Afghanistan, un groviglio che si dipana?_con Gianandrea Gaiani

Da circa quarant’anni l’Afghanistan contemporaneo sta confermando la fama di un groviglio talmente complesso da impedire a qualsiasi potenza, per quanto poderosa, di uscire indenne dalle proprie scorribande. Gli Stati Uniti non fanno eccezione; hanno addirittura raggiunto una tale grossolanità nella loro azione da trasformare in farsa una evidente sconfitta politica. Hanno comunque ancora parecchie carte da giocare o da rispolverare.  Ha evidenziato in contrasto la sagacia e la maturità politica del movimento talebano il quale sembra aver imparato parecchio da questi venti anni di occupazione. Dalla sua la possibilità di giocare con numerosi interlocutori geopolitici, praticamente ininfluenti appena vent’anni fa. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vlnt8z-il-groviglio-afgano-visto-da-gianandrea-gaiani.html

 

 

FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (1 e 2 di 4)_di Daniele Lanza

FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (1 di 4)
Come di regola – ma nelle presenti circostanze è anche comprensibile – le bacheche di tutti i social esibiscono una variopinta carovana di considerazioni e commenti per ogni gusto e livello di comprensione. Non so esattamente quanti abbiano la visione d’insieme della storia di questo areale geostrategico : quanti hanno a mente le sequenza di eventi politici e militari che plasmano lo stato che vediamo oggi sulle carte (assieme a tutti i suoi nodi irrisolti ?)
Non si può certo rimediare da un’ennesima bacheca (!), ma tenterò di offrire una cronologia illustrata e ragionata almeno…
Prestare attenzione dunque : la sagoma politico-amministrativa che prende il nome di AFGHANISTAN sugli atlanti è una creatura relativamente recente (per il metro storico). Per esprimerla in modo molto grezzo e oltremodo sintetico, altro non è che una derivazione della decadenza e disfacimento delle potenze regionali circostanti (Persia in primissimo luogo) in età moderna – ultimi 200 anni circa – : da tale evento di lungo termine affiora l’aggregato territoriale fondamentale i cui contorni interni ed esterni sono ulteriormente temprati e rifiniti dalla pressione oceanica di due grandi forze contrapposte ovvero quella zarista da nord, in discesa dall’Asia centrale e quella britannica da sud, in avanzata dal sub-continente indiano……..tra le quali il neonato Afganistan ha la sfortuna di ritrovarsi.
Andiamo in ordine tuttavia, partiamo dal principio.
La scintilla di tutto deflagra tanto, tanto tempo fa (300 anni)…..giusto agli inizi del XVIII° secolo, quando la Persia Safavide incontra una delle sue più gravi crisi sin dalla rinascita imperiale di due secoli e mezzo prima : all’estrema periferia orientale dell’impero – nella zona che oggi sarebbe la fascia più meridionale dell’Afganistan – vi è un variegato complesso tribale autoctono, in generale appartenente all’indoeuropeo (ed iranico) ceppo PASHTUN, tra cui primeggia la tribù dei Ghilzay (غلزی)…..combattenti intrepidi dei deserti di roccia da cui emergono, lontani dallo sfarzo della corte persiana di cui non condividono nemmeno l’islam sciita/duodecimano, rimanendo ancorati alla più tradizionale Sunna (…). Tra quella gente spicca il nobile clan HOTAK (da ricordare) – che si distingue per influenza e ricchezza, tanto che il capo del casato è il rappresentante della città di Kandahar (eccoci) ed interagisce direttamente col governatore inviato dalla capitale : quest’ultimo, un georgiano convertito all’islam (ve ne erano molti nell’amministrazione imperiale) perpetua la tradizione di brutalità dei suoi predecessori fino a provocare una grande rivolta – guidata dal capo della famiglia Hotak – che si innesca nell’anno 1709 del calendario occidentale.
La rivolta inizia a KANDAHAR per l’appunto – dove il governatore viene presto ucciso -, ma anziché rimanere limitata al suo ambito regionale come ci si aspetterebbe, dilaga invece a buona parte dell’areale iranico sotto il controllo safavide, sino a minacciarne le sue più nevralgiche città tra cui la capitale, complice la debolezza del potere centrale : non c’è dubbio che siamo di fronte ad una manifestazione di grandi proporzioni della decadenza imperiale persiana, del capolinea naturale della sua dinastia dopo 250 anni di regno. Una dopo l’altra le varie roccaforti cadono fino al punto da creare una situazione surreale : l’impero safavide è letteralmente divorato dal suo interno da questa improvvisa insurrezione tribale Pashtun che arriva ad occupare buona parte del suo territorio….si parla sui manuali di storia dell’Asia centrale di un “impero HOTAK” di brevissima durata e che prende il nome del condottiero che la orchestra.
Questo stato di disordine interno – analogo forse ai barbari germani già da tempo entro i confini dell’impero romano d’occidente, ma che colgono l’occasione per ribellarvisi invaderlo dal suo interno – durerà lo spazio di una generazione : per una trentina di anni la Persia cerca di ripristinare l’ordine precedente impegnandosi in una lunga e difficile guerra contro questi audaci insorti che già si pongono come difensori di una nuova monarchia. La situazione è ancor più drammatica se si tiene conto che altre potenze – RUSSIA in primis – realizzando lo stato di estrema debolezza in cui versa lo stato safavide si fanno avanti ai 4 punti cardinali conquistando e reclamando regioni di confine (una per tutte la “campagna caspica” di Pietro il grande nel 1721-22 che rischia di strappare allo Scià tutta la costa iranica sul mare Caspio)
L’impero di questo passo potrebbe anche cessare di esistere, si intravede uno smembramento territoriale sempre più inarrestabile……tutto sembra perduto.
Eppure avviene il miracolo : questo miracolo porta il nome di Nader Shah Afshar. Costui è un condottiero militare di immenso genio strategico (pare esista una legge arcana dell’equilibrio nella storia degli stati che fa comparire un salvatore quando si è prossimi al baratro) che rimette in piedi l’impero, invertendo il processo di decadenza in corso (…). Non è persiano (ed anzi è di certo più simile agli insorti Pashtun come cultura guerriera, benchè in realtà lui sia di origine turcomanna, OGHUZ per essere precisi : quei popoli seminomadi di confine da tempo immemore incorporati nelle gerarchie militari persiane. Ammira Tamerlano e lo stesso Gengis che sono suoi modelli) Con lui inizia un lungo ciclo di guerre che tuttavia avranno esito positivo non soltanto salvando la Persia, ma anzi riportandola all’attacco su tutti i fronti prefigurando una versione allargata dell’impero come non esisteva da ere : nel giro di 20 anni di fatto neutralizza tutte le minacce interne ed esterne al paese, respingendo russi, ottomani, indiani da occidente ad oriente (si spinge fino a Bukhara e arriva persino a passare all’offensiva contro l’altrettanto decadente India Mughal, dal canto suo prossima alla colonizzazione anglo-francese)……..ma soprattutto annientando la minaccia HOTAK all’interno che imperversa da decenni.
Per ridurre all’osso una lunga vicenda militare, Nader SCONFIGGE ripetutamente gli insorti pashtun fino a ricacciarli là da dove erano partiti : nel 1738, dopo molti anni di battaglie, arriva alle mura di Kandahar che verrà assediata e presa. Con la caduta della sua capitale, la dinastia Hotak si dissolve e molti dei suoi antichi sostenitori (molti l’avevano già fatto) passano dalla parte di Nader : uno di essi – tra i più fedeli e valorosi – è un generale e capoclan pashtu di nome DURRANI (questo è il nome chiave, ci ritorniamo dieci righe più in basso) . Quest’ultimo ha rimesso insieme l’impero persiano e l’ha reso più forte di prima (di quanto fosse mai stato nella sua fase moderna. Ha letteralmente capovolto la traiettoria storica che pareva instaurata irreversibilmente, portando una nazione dall’orlo della scomparsa sulla mappe alla prospettiva di un nuovo impero continentale) : il paese gli è talmente debitore (e i regnanti precedenti talmente screditati) che è acclamato lui stesso come nuovo Scià e iniziatore di una nuova dinastia che prende il suo nome (Afshar ovvero. Sarà dunque il tempi di “Nader Shah Afshar”).
Non pensiate che vada troppo fuori del seminato : questo interessante excursus di storia persiana è indispensabile per ricostruire la nascita dei potentati che prenderanno poi il nome di Afganistan. Sorvoliamo alcune vicende andando al punto cruciale di svolta : Nader Shah Afshar, nuovo e potente monarca di Persia, cade prematuramente, assassinato in un complotto militare durante una campagna contro i curdi (siamo nell’anno 1747). Con la fine di questo astro della storia militare persiana si esaurisce ipso facto anche lo zenit di espansione territoriale raggiunto per poco tempo : molte regioni da poco conquistate si riprendono l’indipendenza perduta, un po come i regni ellenistico orientali che fanno capolino dopo la morte di Alessandro il macedone, sebbene su scala minore. In realtà l’impero persiano NON si dissolve (l’ascesa di una dinastia Zand stabilizza relativamente le cose), ma ritorna semplicemente ad essere quanto era prima di Nader Shah…..una discreta potenza regionale che non va oltre il suo limite e portata comunque verso la decadenza in un clima di arretratezza rispetto alle grandi potenze dell’occidente che giocano sul piano planetario oramai (…).
In questo clima generale di ridimensionamento persiano dopo un brevissimo zenit di gloria, si forma una nuova entità, anch’essa che porta il nome del proprio fondatore : è in questo momento che ci focalizziamo nuovamente sull’areale specificamente afgano, tornando a quel DURRANI di cui ho accennato (il generale pashtun fedele a Nader)
