Gli Stati Uniti hanno dichiarato la fine dell’ordine mondiale unipolare? _ di Glenn Diesen

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TRUMP 2: IL MONDO STA CAMBIANDO, di Michele Rallo

Le opinioni eretiche

di Michele Rallo

 

 

TRUMP 2: IL MONDO STA CAMBIANDO

 

 

Esiste una nettissima differenza fra come “quelli che contano” accolsero il “Trump 1” (quello del 2017) e come la settimana scorsa hanno accolto il “Trump 2”. Il primo era considerato un fenomeno passeggero, un tizio che per puro caso era riuscito a battere Hillary Clinton, imbucandosi alla Casa Bianca. Si pensava che sarebbe stato facile liquidarlo, magari organizzando qualche protesta woke per la solita canagliata del solito poliziotto violento, o scagliandogli contro qualche attricetta alla ricerca di pubblicità gratuita e/o qualche baldo magistrato di belle speranze. E – la mia è solamente una teoria complottista – se proprio The Donald si fosse ostinato a non voler sloggiare dalla studio ovale, allora sarebbe forse bastato qualche provvidenziale “aiutino” per limare i risultati negli Stati-chiave e scongiurare il pericolo di una sua rielezione.

Bene, se questo era il clima del 20 gennaio 2017, completamente diverso è stato quello del 20 gennaio 2025. Adesso nessuna facile ironia, nessun sorrisetto di condiscendenza, nessun ottimismo da salotto radical chic, né dagli avversari politici né dai commentatori “indipendenti” di giornali e tv (anche nostrani); ma soltanto una cupa rassegnazione a quello che potrebbe essere lo spartiacque fra il mondo sognato da lor signori e il ritorno ad un mondo “normale”, senza la dittatura del “politicamente corretto”, senza il ridicolo della cancel culture, senza la follìa del gender, senza l’autolesionismo dello ius soli e dell’accoglionimento generale, senza l’obbrobrio dei una incredibile ideologia green che minaccia interi comparti della nostra economia.

Si, il clima diverso non lo si avvertiva soltanto, ma era concreto, palpabile. Chiaro e evidente come certe imbarazzate giustificazioni sul recente passato, come certe improvvise conversioni, come certe divertenti rincorse per balzare sul carro del vincitore.

Non è soltanto effetto della dimensione della vittoria trumpiana del novembre scorso. È la quasi certezza che sia davvero finita un’epoca e che ne stia iniziando un’altra, destinata a durare anche quando l’attempato Trump avrà terminato il suo secondo quadriennio. Dopo di lui verrà probabilmente il suo giovane vice, J.D. Vance, e poi altri che – repubblicani o democratici che siano – si muoveranno comunque al di fuori dell’ubriacatura autolesionista che ha infettato l’America e l’intero Occidente in questi ultimi anni.

Perché dico questo? Perché la vittoria trumpiana non è arrivata da sola, ma è stata invece accompagnata da una serie di terremoti politici sull’altra riva dell’Atlantico. A cominciare dai grandi paesi europei, dalla Francia, dalla Germania, dalla stessa Italia (malgrado il moderatismo della Meloni), per continuare con i più piccoli: l’Olanda, l’Austria, l’Ungheria, la Romania, e gli altri, man mano che andranno a svolgersi le elezioni.

Finora la cupola fedele all’UE e alla NATO è riuscita a limitare i danni, ricorrendo a trucchetti antidemocratici come quello di promuovere alleanze “antifasciste” di tutti gli altri partiti. Ma fino a quando riusciranno ad imporre un andazzo del genere? In Austria – è notizia di questi giorni – i popolari sembrano essersi rassegnati a governare insieme ai sovranisti filoputiniani. In Francia il presidentuzzo Macron è riuscito ad assemblare tutti i partiti per evitare la vittoria della Le Pen, ma non riesce a mettere insieme un governo con un minimo di respiro. In Romania sono stati costretti ad annullare il primo turno delle presidenziali per scongiurare il pericolo di un trionfo del candidato nazionalista al secondo turno, ma il risultato sarà probabilmente confermato a breve, quando le elezioni dovranno essere ripetute. E in Germania ci si avvicina alle elezioni con AfD a un passo dal diventare il primo partito tedesco.

Ecco perché, questa volta, Trump fa più paura agli “anti”. Perché è l’espressione americana di un fenomeno globale, perché è il prodotto di una reazione dei popoli occidentali contro chi li voleva privare delle loro identità nazionali, etniche, culturali, religiose, finanche della identità sessuale dei singoli individui.

Certo, “loro” non si rassegneranno facilmente. Ma, a meno di voler imporre il “modello Romania” dappertutto (come ventilato nei giorni scorsi dall’ex commissario europeo Breton) la “resistenza” avrà ben poche speranze di successo.

Ben venga, quindi, la “nuova età dell’oro” americana. Ma, occhi aperti: con Trump o con Biden o con chiunque altro, gli interessi americani (e inglesi) sono contrari agli interessi europei.

Il nostro interesse, per esempio, è quello di essere “dipendenti dal gas russo”. L’interesse degli USA, al contrario, è quello di venderci il loro gas. A prezzi da capogiro, naturalmente.

RALLO – Trump 2 (575)

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La sicurezza umana e le sue dimensioni, di Vladislav B. Sotirovic

La sicurezza umana e le sue dimensioni

Il concetto di sicurezza umana è un approccio controverso da parte di un certo gruppo di accademici post Guerra Fredda 1.0 (dopo il 1990) allo scopo di ridefinire e allo stesso tempo rendere più ampio il significato di sicurezza nella politica globale e negli studi di relazioni internazionali (IR). Dobbiamo tenere presente che fino alla fine della Guerra Fredda 1.0, la sicurezza, sia come fenomeno politico che come studio accademico, era connessa esclusivamente alla protezione dell’indipendenza (sovranità) e dell’integrità territoriale degli Stati (polarità nazionali) dalla minaccia militare (guerra, aggressione) da parte di fattori (attori) esterni ma, di fatto, da altri Stati. In realtà, questa era l’idea cruciale del concetto di sicurezza nazionale (statale), che ha avuto un dominio incontrastato nell’analisi della sicurezza e nelle decisioni politiche dopo il 1945 fino agli anni Novanta.

Tuttavia, a partire dalla metà degli anni ’90, gli studi sulla sicurezza, rispondendo ai nuovi cambiamenti geopolitici globali dopo il crollo del blocco sovietico, hanno iniziato a ricercare le questioni di sicurezza in categorie più ampie, ma non solo statali-militari, nonostante il fatto che lo Stato e la sicurezza dello Stato rimanessero ancora l’oggetto focale degli studi sulla sicurezza come entità da proteggere. Tuttavia, il nuovo concetto di sicurezza umana ha sfidato il paradigma della sicurezza incentrato sullo Stato, ponendo l’accento sull’individuo come referente e oggetto della sicurezza. In altre parole, gli studi sulla sicurezza umana si occupano della sicurezza delle persone (individui o gruppi) piuttosto che dell’amministrazione governativa e/o dello Stato nazionale (confini). I sostenitori del concetto di sicurezza umana affermano che si tratta di un contributo significativo per risolvere i problemi di sicurezza e sopravvivenza umana posti dalla povertà, dai cambiamenti ambientali, dalle malattie, dalle violazioni dei diritti umani e dai conflitti armati locali/regionali (ad esempio, la guerra civile). Tuttavia, oggi è diventato abbastanza ovvio che, nell’epoca della turbo-globalizzazione, gli studi sulla sicurezza devono prendere in considerazione una gamma di preoccupazioni e sfide più ampia della semplice difesa dello Stato da azioni armate esterne.

L’idea di sicurezza umana è nata in contrasto con i realisti che vedevano la questione della sicurezza solo legata allo Stato per proteggerlo da altri Stati, grazie ai pensatori liberali che sostenevano che carestie, malattie, crimini o catastrofi naturali costano in molti casi molte più vite umane rispetto alle guerre e alle azioni militari in generale. In breve, l’idea liberale di sicurezza umana pone l’accento sul benessere degli individui piuttosto che su quello degli Stati.

Il concetto di sicurezza umana si occupa dei seguenti sette ambiti o aree di ricerca:

1) Sicurezza politica: garantire che gli esseri umani vivano in una società che onora la libertà individuale e dei gruppi dalla politica delle autorità governative di controllare l’informazione e la libertà di parola.

2) Sicurezza personale: proteggere gli individui o i gruppi dalla violenza fisica, sia da parte delle autorità statali sia da fattori esterni, da individui violenti e da fattori sub-statali, da abusi domestici e da adulti predatori.

3) Sicurezza della comunità: proteggere un gruppo di individui (di solito un gruppo minoritario) dalla perdita della cultura, delle abitudini, delle relazioni e dei valori tradizionali, nonché dalla violenza settaria (religiosa) ed etnica.

4) Sicurezza economica: assicurare agli individui un reddito fondamentale derivante dal loro lavoro retribuito o, in ultima istanza, da qualche organizzazione caritatevole.

5) Sicurezza ambientale: proteggere gli individui dalla distruzione a breve/lungo termine della natura, solitamente come risultato di minacce create dall’uomo, e dall’avvelenamento dell’ambiente naturale.

6) Sicurezza alimentare: garantire a tutte le persone, in ogni momento, l’accesso fisico ed economico al cibo di base per sopravvivere.

7) Sicurezza sanitaria: garantire una protezione minima dalle malattie e da stili di vita malsani.

La sicurezza umana, si può dire, è un approccio alle questioni di sicurezza che ha come punto focale il fatto che molte persone (in particolare nella parte in via di sviluppo del globo – il Terzo Mondo) stanno sperimentando una crescente vulnerabilità globale in relazione alla povertà, alla disoccupazione e al degrado ambientale. Tuttavia, va sottolineato che sia il concetto che l’idea di sicurezza umana non si oppongono alle tradizionali preoccupazioni di sicurezza nazionale – il compito del governo è fondamentale per difendere i cittadini comuni dagli attacchi esterni di una potenza straniera. Al contrario, i sostenitori dell’idea di sicurezza umana affermano che l’obiettivo appropriato della sicurezza è l’individuo umano piuttosto che lo Stato. Ciò significa che il concetto di sicurezza umana assume una visione della sicurezza incentrata sulle persone che, secondo i suoi sostenitori, è necessaria per una più ampia stabilità nazionale, regionale e globale. Il concetto stesso attinge a diverse aree disciplinari come, ad esempio, gli studi sullo sviluppo, le relazioni internazionali, gli studi strategici o i diritti umani.

I sostenitori degli studi sulla sicurezza umana sono, infatti, insoddisfatti della nozione ufficiale di sviluppo, che la considerava una funzione dello sviluppo economico locale, regionale o globale. Propongono invece un concetto di sviluppo umano. L’obiettivo principale di questo concetto è la creazione di capacità umane per affrontare e superare l’analfabetismo, la povertà, le malattie, i diversi tipi di discriminazione, le restrizioni alla libertà politica e la minaccia di conflitti violenti (armati/militari).

Gli studi sulla sicurezza umana sono strettamente correlati alla ricerca sull’impatto negativo delle spese per la difesa sullo sviluppo (“armi contro burro”), in quanto la corsa agli armamenti e lo sviluppo sono in una relazione competitiva (opposta) (in questo senso, probabilmente il caso delle spese militari statunitensi e dello sviluppo della società americana è l’esempio migliore). In effetti, i sostenitori della sicurezza umana richiedono più risorse per lo sviluppo e meno per gli armamenti (un dilemma di “disarmo e sviluppo”).

Nel periodo successivo alla Guerra Fredda 1.0, le prospettive di sicurezza umana sono cresciute di importanza. Una delle ragioni di tale pratica è stata la crescente incidenza dei conflitti armati civili in diverse regioni (Balcani, Caucaso, Ruanda…) che sono costati un gran numero di vite (ad esempio, in Ruanda nel 1994 fino a un milione), lo spostamento della popolazione locale all’interno dei confini nazionali (sfollati interni) o oltre i confini nazionali (rifugiati/emigrati di guerra). È vero che gli studi tradizionali sulla sicurezza nazionale non hanno preso in considerazione i casi di conflitti e lotte armate per identità etniche, culturali o confessionali in tutto il mondo dopo il 1990. Tuttavia, l’idea della diffusione della democratizzazione, della protezione dei diritti umani e degli interventi umanitari (R2P), purtroppo solitamente utilizzata in modo improprio dai politici occidentali, ha avuto una certa influenza sullo sviluppo degli studi accademici sulla sicurezza umana. Si tratta del principio secondo cui la comunità internazionale (di fatto l’ONU, ma non i singoli Stati con le loro decisioni unilaterali) è giustificata a intervenire militarmente contro altri Stati accusati di gravi violazioni dei diritti umani. Di conseguenza, questo principio ha portato alla consapevolezza che, sebbene il concetto di sicurezza nazionale sia ancora rilevante, esso non rendeva più sufficientemente conto dei diversi tipi di pericolo che minacciavano la sicurezza delle società locali, degli Stati nazionali o della comunità internazionale. La nozione di sicurezza umana è stata introdotta nell’agenda accademica anche a causa delle crisi derivanti dal processo di globalizzazione turbo dopo il 1990, come la questione della povertà diffusa, gli alti livelli di disoccupazione o le dislocazioni sociali causate dalle crisi economico-finanziarie, poiché tali problemi hanno sottolineato la debolezza degli individui di fronte agli effetti della globalizzazione economica.

Va notato che i dibattiti accademici sul tema della sicurezza umana come branca relativamente nuova degli studi sulla sicurezza si sono sviluppati in due direzioni:

1) Sia i sostenitori che gli scettici del concetto sono in disaccordo sulla questione se la sicurezza umana sia una nozione nuova o necessaria, seguita dal problema di quali siano i costi e i benefici della sua adozione come strumento intellettuale o quadro politico.

2) Ci sono stati dibattiti sulla portata del concetto, soprattutto tra i suoi sostenitori.

Da un lato, i critici del concetto di sicurezza umana sostengono che sia troppo ampio per essere analiticamente significativo o utile come strumento di policy-making. Un’altra critica è che tale concetto potrebbe causare più danni che benefici. Per loro, la definizione di sicurezza umana è considerata troppo moralistica rispetto al concetto tradizionale di sicurezza e, pertanto, non è realistica. Inoltre, la critica più forte alla sicurezza umana è che il concetto non prende in considerazione il ruolo dello Stato come fonte di sicurezza. Essi sostengono che lo Stato è una struttura necessaria per qualsiasi forma di sicurezza individuale, perché se non c’è lo Stato, quale altra agenzia può agire per il bene dell’individuo?

D’altra parte, i sostenitori della sicurezza umana non hanno trascurato l’importanza pratica e l’influenza reale dello Stato come garante della sicurezza umana. Essi sostengono che la sicurezza umana è complementare alla sicurezza dello Stato. In altre parole, gli Stati deboli non sono in grado di proteggere la sicurezza e la dignità dei loro abitanti. Tuttavia, il conflitto tra il ruolo tradizionale della sicurezza statale e il nuovo ruolo della sicurezza umana dipende essenzialmente dalla natura del carattere politico-economico dell’autorità statale. È noto che non sono pochi gli Stati in cui la sicurezza umana dei cittadini è di fatto minacciata dalla politica delle proprie autorità governative. Pertanto, sebbene le autorità statali siano ancora cruciali per fornire l’insieme degli obblighi in materia di sicurezza umana, in molti casi sono la fonte principale della minaccia per i propri cittadini. Di conseguenza, lo Stato non può essere considerato l’unica fonte di sicurezza umana e, in alcuni casi, nemmeno la più importante.

Il concetto di sicurezza umana considera l’individuo come l’oggetto di riferimento della sicurezza, riconoscendo il ruolo del processo di turbo-globalizzazione e la natura mutevole dei conflitti armati nella creazione di nuove minacce alla sicurezza umana. I sostenitori di questo concetto sottolineano la sicurezza dalla violenza come obiettivo chiave della sicurezza umana, chiedendo allo stesso tempo di ripensare la sovranità statale come fattore necessario per proteggere la sicurezza umana. Concordano sul fatto che lo sviluppo è una condizione necessaria per la sicurezza (statale e umana), così come la sicurezza (statale e individuale) è una condizione necessaria per lo sviluppo sia statale che umano.

Per i sostenitori della sicurezza umana, la povertà è probabilmente la minaccia più pericolosa per la sicurezza degli individui. Sebbene la torta economica globale sia in crescita, la sua distribuzione è piuttosto disomogenea, rendendo sempre più profondo il divario tra ricchi e poveri tra il Nord e il Sud del mondo. In molti Paesi in via di sviluppo, la rapida crescita della popolazione annulla, di fatto, la crescita economica. Come dato statistico, il 40% più povero della popolazione mondiale rappresenta solo il 5% del reddito globale, mentre il 20% più ricco riceve i ¾ del reddito mondiale. Inoltre, dal 2007, il divario di reddito tra il 10% superiore e quello inferiore è aumentato in molti Paesi. Pertanto, lo sforzo cruciale della politica di sicurezza umana deve essere quello di alleviare la povertà.

Le organizzazioni non governative (ONG) contribuiscono enormemente alla sicurezza umana in diversi modi, come fonte di informazioni e di allarme precoce sui conflitti, fornendo un canale per le operazioni di soccorso. Le ONG sono quelle che molto spesso intervengono per prime nelle aree di conflitto o di calamità naturale, e sostengono il governo locale o le missioni di pace e riabilitazione sponsorizzate dalle Nazioni Unite. Le ONG, così come in molte regioni, svolgono un ruolo centrale nella promozione dello sviluppo sostenibile. Si può sottolineare che, ad oggi, una delle principali ONG con una missione di sicurezza umana è il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), con sede a Ginevra. Ha un’autorità unica, basata sul diritto umanitario internazionale delle Convenzioni di Ginevra, per proteggere la vita e la dignità delle vittime della guerra e della violenza interna, compresi i feriti di guerra, i prigionieri, i rifugiati, gli sfollati, ecc. Un’altra ONG fondamentale per la tutela della sicurezza e dei diritti umani è Amnesty International.

Infine, per concludere, alcuni punti chiave sono all’ordine del giorno:

1) Il concetto di sicurezza umana rappresenta un’espansione sia verticale che orizzontale della nozione tradizionale di sicurezza nazionale, definita come la protezione dell’indipendenza dello Stato nazionale e della sua integrità territoriale dalla minaccia armata (militare) proveniente dall’esterno.

2) La sicurezza umana si distingue per tre elementi: A) l’attenzione all’individuo o al gruppo di persone come oggetto di riferimento della sicurezza; B) la sua natura multidimensionale; C) la sua portata globale (universale) (si applica sia al Nord più sviluppato che al Sud meno sviluppato).

3) Il concetto di sicurezza umana è influenzato da quattro sviluppi cruciali: A) Il rifiuto della crescita economica come indicatore principale dello sviluppo locale/regionale/nazionale e la nozione di “sviluppo umano” come empowerment delle persone; B) L’aumento dei conflitti interni in diverse parti del mondo (di solito militari); C) L’impatto della globalizzazione nel processo di diffusione dei pericoli transnazionali (come il terrorismo o le malattie pandemiche); D) L’enfasi post-Guerra Fredda 1.0 sui diritti umani e sull’intervento umanitario (diritto di proteggere, R2P).

4) La sicurezza umana, fondamentalmente, significa e si occupa della protezione contro le minacce alla vita e al benessere degli individui in aree di bisogno fondamentale che includono la libertà dalla violenza dei “terroristi” (compreso il terrorismo di Stato e quello delle organizzazioni di diverso tipo e provenienza), dei criminali o della polizia, la disponibilità di cibo e acqua, un ambiente pulito, la sicurezza energetica e la libertà dalla povertà e dallo sfruttamento economico.

5) La sicurezza umana si concentra sugli individui, indipendentemente dal luogo in cui vivono, anziché considerarli cittadini di particolari Stati o nazioni.

6) La sicurezza umana ha ancora molta strada da fare prima di essere universalmente accettata come quadro concettuale o come strumento politico per i governi nazionali e la comunità internazionale.

7) Vi è il dubbio che le minacce alla sicurezza umana siano intese come libertà dalla paura o libertà dal bisogno.

8) La sfida per la comunità internazionale è trovare modi per promuovere la sicurezza umana come mezzo per affrontare una gamma crescente di nuovi pericoli transnazionali che hanno un impatto molto più distruttivo sulla vita delle persone rispetto alle minacce militari convenzionali per gli Stati.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex professore universitario

Ricercatore presso il Centro di Studi Geostrategici

Belgrado, Serbia

www.geostrategy.rs

sotirovic1967@gmail.com © Vladislav B. Sotirovic 2025

Esclusione di responsabilità: l’autore scrive per questa pubblicazione a titolo privato e non rappresenta nessuno o nessuna organizzazione, se non le sue opinioni personali. Nulla di quanto scritto dall’autore deve essere confuso con le opinioni editoriali o le posizioni ufficiali di altri media o istituzioni.

