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Abisso iraniano: gli Stati Uniti faranno il grande passo?_di Simplicius

Abisso iraniano: gli USA faranno il salto?

Simplicius19 giugno∙Anteprima
 
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Il seguente articolo premium a pagamento è una discussione completa di tutte le possibilità per l’imminente conflitto tra Iran e Stati Uniti, comprese le mie previsioni personali su ciò che accadrà. È lungo ben oltre 5.000 parole e copre vari aspetti dello stallo, dalla capacità degli Stati Uniti – o la sua mancanza – di colpire i siti nucleari iraniani o persino di degradare la sua rete di difesa aerea, al motivo per cui la Russia e la Cina potrebbero o meno assistere l’Iran in questa undicesima ora.


Le cose si muovono con estrema rapidità sul fronte iraniano, tanto che qualsiasi analisi rischia di essere immediatamente obsoleta a causa dei nuovi sviluppi. Ciò è particolarmente vero se si considera che alcuni degli attori coinvolti – in particolare Trump – agiscono con straordinaria imprevedibilità e incoerenza.

Il trattamento che Trump sta riservando alla saga dell’Iran è stato del tutto irregolare, persino psicotico. Dalla richiesta di colloqui a improvvisi sfoghi di “SOPRAVVIVENZA” e “Evacuate Teheran ora!” è impossibile prevedere cosa dirà o farà lo squilibrato; l’unica cosa che è diventata quasi certa è che Trump è stato fatto prigioniero da una qualche forma di minaccia estremamente compromettente da parte dei suoi responsabili legati a Israele: c’è ben poco altro per spiegare il suo comportamento sconcertante e squilibrato.

C’è una cosa che lo spiega, e questo ci porta al punto principale di questo articolo. Israele si aspettava chiaramente una capitolazione molto rapida da parte dell’Iran attraverso una serie di colpi debilitanti di decapitazione che sono riusciti solo in parte. Quando ciò non è avvenuto e quando l’Iran ha iniziato a far piovere colpi di rappresaglia, il blocco guidato da Israele è andato nel panico e ha iniziato a esercitare enormi pressioni su Trump per salvare il regno “eletto”.

In parte ciò ha a che fare con il fatto che Israele non è attrezzato per un lungo conflitto interiore:

https://www.jpost.com/israel-news/defense-news/article-858121

L’articolo del Jerusalem Post sopra riportato conferma:

“Né gli Stati Uniti né gli israeliani possono continuare a stare seduti e intercettare missili tutto il giorno”, ha dichiarato Tom Karako, direttore del Missile Defense Project presso il Center for Strategic and International Studies. “Gli israeliani e i loro amici devono muoversi con tutta la fretta necessaria per fare ciò che deve essere fatto, perché non possiamo permetterci di stare seduti a giocare a rimpiattino”.

Veniamo ai punti vitali:

Israele aveva bisogno di un’operazione rapida per mettere fuori gioco l’Iran e probabilmente contava sull’entrata in guerra degli Stati Uniti. Ma questo va temperato con il fatto che Israele afferma di essersi preparato per il potenziale di un conflitto di lunga durata, ma presumibilmente solo sotto l’egida totale degli Stati Uniti e dell’Occidente che li sostengono completamente in ogni dimensione, in particolare quando si tratta di armi, carburante, ecc.

Che cosa ha fatto l’Iran? L’Iran, a quanto pare, ha scelto una strategia simile a quella della Russia, ovvero quella di rallentare deliberatamente il conflitto e di mettere a dura prova le risorse di Israele. Israele si aspettava che l’Iran “facesse il botto” e lanciasse tutta la sua dotazione di missili non solo per esaurirsi immediatamente, ma anche per provocare un’enorme “tragedia” da usare per incitare gli Stati Uniti a entrare in guerra. Invece, l’Iran ha scelto di dissanguare lentamente Israele con la strategia della “morte per mille tagli” sviluppata dalla Russia contro l’impero atlantista in Ucraina.

Così, l’Iran sta inviando ogni giorno piccole raffiche di missili per ridurre le risorse sociali, economiche e politiche di Israele.

Perché l’Iran ha scelto questa strategia? Perché è l’unica che ha una possibilità di successo, dato che dare a Israele una massiccia campagna “shock and awe” farebbe solo il suo gioco e darebbe agli israeliani esattamente quello che stavano cercando. Un rapporto indicava che Israele si era preparato ad oltre 5.000 vittime israeliane a causa degli attacchi iraniani e chiaramente non si aspettava che l’Iran scegliesse invece un metodo a fuoco lento:

https://www.iranintl.com/en/202506165262

La leadership di Israele si era preparata per circa 5,000 morti tra i civili in una guerra totale con l’Iran, ma ha scoperto che il suo nemico non è in grado di provocare gravi danni, ha dichiarato l’ex alto funzionario dell’intelligence Miri Eisin a Iran International.

Le affermazioni di Israele di aver stabilito una totale “superiorità aerea” sull’Iran sono fraudolente: gli aerei israeliani non stanno sorvolando l’Iran – non ci sono prove a sostegno di questa affermazione.

Israele ha utilizzato una combinazione di attacchi con i droni, per i quali esistono una montagna di prove. I droni UCAV sono meno rilevabili e sacrificabili, il che consente a Israele di spingerli verso Teheran subendo perdite per abbattimenti che non incidono sulla sua posizione pubblica.

Ogni singolo video di attacco rilasciato finora da Israele mostra le riprese di un UCAV o di un drone di sorveglianza, come in questo caso:

I droni IAI Heron, Harop ed Hermes sono stati avvistati numerose volte nello spazio aereo iraniano:

Scarica

Non esiste un solo video di un velivolo israeliano nello spazio aereo iraniano, ma esistono tonnellate di video che mostrano stadi di lancio di missili israeliani recuperati in Siria e in Iraq, il che indica che Israele continua a sparare missili come il Blue Sparrow da fuori dei confini iraniani.

Altri video mostrano la camma del missile Delilah, che ha una gittata di oltre 250 km e può raggiungere molti siti iraniani occidentali anche se sparato fuori dal confine.

 Drone israeliano abbattuto vicino all’impianto nucleare iraniano di Natanz

Il vice governatore di Isfahan ha confermato che il sistema di difesa aerea Khordad-3 dell’IRGC ha intercettato e distrutto un drone israeliano nei pressi dell’impianto nucleare di Natanz, vicino alla città di Kashan.

In precedenza, almeno due dei droni UCAV israeliani Hermes sono stati abbattuti sopra l’Iran:

Le immagini hanno dimostrato che Israele sta utilizzando bombe droni a guida laser per colpire tutti i veicoli iraniani visti nei video di attacco, mentre missili da crociera e balistici a lunga distanza come l’Air LORA sono utilizzati per colpire obiettivi infrastrutturali più grandi:

Un UAV d’attacco Hermes 900 dell’aviazione israeliana abbattuto dagli iraniani.

I nodi di sospensione dell’UAV da ricognizione e da attacco Hermes-900 dell’Aeronautica israeliana intercettato erano equipaggiati con bombe aeree guidate di piccole dimensioni “Miholit”, analoghe alle KAB-20S russe e alle MAM-L turche.

Le armi sono dotate di sistemi di guida laser (o di immagini termiche) semi-attivi e hanno un raggio d’azione di 12-15 km se sganciate da altitudini di oltre 5.500 metri.

È ovvio che questo UAV è stato utilizzato direttamente per ingaggiare i sistemi mobili di artiglieria antiaerea delle forze di difesa aerea iraniane.

C’è stato solo un singolo filmato che ho visto personalmente che potrebbe indicare che i jet israeliani hanno appena sfiorato il territorio iraniano, in cui sembrava che i JDAMS fossero stati sganciati su Kermanshah, che si trova a poco più di 100 km dal confine iraniano:

I JDAMS hanno in genere un raggio d’azione di 25-50 km, anche se il JDAM-ER può raggiungere i 75 km, ma non è certo che Israele lo possieda. Questo attacco potrebbe rappresentare i jet israeliani che hanno superato di qualche chilometro il confine, ma è più o meno quanto sono disposti a fare.

La domanda principale è: perché?

Perché Israele non ha ancora degradato la difesa aerea iraniana a lungo raggio. Gli unici video di attacchi che Israele ha mostrato riguardavano una piccola manciata di antichi Falchi Mim-23, Karmin-2 a corto raggio e i sistemi Khordad a corto-medio raggio. Nulla di simile al Bavar-373, equivalente all’S-300, è stato eliminato, anche se Israele “sostiene” di aver spazzato via una percentuale inventata di AD iraniani, senza alcuna giustificazione.

Sembra probabile che l’Iran abbia ritirato gran parte dei suoi sistemi AD più lunghi e seri più a est, verso Isfahan e oltre, in previsione di bombardamenti statunitensi su larga scala. Questo sarebbe in accordo con un rapporto reale sul ritiro dei lanciamissili pesanti nella stessa regione, che sono ugualmente bersaglio degli attacchi israeliani.

Ricordiamo che Israele non è mai stato in grado nemmeno di sorvolare il territorio siriano, che aveva un AD molto più debole di quello iraniano – Israele ha bombardato la Siria da dietro il Monte Libano. Solo dopo l’insediamento di Jolani, Israele è stato finalmente in grado di distruggere la rete di AD siriana abbandonata e senza equipaggio. Inoltre, ricordiamo che Israele ha dovuto far volare i suoi F-35 a pochi metri dal suolo in Giordania durante i precedenti attacchi contro l’Iran, con rapporti che affermano:

“I caccia israeliani F-35I Adir volano a bassissima quota sul territorio giordano per evitare i radar prima di colpire Teheran.“.

Allo stesso modo, gli Stati Uniti non sono in grado di sorvolare lo Yemen e devono lanciare attacchi in stand off per evitare che gli F-35 vengano “quasi abbattuti” di nuovo quando si avvicinano troppo al confine. Quindi, Israele non è certamente in grado, al momento, di sorvolare l’Iran al di là, forse, di qualche piccola incursione appena oltre il confine.

Il vero scopo dell’operazione pianificata va ben oltre la semplice degradazione del programma nucleare iraniano, e anche oltre il semplice cambio di regime, ma cerca invece di dividere interamente l’Iran in piccoli staterelli etnici facilmente dominabili:

https://www.jpost.com/opinion/articolo-858111

Non sorprende che l’Iran sia sotto i ferri per essere smembrato solo poche settimane dopo aver lanciato un nodo critico della Nuova Via della Seta cinese, che bypassa

Israele ha colpito l’Iran proprio dopo il lancio di un nuovo collegamento ferroviario tra l’Iran e la Cina. Si dà il caso che rappresenti una minaccia geoeconomica esistenziale per gli Stati Uniti e i loro alleati .

La rotta aggira le sanzioni statunitensi e sbloccherebbe l’economia iraniana, permettendole di prosperare come mai prima d’ora, con l’Iran che diventerebbe anche un hub di trasporto eurasiatico chiave che arriva fino alla Russia:

https://x.com/SputnikInt/status/1935377617760194923

Ora, il “regime” di Khamenei dovrebbe essere smantellato perché l’Iran rappresenta un contrappeso troppo grande per i sogni imperialisti dei neoconservatori e, soprattutto, per le profezie babilonesi-messianiche dei loro gestori.

L’autoproclamato “principe ereditario” dell’Iran ha persino lanciato il suo appello, prodotto dalla CIA, affinché la gente scenda in strada e rovesci il “regime” proprio al momento giusto:

Si tratta chiaramente di una produzione altamente coordinata, volta a fare all’Iran ciò che è stato fatto ad Assad e alla Siria alla fine dello scorso anno.

Gli Stati Uniti possono avere successo?

Ora arriviamo alla parte più importante. Dato che sappiamo che Israele non è in grado di penetrare lo spazio aereo iraniano con i suoi caccia, cosa possono fare Trump e gli Stati Uniti per “sconfiggere” rapidamente l’Iran?

Il problema principale è che l’obiettivo principale ostensibile è la distruzione del sito nucleare di Fordow, che si trova a centinaia di metri o più sottoterra. Le uniche armi potenzialmente in grado di farlo sono i bunker buster americani GBU-57 MOP (Mass Ordnance Penetrator).

Queste munizioni di grandi dimensioni possono essere trasportate solo dai caccia stealth B-2 o dai bombardieri strategici B-52. Non sono “bombe plananti” a lungo raggio e devono essere sganciate direttamente sull’obiettivo, il che significa che i B-2 dovrebbero penetrare fino a Fordow, nell’Iran centrale:

La grande domanda: i B-2 possono farlo?

No, non possono, almeno non senza il pericolo estremo che almeno uno di loro venga abbattuto. L’abbattimento di un B-2 “ammiraglia” sarebbe un’umiliazione disastrosa che annuncerebbe da sola il declino terminale dell’impero americano. È estremamente discutibile se Trump rischierebbe un simile attacco, date le probabilità di un minimo fallimento. Tuttavia, per correttezza, ecco la controargomentazione di un esperto:

Trump si trova tra l’incudine e il martello: ha bisogno di un’operazione molto rapida e semplice per dichiarare la vittoria e tirarsi fuori dal conflitto, in modo da non essere accusato di aver nuovamente impantanato gli Stati Uniti in un’interminabile guerra in Medio Oriente. Per renderla “breve e dolce”, dovrebbe inviare subito i B-2 e correre un rischio enorme per la reputazione dell’impero.

L’altra opzione è quella di lanciare prima una campagna su larga scala per degradare le difese iraniane, ma questo rischia di impantanarsi di nuovo in una guerra infinita, poiché l’Iran farà di tutto per intrappolare gli Stati Uniti nella sua dolorosa rete di conflitto prolungato. Potrebbero esserci settimane o mesi di gatto e topo, con potenziali perdite disastrose per gli Stati Uniti, eccetera, il tutto solo per “spianare la strada” al vero attacco. Ciò comporterebbe un enorme tributo politico per Trump e probabilmente segnerebbe la fine del suo regime. Rischia di perdere la sua base MAGA, con conseguente perdita delle elezioni di metà mandato e l’eventuale impeachment di Trump o almeno il completo disordine del partito repubblicano, che porterebbe alla vittoria dei democratici alle presidenziali del 2028.

Ricorda ancora: Gli Stati Uniti hanno avuto problemi per mesi nel tentativo di indebolire gli Houthi, con varie navi e caccia che hanno avuto degli scontri ravvicinati. Cosa li spinge a pensare che l’Iran sarebbe una passeggiata rispetto a questo?

Certo, dobbiamo ammettere quanto segue:

La caduta inaspettatamente improvvisa della Siria ha certamente galvanizzato i neocons per immaginare di poter ripetere rapidamente il trucco delle carte in Iran. E non è fuori dal campo delle possibilità: Khamenei ha molti detrattori, ed è per questo che Israele trova così facilmente talpe ed è in grado di infiltrarsi in Iran con spie e reti di sabotaggio; per non parlare del fatto che le repubbliche arabe e mediorientali sono note per esagerare la forza come meccanismo di difesa. Ricordiamo gli anni di propaganda di Hezbollah sulle “città missilistiche infinite” che non si sono mai realizzate durante la guerra di Israele contro Hezbollah, che ha portato alla decapitazione della leadership di Hezbollah. Allo stesso modo, Israele ha fallito la sua incursione e, nonostante Hezbollah abbia dato ragione a certi scettici, anche Israele non è stato all’altezza delle aspettative.

Quindi, rimane certamente una possibilità – per quanto remota possa essere – che l’Iran possa affrontare disordini interni e portare a un colpo di stato simile a quello di Assad, ma non ci sono ancora indicazioni reali che questa sia una possibilità particolarmente forte . Rimane la possibilità che la forza missilistica dell’Iran sia stata a lungo esagerata, ma non si può in buona fede sostenere che gli Houthi – che hanno lanciato missili senza sosta per mesi – siano in qualche modo riusciti a superare l’Iran in questa modalità.

Rimane il fatto che gli attacchi di Israele registrati finora hanno solo scalfito a malapena la superficie nel colpire una qualsiasi categoria di armi iraniane. Pertanto, dobbiamo concludere che qualsiasi attacco guidato dagli Stati Uniti comporterà un rischio immenso per i principali sistemi di punta iraniani, che finora sono stati trattenuti e preservati dagli attacchi israeliani.

Inoltre, anche se gli Stati Uniti dovessero riuscire a colpire Fordow, la questione della capacità del GBU-57 di penetrare o danneggiare la struttura sotterranea è molto discutibile:

Axios riporta che la decisione di Trump è appesa proprio a questa questione – si legga il grassetto qui sotto:

https://www.axios.com/2025/06/18/trump-bunker-buster-bomba-iran-nucleare-programma

Trump dubita del completo successo di un potenziale attacco all’impianto sotterraneo iraniano di Fordow, scrive Axios.

Secondo le fonti della pubblicazione, egli è preoccupato di sapere se i missili americani Massive Ordnance Penetrator (MOP) saranno davvero in grado di distruggere questo impianto “più fortificato” dell’Iran.

I MOP non sono mai stati utilizzati sul campo di battaglia, sebbene siano stati sottoposti a diversi test durante lo sviluppo, si legge nella pubblicazione.

Israele, tuttavia, non dispone di tali munizioni. Secondo un funzionario statunitense, la parte israeliana ha detto all’amministrazione Trump che, pur non potendo penetrare in profondità nel sottosuolo con le bombe, può farlo usando le persone.