Ancor prima di proseguire premettiamo che questo Durrani – Ahmad Shāh Durrānī – è oggi considerato il PADRE DELL’AFGANISTAN (inteso come nazione afgana nel senso storico più ampio del termine e non dello stato contemporaneo che abbiamo davanti agli occhi)
Se a qualcuno interessa, mi faccia un cenno che proseguo coi capitoli (con questo caldo procedo solo se ne vale la pena, perdonatemi…)
CONTINUA (?)
FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (2 di 4)
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Allora, ricapitolando il paragrafo precedente : un impero persiano che versa in gravissima crisi (inizio XVIII° sec.) si vede eroso dall’interno da una rivolta tribale PASHTUN che parte da Kandahar nel cuore dell’odierno Afganistan meridionale, e dilaga fino alla stessa capitale imperiale, incapace di domarla o anche solo arginarla. L’emergenza interna rende la Persia safavide vulnerabile anche dall’esterno, facendosi avanti praticamente tutte le potenze confinanti per approfittare del momento – dallo tsar di Russia ai rajah Mughal dell’India – e avvantaggiarsi territorialmente. Sull’orlo del tracollo totale…………le sorti di Persi provvidenzialmente si invertono con l’affermarsi di un leader politico-militare di grande spessore (NADER SHAH, generale di origine turca oghuz in servizio all’impero) : quest’ultimo , praticamente il Napoleone Bonaparte nel contesto persiano della prima metà del 700, modifica il corso della storia ripristinando l’unità del paese sconfiggendo TUTTI gli avversari interni ed esteri in tutti i teatri di guerra. L’azione di Nader è talmente efficace che non soltanto viene riportata la sicurezza (assente sotto la debole dinastia safavide), ma addirittura si ritorna all’attacco e all’espansione ai 4 punti cardinali che fa presagire una nuova età d’oro da Samarkand alla Mesopotamia all’Hindustan (…). Pare sia nato il nuovo Tamerlano dopo secoli. Non a caso manda in pensione la vecchia dinasti a safavide dando inizio alla propria. L’incredibile capovolgimento di situazione non dura oltre la vita di Nader stesso che cade vittima di un complotto di ufficiali persiani, dopo una stagione storica di successi sfolgoranti. Tutto tornerà (quasi) come prima.
Questa serie di eventi ci porta al 1747.
A questo punto facciamo un piccolo passo indietro sottolineando un fatto : NADER (il grande !) nel corso della sua straordinaria ascesa e affermazione porta molti che pure si erano ribellati al decadente impero safavide ad unirsi a lui sotto il suo vessillo vincente. Una tra queste forze erano le tribù ABDALI : trattasi di una parte (la più grande) dei Pashtun ovvero la sua frazione demograficamente più consistente e combattiva. Malgrado la rivolta antipersiana di una generazione prima fosse partita proprio da una tribù pashtun, gli abdali invece si uniranno a Nader Shah una volta compreso la sua forza e il suo genio (a differenza dei suoi predecessori)……arrivando a diventare i suoi più stretti ALLEATI. Tra di essi vi è un giovane di notevoli capacità di nome Ahmad Shāh Durrānī (احمد شاه دراني) .
Lui e il fratello verranno reintegrati come gli altri abdali tra le forze imperiali di Nader, facendo una rapida carriera : al tempo della caduta di Kandahar (che pone fine alla trentennale ribellione pashtun, 1738) ha oramai guadagnato un prestigio tale che da quel momento in poi sarà aiutante di campo dello Scià e successivamente comandante di un corpo d’elite composto di abdali che segue il monarca nella sua campagna contro l’India Mughal (…). Ahmad Durrani è un brillante ufficiale, estremamente apprezzato da Nader. Quando, nel 1747, Nader Shah viene assassinato durante una campagna militare la situazione si fa di nuovo caotica : il breve “super-impero” di Nader si ridimensione rapidamente e svariate sue regioni e provincie conquistate tornano ai possessori oppure cercano l’indipendenza. Quest’ultimo è il caso delle provincie più orientali che occupano l’odierno Afganistan del sud : DURRANI (presente al momento dell’assassinio di Nader) si trova improvvisamente in una situazione di incertezza che tuttavia si chiarisce subito……….considerato estinto con Nader il suo giuramente di fedeltà alla Persia, si allontana dal campo con tutto il suo reggimento di cavalleria portando con sé il sigillo reale del defunto sovrano. Quella stessa estate viene scelto da un grande consiglio (“Ioya Jirga”) di capitribù pashtun come condottiero di tutta la nazione pashtu/afgana.
Questo è letteralmente l’INIZIO. Come leader unico acclamato dalla sua gente, Ahmad Durrani inizia subito la sua opera di conquista, approfittando tra l’altro degli anni di relativa instabilità e debolezza del potere centrale immediatamente successivi alla morte di Nader.
Durrani con una rapida serie di campagne rende definitivamente indipendenti le provincie più orientali dell’impero persiano – corrispondenti all’Afganistan del sud, il cui epicentro era Kandahar – ma questa volta in maniera più stabile rispetto alla ribellione di 40 anni prima ossia con una visione politica assai più definita e concreta : in parole povere cessa l’era dei potentati tribali tributari dell’impero persiano (a volte in rivolta) e inizia l’era di una realtà geopolitica INDIPENDENTE dalla Persia , tanto quanto dall’India Mughal adiacente. Si forma una NAZIONE AFGANA a cavallo tra la Persia imperiale ad ovest e il sub-continente indiano a sud-est : Ahmad Durrani è ritenuto nella storiografia generale come il “pater patriae”.
Durrani si conferma il brillante stratega che già lo Scià persiano aveva notato : nel giro di una manciata di anni non soltanto rende indipendente l’Afganistan propriamente detto all’epoca, ma ne estende i confini, soprattutto ad oriente andando ad intaccare l’areale geopolitico indiano allora ancora sotto lo scettro Mughal (questi già in decadenza in realtà, duramente provati dal confronto con i nativi potentati Maharata nonché con le avanguardie della colonizzazione occidentale sia inglese che francese). Tra il 1747 e il 1755 – ossia alla vigilia della guerra dei 7 anni in Europa e nord America – Durrani penetra in profondità a sud, attacca 4 volte di seguito l’India e arriva a saccheggiare DELHI, staccando fisicamente una larga porzione dell’India Mughal ai suoi legittimi regnanti : una fascia territoriale equivalente all’odierno PAKISTAN (!) più il Kashmir entra a far parte di quello che prende ufficialmente il nome di “IMPERO DURRANI”.
In breve è venuta ad affermarsi in un brevissimo lasso di tempo un’entità politica distinta da Persia e India e temuta da entrambi : in particolare dall’INDIA ora, verso le cui ampie risorse (scarsamente difese) i condottieri afgani paiono attratti. Attorno alla metà del XVIII° sec. i monarchi indiani (Maharati o Mughal che siano) paiono impotenti contro i raid di questi predoni del nord, comparativamente tanto quanto i regni indiani dell’antichità più remota lo furono di fronte alle ondate d’invasione indo-aria (…). Persino la CINA della dinastia Quing è nel mirino dei Durrani che sperano di far insorgere i sudditi musulmani e turchi del celeste impero (le campagne contro l’India tuttavia prosciugano già tutte le risorse a disposizione e non si potrà continuare, dando preminenza a quest’ultima). L’Hindu Kush è a portata di mano per qualsiasi invasione, così come la stessa Delhi sembra essere bersaglio facile di un blitz di questi cavalieri degli altipiani iranici : orbene FARE ATTENZIONE ! E’ da questo momento che si inizia a percepire l’Afganistan (o impero Durrani o comunque lo si voglia appellare) come minaccia per il sub-continente indiano o chiunque lo controlli. Dal punto di vista indiano (e quindi BRITANNICO, dato che nel secolo a venire il “protettore” dell’areale sarà la corona d’Inghilterra) l’entità afgana è equiparabile ad un falco minaccioso….sparuto in termini numerici, ma capace di penetrare all’improvviso sino ai punti più nevralgici del grande HINDUSTAN : non una forza militare sufficiente ad annettere certo………ma sufficiente eventualmente ad innescare pericolose rivolte tra la popolazione autoctona indiana contro i suoi governanti inglesi (ed in questa opera di destabilizzazione eventualmente “aiutato” da un’ulteriore potenza europea o euroasiatica come la Russia zarista : ecco, dal punto di vista di quest’ultima invece, l’entità afgana assume, viceversa, le sembianze di un’utile lancia puntata contro il cuore dell’impero indiano di proprietà del rivale britannico. Una “lancia” che può essere aiutata….). La dinastia Durrani dura per generazioni : il suo successore stabilirà per la prima volta KABUL come capitale del regno (e Peshawar come capitale d’inverno).
A questo periodo risalgono anche i più pesanti attriti con entità non islamiche : fondamentale il confronto armato tra afgani e SIKH nel nord dell’India. Allora iniziano sistematiche distruzioni a danno della cultura induista Sikh cui seguirà una fase di conflitti regolari che terminano solo con la perdita del Kashmir nel 1819 (verso la fine dell’impero Durrani). Si tratta forse dei prodromi di un’animosità che ancora oggi si nota nella popolazione musulmana afgana contro i simboli del buddismo (?) Durrani medesimo scompare nel 1772 lasciando la sua importante eredità e generazioni di successori per i 50 anni a venire, prima che nuovi contesti storici mettano al trono una nuova dinastia : siamo alle porte di un nuovo secolo……….che vede l’uomo occidentale inserirsi nella pugna monopolizzandola al punto di farla divenire un proprio riflesso (ma nel far questo, sfruttando e servendosi di conflitti secolari sempre esistiti tra popolazioni confinanti e rivali come quelli che abbiamo intravisto)

