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C’è stata una certa controversia sull’opportunità che l’amministrazione Trump si unisca alla campagna di bombardamenti di Israele per terminare i siti nucleari iraniani, controversia e persino isteria, mentre i neoconservatori tornano dal deserto metaforico e gli America Firs lamentano la prospettiva che il loro Paese torni a quello letterale;
Quali sono dunque le preoccupazioni reali? Nessuna persona seria desidera vedere un Iran dotato di armi nucleari; la questione è se sia meglio impedirlo con la diplomazia o con un intervento militare. Naturalmente il timore principale è che gli Stati Uniti vengano coinvolti in un’altra guerra di terra in Medio Oriente. Sembra improbabile che ciò rientri nel menu della politica a breve termine. Questo, almeno, è un fatto molto positivo. La preoccupazione è che l’apparente percorso attuale – unirsi direttamente alle operazioni israeliane per distruggere gli impianti nucleari iraniani – porti a una situazione che attiri gli Stati Uniti in un coinvolgimento continuo e più profondo;
Se gli attacchi non dovessero rovesciare il regime iraniano (una possibilità avanzata da alcuni falchi ottimisti), sembra plausibile che Teheran persegua l’arma nucleare indipendentemente dall’opposizione straniera, dato che tutti gli altri deterrenti hanno fallito; mentre l’infrastruttura nucleare iraniana potrebbe essere completamente distrutta, la saggezza convenzionale è che avrà ancora la base di conoscenze per ricostruirla. Ciò impegnerebbe gli antagonisti dell’Iran a una politica di “falciatura dell’erba”. Sebbene questa sembri una semplice e dura concessione alla realtà, presenta serie difficoltà logistiche e politiche: Il costo delle campagne di bombardamento periodiche, la loro tendenza a promuovere risposte asimmetriche da parte di un regime iraniano in difficoltà (compreso, forse, il terrorismo sul suolo americano) e gli effetti destabilizzanti intrinseci sul regime stesso inviteranno sempre i politici a proporre una soluzione “permanente” attraverso il cambio di regime. (Dopo il coinvolgimento americano in attacchi diretti a sostegno di una campagna iniziata nel bel mezzo dei negoziati tra Stati Uniti e Iran, sembra improbabile che gli iraniani facciano salti di gioia alla prospettiva di una maggiore diplomazia americana).
Il paragone tra gli attacchi proposti e l’attacco di Israele a Osirak in Iraq nel 1981 è, a mio avviso, meno promettente di quanto sembri in superficie; l’attacco di Osirak incoraggiò Saddam Hussein ad accelerare e rafforzare il suo programma nucleare. Questo è stato smantellato solo dopo che la Guerra del Golfo ha portato una presenza diplomatica internazionale, che ha potuto effettivamente valutare i risultati ottenuti dal Macellaio di Baghdad e monitorare ciò che stava facendo. Non proprio incoraggiante se l’obiettivo è evitare una guerra di terra. Il paragone con l’assassinio di Qasem Soleimani, che non ha prodotto il significativo contraccolpo che molti (compreso chi scrive) si aspettavano, è più incoraggiante, ma non è chiaro se ciò che è stato vero per un singolo assassinio mirato sarà vero per una campagna di bombardamenti strategici;
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Vale la pena di ripetere in modo dettagliato che il cambio di regime, sia esso spontaneo o dovuto a un intervento in un futuro prossimo o medio, non è una prospettiva allettante. Se da un lato gli ayatollah non sono popolari – la bassa affluenza alle urne nelle elezioni iraniane non è indice di un sostegno entusiastico al sistema – dall’altro non è chiaro se ci sia un’alternativa auspicabile in attesa. Reza Pahlavi, il figlio maggiore dell’ultimo shah iraniano, non sembra un uomo serio e il fatto che le sue stesse pubbliche relazioni lo stiano proiettando nel ruolo di cliente israeliano non sembra renderlo popolare tra i suoi connazionali che sono appena stati bombardati dagli israeliani. Il MEK è, per il pubblico profano, il Baathismo senza il fascino o la raffinatezza, con un po’ di leggero cultismo mescolato per mantenere le cose divertenti. Se l’esercito prendesse il potere, scommetterebbe contro il revanscismo dopo un’umiliazione nazionale come questa? E, allo stesso tempo, vi sentite sicuri che non emergerà un equivalente dell’ISIS sciita? Il caos in Iran, specialmente un Iran con la base tecnica di uno Stato con soglia nucleare, non è positivo per un’America che sta cercando disperatamente di prestare meno attenzione alla regione in modo da poter giocare a rimpiattino in teatri più importanti. (Le conseguenze indesiderate si verificano anche per gli agonisti più vicini all’azione: L’invasione americana dell’Iraq, sostenuta vigorosamente da Israele, è in parte ciò che ha portato a un periodo di ascesa iraniana);
Come ama citare il nostro Sumantra Maitra, nelle relazioni internazionali il potere chiede di essere bilanciato. La dottrina Begin e i suoi corollari creano uno squilibrio permanente che richiede l’applicazione frequente e indefinita della forza per essere mantenuto. Il modo più efficace per Israele di realizzare questa dottrina è incoraggiare il coinvolgimento americano, con le buone o con le cattive; ogni piccola e media potenza preferirebbe che la superpotenza mondiale desse una mano nei suoi conflitti. Ciò non significa che sia nell’interesse nazionale americano. È facile capire come gli Stati Uniti possano iniziare con i bombardamenti e finire in lacrime.
