O meglio, ce n’erano un numero quasi infinito, senza possibilità di scelta. Chiudere la NATO significava molto di più che vendere un edificio per uffici a Bruxelles. C’era un’intera infrastruttura militare e politica con istituzioni ovunque, un regime giuridico in base al quale le forze straniere erano stanziate in Germania e un sistema di comando che comprendeva, ad esempio, la subordinazione di tutte le forze tedesche al comando diretto della NATO (e quindi degli Stati Uniti): non tutti in Europa erano contenti di rinazionalizzare la difesa. Anche solo gestire questo aspetto sarebbe stato un incubo amministrativo e politico che avrebbe richiesto anni di sforzi. E cosa l’avrebbe sostituita? All’epoca si chiedeva di sostituire la NATO con la nuova OSCE, ma sarebbe stato come sostituire l’auto di famiglia con un aereo ultraleggero. Non ho mai parlato con nessuno che avesse la più pallida idea di come l’opzione OSCE potesse funzionare in pratica.

Non è stata solo la complessità intrinseca del problema e l’inerzia del passato, e nemmeno la massa e la complessità di altre questioni, a uccidere l’idea: è stato che nessuno era in grado di articolare quale fosse l’alternativa e come avrebbe dovuto funzionare, e non c’era alcuna possibilità di ottenere un accordo collettivo su un’alternativa anche se fosse stata identificata. Quindi, sebbene la NATO abbia subito enormi cambiamenti interni nel corso del tempo, ha continuato a esistere per la mancanza di un’alternativa condivisa.

Questo vale sia per le politiche e le idee che per le istituzioni. Se si dovesse stilare una lista di politiche davvero, davvero, pessime e fallimentari adottate per fare pressione sugli Stati, le sanzioni economiche sarebbero in cima alla lista di chiunque. È stato così praticamente fin dall’inizio. Naturalmente i blocchi navali facevano parte della guerra da molto tempo, ma la novità era l’idea, promulgata per la prima volta durante i negoziati di Versailles del 1919, che le sanzioni potessero essere un sostituto della guerra, un modo per fare pressione sugli Stati senza l’uso della forza. In effetti, alla maniera dei liberali, si toglieva la coercizione dalle mani dei militari e la si metteva nelle mani di avvocati ed esperti commerciali che operavano sulla base di regole dettagliate.

È difficile pensare a un caso in cui si possa dire che le sanzioni abbiano “funzionato” nel senso previsto dai loro ideatori. Nella maggior parte dei casi (il Sudafrica sotto l’apartheid è un buon esempio) ciò che hanno fatto è stato semplicemente incitare i governi e il settore privato a trovare alternative creative per qualsiasi cosa strategica, infliggendo al contempo difficoltà alla gente comune. Un decennio dopo, le sanzioni contro l’ex Jugoslavia hanno distrutto l’economia serba e consegnato il controllo effettivo del Paese alla criminalità organizzata. Una mossa intelligente. (In effetti, una delle conseguenze inevitabili delle sanzioni di qualsiasi tipo è che chi ha soldi e conoscenze non ne risente, mentre la gente comune ne soffre).

Eppure, le sanzioni vengono utilizzate ancora oggi, probabilmente più che in qualsiasi altro momento della storia. Perché? Tutto dipende dalla definizione di “successo”. I governi, e ancor di più i gruppi di Stati, raramente possono permettersi il lusso di non affrontare i problemi. I media e il complesso industriale delle ONG sanno bene che le loro incessanti richieste di “fare qualcosa” saranno ben accolte dal pubblico, oltre a conferire superiorità morale a coloro che fanno le richieste. Così, ogni volta che si verifica una crisi nel mondo, un gruppo di stanchi rappresentanti nazionali si riunisce per produrre proposte per “fare qualcosa”. Esagero solo un po’ quando dico che spesso la discussione si svolge come segue:

Dobbiamo fare qualcosa.

Questo è qualcosa.

Ok, facciamolo.

Dopodiché, il gruppo di Stati, l’organizzazione internazionale o qualsiasi altra cosa, può dichiarare il proprio successo sulla base del fatto che ha fatto qualcosa e non è “rimasto a guardare” mentre accadevano o meno cose terribili. Questo può sembrare cinico, ma in realtà non lo è. La realtà è che gli attori esterni hanno molta meno capacità di influenzare positivamente le crisi di quanto si creda, ma che ci sono molte forze potenti nella politica e nei media che hanno un forte interesse a fingere il contrario. Pertanto, è politicamente meglio fare qualcosa di inutile e persino controproducente che non fare nulla. Non si tratta semplicemente del fatto che se tutto ciò che si ha è un martello ogni problema sembra un chiodo. Piuttosto, se tutto ciò che avete è un libro su come curare i problemi piantando chiodi, e nessuno vi permette di provare altri metodi di risoluzione dei problemi, allora tutte le vostre iniziative dovranno riguardare i martelli, e i gruppi di lavoro saranno impegnati a progettare martelli migliori e tecniche di martellamento più efficaci.

Inoltre, soprattutto in caso di crisi, c’è un ovvio vantaggio nel fare qualcosa che si è già fatto e che si sa fare. Potrebbe non esserci il tempo, e certamente non ci sarà molta voglia, di cercare reazioni nuove e innovative alle crisi. Le decisioni devono essere prese e annunciate rapidamente, e attuate il prima possibile. Inoltre, devono essere ampiamente comprese e accettate. Infine, per una nota autosuggestione psicologica, diamo per scontato che le cose che sappiamo fare saranno necessariamente efficaci, e che se non sembrano funzionare bene, bisogna dar loro tempo, e se ancora non funzionano, allora dobbiamo solo provare di più. Una franca ammissione che le sanzioni non hanno funzionato in Ucraina, ad esempio, non significherebbe solo che una particolare politica ha fallito, ma comporterebbe l’ammissione che l’Occidente non ha leve economiche efficaci sulla Russia. Allo stesso modo, l’ammissione che le forniture di armi occidentali all’Ucraina sono servite solo a prolungare la guerra, ma non a vincerla, comporterebbe l’ammissione che tutta una serie di decisioni politiche per diversi anni sono state sbagliate e fuorvianti, e che l’Occidente non può fare altro che ritardare l’inevitabile.

Ammissioni come questa, che avrebbero un impatto su un gran numero di persone in molti governi, vengono estratte con la stessa facilità con cui si estraggono i denti e con altrettanto entusiasmo. E poi lasciano una domanda fondamentale: che cosa facciamo adesso? L’inerzia che ho descritto in precedenza, che aumenta con il passare della crisi, con dichiarazioni pubbliche feroci (“Non faremo mai…” “In nessun caso…” “Faremo sempre…”) che in qualche modo devono essere gettate in un buco della memoria, fa sì che non sia mai veramente il momento giusto per una rivalutazione fondamentale della situazione. Dopo tutto, le cose potrebbero non essere così brutte come sembrano, e chi sa cosa potrebbe accadere domani, o la prossima settimana? Quindi continueremo la politica attuale alla prossima riunione, e a quella successiva, e a quella ancora successiva, tenendo le dita incrociate e fischiettando nel buio.

Perché qual è l’alternativa? Con qualcosa come trenta governi diversi coinvolti, quali sono le possibilità di concordare rapidamente una strategia alternativa efficace? Sono così vicine allo zero che non vale la pena misurarle. Ora, se, per esempio, gli Stati Uniti elaborassero una nuova strategia sensata da discutere prima in modo informale con gli alleati più stretti, con l’UE e la NATO, e poi da presentare in qualche conferenza internazionale, ci sarebbe una ragionevole possibilità che la politica occidentale si muova in una nuova e più ragionevole direzione. Ma questo genere di cose non accade più, anche perché Washington è irrimediabilmente divisa sulla questione e molti dei responsabili delle decisioni sembrano vivere in un universo parallelo. Data l’enorme disparità di interessi e punti di vista tra gli Stati e la totale mancanza di soluzioni alternative, è probabile che prima della fine dell’anno assisteremo a un brutto incidente stradale. Un gruppo di Stati più illuminato e meno eccitabile starebbe già lavorando a piani di emergenza, ma non ne vedo traccia. La cosa migliore che l’Occidente può sperare è che tutte le nazioni accettino un’enorme operazione di pubbliche relazioni volta a convincere l’opinione pubblica occidentale che la sconfitta è in realtà una vittoria se si cambiano i criteri di vittoria. Ma se ciò sarà accettabile, ad esempio, per i nazionalisti polacchi è un’altra questione.

Come per le sanzioni, un altro vecchio strumento di difesa è il potere aereo. Fin dall’inizio dell’aviazione militare, è stato chiaro che ci sono dei vantaggi nel poter colpire un avversario che non può rispondere. Sebbene la prima letteratura popolare sull’argomento avesse toni stridenti e apocalittici, l’esperienza reale dell’uso del potere aereo nella Seconda Guerra Mondiale fu, come minimo, deludente. Rimaneva il fatto che aveva dei vantaggi politici, in particolare perché non era necessario rischiare la vita del proprio personale. Inoltre, la mitologia dell’uso moderno del potere aereo (ad esempio in Iraq nel 1990-91) era sufficientemente forte da far credere a molti in Occidente che la semplice minaccia dell’uso del potere aereo occidentale fosse sufficiente a risolvere le crisi.

Così, quando alla fine degli anni Novanta le potenze occidentali volevano disperatamente provocare la caduta di Slobodan Milosevic, considerandolo il principale ostacolo all’instaurazione di un regime di pace e sicurezza nei Balcani, le minacce di azioni militari vennero prese in considerazione come un modo per umiliare il suo governo e fargli perdere le elezioni presidenziali del 2000. Dopo il 1996, in Kosovo era scoppiata un’insurrezione, piccola ma sgradevole, e la NATO aveva sviluppato l’idea di minacciare la Serbia di intervenire militarmente se non avesse consegnato la provincia al controllo internazionale (in pratica occidentale). Tuttavia, poiché l’uso di truppe di terra avrebbe comportato delle perdite e quindi era impensabile, l’unica minaccia militare possibile era l’uso del potere aereo. In generale si riteneva che la sola minaccia dei bombardamenti sarebbe stata sufficiente a costringere il governo serbo a ritirarsi, a consegnare il Kosovo e quindi a consegnare il controllo del Paese ai “moderati filo-occidentali” nelle prossime elezioni. L’opinione più scettica, minoritaria, era che sarebbero stati necessari un paio di giorni di bombardamenti simbolici. Con sorpresa e costernazione delle autorità della NATO, è iniziata un’intera guerra aerea, che è durata tre mesi. Fu in gran parte inefficace, non da ultimo a causa delle restrizioni sugli obiettivi: gli aerei volavano solo di notte, per evitare vittime, e non potevano bombardare attraverso le nuvole perché non potevano essere sicuri dei loro obiettivi. Chi è stato in quella parte del mondo sa che tempo fa in primavera, e in molte occasioni gli aerei sono tornati indietro senza aver lanciato le armi.

Quello che nessuno aveva capito è che la Jugoslavia aveva passato quarant’anni a prepararsi e ad esercitarsi per un’invasione aerea di terra da parte dell’Unione Sovietica, e aveva fatto ampi preparativi per sopravvivere. La stragrande maggioranza degli obiettivi colpiti dalla NATO erano esche e si scoprì che, ad esempio, sotto l’aeroporto di Pristina era nascosta un’intera base aerea militare di cui la NATO non era a conoscenza. Le forze serbe si sono infine ritirate in buon ordine dopo che la Russia è venuta in soccorso della NATO, facendo pressione politica sul governo serbo affinché cedesse. Se ciò non fosse accaduto, la NATO avrebbe dovuto prendere in seria considerazione un’invasione di terra, che avrebbe probabilmente distrutto ciò che rimaneva della fragile solidarietà all’interno della NATO stessa.

Si potrebbe quindi pensare che, dopo questa scoraggiante esperienza, l’idea di utilizzare il solo potere aereo per risolvere le crisi sarebbe diventata meno attraente. Invece no, poiché il potere aereo continuava ad avere il vantaggio di essere essenzialmente privo di vittime dal punto di vista dell’Occidente, perché era qualcosa che sapevamo fare e perché l’Occidente godeva generalmente di un dominio aereo totale, è diventato una politica consolidata. Tuttavia, la Libia nel 2011 e la Siria successivamente, hanno dimostrato che il potere aereo da solo non può ottenere molto: quando i russi sono intervenuti in modo decisivo in Siria, è stato utilizzando il potere aereo tattico a sostegno delle forze di terra. Non sorprende quindi, anche se è deludente, che non appena è scoppiato il conflitto in Ucraina, le solite voci chiedano la magica costruzione di una No-Fly Zone, senza sapere che esiste già e che viene fatta rispettare dai russi, non con gli aerei ma con i missili. In effetti, una delle tante conseguenze della crisi ucraina è stata la consapevolezza che non solo l’uso del potere aereo, ma anche tutti i metodi di intervento tradizionali (anche se inefficaci) preferiti dall’Occidente non funzionano contro un avversario potente e pronto a colpirti.

È difficile spiegare perché questi fallimenti non abbiano ancora portato a cambiamenti politici senza addentrarsi in un po’ di psicologia politica. Una componente importante è la fallacia dei costi irrecuperabili: la stessa fallacia per cui si rimane al cinema a guardare la fine di un film di cui si è delusi, perché si è già pagato il biglietto. In breve, in politica, quanto più a lungo una politica è stata in vigore, tanto più è psicologicamente difficile per coloro che l’hanno ideata accettare il fallimento o la necessità di cambiarla, a prescindere dal suo successo o fallimento, perché il loro ego individuale e collettivo è legato ad essa. Nel caso della Russia, l’ego, l’autostima e il senso di diritto morale delle élite politiche occidentali richiedono che le sanzioni e le forniture di armi continuino, indipendentemente dalle loro conseguenze pratiche. È già chiaro che, alla fine di questo episodio raccapricciante, nessun politico dirà “ci siamo sbagliati”. Qualche persona intelligente verrà mandata a redigere una dichiarazione del tipo: “Sebbene le sanzioni non abbiano avuto il successo inizialmente sperato in alcuni settori, hanno contribuito a porre fine alla guerra prima e a condizioni più accettabili di quanto sarebbe stato altrimenti, e hanno fornito una dimostrazione concreta della volontà delle nazioni occidentali di resistere all’aggressione” o qualcosa del genere.

Il secondo è il rifiuto istituzionale di imparare dall’esperienza, perché l’esperienza potrebbe insegnare la lezione sbagliata. Questo è pervasivo in tutto il campo dei meccanismi di risposta alle crisi occidentali ed è, ovviamente, una caratteristica del liberalismo, le cui idee non possono fallire, possono solo essere fallite. Questo non significa che istituzioni come l’ONU e l’UE non abbiano la capacità di “trarre lezioni” (anche se di questi tempi il termine generalmente utilizzato è il più modesto “lezioni individuate”). Ma il peso dell’inerzia politica, l’investimento egoico e la natura intrinsecamente autocompiaciuta del pensiero liberale fanno sì che queste “lezioni” siano, alla fine, altamente tecniche e procedurali. Così, ad esempio, è quasi universale che i rapporti sulle “lezioni individuate” identifichino la necessità di un “migliore coordinamento” tra gli attori internazionali, che altrettanto universalmente non avviene mai. L’intero apparato degli interventi post-conflitto occidentali (forze di mantenimento della pace, dialoghi nazionali inclusivi, elezioni anticipate, disarmo, smobilitazione e reintegrazione, riforma del settore della sicurezza, combinazione di diverse forze in un nuovo esercito nazionale, tribunali penali, commissioni per la verità e la riconciliazione e molti altri) è un guazzabuglio di idee diverse e spesso in conflitto tra loro, provenienti da diverse comunità di donatori, legate solo da una comprensione vagamente liberale delle questioni di guerra e pace. C’è una resistenza attiva a qualsiasi tipo di valutazione indipendente del successo di tali idee, nel caso in cui si ottenga la risposta sbagliata.

Dopo aver scritto questo paragrafo, ho notato dal mio feed RSS che un altro progetto di riforma del settore della sicurezza, organizzato in fretta e furia e sponsorizzato dall’Occidente, è fallito e ha portato a nuove violenze, questa volta in Sudan, dove uno sforzo affrettato e mal consigliato di fondere l’esercito con un gruppo paramilitare dell’opposizione ha portato a un nuovo conflitto. Questo tipo di iniziativa va avanti da trent’anni e funziona (come in Sudafrica) solo in presenza di condizioni particolari. Non è solo che alcune persone non possono imparare, è che sono attivamente resistenti all’apprendimento.

Oppure prendiamo le elezioni. La teoria politica liberale vede le elezioni come una forma di competizione tra squadre di professionisti per presentare la formula migliore per la gestione del Paese, al termine della quale uno si aggiudicherà un contratto in esclusiva. Quindi, qualunque sia la questione, le elezioni sono la risposta, perché a quel punto la comunità internazionale può affidare il problema ai locali, che avranno la legittimità che le elezioni conferiscono automaticamente, e tornare a casa. Il fatto che le elezioni dopo un conflitto siano solitamente divisive, che possano mettere a nudo ed esacerbare le tensioni che hanno causato il conflitto in primo luogo, e che siano solitamente combattute su divisioni locali, etniche e culturali, sono cose che il concetto liberale di politica non può accettare, e che quindi non esistono. I problemi causati dalle elezioni vengono quindi liquidati come il risultato di “guastatori” e “disturbatori” che non accettano la volontà democraticamente espressa dal popolo. Sembra incomprensibile, ad esempio, che dopo trent’anni l’Occidente stia ancora cercando di raggiungere la pace in Bosnia attraverso le elezioni. La fantasia occidentale di uno Stato unitario “multietnico” con partiti politici “multietnici” gestiti da politici di stampo occidentale ha probabilmente avuto molto a che fare con lo scatenarsi del conflitto ed è stato il sogno impossibile a cui molte cose sono state sacrificate da allora. La labirintica complessità del sistema politico emerso dalla guerra bosniaca, con le sue numerose e diverse gerarchie di voto, potrebbe essere considerata una prova di distruzione della convinzione che le elezioni promuovano la stabilità: in tutta la storia dell’umanità, non è mai stato richiesto a così pochi di votare così tanto, così tante volte, per un risultato così scarso. Il problema era che gli elettori continuavano a dare la risposta sbagliata, quindi era necessario farli votare di nuovo. Questo è dipeso soprattutto dalla mancanza di alternative politiche evidenti: pare che quando a un alto funzionario dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa è stato chiesto perché la sua organizzazione organizzasse incessantemente elezioni in Bosnia, abbia risposto “beh, è quello che sappiamo fare”.

Infine, prendiamo il mantenimento della pace: o “operazioni di sostegno alla pace” o “operazioni di pace” o anche “applicazione della pace”, a seconda di chi si parla. Questo deriva in ultima analisi dalla convinzione che il semplice fatto di inviare una forza militare in un’area di conflitto possa stabilizzare la situazione. In pratica, la forza diventa un ostaggio o semplicemente congela il conflitto, consentendo che continui più a lungo di quanto sarebbe stato altrimenti. Le missioni con mandati precisi e mirati (come l’UNTAG in Namibia) possono funzionare, ma la tendenza ad avere aspettative enormi e mandati ambiziosi, insieme a risorse inadeguate, fa sì che la maggior parte di esse fallisca, spesso malamente, diventando talvolta parte del problema. Il classico è stato, ovviamente, l’UNPROFOR in Bosnia, dove le richieste stridenti di “fare qualcosa”, il crescente militarismo umanitario e la totale ignoranza delle basi del problema hanno portato al dispiegamento di una forza incapace di adempiere a un mandato ambizioso, ambiguo e in continua evoluzione. Soprattutto, la Forza è stata sovradimensionata dai combattenti locali: anche con un massimo teorico di 20.000 effettivi, solo il dieci per cento della Forza poteva essere impiegato nelle operazioni, e la maggior parte delle nazioni si è rifiutata di permettere alle proprie truppe di entrare in combattimento o di essere messe in pericolo. Almeno nel caso del mantenimento della pace, c’è stato un serio tentativo di trarre lezioni, nella forma del rapporto Brahimi, ed è un peccato che quel rapporto non abbia avuto un’influenza più pratica. Le missioni di “pace” continuano a proliferare in tutto il mondo.

Può darsi che uno dei molti sottoprodotti inattesi del disastro ucraino sia la brutale constatazione che l’intero modo occidentale di pensare ai problemi della pace e della sicurezza, guidato come è da presupposti liberali a priori, non solo è completamente irrilevante per l’Ucraina, ma non ha comunque alcuna possibilità di svolgere un ruolo. La “cassetta degli attrezzi” per la risoluzione dei conflitti di cui l’Occidente ama parlare, di cui ho fornito alcuni esempi sopra, e il manuale in tre volumi costantemente aggiornato sulle tecniche di martellamento, semplicemente non saranno presenti. Già adesso, in alcuni ambienti, c’è la curiosa e ingenua supposizione che la fine dei combattimenti in Ucraina porterà al dispiegamento del menu standard di misure occidentali. Ci sarà una conferenza di pace a cui si inviteranno gli Stati Uniti e l’Europa, la NATO e l’UE, ci sarà un rappresentante speciale delle Nazioni Unite a presiedere la conferenza, ci saranno accordi per il ritiro delle truppe, la smobilitazione delle milizie dei separatisti russi, misure di rafforzamento della fiducia, processi e commissioni per la verità, una missione delle Nazioni Unite nel Paese per promuovere questo e quello, l’OCSE organizzerà elezioni libere ed eque, una forza internazionale sotto l’egida dell’ONU o dell’UE riqualificherà le Forze Armate ucraine …. E perché, di grazia, i russi dovrebbero accettare tutto questo?

La combinazione di inerzia politica e di un insieme indiscusso di assunti normativi a priori sulla pace e sul conflitto spiegano perché l’Occidente sembra sfrecciare su una traiettoria suicida che non mostra segni di arresto, o addirittura di rallentamento, nonostante il disastro sia chiaramente visibile davanti a noi. Se siete il Ministro degli Esteri di un Paese di medie dimensioni, probabilmente sentite dire dieci volte al giorno che “le sanzioni funzionano”, leggete che “le sanzioni funzionano” sui media, e le vostre stesse note informative vi dicono di rassicurare gli altri che “le sanzioni funzionano”, e dopo un po’ arrivate ad accettare che le sanzioni funzionano. Se non funzionano, se l’intero approccio occidentale all’Ucraina sembra crollare, allora si aprirebbe un buco esistenziale sotto i vostri piedi. Inoltre, cosa si potrebbe dire? Quali altre opzioni sono possibili?