USA/AFPAK: SECONDO TEMPO, di Antonio de Martini

USA/AFPAK: SECONDO TEMPO

CONTRATTACCO FINANZIARIO USA. PARTE IL SOFFOCAMENTO FINANZIARIO. PROVOCHERÀ RITORSIONI TERRORISTICHE?

L’ex capo della CIA Leon Panetta collega il Pakistan con i recenti avvenimenti ( ai suoi tempi crearono la soglia AFPAK per dire che i due paesi erano un tutt’uno, si profila una nuova fase della guerra in Asia.

li Stati Uniti hanno il controllo su tutte le riserve di cambio dei paesi più o meno satelliti e con l’Afganistan non hanno fatto eccezione: hanno appena bloccato nove miliardi di dollari – in contanti e buoni del tesoro USA – depositati a garanzia in banche americane.
Il pretesto adottato é che attualmente non esiste attualmente un governo riconosciuto dell’Afganistan.

Sono entrati venti anni fa infischiandosene della legalità internazionale e adesso escono facendo i legalitari ad oltranza.

Anche l’ FMI ha annunziato che lunedì non liquiderà un fondo speciale di prelievo già concesso senza garanzie all’Afganistan.
Queste notizie sono state date dal governatore della Banca centrale tempestivamente fuggito domenica sera.

Da notare e sottolineare il fatto che questo provvedimento iugulatorio, adottato anche contro il Venezuela, nel 2014, gli USA non lo presero a carico del DAESCH che si impossessò di circa un miliardo di dollari dei fondi del governo regionale curdo di Mossul e li spese per finanziare le sue attività.

Viene da chiedersi con chi stianno realmente questi indecifrabili bugiardi o se non sia meglio rimpatriare il nostro oro per metterlo in sicurezza.

Viene anche da chiedersi se non si rendano conto che il blocco finanziario potrebbe affrettare l’arrivo della influenza cinese. O lo hanno fatto perché preferiscono i cinesi ai russi. Non hanno ancora capito che ora si confrontano col blocco Russia-Cina?

Prevedo che i Talebani potrebbero reagire autonomamente a questa misura bloccando gli espatri da Kabul e collegando i visti di uscita ( anche di americani, o di occidentali) con lo sblocco dei loro fondi; oppure seguire l’esempio iraniano coi francesi, lanciando attacchi terroristici – ovviamente anonimi- a strutture governative o finanziarie americane ovunque si trovino. Ad esempio a Londra o Amsterdam.

https://corrieredellacollera.com/2021/08/19/usa-afpak-secondo-tempo/

IL DEMOCRATICO SORRIDENTE ( nella foto)
Il presidente afgano testé uscito, Ashraf Ghani, qui ritratto con al fianco la moglie libanese Rula, secondo fonti russe avrebbe lasciato il paese “ con un elicottero, giungendo in aeroporto con 4 autovetture contenenti 169 milioni di dollari.”
Sempre secondo gli stessi testimoni, non essendo riusciti a stipare tutto sull’aeromobile, una parte é stata abbandonata sulla pista.
Dopo una sosta in Tagikistan , e la notifica di “persona non grata” delle autorità di Dushanbé, é partito alla volta di Dubai dove gli é stato accordato l’asilo “per motivi umanitari”.
L’ex presidente era in carica dal 2014. Un settennio. Come Mattarella.

I TALEBANI: COME NACQUERO, COSA PENSANO E CHE FARANNO, di Antonio de Martini

I TALEBANI: COME NACQUERO, COSA PENSANO E CHE FARANNO

di Antoniodiceche

Il mio post facebook dello scorso sabato sul Mullah Omar ha avuto un record di preferenze, segno che le persone sono assetate di notizie sul personaggio,morto anni fa, e sui TALEBANI di cui non si sa nulla ( un pò come per Assad di Siria e gli Alauiti) per ignoranza e per la ferrea censura sostanziale esercitata dal monopolio informativo planetario esercitato dalle cinque agenzie di stampa ( AFP, REUTER,AP, BLOOMBERG…) che danno notizie ai media di tutto il mondo in armonia coi governi occidentali che contano.

Pochi sanno chi siano i TALEBANI , come e quando siano nati, cosa vogliano e a chi o cosa debbano la loro vittoria sugli Stati Uniti d’America.

Sono nati nel sud del paese attorno alla metà degli anni novanta come reazione alla situazione di caos creata dall’evaquazione dei sovietici e dal vuoto di potere che ne seguì.

La storia del Mullah Omar la sapete già, come sapete le fame di legge ed ordine che provocò la sua reazione e la crescita politica conseguente. Non si trattò di un uomo solo, ma di una parte di clero sunnita formatosi a metà del secolo precedente a DEOBAND ( India) che volle strumentalizzare la religione in funzione anticoloniale e antibritannica.

E’ un movimento culturale-religioso composto da giurisperiti ( dottori della legge “ Ulema”: colui che insegna) e si rivolge agli allievi ( talebani: domandatori; da taleb domanda) della scuola coranica ( madrasa).