Potrei sbagliarmi, la mia analisi potrebbe essere sbagliata. Oppure potrebbe intervenire il caso, come a volte accade nei grandi affari della storia: a volte si riesce a farla franca con qualcosa di stupido. Ma la partecipazione alla campagna di bombardamenti di Israele non sembra certa di portare a una fine sicura del programma nucleare iraniano e sembra precludere l’uso di altri strumenti nel kit degli affari esteri. E non sembra certo che una cosa tira l’altra, e che gli americani torneranno inesorabilmente nella sandbox.
L’autore
Jude Russo
Jude Russo è redattore capo di The American Conservative e collaboratore del The New York Sun. È un James Madison Fellow per il 2024-25 presso l’Hillsdale College ed è stato nominato uno dei Top 20 Under 30 dell’ISI per il 2024.
I neoconservatori stanno lavorando duramente per cooptare il MAGA
I falchi della guerra perpetua stanno cercando di ingannare i conservatori facendo credere che “America First” significhi davvero “America last”.
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Mentre lunedì infuriava il conflitto militare tra Israele e Iran, il senatore repubblicano Tom Cotton (Ark.) ha scritto su X che “il presidente Trump ha creato e plasmato il movimento Make America Great Again e ha definito la politica estera America First”.
“Ha assolutamente ragione sul fatto che non ci si può fidare del regime terroristico iraniano con un’arma nucleare”, ha aggiunto Cotton. Cotton ha voluto far sapere che la vera definizione di “America First” è che gli Stati Uniti partecipano all’ennesima guerra di cambio di regime.
Ha perfettamente senso, no? Non per chi ha prestato attenzione.
Kelley Vlahos, direttore editoriale di Responsible Statecraft, ha risposto a Cotton: “QUESTO NON È AMERICA FIRST”. Cotton ha cooptato questo linguaggio quando si è bagnato il dito e lo ha messo al vento e ha capito che la base MAGA aveva chiuso con i neocon. È un falso”.
Vlahos ha ragione. Solo un mese fa il presidente Donald Trump ha seppellito i neoconservatori durante il suo discorso in Arabia Saudita: “I cosiddetti costruttori di nazioni hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite, e gli interventisti intervenivano in società complesse che non comprendevano nemmeno loro stessi”. (Nessuna presidenza moderna è stata più associata al “nation-building” di quella di George W. Bush, un’eredità che Trump ha rifiutato con forza all’inizio dei dibattiti presidenziali del GOP del 2016).
Il presidente ha poi affermato: “Le scintillanti meraviglie di Riyadh e Abu Dhabi non sono state create dai cosiddetti ‘costruttori di nazioni’, dai neocon o da organizzazioni non profit liberali come quelle che hanno speso trilioni e trilioni di dollari per non sviluppare Baghdad e tante altre città”.
Nonostante ciò che sta accadendo in questo momento tra Israele, Iran e Stati Uniti, è stato il discorso saudita di Trump a delineare più chiaramente per un pubblico globale come dovrebbe essere il MAGA sulla scena mondiale. In politica estera, questa visione è ciò per cui 77 milioni di americani hanno votato a novembre e ciò che i sondaggi mostrano la maggioranza dei repubblicani vuole.