Il problema è che molti analisti ritengono che l’impianto di Fordow si trovi a 200-400 piedi di profondità, e che le GBU-57 siano in grado di penetrare solo per oltre 200 piedi, più o meno. Alcuni sostengono addirittura che Fordow possa avere sezioni di oltre 1.000 piedi o molto di più. Ciò richiederebbe l’impiego di molti GBU-57 nello stesso punto, il che significa generare molte sortite di B-2 e rischiarle sopra l’AD iraniana.

È un rischio particolare dato che l’Iran conosce esattamente il un sito che è nel mirino, ed esattamente l’arsenale che sta per sorvolare quel sito. Questo dà all’Iran ogni vantaggio nel pianificare un’imboscata per umiliare gli Stati Uniti facendo fuori un B-2. Non vedo come gli Stati Uniti possano portare a termine la missione senza prima impiegare una vasta campagna offensiva per degradare la rete di difesa iraniana e controllare totalmente i cieli sopra il sito prima.

Tenendo conto di ciò, ecco le opzioni finali e i potenziali risultati a mio avviso:

1. Trump sta pesantemente bluffando e sa che gli Stati Uniti non hanno alcuna possibilità senza una campagna prolungata per degradare l’esercito iraniano. Spera che le sciabolate e le passeggiate con i bombardieri possano spaventare l’Iran e indurlo alla capitolazione; proprio come mesi fa ha fatto volare i B-2 a Diego Garcia in una dimostrazione di forza, poi è stato costretto a richiamarli quando non ha sortito alcun effetto. Oggi abbiamo avuto un accenno a questa opzione, dato che Trump ha lasciato ancora una volta la porta aperta ai negoziati, osservando che l’Iran ha ancora una possibilità di risolvere la questione senza violenza, con varie voci – sebbene pubblicamente smentite – di delegazioni iraniane dirette in Oman per colloqui con Witkoff.

NYT: Il Presidente Trump si trova di fronte a una decisione cruciale nella guerra in corso da quattro giorni tra Israele e Iran. Deve decidere se intervenire aiutando Israele a distruggere l’impianto di arricchimento nucleare di Fordo, profondamente sepolto, al quale si può accedere solo con bombe americane “bunker buster” sganciate da bombardieri B-2. Inoltre, il Presidente Trump ha incoraggiato il Vicepresidente JD Vance e il suo inviato in Medio Oriente, Steve Witkoff, a proporre un incontro con gli iraniani questa settimana. I funzionari ritengono che questa offerta possa essere ben accolta.

2. Trump sceglierà di decapitare il “regime” facendo fuori Khamenei, il che gli darà una vittoria eclatante e la questione del nucleare potrà essere messa da parte. Khamenei sarebbe molto più facile da eliminare con attacchi di precisione, che non richiederebbero il volo di bombardieri strategici esposti sul centro dell’Iran. Questo potrebbe anche includere molti altri colpi di missili da crociera su siti militari iraniani, che permetterebbero agli Stati Uniti di salvare la faccia e dichiarare una sorta di vittoria di pubbliche relazioni.

3. Trump e l’Iran si accordano su una stretta di mano segreta che consentirebbe ai B-2 di avere un corridoio aperto per colpire la montagna di Qom che protegge Fordow, dopodiché seguirebbe un regime di de-escalation. Anche se Fordow non verrebbe danneggiata, gli Stati Uniti salverebbero la faccia e Trump otterrebbe una parvenza di “vittoria”, mentre l’Iran rimarrebbe tranquillo e accetterebbe qualche nuovo accordo che Israele sarebbe costretto a firmare con riluttanza.

4. Trump decide di “fare il botto” e lancia una grande campagna aerea per degradare le difese iraniane prima di rischiare l’attacco B-2. A questo punto si scatena l’inferno, perché l’Iran non avrebbe altra scelta che attaccare le navi statunitensi nei golfi di Persia e Oman, attaccare le basi militari statunitensi in Iraq, Qatar, ecc. e chiudere lo stretto di Hormuz.

A questo punto si trasformerebbe in un conflitto prolungato che sarebbe l’incubo che nessuno vuole. Sembra che gli Stati Uniti si stiano già preparando a questa eventualità:

Le immagini satellitari della base aerea di Al Udeid, in Qatar, una delle basi più importanti dell’aeronautica statunitense in Medio Oriente, sembrano mostrare la base completamente abbandonata. La base, che ospita regolarmente decine di velivoli militari, tra cui aerocisterne per il rifornimento aereo, velivoli di sorveglianza e velivoli da carico/trasporto con le forze aeree statunitensi e britanniche, sembra ora non avere un solo velivolo a terra, probabilmente tutti evacuati verso basi aeree in altre parti del Medio Oriente o in Europa, a causa delle preoccupazioni di un potenziale attacco da parte dell’Iran.

La TV iraniana ieri sera:

Previsione

La mia conclusione personale: credo che il rischio per gli Stati Uniti sia troppo grande perché Trump possa lanciare un attacco su larga scala. Pertanto, non posso che supporre che Trump stia di nuovo bluffando per portare gli iraniani al tavolo delle trattative e che alla fine cercherà di de-escalation.

Trump si tira indietro, secondo Axios.

Se dovesse attaccare, potrebbe scegliere di giocare sul sicuro lanciando prima attacchi a distanza su larga scala con missili da crociera, evitando di rischiare vere e proprie incursioni aeree in Iran. C’è la possibilità che adotti questa “mezza misura”, per poi forse ridimensionare l’operazione e dare di nuovo un “avvertimento” all’Iran di presentarsi al tavolo delle trattative prima “dell’attacco finale”, che sarebbe solo il modo degli Stati Uniti di salvare la faccia e non dover mettere a rischio la propria flotta di B-2 e F-35.

Certo, c’è sempre la possibilità che la mia valutazione sulla forza dell’Iran sia troppo ottimistica, o che la potenza degli aerei stealth statunitensi sia sottovalutata . Forse i B-2 stealth sono davvero molto più “invisibili” di quanto pensiamo, e gli Stati Uniti riescono a portare a termine i loro attacchi senza perdite. Ma trovo difficile credere che l’Iran conosca le coordinate esatte verso cui voleranno i B-2 e non sia in grado in qualche modo di attaccarli in modo significativo. Ricordiamo che l’intera flotta aerea iraniana è ancora illesa, con solo un paio di vecchi F-14, che si dice siano aerei di recupero dismessi, finora distrutti.

L’Iran dovrebbe comunque avere più di 250 caccia, sebbene per lo più modelli datati. Ma sufficienti a rappresentare teoricamente un grave rischio per una flotta di bombardieri pesanti con un punto di convergenza noto con precisione. Ricordiamo che la Serbia ha fatto bombardare l’intera flotta NATO per mesi per stabilire la superiorità aerea, e anche in quel caso sono stati colpiti molti aerei, inclusi diversi F-117.

E le argomentazioni di cui sopra non affrontano nemmeno lontanamente la questione della flotta navale, con l’Iran che potrebbe lanciare missili antinave difensivi contro le navi statunitensi. Forse l’Iran giocherà sul sicuro, come alcuni credono abbia fatto contro Israele – dove l’Iran risponde solo con pochi attacchi reattivi e non provocatori, piuttosto che con attacchi proattivi davvero debilitanti; è possibile se l’Iran ritiene troppo alto il pericolo di distruzione totale e vuole semplicemente salvare la faccia ed esigere una certa deterrenza.

Pertanto, l’Iran potrebbe lanciare altri “attacchi simulati” contro basi statunitensi vuote, ma astenersi dal compiere attacchi davvero paralizzanti, come quelli contro portaerei statunitensi, ecc., poiché ciò indurrebbe a una risposta troppo dura. L’Iran potrebbe essere costretto a subire le sue conseguenze, limitandosi a cercare di preservare una parvenza di dignità contro ogni previsione: dopotutto, l’intero Occidente si sta lentamente preparando per unirsi agli attacchi in un modo o nell’altro, con la Gran Bretagna che ha appena annunciato che potrebbe unirsi agli Stati Uniti in qualsiasi attacco.

Da fonti pubbliche: presunti sbarramenti missilistici iraniani finora.

Alla fine, ci troviamo di fronte al seguente dilemma: Trump ha bisogno di una vittoria rapida. Ma c’è il temuto triangolo del triplo vincolo: ricordate, veloce, economico, buono? Qui è veloce, sicuro, buono: potete sceglierne solo due. Trump può avere una vittoria veloce e sicura, ovvero un “shock and awe” di tutti gli attacchi missilistici stand-off, ma non sarà buono, nel senso che non raggiungerà gli obiettivi primari. Può avere una vittoria sicura e buona, ma non sarà veloce, il che significa una lunga e protratta palude che distruggerà il suo impero MAGA e lo trasformerà in ciò che lui stesso odia. Oppure può provare una vittoria “buona e veloce”, il che significa impiegare immediatamente i B-2 per porre fine alla campagna in anticipo, ma di certo non sarà sicura e potrebbe concludersi con un disastro generazionale che segnerà una svolta nella caduta dell’impero statunitense.

Ecco un’altra analisi valida ed equilibrata :

Alcune riflessioni di alto livello sulla strategia dell’Iran fino ad oggi e su cosa riserva il futuro:

1. Il primo attacco al comando dell’IRGC fu un duro colpo, che eliminò personale chiave dalla rete di comando centrale dell’organizzazione: il gruppo di uomini che rimase unito fin dai primi giorni della guerra Iran-Iraq e che crebbe fino a trasformare l’IRGC nell’istituzione che è oggi.

2. Detto questo, le perdite di personale sono state rapidamente rimpiazzate dalla Guida Suprema dell’Iran. Sebbene la perdita della rete di comando centrale dell’IRGC avrà conseguenze a lungo termine sull’identità del gruppo, si tratta di un’istituzione tentacolare, progettata per il ricambio generazionale.

3. La perdita, e la successiva ripresa, del comando e controllo furono evidenti nella reazione iniziale dell’Iran all’attacco israeliano, con un ritardo notevole prima che l’Iran lanciasse la sua prima raffica di missili contro Israele. Ci volle ancora più tempo perché l’Iran riacquistasse un po’ di ordine nelle sue difese aeree.

4. Il ritardo nel comando e controllo tra missili e difese aeree potrebbe essere dovuto al fatto che i missili sono di esclusiva competenza dell’IRGC, mentre la difesa aerea è divisa con l’Artesh e governata dal quartier generale di Khatam al-Anbiya. In particolare, Israele ha preso di mira due volte il comandante del quartier generale di Khatam al-Anbiya.

5. Sebbene l’Iran abbia investito molto nelle sue difese aeree e rimarrà deluso dalle loro prestazioni fino ad oggi, è sempre stato chiaro che un nemico tecnologicamente superiore avrebbe potuto rapidamente sopraffarlo. È per questo che l’Iran ha scavato a fondo nel sottosuolo e utilizza strategie di guerra asimmetriche.

6. L’Iran subirà perdite significative, ma questo è incluso nella sua dottrina difensiva. Non avrà un obiettivo chiaro se non quello di infliggere a Israele abbastanza dolore da costringerlo a un cessate il fuoco. Per raggiungere questo obiettivo, prolungherà il conflitto il più a lungo possibile.

7. Questo è evidente nelle salve missilistiche dell’Iran: misurate e costanti, ma sufficientemente varie da tenere Israele in difficoltà. L’Iran non ha bisogno di lanciare 200 missili per raggiungere i suoi obiettivi; sferrare uno o due colpi di grande portata al giorno, ma per settimane consecutive, ha un impatto molto maggiore.

8. Il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra sconvolgerà l’attuale ritmo del conflitto. A differenza dello stile di guerra a distanza con Israele, l’Iran dispone di risorse ingenti che può impiegare per danneggiare gli interessi statunitensi nella regione. La sua intera dottrina militare è orientata al conflitto con gli Stati Uniti.

9. Se gli Stati Uniti entrassero in guerra, l’Iran avrebbe a disposizione decine di migliaia di missili balistici a corto raggio e sciami di droni e imbarcazioni d’attacco unidirezionali. Se la situazione non viene contenuta, il rischio di una grave escalation è enorme, con un ampio margine di conseguenze indesiderate.

10. Considerazione finale: dov’è Esmail Qaani, capo della Forza Quds e uno degli ultimi membri rimasti della rete di comando centrale dell’IRGC? La Forza Quds e i suoi alleati regionali sono stati duramente colpiti nell’ultimo anno, ma rimangono una forza potente e possono fungere da possibile guastafeste.

Infine, molti si chiedono perché Cina e Russia non “salvino” l’Iran con un massiccio ponte aereo, o come ha fatto l’Occidente per l’Ucraina. Innanzitutto, le notizie continuano a suggerire che la Cina lo stia effettivamente facendo:

Per quanto riguarda la Russia, Putin aveva precedentemente osservato che era la Russia a voler effettivamente concludere una partnership strategico-difensiva con l’Iran, ma l’Iran aveva rifiutato:

In breve, quando Russia e Iran hanno firmato una “partnership strategica” all’inizio di quest’anno, la Russia era disposta a elevarla allo stesso livello o a uno simile di quella con la Corea del Nord, dove includeva non solo un vago linguaggio di integrazione strategica, ma anche specifici obblighi di difesa in caso di attacco da parte di nazioni avversarie.

Perché l’Iran ha rifiutato?

L’inviato dell’Iran in Russia ha dichiarato quanto segue:

È stato l’Iran a ridurre deliberatamente la portata dell’accordo, rifiutandosi di includere una clausola di difesa reciproca completa. Prima della firma del “Partenariato Strategico Globale” il 17 gennaio 2025, l’ambasciatore iraniano a Mosca, Kazem Jalali, ha dichiarato apertamente che l’ Iran “non è interessato ad aderire ad alcun blocco di difesa” e preferisce mantenere la propria indipendenza e autosufficienza.

Di conseguenza, questo patto non rispecchia le disposizioni di difesa reciproca contenute negli accordi della Russia con la Bielorussia o la Corea del Nord. “La natura di questo accordo è diversa. Loro (Bielorussia e Corea del Nord) hanno instaurato relazioni di partenariato (con Mosca) in una serie di settori che non abbiamo trattato in modo specifico. L’indipendenza e la sicurezza del nostro Paese, così come l’autosufficienza, sono estremamente importanti. Non siamo interessati ad aderire ad alcun blocco”, ha dichiarato Kazem Jalali, ambasciatore iraniano a Mosca, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa TASS.

Bene, questo chiarisce le cose, non è vero?

Naturalmente, è ancora nell’interesse della Russia preservare l’Iran, patto di difesa o no, poiché la caduta dell’Iran comporterebbe gravi conseguenze per tutta l’Eurasia. Ma la Russia potrebbe benissimo contribuire in modi di cui non siamo ancora a conoscenza, o forse Putin semplicemente non ha la volontà o le risorse necessarie in questo momento.

Come breve affermazione conclusiva, dobbiamo riconoscere i culmini isterici che attualmente attanagliano il mondo. Sono un sottoprodotto e un’espressione della fase finale della “fine della storia” che siamo condannati a vivere, il punto cardine della grande Quarta Svolta. È un tempo di cambiamenti escatologici in arrivo, di finali e chiusure, che le nazioni e i loro leader possono intuire ma non verbalizzare del tutto. Possono agire solo d’impulso, con un’aggressività spaventata e riflessiva, un disperato bisogno di restare a galla, per non essere trascinati dalle oscure correnti sottostanti.

In tempi come questi, si avverte una sorta di impulso a “prendere tutto quello che si può”, simile a quello dei clienti del supermercato che in preda al panico accumulano latte e carta igienica. Solo che questo avviene su scala nazionale, con i leader mondiali che percepiscono l’imminente crisi, la frammentazione di vecchi sistemi e rituali, la dissoluzione degli ordini globali. In tempi come questi, i despoti più egoisti si affannano per trarre vantaggio dal caos e accaparrarsi ciò che resta della torta, in stile “cane mangia cane”.

Israele ne è il massimo esempio, poiché sente che la sua finestra di opportunità si sta chiudendo per sempre. Il mondo di domani promette schemi internazionali imprevedibili che non possono più garantire la marcia progressista di Israele verso il suo destino profetizzato. Anche Trump sembra essere stato colpito dallo spirito di follia isterica di questi tempi; metafisicamente intrappolato in una sorta di epilogo ricorsivo di “fine della storia”, incapace di elaborare il finale decisivo e necessario per la saga secolare dell’imperialismo della finanza privata, mentre il lustro dorato del MAGA svanisce lentamente in quello di una reliquia austera.

C’è ancora la possibilità di tornare indietro nel tempo, se Trump prendesse la decisione giusta. Può arginare la marea con un colpo di penna, ma le probabilità sono a suo sfavore. L’escalation e la guerra, in qualche modo, sembrano sempre opzioni più facili, forse perché il caos che generano rende facile distrarsi dai propri errori e mancanze – o persino dalla propria impopolarità e responsabilità penale, come nel caso di Bibi. È un parallelo calzante, dato che Trump ora rischia di seguire le orme di Netanyahu, diventando a sua volta un criminale di guerra vilipeso a livello globale e impopolare in patria.

Scelte.