Alla fine, molti crolli politici hanno un’origine intellettuale piuttosto che pratica e istituzionale. Le rivoluzioni francese e russa sono avvenute in ultima analisi perché le strutture di potere tradizionali erano intellettualmente incapaci di immaginare qualche modifica del sistema politico e qualche compromesso con i suoi sfidanti. L’inerzia politica accumulata in centinaia di anni di monarchia assoluta era tale che i sistemi erano effettivamente paralizzati mentre il disastro incombeva su di loro. Qualcosa di simile sembra essere accaduto quando la stessa Unione Sovietica è crollata nel 1991: c’era la possibilità di una riforma, ma i responsabili non hanno capito come gestire una transizione politica al di fuori del quadro intellettuale molto ristretto che l’inerzia politica aveva lasciato loro, e il risultato, quando è arrivato, è stato brutale e violento.

Non credo che oggi in Occidente si stia andando incontro a qualcosa di così grave. Ma il treno liberale, che notoriamente non ha freni né retromarcia e che ha accumulato un’inerzia politica senza precedenti nell’ultima generazione, sta per schiantarsi contro le barriere e il risultato, sospetto, sarà una sorta di esaurimento nervoso politico di massa da parte della classe dirigente. E, mentre si affannano ad uscire dai rottami, cominceranno a riconoscere una semplice e nauseante verità. I russi hanno un martello dannatamente grande.

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SENTIMENTO E INDIFFERENZA POLITICA, di Teodoro Klitsche de la Grange

SENTIMENTO E INDIFFERENZA POLITICA

Malgrado il bombardamento anti-russo della comunicazione mainstream, non sembra, dai sondaggi ripetuti, che sia stata scalfita la maggioranza neutralista nell’opinione pubblica soprattutto, si legge, in Italia e in Romania; altrove, in Europa, tranne in quella orientale (e si capisce il perché) favorevoli e contrari si distribuiscono in blocchi pressoché uguali sull’aiuto all’Ucraina.

Dopo un simile spiegamento di mezzi, i risultati paiono modesti. Soprattutto in relazione all’argomento forte e più ripetuto, che si adagia sulle comprensibili aspirazioni degli europei, i quali dopo i due macelli collettivi del XX secolo, di aggressioni, guerre, ed aggressori non vogliono sentir neanche parlare.

Per cui appare facile demonizzare l’aggressore come turbatore della pace, e la resistenza allo stesso come justa causa.

Quale può essere il perché della tepidezza di buona parte dell’opinione pubblica? Le cause possono essere tante, ma ritengo che le principali siano:

  1. a) il timore di un’estensione (fino al coinvolgimento diretto) nella guerra;
  2. b) il non comprendere (perché non spiegato) quale possa essere l’interesse nazionale ad un esteso aiuto ad uno dei belligeranti;
  3. c) che la Russia, anche se aggressore, non ha tutti i torti (scontri nel Donbass, accordi di Minsk).

Quanto al timore dell’escalation, è bene tenerne conto, perché come sosteneva Clausewitz, è nella natura della guerra l’ascensione agli estremi. Tuttavia a rendere tale ipotesi poco verosimile è proprio il secondo elemento: la mancanza di un interesse nazionale, sia della Russia che dei popoli europei ad aggredirsi. Anzi tutto l’interesse è quello di convivere e commerciare pacificamente, per la complementarietà economica delle due aree. Relativamente al terzo aspetto è chiaro che la dissoluzione dell’Unione sovietica in Stati nazionali, le cui frontiere non coincidevano con l’omogeneità etnica, di guerre ne ha generate tante, sia nella superpotenza che nella Jugoslavia.

Basti ricordare per la prima: Georgia, Ossezia, Cecenia, Abkhazia, Nagorni_Karabach (salvo altri). Per cui la sussistenza, anche da parte dell’aggressore russo di una justa causa belli non è esclusa. Con la conseguenza che, contrariamente all’evoluzione del diritto internazionale nel XX secolo, la guerra, nel sistema westfaliano, è “giusta” da entrambe le parti.

Per cui che il sentimento ostile nei confronti dell’aggressore sia così tiepido a dispetto di tutti gli sforzi per suscitarlo e ravvivarlo non meraviglia.

Si aggiunge per l’Italia la storia degli ultimi secoli; di guerre l’Italia (prima il Regno di Sardegna) alla Russia ne ha mosse tre. La guerra di Crimea, l’intervento nella guerra civile del 1918-1921, il fiancheggiamento della Germania nell’operazione Barbarossa. Di converso l’unica volta che un esercito russo si è visto in Italia è nel 1799. Ma i russi, peraltro alleati di Stati italiani occupati dalla Francia, se ne andarono senza pretendere di tornare.

Gli è che né i russi hanno alcun interesse ad occupare l’Italia, né gli italiani la Russia. Si è cercato di compensare questa evidenza storica e politica col dipingere Putin come il diavolo guerrafondaio, affetto da aggressività compulsiva, emulo nel XXI secolo di Hitler. Ipotesi ancora più inverosimile dell’altra: vediamo perché.

É costante della Russia estendere la propria influenza a sud, in particolare intorno al Mar Nero.

Malgrado tutti gli sforzi dei professionisti dell’informazione per additare Putin come pazzo e/o malato, il Presidente russo non ha fatto altro che ripetere la politica dei suoi predecessori, da Ivan il Terribile a Pietro il Grande, da Caterina la Grande a Nicola I.

Il che rendeva assai prevedibili sia le intenzioni che il comportamento dello stesso. Ciò nonostante non è stato previsto il probabile, e neppure adottati comportamenti  idonei ad evitare che una situazione, da anni esplosiva, degenerasse in guerra.

Quando poi questa è scoppiata, non c’è stato altro da fare che cercare di coprire il tutto con la demonizzazione dell’aggressore, come mezzo per incrementare il sentimento popolare, improntato ad una paurosa indifferenza.

Scrive Clausewitz nel Von Kriege a proposito del sentimento politico, cioè l’odio e l’inimicizia verso il nemico che questo è “da considerarsi come un cieco istinto” e corrisponde al popolo; e che “Le passioni che nella guerra saranno messe in gioco debbono già esistere nelle nazioni”. Sicuramente in Polonia e in Ungheria, tenuto conto della storia le suddette passioni non mancano. Ma in Europa occidentale? Solo la Germania ha condotto nella storia e per geopolitica diverse guerre con la Russia, alternate a periodi di amicizia (spesso a scapito dei popoli che stavano “in mezzo”).

Ma Francia, Spagna, Italia (e non solo) non hanno né ragioni politiche e geo-politiche né una storia che identificasse nei russi il nemico principale e reale.

Per cui non restava che affidarsi alla propaganda, confermando, con lo scarso risultato, l’affermazione di Clausewitz.

Teodoro Klitsche de la Grange

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L’Europa deve resistere alle pressioni per diventare “seguace dell’America”, dice Macron_di Politico, Andrew Korybko ed altri

L’uomo sbagliato nel posto giusto; fuori tempo massimo; una ambizione smisurata rispetto alle forze disponibili; la rimozione di un convitato di pietra, la Russia, indispensabile alla costruzione di un equilibrio europeo fondato su sovranità ed indipendenza. Il giudizio lapidario su di un personaggio politico che sta cercando di assumere un ruolo da protagonista su temi, sull’anatema dei quali ha fondato la propria formazione culturale, la propria carriera dirigenziale, la propria fulminante carriera politica, la propria attività di Ministro e in ultimo, da Presidente, la composizione dei propri governi.

Qui sotto una serie di articoli ed interviste di e su Emmanuel Macron, tra i tanti che hanno accompagnato e seguito la visita del presidente di Francia in Cina, al cospetto di Xi Jinping, e nei Paesi Bassi. Con una sorprendente eccezione: la attenzione riservata dalla stampa francese inversamente proporzionale all’enfasi presidenziale.

Emmanuel Macron è immancabilmente attratto da una prosopopea che lo trascina spesso e volentieri nella millanteria e nella vanagloria tale da trasformare in farsa l’esito delle sue imprese. Il suo ultimo viaggio in Cina ne rappresenta forse l’iperbole.

  • fallendo a suo tempo nella proposta di viaggio in comune con il tedesco Scholz, ha voluto presentarsi come paladino e rappresentante dell’Europa, trascinando con sè nella missione la tapina von der Leyern, per poi accettare senza batter ciglio lo spartito di Xi, il quale ha riservato alla commissaria un ruolo, non nuovo per la verità, da protagonista di quarta classe e una anticamera nella penombra dei ripostigli della diplomazia cinese;
  • ha riconosciuto con colpevole ritardo, nelle attuali dinamiche geopolitiche, la prevalenza del fattore politico-militare rispetto a quello geoeconomico per porre sul piatto della diplomazia euro-franco-cinese il solo fattore economico;
  • è sembrato dare per scontato, nello stesso ambito geoeconomico, un rapporto paritario tra Europa e Cina, quando la realtà si è risolta nel pietìre accordi commerciali che favorissero le esportazioni francesi in Cina, compresi i poco graditi, dai sindacati transalpini,  trasferimenti di attività produttive strategiche glissando sulle limitazioni imposte all’introduzione di quelle cinesi in Europa, non particolarmente gradite a Xi;
  • ha chiesto a Xi di concedere il tempo necessario alle presunte ambizioni di autonomia europea, sapendo dell’interesse della Cina a protrarre il più possibile le dinamiche passate della globalizzazione. Ha glissato, però, su un aspetto sul quale la dirigenza cinese è sempre più cosciente, trasformando una tentazione in un miraggio in grado di ingannare solo se stesso. Se c’è un attore non disposto a concederlo, è l’attuale dirigenza degli Stati Uniti, l’alleata di ultima istanza;
  • ha additato, spesso e volentieri esplicitamente, la dirigenza russa di Putin come perturbatrice dei vecchi equilibri e come fattore scatenante delle pulsioni oltranziste della stessa dirigenza statunitense nei confronti del mondo e degli stessi europei per attrarre la dirigenza cinese verso una posizione di neutralità indifferente alle sorti della Russia, quando Macron stesso è parte in causa diretta e subordinata della faziosità suicida degli europei nel conflitto ucraino, ormai ultradecennale e nelle politiche di caos programmato nel mondo tutt’ora all’opera.

Non si sa quale delle seguenti tre pulsioni stia prevalendo nel dettato dei comportamenti politici del piccolo Zeus dell’Olimpo francese. 

  • l’ambizione cieca e mal riposta, intrisa di retorica logorroica, di un leader ferito, indispettito ed incapace di reagire direttamente ai pesanti colpi bassi dei suoi cugini-alleati anglo-americani, specie nel Pacifico e in Africa, chiedendo in cambio del nulla al suo interlocutore cinese l’abbandono di Putin e l’eventualità impossibile di una collaborazione proficua con la Francia e l’Europa, prive di ogni facoltà di volere;
  • la meschinità di chi, sotto l’aura retorica nobile, o sedicente tale, dell’europeismo cerca di ricavare benefici immediati, quanto fragili per la classe dirigente del proprio paese a scapito dei propri vicini di casa. Benefici illusori che verrebbero dall’erosione del primato dei rapporti economici sino-alemanni, anche essi resi sempre più fragili dal contesto geopolitico, per giungere alla riacquisizione di un ruolo significativo in Africa e nel Pacifico meridionale, dato quasi per perso definitivamente quello in Medio Oriente;
  • il servilismo più abbietto rispetto alla avventurosa “strategia” demo-neocon statunitense di accomunare i suoi due nemici, definiti mortali e contestualmente di separarli nella loro azione politica sempre più concordata ed integrata.

Il passato remoto, quello adolescenziale e quello recente e immediato di Emmanuel Macron fa presagire il peggio. Il nuovo Zeus di Francia è un pollo di allevamento di Soros e dei Rothschild sin dalla adolescenza in quota enarcato; da Ministro ha contribuito a sferrare i colpi conclusivi, con la svendita e le dismissioni, a buona parte dell’industria strategica francese. L’illuminazione sulla via del sovranismo e del recupero delle prerogative statali, anche in economia e nelle attività industriali, sanno di tardivo se non di posticcio. Sta di fatto che, nei suoi anni di presidenza, il peso dell’industria è passato dal 18 al 11% dell’economia francese; ben al di sotto dei già bassi standard europei. La stessa invocazione delle prerogative sovraniste in salsa europeista, sembrano spingere l’impegno prevalente verso l’adozione integralista di criteri di tutela dell’equilibrio climatico e di riconversione ecologica fatti apposta per dirottare risorse ed ambizioni lontano dai fattori decisivi di potenza e di equilibrio e coesione sociale. In questo, probabilmente, è in buona e numerosa compagnia. Tra gli ultimi arrivati, spero di sbagliare, anche se non coltivato sistematicamente, potrebbe inserirsi il redivivo Lula, dal Brasile, nella sua funzione di sirena. La durezza della posizione di Korybko, espressa in un articolo recente, ha certamente spiazzato; se tuttavia la si affianca ad un altro articolo che marca positivamente la posizione sulla dedollarizzazione assunta nel comunicato congiunto Lula-Xi e nel valore preminente dato ad essa da Korybko rispetto a quella sul conflitto ucraino, si può contestualizzare meglio il senso di una posizione così netta, presa a se stante. Non sono nella testa, tanto meno nello stato d’animo dell’autore. Probabile che tanta durezza dipenda dal timore che la Cina sia attratta da una visione bipolare della gestione del mondo, deleteria per la Russia, piuttosto che dal peso delle posizioni di Lula. Dopo aver precisato questo occorre, a mio modesto avviso, tuttavia qualche sottolineatura che potrebbe incrinare l’aura che molto spesso avvolge il progressismo radicale e rivoluzionario latino-americano e impedisce di comprendere le ragioni dei suoi frequenti e ricorrenti fallimenti. Lula è certamente un pragmatico, ma di un pragmatismo diverso da quello di Erdogan e più ambiguo. Di ciò fa parte il comunicato congiunto con Biden e il voto favorevole alla risoluzione ONU, entrambe di condanna esplicita dell’aggressione russa. Lula punta a costruire un club mondiale della pace che parte da queste posizioni, pur edulcorate da qualche dichiarazione critica sull’atteggiamento statunitense. Non a caso sul punto 9 del comunicato Xi-Lula, i due statisti procedono per vie parallele piuttosto che su una posizione unica e condivisa. Il Lula dell’ultima elezione poggia su basi diverse di quelle della precedente, fondata su un “sovranismo” populista ed assistenziale, significativo, ma dai troppi limiti tipici della sinistra di quell’area geografica e tradotti purtroppo anche in Europa, ultimamente, dai movimenti Podemos e 5stelle. Ha tirato fuori tutto il repertorio “woke” tipico del democratismo statunitense coniugandolo con il rivendicazionismo e il terzomondismo storico della propria area. Sono note anche le “trattative” intercorse per la sua riabilitazione dalle condanne, le quali hanno consentito la ricandidatura e la rielezione; per non parlare dei brogli da “Dominion” per altro comune ai due candidati. Penso che Lula, con qualche margine di autonomia, si stia inserendo comunque in quella componente democratica statunitense ormai propensa a prendere atto della dinamica multipolare per proseguire le vecchie politiche egemoniche sotto altre spoglie. Un discorso da approfondire con la cautela e il beneficio di inventario richiesta da una situazione ed una transizione tutta ancora da definire.

La seconda pulsione potrebbe essere alimentata dalla forza e dalla costanza di un movimento di protesta tanto potente ed ostinato, quanto mal diretto o sviato, a seconda dei casi, dalla presenza da una parte di un movimento gaullista incapace di coniugare ambizioni di potenza ed autonomia geopolitica ed esigenze di difesa e integrazione di interessi popolari e dall’altra di un movimento progressista fossilizzato in un rivendicazionismo economicista pasticciato ben disposto di fatto a concedere spazi e credibilità da statista al nostro. Spazi che lo porterebbero a coltivare residue ambizioni nei vecchi domini coloniali ormai perduti, con la supervisione compiaciuta e velenosa della dirigenza statunitense e l’illusione di poter scavare nelle contraddizioni della presenza sino-russa in Africa. Una mera illusione che ignora il dato fondamentale che l’influenza politico-economica cinese è sempre più perfettamente complementare all’influenza politico-militare russa in quella e presumibilmente ormai in altra aree dello scacchiere geopolitico; come pure che la reale intenzione della dirigenza statunitense in terra europea, con l’assottigliarsi della sua area di influenza globale, è quella di succhiare le risorse disponibili nei paesi dell’Europa Occidentale per riequilibrare la situazione socio-economica al proprio interno e sostenere gli sforzi e le ambizioni dei paesi dell’Europa Orientale disposti ad incalzare l’orso russo. 

La prima pulsione è forse la più pericolosa e pregiudizievole; rappresenta la minaccia più perniciosa alla sopravvivenza fisica ed esistenziale del nostro. Lo espone al ludibrio e alla sufficiente derisione dei suoi avversari geopolitici, come successo a suo tempo con Trump, come ripetutosi in questi giorni con Xi Jinping, grazie anche ad alcune clamorose gaffe nella conduzione delle conversazioni. Non siamo ancora al livello del nostro scomparso Luigino Di Maio; ma la scuola francese ha conosciuto comunque illustri predecessori del calibro di Napoleone III, nella fase terminale del suo regno e nella curiosa concomitanza di sottovalutazione della forza del nemico-avversario. Lo espone alla crescente rabbia popolare, la quale, però, in mancanza di una direzione lungimirante, difficilmente riuscirà a spodestarlo. Potrebbe lasciarlo, è la condizione più minacciosa, in balìa delle reazioni indispettite dei propri cugini-fratelli angloamericani, consapevoli del loro successo relativo in ambito NATO e UE, ma anche della fragilità di questa coesione raggiunta così forzosamente.

La sua ostinazione nell’individuare nella improbabile sconfitta russa, piuttosto che in una collaborazione paritaria, la condizione preliminare di emancipazione dei paesi e degli stati europei rivela l’essenziale.

Il raggio di luce offerto offerto da alcune dichiarazioni di Macron e, in parte, di Lula sono un successo di Xi e di Putin; molto meno di Macron.

La sua sembra la mossa piuttosto che di un condottiero impavido e coraggioso, di un naufrago prossimo ad annaspare tra i flutti.

Più prosaicamente, come adombrato da Korybko, buona parte del colloqui riservati tra Macron e Xi sono dedicati ormai a salvare il salvabile dei rapporti franco-cinesi.

Si vedrà come il combinato-disposto di questi tre fattori influenzeranno il futuro comportamento di Macron. La riluttanza tedesca e dei paesi dell’Europa Orientale a seguirlo in alcuni propositi, la perseveranza russa, l’indisponibilità cinese e la ripicca anglo-americana potrebbero combinarsi in un mix nefasto. Il suo slancio retorico europeista potrebbe ottenere il risultato paradossale, ormai ben radicato anche nella dirigenza statunitense, di affondare o ridurre a luce fioca una Unione Europea sempre più inutile e ridondante. Sino ad ora l’unica prerogativa di sovranità che il nostro riesce a coltivare con successo è quella ad uso interno; nella fattispecie nella repressione violenta del movimento di protesta, grazie anche alla complicità devastatrice di gruppi di provocatori incontrollati. Di sicuro la figura meno adatta e credibile ad impersonare il passato ed il futuro dignitoso della Francia e delle nazioni europee. Buona lettura, pur nella precarietà della traduzione di alcune parti degli articoli. Il tempo e le risorse sono quelle che sono. Giuseppe Germinario

“Per troppo tempo l’Europa non ha costruito questa autonomia strategica. Oggi la battaglia ideologica è stata vinta”, ha dichiarato Emmanuel Macron in un’intervista a Les Echos. Ma ora è necessario attuare questa strategia. La trappola per l’Europa sarebbe che, nel momento in cui ottiene un chiarimento della sua posizione strategica, si trovi coinvolta in uno sconvolgimento del mondo e in crisi che non sono nostre”.

Per il Presidente francese, l’autonomia strategica è fondamentale per evitare che gli Stati europei diventino “vassalli” quando l’Europa potrebbe essere “il terzo polo” di fronte a Stati Uniti e Cina. “Non vogliamo entrare in una logica di blocco a blocco”, ha aggiunto il Capo di Stato, che si è anche espresso contro “l’extraterritorialità del dollaro”. “La storia sta accelerando, e noi dobbiamo accelerare allo stesso tempo l’economia di guerra europea”, ha insistito il Presidente francese.Il Presidente francese insiste sul fatto che “la storia sta accelerando”.

Dopo il dialogo con il Presidente Xi Jinping, cosa possiamo davvero aspettarci dalla Cina sull’Ucraina?

Penso che la Cina stia facendo le stesse considerazioni  che stiamo facendo noi, con la differenza che oggi la priorità è militare.

Gli ucraini stanno resistendo e noi li stiamo aiutando. Non è il momento di negoziati, anche se sono, se necessario, per fissare le pietre miliari. Questo è lo scopo del dialogo con la Cina: consolidare approcci comuni

Uno: sostenere i principi della Carta delle Nazioni Unite.

Due: un chiaro richiamo sul nucleare e spetta alla Cina trarre le conseguenze del dispiegamento di armi nucleari in Bielorussia da parte del Presidente Putin pochi giorni dopo  essersi impegnato a non farlo.

Tre: un chiaro richiamo al diritto umanitario e la protezione dei bambini.

E quattro: la volontà per una pace negoziata e duratura.

Noto che il presidente Xi Jinping ha parlato di un’architettura di sicurezza europea. Ma non può esistere un’architettura di sicurezza europea finché ci saranno Paesi invasi o conflitti congelati.

Si può quindi notare che da tutto questo emerge una matrice comune.

L’Ucraina è una priorità per la diplomazia cinese? Forse no.

Ma questo dialogo ci permette di temperare i commenti che sono stati fatti su una forma di compiacenza della Cina nei confronti della Russia.

I cinesi sono ossessionati dal confronto con gli Stati Uniti, in particolare in particolare sulla questione di Taiwan; non tendono a vedere l’Europa  come una pedina tra i due blocchi?

Come europei, la nostra preoccupazione è la nostra unità. Questo è sempre stato il mio assillo. Noi dobbiamo dimostrare alla Cina che siamo uniti e questo è il significato di questa visita congiunta con il Presidente della Commissione Ur s u l a von der Leyen. Anche i cinesi si preoccupano della loro unità e Taiwan, dal loro punto di vista, ne fa parte.

È importante capire come ragionano. La domanda per noi europei è: Abbiamo interesse ad

accelerare sul tema di Taiwan? No, non è così. La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo essere dei seguaci su questo tema,  adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina.