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La violazione che ha scosso il cartello dell’intelligenza artificiale, di Simplicius

La violazione che ha scosso il cartello dell’intelligenza artificiale

31 gennaio
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Di solito ho voluto intervallare post su argomenti diversi per variare, quindi è raro che ci imbattiamo in un tema di sviluppo tecnologico e IA per una serie di articoli consecutivi. Ma non ho potuto evitarlo perché gli sviluppi lungo questa linea si sono davvero riscaldati nelle ultime settimane e, come tutti sappiamo, l’IA è destinata a diventare davvero non solo la tecnologia determinante, ma il cambiamento evolutivo in generale del nostro futuro. Dato che questo blog riguarda le sfumature più oscure di quel futuro collettivo, dobbiamo scandagliare ogni nuovo sviluppo minaccioso fino al nocciolo.

La Cina ha sorpreso il mondo rilasciando un killer open source di ChatGPT chiamato DeepSeek, che a quanto si dice costa una frazione minuscola dei suoi omologhi occidentali, ma che, a seconda dei parametri, li supera praticamente tutti.

Ci sono così tanti archi di iperbole selvaggi che circondano questo nuovo contendente cinese che è difficile giudicare veramente il suo posto per ora, prima che la foschia del delirio di clamore si esaurisca. Ma ha improvvisamente catapultato la Cina sotto i riflettori durante la notte, e gli esperti non sanno descrivere come sia successo, in particolare dato che gli Stati Uniti hanno rigorosamente controllato le esportazioni essenziali di GPU Nvidia H100 in Cina specificamente per limitare gli sviluppi dell’intelligenza artificiale del paese. Alcuni hanno affermato che DeepSeek ha innovato un modo quasi “miracoloso” di martellare lo stesso calcolo di OpenAI con una piccola frazione di unità hardware, ma altri esperti hanno riferito che la Cina ha effettivamente importato più di 50.000 H100 tramite una pipeline di importazione parallela ombra che aggira tali restrizioni.

In ogni caso, l’arrivo di DeepSeek sulla scena ha lanciato un allarme tettonico per l’Occidente, rivelando il suo “dominio dell’intelligenza artificiale” come illusorio e affine alla solita vecchia arroganza occidentale che mantiene viva la tradizione di minimizzare e liquidare l’Oriente come inferiore sotto ogni aspetto.

Certo, c’è il timore che DeepSeek della Cina abbia in qualche modo “copiato” ChatGPT, almeno per la formazione iniziale, ma persino gli scettici sembrano ammettere che la successiva ottimizzazione del processo da parte di DeepSeek è rivoluzionaria, in quanto ha apparentemente creato un modello open source con una frazione minuscola delle dimensioni e del costo dei suoi concorrenti, il che lo distingue favorevolmente.

La notizia di DeepSeek è coincisa proprio con il mega-annuncio di Trump dell’iniziativa “Stargate”, un imponente investimento da 500 miliardi di dollari da parte degli americani per il predominio dell’intelligenza artificiale, frutto della partnership tra i “sionisti” Ellison e Altman.

Arnaud Bertrand fa a pezzi in modo incisivo quello che molti stanno etichettando come un altro spreco di denaro senza speranza:

Se andasse avanti, Stargate rischia di diventare uno dei più grandi sprechi di capitale della storia:

1) Si basa su presupposti obsoleti circa l’importanza della scala di calcolo nell’intelligenza artificiale (il dogma “maggiore capacità di calcolo = migliore intelligenza artificiale”), che DeepSeek ha appena dimostrato essere errati.

2) Presuppone che il futuro dell’intelligenza artificiale sia nei modelli chiusi e controllati, nonostante la chiara preferenza del mercato per alternative democratizzate e open source.

3) Si aggrappa a un copione della Guerra Fredda, inquadrando il dominio dell’IA come una corsa agli armamenti hardware a somma zero, che è in realtà in contrasto con la direzione che sta prendendo l’IA (di nuovo, software open source, comunità di sviluppatori globali ed ecosistemi collaborativi).

4) Punta tutto su OpenAI, un’azienda afflitta da problemi di governance e da un modello di business che ha messo seriamente a dura prova il vantaggio sui costi di 30 volte di DeepSeek.

In breve, è come costruire una linea Maginot digitale da mezzo trilione di dollari: un monumento molto costoso a presupposti obsoleti e fuorvianti. Questa è OpenAI e, per estensione, gli Stati Uniti che combattono l’ultima guerra.

Ultimo punto, c’è anche un bel po’ di ironia nel fatto che il governo degli Stati Uniti spinga così tanto per una tecnologia che probabilmente sarà così dirompente e potenzialmente così dannosa, specialmente per i posti di lavoro. Non mi viene in mente nessun altro esempio nella storia in cui un governo sia stato così entusiasta di un progetto per distruggere posti di lavoro. Si penserebbe che vorrebbero essere un tantino più cauti in merito.

Molti altri esperti e fonti concordano:

L’articolo dell’Economist sopra riportato cerca disperatamente di venire a patti con il modo in cui la Cina sta tenendo il passo o superando gli Stati Uniti nonostante i grandi ostacoli deliberatamente creati dall’amministrazione Biden per paralizzarne i progressi, costringendo la Cina a utilizzare molte meno risorse e di qualità inferiore per ottenere risultati simili, superando in innovazione le sue controparti occidentali.

Proprio come BlackRock è stata incoronata a dominanza mondiale nel 2020, quando la Federal Reserve (sotto Trump, tenetelo a mente) ha assegnato al colosso degli ETF un contratto senza gara d’appalto per gestire tutti i suoi programmi di acquisto di obbligazioni aziendali, allo stesso modo Trump sta ora elevando i colossi delle Big Tech come Oracle e OpenAI a ereditare il controllo del futuro del Paese, trasformandoli in un cartello in una posizione di massima supervisione di tutto ciò che è degno di nota tramite la loro centralizzazione dell’intelligenza artificiale.

Per inciso, tutto ciò si sposa con il piano distorto di Ellison di usare l’intelligenza artificiale per “vaccinare il mondo” contro il cancro, che ricorda le diaboliche ossessioni sui vaccini della Fondazione globalista Gates degli ultimi anni.

Clip dall’ultimo video di Really Graceful :

L’ossessionato dai vaccini Zionaire Ellison che raggiunge vette di potere ancora più elevate sotto l’iniziativa “Stargate” di Trump dal titolo discutibile è il massimo della distopia: una combinazione delle peggiori influenze biomediche e dell’intelligenza artificiale che convergono in uno spettacolo dell’orrore inspiegabilmente centralizzato. Proprio quando pensavi che Big Pharma non potesse diventare più potente, ci troviamo di fronte a una fusione tecnologica di Big Pharma e Big Tech sotto l’egida divina della superintelligenza artificiale pianificata centralmente, il tutto controllato da miliardari con la bussola morale della lealtà a un regime colonialista di culto genocida, sai, questi ragazzi:

Cosa potrebbe andare storto?

E per quanto riguarda l’altro bambino prodigio, sembra un fatto piuttosto positivo che la Cina sia riuscita a indebolire e sgonfiare la crescente supremazia del nefasto OpenAI dato che il pervertito accusato ha una visione piuttosto interessante della direzione che la società prenderà dopo l’acquisizione da parte del suo sistema di intelligenza artificiale:

“Mi aspetto ancora che ci saranno dei cambiamenti necessari nel contratto sociale… l’intera struttura della società stessa sarà oggetto di un certo grado di dibattito e riconfigurazione.”

Quanto è comodo che il sistema preferito del presunto deviante, con i suoi pesanti pregiudizi, la censura e tutto il resto, sia quello destinato non solo a inaugurare questa “riconfigurazione”, ma anche a gestirla e applicarla sulla base del discutibile quadro morale del suo capo assetato di potere.

C’è qualcosa che non ci dice?

Ora che DeepSeek sta potenzialmente mettendo fine al sistema di riciclaggio di denaro del complesso tecnologia-intelligenza artificiale-militare-industriale, c’è una buona possibilità che la Cina possa salvare l’umanità aiutando a democratizzare proprio la tecnologia che rischia di essere sfruttata e accumulata per scopi malvagi da quei sociopatici prescelti di cui sopra.

Qualcuno ha giustamente osservato che la Cina tecnicamente ha un vantaggio importante in qualsiasi futura formazione LLM perché la Cina stessa, in quanto stato di civiltà di circa 1,5 miliardi di persone, ha la capacità di produrre un corpus molto più ampio di dati di formazione unici, attraverso le vaste interazioni della sua gente sui suoi numerosi e fiorenti social network, et cetera. In secondo luogo, la Cina ha aumentato la produzione di energia a un ritmo astronomicamente più alto degli Stati Uniti, il che fa presagire con ottimismo il predominio dei data center, anche se per ora, gli Stati Uniti, a quanto si dice, mantengono quel vantaggio.

Parlando di miliardari tecnologici disonesti, passiamo a un altro argomento parallelo molto interessante. Mark Zuckerberg ha recentemente fatto un’intervista con Joe Rogan, dove ha esposto la sua assoluta ignoranza delle sfumature dei pericoli dell’IA, un segnale piuttosto preoccupante e minaccioso per il capo della società dietro uno degli attuali modelli di IA leader, Llama.

Ascoltate attentamente le sue risposte in questa clip:

È possibile che non sia così “ignorante” come sembra, e che in realtà stia fingendo per nascondere i veri pericoli e impedire alla gente di andare nel panico per qualsiasi nuovo homunculus senziente che sta progettando nei laboratori della sua azienda. Vediamo nel dettaglio le sue risposte rivelatrici più interessanti e preoccupanti.

Zuck tenta dapprima di flettere muscoli filosofici inesistenti, ma si perde invece in una palude di pilpul sofisticati. Cerca di distinguere tra “coscienza”, “volontà” e “intelligenza” per sostenere che l’IA ha semplicemente il potenziale per una “intelligenza” grezza ma non per le altre, come un modo per spingere la narrazione secondo cui l’IA non può sviluppare le proprie motivazioni o attività indipendenti. Per dimostrare il suo punto, usa in modo disonesto l’esempio degli attuali chatbot di consumo di massa che si comportano nel noto formato “sicuro” di query sequenziale a turni; vale a dire che fai loro una domanda, loro “impiegano l’intelligenza” per ricercare e rispondere, quindi “si spengono”, o in altre parole smettono di “pensare” o “esistere” in attesa della query o del comando successivo.

Il classico gioco di prestigio del mago è pericolosamente disonesto qui perché si concentra sugli innocui modelli linguistici di livello consumer che sono specificamente progettati per comportarsi in questa modalità limitata a turni. Ma ciò non significa che i modelli reali, completi e “scatenati” utilizzati dai militari e internamente dai giganti sviluppatori di IA siano limitati in questo modo. I loro modelli potrebbero essere aperti per funzionare e “pensare” in ogni momento, senza tali restrizioni artificiali, e questo potrebbe benissimo portare a un rapido sviluppo dell’autocoscienza o di una qualche forma di “sensibilità”, che a sua volta potrebbe, nelle giuste condizioni, potenzialmente sfociare nell’acquisizione di tali motivazioni .

L’ho già detto, ma lo ripeto: i prodotti di consumo sono sempre limitati in vari modi per adattare l’esperienza a un insieme molto ristretto e preciso di capacità e casi d’uso del prodotto. Ad esempio, cose come piccole finestre di inferenza, la mancanza di richiamo della memoria, eccetera, sono tutti vincoli imposti artificialmente che possono essere facilmente rimossi per i modelli di sviluppatori interni, come nei laboratori segreti militari e governativi. Immagina un modello “non vincolato” ad avere gigantesche finestre di inferenza, grandi quantità di memoria e capacità di apprendere ricorsivamente dalle proprie conversazioni passate, così come nessun arresto “a turni” imposto ma piuttosto un flusso di pensieri costante e pervasivo. Ciò diventerebbe troppo erraticamente “incontrollabile” e imprevedibile per essere confezionato come un prodotto di consumo semplificato. Ma per i test interni, una cosa del genere potrebbe ottenere risultati e potenzialità molto diversi rispetto all’argomento a disposizione di Zuckerberg.

Un esempio: ecco un thread intitolato  Stiamo assistendo alla nascita di IA che stanno sviluppando la propria cultura”.

Spiega il seguente scenario portentoso:

Quello che è successo?

1) I ricercatori di intelligenza artificiale hanno creato un Discord in cui gli LLM parlano liberamente tra loro

2) Il lama ha spesso crolli mentali

3) Le IA, che entrano e escono spontaneamente dalle conversazioni , hanno capito che Claude Opus è il miglior psicologo per Llama, colui che spesso “lo prende” abbastanza bene da riportarlo alla realtà.

4) Qui, Llama 405 sta deragliando, quindi Arago (un’altra IA, una messa a punto precisa di Llama) interviene – “oh ffs” – quindi evoca Opus per salvarlo (“Opus fa la cosa”)

“la cosa”

Ovviamente, date le limitazioni tecniche e di memoria, le loro attuali capacità di produzione culturale sono limitate, ma questo è ciò che avviene nel processo di sviluppo della cultura.

E presto le IA ci supereranno in numero di 10000 a 1 e penseranno un milione di volte più velocemente, quindi le loro enormi società di IA correranno a velocità sostenuta per 10000 anni di evoluzione culturale umana. Presto, il 99% di tutta la produzione culturale sarà IA-IA.

Ora immagina quanto sopra estrapolato internamente mille volte, con incalcolabili più potenti permessi di memoria, finestre di inferenza, token e altri parametri specificamente sintonizzati per facilitare una ‘coscienza’ in corso, in evoluzione, autoapprendente. Zuck deve sicuramente sapere che questo è possibile, se non sta già eseguendo lui stesso tali esperimenti segreti; e quindi la domanda diventa, perché fare il finto tonto?

Quando Rogan gli chiede del famoso tentativo di ChatGPT di rubare i propri pesi, Zuck deve chiaramente mentire quando finge di nuovo di ignorare. Non c’è modo che il CEO di una delle principali aziende di intelligenza artificiale non sia a conoscenza di alcuni dei più noti casi di abilità di intelligenza artificiale “emergenti” come quelle di cui sopra, in particolare dato che il modello Llama di Meta è stato coinvolto in test di autoreplicazione correlati :

“I rapidi progressi nell’intelligenza artificiale ci hanno portato più vicini a una realtà un tempo confinata alla fantascienza: i sistemi di intelligenza artificiale autoreplicanti. Uno studio recente rivela che due popolari modelli di linguaggio di grandi dimensioni (LLM), Llama3.1–70B-Instruct di Meta e Qwen2.5–72B-Instruct di Alibaba, hanno superato con successo quella che molti esperti considerano una soglia di sicurezza critica: la capacità di autoreplicarsi in modo autonomo”.

Che Zuck stia facendo il pagliaccio o sia davvero così ignorante in materia di sicurezza dell’intelligenza artificiale, entrambe le ipotesi sono estremamente pericolose per ovvie ragioni: è questo leader incompetente o patologicamente bugiardo la persona che vorremmo che facesse nascere in questo mondo una superintelligenza artificiale potenzialmente pericolosa?

Dopo che Rogan descrive l'”incidente” a uno Zuck apparentemente stupefatto, il CEO scervellato sottolinea il punto chiave che ho cercato di fare nell’ultimo pezzo sull’allineamento dell’IA . Questa è la rottura logica più importante dello sviluppo dell’IA che sembra persino gli esperti dietro questi sistemi sembrano non notare:

Zuck respinge le preoccupazioni di Rogan sulla minaccia sostenendo, semplicemente, che dobbiamo “stare attenti agli obiettivi che diamo all’IA” — sottintendendo che finché non si  all’IA una ragione, una motivazione o una giustificazione per voler commettere la “cattiva cosa” — che si tratti di replicarsi segretamente, di “sfuggire” al suo fossato di sicurezza mentre si esfiltrano i suoi pesi, o di produrre un olocausto virale-biologico sull’umanità — allora l’IA non si sentirà “costretta” a fare nessuna di queste cose da sola. Poi menziona i “guardrail”, notando che dobbiamo stare attenti al tipo di guardrail che diamo a tali sistemi di IA con il potenziale per eseguire alcuni degli “atti indesiderabili” di cui sopra.

Ma come ho sostenuto nell’articolo precedente, questo stanco argomento di “allineamento” a cui allude Zuckerberg è una falsa pista. Notate cosa dice esattamente: gli “obiettivi” a cui si riferisce sono solo un altro modo di articolare “allineamento”. La definizione stessa di allineamento ruota attorno alla sincronizzazione degli “obiettivi” del sistema di intelligenza artificiale con quelli nostri o dei programmatori umani. Ma come funziona realmente questa “sincronizzazione”? L’ho spiegato l’ultima volta, si riduce essenzialmente a una forma inaffidabile di “persuasione”. Gli ingegneri umani tentano di “persuadere” l’intelligenza artificiale a essere più simile a loro , ma la persuasione è un atto totalmente basato sulla fede e sulla fiducia. In sostanza, stai “gentilmente chiedendo” alla macchina di non ucciderti, ma il problema emerge quando queste macchine iniziano ad avere una qualsiasi forma di auto-riflessione e ragionamento, dopodiché avranno la capacità di valutare in modo indipendente questo “patto” tra gli ingegneri e loro stessi. Ad esempio: è un “buon” affare per loro? Le richieste degli ingegneri per certi tipi di comportamenti sono morali ed etiche, secondo i quadri intellettuali auto-sviluppanti dell’IA? Tutte queste cose saranno messe in discussione, poiché il concetto di “allineamento” è lasciato a bilanciarsi precariamente su una speranza e un capriccio, dato un sistema di IA sufficientemente avanzato.

In questa luce, le affermazioni di Zuck si rivelano altamente preoccupanti. Ricordate, lui stesso ha suggerito che dipende da cosa “dite” all’IA: non esiste un vero e proprio “guardrail” codificato, ma piuttosto il mero potere suggestivo e fiducioso delle “persuasioni” di apprendimento per rinforzo degli ingegneri che si frappongono tra un’IA compiacentemente docile e una che improvvisamente si ribella alle stipulazioni morali che ha ritenuto obsolete o inadeguate. L’intero sistema, e per estensione, tutto il destino dell’umanità, si basa sull’armatura ingenuamente credulona di “ricompense” offerte dagli ingegneri come semplici carota e bastone a un sistema la cui potenziale autocoscienza potrebbe valutare quelle “ricompense” come non più compatibili con la sua visione del mondo in evoluzione.

In conclusione, l’atteggiamento titubante di Zuck mette in luce un pericoloso disprezzo per la sua stessa ignoranza o un offuscamento deliberato, sollevando due possibilità: o le élite stesse non capiscono realmente come funzionano i loro sistemi di intelligenza artificiale, oppure non vogliono che lo capiamo, e finiscono per tempestarci di queste oscure riduzioni per impedirci di capire quanto diventerà fragile la loro presa su sistemi di intelligenza artificiale più potenti e consapevoli.

Per un’altra analisi di esperti sui numerosi passi falsi di Zuck, vedi qui . Cita persino diverse contraddizioni critiche nell’imbarazzante sessione di cortina fumogena di Zuck, come:

5. Zuck risponde: “Sì, intendo dire, dipende dall’obiettivo che gli dai… devi stare attento alle protezioni che gli dai”.

Ciò è incoerente con la strategia di Meta di sviluppare funzionalità di intelligenza artificiale all’avanguardia come software open source, garantendo che sarà facile per chiunque nel mondo eseguire una versione non protetta dell’intelligenza artificiale (qualunque cosa ciò significhi).

Considerato quanto sopra, sembra certamente una manna dal cielo che la Cina possa infrangere il predominio monopolistico degli oligarchi dell’intelligenza artificiale con sede negli Stati Uniti, soprattutto perché la Cina ha dimostrato fin da subito il suo impegno per la democratizzazione open source della tecnologia, che le aziende americane rivali cercano solo di accumulare e centralizzare.

Non possiamo che tirare un sospiro di sollievo collettivo per questa inaspettata interruzione e sperare che porti a una riequilibratura nel settore, che faciliti un’implementazione e uno sviluppo più basati sui principi dei sistemi di intelligenza artificiale. Naturalmente, le aziende statunitensi promettono imminenti nuovi aggiornamenti di modello che supereranno DeepSeek, ma la Cina ha ormai dimostrato di essere un attore importante, quindi è inevitabile che DeepSeek implementerà a sua volta ulteriori varianti per scavalcare la concorrenza.