SONDAGGIOCosa succederà?Trump bluffa e dà via libera all’Iran.Trump lancia attacchi su vasta scala.
SONDAGGIOSe Trump lanciasse degli attacchi, questi:Fallimento massiccio, l’Iran abbatte il B2Riuscire pienamente, l’Iran crollaPortare a una guerra di logoramento prolungataColpire i siti nucleari, poi ritirarsi

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America e la trappola di Sonny Corleone, di Morgoth

America e la trappola di Sonny Corleone

Una rapida occhiata alle mie preoccupazioni sul fatto che stiamo andando verso una trappola

Morgoth17 giugno
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Osservando gli eventi che si svolgono in Medio Oriente, mi è tornata in mente una scena del film originale Il Padrino . O, più precisamente, un arco narrativo che culmina con la morte del figlio maggiore del Padrino, Sonny Corleone. È una scena famosa e iconica che la maggior parte delle persone conoscerà. Sonny, interpretato da un giovane James Caan, si dirige verso un casello autostradale; il conducente si china per ripararsi e dei gangster stereotipati con mitragliatrici spuntano ai lati di Sonny e aprono il fuoco, crivellandolo di colpi.

La scena in cui il Padrino, Vito Corleone, si lamenta della morte del figlio all’obitorio, affermando: “Guarda come hanno massacrato mio figlio!” è diventata un meme su internet. Tuttavia, ciò che tende a passare inosservato è la trappola più ampia tesa a Sonny, che alla fine ne provoca la morte.

Nella narrazione, il temperamento irascibile, la rabbia e la natura impulsiva di Sonny intimidiscono e spaventano la famiglia rivale Barzini. Dopo aver reso inabile il Padrino in persona, si ritrovano ora a dover affrontare Sonny, un tipo un po’ irrequieto.

La natura volubile di Sonny si manifesta agli occhi di tutti quando riceve una chiamata da sua sorella Connie, che lo informa che suo marito Carlo l’ha picchiata. Sonny, infuriato, si dirige verso il loro appartamento, dove inizia a picchiare Carlo quasi a morte in pubblico. Nonostante il padre lo avesse rimproverato in precedenza per non essersi controllato in pubblico e aver lasciato che gli altri capissero cosa stava pensando, Sonny ha fatto proprio questo.

I nemici della famiglia Corleone ora hanno una maggiore comprensione della psicologia di Sonny. Non solo è impulsivo, violento e incline alla rabbia, ma è anche profondamente devoto a sua sorella e alla sua famiglia, e getterà al vento ogni cautela se si preme il pulsante giusto.

Così, la famiglia Barzini recluta Carlo e gli ordina di picchiare di nuovo Connie. L’esca viene preparata con cura nella trappola e, fedele al suo carattere, Sonny respinge gli appelli alla calma e si precipita a uccidere Carlo, ignaro che uomini con meno scrupoli hanno calcolato la sua mossa esatta.

L’arco narrativo di Sonny ne Il Padrino è una sorta di rivisitazione della storia di Achille in Ovidio. L’arroganza e la furia di Achille dopo la morte di Patroclo rivelano ai suoi nemici una debolezza. O, più notoriamente, il suo tallone.

Pochi negherebbero che Donald Trump sia uno dei politici più impulsivi e roboanti sulla scena mondiale della storia recente. Allo stesso modo, pochi negherebbero che le élite occidentali, e quelle americane in particolare, dimostrino una lealtà e una devozione incrollabili verso Israele. Ne sono orgogliose e lo dimostrano in ogni occasione.

Possiamo quindi supporre che, se ce ne siamo accorti noi, lo abbiano fatto anche altri in tutto il mondo. La natura impulsiva di Trump, unita alla devozione servile dell’America verso Israele, potrebbe non avere esattamente lo stesso tono di un duro che difende la sorella dal diventare una moglie maltrattata. Tuttavia, in senso geopolitico, equivale a qualcosa di simile. È una debolezza che può essere sfruttata, non un punto di forza.

Si può approfondire l’argomento di incentivi più ampi, come il progetto cinese Belt and Road, le perdite della Russia in Ucraina, dovute principalmente agli armamenti americani ed europei, e il più ampio “Grande Gioco” emergente del XXI secolo. Tuttavia, bisognerebbe essere davvero ingenui per non collocarsi negli uffici e nella pianificazione strategica dei paesi BRICS e non considerare i passi montani e le pianure della Persia come potenziali campi di sterminio per l’arroganza e la superbia americana.

È una previsione? No. È una preoccupazione. Il fatto è che le élite occidentali sono diventate prevedibili e arroganti. Sono diventate orgogliose e, purtroppo, temo che i ragazzi bianchi dell’Alabama e forse persino di Teeside ne pagheranno il peso.

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Virtual American Century_di Cesare Semovigo

Clamoroso Palantir Predictive Word Governance

La Terza Guerra Mondiale si fará : garantisce Alex Karp di Palantir

Il guru di Palantir, che non si limita a prevedere un conflitto globale, fa di più lo spacchetta in pratica con l’accuratezza di chi, nei corridoi del Pentagono, si muove come nel salotto di casa. America contro Russia, Cina e Iran, tutti insieme appassionatamente. Altro che Risiko: chiude l’epoca degli ideali, largo al software che promette la vittoria e pure la pace, se restano abbastanza nemici stesi sul campo.

Karp, con il suo tono da generale-filosofo della Silicon Valley, ci mette davanti all’evidenza: l’Occidente si è fatto sorprendere con le braghe calate, troppo impegnato a chiedersi se la guerra sia una brutta parola, mentre le potenze rivali hanno già acceso i motori dell’intelligenza artificiale e dei droni assassini. Bisogna scrollarsi di dosso i complessi: qui non è più tempo di mani pulite, serve il dito pronto sul mouse. L’AI non serve a scrivere email più in fretta, ma a schiacciare interi eserciti pixel per pixel.

Chi osa evocare la diplomazia viene archiviato tra i “buonisti da brunch”: nel nuovo romanzo geopolitico secondo Palantir, la Silicon Valley deve smettere di fare yoga e iniziare a sfornare armi a ciclo continuo. Etica?
Un fastidio vintage. “La nostra software porta morte ai nemici della civiltà,” sussurra Karp con la tranquillità di chi sa che, tanto, la storia la scrivono i vincitori e i suoi sono quelli con più RAM e meno scrupoli.

Morale della favola: mentre le democrazie occidentali si interrogano su consenso, privacy e altre tenerezze, Karp è già all’ultimo capitolo. La pace? Solo dopo un aggiornamento di sistema. Il futuro, quello vero, è una Repubblica Tecnologica dove ogni cittadino è un byte nell’infinita guerra per la supremazia. Altro che ONU, benvenuti nel Nuovo Ordine Mondiale formato cloud.
Così la prossima volta impareranno cosa vuol dire essere scortesi
con una signora come la Master Of CIA Tulsi Gabbard .

Cesare Semovigo @TulsiGabbard #Palantir #AlexKarp

SITREP 6/16/25: Lentamente abbandonata, l’Ucraina viene schiacciata dalla pressione russa, di Simplicius

SITREP 16/06/25: Abbandonata lentamente, l’Ucraina è schiacciata dalla pressione russa

Simplicius17 giugno
 
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Il Wall Street Journal ha deciso di pubblicare un articolo che non ha nulla da invidiare ad alcuni dei migliori dell’ISW:

https://www.wsj.com/world/ dove-la-russia-sta-avanzando-in- ucraina-e-cosa-spera-di- guadagnare-ad870176

Leggi il sottotitolo: “L’offensiva di Mosca è progettata per far credere ai leader che [la Russia sta vincendo]”.

Si allinea perfettamente con gemme famose come questa:

Secondo il WSJ, conquistare territori record non equivale a vincere, ma solo a illudersi di riuscirci. Il WSJ ammette che a maggio la Russia ha conquistato più territorio che in qualsiasi altro mese dal 2022:

A maggio le forze russe hanno invaso più territorio ucraino che in qualsiasi altro mese dalla fine del 2022, mentre il Cremlino spinge per un’offensiva estiva per dare l’impressione in Occidente che la vittoria sia a portata di mano.

Vedete, le conquiste russe creano semplicemente l’ impressione che la vittoria sia imminente, non la sua manifesta realtà.

È interessante notare che l’articolo cita un soldato ucraino che afferma non solo che i russi hanno un vantaggio di 2 a 1 in termini di uomini a Sumy, ma che la Russia detiene anche il vantaggio dei droni. Ricorderete in uno dei nostri ultimi aggiornamenti la citazione specifica secondo cui i droni russi stavano di gran lunga oscurando quelli ucraini a Sumy, in particolare: ora ne abbiamo la conferma.

“Lo schema è familiare: il nemico vuole disperdere le nostre forze su un lungo fronte, prosciugare le nostre risorse e logorarci”, ha detto, aggiungendo che finora il numero di truppe ha permesso che le posizioni fossero ancora difendibili. “Stanno preparando il terreno”, ha detto riferendosi ai russi. “La pressione non farà che aumentare con l’avanzare dell’estate”.

In merito a quanto sopra, il canale Rezident_UA osserva:

Insider

L’MI-6 ha trasmesso all’ufficio presidenziale nuove informazioni secondo cui la Russia sta preparando un esercito di un milione di uomini per una nuova campagna in Ucraina, che potrebbe iniziare in autunno. Nuove brigate sono state create e dotate di personale a questo scopo, non ci sarà un attacco principale in prima linea e, secondo l’intelligence britannica, l’esercito russo premerà su 4-7 sezioni del fronte per sforzare le forze delle Forze Armate ucraine e far crollare l’intera linea di difesa.

rezident ua

L’articolo conclude:

Hanno cominciato ad emergere altri indicatori che corroborano i nostri recenti resoconti sulla potenziale fragilità delle linee ucraine:

“Nel 3° Corpo d’Armata delle Forze Armate dell’Ucraina, un soldato controlla un chilometro del fronte” – leader nazista Biletsky

Il comandante del 3° Corpo afferma che una brigata detiene un fronte di 60 km, sebbene i regolamenti prevedano un massimo di 15 km.

Allo stesso tempo, ritiene che le forze esistenti siano “sufficienti a mantenere la linea del fronte”.

Fa notare inoltre che nelle Forze armate ucraine la distribuzione del personale è inefficace: le persone istruite ed esperte finiscono nei “posti sbagliati”, motivo per cui “la fanteria sta peggiorando”.

Come se non bastasse, un comandante di battaglione ucraino della 72ª Brigata afferma che le forze russe sono più numerose delle sue, con un rapporto di 10:1, nella loro sezione del fronte, che è una delle più calde, in direzione di Pokrovsk:

Nella regione di Dnipropetrovsk ci sono 10 combattenti russi per 1 soldato ucraino — comandante del battaglione ucraino

Il comandante di battaglione della 72a brigata delle forze armate ucraine lamenta la mancanza di personale.

“Per ogni ucraino ci sono 10 russi”, afferma.

Secondo lui, nonostante la resistenza delle Forze Armate ucraine, l’esercito russo sta avanzando costantemente.

Fa notare inoltre che le truppe russe effettuano rotazioni molto più spesso rispetto alle Forze Armate ucraine.

Certo, dà la risposta banale che i russi vengono massacrati, ma allora com’è possibile che siano in superiorità numerica di 10 a 1 rispetto ai suoi uomini, quando è dimostrato che l’Ucraina ha iniziato la guerra con molti più uomini della Russia? Chiaramente, i suoi uomini vengono massacrati ancora di più.

L’attenzione è sempre più rivolta a Sumy, dove i funzionari ucraini sostengono che la Russia sta accumulando una forza sempre più numerosa.

La Russia continua a rafforzare la sua forza d’attacco nei pressi di Sumy.

Secondo Petro Andryushchenko, ex consigliere del sindaco di Mariupol, nel fine settimana sono stati trasferiti a Mariupol almeno dieci nuovi cannoni semoventi, un sistema di difesa aerea e più di quaranta camion con personale e munizioni.

Secondo la sua valutazione, si tratta del più grande movimento militare durante l’intero conflitto e di un’intensità senza precedenti. Il flusso principale proviene dalla Crimea e dalla regione di Kherson, e la direzione è la regione di Sumy, dove è già stata registrata un’avanzata attiva delle truppe russe, giunte in prossimità del centro regionale.

Di seguito l’intervista completa ad Andryushchenko sul canale ucraino Trukha, con i relativi punti salienti:

Massivo trasferimento di equipaggiamento militare russo nella regione di Sumy, minaccia per la regione di Dnipropetrovsk e oltre. Cosa c’è da sapere sulla situazione attuale in prima linea? Diamo un’occhiata.

Petro Andriushchenko, ex consigliere del sindaco di Mariupol e direttore del Centro per lo Studio dell’Occupazione, ha annunciato il più grande trasferimento di forze militari russe degli ultimi sei mesi. Ne ha illustrato i dettagli in esclusiva per Trukha Ucraina:

Negli ultimi giorni, la direzione principale del trasferimento di attrezzature russe da Mariupol è stata verso la regione di Sumy via Taganrog e Rostov sul Don;

Sono stati registrati diversi grandi convogli: più di 10 nuovi cannoni semoventi, oltre 40 camion con equipaggiamento da combattimento e personale, trattori e un sistema di difesa aerea. Sono stati inviati nella regione di Kursk. In particolare, sono stati inviati nella regione di Sumy;

Si tratta del trasferimento più grande degli ultimi sei mesi e del primo del suo genere dall’inizio della guerra.

Per quanto riguarda le nuove unità di artiglieria semoventi, sembra che la Russia veda del potenziale nella regione di Sumy o voglia aumentare la pressione attraverso di essa.

Alcuni movimenti nella regione di Zaporizhia vengono rafforzati.

La Russia sta cercando di riprendere le operazioni offensive nell’area di Huliaipole. Ma sta subendo duri colpi dalle Forze Armate ucraine, che le stanno costringendo a perdere le riserve prima che possano essere schierate in operazioni d’assalto;

La scorsa settimana è stato osservato un attivo ridispiegamento nel nord della regione di Donetsk, attraverso Mariupol. Questa settimana non è stata registrata alcuna attività del genere.

L’analista militare Dmytro Snegirev ha parlato in esclusiva a Trukha Ukraine degli obiettivi tattici della Federazione Russa e della situazione nelle varie aree:

L’obiettivo strategico della Federazione Russa nelle regioni di Sumy, Kharkiv, Zaporizhia e Kherson è quello di accedere al poligono di tiro dell’artiglieria lanciarazzi.

Direzione Sumy. L’obiettivo tattico della Federazione Russa è occupare gli insediamenti di Yunakivka e Khotyn. Ciò consentirà loro di mantenere le aree residenziali di Sumy sotto il controllo del fuoco dell’artiglieria pesante. Ciò creerà caos e panico;

Direzione di Kharkiv. La tattica della Federazione Russa è pressoché la stessa. L’obiettivo è infliggere danni da fuoco con l’artiglieria a barili;

La Federazione Russa non sarà in grado di conquistare Kharkiv, Sumy e Zaporizhia. Non hanno sufficienti riserve operative per tali operazioni;

Direzione Bakhmut. Non sarà possibile prendere Chasiv Yar. Lo dimostra il fatto che l’FSB vi è stato trasferito come riserva. È significativo il fatto che vengano usati come truppe d’assalto;

Direzione Zaporizhia. La distanza è fino a 40 km. Ma i droni FPV russi hanno già colpito edifici residenziali due volte. Questo è un segnale allarmante. Inoltre, si è verificata un’intensificazione delle ostilità e tentativi di avanzare più in profondità nella regione, fino a raggiungere una distanza tale da causare danni da incendio sopra il centro regionale;

Direzione di Kherson. Un’operazione anfibia su larga scala è impossibile. La larghezza del fiume Dnipro è fino a 1 km. La Federazione Russa è priva di imbarcazioni e riserve operative, e le Forze Armate ucraine hanno una superiorità di fuoco. Non si può parlare di un assalto a Kherson;

Direzione Dnipropetrovsk. È difficile lì. Ma la Federazione Russa non ha accesso ai confini amministrativi. Questa è una finta pressione, per mostrare la minaccia di intensificare le operazioni di combattimento a scapito di nuove regioni. Non c’è alcun accerchiamento operativo.

Il primo video mostra l’avanzata dei russi in prima linea dall’inizio del 2025.”

È interessante notare che la Russia non ha alcuna possibilità di conquistare Cherson a causa della larghezza del Dnepr. Ecco un nuovo video girato da un ucraino che mostra l’aspetto attuale del bacino di Kakhovka, due anni dopo la distruzione della diga:

Infine, per quanto riguarda Sumy, Ukrainska Pravda ha pubblicato un nuovo, lungo e dettagliato articolo sulla direzione di Sumy e sui problemi che l’AFU sta attraversando lì. Trattandosi di una fonte ucraina che attinge direttamente dalle truppe ucraine in prima linea, offre una rara panoramica su quel fronte critico.

Inizia rivelando che esiste una sorta di censura in questa direzione, con i giornalisti ucraini a cui non è consentito l’accesso alla regione e il comando militare che non contrassegna più il territorio conquistato dalla Russia nelle mappe dei propri report giornalieri . Questo include le mappe di DeepState, il cartografo ucraino semi-ufficiale legato al Ministero della Difesa ucraino. Questo accade essenzialmente perché DeepState ricava le sue informazioni direttamente dalle mappe “ufficiali” del Ministero della Difesa ucraino, e quindi quando il Ministero della Difesa ucraino stesso non aggiorna una direzione, questo si riflette nei report di DeepState.