Per mantenere l’ordine e far rispettare le leggi, gli allievi si armarono di Kalashnikov sovietici residuati e – agli ordini dei giudici-dottori della legge – iniziarono a imporne il rispetto, non di astruse pandette occidentali, ma della Sharia che tutto l’Islam conosce a memoria e che gli Ulema interpretano a richiesta.

Il passaggio al rigore islamico interpretato dai troppo giovani zeloti e il loro ostentato disinteresse per l’Economia, provocò una prima reazione popolare e la mancanza di contatti internazionali ed il loro provincialismo favorirono quanti invocarono il sacro dovere dell’ospitalità, specie se – come Ben Laden- accompagnato da munifica beneficenza.

Il loro ostentato disinteresse e assoluta ignoranza per le cose economiche e il desiderio di combattere la corruzione portata dagli stranieri ( prima russi, poi americani) provocò un ciclo economico depressivo che favorì la loro espulsione dal potere grazie all’arrivo degli americani e del fiume di dollari con cui si aprono la strada.

L’invasione americana creò grandi aspettative di democrazia e prosperità, molti mestieri non furono più vietati sulla base di dettami coranici anche mal interpretati, la proibizione delle esecuzioni pubbliche provocò ondate di sollievo, il minor rigore zelota nella applicazione delle leggi visto con gratitudine. Le elezioni del 2001 fecero nascere speranze e una nuova classe politica e sociale che giunse all’apice con le elezioni del 2004.

D’altro canto, un amico che mi legge ogni tanto mi ha scritto d’aver incontrato un ufficiale USA che durante il Ramadan gli chiese contro chi fosse rivolta quel corale sciopero della fame…

Cretini DOC furono importati dagli Stati Uniti e nominati ministri e presidenti, il flusso dei lavori e dei favori incentivò nuovamente la corruzione, il rilassamento dei costumi e la presenza di militari giovani stimolò ogni genere di deviazioni, la coltivazione e il traffico degli oppiaceo aumentò fino a tenta volte nella fase finale dell’esperienza; la spicciativa temerarietà culturale con cui furono risolte questioni di diritto civile creò malanimo. Le logiche tribali ripresero il sopravvento e si iniziò a rimpiangere la frusta casalinga dei talebani, giudici incorruttibili.

Trasformare un uomo di fede in un combattente non richiede sforzi: é già temprato, frugale e pronto al sacrificio. Era solo questione di tempo. Scrissi sul questo blog, il 4 maggio 2011,che ci potevano volere dieci anni e dieci anni ci sono voluti. ( cfr: https://corrieredellacollera.com/2011/05/04/gli-usa-vinceranno-in-pakistan-e-i-talebani-in-afganistan-di-antonio-de-martini/).

Cosa pensano? Sono nazionalisti, sovranisti, rigorosi difensori della legalità, moralisti come tutti gli uomini che vivono tra loro e molto affini alla mentalità e psicologia degli evangelisti americani, mutatis mutandis.

Cosa faranno? Governeranno esattamente come prima, ma senza esecuzioni pubbliche e con un occhio più attento alle reazioni e relazioni internazionali, ma senza dimenticare chi li ha aiutati e perché. Il Pakistan.

l’appartenenza all’Etna Pashtun li rende utili ai pachistani in funzione anti indiana e se dovessero gestire alcune attività terroristiche segrete, lo farebbero per cavare le castagne dal fuoco ai pakistani che devono dare prova di moderazione agli americani in cerca di capri espiatori. Potrebbero offrire kamikaze per operazioni in India, in Cachemir e in Inghilterra con cui il Pakistan ha conti in sospeso per via delle attività di intelligence che hanno avvelenato i rapporti con gli USA.

Attentati a noi non ne prevedo. Prevedo invece, grazie alla nostra irrilevanza politica che potremmo raccogliere contratti che, per ora , gli americani per ragioni di opportunità non possono sollecitare. Penso alla SNAM che potrebbe offrirsi per l’attività progettuale del grande pipeline Iran Cina dove saremmo in concorrenza con la Russia che ha un eccellente uomo di intelligence in grado di influire in Pakistan ad alti livelli, mentre noi potremmo farlo in Iran.

Gli USA nel 1975 assorbirono centomila vietnamiti nel loro paese, mentre noi mandammo a prendere, con Zamberletti ricordate ? con due navi da guerra, qualche centinaio di boat people. Oggi rischiamo che accada il contrario…

Per fortuna, tutti gli afgani che hanno ottenuto promozione e3conomica e sociale ( e di cui i talebani favoriranno l’esodo) hanno il mito degli USA e una gran voglia di investire i loro sudatissimi dollari.

A RITROSO

Il padre spirituale di questa vittoria dei pastori sulle supertecnologie, è il mullah OMAR .
Guercio, viveva all’ombra della sua moschea mentre l’Afganistan vegetava in un periodo di anarchia dovuta a liti tra partigiani di differenti ideologie occidentali.
Quattro soldati afgani violentarono una donna e ne chiesero la condanna con le solite abberranti motivazioni.
Lui condannò i quattro all’impiccagione.
Il paese intero approvò- si, il paese dei misogini – e lo innalzò alla magistratura suprema in cerca di legge e ordine.
Quando il governo USA chiese l’estradizione di Osama Ben Laden ( che come abbiamo poi saputo, non era in Afganistan) lui, magistrato inflessibile, chiese che avviassero una regolare pratica di estradizione.
Gli USA risposero con l’invasione e misero una taglia sulla sua testa.
È morto nel suo letto, guidando la Resistenza, senza che si trovasse un solo afgano disposto a tradire cedendo al fascino del dollaro.
Se non ricordo male, la taglia era di dieci milioni.
Avrebbero dovuto capire da questo fatto che non l’avrebbero spuntata.
Qualcuno, in un bagliore di lucidità, da “terrorists,”li promosse a “insugents”, ma poi affogò in una storiella pecoreccia e l’interesse alle forniture prevalse fino al naufragio finale.

la convivenza difficile tra israeliani e palestinesi_con Gabriele Levy

Cambiano le modalità nel corso dei decenni, ma la natura conflittuale dei rapporti tra israeliani e palestinesi rimane senza soluzione di continuità. Ci sono state occupazioni di terre, opportunismi e tradimenti, conflitti endemici e confronti drammatici dietro una solidarietà di facciata ed una aperta ostilità. La gran parte delle scelte politiche, una volta consolidato lo Stato di Israele, non hanno certo preparato ad una soluzione che non sia una tregua. Il problema essenziale è che sino a quando la realtà politica ed istituzionale palestinese non troverà una corrispondenza accettabile con quella socioeconomica difficilmente potrà sorgere un attore sufficientemente autorevole da poter sostenere uno scontro politico e geopolitico così aspro con la necessaria autonomia e una chiarezza di obbiettivi che renda possibile alla obbligata convivenza nella vita quotidiana quella politica ed istituzionale capace di dare espressione ad un popolo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vj2ywd-gabriele-levy-ci-parla-della-convivenza-difficile-tra-israeliani-e-palestin.html

INCONTRI DEL PRIMO TIPO, di Antonio de Martini

INCONTRI DEL PRIMO TIPO
Il Washington Post ha annunziato un nuovo mega contratto russo con l’Iran che minaccia di migliorare la posizione strategica iraniana e quella dei suoi alleati.
Il sistema satellitare Canopus-V dotato di una attrezzatura fotografica e di rilevamento ben più efficace e rapida dei mezzi a disposizione dell’Iran oggi.
L’imminente entrata in azione di questo strumento permetterebbe – ad esempio- all’hezbollah o agli houtis- di non essere piu colti di sorpresa e di tenere sotto controllo le basi israeliane da cui potrebbero partire azioni offensive.
La diffusione di questa notizia negli USA, nel silenzio russo e iraniano, significa che al dipartimento di stato prevale la corrente di pensiero che rifiuta l’ipotesi di fare richieste aggiuntive agli iraniani al negoziato di Vienna sul “rientro USA nell’accordo nucleare” come suggerito da alcuni falchi che sottovalutano la determinazione iraniana a non cedere e il fair play russo che continua a fornire solo mezzi difensivi.
Se la Russia rompesse il tacito accordo con Washington e fornisse il sistema antiaereo S400 a Teheran, cambierebbe significativamente la situazione strategica con Israele e nell’area.
Ecco un dossier serio – come quello cinese- sul tavolo della bilaterale russo americana di mercoledi invece che le chiacchiere sulla Crimea, l’Ucraina e i diritti umani ad uso delle folle.