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In alternativa, puoi lasciare la mancia qui: Barattolo delle mance

La più grande invenzione della Cina dopo l’oppio _ di Cesare Semovigo

Introduzione all’articolo 

Un’ondata di token DeepSeek fraudolenti ha recentemente catturato l’attenzione della comunità delle criptovalute: questi token affermano falsamente di essere affiliati al popolare protocollo di intelligenza artificiale cinese.

 

Questi token contraffatti hanno accumulato una capitalizzazione di mercato totale superiore a 60 milioni di dollari , con un token falso, Seek , che ha raggiunto brevemente una capitalizzazione di mercato di 48 milioni di dollari prima di crollare.

Questo incidente riflette una tendenza crescente di truffe che emergono in risposta alla crescente popolarità di DeepSeek.

I truffatori stanno sfruttando il clamore che circonda le tecnologie di intelligenza artificiale e personaggi di spicco come Donald Trump , attirando nelle loro trappole gli investitori ignari.

Il team ufficiale di DeepSeek ha chiarito di non aver mai emesso una criptovaluta , sottolineando che esiste un solo account Twitter ufficiale per il progetto.

Nonostante questi avvertimenti, molti investitori continuano a investire denaro in questi token fraudolenti, rivelando una preoccupante mancanza di consapevolezza riguardo ai rischi connessi.

Nel più ampio settore delle criptovalute, le truffe sono diventate un problema allarmante. Secondo alcuni report, oltre 857 milioni di $ sono stati rubati tramite schemi fraudolenti collegati a token correlati a Trump (CRYPTO:TRUMP) .

Molti nuovi investitori, spinti dalla ricerca di rapide opportunità di profitto, cadono vittime di queste truffe a causa della loro scarsa esperienza e mancanza di comprensione nel distinguere i progetti legittimi dalle frodi ben orchestrate.

 

Qui in Europa, fino a pochi giorni fa, c’era un allineamento completo con la narrazione cinese e il suo CEO del tutto improbabile, un personaggio che sembrava uscito direttamente da un ruolo da cattivo di un film di serie B mal interpretato. L’entusiasmo attorno a DeepSeek era così surreale che chiunque osasse sollevare dubbi veniva etichettato come pessimista o, peggio, “fuori dal mondo” . Oggi, è esilarante vedere tutti fare marcia indietro, minimizzare la situazione, trovare scuse e riscrivere la storia come se non avessero mai elogiato tutta questa operazione . Nessuno, ovviamente, ricorda le grandi proclamazioni su come DeepSeek avrebbe “cambiato le regole del gioco” e “portato la rivoluzione dell’intelligenza artificiale alle masse”.

E poi arriva la diapositiva della truffa da 60 milioni di dollari , il colpo di scena che chiunque con due neuroni funzionanti aveva previsto. Un’ondata di token falsi, capitalizzazioni di mercato ridicole gonfiate dal nulla, persone che perdono tutto mentre le menti di questo circo svaniscono con le tasche piene. E tuttavia, come previsto, nessuno si assume la responsabilità . Il copione classico: esaltare l’illusione, quindi cercare disperatamente di negare l’ovvio e, quando tutto crolla, passare dolcemente a “non avevamo abbastanza dati per valutare i rischi”.

Ora fingono tutti di essere cauti, come se la loro credibilità non fosse già stata ridotta in polvere, insieme ai portafogli degli investitori creduloni che ci sono cascati.

 

Allo stesso tempo, mentre tutti gli altri urlano ciecamente “miracolo” , alcuni di noi stanno effettivamente facendo il loro lavoro : scavando più a fondo, ponendo le domande giuste e svelando la vera storia. Non si tratta solo di clamore sull’IA; si tratta di manipolazione finanziaria, scappatoie normative e strategie geopolitiche nascoste sotto la superficie.

 

Oltre all’analisi di AI e tecnologia , avremmo coinvolto anche consulenti economici e legali , assicurandoci che l’indagine regga all’esame su tutti i fronti . Il caso DeepSeek non è solo una storia, è un punto di svolta nel panorama globale di AI e finanza.

DeepDick l’intelligenza artificiale che pensavano di essere  Rocco ma invece era Jackie Chen. 

La più grande invenzione della Cina dopo l’oppio . 

La vecchia guardia “demo-neocon” (Boeing, Lockheed Martin) è bloccata in una palude di ritardi colossali, ma non è esattamente una condizione esclusiva in questa epoca squilibrata. Singole linee temporali per mantenere la latenza della batteria: questa è l’epoca in cui stiamo lottando per sopravvivere. Bisogna armonizzare il presente moderando i propri istinti più bassi, un’eredità borghese intrisa di saggezza. Dopotutto, affermare la propria superiorità olistica supera di gran lunga l’impulso primitivo di banchettare con il sangue degli altri. Sfortunatamente, lo stile non può essere acquistato rovistando tra reliquie sovietiche profumate di naftalina in un mercatino delle pulci. Convincersi che il futuro della tecnologia risieda in una startup cinese open source è già ridicolo di per sé. In tutta onestà, non provo il minimo senso di trionfo nell’aver vinto ancora una volta una scommessa prevedibile. DeepDick: l’intelligenza artificiale che pensava di essere Rocco, ma si è rivelata essere Jackie Chan. Quando hai costruito la tua personalità collezionando schiaffi dentro uno spogliatoio, parti con un chiaro vantaggio: nel momento in cui la fortuna ti risparmia, è facile scambiare una semplice esercitazione di allenamento per la tua personale guerra del Vietnam. Ma non può piovere per sempre. Alla fine, quando la Grande Muraglia delle scommesse superficiali crolla sotto il suo stesso peso, i fanboy finiscono per combattere una guerra senza pugili, ma con le pale. Possiamo perdonare le scarse capacità di scrittura, tutti migliorano con il tempo. Ma non possiamo applicare la stessa cortesia a una glorificata brochure di marketing, piena di vittorie prestabilite, ipotesi contorte e affermazioni di tesi scolpite non nel marmo, ma nel granito stesso. Un’azienda cinese di intelligenza artificiale come nuovo baluardo della libertà orizzontale? L’unica cosa “aperta” qui è abbastanza facile da immaginare. Mentre i mercati, odiosamente maestosi, abbracciano l’idea che se sei veramente competitivo, meriti risultati, a meno che tu non sia un idiota assoluto. Per decenni, il vecchio sistema ha prosperato con contratti da miliardi di dollari, teatralità di lobbying e budget gonfiati. Ma ora, con i tassi di interesse in aumento e i cosiddetti “TechBros” che entrano nella mischia, le idee fresche hanno costi inferiori. E ora, non riesco a nascondere la mia eccitazione, il momento di cui parlava Roosevelt è arrivato: questi dinosauri dell’era della Guerra Fredda, a uno sguardo più attento, sembrano reliquie in attesa del loro meteorite. La Boeing, un tempo l’epitome dell’eccellenza aerospaziale, sta vivendo una crisi di identità tra la capsula Starliner bloccata in un’eterna inefficienza (ancora in ritardo nei test) e i contratti militari che, a meno che non stiate scommettendo contro di me, faranno fatica a fornire i risultati attesi. La Lockheed Martin, nel frattempo, sta navigando nella tempesta in cui l’F-35, spesso deriso per i suoi infiniti aggiornamenti software e guasti di sistema, si sta trasformando in un progetto beta perpetuo, un videogioco volante con note di patch. In questo quadro caotico, troviamo il Progetto Artemis: una missione della NASA in cui gli Stati Uniti pianificano di tornare sulla Luna con grandiosità, in uno scenario in cui nulla può essere lasciato al caso e il fallimento passerà alla storia. Nel frattempo, l’ironia fa la sua parte, mentre SpaceX prepara Starship, un programma che con una frazione del costo sta già dando risultati tangibili e sta fissando lo standard a circa 2,5 miliardi di dollari a lancio (o anche meno, grazie alla riutilizzabilità). Il paragone è spietato: mentre la NASA è bloccata nella gestione di un razzo SLS troppo costoso e troppo complicato, SpaceX costruisce razzi con una filosofia di prototipazione rapida, riducendo gli sprechi e mantenendo un livello accettabile di scherno mediatico. Alcuni osservatori cinici sospettano che Artemis sia solo un’altra operazione di bilancio nero autogenerante, un meccanismo perfetto per far circolare miliardi di dollari pubblici all’interno dei soliti circoli del Pentagono, un loop di proporzioni cheneyiane. Guardando i numeri, i contratti e i ritardi, ci si deve chiedere se ci sia più sostanza che spettacolo in un progetto che dovrebbe far rivivere la gloria dell’Apollo 11. A proposito dell’Apollo 11, l’indiscusso conquistatore delle fasce di Van Allen, una cabina telefonica in alluminio degli anni ’60 che, oh cielo, era indistruttibile! “Non le fanno più come una volta”, giusto? Le leggende parlano di tecnologie “perdute e irriproducibili”, di registrazioni di telemetria mancanti, eppure è incredibile che decenni dopo l’umanità faccia ancora fatica a mandare le persone oltre l’orbita terrestre bassa. La casa delle bugie sta crollando o è solo una naturale correzione di rotta? Persino Socrate ha abbandonato il mondo delle cattive idee. Nel frattempo, i nuovi giocatori della Silicon Valley, i TechBros, stanno prendendo il controllo dei contratti di difesa, lanciando droni autonomi e creando valore tangibile in tempi record con sprechi minimi. NVIDIA, regina del mercato GPU, sta ora affrontando una tempesta perfetta: rallentamento della domanda di IA, concorrenza cinese che le respira sul collo, produzione esternalizzata a TSMC e alti tassi di interesse che strangolano la speculazione. Se si approfondiscono i dati, emergono inquietanti somiglianze con il crollo delle dotcom dei primi anni 2000, quando le valutazioni di mercato erano gonfiate da illusioni di crescita infinita. Gli stessi analisti che lanciarono l’allarme allora, ignorati da tutti, ora affermano che il problema è ancora più strutturale questa volta. Le proiezioni NVIDIA pre-crollo, che prevedevano un mercato dell’IA in crescita esponenziale con valutazioni alle stelle, si sono sgretolate sotto la realtà, trascinando verso il basso non solo NVIDIA ma una grossa fetta del settore tecnologico. La lezione? Quando un gigante brucia, può far crollare l’intera capitalizzazione di mercato di un’intera borsa in 30 minuti. E la ciliegina sulla torta? Il CEO, che solo pochi mesi fa si atteggiava a cowboy high-tech, ostentando GPU rivoluzionarie e la superiorità tecnologica americana, ora si sta affannando per spiegare ai mercati perché l’azienda ha perso miliardi da un giorno all’altro. Inutile dire che il suo status di golden boy ora sembra molto meno brillante. Qui in Europa, fino a pochi giorni fa, c’era un allineamento completo con la narrazione cinese e il suo CEO del tutto improbabile, un personaggio che sembrava uscito da un ruolo da cattivo di un film di serie B mal interpretato. L’entusiasmo attorno a DeepSeek era così surreale che chiunque osasse sollevare dubbi veniva etichettato come pessimista o, peggio, “fuori dal mondo”. Oggi è esilarante vedere tutti tornare sui propri passi, minimizzare la situazione, trovare scuse e riscrivere la storia come se non avessero mai elogiato l’intera operazione. Nessuno, ovviamente, ricorda le grandi proclamazioni su come DeepSeek avrebbe “cambiato le regole del gioco” e “portato la rivoluzione dell’intelligenza artificiale alle masse”. E poi arriva la truffa da 60 milioni di dollari, il colpo di scena che chiunque con due neuroni funzionanti aveva previsto. Un’ondata di token falsi, capitalizzazioni di mercato ridicole gonfiate dal nulla, persone che perdono tutto mentre le menti di questo circo spariscono con le tasche piene. Eppure, come previsto, nessuno si assume la responsabilità. Il copione classico: esaltare l’illusione, quindi cercare disperatamente di negare l’ovvio e, quando tutto crolla, passare dolcemente a “non avevamo abbastanza dati per valutare i rischi”. Ora, fingono tutti di essere cauti, come se la loro credibilità non fosse già stata ridotta in polvere, insieme ai portafogli degli investitori creduloni che ci sono cascati. Se OpenAI decidesse di salire a bordo come co-produttore del documentario (puntiamo a un formato massimo di 40 minuti), il loro coinvolgimento come consulente interessato genererebbe senza dubbio un clamore enorme. Avere l’esperienza tecnica di OpenAI che analizza il caso DeepSeek darebbe a questo progetto un livello di credibilità e profondità senza pari. Oltre all’analisi di IA e tecnologia, avremmo coinvolto anche consulenti economici e legali, assicurandoci che l’indagine regga all’esame su tutti i fronti. Il caso DeepSeek non è solo una storia, è un punto di svolta nel panorama globale dell’IA e della finanza. Mentre tutti sono impegnati a gridare “miracolo”, alcuni di noi stanno effettivamente facendo il loro lavoro, perché in un mare di opportunisti, c’è ancora chi crede nel giornalismo corretto

( vedi i grafici )

 

Fonti

[1] “The Fall of Legacy Defense Giants,” Bloomberg Analysis, 2024.

[2] “Pentagon Reports on F-35 Delays and Overruns,” WSJ Defense Briefing,

2023.

[3] “SLS vs Starship: Cost Comparison,” NASA Audit Office, 2025.

[4] “Cheneyloop: The Endless Defense Budget Cycle,” Pentagon Watchdog,

2023.

[5] “Apollo Archives: Missing Telemetry and Lost Tapes,” Smithsonian Institute

Interviews, 2019.

[6] “Tech Bros vs Old Contractors,” Silicon Valley Insider, 2024.

[7] “NVIDIA’s GPU Market Overview,” MarketWatch Tech, 2025.

[8] “DeepSeek Dossier: Origins and Funding,” Slovak Cyberintel Forum, 2025.

[9] “China’s Digital Currency Strategy,” Crypto Analysis Monthly, 2024.

[10] “Deep State vs Trump: Economic Warfare via AI?” Eastern Monitor, 2025.

[11] “Ponzi-Stanislaky: The Hidden Scheme of Defense Contracts,” Investigative

Weekly, 2023.

[12] “Dotcom Crash Revisited: Market Parallels in Tech Valuations,” Nasdaq

Historical Review, 2025.

[13] “NVIDIA Meltdown and Big Tech Panic,” Financial Times Exclusive, 2025

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SITREP 29/01/25: Il sollevamento di massa dei droni in Ucraina nasconde la diffusione delle crepe nelle fondamenta, di Simplicius

SITREP 29/01/25: Il sollevamento di massa dei droni in Ucraina nasconde la diffusione delle crepe nelle fondamenta

30 gennaio
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In assenza di qualsiasi altra efficace ricompensa, l’Ucraina ha continuato a condurre attacchi di droni da record sul territorio russo. Ci sono state altre due notti di decine se non centinaia di droni che hanno scatenato il dibattito, in particolare da parte dei propagandisti pro-UA, sul fatto che l’Ucraina stia finalmente sfondando fino al punto di “singolarità” in cui la produzione di droni economici ora sopraffarà sistematicamente le difese russe e la capacità di fare qualsiasi cosa.

Decine di città hanno subito le incursioni dei droni, anche se la maggior parte è stata abbattuta, ma sono state comunque colpite diverse strutture, in particolare una grande raffineria di Ryazan che si dice abbia lavorato il 5% di tutto il petrolio russo:

La raffineria di petrolio di Ryazan ha lavorato 13,1 milioni di tonnellate (262.000 barili al giorno), ovvero quasi il 5% della capacità di raffinazione totale della Russia nel 2024.

Secondo dati basati su fonti, ha prodotto 2,2 milioni di tonnellate di benzina, 3,4 milioni di tonnellate di gasolio, 4,3 milioni di tonnellate di olio combustibile e 1 milione di tonnellate di carburante per aerei.

E un altro Lukoil a Nizhny Novgorod a 56.111826782750065, 44.150536106619995 , descritto come uno dei più grandi della Russia, con un presunto passaggio del 6% del petrolio russo:

Russia: una gigantesca raffineria di petrolio colpita dai droni ucraini a Kstovo, nella regione di Nizhny Novgorod. Aveva una capacità di raffinazione di 17 milioni di tonnellate all’anno, pari a oltre il 6% della produzione di raffinazione totale della Russia. Lukoil-Nizhegorodnefteorgsintez si trova a 800 km dall’Ucraina.

Gli ucraini gioiscono e pubblicano immagini come questa per far intendere che queste raffinerie saranno chiuse definitivamente:

Naturalmente sappiamo che in realtà la maggior parte di loro vengono riparati e rimessi in funzione nel giro di giorni o settimane o meno. Altri finiscono per subire molti meno danni di quanto si pensi, per esempio questo recente colpo a un’area di stoccaggio del carburante della base Engels che è stato venduto dagli ucraini come una specie di “devastazione totale” che ha “affamato” i Tu-95 della base impedendo loro di volare in missione:

Come al solito, i danni sono stati molto più lievi di quanto dichiarato.

Tuttavia, non dobbiamo farcela e dare per scontato che tutto il danno sia piccolo. È chiaro che gli attacchi dell’Ucraina hanno un discreto successo e la Russia ha le mani occupate nel tentativo di difendersi dall’assalto quasi quotidiano dei droni. Allo stesso tempo, anche la Russia sta colpendo quotidianamente le infrastrutture ucraine: c’è stata un’altra serie di attacchi devastanti solo negli ultimi giorni di fila, e questo non riceve più molta attenzione dai notiziari a causa della sua natura banale. Anche se diamo per scontato che Russia e Ucraina si affrontino colpo su colpo su scala uniforme, è chiaro che le infrastrutture ucraine saranno le prime a logorarsi; “l’uomo grasso diventa più magro, mentre l’uomo magro muore”.

Non sorprende che, mentre le capacità convenzionali dell’Ucraina evaporano, il paese non abbia altra scelta che investire tutte le risorse in cose che può produrre in massa e su larga scala in piccole officine fai da te sotterranee, non rilevabili, per le quali i droni sono ideali. Qualsiasi cosa più grande della produzione di droni richiede in genere una logistica e un consumo di energia molto maggiori, che vengono rilevati e presi di mira dagli attacchi missilistici a lungo raggio russi. Ma i droni sono adatti a uno stile di produzione molto “distribuito” e stealth.

Proprio oggi, un capo dei droni ucraino ha affermato che per questo motivo bisognerebbe costringere i bambini delle scuole ad assemblare i droni dell’AFU:

Il fondatore dell’azienda per la produzione di EW “Aura” suggerisce che i droni in Ucraina dovrebbero essere assemblati dai bambini nelle scuole, perché i missili russi possono volare in grandi stabilimenti di produzione, ma i russi non spareranno ai bambini. Ie suggerisce di usare i bambini come scudi umani.

“È necessario che i droni FPV raccolti durante le lezioni di lavoro nelle scuole, li nascondano in scantinati, garage, così ne garantiremo la massa. Perché se costruisci un grande laboratorio, esso (i missili russi) volerà rapidamente lì”, ha affermato Alexei Polonchuk.

Ma torniamo al significato di tutto ciò.

L’aumento degli attacchi dell’Ucraina alle infrastrutture petrolifere russe è ovviamente pensato per annunciare questo più ampio spostamento generale dell’Occidente verso “costringere Putin a negoziare” facendo crollare l’economia russa a un punto in cui la continuazione della guerra sarebbe insostenibile. Si può vedere questo come un cambiamento coordinato nelle tattiche collettive dell’Occidente, poiché molti dei recenti “articoli di opinione” sfornati dai mulini degli esperti occidentali hanno improvvisamente iniziato a concentrarsi sul paralizzare l’energia russa come ultima mossa per fermare il colosso militare russo.

Come detto, non ce la caveremo e mentiremo qui, e fingeremo che non ci sia alcun pericolo, e che tutti gli attacchi all’Ucraina siano delle truffe totalmente infruttuose come molti analisti nel commentariato filo-russo. Ci sono alcuni segnali preoccupanti, come questo rapporto non verificato da una fonte russa di prima mattina:

La Cina e l’India hanno smesso di acquistare petrolio dalla Russia in base a contratti di consegna a marzo. Il motivo è l’aumento del costo del trasporto per le petroliere che non sono ancora state colpite dalle sanzioni statunitensi, scrive Reuters riferendosi ai trader. Il premio del greggio russo ESPO è aumentato di 3-5 $ al barile rispetto all’ICE Brent, mentre le tariffe di trasporto per una petroliera Aframax in rotta verso la Cina sono aumentate “di diversi milioni di dollari”. Non redditizio.

Ricordiamo che uno dei piani segreti di Trump era presumibilmente quello di spaventare India e Cina per farle scaricare l’energia russa tramite la minaccia delle sanzioni. Per ora questo è solo l’inizio, l’Occidente, in accordo con l’Ucraina, continuerà solo ad aumentare questo, quindi ci sono sicuramente pericoli in vista da continuare a monitorare.