L’articolo dell’Ukrainska Pravda rivela la frustrazione delle truppe del 425° battaglione d’assalto Skala schierato a Sumy:

Innanzitutto a causa dell’enorme carenza di personale nelle unità di rinforzo, cioè di coloro che dovevano restare sulla difensiva dopo gli assalti del 225° e 425° battaglione.

Uno dei nostri interlocutori ha risposto alla domanda chiarificatrice “State avanzando verso Tetkino?”:

“Stiamo avanzando a rilento”, il che significa che continuiamo ad attaccare ripetutamente, senza riuscire a tenere ferma la difesa in seguito.

Un altro soldato afferma:

“I russi hanno schierato paracadutisti d’élite, e alcune delle nostre unità si sono rifiutate di entrare in posizione per difendere i fianchi. E il nostro battaglione è stato annientato durante questo mese di assalti, quindi ora siamo più sulla difensiva “, afferma UP, uno dei combattenti che ha partecipato all’offensiva in direzione di Tetkinoye.

Ricordiamo che Tetkino è il luogo in cui l’Ucraina sostiene di aver ottenuto un certo “successo” di recente, ma a quanto pare ciò avviene a caro prezzo, dato che il soldato ammette che il suo battaglione è stato “annientato” lì.

UP descrive le due visioni opposte sull’offensiva di Sumy:

La maggior parte dei nostri interlocutori tra i civili residenti a Sumy è della stessa opinione: non c’è una grande avanzata russa nella regione di Sumy, e nei villaggi conquistati non ci sono mezzi pesanti che potrebbero raggiungere Sumy, quindi non bisogna esagerare i rischi. La città in sé non è ancora in pericolo.

Allo stesso tempo, quasi tutto il personale militare che gestisce la difesa lungo il confine e nell’area di Yunakovka, nonché che guida queste unità a livello di comando – paracadutisti, guardie di frontiera – è significativamente meno ottimista. Ci hanno descritto la situazione come “difficile”, “critica”, “caos” e “super f* * k”. Mancano uomini, in particolare equipaggi di FPV potenti, droni a fibra ottica, fortificazioni, posizioni preparate, operazioni di sminamento tempestive e una consolidata interazione tra le unità per una difesa efficace.

L’UP spiega come la Russia sia riuscita a compiere tali progressi a Sumy; ancora una volta la causa è stata l’avida e avida prepotenza di Zelensky, che ha inviato battaglioni a essere “spazzati via” in altri inutili assalti a Tetkino, nella regione di Kursk, mentre Sumy veniva invasa:

La successiva grande rivelazione, che contraddice gran parte della propaganda ucraina, è stata che le difese russe nella regione avevano “sorpreso” notevolmente gli ucraini:

L’Ucraina non ha sfruttato il periodo dell’operazione Kursk per rafforzare il suo confine nella regione di Sumy.

“Quando eravamo seduti sulle posizioni russe, siamo rimasti molto sorpresi nel vedere che avevano trincee di 6-8 chilometri ciascuna, che si estendevano sottoterra e portavano tutte al confine, al checkpoint. Hanno fortificato il loro confine molto bene. E ora siamo nella regione di Sumy, e qui non c’è proprio niente… bisogna affrettarsi a fare qualcosa per se stessi. L’altro giorno, i miei ragazzi stavano tenendo la difesa nei rifugi scavati nel 2014. Ha iniziato a piovere e sono rimasti allagati fino alla cintola.

Quando c’era Kursk, si poteva usare la fantasia e creare un mondo sotterraneo nella regione di Sumy. Ma nessuno ha fatto nulla. “Se avessimo teso le reti sulle strade prima, la situazione nella regione di Kursk si sarebbe potuta evolvere diversamente”, si indigna il sergente capo di una delle unità UAV, che in precedenza aveva combattuto nella regione di Kursk e ora opera nella regione di Sumy, in un’intervista con l’UP.

“Non c’era assolutamente nulla di cementato lì. Sebbene fosse possibile realizzare fortificazioni a tutta lunghezza con l’equipaggiamento, nessuno lo fece”, conferma il nostro interlocutore della 17a brigata.

È interessante notare che il famoso corrispondente di guerra Sladkov ha appena visitato proprio una di queste “città” sotterranee nella regione di Sumy. Appartiene all’83ª brigata paracadutisti d’assalto aereo che combatte sul fronte di Yablonovka e impiega un’ingegnosità degna dei Vietcong, con botole e falsi tunnel:

L’articolo sottolinea l’obiettivo della Russia di estendere il più possibile le forze ucraine, non solo sull’intero fronte, ma anche su fronti locali; ad esempio, nella regione di Sumy, attaccando lungo più assi. Il gioco che noi stessi abbiamo delineato qui oltre due anni fa rimane: la Russia continuerà a riversare forze mentre le forze ucraine si assottigliano, finché qualcosa non si romperà – l’unica domanda è quale sarà la prima linea del fronte. L’Ucraina è sempre più costretta a destreggiarsi tra le sue riserve in diminuzione e i vari punti caldi, mentre il ritmo accelera come l’acqua che irrompe da una diga che crolla.

Nella regione di Sumy, le forze russe hanno lentamente circondato e catturato Yunakovka, raggiungendo anche Sadky sul suo fianco orientale:

Al momento in cui scrivo, alcuni rapporti sostengono addirittura che le forze russe abbiano preso completamente Yunakovka, anche se la notizia non è ancora stata confermata:

A sud-est di lì, sulla triplice frontiera Donetsk-Kharkov-Lugansk, le forze russe stanno avanzando oltre Ridkodub, recentemente conquistata, verso Karpovka:

Poco più a sud, sul fronte di Seversk, avrebbero catturato Gregorovka, a lungo contesa, che aveva cambiato più volte padrone nel lontano passato, avvicinandosi lentamente all’indomita fortezza di Seversk:

Avanzarono anche sui fianchi appena a sud, appiattendo l’intero fronte lungo le linee gialle in alto.

La Terza Armata d’assalto russa issa la bandiera nel settore Grigorovka/Hryhorivka Syversk/Seversk.

Nel Giorno della Russia, i nostri soldati hanno liberato il villaggio di Grigorovka, nella regione di Seversk. Il coraggio e l’eroismo dei nostri soldati ci hanno permesso di sventare l’offensiva nemica nel più breve tempo possibile. A seguire, buon Giorno della Russia.

La vista satellitare di questo insediamento è una testimonianza particolare dell’inferno dei combattimenti che si sono svolti qui negli ultimi due anni e passa: basta dare un’occhiata al paesaggio costellato di crateri lunari:

In realtà, questa città dista solo poche centinaia di metri dal luogo in cui ebbe luogo il disastroso attraversamento del Seversky Donets nel maggio 2022, durante il quale la 74ª brigata russa perse decine di carri armati e veicoli blindati.

A est di Pokrovsk, le forze russe catturarono Koptjeve, migliorando nel contempo le posizioni altrove lungo questo fronte:

Poco a sud di Koptjeve, Myrne è devastata dopo la liberazione di Malinovka, avvenuta negli ultimi due giorni.

Liberazione di Ulyanovka (nome russo di Malinovka): un assalto tattico della 39a Brigata delle Guardie

I soldati della 39ª Brigata Fucilieri Motorizzata Separata della Guardia hanno liberato con successo l’insediamento di Ulyanovka, nella Repubblica Popolare di Donetsk. Affrontando le possenti fortificazioni nemiche, le nostre forze sono avanzate gradualmente utilizzando motociclette, buggy e pattuglie a piedi, con la nebbia a fornire una copertura essenziale dai droni nemici. L’assalto ha previsto attacchi da più lati per liberare le posizioni fortificate, con conseguente annientamento dei militanti in fuga e cattura di altri. Nel villaggio, le truppe hanno scoperto equipaggiamento NATO, depositi di armi e rifornimenti occidentali.

Di fatto, i russi stanno ora conquistando una seconda Malinovka, più vicina a Gulaipole, molto più a ovest, a Zaporižžja.

Ironicamente, la città è stata il set di un famoso film sovietico la cui trama ruota attorno al fatto che la città “cambiava di mano” ogni giorno tra le forze nazionaliste sovietiche e quelle ucraine:

Il film racconta la storia di un villaggio ucraino durante la guerra civile russa. Con un’alternanza quasi quotidiana di potere tra le forze sovietiche e quelle nazionaliste ucraine, gli abitanti di Malinovka non sono mai sicuri di chi sia al comando, quindi modificano il loro comportamento e si vestono di conseguenza.

L’ironia sta nel fatto che, durante questa guerra, la cosa è cambiata di mano più volte:

Le truppe russe si sono impadronite di Malinovka. Quella stessa Malinovka, nella zona di Gulyaipole, dove è stato girato il film “Nozze a Malinovka”.

Malinovka era già occupata dalle truppe russe all’inizio dell’SMO, ma è stata abbandonata nella primavera del 2022. Più di 3 anni dopo, ci stiamo tornando.

A ovest di Pokrovsk, l’insediamento strategico di Udachne è stato finalmente conquistato dalle truppe russe ed è già quasi per metà conquistato:

A sud-ovest le forze russe catturarono completamente Oleksiivka e subito dopo Zelenyi Kut, appena a nord di Bogatyr, recentemente conquistata:

Le forze armate russe hanno liberato l’insediamento di Alekseyevka in direzione di Dnepropetrovsk

I soldati della 14a Brigata Fucilieri Motorizzata della 51a Armata hanno issato le bandiere in una zona popolata

Nelle vicinanze, le truppe russe entrarono finalmente e catturarono Komar e persino l’insediamento adiacente di Perebudova, appena a nord:

I marines della 336ª Brigata e la fanteria della 37ª Brigata Fucilieri Motorizzata occuparono il villaggio di Komar, a ovest di Otradnoye e Bogatyr, sulla riva orientale del fiume Mokryye Yaly. Il grande villaggio fu liberato abbastanza rapidamente, in soli quattro giorni.

Ci sono stati molti altri piccoli progressi, ma queste sono state le principali catture di insediamenti degli ultimi due giorni.

L’analista ucraino Tatarigami condivide apertamente le sue previsioni in peggioramento:

Ultimi articoli:

Secondo quanto riferito, i rifugi antiaerei russi stanno finalmente venendo costruiti un po’ ovunque, in particolare nell’aeroporto di Khalino Kursk e in diversi aeroporti della Crimea:

Immagine satellitare degli hangar protettivi per aerei presso la base aerea di Saki in Crimea, nonché di 5 droni Orion, apparentemente utilizzati per contrastare i droni ucraini nel Mar Nero.

Di recente sono apparse foto ravvicinate di questi hangar.

Catturato da terra:

I funzionari occidentali stanno terrorizzando i loro cittadini, dicendo loro che se non cederanno una parte maggiore delle loro tasse ai complessi militari-industriali, presto saranno costretti a imparare a parlare russo:

Durante una riunione della Commissione Difesa del Parlamento britannico, al Capo di Stato Maggiore della Difesa della Gran Bretagna, ammiraglio Tony Radakin, è stato chiesto se i membri della NATO dovranno davvero imparare il russo, come aveva precedentemente affermato il nuovo Segretario Generale dell’Alleanza, Mark Rutte.

Ricordiamo che Rutte aveva affermato che se i paesi della NATO non avessero iniziato a spendere almeno il 5% del loro PIL per la difesa, avrebbero dovuto imparare il russo, alludendo alla minaccia proveniente dalla Russia.

A questo Radakin rispose con un sorriso in russo: “Vorrei proprio dire: “nyet”, suscitando sorrisi tra i partecipanti all’incontro.

Segue una nuova iniziativa di propaganda sulla stampa britannica:

Si sono verificati diversi nuovi scambi di corpi, con una disparità che è diventata sempre più preoccupante per l’Ucraina:

16/06/25 Scambio di salme Il 16 giugno, nella zona SVO tra Russia e Ucraina, si è svolto un altro scambio di salme di militari caduti. L’Ucraina ha ricevuto le salme di 1.248 militari caduti, la Russia di 51. Grafico dello scambio di salme dei deceduti negli anni 23-25.

Blu: corpi ucraini restituiti dalla Russia.
Rosso: corpi russi restituiti dall’Ucraina.

Ora la Russia afferma di volerne restituire altre migliaia.

Putin afferma che, a differenza della Russia e degli Stati Uniti, l’Europa è indifesa contro i missili balistici e i leader europei dovrebbero capirlo:

L’ambasciatore russo nel Regno Unito Kelin afferma che la Russia ha le risorse per continuare la guerra per molto tempo. Ancora più interessante, afferma che il conflitto in Ucraina non è una “guerra” e che se la Russia scegliesse di fare una vera guerra, potrebbe tagliare l’intero Dnepr distruggendo tutti i ponti:

D’altro canto, il negoziatore russo e collaboratore di Putin Medinsky afferma che i russi chiedono al governo misure più severe, tra cui gli “Oreshnik su Kiev”:

Putin annuncia la creazione di un ramo separato di sistemi senza pilota per le Forze Armate russe:

Lindsey Graham presenta un disegno di legge sulle sanzioni che suona sospettosamente come un’autoimmolazione economica suicida:

Infine, al momento in cui scrivo è in corso una nuova tornata di attacchi missilistici contro Kiev: qui si vedono i Kh-101 disperdere i razzi prima di colpire i loro obiettivi:


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Stratotankers , Flotte e Mercati : Si va alla Guerra_di Cesare Semovigo e Roberto Iannuzzi

Nimitz, HMS Prince of Wales e la flotta di tanker : la pressione su Hormuz

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Rotte , identificativi dei Tanker e Stratotanker verso l’Europa e il Medio Oriente

L’arrivo della USS Nimitz nel Golfo, assieme alla HMS Prince of Wales della Royal Navy, segna una svolta nella postura militare occidentale verso l’Iran. Oggi tra la costa meridionale iraniana e l’Oceano Indiano sono operative, oltre alle due portaerei con i rispettivi gruppi d’attacco, anche un’imponente flotta logistica composta da almeno 25 tanker – tra cui diversi aerocisterne RAF britannici, tanker tedeschi e turchi già rischierati a Cipro come supporto avanzato. La presenza simultanea di queste unità non ha solo una valenza operativa, ma trasmette ai mercati e a Teheran la capacità occidentale di sostenere operazioni aeronavali prolungate e su larga scala.

I tanker – navi cisterna e aerocisterne – sono il cuore logistico per una proiezione di potenza a lunga distanza: garantiscono il rifornimento in volo a jet e droni, permettendo alle forze aeree NATO e USA di operare ininterrottamente dal Mediterraneo orientale fino al Golfo Persico e oltre. La scelta di posizionare asset RAF, turchi e tedeschi a Cipro, a raggio d’azione da Iran e Levante, evidenzia la volontà di coalizione e la preparazione a scenari di escalation che potrebbero coinvolgere direttamente anche i partner europei e NATO.

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La Nimitz , forse verso il canto del Cigno . Nome Nomen

Mercati e geopolitica: rischi estremi tra downgrade e minaccia energetica

Sul fronte dei mercati, la mobilitazione navale e il rischio di uno scontro diretto nello Stretto di Hormuz si sommano a uno scenario finanziario già teso. Il credito internazionale sconta una vera crisi di fiducia verso il debito americano, con i Treasury valutati come se fossero soggetti a un imminente declassamento multiplo, fino al rating BBB – a un passo dalla perdita dello status investment grade.

L’effetto combinato di questa crisi di credibilità e dell’escalation militare è dirompente: un blocco di Hormuz metterebbe a repentaglio il transito di un quinto del petrolio mondiale, determinando un’impennata dei prezzi dell’energia e alimentando nuove onde speculative sui mercati. I tassi dei Treasury già in forte rialzo rischiano di salire oltre il 6% in caso di downgrade effettivo, con i mutui a doppia cifra e un rischio recessione globale imminente. La presenza massiccia della logistica occidentale nel Mediterraneo e nel Golfo, con asset aerei e navali pronti a sostenere operazioni prolungate, manda un messaggio chiaro sia ai mercati che agli alleati: la regione resta una polveriera il cui innesco potrebbe essere un incidente o una decisione politica improvvisa, e il prezzo sarà pagato da tutto il sistema energetico e finanziario globale.

Cesare Semovigo

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Mercati e Presagi

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Israele attacca l’Iran, in Occidente prevale il partito della guerra

Pressato da Israele e dal “partito interventista”, Trump potrebbe finire per scatenare in Medio Oriente una guerra regionale dai rischi imprevedibili.

Roberto Iannuzzi16 giugno
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Bombardamento israeliano su Teheran ( Mehr News Agency , CC BY 4.0 )

La guerra mossa da Israele contro l’Iran nelle prime ore del 13 giugno era per molti versi annunciata. All’indomani dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, il premier israeliano Benajmin Netanyahu aveva dichiarato che Tel Aviv avrebbe “cambiato il Medio Oriente”.

Il governo israeliano ha sfruttato quel sanguinoso evento per infliggere colpi durissimi ai propri avversari regionali riuniti nel cosiddetto “Asse della Resistenza” filo-iraniano.

Gaza, l’enclave palestinese controllata da Hamas, è stata rasa al suolo. Una violenta campagna di bombardamenti in Libano ha portato alla decapitazione della leadership di Hezbollah in Libano, e all’uccisione del suo segretario generale Hassan Nasrallah.