Anche se questo non è ciò che Trump sembra fare in questo momento. Una cosa è che i realisti e i non interventisti si chiedano se Trump si stia rimangiando la parola data. Un’altra cosa è fingere che questo presidente non abbia mai pronunciato quelle parole.
Ma da una prospettiva neoconservatrice, perché Cotton e i suoi amici non dovrebbero cercare di sfruttare l’attuale Zeitgeist per riorientare i repubblicani verso la religione di un tempo del GOP di Bush-Cheney?
Di certo si stanno impegnando a fondo per farlo.
Il fanatico neocon Mark Levin lunedì ha fatto una lunga tirata su cosa sia “Real MAGA e Fake MAGA”. Ai suoi occhi, “Real MAGA” significa chiunque sia a favore della guerra per Israele. “Fake MAGA” per lui significa conservatori che potrebbero osare mettere il proprio Paese al primo posto.
Levin attacca costantemente Tucker Carlson, la cui voce, pubblico e influenza conservatrice ha probabilmente eclissato quella di Levin, proprio perché Carlson esorta Trump a non ripetere l’errore di politica estera dell’Iraq in Iran. Levin ha anche bassato un’altra voce affidabile contro la guerra, la deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene (Ga.), definendola “non MAGA”.
Non sorprende che anche l’82enne ex speaker repubblicano della Camera Newt Gingrich si sia detto tutto d’un pezzo su una guerra degli Stati Uniti con l’Iran.
Brandon Buck del Cato Institute ha condiviso il post di Gingrich, chiedendo: “Vi sentite mai come se foste l’unica persona che non è stata in coma per 25 anni?”. , Curt Mills, ha condiviso le ottuse osservazioni di Gingrich, aggiungendo: “La vecchia guardia, i conservatori del Baby Boomer = la più grande minaccia al successo del progetto politico di Trump”.
“Nemmeno lontanamente”, ha aggiunto.
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Attraverso un sostegno continuo e ininterrotto, gli Stati Uniti e l’amministrazione Trump stanno già aiutando e favorendo le azioni di Israele contro l’Iran. Se questo presidente riuscirà a inciampare in una guerra totale degli Stati Uniti contro l’Iran per conto di Israele, tutto ciò che ha detto sempre sulla fine delle “guerre infinite” sarà stato inutile. Così come l’Iraq sarà per sempre l’eredità principale di Dubya, è probabile che la guerra in Iran di Trump diventerà la sua.
Questo è esattamente ciò che i neoconservatori desiderano di più da questa amministrazione repubblicana: ideologi ignari che non vedono ancora alcuna colpa in ciò che George W. Bush e Dick Cheney hanno fatto. Vorrebbero tanto che si ripetesse quanto fatto da Bush-Cheney e non vedono l’ora che Donald Trump glielo conceda.
Potrebbe. Se così fosse, non sarebbe la realizzazione del MAGA – come i neoconservatori cercano disperatamente di far credere – ma un completo ripudio di ciò che Donald Trump ha promesso che sarebbe stato.
L’autore
Jack Hunter
Jack Hunter è l’ex redattore politico di Rare.us. Jack ha scritto regolarmente per il Washington Examiner, The Daily Caller, Spectator USA, Responsible Statecraft ed è apparso su Politico Magazine e The Daily Beast. Hunter è coautore del libro The Tea Party Goes to Washington del senatore Rand Paul.
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Oggi si è concluso a Ginevra un ciclo di colloqui urgenti tra i rappresentanti europeo-americani e il ministro degli Esteri iraniano Araghchi. Secondo quanto riferito, i colloqui non sono andati a buon fine perché l’Iran ha respinto le richieste di porre fine a tutti gli arricchimenti e ha invece ribattuto che non negozierà con nessuno finché non cesseranno tutti gli attacchi da parte di Israele.
Ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araqchi: Ho detto agli europei che l’Iran non negozierà mai sul suo programma missilistico e che l’arricchimento dell’uranio è una linea rossa. L’Iran NON negozierà con nessuna parte finché gli attacchi israeliani continueranno. Continueremo ad esercitare il nostro legittimo diritto all’autodifesa contro Israele.
Araghchi si recherà poi a Mosca, dove si recherà lunedì.
Ma questo sviluppo è notevole per una serie di ragioni:
In primo luogo, la palese ipocrisia dimostrata dalla posizione del blocco occidentale secondo cui l’Iran deve prima negoziare e solo poi porre fine alle ostilità. Aspettate un attimo, non è che in Ucraina la sequenza “appropriata” degli eventi, secondo questo “odore di regole”, è che prima devono cessare immediatamente le ostilità, e solo poi devono iniziare i negoziati?