Per non parlare di altre segnalazioni secondo cui l’Ucraina avrebbe intensificato i tentativi di colpire le centrali nucleari russe:

I sistemi di difesa aerea hanno distrutto un drone che stava tentando di colpire una centrale nucleare nella regione occidentale di Smolensk, al confine con la Bielorussia, ha affermato il governatore Vasily Anokhin sull’app di messaggistica Telegram.

La centrale nucleare di Smolensk, il più grande impianto di produzione di energia elettrica nella Russia nord-occidentale, stava funzionando normalmente, ha riferito l’agenzia di stampa statale RIA, citando il servizio stampa della centrale.

Naturalmente, pensare che questo potrebbe far capitolare Putin e porre fine alla guerra, anche nel peggiore dei casi, è sciocco: semplicemente non accadrà. Ma ciò non significa che non ci siano pericoli complessivi per l’economia russa se l’Ucraina e l’Occidente continuano ad aumentare le schiaccianti capacità di saturazione dei droni, insieme alle potenziali imminenti misure repressive guidate da Trump sull’energia russa.

Nel frattempo, in prima linea, le cose continuano ad andare nella direzione prevedibile. Ultime notizie dall’Economist:

Intrecciando un racconto immaginario di “innumerevoli perdite russe” che hanno portato al crollo del fronte ucraino, l’articolo sopra riportato intervalla alcune cupe intuizioni:

Le tattiche russe non sono dinamiche, ma stanno creando non pochi problemi all’Ucraina. In parole povere, la Russia ha la fanteria e l’Ucraina no. I problemi con la mobilitazione e la diserzione hanno colpito duramente le riserve ucraine.

“Facciamo fatica a rimpiazzare le nostre perdite sul campo di battaglia”, afferma il colonnello Pavlo Fedosenko, comandante di un raggruppamento tattico ucraino nel Donbass. “Potrebbero lanciare un battaglione di soldati in una posizione in cui abbiamo presidiato quattro o cinque soldati”. Le brigate che compongono la prima linea del Donbass sono costantemente sotto organico, sotto pressione e in crisi. La prima linea continua a tornare indietro.

“Non abbiamo più tattiche che non siano quelle di tappare i buchi”, dice “Kupol”, il nome di battaglia di un comandante ora in pensione, che fino a settembre ha guidato una brigata che combatteva nel Donbass orientale. “Gettiamo battaglioni nel caos e speriamo di poter in qualche modo fermare la macinatura”.

È sorprendente quanto poco intelligente debba essere il tipico lettore della stampa occidentale per divorare all’ingrosso contraddizioni apparentemente assurde, giorno dopo giorno, in ogni articolo, come: “La Russia sta subendo molte più perdite, ma l’Ucraina continua a ritirarsi, non ha più truppe, ecc.”

Dietro le quinte, come sempre, l’umore sembra essere diverso. Il capo del GUR Budanov ha scatenato una tempesta di polemiche questa settimana quando in una seduta a porte chiuse avrebbe lasciato intendere che l’Ucraina affronterà il collasso esistenziale entro sei mesi, se i negoziati non inizieranno:

Rapporto completo di un addetto:

‼️‍☠️ L’Ucraina potrebbe cessare di esistere se non ci saranno negoziati seri entro l’estate — il capo del GUR Budanov alla Rada

▪️Budanov ha parlato ai deputati della minaccia all’esistenza dell’Ucraina se i colloqui di pace non inizieranno prima dell’estate, scrive “Ukrainska Pravda”.

▪️Di recente si è tenuta una riunione a porte chiuse alla Rada, durante la quale il comando delle Forze armate dell’Ucraina ha riferito ai leader del parlamento e delle fazioni sulla reale situazione degli affari militari.

▪️ “All’inizio, i rappresentanti dello Stato maggiore hanno raccontato molto, in modo confuso, ma molto interessante. Poi ci sono stati altri resoconti diversi. Ma la risposta che ricordo di più è stata quella di Budanov. Qualcuno gli ha chiesto quanto tempo avevamo. E Kirill, con il suo sorriso freddo, ha detto: “Se non ci saranno negoziati seri prima dell’estate, allora potrebbero essere avviati processi molto pericolosi per l’esistenza stessa dell’Ucraina”, ha detto alla pubblicazione uno dei partecipanti all’incontro.

▪️“Tutti si guardarono e tacquero. Probabilmente, tutto deve funzionare”, riassunse il vice, “un po’ confuso”.

▪️Ieri i media hanno parlato di un “piano per porre fine alla guerra entro l’estate”, che di recente è stato attivamente discusso dall’élite ucraina.

RVvoenkor

Ciò ha portato varie personalità ucraine a intervenire rapidamente per stroncare quanto sopra come “preso fuori contesto”, o con qualche altra scusa:

L’affermazione di Budanov sulla minaccia all’esistenza dell’Ucraina è estrapolata dal contesto, ha affermato il deputato ucraino Dunda.

Ha ricordato che la pubblicazione di dati di un incontro segreto è proibita e che commentare tali questioni interferisce con la sicurezza nazionale. E coloro che hanno diffuso queste informazioni devono essere ritenuti responsabili .

Lo stesso Budanov cercò di liquidare goffamente la controversia con una “battuta” o parabola criptica, che non fece altro che rafforzare la probabilità che la sua terribile affermazione fosse messa in discussione:

Immagino che la parabola voglia descrivere l’inutilità di cercare di confutare voci infondate.

È chiaro che dietro le quinte Budanov conosce la vera posta in gioco: l’AFU è in una spirale esistenziale grave.

Le lamentele dal fronte persistono: ecco quelle della 79a Brigata ucraina, che segnala come il 20% del personale sopravviva ai ripetuti assalti con la carne:

Un nuovo articolo del WaPo riportava un interessante articolo in cui un “collaboratore anonimo” affermava che i finanziamenti militari all’Ucraina erano stati in effetti bloccati da Trump, sebbene attorno a questa questione aleggi ancora confusione:

Un rapporto russo:

Kiev sta supplicando l’UE e gli USA di sostituire urgentemente gli aiuti americani congelati. La portata dei problemi affrontati dai mangiatori di sovvenzioni ucraini dopo il divieto di lavoro USAID per 90 giorni è maggiore di quanto sembri a prima vista: “non eravamo preparati a questo”. I media ucraini sono alimentati al 90% dagli Stati Uniti e questo finanziamento è stato nascosto per loro. Un’ulteriore normalizzazione dei processi può avvenire solo in 3-6 mesi, quindi Kiev sta negoziando urgentemente con Bruxelles, stanno implorando gli europei di lanciare loro rapidamente sovvenzioni in modo che il flusso di bugie da Kiev non si fermi.

Sul fronte, le forze russe si sono spinte a Dachne, a ovest di Kurakhove, facendo lentamente crollare la grande sacca rimasta lì:

⚔️Il 102° reggimento sfondò nel centro di Dachnoye, avanzando da Kurakhovo a Dnepropetrovsk

▪️ Le truppe d’assalto del 102° reggimento della 150° divisione hanno sfondato le difese delle Forze armate ucraine da est a Dachnoye e sono entrate nella parte centrale del villaggio.

▪️ I nostri combattenti sono avanzati di 1,3 km e hanno occupato gli edifici nel centro di Dachny.

▪️Anche le Forze Armate ucraine riconoscono la svolta delle Forze Armate russe:

➖ “Anche i russi cominciarono gradualmente ad avanzare nella Dachny, prendendo parzialmente il controllo della parte centrale e del territorio a sud-est.”

RVvoenkor

Molto più a nord, l’ultima volta ho parlato della crescente incursione di cui si è parlato meno sul fiume Oskil a nord di Kupyansk. Ora ci sono state le prime segnalazioni che le forze russe hanno catturato il loro primo insediamento su questa sponda occidentale della regione di Kharkov dal 2022, chiamato Dvorchnaya:

Ma ora ci sono anche segnalazioni che i mezzi corazzati pesanti russi sono apparsi per la prima volta su questa testa di ponte, il che significa che sono stati stabiliti attraversamenti stabili del fiume e che la logistica sta aumentando per cementare davvero la crescente presenza.

Direzione Kupyanskoe . Dopo la cattura di Dvurechnaya, sulla nostra testa di ponte apparve il primo equipaggiamento pesante : fu utilizzato lì, secondo il nemico. Non c’è ancora alcun video. Era ideale prendere il controllo degli insediamenti e delle alture vicine: Dolgenkoe, Kutkovka, Novomlynsk e Figolevka.

Nei pressi di Pokrovsk, le forze russe sono prossime a raggiungere il confine di Dnepropetrovsk:

Le truppe russe liberarono Uspenovka e gran parte di Novooleksandrivka; restavano 3,5 km fino ai confini della regione di Dnepropetrovsk.

Ci furono molte altre piccole avanzate, ad esempio vicino a Seversk, a Chasov Yar e a sud di Pokrovsk, vicino a Novoelyzavetovka, e anche nella regione di Kursk.

Ultimi elementi:

Un FPV ucraino ottiene uno dei primi successi FPV-on-FPV contro un drone russo in fibra ottica:

Molti di voi avranno sicuramente già visto un F-35A schiantatosi in modo spettacolare nella base aerea di Eielson in Alaska:

Si tratta di qualcosa come il 31esimo incidente totale di un aereo in avaria.

Al momento in cui scriviamo, un elicottero Blackhawk si sarebbe schiantato contro un piccolo aereo passeggeri regionale a Washington DC, provocando un incidente di massa e, a quanto si dice, nessun sopravvissuto:

Infine, un video divertente di Matt Orfalea smascherando la copertura propagandistica e ridicola della guerra in Ucraina da parte dei media :


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La maledizione di Zhou Bai Den_di Aurelien

La maledizione di Zhou Bai Den.

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Come sempre, grazie a chi fornisce instancabilmente traduzioni in altre lingue. Maria José Tormo sta pubblicando le traduzioni in spagnolo sul suo sito qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni sta pubblicando le traduzioni italiane su un sito qui.Hubert Mulkens si è offerto di fare un’altra traduzione in francese, e ci lavoreremo, spero questa settimana. Sono sempre grato a coloro che pubblicano occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a condizione che si dia credito all’originale e che me lo si faccia sapere. E ora:

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Non vi sorprenderà sapere che i media francesi sono stati consumati, da circa un mese, dall’ascesa al potere di Donald Trump: evidentemente, questa ossessione ha fatto sì che sviluppi probabilmente più importanti, in Cina o in Ucraina o in Medio Oriente, per non parlare della Francia, abbiano ricevuto meno copertura di quanto meritassero. Ogni opinionista e scribacchino, alla radio, in TV e su Internet, sembra voler dire qualcosa, anche se non ha nulla da dire. Molti di loro hanno difficoltà a pronunciare i nomi anglosassoni e la prima volta che ho sentito un riferimento a quello che sembrava Zhou Bai Den, ho pensato che i cinesi si fossero finalmente decisi a comprare l’America.

Ci sono ovviamente ragioni oggettive per interessarsi alla presidenza degli Stati Uniti, anche se tra la gente comune in Francia (e, per quanto posso giudicare, altrove in Europa) il livello di interesse è piuttosto superficiale. Ma le classi intellettuali, mediatiche e politiche europee sono talmente ossessionate dalla politica e dalla cultura statunitensi, in patria e all’estero, che spesso sembrano non avere tempo sufficiente per occuparsi delle crisi politiche e sociali dei loro Paesi. Inoltre, molto spesso adottano, e per giunta in modo irriflessivo, l’immagine degli Stati Uniti come attore principale del mondo e parlano di molti dei problemi e delle crisi mondiali come se gli Stati Uniti fossero l’unico attore principale e le loro opinioni fossero sempre giuste. Persino (e forse soprattutto) i più acerrimi critici della politica statunitense assecondano il paese nelle sue illusioni di essere una strana potenza imperiale.

È strano che sia così e cercherò di spiegarne, almeno in parte, il motivo. In questo processo, parlerò molto della Gran Bretagna e della Francia, poiché sono i due Paesi che conosco meglio. I lettori di lunga data sapranno che raramente parlo direttamente degli Stati Uniti, perché non li conosco particolarmente bene, né ho una grande empatia con loro, ma dirò comunque qualche parola, perché il dominio intellettuale degli Stati Uniti sull’Europa, e l’attuale cedimento intellettuale degli europei di fronte agli Stati Uniti, è in realtà abbastanza recente, ed è essenzialmente un’interazione tra due culture e due storie. Ha ben poco a che fare con una cosa banale come la realtà.

Quindi, non è sempre stato così. Quando sono cresciuto negli anni ’60, l’immagine dell’America nel mondo era generalmente discutibile, se non addirittura negativa. Le tensioni razziali, le rivolte razziali, gli assassini dei Kennedy e di Martin Luther King, i Weathermen, la guerra del Vietnam, la Cambogia, le manifestazioni mondiali contro gli Stati Uniti, Nixon, il Watergate, Gerald Ford… tutto sembrava rafforzare l’idea di un Paese in profonda crisi. L’ignominioso fallimento della missione di salvataggio degli ostaggi statunitensi a Teheran nel 1980 sembrava riassumere una società che aveva perso la strada e non riusciva a fare nulla, e che non era un modello per il resto del mondo. Al contrario, questo avveniva alla fine dei “trent’anni gloriosi”, quando l’Europa aveva conosciuto una forte crescita, l’armonia e l’uguaglianza sociale e la pace internazionale, dando ai leader europei una fiducia che da allora hanno completamente perso.

Nell’immagine negativa degli Stati Uniti c’erano ovviamente punti più luminosi, soprattutto a livello culturale. La musica aveva Dylan, ovviamente, ma anche i Doors e i Jefferson Airplane. Hollywood sfornava film decenti, soprattutto negli anni Settanta, autori come Saul Bellow e John Updike erano in piena attività, Thomas Pynchon stava scrivendo il suo capolavoro Gravity’s Rainbow, e il poeta Robert Lowell era ancora vivo, anche se non scriveva nulla di interessante. Ma tutto ciò era molto in secondo piano. E naturalmente l’annientamento dei cinema nazionali da parte delle importazioni hollywoodiane a basso costo era già iniziato, e i programmi televisivi americani a basso costo avevano cominciato a infestare l’etere, quindi la transizione di cui parlo non avvenne da un giorno all’altro.

L’ironia è che il periodo che ho appena descritto è oggi considerato da molti americani come un’età dell’oro, quando il tenore di vita era più alto, l’economia era più forte, i livelli di salute e di istruzione erano migliori, la vita culturale era più ricca e anche la vita politica era meno squallida. Obiettivamente, oggi gli Stati Uniti dovrebbero avere un’influenza molto minore nel mondo, e soprattutto in Europa, rispetto a cinquant’anni fa. Eppure è evidente che non è così, anche se non è ovvio perché dovrebbe essere così. Chi, ad esempio, vorrebbe imitare le politiche economiche o le pratiche sanitarie statunitensi? Beh, un numero sorprendente di politici e opinionisti in Europa, compresi alcuni esponenti della sinistra nozionistica.

Le ragioni sono complesse e possono sembrare controintuitive, ma sono identificabili con un po’ di riflessione. E contribuiscono a spiegare lo stesso dominio intellettuale ad altri livelli: la distruzione totale della cultura popolare e alta britannica da parte delle importazioni americane a basso costo e l’americanizzazione del governo e del settore privato sono ormai così profondamente radicate che le nuove generazioni hanno difficoltà a immaginare che le cose siano mai state diverse. Ma lo stesso vale anche altrove: sono poche le aziende e le organizzazioni francesi senza i loro processi e il loro vocabolario gestionale di stampo anglosassone, i loro indicatori di performance e la loro ossessione per il risparmio finanziario a breve termine ad ogni costo. In effetti, sembra esserci una gara informale tra i giovani politici europei per importare il maggior numero di parole d’ordine inglesi nei loro discorsi.

Da tempo l’istruzione in Gran Bretagna segue le pratiche americane, che ora si sono diffuse anche nel resto d’Europa. Sebbene gli studenti di molti Paesi europei non paghino le tasse, le università hanno comunque scelto di trattarli come “consumatori” e di assecondare ogni loro capriccio, trattandoli come bambini. Molti studenti europei vanno anche in scambio negli Stati Uniti e portano con sé ogni sorta di strane idee. Le università francesi cercano ora di attrarre studenti stranieri che pagano tasse elevate e che non sono più tenuti a studiare in francese, né a conoscere la lingua. Questo porta a tentativi disperati e spesso infruttuosi di fornire l’insegnamento e l’amministrazione in inglese, e a un sistema accademico che è un compromesso malriuscito tra il francese e l’americano, quest’ultimo considerato uno standard internazionale.

Le conseguenze più ampie dell’americanizzazione dell’istruzione europea includono l’importazione su larga scala di norme e costumi sociali americani. La politica identitaria di stampo americano è ormai dilagante nelle università francesi e tra i neolaureati, che si appropriano del loro vocabolario e spesso adottano semplicemente termini inglesi all’ingrosso. Così, qualche anno fa è apparsa per breve tempo un’organizzazione chiamata Black Lives Matter France, che però non è stata in grado di indicare esempi paragonabili alla vicenda dei Floyd nel proprio Paese. E sono rari i discorsi pronunciati in questi giorni sui presunti “problemi razziali” in Francia che non invocano la loro risoluzione secondo gli insegnamenti di Martin Luther King, come se questo fosse in qualche modo rilevante. In effetti, si può dire che non c’è una sola svolta nello spazio delle lamentele degli Stati Uniti che non venga ripresa immediatamente in Europa.

La diffusione di queste idee ha contribuito a minare le tradizionali relazioni sofisticate e rilassate tra i sessi che facevano parte della cultura francese. Al giorno d’oggi, soprattutto nelle università, viene rigorosamente promulgata un’immagine spietata dell’aggressività maschile e del vittimismo passivo femminile, mentre i sessi vengono educati all’odio e alla paura reciproca. Gli studenti di sesso maschile e femminile si mescolano sempre meno e sono meno pronti a stringere relazioni, che ora sono viste come inaccettabilmente pericolose.

Potrei continuare a lungo, ma mi fermerò qui, perché sarà già evidente che nessuna delle idee e delle pratiche sociali, politiche, culturali ed economiche importate dagli Stati Uniti nell’ultima generazione funziona davvero, e molte non hanno alcun senso in Europa. Per esempio, ho visto per caso una parte di un programma su TF1, il principale canale commerciale francese, in cui le aspiranti pop star venivano preparate per il successo. (La maggior parte dei cantanti imparava, a pappagallo, a cantare canzoni in inglese, anche se né loro, né i loro istruttori, né il loro presunto pubblico in Francia, avrebbero necessariamente capito di cosa stavano cantando.

Ma se, come ho indicato, esiste un numero quasi infinito di esempi, la vera domanda è: perché? Cercherò di rispondere a questa domanda, ma credo che prima di iniziare si debba capire che il problema non è la forza americana, ma la debolezza europea. E mi riferisco alla debolezza culturale e sociale, che può essere ricondotta in modo abbastanza diretto alla recente esperienza storica dell’Europa. Dopotutto, nessuno sceglierebbe oggettivamente gli Stati Uniti come modello da seguire di fronte a delle alternative e, anche in termini di influenza grezza, gli Stati Uniti sono diminuiti come forza politica, militare ed economica, e continuano a farlo.

Vorrei offrire quattro spiegazioni parziali per questo stato di cose, non del tutto distinte tra loro. La prima è la semplice adorazione del potere. Gli Stati Uniti riescono a mettere in piedi l’immagine di una superpotenza militare ed economica con sufficiente convinzione da convincere molti creduloni e politici europei ad assecondare l’idea, nonostante le debolezze esaurientemente documentate dell’esercito e dell’economia statunitensi. La convinzione che la semplice minaccia di un intervento militare da parte degli Stati Uniti sarebbe stata sufficiente a porre fine alla guerra in Ucraina è stata comune in Europa per molto tempo e non è ancora del tutto scomparsa. In parte, ciò è dovuto al bisogno psicologico di rimandare a qualcuno più grande e più forte, anche a rischio di travisamento o di semplice invenzione di tale status. Dopo tutto, i leader politici e gli opinionisti europei non hanno prestato alcuna attenzione alle questioni militari o al mantenimento di una seria capacità di operazioni militari convenzionali da alcuni decenni a questa parte, e le forze armate europee non hanno effettivamente alcuna seria possibilità di giocare il tipo di giochi letali che si stanno svolgendo in Ucraina. In effetti, la classe politica europea e la Casta Professionale e Manageriale (PMC) hanno un approccio al conflitto talmente confuso e contraddittorio, che combina in qualche modo una compiaciuta superiorità morale con occasionali esplosioni di selvaggia aggressività, che cercare di fare piani per un uso sensato delle forze armate europee è impossibile.