Perché dovremmo andare al ritmo scelto da altri?

A un certo punto, dobbiamo chiederci quale sia il nostro interesse. Qual è il ritmo. La Cina stessa dove vuole andare?  Vuole avere un approccio offensivo e aggressivo? Il rischio è di una strategia che si auto avvera; strategia del numero uno e del numero due su questo tema. Noi, europei, dobbiamo svegliarci. La nostra priorità non è quella di adattarsi all’agenda degli altri in ogni regione del mondo.

La trappola per l’Europa sarebbe che nel momento stesso in cui raggiunge un chiarimento della sua posizione strategica, in cui è più autonoma di prima di Covid, si trovi coinvolta in uno sconvolgimento del mondo e in crisi che non sono nostre. Se c’è un’accelerazione dell’esplosione del duopolio, non avremo il tempo  e i mezzi per finanziare la nostra autonomia strategica e diventare vassalli quando possiamo essere  il terzo polo, avendo qualche anno per costruirlo.

Come un numero crescente di Paesi europei che guardano più che mai agli Stati Uniti per la loro sicurezza, l’autonomia strategica europea ha ancora senso?

Certo che sì! Ma questo è il grande paradosso della situazione attuale. Da quando ho tenuto il discorso della Sorbona su questo tema cinque anni fa, quasi tutto è stato fatto. Abbiamo vinto la battaglia ideologica da un punto di vista gramsciano, se così si può dire. Cinque anni fa, si diceva che la sovranità europea non esisteva. Quando parlavo del tema dei componenti delle telecomunicazioni, a chi importava? A quel tempo, stavamo già dicendo ai paesi extraeuropei che l’Europa che consideravamo che si trattava di un’importante questione di sovranità e che avremmo adottato dei testi per regolamentare

Questo è ciò che abbiamo fatto nel 2018. Noto che la quota di mercato di autonomia strategica deve essere la battaglia dell’Europa”.

Per troppo tempo l’Europa non ha costruito la sua autonomia strategica. Oggi, la battaglia ideologica è vinta”, ha dichiarato Emmanuel Macron, in un’intervista a “Echos”. Ma ora è necessario attuare questa strategia.

“La trappola per l’Europa sarebbe che al momento in cui riuscisse a chiarire la sua posizione strategica, si trovi coinvolta in uno sconvolgimento e in una crisi a livello mondiale che non sarebbero nostre”. Per il Presidente francese, l’autonomia strategica è fondamentale  per evitare che gli Stati europei diventino “vassalli” L’Europa può essere “il terzo polo” di fronte agli Stati Uniti e alla Cina.

Non vogliamo essere un vassallo”, ha detto. “Non vogliamo entrare in una logica di blocco contro blocco”, ha aggiunto il Capo di Stato. Ha parlato anche contro la “extraterritorialità del dollaro”. “La storia sta accelerando, dobbiamo accelerare l’economia europea  in parallelo, insiste il Presidente.

Il Presidente francese insiste sul fatto che “la storia sta accelerando”.

Dopo il dialogo con il Presidente Xi Jinping, cosa possiamo davvero aspettarci dalla Cina sull’Ucraina?

Penso che la Cina stia facendo la stessa nostra  considerazione, con la differenza che oggi il momento è militare.

Gli ucraini stanno resistendo e noi li stiamo aiutando. Non è il momento per i negoziati, anche se sono per fissare le pietre miliari. Questo è lo scopo del dialogo con la Cina: consolidare approcci comuni.

L’Ucraina è una priorità per la diplomazia cinese? Forse no. Ma questo dialogo ci permette di temperare i commenti che sono stati fatti su una forma di compiacenza della Cina nei confronti della Russia.

I cinesi sono ossessionati dal confronto con gli Stati Uniti, in particolare sulla questione di Taiwan,non tendono a vedere l’Europa  come una pedina tra i due blocchi?

Come europei, la nostra preoccupazione è la nostra unità. Questo è sempre stato il mio cruccio. Noi dobbiamo dimostrare alla Cina che siamo uniti e questo è il significato di questavisita congiunta con il Presidente della  Commissione Ursula von der Leyen. Anche i cinesi  si preoccupano della loro unità e Taiwan, dal loro punto di vista, ne fa parte. È importante capire come ragionano.

La domanda per noi europei è: Abbiamo interesse ad accelerare sul tema di Taiwan? No, non è così. La cosa peggiore sarebbe  pensare che noi europei dobbiamo essere dei seguaci su questo tema, adattarci al ritmo americano e a una reazione eccessiva della Cina.

Perché dovremmo andare al ritmo scelto da altri? A un certo punto dobbiamo chiederci quale sia il nostro interesse. Qual è il ritmo da sostenere? La Cina stessa dove  vuole andare?  Vuole avere un approccio offensivo e aggressivo? Il rischio è di una strategia che si auto avvera; strategia del numero uno e del numero due su questo tema. Noi, europei, dobbiamo svegliarci. La nostra priorità non è quella di adattarsi all’agenda degli altri in ogni regione del mondo.

La trappola per l’Europa sarebbe che nel momento stesso in cui raggiunge un chiarimento della sua posizione strategica, in cui è più autonoma di prima di Covid, si trovi coinvolta in uno sconvolgimento del mondo e in crisi che non sono nostre.

Se c’è un’accelerazione dell’esplosione del duopolio, non avremo il tempo  e i mezzi per finanziare la nostra autonomia strategica e diventare vassalli quando possiamo essere il terzo, avendo qualche anno per costruirlo.

Con un numero crescente di  Paesi europei guardano più che mai agli Stati Uniti per la loro sicurezza, l’autonomia strategica europea  ha ancora senso?

Certo che sì! Ma questo è il grande paradosso della situazione attuale. Da quando ho tenuto il discorso della Sorbona su questo tema cinque anni, quasi tutto è stato fatto.  Abbiamo vinto la battaglia ideologica, da un punto di vista punto di vista gramsciano, se così si può dire. Cinque anni fa,  si diceva che la sovranità europea  non esisteva.

Quando parlavo del tema dei componenti delle telecomunicazioni, a chi importava?

A quel tempo, stavamo già dicendo ai paesi extraeuropei che per l’Europa si trattava di un’importante questione di sovranità e che avremmo adottato dei testi per regolamentare

Questo è ciò che abbiamo fatto nel 2018.

Noto che la quota di mercato di fornitori di apparecchiature di telecomunicazione in Francia si è ridotta in modo significativo, che non è il caso di tutti i nostri vicini.

Abbiamo anche stabilito l’idea di una difesa europea, di un’Europa più unita che emette debito insieme al momento della Covid. Cinque anni fa, l’autonomia strategica era una chimera. Oggi tutti ne parlano. È un cambiamento importante.

Ci siamo dotati di strumenti di difesa e di politica industriale.

Ci sono stati molti progressi: la legge sui chip, la legge sull’industria a zero emissioni e la Legge sulle Materie Prime Critiche,  questi testi europei sono gli elementi costitutivi della nostra autonomia strategica. Abbiamo iniziato a creare fabbriche di batterie, componenti a idrogeno o elettronici.

Erano completamente contrari all’ideologia europea solo tre o quattro anni fa! Ora abbiamo strumenti di protezione molto efficaci.

L’argomento sul quale dobbiamo essere particolarmente vigili è che la guerra in Ucraina sta accelerando la domanda di equipaggiamenti di difesa.

Tuttavia, l’industria europea della difesa non soddisfa tutte le esigenze e rimane molto frammentata, il che porta alcuni Paesi a rivolgersi a a fornitori americani o addirittura a fornitori asiatici su base temporanea.  Di fronte a questa realtà, dobbiamo diventare più potenti.

L’autonomia strategica deve essere nella battaglia dell’Europa. Non vogliamo dipendere da altri  questioni  critiche. Il giorno in cui non avrete più la possibilità di scegliere sull’energia, su come difendersi, sui social network, sull’intelligenza, reti sociali, sull’intelligenza artificiale perché non abbiamo più l’infrastruttura su questi temi, voi siete fuori dalla storia per un po’.

Qualcuno potrebbe dire oggi in Europa c’è più franco-germania e meno Polonia…

Io non lo direi. Non lo direi; ha creato un fondo europeo  per le munizioni con 2 miliardi, ma è rigorosamente europeo e chiuso.

Ma è chiaro che abbiamo bisogno di un’industria europea  che produca più velocemente. Abbiamo saturato la nostra offerta.

Mentre la storia accelera, abbiamo bisogno di una parallela accelerazione dell’economia di guerra europea.

Non stiamo producendo abbastanza velocemente. Anzi, guardate cosa sta succedendo per affrontare la situazione attuale: i polacchi stanno per comprare equipaggiamento coreano.

Ma da un punto di vista dottrinale, giuridico e politico, penso che non ci sia mai stata una tale accelerazione dell’Europa-potenza.

Abbiamo gettato le basi prima della crisi e c’è stata una tremenda crisi durante la pandemia, con progressi molto forti nella solidarietà finanziaria e di bilancio.

E abbiamo riattivato il formato Weimar con la Germania e Polonia. Oggi dobbiamo accelerare l’attuazione degli aspetti militari, tecnologici, energetici e finanziari per accelerare la nostra effettiva autonomia nella Unione Europea. Non vogliamo entrare in una logica a blocchi.

Al contrario, dobbiamo “deristificare” il nostro modello, per non dipendenza dall’altro, pur mantenendo una forte integrazione delle nostre  catene del valore, laddove possibile.

catene del valore. Il paradosso sarebbe che, in un momento in cui stiamo mettendo in atto gli elementi di una vera autonomia strategica europea, iniziamo a seguire la politica americana, per una sorta di riflesso di panico.

Al contrario, le battaglie da combattere oggi sono, da un lato, accelerare la nostra la nostra autonomia strategica e dall’altro di garantire il finanziamento delle nostre economie. Vorrei cogliere l’occasione per  sottolineare un punto: non dobbiamo dipendere dall’extraterritorialità del dollaro.

Joe Biden è un Donald Trump più educato?

Si impegna per la democrazia, per i principi fondamentali, alla logica internazionale, e conosce e ama l’Europa, tutto ciò è essenziale.

D’altra parte, fa parte di una logica americana trasparente che definisce l’interesse americano, clima e la sovranità americana. È la stessa battaglia. È la battaglia del nucleare, delle rinnovabili e della e della sobrietà energetica europea.

Sarà la battaglia dei prossimi dieci-quindici anni a venire. L’autonomia strategica è presumere che avremo convergenze di vedute con gli Stati Uniti

Ma che si tratti dell’Ucraina, del rapporto con la Cina o delle sanzioni, abbiamo una strategia; è a questo prezzo che le mentalità devono cambiare.

Resta il fatto che gli Stati Uniti con la legge sulla riduzione dell’inflazione (IRA), una politica che lei stesso ha definito che lei stesso ha definito  addirittura aggressiva…

Quando sono andato a Washington lo scorso dicembre scorso, ho messo il mio piede nella porta, sono stato persino criticato per averlo fatto in modo aggressivo.

Ma l’Europa ha reagito e prima alla fine del primo trimestre del 2023, in tre mesi, abbiamo avuto una risposta con tre testi europei.

Avremo la nostra IRA europea.

Agire così rapidamente è una piccola rivoluzione.

La chiave per essere meno dipendenti dagli americani è prima di tutto rafforzare la nostra industria della difesa, di concordare standard comuni.

Stiamo tutti investendo molto denaro, ma non si può avere dieci volte gli standard degli americani! Allora questo significa che dobbiamo accelerare la battaglia per il nucleare e le energie rinnovabili in Europa. Il nostro continente non produce nessun combustibile fossile.  Esiste una coerenza tra reindustrializzazione ed energie rinnovabili.

Il paradosso è che l’America sull’Europa è più forte che mai più forte che mai…

Abbiamo certamente aumentato la nostra dipendenza dagli Stati Uniti nel campo dell’energia, ma in una logica di diversificazione perché eravamo troppo dipendenti dal gas russo.

Oggi è un dato di fatto che siamo più dipendenti dagli Stati Uniti, dal Qatar e da altri.

Ma questa diversificazione era necessaria.

Per il resto, dobbiamo tenere conto delle conseguenze. Per troppo tempo l’Europa non ha costruito questa autonomia strategica per la quale mi sto battendo.

Io mi batto per questo. Oggi, la battaglia ideologica è stata vinta e le basi sono state gettate.

Questo ha un costo, che è normale. È lo stesso per quanto riguarda la reindustrializzazione della Francia: abbiamo vinto la battaglia ideologica,  le riforme, sono difficili, ma iniziamo a vedere i risultati; allo stesso tempo tempo, stiamo pagando il prezzo di ciò che di ciò che non abbiamo fatto in vent’anni. Questa è la politica! Bisogna resistere. Bisogna resistere.

https://www.lesechos.fr/monde/enjeux-internationaux/emmanuel-macron-lautonomie-strategique-doit-etre-le-combat-de-leurope-1933493

 

L’Europa deve resistere alle pressioni per diventare “seguace dell’America”, dice Macron
Il “grande rischio” che corre l’Europa è di rimanere “invischiata in crisi che non sono nostre”, afferma il presidente francese in un’intervista.

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Il “grande rischio” che corre l’Europa è di rimanere “invischiata in crisi che non sono nostre”, dice Macron | Ludovic Marin/ AFP via Getty Images
DI JAMIL ANDERLINI E CLEA CAULCUTT
9 APRILE 2023 12:39 CET

A BORDO DEL COTAM UNITÉ (AIR FORCE ONE FRANCESE) – L’Europa deve ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti ed evitare di essere trascinata in un confronto tra Cina e Stati Uniti su Taiwan, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron in un’intervista sul suo aereo di ritorno da una visita di Stato di tre giorni in Cina.

Parlando con POLITICO e due giornalisti francesi dopo aver trascorso circa sei ore con il Presidente cinese Xi Jinping durante il suo viaggio, Macron ha sottolineato la sua teoria dell'”autonomia strategica” per l’Europa, presumibilmente guidata dalla Francia, per diventare una “terza superpotenza”.

Ha detto che “il grande rischio” che corre l’Europa è quello di “rimanere invischiata in crisi che non sono nostre, il che le impedisce di costruire la sua autonomia strategica”, mentre volava da Pechino a Guangzhou, nel sud della Cina, a bordo del COTAM Unité, l’Air Force One francese.

Xi Jinping e il Partito Comunista Cinese hanno appoggiato con entusiasmo il concetto di autonomia strategica di Macron e i funzionari cinesi vi fanno costantemente riferimento nei loro rapporti con i Paesi europei. I leader del partito e i teorici di Pechino sono convinti che l’Occidente sia in declino e la Cina in ascesa e che l’indebolimento delle relazioni transatlantiche contribuirà ad accelerare questa tendenza.

“Il paradosso sarebbe che, presi dal panico, crediamo di essere solo dei seguaci dell’America”, ha detto Macron nell’intervista. “La domanda a cui gli europei devono rispondere… è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No. La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare dei seguaci su questo argomento e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti e da una reazione eccessiva della Cina”, ha detto.

Poche ore dopo che il suo volo ha lasciato Guangzhou per tornare a Parigi, la Cina ha lanciato grandi esercitazioni militari intorno all’isola autogovernata di Taiwan, che la Cina rivendica come suo territorio ma che gli Stati Uniti hanno promesso di armare e difendere.

Le esercitazioni sono state una risposta al tour diplomatico di 10 giorni della presidente taiwanese Tsai Ing-Wen nei Paesi dell’America centrale, che ha incluso un incontro con il presidente repubblicano della Camera degli Stati Uniti Kevin McCarthy durante il suo transito in California. Persone che hanno familiarità con i pensieri di Macron hanno detto che egli era felice che Pechino avesse almeno aspettato che egli fosse fuori dallo spazio aereo cinese prima di lanciare l’esercitazione simulata di “accerchiamento di Taiwan”.

Pechino ha ripetutamente minacciato di invadere l’isola negli ultimi anni e ha una politica di isolamento dell’isola democratica, costringendo gli altri Paesi a riconoscerla come parte di “una sola Cina”.

Colloqui su Taiwan
Macron e Xi hanno discusso “intensamente” di Taiwan, secondo i funzionari francesi che accompagnano il presidente, che sembra aver adottato un approccio più conciliante rispetto agli Stati Uniti e persino all’Unione Europea.

“La stabilità nello Stretto di Taiwan è di fondamentale importanza”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha accompagnato Macron per parte della sua visita, a Xi durante il loro incontro a Pechino giovedì scorso. “La minaccia di usare la forza per cambiare lo status quo è inaccettabile”.

Il presidente cinese Xi Jinping e il presidente francese Emmanuel Macron a Guangdong il 7 aprile 2023 | Pool Photo by Jacques Witt / AFP via Getty Images
Xi ha risposto dicendo che chi pensa di poter influenzare Pechino su Taiwan è un illuso.

Macron sembra essere d’accordo con questa valutazione.

“Gli europei non sono in grado di risolvere la crisi in Ucraina; come possiamo dire in modo credibile su Taiwan: ‘attenzione, se fate qualcosa di sbagliato noi saremo lì’? Se si vuole davvero aumentare le tensioni, questo è il modo per farlo”, ha detto.

“L’Europa è più disposta ad accettare un mondo in cui la Cina diventa un egemone regionale”, ha affermato Yanmei Xie, analista di geopolitica presso Gavekal Dragonomics. “Alcuni dei suoi leader ritengono addirittura che un tale ordine mondiale possa essere più vantaggioso per l’Europa”.

Nell’incontro trilaterale con Macron e von der Leyen di giovedì scorso a Pechino, Xi Jinping è uscito dal copione solo su due argomenti – Ucraina e Taiwan – secondo quanto riferito da chi era presente nella sala.

“Xi era visibilmente infastidito per essere stato ritenuto responsabile del conflitto in Ucraina e ha minimizzato la sua recente visita a Mosca”, ha detto questa persona. “Era chiaramente infuriato per gli Stati Uniti e molto arrabbiato per Taiwan, per il transito del presidente taiwanese negli Stati Uniti e [per il fatto che] le questioni di politica estera venivano sollevate dagli europei”.

In questo incontro, Macron e la von der Leyen hanno assunto posizioni simili su Taiwan. Ma Macron ha successivamente trascorso più di quattro ore con il leader cinese, molte delle quali con la sola presenza di traduttori, e il suo tono è stato molto più conciliante di quello della von der Leyen quando ha parlato con i giornalisti.

Avvertimento ai “vassalli
Macron ha anche sostenuto che l’Europa ha aumentato la sua dipendenza dagli Stati Uniti per le armi e l’energia e deve ora concentrarsi sul potenziamento delle industrie di difesa europee.

Ha anche suggerito che l’Europa dovrebbe ridurre la sua dipendenza dalla “extraterritorialità del dollaro americano”, un obiettivo politico chiave sia di Mosca che di Pechino.

“Se le tensioni tra le due superpotenze si surriscaldano… non avremo né il tempo né le risorse per finanziare la nostra autonomia strategica e diventeremo dei vassalli”, ha dichiarato.

Negli ultimi anni, Russia, Cina, Iran e altri Paesi sono stati colpiti dalle sanzioni statunitensi, basate sulla negazione dell’accesso al sistema finanziario globale dominante, denominato in dollari. Alcuni in Europa si sono lamentati della “weaponization” del dollaro da parte di Washington, che costringe le aziende europee a rinunciare agli affari e a tagliare i legami con i Paesi terzi o ad affrontare sanzioni secondarie paralizzanti.

Seduto nella cabina del suo aereo A330 con una felpa con cappuccio con la scritta “French Tech” sul petto, Macron ha affermato di aver già “vinto la battaglia ideologica sull’autonomia strategica” dell’Europa.

Non ha affrontato la questione delle garanzie di sicurezza degli Stati Uniti per il Continente, che fa grande affidamento sull’assistenza alla difesa americana nel contesto della prima grande guerra terrestre in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale.

Essendo uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l’unica potenza nucleare dell’UE, la Francia si trova in una posizione unica dal punto di vista militare. Tuttavia, il Paese ha contribuito alla difesa dell’Ucraina dall’invasione russa in misura molto minore rispetto a molti altri Paesi.

Come accade spesso in Francia e in molti altri Paesi europei, l’ufficio del Presidente francese, noto come Palazzo dell’Eliseo, ha insistito per controllare e “correggere” tutte le citazioni del Presidente da pubblicare in questo articolo come condizione per concedere l’intervista. Questo viola gli standard editoriali e la politica di POLITICO, ma abbiamo accettato le condizioni per poter parlare direttamente con il presidente francese. POLITICO ha insistito sul fatto che non può ingannare i suoi lettori e non pubblicherà nulla che il Presidente non abbia detto. Le citazioni riportate in questo articolo sono state tutte effettivamente pronunciate dal Presidente, ma alcune parti dell’intervista in cui il Presidente ha parlato ancora più apertamente di Taiwan e dell’autonomia strategica dell’Europa sono state tagliate dall’Eliseo.

I falchi della Cina dicono a Macron: lei non parla per l’Europa
Il presidente francese scatena la bagarre con le sue dichiarazioni a POLITICO su Cina, Stati Uniti e Taiwan.

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Macron ha detto che l’Europa rischia di rimanere “invischiata in crisi che non sono nostre, il che le impedisce di costruire la sua autonomia strategica” | Foto della piscina di Ludovic Marin/AFP via Getty Images
DI NICOLAS CAMUT
11 APRILE 2023 9:43 AM CET

Un gruppo di legislatori scettici nei confronti della Cina provenienti da tutto il mondo ha criticato le “osservazioni mal giudicate” del presidente francese Emmanuel Macron su Taiwan, rilasciate in una recente intervista a POLITICO.

I commenti di Macron “non solo non tengono conto del ruolo vitale di Taiwan nell’economia globale, ma minano l’impegno decennale della comunità internazionale a mantenere la pace attraverso lo Stretto di Taiwan”, ha dichiarato lunedì l’Alleanza interparlamentare sulla Cina (IPAC) in un comunicato.

“Va sottolineato che le parole del presidente non sono affatto in linea con i sentimenti delle legislature europee e non solo”, si legge nella dichiarazione, firmata da legislatori, tra cui 15 deputati delle legislature nazionali dell’UE, tra cui uno del partito di Macron in Francia, oltre a tre eurodeputati e 13 parlamentari del Regno Unito.

La dichiarazione rileva che le osservazioni di Macron sono particolarmente inopportune, nel contesto delle esercitazioni militari in corso da parte delle forze armate cinesi nello Stretto di Taiwan.