Dopo la caduta del presidente siriano Bashar al-Assad in Siria, Israele ha smantellato le infrastrutture militari del paese con una serie di attacchi aerei. Dominando ormai i cieli siriani, e con lo spazio aereo iracheno controllato dall’alleato americano, per Israele la strada verso l’Iran era aperta.

In seguito a quegli eventi, nel dicembre 2024 avevo scritto che:

per il governo Netanyahu il trofeo finale resta l’Iran, rimasto più isolato a seguito dell’indebolimento dell’asse della resistenza.

Alla vigilia del cessate il fuoco in Libano, il premier israeliano aveva dichiarato che accettava l’accordo per tre ragioni: rifornire gli arsenali israeliani ormai svuotati, aumentare la pressione su Hamas, e concentrarsi sull’Iran.

Sulla stampa israeliana si stanno moltiplicando gli articoli che parlano di una “finestra di opportunità” per colpire le installazioni nucleari iraniane alla luce dello stato di debolezza in cui si troverebbe Teheran.

La tesi è che l’Iran, isolato a livello regionale, potrebbe puntare a costruire l’arma atomica se i suoi impianti nucleari non verranno distrutti. Perciò l’aeronautica israeliana si starebbe preparando per un possibile attacco.

L’eliminazione delle difese aeree siriane offre a Israele un corridoio sicuro per arrivare al confine iraniano attraverso l’Iraq, il cui spazio aereo è controllato dall’alleato statunitense.

L’ideale per Tel Aviv sarebbe coinvolgere Washington nell’operazione.

Fonti israeliane confermano che un’azione militare contro l’Iran era in preparazione da anni , ma tali preparativi si sono intensificati negli ultimi otto mesi .

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Il nucleare iraniano come pretesto

Il governo Netanyahu ha giustificato l’attacco affermando che non vi era altra scelta per impedire all’Iran di entrare in possesso dell’arma atomica.

“Il regime iraniano ha lavorato per decenni al fine di ottenere un’arma nucleare. Il mondo ha tentato ogni possibile via diplomatica per impedirlo, ma il regime ha rifiutato di fermarsi”, ha sostenuto un comunicato dell’esercito israeliano.

Tali affermazioni non corrispondono alla realtà. Il programma nucleare iraniano paradossalmente ebbe inizio grazie agli americani sotto lo Shah Mohammad Reza Pahlavi. Dopo la rivoluzione islamica del 1979, l’Ayatollah Khomeini, contrario all’energia nucleare, non riattivò il programma.

A seguito della traumatica esperienza della guerra Iran-Iraq, protrattasi dal 1980 al 1988, la leadership iraniana decise tuttavia di riavviare le attività di ricerca inclusi nucleari i possibili impieghi militari.

Dopo essere stato scoperto dall’Occidente, il programma nucleare militare fu tuttavia sospeso nel 2003 e da allora non è più stato ripreso, secondo tempi dell’intelligence USA.

Ad oggi l’Iran aderisce al Trattato di non proliferazione (TNP). Nel 2015 Teheran stipulò un accordo nucleare con l’allora amministrazione Obama. Esso imponeva un regime ancor più stringente di sorveglianza e contenimento delle attività nucleari iraniane in cambio della rimozione delle sanzioni internazionali a carico dell’Iran.

Sia secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) che secondo l’intelligence USA, l’Iran ha rispettato i termini di quell’accordo (sebbene proprio gli USA non l’abbiano fatto, rimuovendo solo parzialmente l’impianto sanzionatorio nei confronti di Teheran).

Fu Donald Trump nel 2018 (durante il suo primo mandato) ad uscire unilateralmente dall’accordo reimponendo le sanzioni americane in tutta la loro forza, sebbene Teheran avesse ottemperato all’accordo.

Adottando una strategia di “pazienza strategica”, l’Iran ha continuato a rispettare i termini dell’intesa fino al marzo 2019 malgrado la decisione unilaterale di Trump di rompere l’accordo.

L’inaffidabilità occidentale ha però progressivamente spinto l’Iran su posizioni più intransigenti, portandolo a sviluppare un proprio programma esteso di arricchimento dell’uranio, e riducendo la propria cooperazione con l’AIEA.

La capacità di arricchire l’uranio sul proprio territorio garantisce all’Iran di avere un programma nucleare civile pienamente indipendente e non soggetto a ricatti occidentali, ma anche la possibilità di creare un proprio potere contrattuale in sede negoziale.

Il TNP non proibisce le attività di arricchimento dell’uranio, ed esistono altri paesi (Germania, Olanda, Giappone, Brasile) non in possesso dell’arma atomica che hanno un programma nucleare civile corredato da impianti di arricchimento sul proprio territorio.

L’Iran è tuttavia arrivato ad arricchire l’uranio fino al 60%, ben al di sopra della soglia del 3-5% solitamente necessaria per alimentare un programma nucleare civile, con l’obiettivo di costringere gli Stati Uniti a tornare al tavolo negoziale.

Teheran ha più volte ribadito la propria disponibilità a sottoporsi ai controlli dell’AIEA ed a limitare il livello di arricchimento dell’uranio se le sanzioni nei suoi confronti saranno abrogate. Come già detto, tra il 2015 e il 2019, l’Iran ha dimostrato di tener fede ai propri impegni.

Nei giorni precedenti l’attacco israeliano si è tuttavia assistito a un ulteriore irrigidimento delle posizioni di Gran Bretagna, Francia e Germania nei confronti dell’Iran, successivamente culminato con una condanna dell’AIEA contro Teheran per la mancata ottemperanza dei propri obblighi nel quadro del TNP.

Ciò ha fornito a Netanyahu un ulteriore pretesto per affermare che l’Iran avrebbe compiuto “passi senza precedenti” per costruire un’arma atomica.

Ma le più recenti valutazioni dell’intelligence USA continuano ad affermare che “l’Iran non sta costruendo un ordigno nucleare” e che, “malgrado pressioni” in questo senso, il programma nucleare militare non è stato riattivato.

E’ bene anche ricordare che, mentre Israele fin dagli anni ’90 del secolo scorso ha lanciato ripetuti allarmi sulla “imminente” costruzione di un’arma atomica da parte dell’Iran (evento finora mai verificatosi), lo Stato ebraico ha un proprio programma nucleare militare non dichiarato, è in possesso di decine di ordigni nucleari e non ha mai aderito al TNP.

Obiettivo: cambio di regime a Teheran

L’attacco militare israeliano contro l’Iran è dunque ingiustificato, e illegale in base al diritto internazionale, in quanto non motivato da alcuna minaccia imminente da parte dell’Iran. Esso aggiunge un altro tassello al processo di erosione della legalità internazionale che ha subito una drammatica accelerazione con l’operazione di sterminio condotta da Israele a Gaza.

L’obiettivo dell’aggressione israeliana, inoltre, non è limitato alla distruzione delle installazioni nucleari iraniane. Oltre a colpire questi impianti ed ad assassinare numerosi scienziati nucleari, Israele ha letteralmente decapitato, con bombardamenti mirati, i vertici militari del paese.

I bombardamenti israeliani hanno anche ridotto in fin di vita Ali Shamkhani, figura vicina alla Guida Suprema Ali Khamanei, e uomo chiave nei negoziati nucleari in corso con l’incontro con l’amministrazione Trump (un nuovo fra le delegazioni di USA e Iran era previsto in Oman due giorni dopo).

L’operazione militare israeliana è stata significativamente denominata “Rising Lion” dal governo Netanyahu. Il nome è tratto da un versetto della Bibbia: “Ecco un popolo che si leva come una leonessa
e si erge come un leone; non si accovaccia, finché non abbia divorato la preda e bevuto il sangue degli uccisi” (Numeri 23, 24).

Ma il leone è anche il simbolo tradizionale dell’Iran, che figurava nella bandiera del paese prima dell’avvento della Repubblica Islamica.

Netanyahu ha accompagnato l’operazione con un appello durante il quale si è rivolto alla popolazione iraniana affermando: “La nostra battaglia non è contro di voi. La nostra battaglia è contro la brutale dittatura che vi ha oppresso per 46 anni. Ritengo che il giorno della vostra liberazione sia vicino”.

Nel frattempo, i missili israeliani hanno colpito le città iraniane facendo centinaia di vittime civili.

Diversi esperti statunitensi concordano sul fatto che il vero obiettivo dell’attacco israeliano sia un cambio di regime a Teheran.

Secondo fonti USA citate dall’Associated Press, il governo Netanyahu avrebbe perfino sottoposto all’amministrazione Trump un piano per assassinare la Guida Suprema Ali Khamenei. Trump avrebbe posto il veto all’operazione.

Trump e Israele

La questione solleva un altro tema estremamente controverso, quello del rapporto tra Tel Aviv e Washington nella pianificazione e gestione dell’operazione militare in corso.

Fonti israeliane hanno sostenuto che, mentre la Casa Bianca si era opposta a un attacco militare israeliano all’Iran, in segreto essa avrebbe non soltanto dato luce verde all’operazione, ma collaborato alla sua pianificazione.

L’obiettivo sarebbe stato quello di ingannare l’Iran, facendo credere ai vertici politici, militari e scientifici del paese che, finché gli USA fossero stati intenzionati a negoziare, non vi sarebbe stato alcun attacco, e non vi era perciò alcun bisogno di nascondersi in località protette e segrete.

Prima di abbracciare in toto questa tesi, va però ricordato che i vertici israeliani hanno sempre cercato di coinvolgere direttamente gli Stati Uniti in un eventuale attacco all’Iran, non disponendo da soli delle capacità militari per distruggere le installazioni nucleari iraniane e per ottenere una vittoria decisiva contro Teheran.

Netanyahu era stato preso in contropiede, nei mesi scorsi, dalla decisione di Trump di tentare la via negoziale con l’Iran, e si è continuamente sforzato di spingere i negoziatori americani su posizioni oltranziste per favorire il fallimento del negoziato.

David Barnea, capo del Mossad, e Ron Dermer, ministro israeliano degli Affari Strategici e uomo di fiducia di Netanyahu, hanno tallonato da vicino l’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, in tutte le tappe della trattativa con Teheran.

Quest’ultimo è passato dall’iniziale posizione pragmatica di consentire all’Iran un limitato programma di arricchimento dell’uranio sotto uno stretto regime di sorveglianza, a quella intransigente di chiedere lo smantellamento delle installazioni di arricchimento iraniano, una richiesta irricevibile per Teheran.

Ciò ha portato i negoziati sull’orlo del fallimento, sebbene una sessione di colloqui fosse stata concordata per domenica 15 giugno in Oman. Ma già dal 9 giugno Israele aveva deciso di passare all’azione.

Due giorni dopo, il segretario americano alla Difesa, Pete Hegseth, aveva dichiarato al Congresso che vi erano “segnali” che l’Iran stesso procedendo a una militarizzazione del proprio programma nucleare.

Pressioni nei confronti della Casa Bianca erano giunte anche dai vertici militari. Il generale Michael “Erik” Kurilla, comandante dello US Central Command responsabile della regione mediorientale, aveva presentato a Trump numerose opzioni per attaccare l’Iran qualora i mercati fossero falliti.

Poco dopo, il Dipartimento di Stato aveva cominciato ad evacuare parte del proprio personale diplomatico dall’Iraq e da altri paesi della regione.

Trump aveva dichiarato alla stampa che le evacuazioni necessarie perché il Medio Oriente “potrebbe essere un posto pericoloso, e vedremo cosa succederà”.

Subito dopo l’attacco israeliano, la Casa Bianca ha smentito ogni coinvolgimento diretto, ma Trump ha poi affermato (alquanto irrealisticamente) che il colpo inferto da Israele avrebbe potuto favorire il raggiungimento di un accordo sul nucleare iraniano.

I responsabili della Casa hanno poi nuovamente corretto il tiro dicendo che Trump era stato contrario a un attacco mentre il negoziato era ancora in corso.

Prevale il “partito della guerra”

Non è dunque da escludere che Trump sia stato spinto e cedere a pressioni di esponenti della sua stessa amministrazione, di ambienti dell’intelligence e del Pentagono, così come di esponenti del Congresso, della lobby neocon e di quella israeliana.

E’ in ogni caso escluso che gli Stati Uniti non sapessero dell’imminente attacco israeliano, se non altro perché gli aerei di Tel Aviv hanno operato dallo spazio aereo iracheno sotto il controllo statunitense.

Al trasversale “partito della guerra” che ha appoggiato l’intervento israeliano bisogna aggiungere poi il governo di Londra, che potrebbe aver fornito informazioni di intelligence e certamente ha assicurato supporto logistico all’azione militare israeliana nei primi giorni dell’operazione.

In questo quadro, la posizione del presidente americano si fa difficile. Egli ha inizialmente ribadito che non intendeva lasciarsi coinvolgere nell’operazione militare israeliana. Ma da Tel Aviv giungono pressioni crescenti affinché Washington scenda direttamente in campo al fianco di Israele.

Tali pressioni potrebbero essere rafforzate dall’appoggio del summenzionato “partito della guerra” affermatosi negli Stati Uniti e nei paesi alleati come la Gran Bretagna.

Israele non è in grado di distruggere installazioni nucleari iraniane fortificate come quella di Fordow, protetta a centinaia di metri nel sottosuolo, e necessita dei bombardieri e delle bombe “bunker buster” in dotazione agli Stati Uniti per sperare di portare a termine l’operazione.

Nel frattempo, risorse navali e sistemi di difesa aerea statunitensi nella regione mediorientale sono già dovuti intervenire per aiutare Israele a difendersi dalla ritorsione missilistica iraniana violentemente abbattutasi sul paese.

Ma un coinvolgimento militare americano al fianco di Israele esponebbe le basi USA nella regione alla rappresaglia missilistica di Teheran, col rischio di incendiare l’intero Medio Oriente.

Inoltre, in patria Trump deve fare i conti con i malumori del movimento MAGA ( Make America Great Again ), assolutamente contrario alla prospettiva che gli Stati Uniti si impantanino nell’ennesimo conflitto mediorientale.

Certamente l’avventurismo di Netanyahu (e di altri) ha cacciato Israele e gli USA in un rompicapo strategico di difficile soluzione, ed estremamente pericoloso per la stabilità mondiale.

La prospettiva di rovesciare il governo di Teheran, considerato in Occidente come l’anello debole di uno schieramento anti-occidentale comprendente anche Russia, Cina e Corea del Nord, alletta molti esponenti del suddetto partito interventista.

Ma una guerra regionale in Medio Oriente potrebbe essere impossibile da vincere, ed aprirebbe scenari imprevedibili.

Iran contro Israele, di Julian Macfarlane

Iran contro Israele

Chi vince?

Jiulian Macfarlane15 giugno
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Mi sono astenuto dal commentare l’andamento degli eventi nella guerra israelo-iraniana appena iniziata. In una situazione militare come questa, è sempre meglio aspettare almeno quattro giorni – 3 giorni + 1 – per risolvere la situazione. Detto questo, farò qualche commento.

Gli israeliani stanno certamente esagerando i loro successi e minimizzando gli effetti della rappresaglia iraniana, sfruttando al meglio i media occidentali compiacenti. Quindi, non prestate troppa attenzione ai media tradizionali, o ai media alternativi che si basano sui media tradizionali. Finora, ci sono semplicemente troppe contraddizioni, soprattutto se si esaminano attentamente le prove visive. Le mie fonti in Medio Oriente mi raccontano una storia diversa.

È ovvio che, nonostante gli israeliani abbiano causato molti danni con il loro attacco a sorpresa, ciò non è stato sufficiente a prevenire i massicci attacchi di rappresaglia che sono seguiti e che ora continuano giorno dopo giorno.

A questo punto, oserei dire che l’attacco è stato un grave errore da parte di israeliani e americani. Disperato e suicida. Semplicemente non ponderato.

Una strategia più intelligente per Israele sarebbe stata quella di continuare a usare il Mossad per fomentare disordini interni in Iraq. Il Mossad è intelligente e ha decenni di esperienza in trucchi sporchi.

In ogni caso, questo attacco palese e illegale ha unito l’Iraq. Improvvisamente, c’è chiarezza .

Anche chi normalmente si oppone al governo iraniano ora si sta radunando attorno alla bandiera. Questa donna non indossa l’hijab e normalmente non sosterrebbe il governo.

Il sabotaggio diretto dal Mossad da parte di vari gruppi in Iraq provoca rabbia, non contro il governo iraniano, ma contro le comunità e i gruppi etnici che ospitano terroristi. Saranno sotto pressione perché dimostrino la loro lealtà, o se ne vadano.

In altre parole, l’attacco israeliano ha avuto un effetto polarizzante, il che significa un maggiore sostegno alle Guardie della Rivoluzione islamica. Ricordate come hanno reagito gli Stati Uniti all’11 settembre?

È ovvio che l’Iran si sta preparando da molto tempo alla guerra con Israele.

Mentre gli israeliani hackeravano i loro sistemi di comunicazione elettronica, essenziali per la difesa aerea, che avrebbero dovuto rimanere fuori uso per 3 giorni, questi furono riparati in meno di 10 ore, apparentemente con l’aiuto russo. Persero comandanti esperti, ma avevano un gruppo di comando “ombra” che prese immediatamente il controllo. I loro sistemi missilistici e di difesa aerea erano per lo più mobili e rimasero intatti. Finora, gli israeliani hanno perso diversi dei loro costosi F35 “invisibili”, come avevo previsto se li avessero fatti volare nel raggio d’azione dei sistemi S400.