Come si può vedere, l’Occidente distorce la catena della logica in qualsiasi modo serva ai suoi interessi in quel particolare momento. Nel caso dell’Ucraina, l’Ucraina sta perdendo malamente e quindi l’Occidente cerca di salvare immediatamente il suo reparto sermoneggiando la Russia su come sia “giusto” che le ostilità finiscano prima. Nel caso dell’Iran, è l’opposto: l’Occidente è ben disposto a consentire a Israele la sua campagna di violenza illegale e immotivata contro l’Iran.
Nessuna coerenza, nessun principio, come sempre.
Ma l’altra cosa notevole è che l’audace rifiuto di Araghchi sembra implicare che l’Iran non è particolarmente disperato per la fine delle ostilità, il che può solo indicare che la sua leadership vede positivamente le proprie possibilità nell’escalation di una guerra di resistenza, contrariamente alla propaganda occidentale che dice che l’Iran è “alle corde”. Naturalmente, non possiamo lasciare che questo guidi la nostra analisi completamente – ogni Paese utilizza il proprio sapore di bluff e depistaggio come meccanismo di difesa.
Dobbiamo ammettere che Israele ha iniziato ad accumulare danni seri contro l’Iran dall’ultimo rapporto. L’ultima compilazione rilasciata dall’IDF mostra un bel po’ di nuovi siti radar iraniani colpiti da quelli che probabilmente sono missili Delilah:
La distruzione di varie stazioni radar iraniane, tra cui una copia locale di Kasta e Mersad, e del sistema missilistico di difesa aerea Tor-M1, da parte dei missili da crociera Delilhah e dell’hangar/magazzino.
Inoltre, il team di Oryx si è apparentemente impegnato in questo conflitto e sostiene che finora ci sono stati circa 80 colpi verificati sui lanciatori di missili balistici iraniani.
Questo ci porta alla breve discussione sui numeri. Le fonti sostengono che l’Iran disponga di un numero di missili balistici compreso tra 3.000 e 28.000, e che ne produca circa 300 nuovi al mese, un numero relativamente realistico se si considerano i dati di produzione della Russia. Ad essere onesti, 28.000 è probabilmente esagerato, e l’estremità inferiore della scala è una scommessa più realistica; nessun Paese ha davvero scorte così grandi.
Diciamo che, per amor di discussione, l’Iran ne aveva più o meno 3.000, anche se potrebbero essere un po’ di più. Alcune fonti sostengono che l’Iran ne abbia già lanciati 1.500, e quindi potrebbe aver esaurito una parte significativa delle sue scorte. Tuttavia, grafici più precisi come il seguente sembrano indicare che finora ne sono stati lanciati solo circa 500 in totale:
Ricordiamo che secondo le informazioni occidentali l’Iran ne produce circa 300 al mese. Questo potrebbe anche spiegare perché l’Iran ha ridotto il lancio a una decina di missili al giorno, dato che 10 al giorno moltiplicati per 30 giorni fanno appunto 300: ciò consentirebbe all’Iran di andare sostanzialmente in pareggio e di lanciare quanto basta per continuare il ritmo all’infinito senza esaurire ulteriormente le scorte.
Ma oltre a questo, anche la capacità di Israele di respingere gli attacchi è stata degradata, secondo le loro stesse fonti:
Ciò significa che l’Iran deve sparare quasi la metà per ottenere lo stesso effetto. Questo è dimostrato dal grafico qui sopra, dove si può vedere che gli “impatti” dichiarati sono simili nonostante il numero di missili lanciati sia molto inferiore a quello iniziale.
Nonostante la riduzione del numero di missili in una salva alla fine della prima settimana di bombardamenti, il numero di colpi registrati rimane spesso approssimativamente lo stesso – al livello di 4-5 colpi. Questo numero è stato osservato sia con 50 missili lanciati, sia con 20.
Un paio di video affascinanti.
Innanzitutto, l’IRGC ha rilasciato un video del lancio di una delle ultime ondate di missili balistici:
L’IRGC mostra il filmato della 14esima ondata di missili lanciati contro il quartier generale dell’IDF.
Il Dipartimento per le Relazioni Pubbliche del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) ha pubblicato nuovi video di lanci di missili nell’ambito dell’operazione in corso contro Israele.