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La notizia arriva dopo che la scorsa settimana, in un’intervista a POLITICO, il presidente francese ha suggerito che l’Europa non dovrebbe farsi trascinare in un confronto tra Stati Uniti e Cina su Taiwan.

Macron ha detto che “il grande rischio” che corre l’Europa è quello di “rimanere invischiata in crisi che non sono nostre, il che le impedisce di costruire la sua autonomia strategica”.

“La domanda a cui gli europei devono rispondere… è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No”, ha detto Macron.

“La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare dei seguaci su questo argomento e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti e da una reazione eccessiva della Cina”, ha aggiunto.

I commenti del presidente francese hanno scatenato una raffica di reazioni su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Mike Gallagher, presidente repubblicano del Comitato ristretto della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti sul Partito Comunista Cinese, li ha definiti “imbarazzanti” e “vergognosi”, mentre Norbert Röttgen, deputato cristiano-democratico tedesco ed ex capo della commissione Esteri del Bundestag, ha twittato che Macron è “riuscito a trasformare il suo viaggio in Cina in un colpo di Stato per le pubbliche relazioni [del presidente cinese Xi Jinping] e in un disastro di politica estera per l’Europa”.

L’IPAC è un gruppo di legislatori di 29 Paesi e del Parlamento europeo che mira a “lavorare per una riforma del modo in cui i Paesi democratici si approcciano alla Cina”, compreso lo “sviluppo di una risposta coerente alla [sua] ascesa”.

https://www.politico.eu/article/china-skeptic-mps-emmanuel-macron-speak-europe/

https://www.politico.eu/article/emmanuel-macron-china-america-pressure-interview/

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I legislatori francesi visiteranno Taiwan, ha dichiarato lunedì il ministro degli Esteri dell’isola, mentre la Cina intensifica le esercitazioni militari intorno all’isola autogovernata.

Joseph Wu ha dichiarato che il Senato e l’Assemblea nazionale francese hanno mostrato sostegno a Taiwan e che i politici francesi si recheranno nella capitale “molto presto”, secondo quanto riportato da Bloomberg, che ha aggiunto che la delegazione dovrebbe viaggiare domenica.

Il governo di Taiwan “verificherà con loro di che tipo di supporto aggiuntivo abbiamo bisogno”, ha aggiunto Wu.

I suoi commenti fanno seguito alla visita del presidente francese Emmanuel Macron in Cina la scorsa settimana, durante la quale ha dichiarato a POLITICO che l’Europa dovrebbe evitare di farsi trascinare in un confronto tra Pechino e gli Stati Uniti su Taiwan. La Cina considera l’isola parte del suo territorio, una rivendicazione respinta da Taipei.

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“Il paradosso sarebbe che, presi dal panico, crediamo di essere solo dei seguaci dell’America”, ha detto Macron.

“La domanda a cui gli europei devono rispondere… è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No. La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare dei seguaci su questo argomento e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti e da una reazione eccessiva della Cina”, ha aggiunto Macron nell’intervista, in osservazioni che hanno scatenato una tempesta sui social media e la reazione del senatore repubblicano Marco Rubio.

Wu non ha specificato quali legislatori francesi si recheranno a Taipei e l’Assemblea nazionale e il Senato francesi non hanno risposto alla richiesta di commento di POLITICO.

Pechino ha appena completato tre giorni di esercitazioni militari vicino a Taiwan come ritorsione per l’incontro tra la presidente Tsai Ing-wen e il presidente della Camera degli Stati Uniti Kevin McCarthy, avvenuto mercoledì scorso in California.

Le esercitazioni – che Pechino ha definito un “severo avvertimento” – hanno visto la Cina praticare attacchi di precisione e bloccare l’isola. Taipei ha dichiarato che domenica circa 70 aerei cinesi hanno sorvolato Taiwan e sono state avvistate anche 11 navi.

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I commenti del presidente francese a POLITICO sulla necessità di non essere coinvolti in un conflitto tra Stati Uniti e Cina hanno irritato i cittadini dell’Est che sono favorevoli a legami più stretti con gli americani.

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Le reazioni riflettono le divisioni che da tempo serpeggiano in Europa su come difendersi al meglio | Ludovic Marin/AFP via Getty Images
DI JACOPO BARIGAZZI
11 APRILE 2023 19:58 CET

Smettetela di allontanare l’Europa dagli Stati Uniti, si sono detti sgomenti i funzionari dell’Europa centrale e orientale martedì, mentre i commenti del presidente francese Emmanuel Macron continuavano ad avere ripercussioni in tutto il continente.

Dopo una visita in Cina la scorsa settimana, Macron ha fatto sobbalzare gli alleati della metà orientale dell’UE, mettendo in guardia il continente dal farsi trascinare nella disputa tra Stati Uniti e Cina su Taiwan, l’isola autogovernata che Pechino rivendica come propria, e implorando i suoi vicini di evitare di diventare “vassalli” di Washington e Pechino.

I commenti hanno scosso i paesi vicini al confine orientale dell’UE, che storicamente hanno favorito legami più stretti con gli americani – soprattutto in materia di difesa – e hanno spinto per un approccio più morbido nei confronti di Pechino.

“Invece di costruire un’autonomia strategica dagli Stati Uniti, propongo un partenariato strategico con gli Stati Uniti”, ha dichiarato martedì il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, prima di partire per gli Stati Uniti per una visita di tre giorni.

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In privato, i diplomatici sono stati ancora più franchi.

“Non riusciamo a capire la posizione di [Macron] sulle relazioni transatlantiche in questi tempi così difficili”, ha dichiarato un diplomatico di un Paese dell’Europa orientale che, come altri, ha parlato a condizione di anonimato per potersi esprimere liberamente. “Noi, come UE, dovremmo essere uniti. Purtroppo, questa visita e le osservazioni francesi che l’hanno seguita non sono d’aiuto”.

Le reazioni riflettono le divisioni che da tempo serpeggiano in Europa su come difendersi al meglio. Macron ha a lungo sostenuto la necessità che l’Europa diventi più autonoma dal punto di vista economico e militare – una spinta che molti nell’Europa centrale e orientale temono possa alienare il prezioso aiuto degli Stati Uniti nel tenere a bada la Russia, anche se sono favorevoli a rafforzare la capacità dell’UE di agire in modo indipendente.

“Nell’attuale mondo di cambiamenti geopolitici, e soprattutto di fronte alla guerra della Russia contro l’Ucraina, è ovvio che le democrazie devono collaborare più strettamente che mai”, ha dichiarato un altro diplomatico di alto livello dell’Europa orientale. “Dovremmo tutti ricordare la saggezza del primo ambasciatore americano in Francia, Benjamin Franklin, che ha giustamente osservato che o restiamo uniti o saremo impiccati separatamente”.

Macron, ha sbuffato un terzo alto diplomatico della stessa regione, ha fatto ancora una volta il libero professionista: “Non è la prima volta che Macron esprime opinioni che sono sue e non rappresentano la posizione dell’UE”.

Una polemica che si fa strada
Nella sua intervista, Macron ha toccato un argomento teso all’interno dell’Europa: come dovrebbe bilanciarsi rispetto alla lotta tra le superpotenze di Stati Uniti e Cina.

Il presidente francese ha incoraggiato l’Europa a tracciare la propria rotta, avvertendo che l’Europa corre un “grande rischio” se “si lascia coinvolgere in crisi che non sono nostre, il che le impedisce di costruire la propria autonomia strategica”.

Macron ha detto di volere che l’Europa diventi un “terzo polo” per controbilanciare la Cina e gli Stati Uniti nel lungo periodo | Foto in piscina di Jacques Witt/AFP via Getty Images
Si tratta di una posizione che ha molti aderenti in Europa e che si è fatta strada anche nella politica ufficiale dell’UE, in quanto i funzionari lavorano per garantire che le linee di approvvigionamento del continente non siano completamente vincolate alla Cina e ad altri paesi su tutto, dalle armi ai veicoli elettrici.

Macron ha detto che vuole che l’Europa diventi un “terzo polo” per controbilanciare la Cina e gli Stati Uniti nel lungo periodo. Un imminente conflitto tra l’Europa e Washington, ha sostenuto, metterebbe a rischio questo obiettivo.

Tuttavia, a est, i funzionari hanno lamentato il fatto che il leader francese stesse semplicemente trattando gli Stati Uniti e la Cina come se fossero essenzialmente la stessa cosa in un gioco di potere globale.

I commenti, ha detto il secondo diplomatico, sono stati “inopportuni e inappropriati per mettere sullo stesso piano Stati Uniti e Cina e suggerire che l’UE dovrebbe mantenere una distanza strategica da entrambi”.

Un diplomatico dell’Europa centrale ha liquidato la posizione di Macron come “piuttosto oltraggiosa”, mentre un altro funzionario della stessa regione l’ha definita un tentativo di “distrarre da altri problemi e mostrare che la Francia è più grande di quello che è” – un riferimento alle proteste che stanno sconvolgendo la Francia a causa delle riforme pensionistiche di Macron.

La frustrazione nell’Europa centrale e orientale deriva in parte dalla sensazione che il presidente francese non abbia mai chiarito chi sostituirà Washington in Europa – soprattutto se la Russia espanderà la sua guerra oltre l’Ucraina, ha dichiarato Kristi Raik, responsabile del programma di politica estera del Centro internazionale per la difesa e la sicurezza, un think tank dell’Estonia, un Paese di circa 1,3 milioni di persone che confina con la Russia.

Si tratta di un punto emotivo per la metà orientale dell’Europa, dove i ricordi dell’era sovietica persistono.

“Sentiamo Macron parlare di autonomia strategica europea e in qualche modo tacere completamente sulla questione, che è diventata così chiara in Ucraina, che la sicurezza e la difesa europea dipendono fortemente dagli Stati Uniti”, ha detto Raik.

Raik ha sottolineato, naturalmente, che i Paesi europei, in particolare la Germania, si stanno affannando per aggiornare le proprie forze armate. Anche la Francia si è impegnata a incrementare notevolmente i propri bilanci per la difesa.

Ma questi cambiamenti, ha avvertito, richiederanno “molto tempo”.

Se Macron “vuole dimostrare seriamente che mira davvero a un’Europa capace di difendersi”, ha sostenuto Raik, “dovrebbe anche dimostrare che la Francia è disposta a fare molto di più per difendere l’Europa nei confronti della Russia”.
La posta
StampaL’articolo è disponibile anche in francese.

A BORDO DEL COTAM UNITÉ (AIR FORCE ONE FRANCESE) – L’Europa deve ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti ed evitare di essere trascinata in un confronto tra Cina e Stati Uniti su Taiwan, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron in un’intervista sul suo aereo di ritorno da una visita di Stato di tre giorni in Cina.

Parlando con POLITICO e due giornalisti francesi dopo aver trascorso circa sei ore con il Presidente cinese Xi Jinping durante il suo viaggio, Macron ha sottolineato la sua teoria dell'”autonomia strategica” per l’Europa, presumibilmente guidata dalla Francia, per diventare una “terza superpotenza”.

Ha detto che “il grande rischio” che corre l’Europa è quello di “rimanere invischiata in crisi che non sono nostre, il che le impedisce di costruire la sua autonomia strategica”, mentre volava da Pechino a Guangzhou, nel sud della Cina, a bordo del COTAM Unité, l’Air Force One francese.

Xi Jinping e il Partito Comunista Cinese hanno appoggiato con entusiasmo il concetto di autonomia strategica di Macron e i funzionari cinesi vi fanno costantemente riferimento nei loro rapporti con i Paesi europei. I leader del partito e i teorici di Pechino sono convinti che l’Occidente sia in declino e la Cina in ascesa e che l’indebolimento delle relazioni transatlantiche contribuirà ad accelerare questa tendenza.

“Il paradosso sarebbe che, presi dal panico, crediamo di essere solo dei seguaci dell’America”, ha detto Macron nell’intervista. “La domanda a cui gli europei devono rispondere… è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No. La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare dei seguaci su questo argomento e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti e da una reazione eccessiva della Cina”, ha detto.

Poche ore dopo che il suo volo ha lasciato Guangzhou per tornare a Parigi, la Cina ha lanciato grandi esercitazioni militari intorno all’isola autogovernata di Taiwan, che la Cina rivendica come suo territorio ma che gli Stati Uniti hanno promesso di armare e difendere.

Le esercitazioni sono state una risposta al tour diplomatico di 10 giorni della presidente taiwanese Tsai Ing-Wen nei Paesi dell’America centrale, che ha incluso un incontro con il presidente repubblicano della Camera degli Stati Uniti Kevin McCarthy durante il suo transito in California. Persone che hanno familiarità con i pensieri di Macron hanno detto che egli era felice che Pechino avesse almeno aspettato che egli fosse fuori dallo spazio aereo cinese prima di lanciare l’esercitazione simulata di “accerchiamento di Taiwan”.

Pechino ha ripetutamente minacciato di invadere l’isola negli ultimi anni e ha una politica di isolamento dell’isola democratica, costringendo gli altri Paesi a riconoscerla come parte di “una sola Cina”.

Colloqui su Taiwan
Macron e Xi hanno discusso “intensamente” di Taiwan, secondo i funzionari francesi che accompagnano il presidente, che sembra aver adottato un approccio più conciliante rispetto agli Stati Uniti e persino all’Unione Europea.

“La stabilità nello Stretto di Taiwan è di fondamentale importanza”, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha accompagnato Macron per parte della sua visita, a Xi durante il loro incontro a Pechino giovedì scorso. “La minaccia di usare la forza per cambiare lo status quo è inaccettabile”.

Il presidente cinese Xi Jinping e il presidente francese Emmanuel Macron a Guangdong il 7 aprile 2023 | Pool Photo by Jacques Witt / AFP via Getty Images
Xi ha risposto dicendo che chi pensa di poter influenzare Pechino su Taiwan è un illuso.

Macron sembra essere d’accordo con questa valutazione.

“Gli europei non sono in grado di risolvere la crisi in Ucraina; come possiamo dire in modo credibile su Taiwan: ‘attenzione, se fate qualcosa di sbagliato noi saremo lì’? Se si vuole davvero aumentare le tensioni, questo è il modo per farlo”, ha detto.

“L’Europa è più disposta ad accettare un mondo in cui la Cina diventa un egemone regionale”, ha affermato Yanmei Xie, analista di geopolitica presso Gavekal Dragonomics. “Alcuni dei suoi leader ritengono addirittura che un tale ordine mondiale possa essere più vantaggioso per l’Europa”.

Nell’incontro trilaterale con Macron e von der Leyen di giovedì scorso a Pechino, Xi Jinping è uscito dal copione solo su due argomenti – Ucraina e Taiwan – secondo quanto riferito da chi era presente nella sala.

“Xi era visibilmente infastidito per essere stato ritenuto responsabile del conflitto in Ucraina e ha minimizzato la sua recente visita a Mosca”, ha detto questa persona. “Era chiaramente infuriato per gli Stati Uniti e molto arrabbiato per Taiwan, per il transito del presidente taiwanese negli Stati Uniti e [per il fatto che] le questioni di politica estera venivano sollevate dagli europei”.

In questo incontro, Macron e la von der Leyen hanno assunto posizioni simili su Taiwan. Ma Macron ha successivamente trascorso più di quattro ore con il leader cinese, molte delle quali con la sola presenza di traduttori, e il suo tono è stato molto più conciliante di quello della von der Leyen quando ha parlato con i giornalisti.

Avvertimento ai “vassalli
Macron ha anche sostenuto che l’Europa ha aumentato la sua dipendenza dagli Stati Uniti per le armi e l’energia e deve ora concentrarsi sul potenziamento delle industrie di difesa europee.

Ha anche suggerito che l’Europa dovrebbe ridurre la sua dipendenza dalla “extraterritorialità del dollaro americano”, un obiettivo politico chiave sia di Mosca che di Pechino.

Macron è da tempo un sostenitore dell’autonomia strategica dell’Europa | Ludovic Marin/AFP via Getty Images
“Se le tensioni tra le due superpotenze si surriscaldano… non avremo né il tempo né le risorse per finanziare la nostra autonomia strategica e diventeremo dei vassalli”, ha dichiarato.

Negli ultimi anni, Russia, Cina, Iran e altri Paesi sono stati colpiti dalle sanzioni statunitensi, basate sulla negazione dell’accesso al sistema finanziario globale dominante, denominato in dollari. Alcuni in Europa si sono lamentati della “weaponization” del dollaro da parte di Washington, che costringe le aziende europee a rinunciare agli affari e a tagliare i legami con i Paesi terzi o ad affrontare sanzioni secondarie paralizzanti.

Seduto nella cabina del suo aereo A330 con una felpa con cappuccio con la scritta “French Tech” sul petto, Macron ha affermato di aver già “vinto la battaglia ideologica sull’autonomia strategica” dell’Europa.

Non ha affrontato la questione delle garanzie di sicurezza degli Stati Uniti per il Continente, che fa grande affidamento sull’assistenza alla difesa americana nel contesto della prima grande guerra terrestre in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale.

Essendo uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l’unica potenza nucleare dell’UE, la Francia si trova in una posizione unica dal punto di vista militare. Tuttavia, il Paese ha contribuito alla difesa dell’Ucraina dall’invasione russa in misura molto minore rispetto a molti altri Paesi.

Come accade spesso in Francia e in molti altri Paesi europei, l’ufficio del Presidente francese, noto come Palazzo dell’Eliseo, ha insistito per controllare e “correggere” tutte le citazioni del Presidente da pubblicare in questo articolo come condizione per concedere l’intervista. Questo viola gli standard editoriali e la politica di POLITICO, ma abbiamo accettato le condizioni per poter parlare direttamente con il presidente francese. POLITICO ha insistito sul fatto che non può ingannare i suoi lettori e non pubblicherà nulla che il Presidente non abbia detto. Le citazioni riportate in questo articolo sono state tutte effettivamente pronunciate dal Presidente, ma alcune parti dell’intervista in cui il Presidente ha parlato ancora più apertamente di Taiwan e dell’autonomia strategica dell’Europa sono state tagliate dall’Eliseo.

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Conversazione

Norbert Röttgen
@n_roettgen
#Macron has managed to turn his China trip into a PR coup for Xi and a foreign policy disaster for Europe. With his idea of ​​🇪🇺 sovereignty, which he defines in terms of distance rather than partnership with the USA, he is increasingly isolating himself in Europe.
Lingua originale: inglese. Traduzione di.
#Macron è riuscito a trasformare il suo viaggio in Cina in un colpo di stato per Xi e in un disastro di politica estera per l’Europa. Con la sua idea di 🇪🇺 sovranità, che definisce in termini di distanza piuttosto che di partenariato con gli USA, si sta sempre più isolando in Europa.

La retorica di Macron sull’autonomia strategica dell’Europa è una conseguenza diretta del suo viaggio in Cina

ANDREW KORYBKO
10 APR 2023

È importante sottolineare la tempistica delle sue ultime parole, condivise dopo aver incontrato il presidente Xi per circa sei ore, secondo quanto riportato da Politico. Il leader cinese è chiaramente convinto che il suo omologo francese sia sincero nelle sue intenzioni, altrimenti non avrebbe dedicato così tanto del suo prezioso tempo, ricordando quanto sia impegnato a gestire tante altre questioni in tutto il mondo.

Domenica Politico ha pubblicato un articolo esclusivo che riporta la conversazione dei suoi giornalisti con il Presidente francese Macron durante la sua visita in Cina, durante la quale ha parlato con entusiasmo del suo obiettivo di rendere l’Europa un attore strategicamente autonomo nelle relazioni internazionali. A riprova delle sue intenzioni, ha criticato l’idea che l’Europa debba seguire l’esempio degli Stati Uniti nel provocare la Cina su Taiwan, cosa che ha suscitato una forte condanna da parte di molti commentatori americani in tutto il continente.

Essi hanno giustificato questa presa di posizione suggerendo che il Presidente Xi sia riuscito a convincerlo a cenare e cenare durante il suo viaggio a Pechino, dividendo così il leader francese e il Commissario europeo Von Der Leyen, quest’ultimo noto per essere un falco pro-USA e potenzialmente in grado di guidare la NATO. Per quanto riguarda la reazione della comunità degli Alt-Media (AMC) all’ultima retorica di Macron, essi l’hanno prevedibilmente respinta, convinti che la sua visita non servisse ad alcuno scopo pratico e non fosse altro che teatro.

In realtà, “il viaggio di Macron e Von Der Leyen in Cina ha avuto uno scopo molto pragmatico”. I due stavano valutando cosa sarebbe dovuto accadere perché la Cina oltrepassasse la “linea rossa” dell’UE armando la Russia, mentre la Cina voleva sapere se avrebbe oltrepassato la propria “linea rossa” sanzionandola se ciò fosse accaduto. Il leader francese sembra sinceramente preoccupato per lo scenario in cui gli Stati Uniti potrebbero esercitare pressioni sull’UE affinché si “sganci” dalla Cina in quel caso, mentre Von Der Leyen probabilmente vuole che ciò avvenga per promuovere gli obiettivi degli Stati Uniti.

A proposito di questi ultimi, gli Stati Uniti hanno interesse a rafforzare ulteriormente la loro egemonia, già riaffermata con successo, sull’Europa a scapito dell’autonomia strategica di quest’ultima, al fine di trasformare la loro “sfera d’influenza” sul Miliardo d’oro in un unico polo nell’ambito dell’imminente triforcazione delle relazioni internazionali. Gli strateghi statunitensi ritengono che questo sia l’unico modo in cui il loro Paese possa mantenere il maggior numero possibile di orpelli dell’unipolarismo di fronte agli sforzi congiunti dell’Intesa sino-russa di dare vita al multipolarismo.

Il direttore generale del Consiglio russo per gli affari internazionali (RIAC) Andrey Kortunov ha spiegato a lungo, alla fine dello scorso anno, nel suo articolo su “Una nuova coesione occidentale e un nuovo ordine mondiale”, che gli Stati Uniti hanno una probabilità piuttosto alta di riuscire almeno in parte in questo intento, che dovrebbe essere letto per intero da tutti gli scettici dell’AMC. Sarà quindi molto difficile per Macron realizzare il suo obiettivo di trasformare l’Europa in un attore strategicamente autonomo nelle relazioni internazionali.

Tuttavia, non si può negare il potente simbolismo delle sue ultime parole, che contraddicono le richieste degli Stati Uniti ai loro vassalli europei di seguire sempre la loro guida nella Nuova Guerra Fredda per “solidarietà” con le “democrazie simili” di fronte alle “minacce autoritarie” presumibilmente poste da Cina e Russia. Ciò rafforza l’osservazione che Macron è sincero in ciò che ha detto, anche se sta deliberatamente o illusoriamente negando quanto sia difficile per l’UE sfidare in modo significativo gli Stati Uniti su qualsiasi cosa.