Libia, la situazione attuale_di Bernard Lugan

I Governi italiani, in particolare i Governi “Giuseppi”, con il noto “Giggino” esperto in affari internazionali, hanno assecondato con la loro inettitudine questa dinamica, consentendo l’ingresso anche della Turchia nello scenario libico, non ostante le reticenze iniziali all’intervento. Porte aperte a un nuovo interlocutore, tra i tanti (troppi), in grado di giocare nell’affollato crocevia energetico del Mediterraneo e di manipolare l’attività delle gang mafiose dedite al traffico migratorio, ma senza avere le risorse politiche e finanziarie della Germania necessarie a rabbonire le inquietudini_Giuseppe Germinario

Il 29 maggio 2018, su iniziativa del presidente Macron, e nel tentativo di riparare le terribili conseguenze della guerra geopoliticamente ingiustificabile che il presidente Sarkozy ha dichiarato al Colonnello Gheddafi, si è tenuto a Parigi un vertice sulla Libia. Questa iniziativa fallì perché, partendo ancora una volta dalla realtà, questo vertice è persistito nei due principali errori del passato:

1) Le tribù, le uniche vere forze politiche del paesi, sono state escluse.
2) L’unica soluzione proposta era ancora una volta un’agenda elettorale. Come dire parole al vento in quanto nuove elezioni non regolerebbero la questione libica rispetto a quelle del 7 luglio 2012 e del 20 febbraio 2014. Semplicemente perché la soluzione sta nella ricostituzione delle alleanze tribali dislocate dalla guerra intrapresa contro il colonnello
Gheddafi e non dalle elezioni.
Da qui l’impasse politica. Nel 2016, Vladimir Putin aveva imposto un nuovo paradigma basato sul vero equilibrio di potere. Ha aperto un nuovo scenario diplomatico con, in conclusione, il viaggio del generale Haftar [1] fatto a Mosca il 27-28 novembre 2016 e in occasione del quale il presidente Putin gli ha concesso ufficialmente il sostegno russo. L’uomo con il quale la diplomazia dell’UE si era rifiutata di parlare direttamente, diventato poi dall’oggi al domani essenziale …
Tuttavia, il generale Haftar era il maestro del Cirenaica e Tobruk, l’unico porto in acque profonde tra Alessandria e Mers-el-Kebir. Aveva l’unica forza militare del paese. Stava controllando l’85% delle riserve petrolifere della Libia, il 70% del gas, 5 dei suoi 6 terminali petroliferi e 4 delle sue 5 raffinerie. Tutto il crocevia petrolifero attraverso il quale viene esportato il 60% del petrolio libico era in suo potere.
Inoltre, aveva il sostegno della confederazione tribale di Cirenaica e delle tribù di Gheddafi di Tripolitania[2].

Con il supporto russo, tre possibilità gli si offrivano:
1) Il tentativo di conquistare tutta la Libia e l’eliminazione delle molteplici milizie gangsterislamiche che affliggono il paese.
2) Un santuario della sola Cirenaica, preludio di una partizione di fatto tra Tripolitania e
Cirenaica.
3) La costituzione di un governo nazionale in cui sarebbe stato l’uomo forte.
Ha scelto la prima opzione, ma non è riuscito a prendere Tripoli avendo il “governo di unità nazionale ”(GUN) presieduto dal signor Fayez el-Sarraj, insediato dall’Occidente, ma privo di una forza militare autonoma, fatto appello alla Turchia.
Se il maresciallo Haftar non è riuscito a prendere Tripoli, nonostante i massicci aiuti ricevuti da Egitto ed Emirati Arabi Uniti, è perché non disponeva di fanteria contro le forze speciali Turche. Inoltre, le milizie di Zintan, delle quali contava il sostegno, si sono radunate a favore dei turco-tripoliti.
La Russia, che non ha mai impegnato il suo esercito al fianco del generale Haftar probabilmente per non aprire un nuovo fronte con la Turchia, ha però tracciato una linea rossa a quest’ultima santuarizzando il fronte ad ovest di Sirte.
La domanda quindi sorge semplicemente:
– Essendo la Turchia militarmente impegnata a fianco del GNA, il generale Haftar non prenderà Tripoli.
– La Russia santuarizza la Cirenaica, quindi il GNA non prevarrà a Bengasi.

Conclusione: le trattative possono quindi riprendere. Ma su basi diverse da quelle irrealistiche, perché solo elettorali, della “comunità internazionale”.
In questo modo, in un certo senso, ci muoveremmo verso un ampio federalismo. Resta da risolvere il problema della condivisione degli idrocarburi che, vista la posizione geografica dei giacimenti, consentirebbe di trovare facilmente un equilibrio territoriale.

[1] Il generale Khalifa Haftar della tribù Ferjany la cui roccaforte è la città di Sirte, luogo di nascita del colonnello Gheddafi, fu, con quest’ultimo, uno degli autori del colpo di stato militare che rovesciò re Idriss nel 1969. Se in seguito litigava con il colonnello, d’altra parte non recise mai i legami con la sua tribù; fattore che lo colloca al centro di una strategica alchimia tribale situata all’incrocio della Cirenaica e della Tripolitania.
[2] Per tutto ciò che riguarda le tribù della Libia e le loro alleanze, vedi il mio libro Storia della Libia dalle origini ai giorni nostri.

Grazie ai buoni rapporti che il colonnello Gheddafi intratteneva con il Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, erano stati presi accordi molto concreti e la Libia ne controllava le coste.
Il dramma di Lampedusa e del Mezzogiorno si spiega con il fatto che la Libia è in piena anarchia, con il paese imploso che in feudi tribali e con milizie i cui leader hanno preso il controllo del traffico della rotta trans-sahariana, compresa quella dei migranti. L’imbuto libico che è quindi il culmine delle principali rotte africane di immigrazione clandestina dall’Africa sud-sahariana, dal Corno e dalle regioni del Vicino Oriente, si è riversata nell’Italia meridionale a partire dalla guerra che ha rovesciato il colonnello Gheddafi.
Qui siamo direttamente immersi nel Camp des Saints di Jean Raspail. Questo libro profetico che risale al 1973, descrive il crollo delle società occidentali sotto lo sbarco di migliaia di immigrati clandestini arrivati ​​su navi spazzatura. Clandestino davanti al quale tutte le istituzioni crollarono a causa dell’etno-masochismo delle “élite” europee piene di sentimentalismo, sentimento che ha avuto la precedenza sulla ragione e persino sugli istinti vitali.

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IO SONO ISRAELE, a cura di Luigi Longo

IO SONO ISRAELE

a cura di Luigi Longo

 

Sul blog di Diego Siragusa (http://diegosiragusa.blogspot.com) è stato pubblicato, il 17/5/2021, uno scritto di Norman Finkelstein (storico e politologo statunitense) con il titolo Io sono Israele. Tutto mi è permesso (con traduzione di Grazia Parolari). Lo ripropongo all’attenzione, con l’aggiunta di un mio inserimento, perché è un interessante sintesi storica di Israele, anche se non condivido l’affermazione in cui si sostiene che Israele ha il potere di controllare la politica americana. No, massima chiarezza: Israele è uno strumento, così come lo è per altri versi la Turchia, delle strategie degli agenti strategici statunitensi nel Medio Oriente, per contrastare il blocco imperniato sulle potenze mondiali in ascesa (Cina e Russia) che condividono un dominio mondiale multicentrico in contrasto con quello monocentrico degli Stati Uniti.