L’obiettivo della 14esima ondata di attacchi è stato un grande quartier generale di comando e intelligence delle Forze di Difesa israeliane.
RVvoenkor
Poi, la selvaggia scena successiva nei cieli sopra Tel Aviv. Si sostiene che due missili israeliani Iron Dome abbiano in qualche modo abbattuto miracolosamente uno dei missili iraniani, ma anche in questo caso, guardate quante salve Israele è costretto a sprecare per un singolo proiettile iraniano:
Qui l’alto ufficiale dell’IRGC Mohsen Rezaee commenta l’argomento di cui sopra. Spiega che sia Israele che l’Iran hanno già valutato le reciproche capacità – la correlazione delle forze – di sostenere un conflitto di questo tipo, nonché i rispettivi punti di forza e di debolezza:
A proposito, i suoi numeri sembrano concordare con il grafico precedente: ammette che l’Iran ha sparato più di 400 missili e che sono state registrate “decine” di impatti riusciti. Questo sembrerebbe un’ammissione da parte sua che i missili iraniani finora hanno prodotto al massimo un tasso di successo del 20-25%. Tuttavia, ricordiamo che molti dei proiettili lanciati erano esche intenzionali o vecchi missili spazzatura che fungevano essenzialmente da esche e che non erano mai stati concepiti per colpire qualcosa. Di conseguenza, la percentuale di colpi provenienti dai veri sistemi di punta è probabilmente molto più alta e può solo aumentare con l’ulteriore diminuzione delle scorte di AD di Israele.
Rezaee ha anche affermato che a marzo di quest’anno l’Iran sapeva che una guerra con Israele era inevitabile, e come tale ha preso tutte le precauzioni necessarie:
Afferma che le “capacità missilistiche” dell’Iran sono state successivamente incrementate “cinque o sei volte”. Se con questo intende la produzione di missili, allora possiamo supporre che i dati di produzione precedenti siano obsoleti e che l’Iran abbia seguito la strada russa di aumentare enormemente la propria base militare-industriale in tempo di guerra.
Ancora più interessante, spiega che per precauzione l’Iran ha già rimosso tutti i materiali più importanti del suo programma nucleare in luoghi sicuri, il che implica che qualsiasi cosa Israele stia spendendo risorse per colpire ora è un completo spreco:
Se dobbiamo credergli, ciò significa che Israele non sta danneggiando in modo significativo l’Iran nonostante i vari video appariscenti di colpi precisi su siti sensibili iraniani.
Gli esperti dicono a Bloomberg: Fino ad ora, gli attacchi di Israele agli impianti nucleari iraniani hanno causato solo danni limitati.All’impianto nucleare di Natanz, ad esempio, sono stati danneggiati solo componenti elettrici, che sono importanti ma possono essere sostituiti nel giro di pochi mesi.
L’ex primo ministro israeliano Ehud Barak sembra d’accordo sul fatto che non sia possibile eliminare il programma nucleare iraniano con la forza:
È impossibile smantellare un programma nucleare”, avverte l’ex premier israeliano Ehud Barak.
Gli Stati Uniti non hanno mai vinto una guerra”, citando Corea, Vietnam, Iraq e Afghanistan.
Barak esorta Washington a negoziare e a riconciliarsi con Teheran
Sembra essere d’accordo con la mia analisi dell’ultimo articolo di Premium. Trump, allo stesso modo, sta seguendo la nostra previsione di de-escalation, almeno per ora. Sembra che abbia avuto dei grossi ripensamenti dopo essersi reso conto che eliminare “Fordow” potrebbe non essere così semplice come vorrebbe, o non dare risultati pratici:
Trump è cauto sull’idea di colpire l’Iran, poiché teme che la situazione possa ripetere lo scenario della Libia, scrive il New York Post. Secondo la pubblicazione, starebbe valutando l’opzione di attacchi limitati – solo agli impianti nucleari iraniani, in particolare a Natanz e Fordow. Non si tratta di una guerra su larga scala, ma piuttosto di azioni mirate per contenere le ambizioni nucleari dell’Iran senza farsi trascinare in un conflitto prolungato. – AN
Si dichiara favorevole a concedere all’Iran altre due settimane:
Ma naturalmente, ricordiamo che ha già usato lo stratagemma dei negoziati per permettere a Israele di attaccare di nascosto l’Iran, quindi questa potrebbe essere un’altra di una lunga serie di bugie.