Gli iraniani non hanno mai voluto combattere, ma erano pronti e ora sono i sionisti a pagarne il prezzo.

Forse quando Tel Aviv assomiglierà a Gaza capiranno il messaggio.

L’Iran ha le risorse per sopravvivere a israeliani e americani, e ha appena iniziato a contrattaccare: sta solo ora iniziando a utilizzare i suoi missili più avanzati. Specialisti russi in EW e EA (attacco elettronico) sono già in Iran. La Corea del Nord offrirà sicuramente missili se l’Iran dovesse iniziare a scarseggiare. Hanno margine per migliorare il loro gioco.

Se questi attacchi continueranno per più di una settimana, Israele perderà i missili intercettori. Gli yemeniti si sono già uniti. E se lo facesse anche Hezbollah? I gruppi iracheni di Hezbollah hanno minacciato di attaccare le basi statunitensi. Poi, i libanesi.

E se l’Iran chiudesse Hormuz?

Trump ordinerà un attacco ai B52? I B52 sono obiettivi succulenti.

Pubblicherò di nuovo un articolo più dettagliato con un’analisi strategica migliore.

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La partita finale di Israele in Iran: crollo, non contenimento, di Paolo Aguiar

La partita finale di Israele in Iran: crollo, non contenimento

L’obiettivo è strutturale: smantellare il nucleo di potere dell’Iran. Scopri perché la retorica nucleare è una copertura per una più ampia strategia di logoramento del regime.

15 giugno
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Geopolitics Brief si fa strada tra la confusione con riflessioni spontanee e stimolanti sugli sviluppi globali. Libero dalla routine e guidato dalla pertinenza, emerge al momento giusto: evidenziando ciò che è significativo, sorprendente o semplicemente degno di essere analizzato più attentamente.


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Nell’intensificarsi dello stallo tra Israele e Iran , non è la preoccupazione visibile per l’arricchimento dell’uranio a definire la logica strategica di fondo, quanto piuttosto un più profondo confronto strutturale tra sistemi statali. Ciò che apparentemente si presenta come una disputa sulla tecnologia nucleare è, in sostanza, uno scontro tra due imperativi strategici inconciliabili: la ricerca di preminenza regionale e sicurezza del regime da parte di Israele, e la ricerca di deterrenza e autonomia geopolitica da parte dell’Iran. Il dossier nucleare funge meno da vero e proprio vettore di minaccia e più da quadro di legittimazione: uno strumento narrativo utilizzato per giustificare azioni militari e politiche che servono obiettivi più ampi e non dichiarati. Questa disgiunzione tra obiettivi proclamati e comportamento operativo sottolinea quanto la moderna arte di governare, in particolare nei dilemmi di sicurezza ad alto rischio, sia governata non dalla retorica politica, ma da vincoli e pressioni strutturali persistenti.

Al centro di questo scontro si trova una contraddizione fondamentale radicata nella percezione che Israele ha del regime iraniano. Sotto il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, il pensiero strategico israeliano non tratta la Repubblica Islamica semplicemente come uno Stato rivale con capacità problematiche; al contrario, considera la natura stessa del regime clerico-militare iraniano come una minaccia permanente ed esistenziale alla sicurezza nazionale israeliana. Questa percezione non è semplicemente ideologica, ma si fonda su una valutazione a lungo termine che considera inaccettabile qualsiasi regime a Teheran con ambizioni regionali e capacità militare-industriale autonoma. Di conseguenza, l’apparato di sicurezza israeliano ha elevato l’imperativo del contenimento del regime (se non della sua destabilizzazione) a pilastro centrale della propria dottrina. La questione nucleare, in questo contesto, non è trattata come un fine in sé, ma come un flessibile strumento di giustificazione. Fornisce copertura politica e diplomatica a operazioni militari che mirano fondamentalmente a indebolire o smantellare la capacità statale dell’Iran.

Questa logica strategica è una conseguenza diretta della Dottrina Begin , formulata per la prima volta nei primi anni ’80, che afferma che Israele non permetterà agli stati ostili nella regione di acquisire armi nucleari. Inizialmente applicata in operazioni chirurgiche specifiche (come l’attacco aereo del 1981 al reattore iracheno di Osirak e il bombardamento del 2007 dell’impianto siriano di Al-Kibar), la dottrina si è evoluta, sotto Netanyahu, in un quadro molto più ampio. Quella che un tempo era una linea guida operativa per prevenire la capacità nucleare tecnica è diventata un approccio programmatico alla negazione strategica; ora si concentra non solo sulla distruzione delle infrastrutture, ma anche sul minare la continuità istituzionale dei regimi avversari. Il passaggio operativo da attacchi limitati ai reattori ad attacchi ad ampio spettro contro la struttura di comando iraniana riflette questa portata ampliata. Che questa strategia possa avere successo o meno è irrilevante; ciò che conta è che, strutturalmente, Israele non sta cercando di impedire una bomba: sta cercando di far crollare il sistema che potrebbe ordinarne la costruzione.


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L’Iran, da parte sua, ha mantenuto una posizione di deliberata ambiguità nucleare da quando ha interrotto il suo programma di armamenti palesi nel 2003, in seguito alle rivelazioni dell’intelligence internazionale. Questa posizione è stata caratterizzata da un attento equilibrio: progressi tecnici sufficienti a mantenere viva la leva negoziale, ma non sufficienti a giustificare una rappresaglia militare su vasta scala o l’applicazione universale di sanzioni. Questa strategia di latenza (preservare l’infrastruttura tecnica e la base di conoscenze necessarie per una rapida “evasione” senza effettivamente armare) è servita a contenere le minacce esterne, preservando al contempo la coesione interna del regime. All’interno dell’Iran, la strategia riflette un compromesso tra fazioni: i sostenitori della linea dura in materia di sicurezza che considerano essenziale la deterrenza nucleare e i tecnocrati moderati che danno priorità all’integrazione economica e all’alleggerimento delle sanzioni. Tuttavia, l’escalation di Israele minaccia di sconvolgere questo equilibrio. Prendendo di mira individui e istituzioni allineati alla moderazione, gli attacchi israeliani potrebbero rafforzare la posizione di coloro che sostengono una deterrenza nucleare palese.

La tempistica delle azioni di Israele è altrettanto istruttiva. Con Hezbollah temporaneamente indebolito dalle recenti operazioni israeliane e gli Stati Uniti sotto un’amministrazione poco incline a limitare l’azione israeliana, l’equilibrio di potere regionale si è spostato a favore di Israele. Netanyahu, incontrando scarsa resistenza istituzionale all’interno del suo governo o della gerarchia militare, ha colto questa finestra strategica permissiva per imporre un dilemma alla leadership iraniana: reagire e rischiare una guerra regionale devastante senza il supporto garantito di Russia o Cina, oppure astenersi e subire un crollo reputazionale che potrebbe mettere a repentaglio la stabilità interna del regime. Il punto non è semplicemente imporre una decisione tattica, ma mettere sotto pressione il regime strutturalmente (per esacerbare le contraddizioni tra le sue esigenze strategiche e i vincoli operativi).

In questo contesto, la narrazione nucleare funziona meno come un vero e proprio avvertimento e più come un facilitatore operativo. Le affermazioni di Netanyahu secondo cui l’Iran possiede abbastanza uranio arricchito per ” nove bombe atomiche ” sono tecnicamente errate ( l’Iran non ha arricchito l’uranio oltre il 60% di purezza , mentre l’arricchimento per uso militare inizia al 90%), ma politicamente efficaci. Queste esagerazioni servono a costruire un senso di minaccia imminente, autorizzando così un’azione militare prolungata in nome della difesa preventiva. Creano urgenza, mobilitano il sostegno pubblico e delegittimano l’impegno diplomatico, liberando così lo spazio politico necessario per l’escalation.


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La risposta dell’Iran è stata cauta ma rivelatrice. Il regime continua a presentare ” Questionari Informativi di Progettazione ” all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) per i nuovi impianti di arricchimento, mantenendo una sottile corazza di cooperazione. Allo stesso tempo, ha ridotto la collaborazione sostanziale con gli ispettori dell’AIEA , limitando la visibilità sulle sue attività nucleari. Questa duplice strategia di segnalazione è progettata per tenere socchiusa la porta diplomatica e al contempo comunicare la propria determinazione al pubblico nazionale e internazionale. Ma la sua efficacia sta diminuendo. Quando gli avversari considerano l’esistenza stessa di un regime come il problema, un’adesione graduale non offre alcun sollievo.

In tali condizioni, la deterrenza inizia a invertire la sua funzione. Invece di dissuadere gli attacchi israeliani, l’attuale mancanza di un deterrente nucleare da parte dell’Iran li invita. Il regime, profondamente consapevole del destino dei leader privi di armi nucleari (da Saddam Hussein a Muammar Gheddafi), potrebbe considerare sempre più la militarizzazione non solo auspicabile, ma essenziale per la sopravvivenza del regime. Ciò segnerebbe un passaggio decisivo da una strategia di calcolata ambiguità a una di deterrenza palese, guidata non da zelo ideologico ma da necessità materiali. Questo potenziale cambiamento rispecchia la traiettoria nordcoreana: un programma un tempo ambiguo, consolidatosi in una capacità di deterrenza palese in risposta a una minaccia esistenziale. I calcoli interni dell’Iran potrebbero ora inclinarsi nella stessa direzione.

Nel frattempo, i meccanismi internazionali progettati per contenere tale escalation appaiono inerti. Le condanne dell’AIEA sono diplomaticamente significative, ma prive di potere esecutivo in assenza di un consenso tra le principali potenze. Data la dipendenza economica della Cina dal petrolio iraniano e la cooperazione militare-industriale della Russia con Teheran (in particolare nello scambio di droni e tecnologia militare), nessuna delle due è propensa a sostenere ulteriori sanzioni. Gli Stati Uniti, da parte loro, hanno declassato il rientro nel Piano d’azione congiunto globale (JCPOA), avendo ceduto l’iniziativa nella regione a Israele.


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Pertanto, la logica dello scontro si è autoalimentata. Israele è strutturalmente costretto a mantenere la pressione attraverso attacchi ricorrenti per impedire all’Iran di riorganizzarsi e consolidare la propria posizione. L’Iran, a sua volta, è sempre più spinto a perseguire una deterrenza nucleare dichiarata come unica via praticabile per la sicurezza del regime. Questo circolo vizioso rimodella le dinamiche politiche interne di entrambi gli Stati. In Iran, è probabile che il processo decisionale si sposti a favore delle fazioni che propugnano la militarizzazione (non per zelo ideologico, ma perché ogni altro modello di sopravvivenza ha fallito sotto pressione). In Israele, l’inerzia strategica garantisce una continua escalation come politica predefinita, soprattutto sotto una leadership che considera il contenimento come capitolazione.

Le soluzioni negoziate, un tempo basate su una reciproca modificazione comportamentale, appaiono ora strutturalmente obsolete. Israele non accetta più la premessa che il comportamento iraniano possa essere riformato. L’Iran giunge sempre più alla conclusione che la moderazione porti solo vulnerabilità. Il conflitto si è sganciato dal quadro diplomatico e si è integrato nei meccanismi della politica di potenza. In un simile contesto, la deterrenza non è un equilibrio stabile, ma una soglia mobile, continuamente ridefinita dalle mutevoli percezioni della minaccia e dall’evoluzione delle capacità militari. Ciò che rimane non è una tabella di marcia verso la pace, ma un terreno strategico governato dalla forza, dall’attrito e dalla logica sistemica della sopravvivenza preventiva.

Vera promessa 3: l’Iran risponde con la tanto attesa rappresaglia ipersonica, di Simplicius

Vera promessa 3: l’Iran risponde con la tanto attesa rappresaglia ipersonica

Simplicius15 giugno
 
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L’Iran ha lanciato la fase successiva della sua operazione True Promise 3.0, prendendo di mira vari siti di infrastrutture energetiche e militari israeliane. Questa volta si è trattato di missili ipersonici Fattah-1 di ultima generazione, che hanno avuto un impatto abbagliante su Tel Aviv e sul nord di Israele: uno spettacolo così spettacolare da rivaleggiare solo con gli attacchi di Oreshnik dell’anno scorso:

Le scene erano quasi troppo irreali per essere credibili, come se si trattasse di un blockbuster di Michael Bay troppo prodotto. Tra gli obiettivi c’erano la raffineria di Haifa e il centro di ricerca israeliano del Weizmann Institute for Science di Rehovot, vicino a Tel Aviv:

Che ruolo ha la raffineria di Haifa che l’Iran ha preso di mira? La raffineria di petrolio di Haifa, nel nord della Palestina occupata, fornisce oltre il 60% del fabbisogno di carburante di Israele, dalla benzina e il diesel al carburante per l’aviazione. Con questi impianti danneggiati nell’attacco iraniano di questa notte, Israele dovrà affrontare un problema di carburante. Il successo dell’attacco alla raffineria di Haifa è un colpo strategico alla spina dorsale economica e militare di Israele. Il fatto che Israele taccia sugli impatti alla sua raffineria, e non abbia ancora detto nulla, ma si sia concentrato sull’impatto a Tamra – che credo sia stato causato da un missile intercettore fallito di Israele (staremo a vedere) – dimostra che il danno è stato doloroso. Ed è solo l’inizio…

Il New York Times, citando immagini condivise, riferisce che il centro di ricerca israeliano, il Weizmann Institute for Science, è stato danneggiato da un missile balistico iraniano negli ultimi attacchi al centro di Israele. L’edificio si trova a Rehovot, a sud di Tel Aviv, e secondo quanto riferito è scoppiato un incendio in uno degli edifici che contengono i laboratori.

Nel frattempo, Israele ha colpito anche il più grande giacimento di gas naturale dell’Iran, il South Pars, che è anche il più grande del mondo:

Israele sta bombardando la capacità dell’Iran di esportare petrolio e gas naturale. Ciò eliminerà la capacità dell’Iran di esportare circa 2 milioni di bpd, la maggior parte dei quali è destinata alla Cina. Il giacimento di gas naturale iraniano South Pars è stato chiuso, il giacimento petrolifero di Shahran è in fiamme. Diverse raffinerie di petrolio in Iran sarebbero in fiamme. Questo causerà una carenza di benzina e diesel in Iran. I prezzi del petrolio e del gas naturale saliranno alle stelle all’apertura dei mercati lunedì.

Tuttavia, il primo ciclo di attacchi di Israele ha prevedibilmente causato molti meno danni di quelli dichiarati. La maggior parte delle persone non ha idea di come si faccia il BDA e salta semplicemente a conclusioni basate su immagini emotive di un oggetto “distrutto” o di un altro.

Prendiamo ad esempio l’impianto di Tabriz: uno o due piccoli edifici sono stati “danneggiati”:

Natanz – un impianto gigantesco, come si può chiaramente vedere – ha visto alcuni trasformatori di potenza e una sottostazione ricevere danni da lievi a moderati:

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Inoltre, è stato anche mostrato che la maggior parte dei filmati degli attacchi di Israele contro i mezzi terrestri iraniani si sono rivelati delle esche, in quanto nessuno degli MRBM è stato visto accendersi dopo che i massicci ordigni sono atterrati sopra di loro.

Allo stesso modo, le affermazioni sulla “superiorità aerea israeliana” erano uno sciatto intruglio messo insieme da filmati di droni IAI Heron a bassa quota che volteggiavano brevemente su Teheran per foto di pubbliche relazioni, probabilmente prima di essere abbattuti, mentre sono emersi filmati di alcuni “grandi aerei” che l’Iran sosteneva fossero F-35 distrutti, ma che probabilmente erano droni. Inoltre, le affermazioni sul successo dell'”infiltrazione” israeliana e sulle “basi segrete” sono apparse più che altro un’esagerazione di psyop, poiché è emerso che gli israeliani operavano da basi segrete dell’Azerbaigian, lanciando droni e vari altri oggetti contro l’Iran da ogni direzione. Questo, tra l’altro, non è niente di nuovo: risale al 2012:

https://www.haaretz.com/2012-03-29/ty-article/azerbaijan-granted-israel-access-to-air-bases-on-iran-border/0000017f-e5ec-df2c-a1ff-fffd52a00000

L’unica parte dell’operazione che ha avuto un relativo successo è stata l’assassinio di leader iraniani chiave e di figure nucleari.

Dopo gli attacchi avevo postato su Twitter:

Il test di falsificabilità definitivo sul “successo” degli attacchi israeliani: guardate quanto velocemente Israele affermerà che l’Iran è “ancora una volta” vicino a ottenere la bomba. Ora si festeggia, ma tra 2-3 mesi Bibi strillerà che l’Iran è di nuovo “al 90%” dell’arricchimento.

La domanda più grande: quando Bibi strillerà tra 2-3 mesi, gli attuali “celebratori” ammetteranno che gli attacchi sono stati un fallimento totale? O verrà nascosto sotto il tappeto come tutte le volte precedenti…?