Lo scritto di Norman Finkelstein è apparso in seguito agli scontri tra israeliani e palestinesi (rivolta arabo-palestinese con ruolo particolare di Hamas) di questi giorni conclusosi con un cessate il fuoco dopo 11 giorni di massacri da parte degli israeliani e le ipocrite dichiarazioni di Joe Biden (USA), Antonio Guterres (ONU), di Ursula vor der Leyen (UE) e di Hamas (Palestina). Una buona sintesi delle ipocrisie può essere quella del segretario di Stato statunitense Antony Blinken che si recherà in Medio Oriente nei prossimi giorni e incontrerà le sue controparti “israeliane, palestinesi e regionali” per “lavorare insieme per costruire un futuro migliore per israeliani e palestinesi” (redazione Ansa del 21 maggio 2021).

Avanzerò una breve riflessione che riguarda l’aspetto esterno alla questione israeliano-palestinese (tralasciando l’aspetto interno che ripropongo con un mio scritto del 2014), cioè il ruolo che gli israeliani e i palestinesi hanno all’interno dei due blocchi, in via di configurazione sempre più chiara in questa fase multicentrica, quello euroatlantico imperniato sugli USA e quello euroasiatico imperniato sulla non facile costruzione del coordinamento tra la Cina e la Russia (dottrina Evgenij Primakov, decenni di collaborazione, creazioni di accordi, eccetera), coordinamento che Zbigniew Brzezinski <<a suo tempo aveva fatto risuonare un campanello di allarme prevedendo la creazione o <<l’emergere di una coalizione ostile [con base in Eurasia; N.d.A.] che potrebbe potenzialmente puntare a sfidare l’egemonia americana>>. La natura puramente offensiva della strategia statunitense risulta estremamente chiara da una lettura della terminologia utilizzata da Brzezinski; egli ha definito questo potenziale blocco euroasiatico come una forma di alleanza o controalleanza antiegemonica le cui fondamenta sarebbero in una <<coalizione sino-russa-iraniana>> con i cinesi a fare da baricentro>> (Mahdi Darius Nazemroaya, La globalizzazione della NATO. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate, Arianna editrice, Bologna, 2014, pag.260).

Gli scontri israeliano-palestinesi di questi giorni sono prova e verifica di scenari di conflitti prossimi futuri nell’area del Medio Oriente, tra i due blocchi succitati, tramite le potenze regionali di Israele (coordinata dagli USA, sia direttamente sia indirettamente via NATO) e dell’Iran (supportata dalla Cina e dalla Russia).

Così leggo gli attacchi israeliani con F-35 su Gaza; a tal fine riporto quanto afferma Manlio Dinucci << Il portavoce delle Forze israeliane Zilberman, annunciando l’inizio del bombardamento di Gaza, ha specificato che «prendono parte all’operazione 80 caccia, inclusi gli avanzati F-35» (The Times of Israel, 11 maggio 2021). È ufficialmente il battesimo di fuoco del caccia di quinta generazione della statunitense Lockheed Martin, alla cui produzione partecipa anche l’Italia quale partner di secondo livello. Israele, che ha già ricevuto dagli Usa 27 F-35, ha deciso lo scorso febbraio di acquistarne non più 50 ma 75. A tal fine il governo ha decretato un ulteriore stanziamento di 9 miliardi di dollari: 7 provenienti dall’«aiuto» militare gratuito di 28 miliardi concesso dagli Usa a Israele, 2 concessi come prestito dalla Citibank statunitense. Mentre i piloti israeliani di F-35 vengono addestrati dalla U.S. Air Force in Arizona e in Israele, il Genio dello US Army costruisce in Israele speciali hangar rinforzati per gli F-35, adatti sia per la massima protezione dei caccia a terra, sia per il loro decollo rapido quando vanno all’attacco. Allo stesso tempo le industrie militari israeliane (Israel Aerospace ed Elbit Systems), in stretto coordinamento con la Lockheed Martin, potenziano il caccia, ribattezzato «Adir» (Potente): soprattutto la sua capacità di penetrare le difese nemiche e il suo raggio d’azione, che è stato quasi raddoppiato. Capacità non certo necessarie per attaccare Gaza. Perché allora vengono impiegati contro i palestinesi i più avanzati caccia di quinta generazione? Perché serve a testare gli F-35 e i piloti in un’azione bellica reale, usando le case di Gaza come bersagli del poligono di tiro. Poco importa se, nelle case-bersaglio, ci sono intere famiglie.

Gli F-35A, che si aggiungono alle centinaia di cacciabombardieri già forniti dagli Usa a Israele, sono progettati per l’attacco nucleare, in particolare con la nuova bomba B61-12 che gli Stati uniti, oltre a schierare tra poco in Italia e altri paesi europei, forniranno anche a Israele, unica potenza nucleare in Medioriente, con un arsenale stimato in 100-400 armi nucleari. Se Israele raddoppia il raggio d’azione degli F-35 e sta per ricevere dagli Usa 8 aerei cisterna Pegasus della Boeing per il rifornimento in volo degli F-35, è perché si prepara a sferrare un attacco, anche nucleare, contro l’Iran>> (Manlio Dinucci, Gli F-35 bombardano Gaza, il Manifesto, 18/5/2021).

Così leggo la pioggia di razzi (oltre mille) lanciati su Israele; per questo riporto quanto scrive Emanuele Rossi << […] Le azioni militari di questi giorni testimoniano come le forze palestinesi siano cresciute di capacità: sia tattiche che tecniche. La salva di missili che è stata sparata contro il territorio ebraico è evidente che non sia una risposta di indignazione spontanea per le violenze della polizia israeliana ad al Aqsa. C’è un coordinamento e c’è un piano di attacco. Fondamentalmente tutto si basa su quella che viene definita “saturazione”: si sparano tanti, tantissimi razzi contemporaneamente perché in quel modo lo scudo aero israeliano Iron Dome […] non riesce a compiere le intercettazioni. I bersagli diventano troppi, e questo permette di rendere più efficiente l’attacco, nonostante l’altissima efficacia dello scudo israeliano che ha intercettato circa l’80 per cento degli attacchi battezzati pericolosi dal sistema. […] “Il martire Qassem Soleimani ha inviato le armi ai mujaheddin in Palestina”, “Gloria alla Resistenza. Gloria all’Iran”: sui social network gli attivisti palestinesi sono chiari. Per il collegamento simbolico è usato Soleimani, generale dei Pasdaran che ha ideato e gestito la strategia delle milizie e che è finito sotto un Hellfire di un drone americano appena fuori all’aeroporto di Baghdad. Era il gennaio 2020, all’operazione aveva partecipato anche il Mossad, l’Iran aveva reagito all’uccisione di quell’ufficiale mitologico con un barrage di missili contro basi irachene che ospitavano soldati americani (le stesse basi che sono costantemente bersagliate con razzi Katyusha e simili sparati dalle milizie sciite irachene).

Dallo scorso anno, Hamas ha iniziato a propagandare con maggiore intensità il collegamento con l’Iran. La morte di Soleimani e il ricordo del generale sono stati il proxy narrativo usato dal gruppo; e forse l’elemento che ha spinto i Pasdaran ad aumentare il sostegno per vendicarsi contro Israele, accusato di aver condotto una serie di operazioni e di sabotaggio all’interno della Repubblica islamica. I Pasdaran hanno anche intensificato le relazioni con la Saraya al-Quds, il braccio armato della Jihad islamica, che ieri, martedì 11 maggio, ha rivendicato di aver utilizzato nel suo attacco contro Israele una raffica di missili del tipo “Badr 3”. Sono stati usati per colpire Ashkelon — sulla costa mediterranea, appena a nord della Striscia — e sono stati in grado di violare Iron Dome.

Il Badr 3 è un missile di fabbricazione iraniana che per per la prima volta è stato usato nel maggio 2019, quando il braccio militare del movimento ribelle Houthi, “Ansar Allah”, lo ha utilizzato in Yemen. Gli Houthi sono collegati militarmente ai Pasdaran, e hanno uno slogan chiaro: “morte a Israele e siano maledetti gli ebrei”. La Jihad islamica dalla Striscia di Gaza è stato il secondo gruppi armati a utilizzare questo missile.