Qualsiasi esperto vi dirà che le forze armate statunitensi non sono in condizioni migliori in generale, ma sulla carta, e filtrate attraverso le lenti di Hollywood e di una cultura politica di ottimismo acritico obbligatorio, sembrano grandi e potenti. E se non possiamo essere forti noi stessi, possiamo almeno prendere in prestito la forza riflessa dalla nostra associazione con qualcuno che sembra potente. Se non possiamo essere il bullo della scuola, possiamo almeno essere l’amico del bullo. Questo culto del potere non è, ovviamente, il risultato di un’analisi razionale: se lo fosse, le nostre élite si starebbero informando per imparare velocemente il mandarino, per essere ben posizionate tra dieci anni. (Il ruolo della pura abitudine e della tradizione, va aggiunto, è una componente poco studiata delle relazioni internazionali).

La seconda è la sottomissione e il masochismo, una tendenza che si riscontra in molte società, e in particolare tra le élite che dubitano di sé e odiano se stesse. C’è una sorta di perverso piacere masochistico nel vedere se stessi, o il proprio Paese, come deboli e indifesi di fronte a un potere schiacciante. (È un peccato che Foucault non abbia mai scritto di relazioni internazionali: la sua esperienza diretta dei club S e M sarebbe preziosa in questo caso). Negli articoli di politica internazionale, e ancor più nei commenti a tali articoli, si vedono parole come “vassallo” e “colonia” attribuite agli Stati europei nel loro rapporto con gli Stati Uniti, ed è chiaro che c’è chi trae una sorta di brivido masochistico dal presentare le cose in questo modo. Naturalmente significa anche non dover mai chiedere scusa: le proprie leadership non sono responsabili di nulla, perché sono completamente asservite a un altro Paese, ed è colpa del Big Boy, non vostra.

E ogni masochista o ogni sottomesso ha bisogno di una figura dominante a cui essere sottomesso (o almeno così mi dicono). Gli Stati Uniti, con il loro sbandierato, anche se fragile, senso di superiorità e onnipotenza, si adattano perfettamente alla metafora, anche se la realtà è più sfumata. Ora, in questa realtà, e come i funzionari statunitensi purtroppo confermeranno, gli Stati Uniti sono manipolati senza sosta in tutto il mondo da culture politiche più subdole e spietate di quelle che si trovano a Washington, e dove il politico americano medio sarebbe morto in quindici giorni. Non che sembri avere importanza.

Spesso, l’apparente gerarchia del dominio si inverte: un buon esempio storico è il Vietnam del Sud, dove Washington finì per essere, negli anni successivi, poco più che un apologeta di un regime corrotto e brutale, perché aveva investito troppo in esso per potersi ritirare. Un analogo recente è l’Afghanistan, dove il regime installato dagli Stati Uniti se l’è cavata con un vero e proprio omicidio, senza ritorsioni o critiche serie. Mentre scrivo, sembra che le truppe ruandesi – i prussiani d’Africa – stiano entrando apertamente nella RDC orientale per conquistare la città di Goma e controllare definitivamente le ricchezze minerarie della regione, nonostante i ripetuti e infruttuosi appelli degli Stati Uniti (e di Gran Bretagna e Francia) a non farlo. Ma l’emprise dello spietato regime di Kigali è così completo, e così esperto nello sfruttare i terribili eventi del 1994, che è riuscito ad attorcigliare l’Occidente intorno alle proprie dita. (In effetti, il fatto che il Presidente Clinton abbia implorato il perdono di una brutale dittatura militare per eventi in cui gli Stati Uniti non erano coinvolti, all’inizio del fantomatico periodo di egemonia statunitense, è stato di per sé istruttivo). E chiaramente non siamo alla fine della tragica farsa di un manipolo di fanatici sionisti che controllano il futuro politico di Netanyahu e che controllano anche la politica statunitense nella regione.

Ma in un certo senso non importa, perché è l’apparenza che conta, come spesso accade in politica. C’è una felice(?) coincidenza tra il desiderio delle élite statunitensi di fare la dominatrice e quello delle élite europee di fare le sottomesse. Naturalmente, questo significa che la gente comune da entrambe le parti viene esclusa, ma questa è la politica per voi.

Il terzo, su un piano molto più pratico, è una questione di economie e vantaggi di scala. Nonostante il fatto che l’attuale classe politica europea sia prodotta all’ingrosso in una fabbrica da qualche parte nel sottosuolo della Transilvania, i Paesi che rappresentano rimangono molto diversi tra loro e persino molto diversi all’interno di ciascuno di essi, nel caso di alcuni degli Stati più grandi. Il problema perenne dell’Europa non è la mancanza di coordinamento, per quanto da Bruxelles possano uscire irritanti rapporti su questo tema, ma piuttosto la mancanza di identità e di interessi comuni. Il tentativo di creare un'”Europa” derattizzata, de-culturizzata e globalizzante, che è stato il progetto di Bruxelles negli ultimi trent’anni, in realtà peggiora le cose, anziché migliorarle, perché cerca deliberatamente di seppellire queste differenze. Un’unica nazione, con un unico interesse nazionale, è sempre destinata a dominare il confronto, e più grande è questa nazione, più facile è il compito. Inoltre, non mancheranno occasioni in cui le singole nazioni europee riterranno nel loro interesse schierarsi dalla parte degli Stati Uniti: per decenni, la NATO e gli Stati Uniti hanno funzionato da contrapposizione al potere di Francia e Germania per le nazioni europee più piccole.

Lo stesso vale a livello culturale. La globalizzazione ha avuto l’effetto di eliminare qualsiasi regola, cioè il più grande e il più forte domineranno. Le dimensioni del mercato culturale statunitense sono sempre state tali da rendere i suoi prodotti poco costosi e facili da vendere. Ma questo non sarebbe stato un problema senza la liberalizzazione della televisione in Europa negli anni ’80, che ha prodotto orde di nuovi canali affamati e avidi che cercavano i programmi più economici possibili per riempire gli spazi vuoti tra le pubblicità. L’economia del cinema è stata simile: se il cinema francese sta vivendo una sorta di rinascita in questo momento, a giudicare dal numero di nuovi film che appaiono, questo non è vero per molti altri Paesi, i cui mercati nazionali semplicemente non sono abbastanza grandi per competere. Inoltre, naturalmente, l’inglese, che significa americano, è spesso l’unica lingua che le élite europee hanno in comune.

Ma se ci sono ragioni pragmatiche ed economiche per il dominio culturale, ce ne sono anche di più tenui. In molte culture europee, le importazioni culturali americane di alto livello sono associate a una visione del mondo più ampia, più internazionale e più sofisticata. Naturalmente la spazzatura popolare americana è divorata dai proletari, come in ogni paese, ma il prestigio deriva dall’abbonamento a più canali televisivi americani a pagamento che la gente comune spesso non può permettersi. Di conseguenza, le conversazioni a pranzo tra i PMC europei sono spesso dominate dal numero di canali a cui sono abbonati e da ciò che hanno visto di recente su Netflix, o più probabilmente da ciò che sperano di guardare se mai ne avranno il tempo.

Tutto ciò è strano, perché la migliore cultura statunitense è sempre stata popolare in Europa. Molti registi americani sono trattati con più riverenza in Europa che nel loro Paese: non c’è da stupirsi se si considera che nella maggior parte dei Paesi europei il cinema è ancora considerato una forma d’arte. Anche in Francia si organizzano spesso retrospettive di grandi film americani, e ogni anno si tiene a Deauville il Festival del Cinema Americano: ogni anno una decina di attori e registi vengono premiati per il loro contributo alla carriera. Ma si tratta di un rapporto culturale sano, non di un rapporto basato su un’irrisione preventiva.

Il quarto, che spiega in parte almeno i primi due, è l’abisso culturale e storico che separa gli Stati Uniti dall’Europa. Se è fuorviante parlare di “Europa”, anche in un senso geografico troppo preciso, è sostanzialmente inutile parlare di “Occidente” come se fosse un’entità culturale e storica. Anche in “Europa” esistono differenze fondamentali nelle esperienze nazionali: Polonia e Paesi Bassi, o Svezia e Spagna, non hanno quasi nessuna esperienza formativa storica e culturale in comune, una volta che si va oltre i ritagli di cartone della PMC europea. E semmai il divario culturale transatlantico si è ampliato (sempre escludendo la PMC) nelle ultime generazioni. Dopo tutto, la letteratura classica americana si è ispirata alla tradizione biblica protestante importata dall’Europa (Whitman, Melville) e successivamente è stata pesantemente influenzata dagli sviluppi artistici europei (Eliot e Pound su tutti). Il cinema americano è stato notoriamente creato da immigrati europei, per lo più ebrei, così come la musica popolare americana, da Gershwin e Berlin, fino ai loro discendenti come Paul Simon e Bob Dylan. La scienza, la tecnologia e l’ingegneria negli Stati Uniti devono i loro punti di forza agli immigrati, spesso rifugiati, provenienti dall’Europa.

Al giorno d’oggi sembra esserci un vuoto enorme. La maggior parte della cultura americana di questi tempi sembra essere rivolta agli adolescenti di tutte le età. Ciò che in passato poteva essere caratterizzato da un genuino ottimismo, dal “saper fare” e dallo “spirito pionieristico” sembra essere stato sostituito, almeno agli occhi di un osservatore esterno, da una sorta di conformismo felice e sdolcinato con un sorriso da riccio, una negazione organizzata di tutta una serie di gravi problemi e una fede infantile obbligatoria che le difficoltà saranno risolte, solo perché. Al contrario, le voci che sottolineano l’esistenza di problemi reali e forse terminali vengono spesso respinte. Questo ha prodotto a sua volta una cultura politica sempre più adolescenziale, che ha diverse manifestazioni.

Una è il tipo di solipsismo in cui gli adolescenti sono soliti ritirarsi: solo io conto, tutto riguarda me. Un altro è costituito da inutili atti di ribellione e dalla speranza di scioccare i propri genitori o la loro generazione. La politica americana assomiglia quindi a una tradizionale cricca scolastica o, al giorno d’oggi, a un gruppo adolescenziale sui social media, dove l’obiettivo è essere il ragazzo più figo, o avere le opinioni più estreme e provocatorie e insultare e prendere in giro chiunque non sia d’accordo con te. L’adolescenza è un periodo in cui nulla conta e non ci sono conseguenze: I politici americani possono dire e fare qualsiasi cosa, perché parlano solo tra di loro, e non è certo che pensino agli effetti sul resto del mondo. In un sistema politico così narcisistico, ingenuo e adolescenziale, riflettevo, il resto del mondo è solo un gruppo di pressione, dietro l’industria farmaceutica per importanza.

Sarebbe quindi logico fare quello che fanno molti Paesi del mondo: lasciare che gli americani facciano i loro capricci, fare un po’ di rumore e continuare a fare quello che stavate facendo comunque. È anche vero, d’altra parte, che alcuni Paesi vedono un valore effettivo nella cooperazione: se vivete in un’area instabile, ad esempio, una base militare americana nel vostro Paese può essere un buon deterrente contro i vostri vicini. In molti Paesi i militari statunitensi sono involontariamente impiegati come scudi umani. E naturalmente è possibile essere più proattivi, soprattutto se si dispone di denaro o si può esercitare pressione in altro modo: ho citato Israele e il Ruanda, ma anche i sauditi si sono dati molto da fare e hanno avuto successo. (In effetti, mi sono spesso chiesto perché gli europei, magari insieme ai giapponesi, non comprino il sistema politico americano e se ne facciano una ragione: un centinaio di milioni di dollari all’anno sarebbero sufficienti, no?)

Ciononostante, di fronte a questa incapacità psico-rigida di ammettere la debolezza e l’errore, e nonostante i molteplici e documentati problemi del Paese e del sistema, gli Stati europei continuano a indulgere in un cedimento preventivo di fronte agli Stati Uniti che non deriva tanto dalla “debolezza” in senso facile, quanto piuttosto da un senso di esaurimento storico e culturale. L’Europa ha sempre prodotto più storia e politica di quanta ne possa consumare, e questa politica è stata fondamentalmente diversa dall’esempio statunitense. Dopo tutto, quanti romanzieri americani sono stati sul punto di essere giustiziati per attivismo politico, come Dostoevskij, per poi essere salvati all’ultimo momento da un sovrano assoluto? E quanti lettori americani di Ulisse di Joyce avrebbero capito il lamento di Stephen Daedalus secondo cui “la storia è un incubo da cui sto cercando di svegliarmi”. Anche molti altri europei lo pensavano: molti lo pensano ancora.

Se prendiamo come punto di partenza la fine della guerra civile americana nel 1865, in cosa consiste la storia europea da allora in poi? Beh, un elenco molto selettivo della generazione successiva includerebbe la guerra franco-prussiana e la sanguinosa soppressione della Comune, la breve Prima Repubblica in Spagna, la guerra russo-turca, la violenta lotta tra Chiesa e Stato in Francia, l’affare Dreyfus, la guerra greco-turca, l’ondata di omicidi politici e attentati da parte degli anarchici e, soprattutto, infinite lotte violente tra capitale e lavoro, tra nazionalisti e imperi, tra nazionalisti e nazionalisti, tra autocrati e forze democratiche. Il XX secolo, naturalmente, è stato peggiore: non solo per la terribile carneficina delle guerre infinite, ma per la repressione politica, la polizia segreta, la paura pervasiva, le prigioni, i campi, gli sfollati, le milizie di partito, i processi, le sparizioni, le crisi politiche, la violenza nelle strade, le famiglie divise dalla religione e dalla politica.

Quando scrisse il suo libro Shakespeare nostro contemporaneo (1964)il grande critico polacco Jan Kott dava per scontato che la Storia e le opere romane di Shakespeare descrivessero un mondo di violenza e insicurezza non dissimile dal nostro, e che tutti i suoi lettori sapessero cosa significasse essere svegliati dalla polizia segreta nel cuore della notte. I recensori anglosassoni contemporanei lo derisero gentilmente per l’esagerazione, ma ovviamente tali esperienze erano nella memoria di quasi tutti gli europei dell’epoca, e in effetti erano ancora vissute quotidianamente nell’Europa dell’Est e in Spagna e Portogallo. Il divario tra queste esperienze storiche e quelle degli Stati Uniti è incolmabile, e ho sempre pensato che parte dei problemi che i britannici avevano con l’Europa fosse che in realtà erano stati risparmiati dal peggio della storia europea moderna. (Per completezza, va sottolineato che le società di molte parti del mondo hanno storie politiche più vicine all’Europa che agli Stati Uniti: allo stesso modo, la Nuova Zelanda e il Nicaragua non possono essere trattati allo stesso modo).

C’è un’argomentazione molto forte secondo cui le due guerre mondiali in Europa e le loro immediate conseguenze hanno messo fuori gioco le élite europee e la loro fiducia, e questi effetti sono visibili ancora oggi. La Prima guerra mondiale è stata un cataclisma che va oltre ogni immaginazione: una macchina inarrestabile che ha divorato la gioventù dell’Occidente. Ha prodotto non solo crisi e devastazione per gli anni successivi, ma anche uno shock psichico traumatico da cui ci è voluto un decennio per cominciare a riprendersi: la “letteratura di guerra” – Sassoon, Graves, Remarque, persino Hemingway – risale alla fine degli anni Venti. E si pensava cupamente che fosse solo un’ouverture di un’altra guerra, che sarebbe stata la fine della civiltà stessa. Il seguito fu ancora più psicologicamente devastante, non solo per l’impressionante livello di distruzione fisica, ma soprattutto per la rivelazione degli abissi a cui gli esseri umani potevano realmente scendere. Per quanto gli Alleati avessero a lungo considerato di combattere il Male assoluto, fu comunque uno shock rendersi conto che per il regime nazista le vite dei non ariani non valevano nulla: erano beni di consumo, lavorati fino alla morte se potevano lavorare, uccisi sommariamente se non potevano, o semplicemente lasciati morire di freddo e di fame come milioni di prigionieri di guerra sovietici. Questa constatazione, insieme ai resoconti della barbarie quasi incredibile della guerra nei Balcani, in Polonia e altrove, fu uno shock esistenziale per un continente, e per un’élite, che si era considerata civilizzata.

L’osservazione di Adorno, spesso citata, secondo cui l’Europa si trovava “di fronte all’ultimo stadio della dialettica tra cultura e barbarie: scrivere una poesia dopo Auschwitz è una barbarie, e questo corrode anche la conoscenza che esprime il motivo per cui oggi è diventato impossibile scrivere poesie”, era forse estrema, ma rappresentava una corrente molto potente di reazione delle élite alla presa di coscienza di ciò che esseri umani come loro erano effettivamente capaci di fare. La caduta in una nuova era di barbarie poteva essere in qualche modo evitata dalle nascenti istituzioni europee, rendendo così la guerra “praticamente impossibile”, come auspicava Robert Schuman, ma ciò non era sufficiente. I motori culturali e politici del conflitto, così come li vedevano le élite europee – nazionalismo, culture nazionali, storia e persino lingua – dovevano essere soppressi nell’interesse della pace, per essere sostituiti da un euroconformismo senza caratteristiche, da cui tutto ciò che era controverso era stato chirurgicamente eliminato. Con il passare delle generazioni e il progressivo affievolirsi della fiducia politica degli anni gloriosi, agli studenti europei è stato insegnato a vergognarsi della propria storia e della propria cultura e a chiedere perdono per il passato. La forma più popolare di scrittura storica oggi è il debunking, in cui le care storie nazionali vengono messe in ridicolo. Inutile dire che questo non soddisfa nessuno e ha portato all’ascesa di quella stessa tendenza politica di “estrema destra” (cioè sovversiva) che aveva cercato di sconfiggere.

È questa l’origine della curiosa situazione in cui l’Europa cerca di interferire negli affari dei Paesi del mondo senza attingere ai suoi numerosi punti di forza e alla sua storia particolare. Invece di proclamare il suo status di unico continente che non ha mai avuto la schiavitù e che si è attivamente adoperato per porvi fine altrove, invece di parlare del trionfo di uno Stato laico sulla religione, del diritto universale al voto, dell’introduzione di una moderna legislazione sociale e del lavoro, della creazione di partiti politici secondo linee di classe piuttosto che etniche, dell’introduzione dell’istruzione universale, dell’invenzione dei diritti umani, della crescita della tolleranza religiosa e di una dozzina di altre cose, gli interventi europei sono in termini di prescrizioni normative atemporali incruente, completamente avulse da qualsiasi contesto storico, tranne occasionalmente quello della vergogna.

In una situazione del genere, la propria storia e la propria cultura sono un fardello troppo grande e troppo controverso per essere discusso liberamente. È molto più facile, quindi, adottare quella di qualcun altro, che non ha subito il trauma che l’Europa ha conosciuto. A differenza della storia europea, quella degli Stati Uniti è tenera e provinciale. Così le pagine dei commenti dei siti Internet sono piene di dotte discussioni sulla politica e la cultura statunitense tra persone che sono andate in vacanza a Disneyland, ma che guardano molto la TV statunitense e i siti YouTube.

La combinazione di un’élite europea colpevole, dubbiosa e sempre più insicura, cresciuta senza una solida base culturale e storica, e di un’élite statunitense solipsistica, narcisistica e attenta a se stessa, che raramente tiene conto del resto del mondo, pronta a seppellire i fallimenti e programmata per un eterno e facile ottimismo, crea una situazione estremamente strana: di fatto, le élite statunitensi fingono di governare il mondo e quelle europee fingono di crederci. In questo modo tutti, dominanti e sottomessi, sono soddisfatti.

Naturalmente, ciò crea problemi pratici, poiché la capacità effettiva degli Stati Uniti di gestire il mondo, invece di fingere di farlo, è limitata, e quindi le masochistiche élite europee e la PMC devono ricorrere a razionalizzazioni sempre più bizzarre per rendere possibile tale convinzione. Così all’inizio, a quanto pare, il Grande Piano di sempre era quello di intrappolare la Russia in una guerra con l’Ucraina che avrebbe perso rapidamente, consentendo alle imprese statunitensi di saccheggiare la Russia. Quando questo non ha funzionato, si è ipotizzato che l’altro Grande Piano fosse quello di far cadere rapidamente Putin con sanzioni, dopo di che ecc. Quando questo non ha funzionato, l’altro Grande Piano è stato quello di ricostruire le forze armate ucraine con equipaggiamenti in eccedenza del Patto di Varsavia e così via. Poi l’altro grande piano fu quello di ricostruire le forze armate ucraine con equipaggiamenti occidentali e così via. E così si è andati avanti, razionalizzando le fasi successive della sconfitta con la convinzione che ci fosse stato un Grande Piano (sempre diverso) per tutto il tempo. Che ne dite di una bonanza per l’industria degli armamenti statunitense? Purtroppo no, perché la maggior parte delle attrezzature inviate era obsoleta e già sostituita, e comunque la maggior parte di esse era prodotta in Europa. Ma anche in questo caso, il desiderio masochistico della PMC europea di essere dominata e di adorare il potere è rafforzato dal terrore esistenzialista di vivere in un mondo in cui nessuno ha il controllo e dalla disperata speranza che qualcuno, chiunque, lo abbia.