È anche importante sottolineare la tempistica delle sue ultime parole, condivise dopo aver incontrato il presidente Xi per circa sei ore, secondo quanto riportato da Politico. Il leader cinese è chiaramente convinto che il suo omologo francese sia sincero nelle sue intenzioni, altrimenti non avrebbe dedicato così tanto del suo prezioso tempo, considerando quanto sia impegnato ad affrontare tante altre questioni in tutto il mondo. Ciò suggerisce che il Presidente Xi non sta dando per scontato il “disaccoppiamento” dalla Cina esercitato dagli Stati Uniti.

Una cosa è che il blocco si “sganci” dalla Russia sotto la pressione degli Stati Uniti e un’altra è che faccia lo stesso quando si tratta della Cina, che è il suo principale partner commerciale. Sarebbe uno svantaggio reciproco se ciò accadesse, ma l’UE ne soffrirebbe molto di più della Repubblica Popolare a causa della stabilità economico-finanziaria molto più precaria della prima. Con queste premesse, Macron ha voluto far sapere che la Francia cercherà almeno di opporsi a qualsiasi complotto statunitense se la Cina arma la Russia.

Tutto sommato, anche se potrebbe essere irrealistico aspettarsi che la Francia sfidi con successo gli Stati Uniti su questo tema, è disonesto minimizzare l’importanza simbolica dell’ultima retorica di Macron. Nel caso in cui l’imminente controffensiva di Kiev vacilli e quindi non spinga la Cina a sentirsi costretta ad armare la Russia come ultima risorsa per garantire preventivamente la propria sicurezza nazionale, c’è la possibilità che i presidenti Xi e Macron cerchino insieme di mediare un cessate il fuoco nella guerra per procura tra NATO e Russia.

Gli interessi di entrambi i Paesi verrebbero serviti da un’attenuazione del conflitto: quello della Cina di posizionarsi come superpotenza diplomatica e quello della Francia di dare una spinta alla prevista autonomia strategica dell’Europa. Inoltre, sarebbero anche in grado di scongiurare lo scenario peggiore del loro “disaccoppiamento”, pressato dagli Stati Uniti, che Washington potrebbe cercare di imporre a Bruxelles sfruttando il pretesto di rispondere al potenziale armamento della Russia da parte della Cina, che potrebbe verificarsi nelle condizioni sopra descritte.

Ci sono molte variabili al di fuori del controllo di entrambi che potrebbero annullare lo scenario migliore, ma gli osservatori non dovrebbero lasciarsi fuorviare dalle ultime insinuazioni dei media mainstream, secondo cui Macron si sarebbe “venduto” alla Cina, o dalle affermazioni dell’AMC, secondo cui sarebbe un impostore. Le ultime parole del leader francese sono sincere, soprattutto quelle simbolicamente significative sull’intenzione di resistere alle pressioni statunitensi su Taiwan, dimostrando così che le sei ore trascorse con il Presidente Xi sono state fruttuose.

https://korybko.substack.com/p/macrons-rhetoric-about-europes-strategic?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=113824310&isFreemail=true&utm_medium=email

Il viaggio di Macron e Von Der Leyen in Cina ha avuto uno scopo molto pragmatico
ANDREW KORYBKO
8 APR

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L’UE voleva sapere cosa sarebbe successo perché la Cina superasse la “linea rossa” di Bruxelles armando la Russia, mentre la Cina voleva sapere se l’UE sarebbe stata disposta a superare la “linea rossa” di Pechino in quello scenario, sanzionandola in risposta. Entrambe le parti volevano anche esplorare fino a che punto l’altra si sarebbe spinta se si fosse sentita costretta dalle circostanze o sotto pressione da parte degli Stati Uniti, ergo un altro motivo per cui tutti hanno ritenuto abbastanza importante trovare il tempo per incontrarsi nei giorni scorsi.

Molti nella comunità dei media alternativi (AMC) hanno ignorato l’importanza del viaggio in Cina del presidente francese Macron e del commissario europeo Von Der Leyen, insinuando che il presidente Xi abbia sprecato il suo tempo prezioso incontrandoli per diversi giorni per nulla. In realtà, il loro viaggio ha avuto uno scopo pragmatico, in quanto ha permesso a ciascuna parte di parlare apertamente delle proprie preoccupazioni in questo momento cruciale della transizione sistemica globale, motivo per cui tutte le parti hanno trovato il tempo di incontrarsi a Pechino.

Se è vero che i due rappresentanti europei speravano di convincere la controparte cinese a vedere la guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina nel loro stesso modo, non è stata questa la ragione principale per cui tutti hanno trovato il tempo di uscire dai loro impegni la scorsa settimana. Ciò che li ha riuniti a Pechino è stato l’imminente punto di inflessione che si sta rapidamente avvicinando nel suddetto conflitto.

L’imminente controffensiva di Kiev sarà un momento di svolta. Da un lato, potrebbe riuscire a respingere la Russia verso i suoi confini precedenti al 2014, nel qual caso la Cina potrebbe sentirsi costretta ad armare Mosca come ultima risorsa per scongiurare preventivamente la possibilità di una sua sconfitta. Questo a sua volta spingerebbe gli Stati Uniti a fare pressione sull’UE affinché sanzioni la Repubblica Popolare, aumentando così le possibilità di un rapido disaccoppiamento, che danneggerebbe entrambi i loro interessi e farebbe avanzare quello degli Stati Uniti.

D’altra parte, però, la controffensiva di Kiev potrebbe alla fine non ottenere grandi risultati, come dimostra il rapporto del Washington Post di un mese fa sulla scarsa efficienza delle sue truppe. In questo scenario, la Russia potrebbe o sfruttare lo slancio per fare una grande breccia attraverso la linea di contatto e oltre, oppure incoraggiare seriamente Kiev ad accettare un cessate il fuoco. L’ultima possibilità sarebbe certamente sostenuta dalla Cina e molto probabilmente anche dalla Francia.

Considerando la grande posta in gioco strategica legata all’esito dell’imminente controffensiva di Kiev, che probabilmente porterà o a un disaccoppiamento Cina-UE secondo il primo scenario o alla mediazione congiunta di Cina e Francia per un cessate il fuoco secondo il secondo, aveva senso che si incontrassero tutti prima del tempo. Il vero motore degli eventi sono gli Stati Uniti, i loro partner polacchi dell’Europa centrale (che comprendono gli Stati baltici) e i loro procuratori a Kiev, il cui successo o la cui mancanza condizionerà il futuro dei legami Cina-UE.

Non è detto che le cose vadano per forza così, ma il fatto è che è improbabile che l’UE sia in grado di resistere efficacemente alle pressioni sanzionatorie degli Stati Uniti nel caso in cui la Cina si senta costretta ad armare la Russia come ultima risorsa, come è stato spiegato in precedenza. Sanno quanto sarebbe doloroso per le loro economie già in difficoltà, soprattutto perché questo scenario drammatico potrebbe spingerle oltre il limite di una vera e propria recessione, ma è proprio per questo che due dei loro massimi rappresentanti hanno voluto parlare con il Presidente Xi.

Anche lui ha voluto parlare con loro per chiarire che la Cina non ha ancora armato la Russia, ma forse anche per spiegare perché potrebbe sentirsi costretta a farlo in senso ipotetico, senza confermare direttamente questo piano di emergenza a causa della delicatezza della questione. In parole povere, l’UE voleva sapere cosa sarebbe dovuto accadere perché la Cina oltrepassasse la “linea rossa” di Bruxelles armando la Russia, mentre la Cina voleva sapere se l’UE sarebbe stata disposta ad oltrepassare la “linea rossa” di Pechino in quello scenario, sanzionandola in risposta.

Entrambe le parti volevano anche esplorare fino a che punto l’altra si sarebbe spinta se si fosse sentita costretta dalle circostanze o sotto pressione da parte degli Stati Uniti, ergo un altro motivo per cui tutti hanno ritenuto abbastanza importante trovare il tempo di incontrarsi nei giorni scorsi. Se i rappresentanti europei avessero avuto il solo scopo di fare propaganda al Presidente Xi per convincerlo a schierarsi dalla loro parte nella guerra per procura tra NATO e Russia, il viaggio non avrebbe avuto luogo.

I principali influencer dell’AMC hanno quindi sbagliato di grosso nel valutare lo scopo della visita della scorsa settimana, che non ha tenuto conto della ragione pragmatica per cui tutte e tre le parti hanno dato priorità all’incontro in questo momento specifico. Era importante che parlassero apertamente di come reagiranno ai due scenari più probabili che emergeranno dall’imminente controffensiva di Kiev, che li porterà a separarsi sotto la pressione degli Stati Uniti o a lavorare insieme per mediare un cessate il fuoco.

Nel periodo intermedio tra il loro incontro e qualsiasi di queste due traiettorie i loro legami siano spinti, tutte le parti hanno almeno avuto qualcosa di tangibile da mostrare con le dichiarazioni rilasciate da Macron e Von Der Leyen dopo i rispettivi incontri con il Presidente Xi. La TASS russa ha richiamato l’attenzione su tre punti salienti delle prime, riguardanti il sostegno a un ordine mondiale multipolare sancito dall’ONU, la pace in Ucraina basata sul diritto internazionale e la sovrapposizione su molte altre questioni.

Anche se i cinici potrebbero affermare che queste dichiarazioni hanno più simbolismo che sostanza, sono almeno qualcosa su cui tutte le parti possono basarsi nello scenario in cui la Cina non si senta costretta ad armare la Russia come ultima risorsa o l’UE resista in larga misura alle pressioni degli Stati Uniti per sanzionarla se ciò dovesse accadere. In ogni caso, il Presidente Xi non sprecherebbe il suo tempo prezioso inscenando un photo-op di più giorni solo per il gusto di rilasciare alcune dichiarazioni di circostanza, quindi si dovrebbe dare per scontato che l’intento della Cina sia sincero.

Questa intuizione scredita ulteriormente la conclusione troppo semplicistica dell’AMC, secondo cui l’intero viaggio è stato una gigantesca perdita di tempo per tutti e non ha portato a nulla di utile per le tre parti. Forse non si è riusciti a evitare la peggiore sequenza di eventi descritta in precedenza, ovvero il loro disaccoppiamento accelerato sotto la pressione degli Stati Uniti, ma l’intento era quello di discutere apertamente del futuro dei loro legami in quel contesto, nel tentativo di mitigare le conseguenze reciprocamente svantaggiose nel caso in cui ciò si verificasse.

https://korybko.substack.com/p/macron-and-von-der-leyens-trip-to?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=113487519&isFreemail=true&utm_medium=email

Il “residuo secco” della visita di Macron in Cina
gilbertdoctorow Senza categoria 11 aprile 2023 54 minuti
A volte conviene trattenere il fuoco, lasciare che i leader del mainstream in Occidente, in Russia e altrove facciano prima un passo avanti con le loro valutazioni di eventi importanti come la visita di Macron in Cina la scorsa settimana, prima di esprimere un’opinione indipendente da diffondere attraverso i media alternativi. A questo proposito, sono lieto di aver beneficiato dei resoconti del Financial Times, del Figaro, di Le Monde e Les Echos, del sito web Politico.eu e dei programmi di informazione e analisi russi Sixty Minutes e Evening with Vladimir Solovyov prima di sedermi a scrivere su quello che definirei il “residuo secco” della visita congiunta di Macron in Cina della scorsa settimana in compagnia della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Ricordiamo che alla vigilia di questa visita il Financial Times, Euronews, la BBC e altri media occidentali mainstream hanno puntato l’attenzione su un solo aspetto dell’imminente vertice: quello che Macron e von der Leyen avrebbero detto al Presidente Xi. In poche parole, si trattava di esortare i cinesi ad esercitare pressioni sul Cremlino e a portare i russi al tavolo della pace alle condizioni di Kiev. La von der Leyen ha poi aggiunto, parlando con i giornalisti prima del viaggio, un altro punto: mettere in guardia i cinesi dall’inviare armi alla Russia per non incorrere in “conseguenze” nelle relazioni danneggiate con l’Unione Europea. Come breve coda alla copertura del FT prima della visita, ci è stato detto che c’era un certo numero di “leader d’affari” che viaggiavano con Macron, anche se non c’era alcuna indicazione su cosa, o cosa, avrebbero fatto.

La prima notizia emersa dai media mainstream al termine della visita di Macron e von der Leyen è stata che i cinesi hanno risposto in modo molto riservato ai consigli gratuiti dei visitatori europei. Si dice che Xi abbia sorriso educatamente in risposta alla richiesta di intervenire con i russi e quindi di partecipare più attivamente alla mediazione della pace. Prima di lasciare Pechino, la Von der Leyen ha dichiarato ai giornalisti che Xi aveva ascoltato il suo suggerimento di alzare il telefono e parlare con Zelensky. Ma, ha osservato, la risposta di Xi è stata che lo avrebbe fatto solo al momento opportuno.

Tuttavia, già il 7, il FT sembrava ammettere che la Cina avrebbe potuto avere un ruolo nel rapporto con i visitatori europei. Lo si legge in un articolo intitolato “Tè con Xi: Macron ha un tocco personale mentre la visita in Cina mette in evidenza le differenze nell’UE”. Si veda il seguente estratto:

Macron, che è stato accompagnato in Cina da decine di imprenditori francesi, è stato affiancato per una parte della sua visita di tre giorni dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in un gesto di comunanza di intenti europei nei confronti di Pechino. Tuttavia, qualsiasi senso di unità è stato compromesso da accordi che hanno lusingato il leader francese con un banchetto, una parata militare e altri orpelli di una visita di Stato, mentre la von der Leyen è stata esclusa da molti dei sontuosi eventi.

Il significato pratico di tutto ciò è illustrato in una citazione di John Delury, esperto di Cina dell’Università Yonsei di Seul:

La strategia di Xi è: Macron viene con le mani tese e loro lo abbracciano; [von der Leyen] esprime la posizione europea più dura e loro cercano di metterla ai margini”, ha detto.

Nello stesso numero del 7 aprile del Financial Times, troviamo un articolo di opinione di Sylvie Kauffmann, direttore editoriale di Le Monde, dal titolo allettante: “L’Europa si sta orientando verso un nuovo rapporto con la Cina”. Il contributo più prezioso dell’articolo è forse costituito dai due paragrafi finali:

L’UE sta costruendo strumenti per proteggersi dalle interferenze straniere. Sta anche imparando a comportarsi come una potenza mondiale. Le parole dure di Von der Leyen e Macron a Pechino possono aver sorpreso la leadership cinese.

Tuttavia, Macron aveva con sé più di 50 amministratori delegati che viaggiavano con lui. E la Cina è il principale partner commerciale dell’UE. Una Cina più assertiva e un’Europa più assertiva stanno ora cercando di trovare un terreno comune in un mondo in cui le realtà geopolitiche si scontrano con gli interessi economici.

Naturalmente, nel corpo del suo articolo la Kauffmann non ci ha detto una parola su ciò che quei 50 CEO possono aver ottenuto in Cina o su quale terreno comune Cina e UE possono trovare. Tuttavia, come persona che ha seguito la Kauffmann nel tempo, penso che l’elegante vacuità della sua scrittura possa essere ciò che la rende così attraente per il FT oggi come lo era in passato per l’International Herald Tribune. Nel 2013, ho scritto una critica al suo articolo sull’IHT che portava un titolo che oggi sembra particolarmente piccante: “Come l’Europa può aiutare Kiev”. Le mie osservazioni iniziali dicevano tutto:

L’articolo di Kauffmann dimostra che la scrittrice parla per luoghi comuni e commette errori di fatto e di interpretazione che, data la sua posizione di prestigio nei media mainstream, pochi, se non nessuno, mettono in evidenza.

Per chi volesse approfondire la questione della pigrizia intellettuale della Kauffmann che spiega questa vacuità, rimando alla mia raccolta di saggi La Russia ha un futuro? (2015) pag. 91 e seguenti.

Quindi, il FT, una delle principali fonti di informazione economica per un pubblico globale, non ha fornito ai suoi lettori alcuna informazione sull’aspetto commerciale della visita della delegazione francese in Cina. Questo è straordinario, poiché gli amministratori delegati non si recano mai in visita di Stato dai loro presidenti per negoziare sul posto. Vengono a firmare contratti o lettere d’intenti preparati con largo anticipo dai dirigenti delle loro sedi centrali e dai country manager. Questo è lo scenario che ho visto più volte quando ho partecipato ai vertici russo-statunitensi durante la mia attività di consulente per i consigli di amministrazione di alcune grandi aziende internazionali. Pertanto, suppongo che i francesi abbiano fatto un ottimo lavoro per nascondere all’opinione pubblica gli affari che potrebbero aver concluso a Pechino, per evitare la censura degli altri 27 Stati membri dell’UE, molti dei quali sono sicuramente molto gelosi dei possibili successi francesi in questi tempi di sanzioni alla Russia e di minacce di sanzioni secondarie agli amici della Russia.

Tra poco darò un’occhiata all’interessante notizia che ieri ha scosso i commentatori dei media occidentali, e presumibilmente anche il loro pubblico: l’intervista che Emmanuel Macron ha rilasciato ai giornalisti di Politico.eu e Les Echos. Prima, però, desidero richiamare l’attenzione su come la televisione di Stato russa ha presentato la visita di Macron in Cina al suo pubblico nazionale. Dall’inizio alla fine.

La differenza sostanziale è che i principali talk show politici russi, Sixty Minutes e Evening with Vladimir Solovyov, che mescolano la presentazione di video tratti da media mainstream per lo più occidentali e i commenti di esperti, hanno dato la parola a sinologi professionisti. Tra questi spiccava Nikolai Nikolaevich Vavilov. Il trentottenne Vavilov si è imposto come un’autorità pronta a trasmettere al pubblico televisivo ciò che i cinesi comunicano sia a parole che con il linguaggio del corpo in riferimento alla cultura tradizionale del Regno di Mezzo. Persino il prepotente conduttore televisivo Solovyov ha taciuto e ha lasciato che fosse Vavilov a parlare.

Va detto che Vavilov si è laureato all’Università Statale di San Pietroburgo. Il suo sito web ci informa che nel corso di dieci anni ha studiato e lavorato in varie regioni della Cina. Già durante gli anni dell’università è stato inviato in Cina dal suo consigliere di facoltà per partecipare a uno scambio di studi da Stato a Stato. Dal 2008 al 2013 ha lavorato per aziende commerciali e manifatturiere russe in tre province cinesi. Dal 2013 al 2015 ha lavorato presso l’agenzia di informazione statale cinese Xinhua. È autore di due libri in lingua russa, Uncrowned kings of Red China (2016) e The Chinese Authorities (2021).

Cosa ha detto Vavilov alla televisione russa sulla visita di Macron? In primo luogo, in contrasto con i notiziari occidentali, ancor prima che Macron atterrasse a Pechino, Vavilov ha spiegato che i cinesi hanno permesso che il viaggio andasse avanti, nonostante le intenzioni pubblicamente dichiarate dai visitatori di fargli la predica, cosa profondamente offensiva e che fa riemergere amari ricordi della dominazione coloniale del XIX secolo, perché la Cina aveva i suoi piani per il risultato. Questi erano quelli di ricordare alla Francia i vantaggi economici del rimanere politicamente amichevole con Pechino e di bloccare importanti progetti con le principali società francesi che possono portare in Cina nuove importanti tecnologie.

Vavilov ha anche sottolineato che la conversazione telefonica pubblicizzata di Macron con Joe Biden prima di partire per Pechino lo ha fatto apparire come un burattino di Washington agli occhi dei suoi ospiti cinesi. La loro massima priorità sarebbe quella di rompere questo rapporto.

Nel corso della visita, Vavilov e altri hanno fornito dettagli rilevanti sulle diverse accoglienze riservate a Macron e alla von der Leyen. Abbiamo appreso con sorpresa che la von der Leyen non si è recata in Cina con il jet di Macron. È arrivata invece con un volo commerciale. All’arrivo, non è stato steso alcun tappeto rosso per lei, non c’erano guardie d’onore militari e alti funzionari cinesi ad accoglierla. Ha semplicemente ricevuto il trattamento standard dei VIP all’interno della sala arrivi. Quando Xi ha ricevuto Macron e la von der Leyen per un colloquio congiunto, i due erano seduti a un tavolo rotondo molto grande, a diversi metri di distanza l’uno dall’altro. Si trattava di una disposizione simile a quella che Vladimir Putin aveva adottato per i suoi incontri con Scholz e altri a Mosca durante l’apice della crisi del Covid. Tuttavia, la Cina si è lasciata Covid alle spalle e la particolare distanza dei posti a sedere all’incontro serviva a sottolineare la distanza politica delle parti, soprattutto quella della von der Leyen.

Nessun dettaglio era troppo piccolo per sfuggire ai commenti degli esperti russi. L’insolito colore blu del panno che copriva il tavolo della riunione sarebbe stato inteso sia come un riferimento allo sfondo blu della bandiera dell’Unione Europea, appesa al muro, sia come un riferimento a uno stato di lutto, dal momento che il blu è il tessuto legato alle bare dei defunti in Cina per la cerimonia di sepoltura.

Allo stesso tempo, va detto che i media russi non hanno detto una parola su eventuali accordi commerciali conclusi dalla delegazione francese. Il muro del silenzio su questa vicenda sembra essere stato davvero molto efficace.

La Von der Leyen ha ricevuto un’agenda molto scarna durante il suo soggiorno a Pechino. È stata esclusa dai grandi banchetti e dagli altri eventi principali della visita di Stato di Macron. Nulla di tutto ciò è sfuggito alla delegazione imprenditoriale o ai giornalisti francesi e stranieri che hanno seguito la visita. In breve, è stata ridimensionata.

La prova che la Cina aveva una propria agenda per la visita di Stato di Macron e che l’ha avuta ampiamente vinta, mentre l’agenda politica dei visitatori è fallita, è arrivata ieri con la pubblicazione di un’intervista che Emmanuel Macron ha rilasciato a Politico e Les Echos nel corso di due voli sull’Air Force One francese. Una tratta di volo è stata da Pechino a Guangzhou, nel sud della Cina. L’altra è stata sul volo di ritorno a Parigi.

Si veda: https//www.politico.eu/article/emmanuel-macron-china-america-pressure-interview/ e https://www.lesechos.fr/monde/enjeux-internationaux/emmanuel-macron-lautonomie-strategique-doit-etre-le-combat-de-leurope-1933493.

Confrontando le due pubblicazioni, l’articolo di Les Echos è più sostanzioso. Tuttavia, di seguito utilizzerò il testo inglese di Politico come materiale di base.