Il Badr 3 trasporta una testata esplosiva del peso di 250 kg e ha una portata di oltre 160 km. Ha un altro importante vantaggio: non esplode quando colpisce il bersaglio, ma quando è a circa 20 metri sopra l’obiettivo e

massimalizza cosi l’effetto. Spara 1.400 schegge, il che espande la sua capacità di distruggere installazioni e case vicino al punto di esplosione in cui cade. La Saraya al-Quds lo ha modificato per trasportare una testata da 350 kg.

Un’altra analogia con la guerra in Yemen riguarda l’uso del missile anticarro di fabbricazione russa “Kornet”. Sempre la Saraya al-Quds ha rivendicato la responsabilità di un attacco contro un veicolo militare israeliano al confine di Gaza con un missile guidato, dichiarando esplicitamente di aver usato questo tipo di missile. Un ufficiale

israeliano è stato ucciso. In precedenza un altro Korner aveva colpito una jeep civile. Modalità analoghe a quelle usate dagli Houthi dello Yemen contro i mezzi blindati sauditi come dimostra un video pubblicato dalla formazione ribelle nel 2016 — gli yemeniti usano i Kornet in una versione modificata dagli iraniani che chiamano “Dehlavieh”.

Israele ieri sera ha bombardato un deposito di questo genere di missili>>. (Emanuele Rossi, Grazie all’Iran i palestinesi hanno potuto sparare mille razzi su Israele, www.formiche.net, 12/5/2021; sul funzionamento del sistema Iron Dome (cupola di ferro) si rimanda a Stefano Pioppi, Come funziona Iron Dome, il sistema che protegge Israele, www.formiche.net, 12/5/2021).

L’area del Medio Oriente è definita come una regione che abbraccia tre diversi continenti (Asia, Europa ed Africa) e ne fa necessariamente un’area di importanza strategica nel conflitto tra le potenze mondiali sia in declino (USA) sia in ascesa (Cina e Russia). E’ all’interno di questo conflitto che va letto il controllo delle risorse energetiche presenti nell’area (si pensi alla guerra economica statunitense per controllare le risorse energetiche a danno delle economie cinese, russa e iraniana; all’uso geopolitico delle risorse per ridurre le aree di influenza del blocco euroasiatico). Gli USA violano sistematicamente tutti i trattati internazionali (per esempio il TNP, Trattato di Non Proliferazione sulle armi nucleari) per riaffermare con l’arroganza e con la violenza la loro volontà storica di dominio assoluto. Non resta loro che la dialettica delle armi perché le armi della dialettica presuppongono una nuova idea di sviluppo e di società che essi non hanno perché i loro agenti strategici dominanti non fanno più sintesi nazionale e perché tutta la cosiddetta civiltà occidentale è in profonda crisi. Per tutto questo gli USA sono la potenza pericolosa per l’intero sistema mondiale.

Non ci resta che sperare nella affermazione di una lunga fase multicentrica per un equilibrio dinamico tra le potenze per il dominio del mondo con un peso specifico di quelle orientali. Ricordo che stiamo parlando di dominio che è la relazione più stupida che l’essere umano abbia realizzato nello specifico ordine simbolico maschile storicamente dato. Per capire questa semplice ma profonda verità bisogna confrontarsi e ragionare col pensiero femminile, quello in coscienza critica, per un cambiamento dei rapporti sociali cosiddetti capitalistici (delle diverse nazioni) e pensare ad un’altra società, ad altri sistemi di rapporti sociali.

 

 

 

IO SONO ISRAELE. TUTTO MI E’ PERMESSO

di Norman Finkelstein*

 

Io Sono Israele.

Sono venuto in una terra senza popolo per un popolo senza terra. Quelle persone che si trovavano qui, non avevano il diritto di starci, e la mia gente ha mostrato loro che dovevano andarsene o morire, radendo al suolo 400 villaggi palestinesi, cancellando la loro storia.

 

Io Sono Israele.

 

Alcuni dei miei hanno commesso massacri e in seguito sono diventati primi ministri per rappresentarmi. Nel 1948 Menachem Begin era a capo dell’unità che massacrò gli abitanti di Deir Yassin, tra cui 100 donne e bambini. Nel 1953 Ariel Sharon guidò il massacro degli abitanti di Qibya e nel 1982 fece in modo che i nostri alleati massacrassero circa 2.000 palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila.

 

Io Sono Israele.

 

Sono nato nel 1948 nel 78% della terra di Palestina, espropriando i suoi abitanti e sostituendoli con ebrei dall’Europa e da altre parti del mondo. Mentre i nativi le cui famiglie hanno vissuto su questa terra per migliaia di anni non sono autorizzati a tornare, gli ebrei di tutto il mondo sono i benvenuti e ottengono la cittadinanza istantanea.

 

Io Sono Israele.

 

Nel 1967 ho inghiottito le restanti terre della Palestina – Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza – e ho posto i loro abitanti sotto un dominio militare opprimente, controllando e umiliando ogni aspetto della loro vita quotidiana. Alla fine, dovrebbe essere chiaro per loro che non sono i benvenuti e che farebbero meglio ad unirsi ai milioni di profughi palestinesi nelle baraccopoli del Libano e della Giordania.

 

Io Sono Israele.

 

Ho il potere di controllare la politica americana. La mia Commissione per gli Affari Pubblici Israeliani americana può creare o distruggere qualsiasi politico di sua scelta e, come vedete, fanno tutti a gara per accontentarmi. Tutte le forze del mondo sono impotenti contro di me, comprese le Nazioni Unite, poiché ho il veto americano per bloccare qualsiasi condanna dei miei crimini di guerra. Come Sharon ha detto in modo eloquente, “Controlliamo l’America”.

 

Io Sono Israele.

 

Influenzo anche i media mainstream americani e troverai sempre le notizie su misura per me. Ho investito milioni di dollari nelle pubbliche relazioni e la CNN, il New York Times e altri hanno svolto un ottimo lavoro nel promuovere la mia propaganda. Guarda altre fonti di notizie internazionali e vedrai la differenza.

 

Io Sono Israele.

 

Vuoi negoziare la “pace !?” Ma non sei intelligente come me; negozierò, ti permetterò di avere i vostri comuni, ma io controllerò i vostri confini, la vostra acqua, il vostro spazio aereo e qualsiasi altra cosa importante. Mentre “negoziamo”, ingoierò le vostre colline e le riempirò di insediamenti, popolati dai più estremisti dei miei estremisti, armati fino ai denti. Questi insediamenti saranno collegati a strade che non potrete usare e sarete imprigionati nei vostri piccoli Bantustan, circondati da posti di blocco in ogni direzione.

 

Io Sono Israele.

 

Ho il quarto esercito più forte del mondo, in possesso di armi nucleari. Come osano i tuoi figli affrontare la mia oppressione con le pietre, non sai che i miei soldati non esiteranno a sparargli in testa? In 17 mesi, ho ucciso 900 di voi e ne ho feriti 17.000, per lo più civili, e ho il mandato di continuare, poiché la comunità internazionale rimane in silenzio. Ignora, come me, le centinaia di ufficiali di riserva israeliani che ora si rifiutano di esercitare il mio controllo sulle tue terre e sul tuo popolo; le voci della loro coscienza non ti proteggeranno.

 

Io Sono Israele.

 

Vuoi la libertà? Ho proiettili, carri armati, missili, Apache e F-16 per annientarti. Ho messo sotto assedio le vostre città, confiscato le vostre terre, sradicato i vostri alberi, demolito le vostre case e ancora chiedete libertà? Non hai ricevuto il messaggio?

 

Non avrai mai pace, o libertà, perché IO SONO ISRAELE

 

*Norman Gary Finkelstein (New York, 8 dicembre 1953) è uno storico statunitense.

Storico e politologo statunitense, Norman Gary Finkelstein ha compiuto i suoi studi nella Binghamton University di New York, poi nell’École pratique des hautes études di Parigi, conseguendo infine un dottorato in Scienze Politiche all’Università di Princeton. Ha insegnato nel Brooklyn College, nell’Hunter College, nella New York University e infine nella DePaul University a Chicago (fino al settembre del 2007).