Sembra che la mia previsione si sia avverata molto prima, perché quasi immediatamente è stato annunciato che Israele è effettivamente incapace di distruggere il programma nucleare iraniano, e che Israele ha chiesto urgentemente l’aiuto degli Stati Uniti per farlo:

https://www.nytimes.com/2025/06/13/us/politics/iran-nuclear-program-israel-strike-damage.html

Axios scrive che a Israele mancano i grandi bunker buster e i loro bombardieri strategici per infliggere danni reali alle strutture sotterranee chiave dell’Iran:

Israele non può bombardare impianti nucleari nelle montagne iraniane senza gli USA

Israele non ha le bombe bunker necessarie per distruggere l’impianto nucleare di Fordow sulle montagne.

Le hanno gli Stati Uniti. Un funzionario israeliano ha detto ad Axios che “gli Stati Uniti potrebbero ancora unirsi all’operazione e che il presidente Trump ha persino suggerito che lo avrebbe fatto se necessario quando ha parlato con Netanyahu nei giorni precedenti l’attacco”.

“Ma un portavoce della Casa Bianca ha smentito, dicendo ad Axios che Trump aveva detto il contrario. Il funzionario ha detto che gli Stati Uniti non intendono essere direttamente coinvolti in questo momento”, scrive la pubblicazione.

RVvoenkor

Il piano è sempre stato ovviamente quello di spingere l’Iran ad una risposta schiacciante che avrebbe in qualche modo incitato gli Stati Uniti ad entrare in guerra per conto di Israele, al fine di finire l’Iran. Il programma nucleare era probabilmente un falso obiettivo, mentre il vero obiettivo era il rovesciamento totale della leadership iraniana e la fomentazione di rivolte civili in tutto il Paese per mettere l’Iran alle strette sotto un governo fantoccio guidato dall’Occidente.

Ora Trump si trova sul filo del rasoio di una delle sue decisioni più critiche: se tradire il mandato del popolo americano e consegnare il suo secondo mandato e la sua eredità in declino al cumulo di rifiuti della storia, o se tirarsi indietro dai lacci di Miriam Adelson e altri donatori e mostrare una spina dorsale nel difendere la vera visione “America First” che ha promesso a tutti. Al momento in cui scriviamo, ci sono notizie di riunioni urgenti al Pentagono che riguardano proprio la questione della richiesta di Israele agli Stati Uniti di entrare ufficialmente in guerra per “finire l’Iran”.

Yanis Varoufakis scrive:

Questa è la Waterloo di Trump. Si è presentato come il Leviatano che avrebbe portato una pace furtiva, un accordo intelligente che evitasse una guerra con l’Iran. Poi, con un’altra grave violazione del diritto internazionale, Netanyahu lo mette in una piccola scatola: Perché o Trump sapeva dell’attacco, nel qual caso non è altro che il tirapiedi di Netanyahu. Oppure non lo sapeva, il che porta a chiedersi perché non lo sapeva e come reagirà al fatto di essere trattato come un pazzo da Netanyahu. In ogni caso, l’immagine di Trump come uomo forte e capace di concludere accordi è ormai andata in fumo. In ogni caso, passerà alla storia come l’ennesimo Presidente degli Stati Uniti che Netanyahu ha piegato alla sua volontà genocida.

L’intero mondo non occidentale guarda ora con il fiato sospeso questo momento di svolta cruciale: Trump può fare una mossa per riscattare almeno qualche speranza perduta per la leadership globale dell’America, o invece piantare il chiodo finale nella sua bara, edificando per sempre il nascente Sud globale sulla vera natura dell’Occidente immorale, barbaro e senza principi. È un bivio metafisico: Trump rimarrà fedele alla sua missione quasi spirituale di miglioramento del mondo, oppure affogherà gli Stati Uniti nel sangue dell’imperialismo neocon.

Su X avevo ipotizzato che, per quei “credenti” dal cappello bianco, ci fosse una piccola possibilità che Trump ci prendesse per matti in una partita di scacchi in 5D. L’ultima volta abbiamo appreso che avrebbe ingannato l’Iran, cullandolo in un falso senso di sicurezza solo per permettere a Israele di lanciare il suo vile attacco a sorpresa.

Ma se Trump avesse in realtà teso una trappola a Israele per tutto il tempo? Israele si aspettava che gli Stati Uniti si unissero e “finissero l’Iran”, mentre ora Trump potrebbe togliere loro il tappeto da sotto i piedi, abbandonando Israele al suo destino e lasciando invece che sia l’Iran a finire Israele, o almeno a facilitare la deposizione del regime di Bibi. Potrebbe essere? Forse c’è una piccola possibilità che sia possibile, se Trump è molto più intelligente di quanto gli attribuiamo – o semplicemente molto più stufo di Bibi.

La controprova più fondata di questa teoria è stata fornita da Zei_Squirrel:

[Gli Stati Uniti e Israele non hanno lanciato questa guerra per cercare di eliminare i siti nucleari. Sanno di non poterlo fare. Sono troppo ben protetti e dispersi e qualsiasi danno può essere ricostituito nel breve termine. L’hanno lanciata per provocare il collasso totale dello Stato in Iran, iniziando per fasi. La prima fase consisteva nell’eliminare i vertici militari e dell’IRGC, dando la caccia anche agli scienziati e uccidendo in massa i civili.

In questo modo si creerebbe la falsa impressione che siano ancora in qualche modo limitati e concentrati su obiettivi militari/nucleari.

Dopo aver ricevuto quella che si aspettano sarà una risposta altrettanto contenuta da parte dell’Iran, la vedranno come una conferma che l’Iran non si atterrà alle sue linee rosse dichiarate e che ha ancora paura di incontrare Israele allo stesso livello di escalation.

Questo è il loro via libera per passare alla fase successiva, che consiste nel colpire e uccidere i principali leader politici, compreso Khamenei.

La loro speranza non è quella di sostituire l’attuale governo e lo Stato con una sorta di riedizione del fascista sionista monarchico attraverso i suoi fallimenti, perché sanno che non c’è una base di sostegno per questo all’interno del Paese.

La loro speranza è di fare un’altra Libia e un’altra Siria: Scatenare forze per procura che finanziano e armano insieme ai regimi fantoccio dello “scudo arabo” del Golfo e alla NATO-Erdogan e trasformarla in una spirale di morte e caos, una “guerra civile” inventata in cui gli iraniani sono pagati e armati dalla CIA e dal Mossad per uccidere gli iraniani.

Il MEK e altre forze per procura di questo tipo sono già state addestrate e preparate e sono pronte per essere attivate. Inizieranno con autobombe e attacchi terroristici che uccideranno in massa i civili. L'”ISIS” riapparirà di nuovo e farà il suo tipico lavoro per i loro padroni della CIA-Mossad.

Gli Stati Uniti e Israele hanno deciso di lanciare questa guerra da prima che Trump fosse eletto, e ha il pieno e totale sostegno dell’intero complesso militare-intelligenziale-industriale statunitense, dei media e della classe politica, sia repubblicana che democratica, e sarebbe successo anche se Kamala Harris avesse vinto le elezioni.

Vedono l’Iran e l’Asse della Resistenza e la sua alleanza con Russia e Cina come il principale ostacolo alla piena e totale egemonia imperiale sionista USA-NATO-Israeliana nella regione e, per estensione, nel mondo, e vogliono distruggerlo perché è l’unico che, a differenza di Russia e Cina, non ha un deterrente nucleare e vogliono raggiungerlo prima che lo ottenga.

Si tratta di una guerra esistenziale di sopravvivenza non solo per lo Stato iraniano, ma per l’Iran come nazione.

Se questo progetto avrà successo, il Paese sarà balcanizzato, le divisioni etniche saranno fomentate da attori stranieri, la CIA e il Mossad e le marionette del Golfo finanzieranno e armeranno decine di squadre di morte e di stupro per procura che si aggireranno nei loro feudi, decine di milioni di vite saranno distrutte.

Bisogna fare di tutto per impedirlo. L’Iran ha le armi per farlo. Ha la capacità di farlo, è solo una questione di volontà. Ha la volontà di fare ciò che serve per evitare la distruzione di massa del proprio popolo e della propria nazione? Io spero di sì. Tutti noi dobbiamo sperare che sia così.

La mia previsione su cosa accadrà?

Dipende tutto dalla decisione di Trump, ma se sceglierà di non entrare in guerra, allora gli attacchi di Israele si attenueranno dopo pochi giorni, ed entrambe le parti cercheranno probabilmente una de-escalation, mentre entrambe dichiareranno una “vittoria importante” al rispettivo pubblico nazionale. Israele si inventerà una serie di obiettivi che sono stati “portati a termine” e questo sarà tutto, dopodiché la situazione interna di Israele si deteriorerà rapidamente, poiché nessuno sarà convinto che Israele abbia “vinto” qualcosa o che abbia arrecato danni seri all’Iran.

Ma se gli Stati Uniti entrano, allora o si scatena l’inferno e l’Iran mantiene la promessa di chiudere lo Stretto di Hormuz, mandando potenzialmente il mondo in tilt economico, oppure – per placare i suoi responsabili israeliani – Trump sventola uno show strike “devastante” e dichiara i siti nucleari iraniani “cancellati” e si ritira immediatamente per iniziare un nuovo regime di de-escalation con l’Iran.

Ho una probabilità di 70/30 che negli Stati Uniti prevalga il buonsenso e che Trump decida di non entrare in guerra, e che le cose vadano nella direzione della prima opzione, ma vedremo come si evolverà.

Come ultimo elemento, ecco un video profetico del capo scienziato nucleare iraniano Feyerdoon Abbasi che recentemente ha discusso della sua potenziale fine per mano israeliana:

Sembrava accettare il suo destino con calma e grazia, sapendo che il Paese era stato lasciato nelle abili mani della generazione più giovane.


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Trump, Netanyau, Kameney tra svolte, azzardi e voltafaccia Con Gianfranco Campa 13 giugno 2025

Al terzo tentativo di registrazione siamo riusciti a presentare un resoconto particolarmente denso di dati e considerazioni, tutto da ascoltare. Il dato cruciale è la chiusura di una tenaglia che ha indotto allo smarrimento e al trasformismo il principale personaggio politico dello scenario occidentale: Donald Trump. Le conseguenze saranno enormi e dirompenti. Trascineranno il mondo e gli Stati Uniti in una gestione caotica ed imprevedibile del processo multipolare. Mi spingo in una previsione un po’ azzardata, dettata dalla mia esperienza: di certo non salveranno Trump, divenuto, suo malgrado e oltre le sue virtù, un simbolo della resistenza a questa classe dirigente nichilista, da una fine beffarda, se non tragica, dettata dal suo progressivo isolamento dalle forze che lo hanno sostenuto e salvato. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Il nichilismo potrebbe spiegare il comportamento di Israele a Gaza, di Emmanuel Todd

Il nichilismo potrebbe spiegare il comportamento di Israele a Gaza

Intervista per Elucid, dicembre 2024

Emmanuel Todd12 giugno
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A volte vengo criticato per non essermi espresso a sufficienza sull’abominio che si sta verificando a Gaza. Desidero quindi ripubblicare sul mio blog questo testo pubblicato nel dicembre 2024 sul sito web di Elucid . Non ho cambiato idea su nulla di essenziale. Intuisco l’inizio di una piccola ma insufficiente evoluzione tra gli ebrei di Francia.

Immagine tratta da “C’era una volta in famiglia”, Terreur Graphique e Emmanuel Todd, Casterman

Il nichilismo potrebbe spiegare il comportamento di Israele a Gaza

Oggi vi proponiamo l’intervista a Emmanuel Todd, originariamente pubblicata sul sito italiano Krisis , tradotta e rielaborata dall’autore per Élucid.

Accesso gratuito

pubblicato il 12/01/2024 da Emmanuel Todd

Il 7 ottobre c’è stato un massacro; questo è indiscutibile. Ma la risposta israeliana a Gaza è una carneficina, accettata dalle élite occidentali. Come lo spiega?

Emmanuel Todd: Nel mio libro sviluppo il concetto di nichilismo, la necessità di distruggere cose, persone e realtà, che in Occidente deriva da una situazione di vuoto religioso, metafisico e carico di valori. È un problema sociale e storico che studio principalmente negli Stati Uniti e che menziono anche per l’Ucraina. Ma da quando ho pubblicato ” La sconfitta dell’Occidente” , la rilevanza del concetto di nichilismo mi è diventata sempre più evidente nella sua generalità. Ho iniziato ad applicarlo nelle mie riflessioni su alcuni atteggiamenti delle élite francesi, incluso il comportamento del tutto insolito del presidente Emmanuel Macron. Lo applico al comportamento della parte guerrafondaia delle élite tedesche, all’immigrazione senza limiti e ovviamente lo applico agli eventi in Israele. Dico sempre “gli eventi in Israele” perché per me Gaza è parte di Israele in quanto spazio di sovranità politica. Per questo non capisco affatto i commentatori che si rifiutano di ammettere che Hamas sia un’organizzazione terroristica. Hamas pratica il terrorismo, ma è nato e continua ad appartenere al dominio dello Stato israeliano. Hamas è un fenomeno israeliano.

In che senso?

Possiamo ovviamente, anzi dobbiamo, da un punto di vista antropologico o religioso, definire Hamas come arabo o musulmano. Ma Gaza è solo una componente dello spazio sovrano israeliano, una prigione a cielo aperto. E da questo punto di vista (quello della prigione), Hamas è israeliano. Ciò che intendo dire è che Hamas è ovviamente un gruppo terroristico, ma il suo terrorismo è solo un elemento tra gli altri della violenza israeliana complessiva, così come si sviluppa nel corso della storia.

Ma cosa provi quando vedi cosa sta succedendo a Gaza?

Per me, questo è un argomento piuttosto doloroso, di cui non mi piace parlare, perché sono per metà di origine ebraica, la metà dominante della mia famiglia. Questa famiglia non ha mai avuto, è vero, un legame particolare con lo Stato di Israele. Era una famiglia borghese, israelita come si diceva in Francia, e soprattutto di patrioti francesi. La nostra gloria familiare del XIX secolo fu Isaac Strauss, il musicista preferito di Napoleone III, l’uomo che raccolse la collezione di oggetti rituali ebraici precedentemente esposta al Museo di Cluny e ora al Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme du Marais. Per inquadrare più precisamente questa tipica famiglia israelita: Isaac Strauss è il mio antenato comune con Claude Lévi-Strauss. Lucie Hadamard, moglie di Alfred Dreyfus, era cugina della mia bisnonna. Questa famiglia, in modo abbastanza caratteristico, non si è mai interessata molto al sionismo. Nemmeno io mi sono mai interessato molto. Detto questo, gli antisionisti militanti mi hanno sempre preoccupato; ho sempre pensato che una frequenza troppo elevata di dichiarazioni antisioniste da parte di un individuo rivelasse probabilmente un background antisemita. Al di là di opinioni e argomentazioni, le statistiche rivelano l’ossessione che è una dimensione del razzismo.

In sostanza, non ero né sionista né antisionista, ma mi aggrappavo all’idea che fosse ragionevole mostrare un minimo di solidarietà nei confronti dello Stato ebraico. Il nazismo ci ha dimostrato che, in fondo, non si sceglie di essere ebrei o meno: la mia famiglia materna dovette rifugiarsi negli Stati Uniti durante la guerra. I cugini che non agirono con altrettanta cautela furono deportati. L’antisemitismo esiste e, come mi diceva mia nonna, esisterà sempre. Quindi, inizialmente, avevo un atteggiamento piuttosto sfumato. Ma il comportamento dello Stato di Israele è diventato moralmente troppo problematico. Non mi piace ancora parlarne, ma ora devo farlo.

Per quello ?

Perché lo Stato di Israele ha raggiunto un livello estremo nell’esercizio della violenza. E soprattutto una violenza che non sembra più avere altro obiettivo che se stessa. Per questo ho iniziato a riflettere sul comportamento dello Stato di Israele in termini di nichilismo.

Cioè?

Il nichilismo è una creazione del vuoto. Nel caso degli Stati Uniti, lo esamino principalmente a livello delle classi dirigenti, dove osservo un vuoto di valori, che si traduce in un interesse esclusivo per il denaro, il potere e la guerra. Nel caso dello Stato di Israele, sebbene non abbia lavorato sulle credenze religiose in Israele, ipotizzo che esista anche un problema di vuoto religioso, nonostante la presenza di gruppi ultraortodossi la cui reale natura socio-metafisica merita di essere esaminata. Gli evangelici americani pongono un problema diverso, ma parallelo. Per quanto riguarda gli Illuminati americani che sostengono Israele perché credono che l’espansione di Israele riporterà Cristo…

Una moltitudine di concezioni recenti, nonostante le loro pretese metafisiche, deve essere interpretata come componente di uno stato zero della religione, intendendo qui il termine religione nel suo senso monoteistico classico: cattolico, protestante o ebraico. Nelle mie analisi del presente storico, parlo ora non solo di cattolicesimo zero, di protestantesimo zero, ma anche di ebraismo zero. Presto, senza dubbio, di islam zero. Mi è quasi più facile formalizzare il deficit di veri valori religiosi in Israele perché ho tra le mani il libro del mio antenato Simon Lévy, rabbino capo di Bordeaux, “Mosè, Gesù e Maometto e le tre grandi religioni semitiche” (1887), che mi offre accesso diretto, sia a livello familiare che a stampa, a ciò che la religione ebraica rappresenta in termini di valori. D’ora in poi, l’Occidente ha raggiunto uno stato zero della religione che ci permette di spiegare il nichilismo americano o europeo. La stessa logica storica si applica a Israele. Ciò che mi suggerisce, ipoteticamente, il comportamento dello Stato di Israele è una nazione che, privata dei suoi valori socio-religiosi (zero ebraismo), fallisce nel suo progetto esistenziale e trova nell’esercizio della violenza contro le popolazioni arabe o iraniane che la circondano la sua ragione di esistere.