Data la preparazione anticipata a questo epilogo della visita, i media russi hanno preso con filosofia ciò che Macron ha detto ai giornalisti, mentre i media occidentali stanno ancora riverberando lo choc che Macron ha dato nell’incontro informale con i giornalisti.

L’Europa deve resistere alle pressioni per diventare “seguace dell’America”, dice Macron. Il ‘grande rischio’ che corre l’Europa è di rimanere ‘invischiata in crisi che non sono nostre’, dice il presidente francese in un’intervista”. Questo è il titolo e il sottotitolo che Politico ha assegnato alla sintesi dell’intervista.

Il sito cita più diffusamente Macron per quanto riguarda la “crisi” che ha in mente:

Il paradosso sarebbe che, presi dal panico, crediamo di essere solo dei seguaci dell’America. La domanda a cui gli europei devono rispondere… è nel nostro interesse accelerare [una crisi] su Taiwan? No. La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare dei seguaci su questo argomento e prendere spunto dall’agenda degli Stati Uniti e da una reazione eccessiva della Cina…

In un’altra parte del testo, Politico ha riassunto alcuni punti chiave delle osservazioni di Macron che meritano di essere citati:

Macron ha anche sostenuto che l’Europa ha aumentato la sua dipendenza dagli Stati Uniti per le armi e l’energia e deve ora concentrarsi sul potenziamento delle industrie di difesa europee.

Ha anche suggerito che l’Europa dovrebbe ridurre la sua dipendenza dall'”extraterritorialità del dollaro americano”, un obiettivo politico chiave sia di Mosca che di Pechino.

Se le tensioni tra le due superpotenze si surriscaldano… non avremo né il tempo né le risorse per finanziare la nostra autonomia strategica e diventeremo dei vassalli”, ha dichiarato.

In un inciso per i lettori alla fine dell’articolo, Politico spiega che l’Eliseo aveva insistito sul diritto di “correggere” tutte le citazioni del presidente che avrebbe pubblicato come condizione per concedere l’intervista. L’Eliseo ha acconsentito, ma, come si legge qui: “Le citazioni riportate in questo articolo sono state tutte effettivamente pronunciate dal presidente, ma alcune parti dell’intervista in cui il presidente ha parlato ancora più francamente di Taiwan e dell’autonomia strategica dell’Europa sono state tagliate dall’Eliseo”.

Guardando l’articolo più esteso di Les Echos, richiamo l’attenzione sulle dichiarazioni piuttosto importanti attribuite a Macron per quanto riguarda l’autonomia strategica dell’Europa:

Il paradosso è che la presa americana sull’Europa è più forte che mai…

Abbiamo certamente aumentato la nostra dipendenza dagli Stati Uniti nel settore dell’energia, ma nella logica della diversificazione, perché eravamo troppo dipendenti dal gas russo. Oggi, il fatto è che dipendiamo di più dagli Stati Uniti, dal Qatar e da altri. Ma questa diversificazione era necessaria.

Per il resto, bisogna tenere conto degli effetti della riprogettazione. Per troppo tempo l’Europa non ha costruito l’autonomia strategica per la quale mi sono battuto. Ora la battaglia ideologica è stata vinta e i fondamenti sono stati fissati. C’è un prezzo da pagare per questo, ed è normale. È come per la reindustrializzazione francese: abbiamo vinto la battaglia ideologica, abbiamo fatto le riforme, sono dure, e cominciamo a vederne i risultati, ma allo stesso tempo stiamo pagando per la ceramica rotta di ciò che non abbiamo fatto per vent’anni. Questa è la politica! Bisogna mantenere la rotta.

A questo vorrei aggiungere un’altra citazione di Macron riportata da Les Echos che è rilevante per la discussione odierna:

Joe Biden è solo una versione più educata di Donald Trump?

È attaccato alla democrazia, ai principi fondamentali, alla logica internazionale; e conosce e ama l’Europa. Tutto questo è essenziale. D’altra parte, si inserisce nella logica bipartisan americana che definisce gli interessi americani come priorità numero 1 e la Cina come priorità numero 2. Questo va criticato? Questo va criticato? No, ma dobbiamo tenerne conto.

Ho inserito queste ampie citazioni perché ritengo che dimostrino come Emmanuel Macron abbia un’eccessiva intellettualizzazione dei processi politici. Nelle sue osservazioni ai giornalisti ha persino fatto un riferimento al pensatore marxista italiano Antonio Gramsci. Non c’è dubbio che la maggior parte di loro sia rimasta sconcertata.

Il punto è che Macron vive in un mondo parallelo. Le uova si rompono quando si fa una frittata è il suo punto di vista su come è stata approvata la riforma delle pensioni. Sembra essere altrettanto indifferente alla realtà oggettiva in ambito geopolitico. Non riesco a capire come possa dire che l’Europa potrebbe diventare un vassallo se questo o quello dovesse accadere, e non vedere lo status attuale dell’Europa come inequivocabilmente quello di un vassallo rispetto all’egemone statunitense. Questa ottusità deve essere trasferita nella sua valutazione delle relazioni con la Cina e nel modo in cui ha condotto le conversazioni con Xi tête-à-tête per quasi sei ore con la sola presenza di interpreti.

Macron si considera ovviamente un uomo del destino. Questo è stato palesemente chiaro già all’inizio del suo primo mandato, quando ha pronunciato il suo discorso a una sessione congiunta del Congresso e si è posto in linea con l’unico altro francese ad essere stato così onorato, il generale De Gaulle. La domanda è quale destino lo attende. Sarà la ghigliottina, in senso figurato?

Concludo questo esame del “residuo secco” della visita di Macron in Cina citando un articolo apparso sul Financial Times di oggi.

“Emmanuel Macron’s Taiwan remarks spark international backlash”, scritto dai giornalisti del FT a Parigi, Bruxelles e Washington. I passaggi chiave sono i seguenti:

Il presidente francese Emmanuel Macron è stato messo sotto tiro per aver detto che l’Europa dovrebbe prendere le distanze dalle crescenti tensioni tra Stati Uniti e Cina su Taiwan e forgiare la propria indipendenza strategica su tutto, dall’energia alla difesa.

Diplomatici e legislatori statunitensi e dell’Europa centrale e orientale hanno rimproverato a Macron di essere morbido nei confronti di Pechino e preoccupantemente critico nei confronti degli Stati Uniti, soprattutto se si considera che Washington è stato un convinto sostenitore dell’Europa nell’affrontare le conseguenze dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Gli analisti hanno trovato i commenti particolarmente inopportuni, dato che la Cina sta effettuando esercitazioni militari su larga scala nello stretto di Taiwan in risposta alla visita del presidente taiwanese negli Stati Uniti la scorsa settimana….

…il viaggio ha suscitato malessere in alcuni ambienti anche per il modo in cui il presidente francese è stato accompagnato da una grande delegazione di leader commerciali e per l’annuncio di un lucroso accordo in Cina da parte del produttore francese di jet Airbus.

Tutto ciò dimostra che, con o senza la copertura di avere al suo fianco il Presidente della Commissione europea, anche senza la divulgazione pubblica dei risultati ottenuti dalla delegazione imprenditoriale, Emmanuel Macron non è riuscito a evitare le critiche degli altri Stati membri dell’UE, guidati ovviamente dai Paesi baltici e dall’Europa dell’Est, per la sua visita di Stato in Cina più di quanto non sia riuscito a fare il Cancelliere Scholz lo scorso novembre, quando non ha preso alcuna precauzione per proteggere gli interessi commerciali della Germania durante l’incontro con Xi. Noto che l’accordo di Airbus era stato annunciato una settimana prima del viaggio, presumibilmente per evitare imbarazzi durante la visita stessa. L’accordo era incentrato sulla creazione di una seconda linea di produzione Airbus in Cina, raddoppiando la produzione esistente. Si presume che ci sia anche una lettera di intenti per l’acquisto di un certo numero di aeromobili Airbus da Tolosa.

©Gilbert Doctorow, 2023

https://gilbertdoctorow.com/2023/04/11/the-dry-residue-from-macrons-visit-to-china/

Dichiarazione congiunta tra la Repubblica francese e la Repubblica popolare cinese.

Pubblicata il 7 aprile 2023

Parte del dossier :

Visita di Stato in Cina.

Contenuto

1

Rafforzare il dialogo politico e promuovere la fiducia politica reciproca

2

Lavorare insieme per promuovere la sicurezza e la stabilità nel mondo

3

Promuovere gli scambi economici

4

Incrementare gli scambi umani e culturali

5

Rispondere congiuntamente alle sfide globali

Su invito del Presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping, il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron si è recato in visita di Stato nella Repubblica popolare cinese dal 5 al 7 aprile 2023. Alla vigilia del 60° anniversario dell’istituzione delle relazioni diplomatiche tra Cina e Francia, i due capi di Stato hanno ricordato le solide fondamenta delle relazioni tra i due Paesi e l’amicizia tra i due popoli. Hanno discusso approfonditamente i loro punti di vista sulle relazioni bilaterali, sulle relazioni UE-Cina e sulle principali questioni regionali e internazionali, decidendo di lanciare nuove prospettive per la cooperazione franco-cinese e di cercare un nuovo impulso per le relazioni UE-Cina, in linea con le dichiarazioni congiunte adottate il 9 gennaio 2018, il 25 marzo 2019 e il 6 novembre 2019.

 

Rafforzare il dialogo politico e promuovere la fiducia politica reciproca

  1. Francia e Cina manterranno incontri annuali tra i due capi di Stato.

 

  1. La Francia e la Cina sottolineano l’importanza degli scambi ad alto livello, del loro dialogo strategico, del loro dialogo economico e finanziario ad alto livello e del loro dialogo ad alto livello sugli scambi umani per promuovere lo sviluppo della loro cooperazione bilaterale e concordano di tenere una nuova sessione di questi dialoghi entro la fine dell’anno.

 

  1. La Francia e la Cina riaffermano la volontà di continuare a sviluppare il loro stretto e solido partenariato strategico globale sulla base del rispetto reciproco della loro sovranità, integrità territoriale e dei loro principali interessi.

 

  1. La Francia e la Cina convengono di approfondire gli scambi su questioni strategiche e, in particolare, di approfondire il dialogo tra il Teatro meridionale dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese e il Comando delle Forze francesi nell’area Asia-Pacifico (ALPACI), al fine di rafforzare la comprensione reciproca delle questioni di sicurezza regionale e internazionale.

 

  1. La Cina, nell’anno del 20° anniversario dell’istituzione del partenariato strategico globale Cina-UE, ribadisce il suo impegno per lo sviluppo delle relazioni UE-Cina, incoraggia gli scambi ad alto livello per promuovere la convergenza di vedute su questioni strategiche, potenziare gli scambi umani, affrontare congiuntamente le sfide globali e promuovere la cooperazione economica in modo proattivo ed equilibrato. La Francia, in quanto Stato membro dell’Unione europea, condivide questi orientamenti e vi contribuirà.

 

  1. La Francia riafferma il suo impegno a favore della politica di una sola Cina.

 

Promuovere insieme la sicurezza e la stabilità nel mondo

  1. Francia e Cina, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, collaborano per trovare soluzioni costruttive, basate sul diritto internazionale, alle sfide e alle minacce alla sicurezza e alla stabilità internazionali. Credono che le differenze e le controversie tra gli Stati debbano essere risolte pacificamente attraverso il dialogo e la consultazione. Cercano di rafforzare il sistema internazionale multilaterale sotto l’egida delle Nazioni Unite in un mondo multipolare.

 

  1. Francia e Cina ribadiscono la loro adesione alla Dichiarazione congiunta dei Capi di Stato e di Governo di Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti (P5) del 3 gennaio 2022 per prevenire la guerra nucleare ed evitare la corsa agli armamenti. Come si legge nella dichiarazione, “una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta”. Entrambi i Paesi chiedono di astenersi da qualsiasi azione che possa aggravare il rischio di tensioni.

 

  1. I due Paesi intendono rafforzare il coordinamento e la cooperazione per preservare congiuntamente l’autorità e l’efficacia del regime di controllo degli armamenti e di non proliferazione e per far progredire il processo internazionale di controllo degli armamenti. La Francia e la Cina ribadiscono il loro impegno a promuovere in modo equilibrato i tre pilastri del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP), ossia il disarmo nucleare, la non proliferazione nucleare e l’uso pacifico dell’energia nucleare, e a rafforzare costantemente l’universalità, l’autorità e l’efficacia del TNP.

 

  1. Entrambe le parti sostengono tutti gli sforzi per ripristinare la pace in Ucraina sulla base del diritto internazionale e degli scopi e principi della Carta delle Nazioni Unite.

 

  1. Entrambe le parti si oppongono agli attacchi armati contro le centrali nucleari e altri impianti nucleari pacifici, sostengono l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) nei suoi sforzi per svolgere un ruolo costruttivo nella promozione della sicurezza degli impianti nucleari pacifici, compresa la garanzia della sicurezza dell’impianto di Zaporizhia.

 

  1. Entrambi i Paesi sottolineano l’importanza del rigoroso rispetto del diritto umanitario internazionale da parte di tutte le parti in conflitto. Chiedono in particolare la protezione delle donne e dei bambini, vittime del conflitto, e l’aumento degli aiuti umanitari nelle aree di conflitto, nonché la fornitura di un accesso sicuro, rapido e senza ostacoli per l’assistenza umanitaria in conformità con gli impegni internazionali.

 

  1. I due Paesi continueranno le loro consultazioni nel quadro del dialogo strategico franco-cinese.

 

  1. La conclusione del Piano d’azione congiunto globale sulla questione nucleare iraniana (JCPoA) nel 2015 è stato un importante risultato della diplomazia multilaterale. Francia e Cina ribadiscono il loro impegno a promuovere una soluzione politica e diplomatica sulla questione nucleare iraniana. Ribadiscono il loro impegno a lavorare per preservare il regime internazionale di non proliferazione nucleare e l’autorità e l’efficacia delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Ribadiscono il loro sostegno all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica in questo contesto.

 

  1. Francia e Cina proseguiranno le strette consultazioni sulla penisola coreana.

 

  1. I due Paesi concordano di proseguire gli scambi attraverso il dialogo franco-cinese sulle questioni cibernetiche.

 

Promuovere gli scambi economici

  1. La Francia e la Cina si impegnano a garantire condizioni di concorrenza eque e non discriminatorie per le imprese, in particolare nei settori della cosmesi, dei prodotti agricoli e agroalimentari, della gestione del traffico aereo, della finanza (banche, assicurazioni, gestori patrimoniali), della sanità (attrezzature mediche, vaccini), dell’energia, degli investimenti e dello sviluppo sostenibile. A tal fine, i due Paesi si stanno adoperando per creare un ambiente favorevole alla cooperazione commerciale, per migliorare l’accesso delle imprese ai rispettivi mercati, per migliorare il contesto imprenditoriale e per garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale di tutte le imprese di entrambi i Paesi. Nel campo dell’economia digitale, compreso il 5G, la parte francese si impegna a continuare a trattare le richieste di licenza delle aziende cinesi in modo equo e non discriminatorio sulla base delle leggi e dei regolamenti, compresi quelli relativi alla sicurezza nazionale, di entrambi i Paesi.

 

  1. La Francia e la Cina intendono continuare a rafforzare la loro cooperazione pragmatica in tutte le aree del settore dei servizi e sostenere gli scambi economici e commerciali tra le istituzioni e le imprese di entrambi i Paesi sulla base del reciproco vantaggio, al fine di promuovere lo sviluppo del commercio dei servizi. La Francia è pronta ad accettare l’invito a partecipare alla Fiera internazionale dei servizi della Cina del 2024 (CIFTIS) come ospite d’onore.

 

  1. La Cina e la Francia desiderano intensificare il loro partenariato nei settori agricolo, agroalimentare, veterinario e fitosanitario. Accolgono con favore la garanzia di accesso al mercato per i prodotti a base di carne di maiale, l’apertura del mercato per il baby kiwi e per le proteine lattiero-casearie nell’alimentazione animale, nonché l’approvazione di 15 stabilimenti per l’esportazione di carne di maiale. Le autorità competenti di entrambi i Paesi risponderanno quanto prima alle future richieste di approvazione di aziende che esportano prodotti agricoli e agroalimentari, tra cui la carne e l’acquacoltura, alle richieste di registrazione di ricette a base di latte per lattanti, che soddisfano i requisiti delle rispettive leggi e regolamenti sulla sicurezza alimentare, nonché alle richieste di apertura del mercato presentate dalle rispettive autorità. Le due parti proseguiranno gli scambi e la cooperazione nei settori del bestiame da latte e del vino, nonché sulle indicazioni geografiche (IG), in particolare per la registrazione delle IG per i vini della Borgogna. La Francia sosterrà la richiesta della Cina di aderire all’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV) il prima possibile, nonché l’organizzazione da parte della Cina di una conferenza internazionale sul settore vinicolo.

 

  1. 20. La Francia e la Cina accolgono con favore la conclusione di un accordo sulle condizioni generali che concretizza l’acquisto da parte di società cinesi di 160 aerei Airbus. Esamineranno a tempo debito le esigenze delle compagnie aeree cinesi, in particolare in termini di voli cargo e a lungo raggio, alla luce della ripresa e dello sviluppo del mercato dei trasporti e della flotta cinese. Entrambe le parti accolgono con favore il rafforzamento della cooperazione tra l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA) e l’Amministrazione dell’aviazione civile cinese (CAAC) e continueranno ad accelerare il processo di certificazione sulla base di standard di sicurezza internazionali reciprocamente riconosciuti, in particolare per quanto riguarda i programmi H175, Falcon 8X e Y12F. Accolgono con favore la conclusione di un accordo tra le compagnie di entrambi i Paesi sui carburanti sostenibili per aerei. Continuano inoltre a perseguire la cooperazione industriale, compreso il progetto della nuova linea di assemblaggio Airbus a Tianjin.

 

  1. 21. La Francia e la Cina sostengono il ripristino della connettività aerea al livello precedente alla pandemia il più presto possibile, in modo coordinato tra le autorità dell’aviazione civile e in vista di un ritorno all’applicazione dell’Accordo tra il Governo della Repubblica Popolare Cinese e il Governo della Repubblica Francese sul Trasporto Aereo, firmato il 1° giugno 1966, e dei relativi accordi sulla libertà aerea. Alle compagnie di entrambe le bandiere devono essere date eque e pari opportunità di operare voli tra i due Paesi. Essi sosterranno l’approfondimento degli scambi umani ed economici, compresa la facilitazione dei visti per il settore privato e la comunità imprenditoriale.

 

  1. Entrambe le parti accolgono con favore la cooperazione tra le istituzioni spaziali dei due Paesi sulla navicella Chang’e 6 e sugli studi congiunti di campioni extraterrestri.

 

  1. Nel desiderio comune di passare a un sistema energetico decarbonizzato, Francia e Cina stanno sviluppando una cooperazione pragmatica nel campo dell’energia nucleare civile nell’ambito dell’Accordo di cooperazione per gli usi pacifici dell’energia nucleare tra i due governi. I due Paesi sono impegnati a portare avanti la cooperazione nucleare su questioni di ricerca e sviluppo all’avanguardia, in particolare sulla base dell’accordo tra l’Autorità cinese per l’energia atomica (CAEA) e la Commissione francese per l’energia atomica (CEA). I due Paesi sostengono lo studio da parte delle aziende di entrambi i Paesi della possibilità di rafforzare la loro cooperazione industriale e tecnologica, in particolare sulla questione del ritrattamento delle scorie nucleari.

 

  1. La Cina e la Francia accolgono con favore i risultati raggiunti dall’accordo intergovernativo del 2015 sui partenariati nei mercati terzi. Entrambe le parti stanno lavorando al follow-up e all’attuazione dei progetti di cooperazione nei mercati terzi già individuati. Entrambi i governi incoraggiano le imprese, le istituzioni finanziarie e gli altri attori a esplorare nuovi progetti di cooperazione economica strutturata nei mercati terzi, sulla base degli elevati standard internazionali applicabili.

 

Potenziamento degli scambi umani e culturali

  1. 25. Preoccupate di promuovere la protezione e la valorizzazione della diversità delle espressioni culturali nel mondo, la Francia e la Cina sostengono l’approfondimento della loro cooperazione nel campo della creazione e della valorizzazione delle opere culturali e incoraggeranno una ripresa dinamica degli scambi e della cooperazione in campo culturale e turistico. I due Paesi accolgono con favore la conclusione di una dichiarazione d’intenti sulla cooperazione nel campo della cultura tra i due Ministeri della Cultura.

 

  1. Entrambe le parti co-organizzeranno l’Anno franco-cinese del turismo culturale nel 2024 e sosterranno l’organizzazione di eventi di alta qualità in Francia e in Cina, in particolare tra il Castello di Versailles e la Città Proibita e tra il Centre Pompidou e il West Bund Museum. Entrambe le parti si impegnano a facilitare la circolazione delle mostre nel rispetto delle leggi di entrambi i Paesi, in particolare per quanto riguarda gli aspetti doganali e logistici, e si adopereranno per garantire l’integrità e la restituzione delle opere esposte al pubblico nell’ambito delle mostre sostenute.

 

  1. Entrambe le parti riaffermano la volontà di rafforzare la cooperazione nel campo delle industrie culturali e creative e il loro potenziale di diffusione al più ampio pubblico possibile, in particolare nei settori della letteratura, del cinema, del documentario televisivo, dell’editoria (compresi i videogiochi), della musica, dell’architettura e delle tecnologie digitali attraverso coproduzioni, partenariati per i diritti d’autore, concorsi e scambi di artisti

 

  1. 28. La Francia e la Cina si impegnano a intensificare la loro cooperazione bilaterale nel campo della protezione, del restauro e della valorizzazione del patrimonio culturale. I due Paesi accolgono con favore la conclusione di una tabella di marcia sulla cooperazione in materia di patrimonio culturale, in particolare per quanto riguarda la presenza di esperti cinesi accanto a équipe francesi nel cantiere di restauro della Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, la cooperazione per la protezione, il restauro e lo studio dell’esercito di terracotta, i progetti di cooperazione intorno al Tempio di Gongshutang e alla Tomba di Maoling e la promozione di gemellaggi tra siti francesi e cinesi del Patrimonio mondiale. I due Paesi proseguiranno gli sforzi congiunti per prevenire e combattere i furti, gli scavi clandestini, l’importazione e l’esportazione illecita di beni culturali. Ribadiscono il loro pieno sostegno alla Fondazione ALIPH per la protezione del patrimonio nelle zone di conflitto.