Figlio di sopravvissuti ebrei del ghetto di Varsavia e poi del campo di concentramento di Auschwitz, Finkelstein si mise in luce con i suoi scritti relativi al conflitto arabo-israeliano e grazie alle polemiche suscitate dalla sua critica per ciò che egli chiama «L’industria dell’Olocausto»: termine col quale indica le organizzazioni e le personalità ebraiche (in particolare il Congresso ebraico mondiale o Elie Wiesel) che, a suo parere, hanno strumentalizzato la Shoah a fini politici (per sostenere la politica israeliana) o mercantili (ottenere indennizzi finanziari da parte della Germania e della Svizzera.

 

 

 

Il mio inserimento

 

Dalla introduzione del libro di Norman G. Finkelstein, L’industria dell’olocausto. Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei, BUR, Milano, 2004, pp.9-10 e 15-16.

 

Questo libro si propone di essere un’anatomia dell’industria dell’Olocausto e un atto di accusa nei suoi confronti. Nelle pagine che seguono, dimostrerò che <<l’Olocausto>> è una rappresentazione ideologica dell’Olocausto nazista*. Come la maggior parte delle ideologie, mantiene un legame, per quanto labile, con la realtà. L’Olocausto non è un concetto arbitrario, si tratta piuttosto di una costruzione intrinsecamente coerente, i cui dogmi-cardine sono alla base di rilevanti interessi politici e di classe. Per meglio dire, l’Olocausto ha dimostrato di essere un’arma ideologica indispensabile grazie alla quale una delle più formidabili potenze militari del mondo, con una fedina terrificante quanto a rispetto dei diritti umani, ha acquisito lo status di <<vittima>>, e lo stesso ha fatto il gruppo etnico di maggior successo negli Stati Uniti. Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l’immunità alle critiche, per quanto fondate esse siano. Aggiungerei che coloro che godono di questa immunità non sono sfuggiti alla corruttela morale che di norma accompagna. Da questo punto di vista, il ruolo di Elie Wiesel come interprete ufficiale dell’Olocausto non è un caso. Per dirla francamente, non è arrivato alla posizione che occupa grazie al suo impegno civile o al suo talento letterario: Wiesel ha questo ruolo di punta perché si limita a ripetere instancabilmente i dogmi dell’Olocausto, difendendo di conseguenza gli interessi che lo sostengono.

[…] Mio padre e mia madre si chiesero spesso perché m’indignassi di fronte alla falsificazione e allo sfruttamento del genocidio perpetrato dai nazisti. La risposta più ovvia è che è stato usato per giustificare la politica criminale dello Stato d’Israele e il sostegno americano a tale politica. Ma c’è anche un motivo personale. Ho infatti a cuore che si conservi la memoria della persecuzione della mia famiglia. L’attuale campagna dell’industria dell’Olocausto per estorcere denaro all’Europa in nome delle <<vittime bisognose dell’Olocausto>> ha ridotto la statura del loro martirio a quella di un casinò di Montecarlo. Ma anche tralasciando queste preoccupazioni, resto convinto che sia importate preservare l’integrità della ricostruzione storica e lottare per difenderla. Alla fine di questo libro sostengo che nello studio dell’Olocausto nazista possiamo imparare molto non solamente riguardo ai <<tedeschi>> o ai <<gentili>>, ma a noi tutti. Eppure penso che per fare questo, cioè per imparare sinceramente dall’Olocausto nazista, occorre ridurre la sua dimensione fisica ed enfatizzarne quella morale. Troppe risorse pubbliche e private sono state investite nella commemorazione del genocidio e gran parte di questa produzione è indegna, un tributo non alla sofferenza degli ebrei, ma all’accrescimento del loro prestigio. E’ da tempo che dobbiamo aprire il nostro cuore alle altre sofferenze dell’umanità: questa è la lezione più importante impartitami da mia madre. Non l’ho mai sentita dire: <<Non fare paragoni>>. Lei li fece sempre. Certo si devono fare distinzioni storiche, ma porre distinzioni morali tra la <<nostra>> sofferenza e la <<loro>> è a sua volta un travisamento morale. <<Non potete mettere a confronto due sventurati>> osservò Platone << e dire quale dei due sia più felice.>> Di fronte alle sofferenze degli afroamericani, dei vietnamiti e dei palestinesi, il credo di mia madre fu sempre: siamo tutti vittime dell’Olocausto.

 

* Nel testo, con l’espressione <<Olocausto nazista>> si fa riferimento all’evento storico, con il termine <<Olocausto>> alla sua rappresentazione ideologica.

 

 

 

UNA RIFLESSIONE E UNA DOMANDA A PROPOSITO DI << DUE POPOLI DUE STATI>>.

di Luigi Longo

La riflessione che pongo necessiterebbe di un lungo racconto sull’uso del territorio (meglio sarebbe spazio) nel conflitto tra Israele e la Palestina, a partire dal 1948 anno di proclamazione formale dello stato di Israele. Mi limito qui a constatare che si tratta di un conflitto tra un aggressore, Israele, che sta malvagiamente ridimensionando un popolo palestinese che cerca di resistere e di difendere legittimamente i residui territori a propria disposizione che non possono più formare una nazione.

La questione avanti posta va vista nei giochi strategici che le potenze mondiali (soprattutto gli USA) hanno fatto, fanno e continueranno a fare per ottenere l’egemonia dell’area mediorientale, tutto storicamente dato.

La riflessione è: non ci sono più le condizioni territoriali per la creazione di due popoli e due stati. La politica territoriale di Israele, con lo strumento delle colonie e con tutta la sua strumentazione scientifica e tecnica (che non è mai neutrale, è bene ricordarlo), di fatto non permette più di parlare di due stati e di due popoli, ma bensì di uno stato per gli israeliani e di enclave per i palestinesi. Usando un linguaggio lagrassiano direi che storicamente gli agenti sub-dominanti della sfera politica, della sfera religiosa, della sfera militare e della sfera istituzionale-territoriale hanno avuto un ruolo fondamentale nel concentrare il popolo palestinese in enclave e distruggere l’idea stessa di una loro nazione con un territorio, una istituzione, delle risorse, una storia e una cultura propri.

Esiste un popolo israeliano con uno stato, gestito da agenti strategici sub dominanti spietati e insaziabili di potere e di egemonia, che è una pedina fondamentale (fino a poco tempo fa) degli USA e delle loro strategie mediorientali nella scacchiera del conflitto per l’egemonia mondiale.

Esiste un popolo palestinese rinchiuso in enclave le cui condizioni di vita sono sempre più difficili e al limite della sopravvivenza (almeno per la maggioranza della popolazione).

Una domanda ora sorge spontanea: perché si continua a lanciare missili innocui su Israele sapendo delle conseguenze inenarrabili sulla popolazione palestinese (donne, bambini e anziani, i numeri dei morti della guerra in atto lo stanno a dimostrare)?

Avanzo un dubbio: siamo sicuri che i gruppi dominanti del popolo palestinese (con le loro articolazioni in forze politiche: OLP, Hamas, eccetera) non utilizzano ideologicamente l’obiettivo dei <<due popoli due stati>> per le loro strategie di potere e di egemonia per meglio posizionarsi, sia negli accordi di pace sia nelle strategie complessive delle potenze mondiali, con i gruppi strategici egemonici sub dominanti (israeliani e non solo) e dominanti ( USA e non solo) in questa crisi d’epoca di chiaro avvio della fase multipolare?

Se rimaniamo nella dialettica << due popoli due stati >> non riusciamo a capire i rapporti sociali e le trasformazioni sociali che avvengono in quell’area nevralgica del medioriente. E non riusciremo mai a capire perchè si lanciano missili innocui su Israele, ritorsivi e autodistruttivi per la maggioranza dei palestinesi.

 

Gaza-Israele, le parti in commedia_con Antonio de Martini

Dopo mesi di tensione accumulata per i tanti problemi e contenziosi irrisolti si è riacceso lo scontro aperto tra componenti della comunità israeliana e di quella palestinese. E’ stato sufficiente per riaprire il gioco delle parti nel quale tutti gli attori politici hanno trovato convenienza ad attizzare il fuoco. Ma il gioco da quelle parti è particolarmente pieno di imprevisti e può sfuggire facilmente di mano_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vh325z-gaza-israele-le-parti-in-commedia.-ne-parliamo-con-antonio-de-martini.html

 

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