La guerra fine a se stessa?

Applicherei allo Stato di Israele lo stesso tipo di interpretazione che applico nel mio libro all’Ucraina. Ho spiegato che l’Ucraina era uno Stato in decadenza prima della guerra e che tutti erano sorpresi dall’energia militare degli ucraini, dalla loro capacità di difendersi. In realtà, l’Ucraina ha trovato la sua ragione d’essere nella guerra contro i russi. E in effetti, tutto nell’atteggiamento degli ucraini è determinato dalla Russia, ma in modo negativo. L’eliminazione della lingua russa, la lotta contro i russi, la sottomissione delle popolazioni russe del Donbass. Ma attenzione: sono un ricercatore, quindi queste sono ipotesi che sto formulando per Israele. Ho l’impressione che la nazione israeliana abbia perso il suo significato per sé stessa e che la pratica della violenza, che un tempo era un mezzo militare necessario per garantire la sicurezza dello Stato, sia diventata fine a se stessa.

Vedo possibili obiezioni alla mia ipotesi, come l’elevata fecondità della popolazione israeliana, e non solo tra gli ultra-ortodossi, sebbene il loro caso sia estremo. L’era del nichilismo è accompagnata in Occidente da tassi di fecondità molto bassi, da una difficoltà per le popolazioni a riprodurre la vita. Ma la costellazione logica “religione-zero/nichilismo/violenza/guerra/fertilità” è un campo di indagine socio-storica molto vasto che meriterebbe un approccio globale. Esistono religioni di guerra, un’attività umana purtroppo piuttosto comune dal punto di vista dello storico. Mi sento perfettamente in grado di immaginare nichilismi con bassa e alta fecondità in futuro. La bassa fecondità è anche caratteristica di tutta l’Asia orientale, e in particolare della Cina, una regione del mondo che non mi sembra, a prima vista, afflitta dal nichilismo, ma piuttosto felice di decollare economicamente.

Quindi secondo lei in Israele si è scatenata una spirale di violenza senza alcun obiettivo concreto se non quello di perpetuarsi?

Esatto. Ciò che mi sorprende è che le élite occidentali affermino sempre: “Israele ha il diritto di garantire la propria sicurezza”. Parlano come se il comportamento di Israele fosse essenzialmente razionale, con questo obiettivo di sicurezza. Ma io non la vedo affatto così. Quello che vedo è la necessità di fare qualcosa. E quel qualcosa è la guerra.

E che guerra…

Quando guardo i video pubblicati sui social media dai soldati dell’IDF a Gaza, penso che evochino il nichilismo piuttosto che una guerra con uno scopo razionale. Vedete, ho detto che non mi piace pensare a Israele. Ma se inizio a pensarci, cerco di farlo con distacco e senza pensare solo in termini morali. Per quanto riguarda la situazione attuale, potrei essere indignato; sono un essere umano come tutti gli altri. Potrei semplicemente dire che quello che gli israeliani stanno facendo a Gaza è mostruoso. È mostruoso. Ma ciò che mi interessa qui è il futuro. Quindi mi chiedo se coloro che vedono questo come un orrore si rendano conto che questo è solo l’inizio dell’orrore e che tutto peggiorerà ulteriormente. Si è messa in moto una dinamica di violenza che non vediamo perché dovrebbe arrestarsi. La necessità per lo Stato di Israele (7 milioni di abitanti, compresa la popolazione ebraica) di dichiarare guerra all’Iran (90 milioni di abitanti) è qualcosa di sconcertante. Se adottiamo l’ipotesi del nichilismo, troviamo un elemento di risposta.

Cioè?

Facciamo un’ipotesi intermedia “razionale”, seppur violenta. Per definire un obiettivo razionale, potremmo dire che uno degli obiettivi di Israele è quello di creare una conflagrazione globale per svuotare improvvisamente, brutalmente e completamente Gaza e la Cisgiordania nel caos generale.

Ma non sarebbe finita qui…

Esatto. La guerra continuerebbe, in quale direzione non lo so. Perché dietro questo comportamento, credo di percepire il fatto che lo Stato di Israele abbia perso la sua identità originaria. Sento un vuoto. Da tempo avverto negli assassini individuali di quadri e leader delle forze avversarie un bisogno di uccidere che non ha alcun reale interesse strategico. Forse, nelle profondità inconsce della psiche israeliana, essere israeliani oggi non significa più essere ebrei, significa combattere gli arabi. Sono in parte ebreo, forse, non ne sono affatto sicuro, ma non sono nemmeno sicuro che la maggioranza degli israeliani sia ancora ebraica.

In che senso non sei sicuro di essere ebreo?

L’asse centrale della mia famiglia, come ho detto, appartiene all’antica comunità ebraica francese, israelita, ma è una famiglia con matrimoni misti fin dal periodo tra le due guerre. Ho un nonno bretone e una nonna inglese. Nato nel 1951, sono stato battezzato e le chiese mi sono a dir poco più familiari delle sinagoghe. L’universalismo cattolico, nella sua versione repubblicana secolarizzata (zombie), mi definisce senza dubbio meglio dell’appartenenza al popolo eletto. Tuttavia, i miei due valori fondamentali, i figli e i libri, sono due ancore più tipicamente ebraiche che cattoliche. E per quanto riguarda il senso di emarginazione e l’ansia, nessun problema…

Se dovessi definirmi in una categoria, farei riferimento a “Storia del Ghetto di Venezia” di Riccardo Calimani, un libro in cui viene descritto il processo a un marrano. Nella concezione cristiana comune, il marrano è un ebreo convertito con la forza o che si è convertito per salvarsi, ma che, in fondo, è rimasto ebreo. In realtà, non è così. In questo processo vediamo chiaramente che il marrano è una persona che, in fondo, non sa più cosa sia. Quest’uomo non sa più se è ebreo o se è cristiano. Questo sono completamente io. Potrei dire che ci sono momenti in cui penso di essere ebreo, ma devo ammettere che mi sento molto bene quando entro in una chiesa, dove mi faccio sempre il segno della croce attraversando la navata centrale. Quando è iniziata l’operazione israeliana contro Gaza, stavo leggendo le memorie di mia nonna, la madre di mia madre.

Ebreo?

Assolutamente. Durante la guerra, si rifugiò negli Stati Uniti con i genitori e i due figli. Sebbene suo marito, un intellettuale comunista bretone, fosse stato ucciso nella sacca di Dunkerque, la vita della famiglia negli Stati Uniti, in particolare quella di mia madre, era felice. Vivevano a Hollywood, e mia nonna lavorava lì come doppiatrice. Le sue memorie parlano di un Buster Keaton ormai anziano e di un Clark Gable non proprio bello. Mia madre era un’adolescente a Hollywood. Si può vivere peggio. In effetti, la sua vita lì, di cui mi parlava con nostalgia, sembra essere stata fantastica. Fu una scelta ovvia ma difficile per loro tornare in Francia non appena il loro paese fu liberato. Trovarono la loro casa devastata, occupata da bravi francesi. La recuperarono. Tutti gli oggetti di valore erano stati rubati. Soprattutto, dovettero contare il numero dei membri della famiglia che erano stati deportati e morti nei campi. Erano una famiglia ebrea francese borghese che aveva assistito da vicino all’Olocausto e per la quale il nome Auschwitz assunse il suo vero significato. Questo è ciò che mi è capitato di leggere quando sono iniziati i bombardamenti di Gaza. E mi sono chiesto: cosa c’entra lo Stato di Israele con la storia della mia famiglia?

Sì, qual era la relazione?

Nel suo libro di memorie, “Il mondo di ieri” , lo scrittore austriaco Stefan Zweig parla della spiacevole sorpresa dei borghesi ebrei viennesi, che improvvisamente si ritrovarono assimilati agli ebrei degli shtetl dell’Europa orientale. Scoprirono che, nella mente dei nazisti, erano tutti la stessa cosa. Molto tempo dopo la guerra, nella mia famiglia, facevamo battute ironiche e autocritiche sul periodo in cui gli ebrei polacchi appena arrivati ​​venivano stupidamente definiti “quelli che ci fanno del male”. Lezione di storia imparata. Anche se a volte mi chiedo se, purtroppo, qualcosa di quella cecità ebraica borghese prebellica non sia rimasta in me, figlio di Saint-Germain-en-Laye, quando penso ai risentimenti etnici o razziali di Alain Finkielkraut o Éric Zemmour.

Scherzi a parte. Torniamo alla conclusione. In definitiva, non sta a noi decidere se siamo ebrei o no. Sono coloro che perseguitano che alla fine decidono. Questa è stata probabilmente la base del mio attaccamento a Israele in passato. Per un certo periodo ho mantenuto questo attaccamento ragionevole, ma, ripeto in tutta onestà, non è mai stato entusiasta. Non sono mai stato in Israele ed è probabile che non ci andrò mai. La mia seconda patria spirituale è l’Italia.

Penso che oggi ci stiamo avvicinando a un momento di separazione, in cui molti ebrei della diaspora perderanno il loro senso di legame con Israele. Questo fenomeno è iniziato negli Stati Uniti, forse perché la comunità ebraica americana è numerosa e autonoma, nel Paese più potente del mondo. In Francia, invece, nulla di simile è percepibile. Un atteggiamento come il mio non è nemmeno minoritario lì; è insignificante. In Francia, per quanto posso giudicare senza un’indagine seria, sia tra gli ashkenaziti, che provengono dall’Europa orientale, sia tra i sefarditi, che provengono dal Mediterraneo, la solidarietà con Israele è intatta. Dal mio punto di vista, sono un po’ arretrati moralmente.

La stessa cosa sta succedendo in Italia

Credo che il problema sia che gli ebrei, o persone come me, che non sanno cosa siano, marrani (nel senso storicamente corretto del termine), non si rendono conto che il loro dilemma sarà ancora più doloroso in futuro. Perché, come ho detto prima, la situazione in Medio Oriente peggiorerà.

Al di là delle dinamiche intrinseche della violenza, un elemento di analisi demografica ci permette di comprendere perché la radicalizzazione di estrema destra di Israele sia un processo continuo e storicamente necessario. Le persone che emigrano in Israele (non tutte ebree, tra l’altro) sono attratte dalla violenza che è ormai un elemento costitutivo del sistema nazionale. D’altra parte, le persone che emigrano, che lasciano Israele per il Nord America, l’Europa, la Russia o altrove, aspirano per sé e per i propri figli a una vita pacifica, normale e saggia. Ciò significa che la percentuale di persone violente è in aumento, tendenzialmente inevitabile, in Israele. Un fenomeno simile si è verificato con l’emigrazione di parte della classe media dalla Jugoslavia prima della guerra civile interetnica e dall’Ucraina, ovviamente, prima dell’ondata russofoba. Quindi siamo solo all’inizio.

Gli ebrei francesi e italiani si troveranno di fronte a un divario sempre più evidente tra i valori ebraici tradizionali e il comportamento dello Stato di Israele. Arriverà il momento della scelta. Soprattutto perché la popolazione francese in generale, e non solo quella di origine musulmana, giudicherà sempre più Israele per quello che è, a prescindere dal ricordo dell’Olocausto. Certamente, le élite occidentali, gli attivisti di estrema destra europei e i repubblicani evangelici americani nutrono una simpatia attiva e a volte frenetica per Israele. Se riflettiamo per tre minuti, non è illogico che, nell’era della religione zero e del culto della disuguaglianza, classi e gruppi che un tempo erano antisemiti siano oggi presi da una passione positiva per lo Stato di Israele, che è diventato di estrema destra.

Ma credo che la gente comune giudichi e giudicherà Israele sempre più ragionevolmente, e quindi severamente. Certo, l’islamofobia europea, effetto dell’immigrazione, sta attualmente creando una sorta di cortina fumogena. In Francia, ad esempio, esistono sentimenti anti-musulmani o anti-arabi che potrebbero suggerire ad alcuni, seppur eccitati, un legame tra la lotta di Israele e i “valori della Repubblica”, come si dice oggi. Credo, tuttavia, che la maggioranza dei francesi sarà in grado di distinguere tra le situazioni e giudicare ciò che sta accadendo in Medio Oriente indipendentemente dai nostri problemi sociali. Dopotutto, siamo nella terra dei diritti umani. In Francia abbiamo ben altro che islamofobia. Presto, non sarà più sufficiente a proteggere Israele (relativamente) da un giudizio meramente umano.

Anche in Italia è così…

C’è una vera e propria divisione tra i media e i politici da un lato, e la gente comune dall’altro, su molti argomenti, in particolare su Israele, in Francia, in Italia e altrove. Credo che questo sia un tema su cui lavorerò. Quando intervengo nel dibattito pubblico, è perché ho l’impressione, come ricercatore, di vedere qualcosa che altri non vedono. Non mi considero più morale degli altri. Ad esempio, nel mio libro sulla guerra in Ucraina, ho la sensazione di aver capito cose che altri non hanno visto. Ma su Israele non ho lavorato. Non scriverò certamente un libro sull’argomento; sarebbe troppo doloroso. Ma probabilmente lavorerò sulla questione per me stesso, per non morire idiota. Vorrei trovare nuove spiegazioni. Ho due ipotesi di lavoro su Israele, che ho già presentato. La prima è il nichilismo, dovuto alla perdita di significato della società israeliana e della sua storia. La seconda, che ne è una conseguenza, è l’ipotesi che la situazione peggiorerà ulteriormente.

Come pensi di analizzare la situazione israeliana?

Dovremo affrontare la questione di ciò che sta accadendo in Israele all’interno di un quadro sociologico generale. Ritornerò su quanto ho delineato all’inizio dell’intervista. Questo è il problema fondamentale. Merita di essere ripetuto. Uno dei concetti che sviluppo sistematicamente nel mio libro, per comprendere la crisi degli Stati Uniti e la passività degli europei, è il concetto di “religione zero”. Distinguo tre stadi della religione. Il primo è uno stadio attivo, in cui le persone sono credenti, vanno a messa o alle funzioni domenicali, o osservano lo Shabbat. Il secondo è uno “stadio zombie”, durante il quale le persone non sono più credenti, ma i valori religiosi sopravvivono o si reincarnano in una forma secolare. In questa fase fioriscono ideologie politiche sostitutive: l’ideale della Nazione, l’ideale rivoluzionario francese, il liberalismo progressista inglese, il socialismo, il comunismo, il nazismo… Poi arriva lo stadio zero della religione, in cui non esiste né una morale individuale di origine religiosa né la strutturazione della società attraverso la morale religiosa. Applico questo concetto all’intero mondo occidentale. E ovviamente vale anche per lo Stato di Israele.

E come pensi di procedere?

Lo Stato di Israele è nato da una questione religiosa. L’ebraismo era inizialmente semplicemente una religione attiva, vissuta dai credenti. Poi arrivò il declino delle credenze, come nel mondo cristiano, e la comparsa di un ebraismo zombie, in cui si poteva rimanere ebrei, con la sensazione di esserlo, individualmente e collettivamente, senza credere in Dio. Ho trovato all’inizio dei quaderni scritti dal mio trisavolo Paul Hesse durante la Prima Guerra Mondiale la frase introduttiva “…Io, ebreo di razza e libero pensatore per fede…”. I sionisti erano spesso laici; non si definivano credenti. Spero di non commettere un errore di fatto. Non sono un esperto in materia. Sto conducendo una ricerca dal vivo. Quindi, comincio a chiedermi se il sionismo non rientri semplicemente nella categoria della fase zombie della religione.

Ma per quanto riguarda l’attuale Stato di Israele, mi chiedo se non abbia in gran parte raggiunto lo stadio zero della religione. Questo stadio zero potrebbe spiegare il nichilismo. Rimane, come ho detto, un problema da risolvere, che riguarda la fascia degli ebrei molto religiosi, che a mio avviso rappresentano qualcosa che non è più l’ebraismo tradizionale, l’ebraismo rabbinico che conoscevamo. Non sono in grado di definirne la natura, perché non ci ho ancora lavorato, anche se ritengo che non si tratti più di ebraismo in senso classico. L’argomento è tecnicamente affascinante per l’eterogeneità iniziale della popolazione israeliana: originaria dell’Europa orientale, del mondo arabo, poi della Russia, con correnti minoritarie più antiche provenienti dall’Iran o dal Kerala, e più recenti dagli Stati Uniti o dalla Francia. La domanda “Chi è diventato cosa?” apre un’affascinante matrice di sviluppi religiosi interni in Israele.

Comunque, sapete che i padri fondatori dello Stato di Israele dissero: “Dio non esiste, ma ci ha dato uno Stato”.

Sì, sì. Chiamiamola una frase zombie. E questo confermerebbe l’ipotesi del sionismo come “fase zombie” della religione. Ma ciò che è vertiginoso è l’ipotesi della religione zero, perché significherebbe che Israele non è più uno stato ebraico. Per non parlare del fatto che la scomparsa dei veri ebrei non implica in alcun modo la scomparsa dell’antisemitismo in Occidente e altrove.

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