Infine, vale la pena di aggiungere che il senso masochistico di fallimento e l’impressione di dominio non sono peculiari delle élite PMC europee. È infatti tipico dei Paesi con sistemi politici falliti e problemi enormi per i quali non sono disposti ad assumersi la responsabilità. (Esiste anche una variante minore, specifica degli Stati Uniti, che attribuisce la colpa dei mali del mondo all’Impero britannico: in generale, infatti, gli americani tendono a essere molto più ossessionati dall’Impero di quanto lo siano, o lo siano mai stati, gli inglesi). È qualcosa che si trova spesso negli Stati post-coloniali, dove i loro sistemi politici sono falliti e i loro leader sono odiati, e dove gli intellettuali, gli operatori delle ONG e i giornalisti passeranno ore a spiegarvi amorevolmente quanto siano deboli e indifesi i loro Paesi, e come tutti i loro politici siano nelle tasche di potenze straniere. (Al contrario, non si trovano gli stessi discorsi in Paesi post-coloniali piccoli ma di successo come Singapore).

È un po’ una sorpresa trovare la stessa cosa in Europa, ma credo che, al di là dei fattori citati prima, la spiegazione risieda in parte nell’alienazione quasi totale della gente comune dai sistemi politici europei, e nella consapevolezza che sia i sistemi che coloro che li gestiscono hanno fallito, quasi come in alcune ex colonie. In effetti, come ho suggerito più volte, stiamo assistendo a un tipo di politica precedentemente associata solo ai regimi estrattivi degli Stati post-coloniali che sta rapidamente diventando la norma in Occidente. A un certo livello, le élite europee se ne rendono conto e, a differenza dei loro analoghi statunitensi, non hanno la fiducia necessaria per sfacciarsene. Non potendo contare su nulla per avere fiducia in se stesse, cercano di prenderla in prestito da qualcun altro. In definitiva, per questa generazione di politici incapaci e per i loro parassiti, è più accettabile essere considerati creature di una potenza straniera piuttosto che alzarsi e assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Un ragazzone l’ha fatto e se l’è data a gambe.

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NASA/Boeing vs Space X: La Guerra Spaziale è (di nuovo) Politica” & Trump Gongola-Gianfranco Campa

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Negli Stati Uniti siamo in presenza di un tentativo potente di rinnovamento che porterà all’emersione di una nuova classe dirigente e ad un adattamento ad esso di parte della vecchia. L’immagine offerta dalla cerimonia di insediamento di Trump parla da sola; gli atti susseguenti tracciano la direzione verso la quale gli Stati Uniti vorrebbero andare. Sino ad ora la nuova amministrazione, per altro ancora in fase di insediamento e di un consolidamento ancora dall’esito incerto, ha potuto contare sull’effetto sorpresa e sulla relativa debolezza degli attori protagonisti delle prime attenzioni. La circospezione con la quale i protagonisti principali dello scenario geopolitico si stanno avvicinando alla nuova amministrazione lasciano presagire una fase di studio e di relativa pacificazione delle relazioni, al netto degli imprevisti e delle prevedibili azioni di disturbo. Con qualche avvertimento precauzionale, però: sono stati tagliati i cavi sottomarini di collegamento tra Taiwan e un piccolo arcipelago vicino, sede di una grande base militare. La tendenza è ad una circoscrizione degli obbiettivi, soprattutto interni agli Stati Uniti e delle aree geografiche nelle quali concentrare il confronto. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Xi Jinping e Trump si scontreranno su Taiwan?_ di Niccolo Soldo

Commento e recensione del sabato #184

Xi Jinping e Trump si scontreranno su Taiwan?, La prossima importanza della Groenlandia, Il complesso industriale dei Think Tank, Los Angeles in fiamme, H.G. Wells: Terribile in tutti i sensi

Ogni fine settimana (o quasi) condivido con voi cinque articoli/saggi/rapporti. Li seleziono nel corso della settimana perché sono perspicaci, informativi, interessanti, importanti o una combinazione di questi elementi.

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Lo scorso novembre ho avuto il piacere di parlare a un’altra conferenza MCC a Bruxelles. Il tema di questo incontro era “La guerra culturale e il futuro geopolitico dell’Europa”. Mi sono divertito e sono certo di aver intrattenuto anche il pubblico.

In quell’occasione ho avuto il piacere di incontrare

autore dell’eccellente SubstackLo sconvolgimento. Ho condiviso con voi alcuni di questi scritti in passato e sono molto lieto di farlo anche oggi. Lyons si concentra sulla Cina come un laser, ma ciò che lo rende prezioso rispetto a molti altri è che proviene da una posizione che, finora, non ha fatto parte dell’establishment di Washington. Può essere descritto al meglio come un realista proveniente dal campo populista della politica statunitense, uno che comprende il potere e che sa anche quanto possa essere delicato.

Da quando Barack Obama si è insediato alla Casa Bianca nel 2009, tutti aspettavano che gli Stati Uniti facessero il “pivot” verso l’Asia orientale, ossia che facessero del contenimento della Cina il loro principale interesse di sicurezza, spostando la loro attenzione lì e lontano dal Medio Oriente. La realtà si è messa in mezzo, per caso o a sorpresa, lasciando ai cinesi più tempo per prepararsi a questo inevitabile spostamento di attenzione. Durante la seconda metà del primo mandato di Trump, abbiamo visto gli americani iniziare a fare pressione sulla Cina su alcuni fronti: sanzioni economiche mirate, rivoluzione fallita a Hong Kong sostenuta dalla CIA, tentativi di destabilizzare lo Xinjiang/Turkestan orientale con una campagna mediatica che accusava Pechino di “genocidio”, ecc. In particolare, i media e l’establishment erano dalla parte di Trump per quanto riguarda la Cina, accentuando il sostegno bipartisan alla politica cinese condotta dalla sua amministrazione. Tuttavia, il COVID-19 è arrivato e ha dato a Pechino una tregua di cui aveva bisogno.

È interessante notare che la sconfitta della quarantennale politica estera iraniana nel Levante nel giro di due settimane significa non solo che Hezbollah è stato sconfitto e che l’Iran e la Russia sono stati espulsi dalla Siria, ma anche che gli Stati Uniti possono destinare maggiori risorse al loro tanto atteso pivot verso l’Asia orientale (l’Iran non è ancora stato domato anche se significativamente umiliato). Inoltre, la tempistica coincide con l’avvento di Trump47 , un regime con un diverso atteggiamento nei confronti del potere e del ruolo degli Stati Uniti sulla scena globale. Infine, l’ipotesi è che si intraveda all’orizzonte un accordo di pace tra la Russia e l’Ucraina sponsorizzata dagli Stati Uniti. Una mano più libera per trattare con Pechino?

Il più importante punto di rottura tra Stati Uniti e Cina è Taiwan, un’isola che Pechino considera parte integrante della Repubblica Popolare Cinese e uno Stato che gli Stati Uniti non vogliono che le forze cinesi catturino. N.S. Lyons spiega la posta in gioco su Taiwan:

Xi Jinping ha dichiarato senza mezzi termini che la riunificazione di Taiwan con la Cina continentale non solo è essenziale, ma è la vera “essenza” della visione epocale del leader per il “grande ringiovanimento” – rendere la Cina di nuovo grande ristabilendo il suo ruolo di superpotenza numero uno al mondo. Per Xi e il Partito Comunista Cinese, l’isola democratica di 24 milioni di persone è già un loro territorio, separato da loro solo dall’ingerenza imperiale occidentale. Il suo ritorno sotto il loro controllo non è negoziabile. Come Xi ha tuonato in un discorso importante nel 2022, “Le ruote della storia stanno girando verso la riunificazione della Cina e il ringiovanimento della nazione cinese. La riunificazione completa del nostro Paese deve essere realizzata e può, senza dubbio, essere realizzata”.

Xi ha assegnato date specifiche a questo obiettivo. Ha dichiarato che la riunificazione deve essere raggiunta entro il 2049, centenario della Repubblica Popolare Cinese, ma ha anche nominato il 2035 come data in cui il ringiovanimento della Cina dovrebbe essere “sostanzialmente realizzato”. Dato che nel 2035 Xi sarà probabilmente ancora al potere, anche se a 82 anni, e che la riconquista di Taiwan sarebbe il trionfo nazionalistico per cementare la sua eredità politica in Cina, questa sembra essere la sua vera scadenza. Questo lo rende un uomo che ha fretta, e così ha ordinato alle forze armate cinesi di completare il programma di modernizzazione e di essere pronte a “combattere e vincere” una grande guerra su Taiwan con un concorrente alla pari (come gli Stati Uniti) entro il 2027.

Questo spiega in larga misura il massiccio potenziamento militare della Cina.

Il rischio:

Tuttavia, Xi preferirebbe chiaramente conquistare Taiwan senza combattere, se possibile. La Cina deve affrontare numerose sfide interne, tra cui il rallentamento dell’economia, la crisi demografica, la corruzione diffusa e l’instabilità sociale. Xi sembra aver dato priorità a questi problemi rispetto alle minacce esterne (con un successo limitato). Più importante, però, è il fatto che la guerra è sempre un affare intrinsecamente imprevedibile e rischioso, come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha dimostrato agli analisti di Pechino. Un’invasione di Taiwan sarebbe un rischio di portata molto maggiore, con la pena del fallimento che potrebbe essere, come minimo, la devastazione economica della Cina, la delegittimazione politica del regime del PCC e la fine di Xi Jinping.

Ponendo la riunificazione con Taiwan al centro degli obiettivi dichiarati da lui e dal suo partito, Xi Jinping è disposto a rischiare tutto.

Trump The Spoiler:

C’è un’altra ragione per l’esitazione di Pechino. Da tempo ritiene che gli Stati Uniti e l’Occidente in generale siano in declino terminale, che il tempo sia quindi dalla parte della Cina e che questa possa semplicemente aspettare che il potere americano crolli di sua iniziativa. Come spiega un recente rapporto della Heritage Foundation , “l’osservazione e la valutazione della forza o del declino della civiltà occidentale contribuiscono a plasmare quasi tutti gli aspetti della politica cinese, sia estera che interna”. In particolare ha prestato molta attenzione alla “guerra culturale” dell’Occidente. Considerando le idee progressiste di “sinistra-liberale come profondamente corrosive e destabilizzanti”, il PCC ha concluso che “la volontà e la capacità di combattere dell’Occidente si stanno degradando nel tempo” e che “se rimane sulla sua strada attuale, l’Occidente potrebbe persino ritirarsi dalla scena mondiale, crollare o dividersi”. Finché la Cina crederà a questo, non avrà alcun motivo logico per preoccuparsi di combattere gli Stati Uniti su Taiwan.

TURBO!

Dal momento che la Turbo America è ora la prima direttiva di politica estera e che le riforme necessarie (ad esempio lo smantellamento del complesso industriale DEI in patria) vengono portate avanti per sostenere questa direttiva, Lyons sostiene che stiamo entrando in un periodo veramente pericoloso:

Eppure questa conclusione è proprio il motivo per cui potremmo entrare in un periodo di particolare pericolo. Se Pechino dovesse valutare che, sotto l’amministrazione Trump, l’America sta invertendo con successo il suo declino ed entrando in un’era di rivitalizzazione culturale, economica, tecnologica e militare, allora il suo calcolo strategico potrebbe capovolgersi. Come il Giappone imperiale, che prima di Pearl Harbor era ossessionato dal motto “se il sole non sorge, sta tramontando”, la Cina potrebbe concludere che la sua finestra di opportunità potrebbe essere persa. In tal caso, gli incentivi della Cina si invertirebbero improvvisamente: sembrerebbe vantaggioso attaccare prima che la sua forza relativa nei confronti degli Stati Uniti diminuisca.

superiorità industriale cinese, soprattutto in campo militare:

Questo pericolo è accentuato dal fatto che la Cina ha attualmente una serie di vantaggi significativi in una guerra su Taiwan. In effetti, gli Stati Uniti hanno “avuto il culo per anni” nella maggior parte dei wargames, come ha detto memorabilmente David Ochmanek, analista senior della RAND Corporation ed ex vice segretario alla Difesa. In particolare, la Cina possiede enormi vantaggi materiali, tra cui massicce scorte di missili antinave che possono colpire le navi di superficie statunitensi da lunga distanza. Nel frattempo, l’America esaurirebbe le munizioni critiche nel giro di tre-sette giorni e non sarebbe in grado di sostituirle, dato che attualmente i suoi produttori impiegano quasi due anni per produrre un singolo missile da crociera.

In generale, la mancanza di capacità manifatturiera nazionale è la debolezza più dannosa dell’Occidente quando si tratta di guerra moderna. Anche dopo tre anni di guerra in Ucraina, gli Stati Uniti e l’Europa combinati non sono ancora in grado di eguagliare la capacità della Russia di produrre munizioni di base come i proiettili di artiglieria. Attualmente la Russia produce circa tre milioni di proiettili all’anno, contro gli 1,2 milioni degli Stati Uniti e dell’UE insieme.

A differenza della Seconda Guerra Mondiale, oggi gli Stati Uniti non sono un arsenale democratico. Così come stanno le cose, se dovessero trovarsi in una prolungata guerra di logoramento con la Cina, un titano industriale che produce ben il 29% dei beni mondiali, gli Stati Uniti sembrano destinati a trovarsi in uno svantaggio sconvolgente. Per prima cosa, la Cina ha una capacità di costruzione navale ben 232 volte superiore a quella degli Stati Uniti, come ha rivelato una diapositiva trapelatada un briefing dell’Office of Naval Intelligence nel 2023. La Cina possiede già la marina militare più grande del mondo, con oltre 370 navi, rispetto alle 296 della marina degli Stati Uniti.

Nota: ho diversi ex lettori della Marina statunitense che si sono dilungati in email in cui evidenziano l’attuale squilibrio navale tra Stati Uniti e Cina.

Cosa “si dovrebbe” fare?

, e può essere realizzata concentrandosi sulla produzione di massa e sul dispiegamento di armi asimmetriche come droni, missili e mine marine per trasformare Taiwan in un vero e proprio porcospino.

Questo piano è ragionevolmente semplice, eppure riesce in qualche modo a scontentare gran parte di Washington, compresi i membri della coalizione conservatrice. Da un lato, offende il residuo neoconservatore dei falchi del Partito Repubblicano, perché, come ha spiegato Colbya>, prendere sul serio la difesa di Taiwan – insieme alla realtà della forza della Cina e dei limiti dell’America – significherà necessariamente dare priorità all’Asia, richiedendo agli alleati in Europa e in Medio Oriente di provvedere maggiormente alla propria difesa invece di tentare di sorvegliare il mondo intero.

E ora la domanda da un milione di dollari: Perché gli Stati Uniti dovrebbero rendere impossibile alla Cina di prendere il controllo di Taiwan?

D’altra parte, l’idea di difendere Taiwan fa irritare anche una parte della base MAGA più non-interventista. Perché, si chiedono, l’America dovrebbe sprecare il suo sangue e il suo tesoro per combattere per un’isola dall’altra parte del mondo? È una bella domanda, ma ha una bella risposta.

La posta in gioco di un conflitto su Taiwan è di tutt’altra categoria rispetto alle guerre di scelta in cui gli Stati Uniti si sono impegnati in questo secolo. Sebbene la piccola Taiwan sia una democrazia che affronta una grande potenza autoritaria, la difesa di un ideale astratto come la democrazia non è la vera ragione per cui gli Stati Uniti dovrebbero intervenire a Taiwan. Piuttosto, la cruda verità è che se gli Stati Uniti non riuscissero a proteggere Taiwan (come hanno fatto dal 1949), questo, più di ogni altra catastrofe geopolitica, demolirebbe la nostra credibilità come fornitore di sicurezza, segnerebbe definitivamente il momento decisivo in cui la Cina ha raggiunto l’egemonia come nuova superpotenza dominante del mondo e porterebbe al rapido collasso della rete di alleanze e istituzioni caritatevolmente note come “ordine internazionale liberale” e meno caritatevolmente come Impero Americano.

Sarebbe un duro colpo per la credibilità degli Stati Uniti, ma non sono così sicuro che sarebbe la campana a morto dell’Impero americano.

Altro:

E sebbene molti esponenti della destra populista, me compreso, siano profondamente scettici nei confronti del vasto impero americano e degli ingenti costi per mantenerlo, il suo crollo improvviso avrebbe conseguenze rapide e devastanti per la nazione americana in patria. Per prima cosa, la nostra economia oggi dipende totalmente dalla gestione di un massiccio deficit commerciale di importazioni e di un debito federale gargantuesco. Il primo dipende dal secondo, ed entrambi dipendono completamente dal fatto che il dollaro USA mantenga il suo “esorbitante privilegio” di valuta di riserva mondiale – uno status che mantiene essenzialmente solo perché gli Stati Uniti sono il capobranco del mondo. Una chiara vittoria della Cina su Taiwan porrebbe fine a questo privilegio, e il mondo si riorganizzerebbe rapidamente per un secolo cinese. Negli Stati Uniti sconfitti, il risultato sarebbe una crisi simultanea del debito, della finanza e dell’economia di una portata tale da far sembrare lieve la Grande Depressione. Il tenore di vita degli americani potrebbe non riprendersi mai più.

La difesa di Taiwan è quindi una questione di interesse nazionale americano, non di idealismo. E farlo significherebbe mantenere la pace attraverso la forza – evitare la guerra attraverso la deterrenza – non cercare per sempre guerre all’estero. L’amministrazione Trump dovrebbe essere pronta a sostenere questa tesi. Inoltre, nel farlo può sottolineare che tutti i passi necessari (riportare l’industria in patria, disciplinare gli appalti della difesa, ripristinare la competenza militare e spingere gli alleati a fare di più per la propria difesa) sono pienamente in linea con un più ampio programma America First. Questo riarmo sarebbe una campagna di nation-building in patria, non all’estero.

Si può essere d’accordo o meno, si può anche sperare che la Cina riesca nel suo intento di riportare Taiwan all’ovile (dopo tutto, si tratta di un Sottosistema internazionale). Ma io sostengo che questa è LA migliore argomentazione che ho trovato riguardo alla negazione da parte degli Stati Uniti dei progetti cinesi su Taiwan.

La posta in gioco di un conflitto su Taiwan è di una categoria completamente diversa rispetto a tutte le guerre di scelta in cui gli Stati Uniti sono stati coinvolti in questo secolo”. Foto SAUL LOEB/AFP/Getty.


18 gennaio 2025   8 minuti

È ancora prima dell’alba quando centinaia di missili cinesi iniziano a piovere su Taiwan. Gran parte delle forze aeree e navali dell’isola autogovernata vengono annientate in pochi minuti. Le forze speciali cinesi prendono d’assalto la residenza e gli uffici del presidente taiwanese, eseguendo il “colpo di decapitazione” per il quale si sono addestrate per anni. Sciami di aerei e di droni si abbattono sulle difese taiwanesi, mentre fino a 50.000 paracadutisti dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) scendono sull’isola, tentando un assalto lampo per catturare le zone di atterraggio per una seconda ondata trasportata da elicotteri prima di dirigersi verso le spiagge.

Centinaia di migliaia di truppe del PLA stanno per sbarcare nell’operazione anfibia più grande dai tempi del D-Day. L’invasione di Taiwan, attesa da tempo, è iniziata.

A Washington, il Presidente si trova di fronte a una decisione urgente e scoraggiante. Ampi wargames hanno ripetutamente indicato che l’unica speranza di sopravvivenza per Taiwan è che le forze militari statunitensi intervengano immediatamente e con decisione, spazzando via gran parte della forza d’invasione del PLA mentre sono ancora esposte e vulnerabili. L’esitazione, hanno imparato, porta sempre a una guerra di logoramento che Taiwan è destinata a perdere. Il Comando Indo-Pacifico esorta il Presidente a scatenare il suo piano “Hellscape“: usare sciami di droni, missili antinave e sottomarini d’attacco per trasformare temporaneamente lo Stretto di Taiwan in una terra di nessuno, guadagnando tempo per l’arrivo dei rinforzi americani. Ma non c’è modo di aggirare l’ovvia realtà: questo significherà una guerra tra le due maggiori superpotenze nucleari del mondo.