 

  1. La Francia e la Cina riaffermano l’importanza che attribuiscono alla cooperazione per l’insegnamento della lingua dell’altro, attraverso la quale si forgiano l’amicizia e la comprensione reciproche. Si adopereranno per rinnovare l’Accordo di cooperazione linguistica tra i due governi firmato nel giugno 2015, incoraggeranno lo sviluppo dell’insegnamento delle due lingue nelle scuole di entrambe le parti e la moltiplicazione dei corsi bilingui, e promuoveranno gli scambi e la formazione degli insegnanti di lingue.

 

  1. Francia e Cina ribadiscono il loro impegno a rafforzare la cooperazione nel campo dell’istruzione superiore e della formazione professionale. Incoraggeranno lo sviluppo di partenariati tra istituti di istruzione superiore, come gli istituti franco-cinesi, e promuoveranno insieme la ripresa reciproca della mobilità di studenti e insegnanti. Faciliteranno inoltre gli scambi tra scuole. A tal fine, le due parti istituiranno una procedura di visto agevolata per questi pubblici. Le due parti organizzeranno al più presto una nuova sessione della commissione mista franco-cinese sull’istruzione.

 

  1. I due Capi di Stato convengono che la prossima Commissione mista franco-cinese sulla scienza e la tecnologia si terrà al più presto per definire le principali linee guida della cooperazione scientifica bilaterale e del “Centro congiunto franco-cinese per la neutralità del carbonio”, destinato a promuovere la cooperazione scientifica e tecnologica nel campo della neutralità del carbonio. Francia e Cina intendono promuovere lo scambio di ricercatori, in particolare attraverso il programma di partenariato scientifico franco-cinese (partenariato Hubert Curien – Cai Yuanpei). Le due parti intendono inoltre proseguire l’attuazione del programma “Giovani talenti Francia-Cina” per rafforzare gli scambi tra i giovani ricercatori di entrambi i Paesi e promuovere la cooperazione nei settori prioritari e lo sviluppo di attività di ricerca congiunte.

 

  1. 32. In vista dei Giochi Olimpici e Paraolimpici di Parigi del 2024, i due Capi di Stato desiderano fare dello sport un elemento importante delle relazioni bilaterali, in particolare per quanto riguarda gli scambi di giovani sportivi, lo sviluppo di infrastrutture sportive e la condivisione di competenze nell’industria sportiva.

 

Affrontare insieme le sfide globali

  1. Nel contesto delle crisi alimentari che, secondo le Nazioni Unite, colpiranno 323 milioni di persone entro il 2022, entrambe le parti si impegnano a preservare la stabilità del mercato, a evitare restrizioni ingiustificate alle esportazioni di fattori di produzione e prodotti agricoli e a rendere più fluide le catene di approvvigionamento alimentare globali, a partire dalla facilitazione delle esportazioni di cereali e fertilizzanti. Entrambe le parti stanno lavorando per raggiungere questi obiettivi, anche attraverso l’iniziativa FARM (Food and Agriculture Resilience Mission) e la China Global Food Security Initiative.

 

  1. 34. Francia e Cina concordano sull’importanza di aumentare il sostegno ai Paesi più colpiti dalla crisi alimentare, compresi i partner africani, per costruire sistemi alimentari resilienti e sostenibili. A questo proposito, entrambe le parti intendono promuovere la cooperazione internazionale contro la perdita e lo spreco di cibo e per la produzione locale. A tal fine, forniranno un sostegno congiunto alle organizzazioni responsabili di affrontare il problema dell’insicurezza alimentare, in particolare l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD) e il Programma alimentare mondiale (PAM), nonché alle istituzioni finanziarie multilaterali e bilaterali e ai donatori.

 

  1. La Francia e la Cina sottolineano il loro sostegno al sistema commerciale multilaterale basato sulle regole e incentrato sull’OMC, si impegnano a costruire un ambiente commerciale e di investimento libero, aperto, trasparente, inclusivo e non discriminatorio, appoggiano la necessaria riforma dell’OMC e sostengono un esito positivo della 13a Conferenza ministeriale dell’OMC.

 

  1. 36. La Francia e la Cina intendono cooperare per affrontare le difficoltà di accesso ai finanziamenti nelle economie emergenti e in via di sviluppo e per incoraggiare un’accelerazione della loro transizione energetica e climatica, sostenendo al contempo il loro sviluppo sostenibile. La Cina parteciperà al Vertice per un nuovo accordo finanziario globale che si terrà a Parigi nel giugno 2023. La Francia parteciperà al terzo Forum “Belt and Road” per la cooperazione internazionale.

 

  1. I due Paesi concordano di rafforzare la cooperazione nell’ambito del G20, in modo che il G20 svolga il suo ruolo di forum principale per la cooperazione economica globale e lavori, in conformità con gli impegni assunti dai leader al Vertice di Bali, per far avanzare la riforma del sistema monetario e finanziario internazionale.

 

  1. 38. Francia e Cina sostengono l’attuazione del Quadro comune per l’alleggerimento del debito adottato dal G20 e dal Club di Parigi, a cui hanno aderito nel novembre 2020, in un contesto di fragilità dei Paesi in via di sviluppo. Entrambe le parti ribadiscono il loro impegno per un’attuazione tempestiva, prevedibile, ordinata e coordinata del Quadro comune e il loro sostegno all’agenda del debito adottata in occasione della riunione dei ministri delle Finanze e dei governatori delle banche centrali del G20 nel febbraio 2023.

 

  1. Entrambe le parti accolgono con favore l’approvazione da parte del Vertice del G20 di Bali degli impegni di allocazione volontaria dei Diritti Speciali di Prelievo (DSP) e invitano i membri del G20 e gli Stati disposti a incrementare la loro mobilitazione, con un aumento dello sforzo al 30% dei DSP mobilitati per i Paesi del G20, al fine di raggiungere rapidamente l’obiettivo di 100 miliardi di dollari adottato al Vertice del G20 di Roma.

 

  1. Il clima, la biodiversità e la lotta al degrado del territorio sono tra le priorità condivise da Francia e Cina. Entrambi i Paesi si impegnano a perseguire un elevato livello di ambizione in linea con l’Appello all’azione di Pechino lanciato nel novembre 2019 e nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e del suo Accordo di Parigi, nonché del Quadro globale sulla biodiversità di Kunming-Montreal (di seguito “Quadro di Kunming-Montreal”), la cui adozione nella seconda parte della Convenzione sulla diversità biologica (COP15) è accolta con favore da entrambe le parti. La Cina, assumendo la presidenza della COP15 per i prossimi due anni, intende collaborare attivamente con la Francia per la piena ed efficace attuazione del Quadro di Kunming-Montreal. Francia e Cina accolgono con favore il contributo attivo del Fondo di Kunming e dello strumento che verrà creato nell’ambito del Fondo mondiale per l’ambiente al finanziamento della biodiversità. Entrambi i Paesi accolgono con favore il lavoro presentato al One Forest Summit di Libreville.

 

  1. 41. La Francia e la Cina si impegnano a comunicare entro la COP16 le loro strategie nazionali riviste e i piani d’azione allineati al quadro globale sulla biodiversità. La Cina prenderà favorevolmente in considerazione l’adesione alla High Ambition Coalition for Nature and People. Entrambi i Paesi contribuiscono all’obiettivo di ridurre i sussidi che danneggiano la biodiversità di 500 miliardi di dollari all’anno.

 

  1. Francia e Cina riaffermano i rispettivi impegni di neutralità climatica.

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La rete di influenza pianificata da Lula con i democratici statunitensi servirà gli interessi liberali-globalisti, di ANDREW KORYBKO

La rete di influenza pianificata da Lula con i democratici statunitensi servirà gli interessi liberali-globalisti

ANDREW KORYBKO
14 APR 2023

Lo scopo di questa rete incipiente è presumibilmente quello di sostenere le cosiddette cause “progressiste”, che è un eufemismo per quelle liberal-globaliste che il Partito dei Lavoratori e i Democratici statunitensi, recentemente “svegliati”, condividono. A giudicare dai precedenti di questi ultimi, ciò comporterà probabilmente la propagazione aggressiva di orientamenti sessuali non tradizionali su tutti i membri della società (compresi i bambini), la demonizzazione dei loro avversari politici come “fascisti”, la secolarizzazione forzata della società, la neo-segregazione e le frontiere aperte, ecc.

L’ultima narrativa di disinformazione sul ruolo di Lula negli affari globali

Il presidente brasiliano Lula viene elogiato da tutta la comunità Alt-Media (AMC) per i suoi piani di multipolarità finanziaria con la Cina, dopo aver recentemente accettato di de-dollarizzare il loro commercio e aver criticato aspramente tale valuta durante il suo viaggio nella Repubblica Popolare. Questi sviluppi vengono presentati come una presunta prova della sua opposizione agli Stati Uniti, ma si tratta di un’affermazione controfattuale, come dimostra il suo allineamento politico con gli Stati Uniti contro la Russia nel conflitto geostrategicamente più significativo dalla Seconda Guerra Mondiale.

L’allineamento politico di Lula con gli Stati Uniti contro la Russia per l’Ucraina

Lula ha condannato la Russia nella sua dichiarazione congiunta con Biden, dopo di che ha ordinato al Brasile di sostenere una risoluzione antirussa dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ha poi chiamato Zelensky per riaffermare il suo sostegno all'”integrità territoriale” dell’Ucraina, secondo le richieste stabilite nella risoluzione precedente, affinché la Russia si ritiri completamente e immediatamente da tutti i territori che Kiev rivendica come propri. Inoltre, Lula è ancora indeciso se deportare una presunta spia in Russia o estradarla negli Stati Uniti per affrontare le accuse.

Per saperne di più sugli eventi citati, si vedano le seguenti analisi:

* “Lula ha siglato il suo accordo con il diavolo condannando la Russia durante l’incontro con Biden”.

* “Lula ha appena pugnalato alle spalle Putin ordinando al Brasile di votare contro la Russia alle Nazioni Unite”.

* “La rabbia della Russia per l’ultima risoluzione dell’ONU dimostra che Lula ha sbagliato a sostenerla”.

* Lula ha chiarito nella telefonata con Zelensky di essere contrario all’operazione speciale della Russia”.

* Lula deporterà una sospetta spia in Russia o la estraderà negli Stati Uniti per far fronte alle accuse?

Ovviamente queste non sono le politiche di una persona che si suppone sia contraria agli Stati Uniti.

La superficialità della retorica apparentemente “amica della Russia” di Lula

Tuttavia, Lula ha anche lanciato un paio di colpi di scena per quanto riguarda il suo approccio alla Russia, ordinando al Brasile di votare a favore dell’indagine sull’attacco al Nord Stream al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Si è poi rifiutato di far firmare al suo Paese la “Dichiarazione del Vertice per la Democrazia” con pretesti presumibilmente favorevoli alla Russia. Nello stesso periodo, Lula ha inviato il suo principale consigliere di politica estera a Mosca per colloqui non riportati, al termine dei quali ha suggerito che forse la Russia potrebbe mantenere il controllo della Crimea se si ritirasse da altre regioni.

Nulla di tutto ciò, tuttavia, era come sembrava, come è stato ampiamente spiegato in queste analisi:

* “Il sostegno del Brasile alle indagini sull’attacco al Nord Stream non significa che Lula sia filorusso”.

* “La dichiarazione di Lula sul “Vertice per la democrazia” è uno spettacolo di pubbliche relazioni”.

* “L’incontro tra il principale consigliere di politica estera di Lula e il presidente Putin è stato molto importante”.

* Non fatevi ingannare dalle ultime dichiarazioni di Lula sulla guerra per procura tra NATO e Russia”.

Come si può vedere, questi avvenimenti sono stati solo inventati dai suoi sostenitori per distogliere l’attenzione dalla sua visione del mondo allineata agli Stati Uniti.

Fare luce sull’abbraccio di Lula alla visione liberale-globalista del mondo

Stanno conducendo una guerra ibrida guidata dalla disinformazione per coprire questa realtà “politicamente scomoda”, che ritengono lo screditi agli occhi della sua base e dell’AMC. Certo, i suoi piani di de-dollarizzazione con la Cina dimostrano che Lula conserva ancora una certa autonomia strategica nei confronti degli Stati Uniti, ma condivide comunque la visione del mondo liberal-globalista dei Democratici al governo, che è in contrasto con quella della Russia. Il leader brasiliano è stato anche entusiasticamente appoggiato dal famigerato finanziatore della Rivoluzione Colorata George Soros.

Questo complesso stato di cose è spiegato in questi articoli, che spiegano anche i suoi stretti legami con la Cina:

* “La reazione di Biden alle ultime elezioni in Brasile dimostra che gli Stati Uniti preferiscono Lula a Bolsonaro”.

* Korybko a Sputnik Brasil: Il Partito dei Lavoratori è infiltrato dai liberali-globalisti pro-USA”.

* Korybko a Sputnik Brasile: Gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo decisivo nell’incidente dell’8 gennaio”.

* “La visione multipolare ricalibrata di Lula lo rende compatibile con i grandi interessi strategici degli Stati Uniti”.

* “Il forte sostegno di Soros a Lula scredita le credenziali multipolari del leader brasiliano”.

* L’ultima guerra ibrida contro il Brasile è condotta da forze dichiaratamente pro-Lula”.

* “La de-dollarizzazione del commercio brasiliano-cinese getta ulteriore luce sulla grande strategia di Lula”.

* “La de-ideologizzazione delle relazioni della Russia con l’America Latina merita la massima attenzione”.

Coloro che sfoglieranno almeno le analisi fin qui citate avranno una migliore comprensione del contesto più ampio.

La convergenza tra Lula, i democratici statunitensi, Soros e la CIA

È in questo contesto che Alexander Burns, redattore associato di Politico per gli affari globali, ha pubblicato giovedì il suo esclusivo rapporto bomba. Intitolato “Il piano di Lula: A Global Battle Against Trumpism”, cita alcuni dei democratici statunitensi che hanno incontrato Lula durante il suo viaggio a Washington all’inizio di febbraio per informare il suo pubblico dei piani del leader brasiliano di lanciare una rete di influenza globale in collaborazione con quel partito politico.

Lo scopo è presumibilmente quello di sostenere le cosiddette cause “progressiste”, che è un eufemismo per quelle liberal-globaliste che il Partito dei Lavoratori (PT), recentemente “risvegliato”, e i Democratici statunitensi condividono. A giudicare dai precedenti di questi ultimi, ciò comporterà probabilmente la propagazione aggressiva di orientamenti sessuali non tradizionali a tutti i membri della società (compresi i bambini), la demonizzazione dei loro avversari politici come “fascisti”, la secolarizzazione forzata della società, la neo-segregazione e le frontiere aperte, ecc.

Inoltre, considerando l’entusiastico appoggio di Soros a Lula e la relazione simbiotica tra la CIA e i democratici statunitensi, si dovrebbe dare per scontato che anche la rete di “ONG” del primo e quella di intelligence del secondo giocheranno un ruolo importante in questa incipiente rete di influenza globale. Il vero scopo di questa piattaforma è quello di contrastare con forza la rapida proliferazione di tendenze conservatrici e sovraniste multipolari che rappresentano una minaccia per il liberal-globalismo di Lula e dei Democratici statunitensi.

Spiegazione dello scopo strategico di questa incipiente piattaforma di influenza globale

Spacciata per “trumpismo”, questa visione del mondo piace alla maggioranza della popolazione globale. Le sue ragionevoli restrizioni alle politiche socioculturali radicali, come la propagazione aggressiva di orientamenti sessuali non tradizionali (conservatorismo) e il sostegno al diritto di ogni Stato di gestire i propri affari come vuole (sovranismo) in un ordine internazionale più equo (multipolarismo) risuonano profondamente con loro. Se non controllata, questa tendenza potrebbe infliggere un colpo mortale al liberal-globalismo e consegnarlo alla pattumiera della storia.

Di conseguenza, Lula e i democratici statunitensi hanno un urgente impulso a lanciare la loro rete di influenza globale, secondo quanto riferito, nel disperato tentativo di contrastare questa crescente sfida alla loro ideologia, che potrebbe portare alla deposizione democratica di entrambi durante le prossime elezioni se non viene fermata. Per quanto riguarda la CIA, essa valuta che i rivali degli Stati Uniti sfrutteranno questa tendenza per accelerare il declino della loro egemonia unipolare, ergo il suo naturale interesse a sostenere i piani ideologici di questi due.

Inoltre, la convergenza tra il nuovo PT e i democratici statunitensi fa avanzare l’agenda di lunga data di questa agenzia di spionaggio, che mira a creare una cosiddetta “sinistra compatibile”, che considera una risorsa importante per rafforzare l’egemonia degli Stati Uniti nella sua attuale “sfera di influenza” e per espanderla ulteriormente. Soros condivide la stessa agenda e quindi probabilmente si affiderà al finanziamento di movimenti affini, compresi quelli della Rivoluzione Colorata che destabilizzeranno le società conservatrici-sovraniste multipolari.

Le grandi strategie complementari di Brasile e Stati Uniti nella nuova guerra fredda

Questo approfondimento aggiunge un contesto cruciale all’esclusiva notizia bomba di Politico sull’alleanza ideologico-politica di Lula con i democratici statunitensi, che a sua volta getta ulteriore luce sulla crescente convergenza strategica tra Brasile e Stati Uniti, nonostante le loro divergenze su questioni delicate come il futuro del sistema finanziario globale. Come spiegato nell’analisi precedentemente citata relativa ai suoi piani di de-dollarizzazione, egli prevede che il suo Paese si “bilanci” (per quanto maldestramente) tra Cina e Stati Uniti.

L’aspettativa di Lula è che il Brasile continui a cooperare con la Cina per accelerare il multipolarismo finanziario, parallelamente alla propagazione del liberal-globalismo in tutto il mondo e in particolare in America Latina, in collaborazione con i democratici statunitensi attraverso la loro rete di influenza pianificata. Dal punto di vista degli Stati Uniti, pur disapprovando ovviamente i suoi piani di multipolarismo finanziario, essi hanno comunque da guadagnare cooptando lui e il suo nuovo partito “woke” come volto della “sinistra compatibile” per rafforzare il loro soft power in tutto il mondo.

A livello globale, gli Stati Uniti rafforzeranno la loro “sfera d’influenza” sull’Eurasia attraverso una combinazione di paura nei confronti dei loro rivali geopolitici e di una falsa rappresentazione dei loro proxy liberal-globalisti come gli unici legittimi difensori dei “valori occidentali” nelle loro società. Per quanto riguarda l’America Latina, la “sinistra compatibile” guidata da Lula servirà come punta della lancia ideologica degli Stati Uniti per infiltrarsi nelle loro società, installare i propri delegati politici e, infine, ripristinare con il tempo l’influenza perduta nell’emisfero occidentale.

Riflessioni conclusive

L’AMC ha torto marcio nel sostenere che i piani di de-dollarizzazione di Lula con la Cina significhino che egli si oppone agli Stati Uniti, poiché è ancora politicamente allineato con essi contro la Russia per l’Ucraina e, secondo quanto riferito, sta addirittura lanciando una rete di influenza globale con i suoi Democratici al potere. Pur mantenendo una certa autonomia strategica sugli affari finanziari, egli collabora volontariamente con gli Stati Uniti su questioni geopolitiche e ideologiche, essendo uno dei suoi principali punti di forza in tutto il mondo, grazie alle loro visioni del mondo simili, il che sfata la narrativa dell’AMC.