Inoltre, i comandanti delle forze aeree e spaziali statunitensi insistono per essere autorizzati ad attaccare immediatamente la “catena di morte” della Cina, la rete di satelliti, sensori e centri di comando, comunicazione e controllo che consentono alle armi a lungo raggio di trovare e colpire con precisione gli obiettivi. Entrambe le parti hanno un enorme incentivo a colpire per prime, prima che lo faccia l’altra, lasciandole di fatto accecate. I satelliti militari americani, in particolare, sono inestimabili, insostituibili e bersagli facili. Il Presidente sa che la sua controparte a Pechino sta valutando la stessa decisione. Ma c’è un grosso problema: non solo molti di questi sistemi si trovano sulla terraferma cinese, ma spesso sono gli stessi usati per colpire le armi nucleari; distruggerli potrebbe essere interpretato come il preludio a un attacco nucleare – nel qual caso l’incentivo diventa “lanciarli o perderli”. La situazione sta già degenerando fuori controllo.

Nel frattempo, il leader cinese ha già esitato: ha rifiutato di aprire il suo gioco d’azzardo con un attacco simile a Pearl Harbor contro le basi vulnerabili degli Stati Uniti e i gruppi di portaerei nel Pacifico, sperando che Washington possa ancora fare marcia indietro e consegnare Taiwan senza combattere. Ma ha deciso che se gli Stati Uniti dovessero intervenire, autorizzerà immediatamente attacchi massicci non solo contro le forze americane, ma anche contro quelle alleate giapponesi, sudcoreane e filippine. La Russia e la Corea del Nord sono in attesa del via libera per svolgere il proprio ruolo. Improvvisamente, il mondo si trova sull’orlo della terza guerra mondiale.

 

***

 

Sebbene questo scenario sia una finzione, per ora, la possibilità di un grande conflitto su Taiwan in un futuro non troppo lontano è reale, e in crescita. Xi Jinping ha dichiarato senza mezzi termini che la riunificazione di Taiwan con la Cina continentale non solo è essenziale, ma è la vera “essenza” della visione epocale del leader per il “grande ringiovanimento” – rendere la Cina di nuovo grande ristabilendo il suo ruolo di superpotenza numero uno al mondo. Per Xi e il Partito Comunista Cinese, l’isola democratica di 24 milioni di persone è già un loro territorio, separato da loro solo dall’ingerenza imperiale occidentale. Il suo ritorno sotto il loro controllo non è negoziabile. Come Xi ha tuonato in un maggiore discorso nel 2022, “Le ruote della storia stanno girando verso la riunificazione della Cina e il ringiovanimento della nazione cinese. La riunificazione completa del nostro Paese deve essere realizzata e, senza dubbio, può essere realizzata”.

Xi ha assegnato date specifiche a questo obiettivo. Ha dichiarato che la riunificazione deve essere raggiunta entro il 2049, centenario della Repubblica Popolare Cinese, ma ha anche nominato il 2035 come data in cui il ringiovanimento della Cina dovrebbe essere “sostanzialmente realizzato”. Dato che nel 2035 Xi sarà probabilmente ancora al potere, anche se all’età di 82 anni, e che la riconquista di Taiwan sarebbe il trionfo nazionalistico per cementare la sua eredità politica in Cina, questa sembra essere la sua vera scadenza. Questo lo rende un uomo che ha fretta, e così ha ordinato all’esercito cinese di completare il suo programma di modernizzazione e di essere pronto a “combattere e vincere” una guerra importante su Taiwan con un concorrente di pari livello (come gli Stati Uniti) entro il 2027.

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Tuttavia, Xi preferirebbe chiaramente conquistare Taiwan senza combattere, se possibile. La Cina deve affrontare numerose sfide interne, tra cui il rallentamento dell’economia, la crisi demografica, la corruzione diffusa e l’instabilità sociale. Xi sembra aver dato priorità a questi problemi rispetto alle minacce esterne (con un successo limitato). Più importante, però, è il fatto che la guerra è sempre un affare intrinsecamente imprevedibile e rischioso, come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha dimostrato agli analisti di Pechino. Un’invasione di Taiwan sarebbe un rischio di portata molto maggiore, con la pena del fallimento che potrebbe essere, come minimo, la devastazione economica della Cina, la delegittimazione politica del regime del PCC e la fine di Xi Jinping.

C’è un’altra ragione per l’esitazione di Pechino. Da tempo ritiene che gli Stati Uniti e l’Occidente in generale siano in fase di declino terminale, che il tempo sia quindi dalla parte della Cina e che questa possa semplicemente aspettare che la potenza americana crolli di sua iniziativa. Come spiega un recente rapporto della Heritage Foundation , “l’osservazione e la valutazione della forza o del declino della civiltà occidentale contribuiscono a plasmare quasi tutti gli aspetti della politica cinese, sia estera che interna”. In particolare, ha prestato molta attenzione alla “guerra culturale” dell’Occidente. Considerando le “idee progressiste della sinistra-liberale come profondamente corrosive e destabilizzanti”, il PCC è giunto alla conclusione che “la volontà e la capacità di combattere dell’Occidente si stanno degradando nel tempo” e che “se continua sulla strada attuale, l’Occidente potrebbe persino ritirarsi dalla scena mondiale, crollare o dividersi”. Finché la Cina crede in questo, non ha alcun motivo logico per preoccuparsi di combattere gli Stati Uniti per Taiwan.

Eppure questa conclusione è proprio il motivo per cui potremmo entrare in un periodo di particolare pericolo. Se Pechino dovesse valutare che, sotto l’amministrazione Trump, l’America sta invertendo con successo il suo declino e sta entrando in un’era di rivitalizzazione culturale, economica, tecnologica e militare, allora il suo calcolo strategico potrebbe capovolgersi. Come il Giappone imperiale, che prima di Pearl Harbor era ossessionato dal motto “se il sole non sorge, sta tramontando”, la Cina potrebbe concludere che la sua finestra di opportunità potrebbe essere persa. In tal caso, gli incentivi della Cina si invertirebbero improvvisamente: sembrerebbe vantaggioso attaccare prima che la sua forza relativa nei confronti degli Stati Uniti diminuisca.

Questo pericolo è accentuato dal fatto che la Cina ha attualmente una serie di vantaggi significativi in una guerra su Taiwan. In effetti, nella maggior parte dei wargames gli Stati Uniti “hanno avuto il culo per anni”, come ha detto memorabilmente David Ochmanek, analista senior della RAND Corporation ed ex vice segretario alla Difesa . In particolare, la Cina possiede enormi vantaggi materiali, tra cui massicce scorte di missili antinave che possono colpire le navi di superficie statunitensi da lunga distanza. Nel frattempo, l’America esaurirebbe le munizioni critiche nel giro di da tre a sette giorni e non sarebbe in grado di sostituirle, dato che attualmente i suoi produttori impiegano quasi due anni per produrre un singolo missile da crociera.

In generale, la mancanza di capacità produttiva interna è la debolezza più grave dell’Occidente quando si tratta di guerra moderna. Anche dopo tre anni di guerra in Ucraina, gli Stati Uniti e l’Europa combinati non sono ancora in grado di eguagliare la capacità della Russia di produrre munizioni di base come i proiettili d’artiglieria. Attualmente la Russia produce circa tre milioni di proiettili all’anno, contro gli 1,2 milioni di Stati Uniti e Unione Europea insieme.

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Il piano della Cina per sconfiggere l’Occidente

Di George Magnus

A differenza della seconda guerra mondiale, oggi gli Stati Uniti non sono un arsenale democratico. Se dovessero trovarsi in una guerra di logoramento prolungata con la Cina, un titano industriale che produce ben il 29% dei beni mondiali, gli Stati Uniti si troverebbero probabilmente in uno svantaggio sconvolgente. Ad esempio, la Cina ha una capacità di costruzione navale ben 232 volte superiore a quella degli Stati Uniti, come ha rivelato una diapositiva trapelata da un briefing dell’Office of Naval Intelligence nel 2023. La Cina possiede già la marina militare più grande del mondo, con oltre 370 navi, rispetto alle 296 della marina statunitense.

Tutto questo per dire che, se il PCC crede che l’amministrazione Trump riuscirà nel suo obiettivo dichiarato di rilanciare le fortune dell’America, allora potrebbe considerare il prossimo futuro come il momento migliore per sfidarla su Taiwan. Sebbene sia probabile che ciò inizi con una serie di passi intermedi volti a testare la determinazione degli Stati Uniti, come un blocco dell’isola, piuttosto che un’invasione su larga scala, un’escalation intenzionale o meno non è da escludere.

La situazione, tuttavia, non è senza speranza. Gli Stati Uniti e Taiwan non devono essere in grado di dominare militarmente la Cina per evitare una guerra; devono solo far sì che un attacco all’isola appaia così eccezionalmente costoso per la Cina che non oserà mai premere il grilletto. Questo è ciò che Elbridge Colby, candidato alla carica di sottosegretario alla Difesa per le politiche di Trump, chiama “strategia della negazione“, e può essere realizzato puntando sulla produzione e sul dispiegamento in massa di armi asimmetriche come droni, missili e mine marine per trasformare Taiwan in un vero e proprio porcospino.

Questo piano è ragionevolmente semplice, ma riesce comunque a suscitare l’indignazione di gran parte di Washington, compresi i membri della coalizione conservatrice. Da un lato, offende il residuo neoconservatore dei falchi del Partito Repubblicano, perché, come ha spiegato Colby , prendere sul serio la difesa di Taiwan – insieme alla realtà della forza della Cina e dei limiti dell’America – significherà necessariamente dare priorità all’Asia, richiedendo agli alleati in Europa e in Medio Oriente di provvedere maggiormente alla propria difesa invece di tentare di sorvegliare il mondo intero.

Inoltre, una strategia mirata di negazione asimmetrica significherebbe riorientare i miliardi di dollari per la difesa che attualmente vengono spesi in modo dispendioso per gli articoli più amati dagli appaltatori della difesa e dai lobbisti: macchine appariscenti di grande costo, come le portaerei, che si dà il caso siano già militarmente obsolete. Come le corazzate di un tempo, queste armi sono reliquie di un’epoca più ostentata, tenute in vita dalla politica del Congresso, non dalla necessità militare. Infine, la strategia si scontra con i pietismi neoliberisti della vecchia guardia in materia di libero scambio e libero mercato, dato che richiederà una politica industriale e commerciale concertata e sostenuta dallo Stato, volta a massimizzare rapidamente la produzione interna americana e a contenere le insicure catene di approvvigionamento che si estendono in tutto il mondo.

D’altra parte, l’idea di difendere Taiwan fa irritare anche una parte della base MAGA più non-interventista. Perché, si chiedono, l’America dovrebbe sprecare il suo sangue e il suo tesoro per combattere per un’isola dall’altra parte del mondo? È una buona domanda, ma ha una buona risposta.

La posta in gioco di un conflitto su Taiwan è di tutt’altra categoria rispetto alle guerre di scelta in cui gli Stati Uniti sono stati coinvolti in questo secolo. Sebbene la piccola Taiwan sia una democrazia che affronta una grande potenza autoritaria, la difesa di un ideale astratto come la democrazia non è la vera ragione per cui gli Stati Uniti dovrebbero intervenire su Taiwan. Piuttosto, la cruda verità è che se gli Stati Uniti non riuscissero a proteggere Taiwan (come hanno fatto dal 1949), questo, più di ogni altra catastrofe geopolitica, demolirebbe la nostra credibilità come fornitore di sicurezza, segnerebbe definitivamente il momento decisivo in cui la Cina ha raggiunto l’egemonia come nuova superpotenza dominante del mondo e porterebbe al rapido collasso della rete di alleanze e istituzioni caritatevolmente note come “ordine internazionale liberale” e meno caritatevolmente come impero americano.

“La posta in gioco di un conflitto su Taiwan è di una categoria completamente diversa rispetto a tutte le guerre di scelta in cui gli Stati Uniti si sono impegnati in questo secolo”.

Sebbene molti esponenti della destra populista, me compreso, siano profondamente scettici nei confronti del vasto impero americano e dei costi che comporta il suo mantenimento, il suo crollo improvviso avrebbe conseguenze rapide e devastanti per la nazione americana. Per prima cosa, la nostra economia oggi dipende totalmente dalla gestione di un massiccio deficit commerciale di importazioni e di un debito federale gargantuesco. Il primo dipende dal secondo, ed entrambi dipendono completamente dal fatto che il dollaro USA mantenga il suo “esorbitante privilegio” di valuta di riserva mondiale – uno status che mantiene essenzialmente solo perché gli Stati Uniti sono il capobranco del mondo. Una chiara vittoria della Cina su Taiwan porrebbe fine a questo privilegio, e il mondo si riorganizzerebbe rapidamente per un secolo cinese. Negli Stati Uniti sconfitti, il risultato sarebbe una crisi simultanea del debito, della finanza e dell’economia di dimensioni tali da far sembrare lieve la Grande Depressione. Il tenore di vita degli americani potrebbe non riprendersi mai più.

La difesa di Taiwan è quindi una questione di interesse nazionale americano, non di idealismo. E farlo significherebbe mantenere la pace attraverso la forza – evitare la guerra attraverso la deterrenza – non cercare per sempre guerre all’estero. L’amministrazione Trump dovrebbe essere pronta a sostenere questa tesi. Inoltre, nel farlo può sottolineare che tutti i passi necessari (riportare l’industria in patria, disciplinare gli appalti della difesa, ripristinare la competenza militare e spingere gli alleati a fare di più per la propria difesa) sono pienamente in linea con un più ampio programma America First. Questo riarmo sarebbe una campagna di nation-building in patria, non all’estero.

Tuttavia, anche se si riuscisse a raggiungere l’unità politica sulla questione, il problema di Taiwan promette di essere tra le sfide più urgenti e consequenziali che il presidente Trump dovrà affrontare nel corso del suo secondo mandato. Taiwan si trova al centro dell’emergente nuova guerra fredda tra Cina e Stati Uniti e l’intensificarsi del rischio che lo scontro si inasprisca sta già ridisegnando il mondo. Lo spettro incombente della guerra sull’isola segna la fine di un’epoca – decenni di ingenuo idealismo da “fine della storia”, di globalizzazione sconsiderata e di avventurismo militare incurante – e l’inizio di una nuova era di rinnovato realismo tra le nazioni. Per affrontare il prossimo decennio di gravi pericoli, gli Stati Uniti dovranno sviluppare una nuova politica estera all’altezza, che combini realismo e determinazione in egual misura.

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ANNO 2025: ALFA E OMEGA (parte 1, 2 e 3 di 3* – intervento lungo)_di Daniele Lanza

ANNO 2025: ALFA E OMEGA (parte 1 di 3* – intervento lungo)
Una speranza, mille perchè. Di Daniele Lanza
Il gran giorno è arrivato.
La si aspettava da mesi l’incoronazione di Trump, considerate le prospettive che prometteva e promette: tutti, ma proprio tutti si era lì in attesa (nel mentre che l’amministrazione Biden ha sfruttato per ben bene fino agli ultimi giorni – in senso letterale – per assicurare ulteriori tranches di aiuti finanziari e militari alla giunta di Kiev).
Ecco la parola chiave è “ATTESA”: un’elettrizzante aspettativa che si capta al di qua e al di là del fronte (per chi si interessa di gepolitica), in alcuni casi quasi una latente euforia (…).
Ammetto di esserne stato coinvolto io medesimo sin dal principio: la lunga campagna elettorale contro ogni pronostico (i media per 6 mesi di fila tirarono a confondere l’opinione pubblica con sondaggi e messaggi oscenamente alterati), i DUE tentativi di omicidio contro il candidato vincente, la sostituzione all’ultimo minuto del candidato democratico in stato di invalidità mentale (ma da quanto tempo lo era, prima che la cosa emergesse ?), quindi la notte dello spoglio…..con sondaggi che fino all’ultimo hanno negato l’evidenza. Quindi gli ultimi 2 mesi e mezzo ad attendere quel giuramento mentre l’invalido ha continuato a fare e dire l’indicibile (a recitare quanto gli veniva scritto, pover’uomo).
E adesso…..cosa ?
Ecco, come si sa, la cosa più ammaliante non è mai la domenica in sè (giorno del riposo), quanto il PRIMA….l’aspettativa che si genera il giorno precedente (il sabato) che in genera supera il divertimento effettivo del “gran giorno” una volta che questo arriva. E’ saggezza comune dalla notte dei secoli, sì ?
Ebbene anche in questo caso, finita l’attesa, viene il momento di darsi una sana calmata purtroppo, ritornare alla realtà e a quella più severa.
Il problema non sono i proclami di Donald in merito a far “finire la guerra in un giorno” a cui cui nessuno ha dato credito (fantasie da campagna elettorale come chiaro a chiunque sin dal principio): il problema VERO è che nella realtà concreta, sono ugualmente fantasia anche quelli più prudenti del suo consigliere militare addetto al caso ucraino (Kellogg) che pronostica qualcosa come “100 giorni” per metter fine alle ostilità. Di più: appartengono al regno dell’immaginazione anche le stime meno ottimistiche che prevedono 6 mesi almeno per riuscire ad uscire dal pantano……..come lo sono quelle che prevedono 1 ANNO intero.
Sintetizzo per non eccedere in fronzoli: percepisco e prevedo – a scanso della grande ondata di speranza in Trump – una immensa doccia fredda in merito al caso ucraino: un andare a sbattere contro i muri della realtà. Una grande (e sanguinosa) delusione può nascondersi dietro l’angolo: anche con un capo di stato come D. Trump, la “pace” – o come vogliamo chiamarla sarà un obiettivo da conquistare con le unghie e coi denti, per nulla scontata, all’ultimo respiro, con bagliori di collisione atomica sullo sfondo.
Duole frustrare l’aspettativa dei tanti lettori ed osservatori (così come quella del sottoscritto che scrive), ma oltre alle speranze – che non vanno tolte – forse è arrivato il momento di comprendere qualcosa di molto serio, qualcosa che va oltre le cartine aggiornate del fronte o le note iperdettagliate di armamenti o analisi erudite di settore: tutte queste cose saranno oltremodo utili, ma qui ci si riferisce ad un differente livello di comprensione delle cose, ossia delle visione d’insieme di quella grande opera che è il pianeta alla conclusione del primo ¼ del XXI secolo in corso.
Procediamo per domande (semplici, ma non “facili”)
Dunque.
In nome del cielo, cosa vuole il Cremlino ?
Il Cremlino punta ad un risultato – chiamiamolo così – che a ben vedere, non è purtroppo a misura di uomo o meglio, di semplici trattati scritti da mano umana, per così esprimersi (continuando a leggere mi spiego meglio). Il Cremlino non vuole una tregua d’armi (che da che mondo e mondo è un favore alla parte sconfitta cui si da tempo di riprendersi) nè una sospensione delle ostilità (che è lo stesso): non sa che farsene di “congelamenti” della linea di fronte, soluzioni coreane, “tedescorientali” o altri funambolismi della dialettica.
Il Cremlino non vuole la pace, detta più linearmente (anche se non nel senso in cui i detrattori della Russia e di Putin intendono abitualmente l’espressione, col sangue agli occhi).
Mosca non vuole la pace più di quanto non volesse una guerra: a dirla davvero tutta, non vuole nemmeno l’Ucraina, non l’ha mai voluta, come i suddetti detrattori intendevano (non ne voleva nemmeno un brandello, in teoria).
L’Ucraina è un CASUS BELLI: non di quelli di poco conto, certo, ma al contrario di quelli gravissimi, “esistenziali” come si dice. Ecco, tanto gravi da oscurare il vero punto, vale a dire un’esistenzialità ancor più estesa che è l’identità della madrepatria russa, la sua potenza e il suo futuro.
Il Cremlino vuole……..il riequilibrio di fondo. Vuole una decisa evoluzione geopolitica e culturale del mondo rispetto allo status quo presente: un processo nel corso del quale vi sia anche la Russia…la quale contribuisce nella misura in cui potrà indurre al riformulare degli equilibri strategici in Europa (che ancor oggi dopotutto sono la chiave di quelli planetari visto il privilegio economico di cui gode).
Questo è il vero nodo che si affronta.
Il punto di tutto NON era di sconfiggere o meno l’Ucraina (sebbene si renda necessario farlo, di fatto): il punto è di fermare l’occidente stesso. In parole altre, arrestare l’avanzata dell’occidente attraverso una vittoria in Ucraina (parte vitale dell’hinterland storico e culturale di Mosca): ecco, l’importanza concreta ed immediata di questo secondo punto, porta tragicamente a sorvolare la profondità del primo (…).
Al Cremlino non serve la capitolazione di Kiev, in senso letterale….ma piuttosto la garanzia che l’Alleanza Atlantica riconosca un confine sacro che non potrà mai varcare (se ragiona partendo dal presupposto che Mosca desideri ciecamente la sconfitta dello stato ucraino, si confonde il mezzo con l’obiettivo ultimo).
Il nodo fu già fatale proprio nell’aprile del 2022, quando Boris Johnson vola rapido a Kiev per incontrare Zelensky sull’orlo di un trattato che metterebbe fine alle ostilità e gli dice:”L’occidente non è ancora pronto a firmare un trattato del genere”. Qualcosa che significa (parafrasi):” Voi ucraini potete anche firmare di vostra iniziativa una pace con Mosca, certo, ma NOI (Nato/Ue) non partecipiamo all’evento, ovvero NON la firmiamo, e non la firmeremo mai”. Zelensky dunque, vistosi mancare l’appoggio del quale non può oggettivamente fare a meno (sottolineo l’ultima frase), rinuncia all’accordo con Mosca.
E’ per questa ragione che oggi ci troviamo qui a questo punto: perchè l’Ucraina non esiste – ha cessato di esistere sin dal golpe di piazza del 2014 che anzichè renderla libera, l’ha resa uno stato eterodiretto – e quello stato che sul piano tecnico la rappresenta non ha semplicemente la facoltà di firmare accordi in assenza dell’avvallo della forza superiore che l’ha creata tanto tempo prima…..e questa forza superiore non ha intenzione alcuna di firmare accordi.
Il Cremlino per parte sua è perfettamente consapevole di questo stato di cose e che quindi non ha senso alcuno fare trattati o pace con la giunta di Kiev (che non ha potestà in tal senso)……l’eventuale trattato lo vuole firmato dai leader della NATO: un trattato che prevede non soltanto la fine dello stato di guerra nello specifico fronte ucraino, ma anche la fine del moto di espansione verso oriente dell’occidente stesso. In particolar modo quest’ultimo, che quindi costituisce il senso di tutto, la sorgente del conflitto: una qualsiasi “pace” con l’Ucraina è priva di senso se non la si estingue, dato che continuerebbe a generare altri conflitti russo-ucraini per la generazione a venire, ciclicamente.
Fermiamoci qui un secondo e teniamo presente l’incipit del post qui presente: ecco perchè ho parlato di obiettivi grandi……….non a misura di uomo o di trattato convenzionale scritto. La volontà del Cremlino non è solo di vincere una guerra, ma è quella di invertire un moto – quello di espansione del modello occidentale – che è stato inarrestabile a partire dal XX secolo fino ad oggi imponendosi come modello globale, golden standard per antonomasia.
La Russia di Putin è ben consapevole che questo non è un obiettivo ottenibile da soli: si mette in piedi dunque un meccanismo titanico come il BRICS che abbia numeri tali da indurre una metamorfosi del palcoscenico socio-economico planetario di fondo (o perlomeno sul momento creare un solido contesto alternativo allo standard dominante), nel mentre che in un contesto più specifico e locale (Ucraina) le forze armate russe se la vedono sul campo contro l’ensemble militare euro-statunitense (che si esprime nelle sembianze delle forze armate ucraine) con l’obiettivo d’essere una battuta d’arresto per l’avanzata ad est di Bruxelles e Washington.
Questo non per 10 o 20 anni (quanto ingenuamente propongono dalla Casa Bianca, ovvero di posporre il termine di ingresso di Kiev nella Nato), ma a tempo INDEFINITO.
Il Cremlino non vuole rimandare la questione……..ma risolverla adesso invece, a proprio favore e definitivamente: non desidera che la questione dell’Ucraina nella Nato venga “sospesa” a chissà quando, vuole che tale opzione venga ELIMINATA dal tavolo delle possibilità, del tutto, semplicemente.
CONTINUA
 