https://korybko.substack.com/p/lulas-planned-influence-network-with

La costruzione di una nazione, di Daniele Lanza

NATION BUILDING
(*nota storica sullo stato finlandese. Scrivo di corsa, per varie ragioni, ma chi sia un minimo interessato…..legga)
Recenti polemiche nate sulla mia bacheca mi impongono un chiarimento che voglio fare per esteso. Premetto che sono per natura osservatore critico – dei processi di nation building – ovvero di formazione di identità e stati (incluso lo stesso stato ITALIANO, per intenderci).
Si parla di Finlandia giusto ? Oggi è diventata il 31° membro dell’Alleanza atlantica, la notizia ha fatto il giro del mondo, con conseguente replica da parte del Cremlino: analisti in coro a commentare di questo storico irrigidimento delle relazioni tra i due stati, eventualmente andando a ripescare un caleidoscopio di eventi storici che ci portano indietro di generazioni. Tutto finalizzato a supportare il bisogno di DIFESA da parte della Finlandia contro il bruto vicino.
Adesso invece vorrei descrivere io le cose, andando ancora più addietro nel tempo, ma senza diventare un bignami nè un tomo di accademia (mi si legga bene da qui in avanti).
La superficie che conosciamo oggi sulle carte come “Finlandia” rientra in quella categoria di stati la cui materializzazione come entità sovrana è estremamente recente: se si considera recente la genesi dello stato italiano (1861) allora quella finlandese si colloca quasi 60 anni più tardi……..ma partiamo dal principio, facciamo una potente sintesi.
L’areale finnico è stato tra gli ultimi angoli d’Europa a venir cristianizzato (assieme al Baltico) : si trattava di un semplice territorio, un tavolato piatto costellato di laghi con una popolazione risicatissima allo stato tribale dell’evoluzione sociale. I tre segmenti fondamentali di questo popolo sono a) finni, b) tavasti c) careli…che potremmo considerare tre grandi rami della stessa macrotribù.
Ai tempi delle crociate, mentre i sovrani d’Europa si recavano alle crociate in Terrasanta, la situazione era ancora la medesima (qualcosa di vicino al protostorico).
Il canone di civiltà (cristiano) dell’Europa del tempo viene portato dai conquistatori e questi sono 2: una spinta da OVEST (gli scandinavi, in primissimo luogo svedesi) e una spinta da EST (slavi della vicina repubblica di Novgorod).
Entrambe le parti guadagnano terreno: i russi iniziano ad assoggettare la Carelia orientale, mentre i crociati svedesi, conquistano a cristianizzano careli occidentali e finni nell’Anno Domini 1293 (la chiamano terza crociata svedese sui manuali).
La grande maggioranza del territorio è occupata dai cavalieri svedesi e tale rimarrà nei secoli a venire, diventando il “cortile orientale” degli stati medievali scandinavi: il suo nome è Österland. Mandatevi bene a memoria questa basilare denominazione perchè essa è quella utilizzata per oltre 250 anni in pratica. Österland = terra dell’est (o se vogliamo “settore est” nella visione amministrativa/tributaria dei sovrani di Svezia). La terra non è particolarmente ricca – solo terra di pescatori e cacciatori – ma si rivelerà crescentemente utile in veste di piattaforma offensiva contro l’entità slavo orientale più ad est (…..).
Nel corso del 16° secolo significativi cambiamenti: la monarchia svedese – in linea col trend di tutto il continente nella prima età moderna – vede l’affermarsi di un modello più centralizzato ed organizzato di quanto fosse mai stato: in tale opera di razionalizzazione viene riformata la suddivisione tradizionale sostituendola con una più articolata ed anche aggraziata, nel contesto della quale spicca l’Österland il cui intero territorio viene rinominato “Granducato”. Si tratta di una riforma amministrativa che trae i suoi connotati estetici dalla cultura dinastica del tempo: il sovrano di Svezia, amplia i propri titoli e possedimenti attribuendo anche al povero Österland un suo “coat of arms” ovvero un vessillo araldico (di proprietà del re di Svezia naturalmente – Johann III° -non dei sudditi che vi abitano…i quali sono una sua naturale estensione). Nel farlo si decide di utilizzare la parola “Finland” che di norma indicava solo gli abitanti della fascia più meridionale del paese, sulla costa). in tal modo consacrava e ufficializzava secondo l’usanza degli stati dinastici dell’epoca, il possesso dei 360’000 km/q (più dell’Italia) lungo i quali questo territorio si estende. Nasce dunque il “Granducato di Finlandia”
Correva l’anno 1581 : siamo ovvero all’alba del periodo storico – età moderna mediana – di massima potenza della monarchia svedese (stride con l’immagine assolutamente innocua che negli ultimi 150 anni si è guadagnata). Tale riorganizzazione è concomitante cronologicamente con un evento geostrategico rilevante : la GUERRA LIVONICA (*manca lo spazio per spiegarne nel dettaglio i connotati, ma si tratta di un lungo conflitto che occupa l’ultimo 1/3 del 16° secolo, che vede opposta la Russia di Ivan IV al regno di Polonia e a quello di Svezia: quest’ultimo si avvantaggia espandendo la propria area di influenza partendo dall’area finnica e baltica che congiunge territorialmente conquistando l’Ingria).
In parole povere a fine secolo si configura una situazione in cui TUTTO il tratto geografico BALTO-FINNICO è in mano a potenze ostili (Svezia e Polonia): un trampolino strategico ideale – e lo sarà – per ulteriori eventuali incursioni nella Russia interna.
Il regno di Svezia tuttavia, raggiunto il suo zenit, perde rapidamente terreno: fondamentale la sconfitta contro Pietro il grande che a seguito della “grande guerra del nord” (1700-21), uno dei tasselli chiave della geopolitica del secolo entrante -il 18° – col quale strappa l’intero blocco corrispondente agli odierni paesi baltici alla corona di Svezia (tratt. di Nystad, 1721, invocato poi duecento anni dopo, alla caduta dello zarismo, come fondamento per l’indipendenza di Estonia e Lettonia. Ovvero, se l’unione alla Russia dipende dalla monarchia, allora finita questa, finisce tutto il resto. “Niente tsar = niente unità politica russo-baltica” : l’aristocrazia – prevalentemente germanica -estone/lettone ci provò perlomeno…..mentre i bolscevichi si misero a ridere invece). Col trattato di Nystad viene ceduta anche una parte di Carelia….un territorio che in seguito verrà chiamato “vecchia Finlandia” per distinguerlo dal resto del territorio finlandese che sarà annesso un centinaio di anni più tardi (leggi sotto).
inseriamo una nota d’obbligo: la prima a parlare di un possibile utilizzo della lingua finlandese fu proprio l’imperatrice Ekaterina II nel 1742 (probabilmente desiderosa di erodere il vantaggio dello svedese).
Meno di 100 anni dopo Nystad infatti………………un’ulteriore grave sconfitta per il regno di Svezia che perde anche la penisola finnica, ceduta quindi all’impero dei Romanov, così che saranno questi ultimi a rivestire il titolo di granduchi di Finlandia, pensato ed usato sino all’ultimo dalla corona svedese per rafforzare il controllo sulla Finlandia (che oramai geo politicamente è scudo e cuscinetto tra Svezia e Russia per tutto il XVIII° sec.).
Siamo nel 1808 quando la Finlandia (un cuscinetto tra scandinavi ormai in declino e impero zarista in ascesa imperiale) diventa parte dell’impero.
La storia dei 110 anni di governo zarista sulla Finlandia è relativamente calma: sin dal principio il granducato finlandese gode di uno status del tutto particolare rispetto ad altri possedimenti imperiali. NON è un’espansione coloniale (come Asia centrale), NON è una provincia slava, trattata come tale. E’ un territorio federato all’impero……senza grandi costrizioni, con status autonomo: in era di rigurgiti nazionalistici e identità etniche, non è considerato nemmeno parte della patria slava, ma piuttosto una umanità “aggregata” ad essa, ingenua e innocua. Molti esuli russi si rifugiavano lì. Praticamente la Finlandia fu trattata – comparativamente ad altri territori imperiali – in maniera molto morbida (come se fosse un paese europeo, da trattare coi guanti di velluto…)
Non si fecero sforzi per slavizzare forzatamente la cultura locale se non alla fine del secolo XIX (e anche in quel caso occorreva non tanto vincere le resistenze finlandesi, quanto quelle dell’elite etno-linguistica che era svedese. L’elite non voleva parlare russo…….ma non perchè parlasse il finlandese, quanto perchè non voleva smettere di usare lo SVEDESE !). Per cento anni sarà PAX RUSSICA (termine derogatorio per gli antirussi, ma che comparativamente ad altre parti dell’impero sarebbe potuta essere paradossalmente veritiera).
Il settore inizialmente sembrava talmente calmo…che un consigliere dello tsar decise – nel contesto della riorganizzazione territoriale della Finlandia come parte dell’impero – di fondere la Finlandia appena conquistata (1808) con la “vecchia Finlandia” presa ancora prima ai tempi di Pietro il grande (1721).
A me gli occhi signori: quest’ultima mossa fu molto imprudente ed è alla base delle dinamiche che si innescheranno dopo: è analoga a Krushev che, pensando l’Ucraina alleata per sempre….concesse loro la Crimea (pensateci tutti, per favore. Questo è l’elemento più importante del post che mi sforzo di buttar giù***)
PAUSA (…)
Dunque. Passano il secolo zarista della Finlandia (le politiche di russificazione falliscono). Arrivati al 1917, l’elite finlandese approfitta in un lampo della situazione: non soltanto si sgancia (portando via con sè anche la preziosa Finlandia “vecchia” che era parte della Russia da 2 secoli), atto che potrebbe essere visto come LECITO da chiunque creda nell’autodeterminazione dei popoli (d’accordo).
Il problema è che lo fa in piena sinergia diplomatica con l’Impero tedesco (ancora in guerra), che contempla nei suoi piani di farne una monarchia germanica per dinastia e ferreamente allineata allo stato kaiseriano: un gioco di scatole cinesi visto dal punto di vista della sicurezza russa, ovvero una indipendenza (concetto lecito di per sè) portatrice però di una sudditanza geopolitica nei confronti della maggiore potenza d’Europa, il Reich tedesco, diventandone a questo punto un asset strategico notevolissimo, vista la vicinanza alla capitale S.Pietroburgo (e anche dato che l’intera fascia baltica sarebbe passata sotto Berlino, secondo i piani originari, poi annullati dalla sconfitta tedesca ad occidente).
Lo stato russo – ora sovietico – malgrado non sia più portatore dello sciovinismo reazionario zarista, si rende conto perfettamente della gravità della situazione: il piano germanico, come detto, non si avvererà, data la sconfitta finale nel 1918………..ma la Finlandia repubblicana come stato indipendente in ogni caso OSTILE alla Russia (come si era oramai capito) rimane una questione aperta.
I bolscevichi cercano di vincere una guerra in Finlandia per farne una repubblica socialista da riunire a Mosca, ma falliscono : vincono i BIANCHI finlandesi, capitanati da Mannerheim.
Per i successivi 20 anni la Russia deve ricostruirsi daccapo ed entrare nella modernità (a un prezzo indescrivibile): quando, superato lo shock, inizia di nuovo a comportarsi come una potenza del suo calibro dovrebbe….non può non rendersi conto della debolezza della frontiera nord-orientale, così vicina a Leningrado. Soprattutto inaccettabile che lo stato finlandese potesse costituire un pericolo (non tanto per conto proprio, ma un domani, utilizzato da altre potenze che lo usassero come base contro la Russia) e che lo facesse avvalendosi dei territori della “vecchia Finlandia”: quelli che appartenevano a Pietro il grande in persona e che nulla avrebbero dovuto avere a che fare con la rivoluzione indipendentista finlandese, se non fosse che un consigliere zarista di un secolo prima le aveva regalate amministrativamente alla Finlandia (di nuovo: come la Crimea all’Ucraina). Un ponte di terra non grande, ma sicuramente cruciale, e moralmente simbolico di oltre 200 anni di storia russa.
Da qui tutto il resto che meglio si conosce: la diplomazia di fine anni 30 va a farsi friggere e inizia la guerra CCCP-Finlandia (seguita poi dall’apparentamento Finlandia-Terzo Reich a partire dal 1941…)
Non vado oltre. Decida il lettore (non posso farlo io per lui), lo spessore storico e morale degli eventi. Comprenda da solo PERCHE’ lo stato russo veda con sospetto al confine nord-est (alla luce di 500 anni di evoluzione che ho grossolanamente narrato).
[mappa in basso: cartina storica del regno di Svezia nel 1760, ovvero 40 anni dopo Nystad, ma prima di perdere l’intera Finlandia nel 1808]
 
“PAASIKIVI-KEKKONEN”
(c’era una volta una Finlandia neutrale)
Una brevissima nota in merito all’ingresso di Helsinki nell’Alleanza atlantica domani. Il nome in alto tra virgolette -che apre l’intervento – è molto probabilmente sconosciuto al 99% dei lettori (qualcuno penserà al nome di qualche sportivo o chissà quale località sciistica….): si tratta dei cognomi di due politici finlandesi, la cui opera ha dominato la vita pubblica del proprio paese per il mezzo secolo successivo al conflitto mondiale. Un binomio che ha fatto la storia nazionale garantendone la sicurezza per il periodo 1945-1991. Vediamo come.
Paasikivi (al secolo Johan Gustaf Hellsten di discendenza svedese come buona parte dell’elite finlandese della sua generazione), fu impegnato intensamente nella politica interna finlandese sin dai tempi dell’impero zarista: si distingue per il suo supporto alle correnti autonomiste, ma MODERATE, in modo da non provocare il potente vicino. La parentesi del primo conflitto mondiale e l’indipendenza sono l’occasione per distinguersi come sostenitore di una piena sovranità in versione monarchica e quindi repubblicana (in opposizione alla Russia bolscevica): inizia una brillante carriera diplomatica tra le due guerre che va a finire con la guerra contro l’Urss staliniana e il successivo coinvolgimento bellico finlandese a fianco del Reich. Le sue posizioni prudenti e neutraliste (tra le pochissime presenti) non trovano sponde nel sentire politico finlandese dei primissimi anni 40, guadagnandone isolamento (…). Paasikivi e il suo moderatismo tornano tuttavia enormemente utili dopo la fine della guerra: terminata la parentesi bellica (ossia obbligata la Finlandia ad un armistizio separato, in extremis, con l’armata rossa alla porte, prima dell’eventuale catastrofe…) occorre ricostruire ex novo i rapporti diplomatici con Mosca. Paasikivi, primo presidente di Finlandia del dopoguerra, fa storicamente ammenda nel gestire l’imbarazzante faccia a faccia diplomatico con Mosca a conflitto finito (…): accetta tutte le clausole sovietiche, tra cui anche l’impegno a NON schierarsi con altre potenze potenzialmente ostili all’Urss (trattati 1947-48). La cosa prevedeva anche misure sulla stessa cultura finlandese, come il divieto di rappresentare i russi in una luce negativa sui mass media o in letteratura (…).
In pratica, al di là dei risarcimenti e delle cessioni territoriali, il bottino diplomatico più GRANDE che l’Urss porta a casa è la garanzia di uno stato del tutto NEUTRALE ai suoi confini settentrionali, un cuscinetto affidabile tra essa e la Scandinavia. Si basi bene, è scritto “neutrale” e non parte del blocco orientale (tanto quanto non parte di quello occidentale). Paasikivi scompare nel 1956, ma la medesima politica fu portata avanti efficacemente da Kekkonen (il secondo cognome) per i successivi trent’anni, durante i quali controlla letteralmente la politica del paese : al culmine di questa si afferma l’espressione, “dottrina Paasikivi-Kekkonen”, per riferirsi alla particolare gestione dei rapporti col Cremlino per l’intera durata della guerra fredda.
In effetti, occorre sottolineare, la posizione post-bellica della Finlandia è oggettivamente poco nota ai non addetti al settore: per quanto si percepisca a consideri questo paese come naturale parte dell’occidente europeo (alla pari dei vicini scandinavi), la sua posizione nel corso dei 40-50 anni che coprono la guerra fredda fu non di paese “bianco”, bensì di paese “grigio”, mai esponendosi troppo, soprattutto contro il Cremlino. A completezza di informazione va aggiunto che tra le clausole post-belliche era previsto anche un dovere di “resistere” da parte delle forze armate finlandesi in caso una forza esterna tentasse di aggredire l’Urss attraversando la Finlandia (facendo riferimento alla Germania, ma pensando alla Nato nel futuro a venire): non un’alleanza militare certo, ma qualcosa di analogo ad una “partnership difensiva” particolare.
La cosa fu notata ad occidente che iniziò ad utilizzare l”’espressione” “dottrina Paasikivi-Kekkonen” in senso derogatorio (ossia sottolineando la subordinazione silenziosa della democrazia finlandese nei confronti del vicino): quanto allo status militarmente ambiguo (la partnership difensiva) si arrivò senza esitazioni ad includere il territorio finlandese come potenziale bersaglio di testate, da parte occidentale.
Insomma…..l’intero occidente non riuscì a metabolizzare lo status “grigio” della Finlandia post-bellica. Detto in parole più chiare: si poteva accettare che un paese fosse parte IN TOTO del patto di Varsavia (come Polonia e gli altri), dato che in quel caso li si poteva screditare alla stregua “satelliti” o “pedine”……ma era molto più problematico che una DEMOCRAZIA OCCIDENTALE (come lo stato finlandese oggettivamente era) fosse sceso così profondamente a patti con la potenza sovietica. Inaccettabile che non si potesse capire se era amico o nemico (una filosofia del mondo in blocchi va molto più d’accordo con il bianco e il nero che non il grigio).
Lo stesso occidente atlantico dimenticava – come tanto spesso succede – un piccolo dettaglio (di quelli macroscopici): che la Finlandia doveva farsi perdonare 3 anni di guerra al fianco di Hitler contro l’Unione Sovietica. Coinvolgimento bellico (portato avanti con relativa prudenza da Mannerheim, ma pur sempre coinvolgimento) che ad occidente si scelse volutamente di DIMENTICARE: ci si passò sopra con nonchalance, anche perché la Finlandia aveva combattuto col Reich non contro gli angloamericani, ma solo contro i sovietici (…).
L’Urss – parte offesa – decise di non passarci sopra invece e occorre dire che nemmeno usò tutto il proprio potere: rinunciò all’ipotesi estrema di far capitolare la Finlandia arrivando fino ad Helsinki (come avrebbe potuto fare nell’autunno del 1944, instaurando poi un governo filosovietico), ma impose nei trattati di pace successivi, che MAI più potesse venire un pericolo dalla frontiere russo-finlandese. Era veramente il MINIMO che si potesse domandare dopo quanto era successo.
Ad occidente si denigrò sempre pubblicamente la dottrina “Paasikivi-Kekkonen” (evitando accuratamente di spiegare il retroscena ei perché).
Seppure non eroica, la dottrina Paasikivi-Kekkonen, garantì comunque mezzo secolo di sicurezza sostanziale alla propria piccola popolazione : mi domando cosa sarà da domani (ritorno a Mannerheim ?! I nazionalisti finnici più ingenui lo pensano, ma io ne dubito….ancora peggio: dal Terzo reich si riuscì a smarcarsi – riuscendo a combinare, disperatamente, una pace separata nell’ottobre del 1944. Con l’alleanza atlantica – e le testate atomiche che indubitabilmente vi verranno piazzate – non sarà possibile nemmeno quello (anche un governo finlandese volesse concludere trattati a parte NON potrà farlo perché la presenza di armamenti nucleari sul proprio territorio gestiti da Washington renderebbe il territorio stesso bersaglio a prescindere. Meditare).
FINE.
 
(FUNNY)
Manifesto svedese d’annata (1939. Si invita all’arruolamento volontario in difesa della Finlandia durante la guerra invernale contro l’Urss).
Ai conoscitori di storia del nord Europa viene subito in mente che la Finlandia in realtà non è mai esistita come stato indipendente prima del 1918: prima di quella data, era stata per oltre un secolo una suddivisione territoriale dell’impero zarista sotto il nome di Granducato di Finlandia (sebbene non esistesse alcun granduca o alcuna tradizione nobiliare finnica: il granduca era lo tsar stesso). Molti ricordano questa fase storica come per retrodatare rispetto allo stesso comunismo le mire espansionistiche russe : nel farlo dimenticano che sempre il territorio finlandese (ancora non stato nazionale), prima di finire in mano agli tsar era dominio del regno di SVEZIA…….il cui elemento etnico costituiva la totalità dell’elite finlandese (ancora ai primi del secolo il 20% della popolazione di Helsinki si esprimeva in svedese ed ancora il 12% allo scoppio del conflitto mondiale….concentrati negli strati superiori della società, naturalmente).
Alla luce di questo fa dunque specie osservare il manifesto in questione, che sembra amorevolmente affiancare servitore (finlandese) e ex-padrone (svedese): quest’ultimo in fondo sarebbe felice di tornare alla sua antica posizione.

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Fermiamo questa guerra!_a cura di Giuseppe Germinario

Il materiale reso pubblico recentemente sulla stampa statunitense si annuncia essere  solo parte, nemmeno la più importante, di una notevole mole di documenti, presumibilmente sottratti dal bunker del Comando Strategico USStratCom. Siamo di fronte, probabilmente, ad un nuovo clamoroso caso Snowden, ma ben più importante e che lascia pensare al coinvolgimento nella vicenda di alti ufficiali delle forze armate. Le stesse modalità di riproduzione e di diffusione dei documenti confermerebbero questa tesi. È la conferma di uno scontro durissimo e drammatico presente nei centri decisori di quel paese. Lo stesso fatto che siano grosse testate giornalistiche a diffondere il materiale rappresenta un ulteriore indizio della gravità di quanto sta avvenendo.

Non è la prima volta che accade. Già ai tempi della crisi dei missili a Cuba, nel 1962, la virulenza del confronto si manifestò anche in superficie. Allora la parte politica istituzionale, nella fattispecie il Presidente americano Kennedy e il segretario del PCUS Krushev, furono i moderatori delle rispettive componenti oltranziste presenti nei ranghi militari e dell’intelligence, specie americana. Questa volta, purtroppo, la situazione appare capovolta e ben più pericolosa e drammatica. È il vertice politico-amministrativo statunitense, unitamente al centro comando della NATO e di ampi settori della sicurezza, ad assumere la postura avventurista e provocatoria, sempre più sfacciata man mano che il regime ucraino si avvicina alla disfatta e i centri decisori si rendono conto di essersi cacciati in un vicolo cieco dal quale non potranno uscire indenni o con danni relativi. Ne parleremo con Gianfranco Campa. È l’intera redazione del blog, compresi gli scritti di Roberto Buffagni, le conversazioni con Campa e i numerosi saggi tratti dall’editoria mondiale, a seguire la falsariga di questa interpretazione. Mai come ora sarebbe necessario che uscisse qui in Europa una iniziativa politica efficace che interrompesse questa inesorabile dinamica. Non si tratta di “ripudiare la guerra”, ma di “fermare questa guerra”, resa possibile dalla insulsaggine di una classe dirigente e di un ceto politico europeo nella sua gran parte inetto, miserabile e connivente. Giuseppe Germinario

 

“Gli Stati Uniti hanno appena iniziato la prima esercitazione nucleare “GLOBAL THUNDER” dall’inizio della guerra in Ucraina. Almeno 150.000 persone in tutto il mondo simuleranno una guerra nucleare. L’anno scorso il capo dello STRATCOM ha dichiarato: “Il mio comando è ai posti di combattimento da gennaio circa in modalità di azione di crisi” (è da  oltre tre anni che non si effettuavano questo tipo di esercitazioni; mai di queste dimensioni e in un contesto di guerra aperta e così a ridosso dei confini della NATO_corsivo nostro).

Un recente studio sul Bulletin of the Atomic Scientists ha rilevato il “costante aumento” dei bombardieri nucleari statunitensi che STRATCOM stava schierando in Europa, comprese “operazioni di bombardieri sempre più provocatorie… in alcuni casi molto vicino al confine russo”.

Gli Stati Uniti hanno appena iniziato la loro prima esercitazione nucleare “GLOBAL THUNDER” dall’inizio della guerra in Ucraina. Almeno 150.000 truppe in tutto il mondo simuleranno una guerra nucleare. L’anno scorso, il capo STRATCOM ha dichiarato: “Il mio comando è stato nelle postazioni di battaglia da gennaio in modalità azione di crisi”.

Nelle osservazioni dell’anno scorso, il comandante della STRATCOM Charles A. Richard ha condiviso la sua teoria secondo cui fare affidamento sulla “moderazione” non era più praticabile, perché “l’assenza di una provocazione non è deterrenza”. Presumibilmente significa che l’ammiraglio credeva che gli Stati Uniti dovessero “provocare” attivamente Russia e Cina

A proposito, l’esercitazione di guerra nucleare si sta svolgendo contemporaneamente alla più grande esercitazione militare congiunta tra Stati Uniti e Filippine nel Mar Cinese Meridionale a ridosso di quella cinese intorno a Taiwan.

Impercettibile. Gli Stati Uniti eseguiranno esercitazioni nel Mar Cinese Meridionale che “comporteranno assalti alla spiaggia e la riconquista di un’isola conquistata dalle forze nemiche” ”

Da oltre tre anni non si svolgevano esercitazioni di questo tipo. Mai di queste dimensioni e a ridosso di un teatro di guerra aperta. A scaldare ulteriormente l’atmosfera le esercitazioni russe nell’Artico e l’arrivo di un sommergibile atomico statunitense nel Golfo Persico in un momento in cui le relazioni tra i due paesi principali di quell’area, Iran e Arabia Saudita, grazie all’iniziativa diplomatica cinese, sembrano acquietarsi. Giuseppe Germinario

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