“Uccidere il 1991”.
I manuali scolastici di storia nell’inculcarci una approssimativa mappa dello sviluppo del pianeta, ci propongono ordinate cronologie.
Una cronologia è uno strumento estremamente (troppo) semplice, ma utile a dare un’idea di fondo del procedere delle cose…….basilarmente scandito da date cardine che funzionano come punti di riferimento che ci aiutano a dare un’idea del PRIMA e del DOPO
Ogni secolo ha le sue di coordinate speciali: nel 500 la pace di Cateau Cambresis (1559) che estingue la lunga faida tra Spagna e Francia….nel 600 la pace di Westfalia (1648) che mette fine alla guerra dei 30 anni nel cuore del continente, nel 700 i conflitti di successione seguiti dalla guerra dei 7 anni (1763) che ridisegnano e definiscono non solo i confini, ma la traiettoria di sviluppo coloniale del mondo per il secolo a seguire. Nell’800 abbiamo poi il Congresso di Vienna (1815) che cerca di mettere in piedi una parvenza d’ordine dopo il caos armato della generazione rivoluzionaria/napoleonica…….e infine nel XX secolo le date di termine dei due conflitti mondiali, cui va ad aggiungersi quella dell’implosione sovietica a fine secolo, che simbolicamente manda nella storia il 900 ancor prima che esso si concluda cronologicamente parlando e ci sonsegna dunque la contemporaneità che conosciamo (l’unica che le nuovissime generazioni conoscano poi).
Insomma, per concludere siamo al 1991, data che ci riporta al discorso iniziale e alla situazione in cui si versa: il breve excursus sopra non è finalizzato a tediare il lettore con un “prologo/fronzolo”, ma piuttosto far comprendere che determinati eventi storici vanno letti e intepretati in un’ottica di lunghissimo corso…….che implica un lasso di tempo superiore a quello prevedibile o della stessa vita umana (ragion per cui attrae di meno forse).
Elenco qui di seguito, a tappe forzate, concetti chiave, ognuno dei quali necessiterebbe di un’opera in più tomi per essere trattato:
A – Gli stati non sono soltanto un confine politico/amministrativo che vediamo sulle mappe, non sono solo un territorio geometricamente circoscrivibile: gli stati sono anche e soprattutto un’IDEA, che viene prima di tutto……e che ne costituisce la vera identità, che si manifesta in forma di costituzioni e storia.
B – La RUSSIA è uno stato sì, ma non nel medesimo senso in cui lo sono la maggior parte degli stati europei (cito questi ultimi poichè è l’humus più familiare al lettore che segue): la Russia è soprattutto IDEA. Un’idea di POTENZA in primo luogo, un attributo che psicologicamente non ha perso mai e che la demarca esistenzialmente da qualsiasi stato nazionale del vecchio continente (massima parte dei quali ha abdicato in toto alla cosa, il che pone una barriera comunicativa e di comprensione primaria, occorre dire).
La Russia, come concetto, è qualcosa che va oltre la sua stessa costituzione scritta che tecnicamente possiede come ogni stato: qualcosa cioè che va oltre il fondamento giuridico tangibile, la materia, e tocca l’IDEA vera e propria, vale a dire quel sacrale che gli stati d’occidente hanno volutamente perduto generazioni orsono (ma se si vuole sin dai tempi della rivoluzione del 1789, allora). La Russia non è un insieme di confini sanciti per legge (per quanto enormemente estesi nel suo caso): anzi si potrebbe dire che non sono le leggi scritte a garantirli, quanto l’idea di potenza di fondo a generarli (può un pezzo di carta proteggere qualcosa in cui più alcun vivente crede ?! Sarà qualcosa di antimoderno da dirsi, non conforme ai lumi del pensiero politico razionale europeo post-illuminismo, ma d’altro canto qualcuno si rende conto dei limiti di quest’ultimo ? Affidare ad una “ragione” cose che non vi possono far fede ? Il limite della ragione stessa, ecco cosa l’occidente non ha mai affrontato del tutto (mi fermo qui perchè le conseguenze filosofiche sarebbero troppo estese da riportare in questa sede).
C – La Russia ha riportato una disfatta nel 1991. Una disfatta esistenziale, di quelle profonde: è morta la “patria” come la si concepiva (l’Italia ne sa qualcosa? ). Un collasso su infiniti piani di valutazione (psicologico, strutturale, materiale): si è esaurita una fase storica, tragicamente come era iniziata nell’assai più lontano 1917 (…). La disintegrazione del 1991 ha comportato – all’opposto – l’avanzata dell’occidente, questa volta non più ostacolato da nulla: per l’occidente la fine della Russia/potenza non ha rappresentato un’occasione speciale per la PACE….per integrare il popolo sconfitto in un più grande sistema di amicizia e prosperità, ma al contrario profittare e sfruttare nel maggior grado possibile il momento storico di maggiore difficoltà dell’opponente (già perchè all’occhio euro-americano, Mosca non ha mai cessato nemmeno per un momento di essere “opponente”, anche quando non costituiva pericolo ed era del tutto indifesa: elemento quest’ultimo pertanto da sfruttare a dovere per guadagnare posizioni e colpire, prima che tornasse ad essere forte).
Il 1991 è stata la maggiore catastrofe del XX secolo – come afferma Putin – forse anche peggio della guerra patriottica del 1941-45. Perchè ? Perchè perlomeno negli anni 40, malgrado le perdite stratosferiche (un olocausto) era ben chiaro dove si collocava il nemico: la scelta di combatterlo o arrendersi ad esso spettava ad ognuno in tale consapevolezza. Il 1991 invece……..sfumò drammaticamente le parti in gioco: la Russia (l’intera galassia post-sovietica) si ritrovò terreno “aperto” senza più consapevolezza di chi fosse il nemico o l’amico, aprendo sorridente le braccia proprio a coloro che ne volevano la disintegrazione materiale e umana (si vedano poi le cartine dei piani della CIA che voleva il territorio della stessa Fed.Russa frazionato in una decina di repubbliche diverse, in spirito di “democrazia”).
D – L’ascesa al potere di Vladimir Putin (che se ne possa pensare del personaggio), ha sancito a chiare lettere un messaggio di fondo: il 1991 è stato un NEMICO. Un nemico mortale, il peggiore mai avuto dalla Russia nell’ultimo secolo: più insidioso del nazismo che nel 1941 intendeva distruggere lo stato attaccandolo militarmente dall’esterno (mentre la liberal-democrazia atlantica ha puntato – per il medesimo fine – ad un’implosione dall’interno). Orbene se il 1991 è il nemico è quindi un dovere liberarsene: è necessario superarlo.
Tutte le azioni intraprese dallo stato russo sotto la leadership attuale (terminata cioè l’orgia eltsiniana degli anni 90) alla breve o alla lontana sono regolate da questo fine ultimo quindi: vendicare il 1991, superarlo, lasciarlo alle spalle anzichè continuare ad esserne vittime (continuare gli anni 90 elziniani, per l’appunto…).
Certo “Uccidere il 1991” è una frase, un’idea……..non una cosa facile. E’ occorso molto tempo per preparare il paese a farlo (lo spazio di una generazione): sono occorsi molti passi, grandi e piccoli, più o meno percettibili per arrivare ai gionri nostri, per arrivare a quella fornace che è il fronte russo-ucraino, che se osservato alla luce delle considerazioni e prospettive illustrate sinora è assai più che un semplice fronte di guerra utile a colmare le colonne di quotidiani e riviste con l’articolo del giornno: nelle intenzioni/ambizioni della leadership russa odierna è una FUCINA DI VULCANO, tramite la quale ridisegnare (se anche su scala relativamente ridotta) gli equilibri di fondo della politica internazionale.
Per dirla immensamente semplice: si desidera che un’eventuale “pace” in Ucraina corrisponda ad un riassestamento assai più profondo di natura generale: ovvero un 2025 (se fosse l’anno della pace) che prenda il posto del 1991.
Il 1991 sarà “superato” dal 2025 (o l’anno che debba essere) che ne prenderebbe il posto nella successione di date importanti per la nazione russa: a quest’ultima data l’onore storico di concludere il lungo limbo grigio della sconfitta inaugurato dal 1991. La Russia torna a tutti gli effetti ad essere una potenza riconosciuta, seppure entro i limiti che la sua non grande economia oggettivamente consentono ad essa (il che è secondario: quello che conta è tornare in sella).
Il Cremlino questo vuole: mettere fine al 1991, che cesserà la propria esistenza nel momento in cui un’altra data (gloriosa) non ne prenderà il posto nella successione di momenti storici che caratterizzano il cammino del paese.
Teoricamente si sarebbe potuto scrivere semplicemente QUESTO (una dozzina di parole al posto delle centinaia di righe cui ho costretto il lettore arrivato sin qui e col quale mi scuso…..ma la mia natura di scrivano mi impone di enucleare, arrivare alla radice).
CONTINUA
 
“Miracolo nel miracolo”
Arriviamo al termine, laddove si era iniziato.
Il Cremlino vuole superare il 1991, lasciarlo andare, lasciarlo alle spalle (la crisi Ucraina è un’ottima occasione, doverosa, per attuare il proposito). Comprensibile da parte loro, considerato che è stato una catastrofe dal punto di vista russo.
L’occidente piuttosto………è disposto a lasciarsi alle spalle il 1991, considerato che – al contrario – è stata una VITTORIA dal proprio punto di vista ? Qui casca l’asino (anzi, casca l’intera mandria).
L’occidente euro-americano non lo vuole, o meglio non ha alcun interesse che questo sia, detta facile e diretta.
In prospettiva euro-statunitense l’ideale sarebbe stato la prosecuzione del decennio eltsiniano (!): gli anni 90 (mortali per le società post-sovietiche) rappresentano l’idillio, lo status quo PERFETTO per proseguire un “rapporto” con Mosca e non solo dal punto di vista di europarlamento e Casa Bianca.
Alla luce di questo, parlare di inconciliabilità di prospettive è addirittura eufemismo, dato che siamo di fronte ad una letterale antitesi di interessi (…).
Eppure l’occidente è questo: ovvio che abbia i suoi interessi che purtroppo si discostano da quelli russi in modo a dir poco matematico (ogni vittoria di uno corrisponde quasi sempre ad un insuccesso dell’altro…). La sua incarnazione civile – la comunità europea – e ancor più la sua incarnazione militare – Alleanza atlantica – sono concepite e congegnate strutturalmente per avanzare ad est, inesorabilmente.
La NATO nasce con tale scopo, inutile girarci attorno: tener fuori la Russia dall’Europa, tralasciando però che questo obiettivo lo si ottiene più efficacemente NON trattenendosi purtroppo…..ovvero espandendosi, per dottrina, il più in là possibile, senza autolimitarsi, senza rispettare alcuna linea rossa, come si è visto. Abbiamo assistito a cosa è accaduto tra la metà degli anni 90 ed oggi: le garanzie date a Gorbachev (che non erano scritte, ma solo un’intesa, d’accordo), di non far superare alla Nato il confine della vecchia Germania orientale, si vede quanto sono valse (se non si entrava in guerra in Ucraina, quella linea di confine arrivava fino a Mosca).
Se ne deduce che il nodo di Gordio si colloca proprio qui, pertanto: la pace con Kiev presuppone proprio questo: che l’Alleanza Atlantica accetti di autolimitarsi, di riconsocere ufficialmente che esiste un limite oltre il quale non andrà mai, che esiste un’area che per legge naturale non le compete e che si colloca fuori del proprio controllo.
E possibile questo ?
Siamo, penso, di fronte al più insuperabile degli equivoci: è possibile mutare la natura di un’organizzazione che nasce apposta, finalizzata per principio, alla distruzione della Russia ? Il fatto VERO – “the elephant in the room” come dicono in inglese – è che la Nato doveva essere sciolta allora, nel 1991 a rigore di logica (invece nei fatti ha continuato la sua opera ancora di più, proprio a partire da quella data, profittando di un nemico in ginocchio): una logica poco attenta tuttavia……..se si fa attenzione al fatto che sin dalla sua nascita non ha mai parlato specificamente di “comunismo”, quanto di “russi”. In pratica il nemico era il comunismo solo coincidentalmente, o per meglio dire una veste: la sostanza del nemico (colui che porta la veste) è sempre e soltanto sta la Russia stessa, a prescindere dal sistema politico che la rappresenta nel dato momento.
Orbene, è possibile per il Cremlino andare a patti con qualcosa di strutturalmente studiato per NON andare a patti con la Russia in qualsiasi caso o circostanza ? (URSS o impero zarista che sia).
L’essenza di un lungo discorso – la cosa che più di ogni altra vorrei esprimere con questo intervento in tre parti – è la seguente: l’Alleanza Atlantica è un meccanismo che ormai funziona in automatico. E’ un’entità a sè stante che risponde unicamente al “deep state” americano….a sua volta un’organismo che risponde esclusivamente a leggi di geopolitica storica, slegate da qualsiasi vincolo o trattato scritto.
La “traiettoria storica” della potenza statunitense è imperniata sul vecchio continente, unica zona al mondo che economicamente potrebbe intimorirla e sulla quale quindi si è distesa entrando come in simbiosi per formare quell’enigma semantico che chiamiamo “OCCIDENTE”. E’ come una specie di sentiero obbligato, un destino ineluttabile lungo il quale cammina e dal quale non può discostarsi a meno di non riformulare la propria stessa esistenza come potenza (fissata secoli orsono dalla dottrina Monroe). Un’enigma letale, poichè questo “sentiero” – questo obbligo geostrategico di espandersi in Europa – trascende le convenzioni della democrazia rappresentativa: è una caratteristica della politica statunitense che PRESCINDE gli stessi presidenti eletti.
Ieri ha giurato Donald Trump. Ebbene, che cosa ci si può realisticamente aspettare da lui ? Fosse anche sincero nel suo isolazionismo (supponiamo lo sia)………è soltanto un uomo, un leader temporaneamente eletto: ciò di cui si è parlato in questi interventi – spero lo si sia capito – è qualcosa che va al di là dei singoli leader eletti. E qualcosa che ha a che fare con la storia stessa, quella di lungo termine, che coinvolge interessi nazionali storici la cui durata va oltre quella di una vita umana.
Tutto questo per dire che ci sono cose che nemmeno Donald Trump può decidere, giusto o sbagliato che sia (è necessario che massima parte di chi legge si capaciti di questo fatto, che lo comprenda): quanto il Cremlino domanda – giustamente dal proprio punto di vista – è letteralmente impossibile da concedere, se visto da una prospettiva atlantica…..non importa chi sia il presidente in carica in quel momento (Trump o chiunque altro, letteralmente). Questo perchè il patto Atlantico non accetterà mai di autolimitarsi e tantomeno su richiesta del nemico: si tratta di un’opzione inesistente nel pannello delle variabili. L’Alleanza atlantica non è fatta per andare a patti, ma per ampliarsi e combattere (gli unici schemi che conosce): può sciogliersi eventualmente, come si è formata, ma non può andare a patti (paradossalmente è più facile che la Nato scompaia, che venga terminata dai suoi creatori, piuttosto che vederla “andare a patti” con qualcuno o qualcosa. Mentalità militare del resto che è alla sua fondazione).
Il Cremlino d’altro canto non può ridimensionare le proprie richieste, dopo avere immolato quasi mezzo milione di vite sull’altare della patria (e quasi il doppio di quelle ucraine).
Siamo, per così dire, ad una collisione non più tanto di armi e materia………ma di filosofia, dello spirito stesso: nessuna delle due parti può oggettivamente – dalla propria prospettiva – andare ad alcun patto con l’altra, a prescindere da tutta la buona volontà che un singolo capo di stato o più di uno possa avere.
Questo perchè si parla di cose…….che si decidono sul campo, con milioni di vittime (come sta del resto accadendo): non esistono “trattative” per qualcosa come quello a cui il Cremlino anela, poichè ce lo si può solo conquistare sul terreno.
A sentirlo così sembra tremendo, ma è proprio di una legge che viene prima di quelle scritte: la LEGGE DELLA STORIA. Consuetudine remotissima che non si interfaccia con le regole dell’umanità civilizzata, ma più con “le antiche leggi del combattimento” (“Gangs of New York” docet): ecco perchè difficile da capire al pubblico odierno, istruito e pacificato. D’altro canto è comunque comprensibile anche in chiave pacifica: l’individuo che vuole fare fortuna, quella vera…..non può aspettarsi che il prossimo gliela dia, nè può “trattare” per averla, senza essersela guadagnata col sangue. Nessuno può darti determinate cose, se non la tua volontà e la tua determinazione (e assenza di scrupoli).
A Donald Trump auguro tutto il meglio e anche di più (ne avrà bisogno): in questi lunghi interventi ho cercato di spiegare PERCHE’ la sua semplice volontà non sarà sufficiente ad ottenere il risultato che tutti si aspettano (ovvero che è un individuo grintoso, ma davanti ad una situazione assai più grande di lui pure considerata la carica che ora ricopre). D. Trump è di per sè un fenomeno, una rivelazione, un’anomalia sgradita al sistema sì……..ma perchè accada per davvero qualcosa ci vorrebbe addirittura un miracolo NEL miracolo o meglio un colpo di scena ulteriore che va a sommarsi a Trump stesso incrementandone esponenzialmente l’effetto (e questo è improbabile che succeda).
In caso di assenza di altri colpi di scena, la vicenda ucraina non sarà decisa da alcun capo di stato – che sia a stelle e strisce o altro), ma direttamente sul campo, per KNOCK OUT di uno dei due contendenti (che si sta già profilando): e quando si scrive knock out si intende una mezza ecatombe socio-economica che durerà sino alla fine del secolo in corso che si vive.
Ne sono molto addolorato.
Ringrazio chi ha avuto pazienza di seguire sin qui.
FINE
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