Ha anche inavvertitamente confermato che il problema non è che l’Iran stia costruendo una bomba, ma piuttosto che stia “avidamente” accumulando più uranio civile di quanto “sia necessario”. Trump ha la presunzione di imporre alle nazioni sovrane su quali fonti energetiche possono o non possono fare affidamento per il loro fabbisogno, in questo caso scandalosamente affermando che l’Iran ha petrolio in abbondanza e non dovrebbe usare tanto uranio civile per scopi energetici:
Chi è Trump per imporre alle nazioni del mondo quali tipi di energia possono o non possono utilizzare?
Ma la cosa più grave è stata l’ignobile gettata da Trump sotto l’autobus di Tulsi Gabbard perché “fuori tema” con una cricca sempre più ristretta di agenti Svengali che burattinano la cerchia ristretta di Trump:
Il presidente degli Stati Uniti Trump si affida sempre più a un piccolo gruppo di consiglieri per avere un input critico mentre valuta se ordinare attacchi militari statunitensi contro strutture nucleari in Iran, secondo due funzionari della difesa e un alto funzionario dell’amministrazione che hanno parlato con NBC News.
Inoltre, secondo un altro alto funzionario dell’amministrazione, Trump ha consultato una serie di alleati al di fuori della Casa Bianca e della sua amministrazione per sapere se ritengono che debba “dare il via libera” agli attacchi contro l’Iran. Tuttavia, nonostante abbia parlato con diversi esterni, il Presidente Trump continua a prendere decisioni solo con una piccola manciata di funzionari all’interno della Casa Bianca, tra cui il Vicepresidente JD Vance, il Capo dello staff della Casa Bianca Susie Wiles, il Vice Capo dello staff Stephen Miller e il Segretario di Stato, nonché Consigliere per la sicurezza nazionale ad interim, Marco Rubio, il tutto mettendo da parte diversi altri funzionari e consiglieri di alto livello, come il Direttore dell’Intelligence nazionale Tulsi Gabbard, che si oppone agli attacchi statunitensi contro l’Iran, e il suo Segretario alla Difesa, Pete Hegseth.
Ascoltate attentamente come Trump insinua in modo scioccante che Gabbard non abbia la minima idea di cosa stia parlando, nonostante in precedenza l’abbia nominata proprio come direttore della National Intelligence, il suo principale informatore:
È chiaro che la politica estera di Trump è stata dirottata dal Mossad e che ora sta pericolosamente mettendo da parte le uniche persone in grado di fornirgli la verità vera e non adulterata sulla situazione in corso.
Una cosa che nessuno ha menzionato è come Trump continui a difendersi con l’affermazione che “è sempre stato coerente” sulla questione dell’Iran – che l’Iran non può avere una bomba atomica – e come tale, il suo attuale comportamento non è un’improvvisa svolta neocon.
Ma questo è subdolamente fuorviante: se Trump può essere sempre stato un sostenitore di un Iran disarmato, resta il fatto che l’attuale “punto di infiammabilità” nucleare iraniano non era nemmeno un problema fino a quando Israele ha iniziato a perdere la guerra di Gaza. Ricordiamo che Netanyahu ha lanciato i “Carri di Gedeone” a maggio, che non hanno prodotto alcun risultato, e si è di nuovo apparentemente impantanato in un’interminabile guerra intestina contro Hamas. Di fronte al crollo del suo regime, Netanyahu ha improvvisamente e opportunamente aumentato la retorica contro l’Iran.
Quindi, anche se è “tecnicamente” vero che Trump “è coerente”, si tratta di una sorta di menzogna per omissione, dato che le improvvise accuse “gonfiate” contro il programma nucleare iraniano sono chiaramente fraudolente e artificiose. Il fatto è che Israele è impegnato in una serie infinita di escalation, una sorta di schema Ponzi del genocidio, in cui un nuovo conflitto è costantemente necessario per lavare via la macchia del precedente. Per questo motivo, le figure e i media israeliani stanno già pregustando la prospettiva di ciò che sarà il prossimo dopo l’Iran, con vari post sul Qatar, la Turchia e il Pakistan, tutti “prossimi” al disarmo e allo smantellamento:
Israele continua a implorare Trump di “finire il lavoro”, come se il piano fosse sempre stato quello di “aprire” i cancelli alla potenza di fuoco statunitense:
E naturalmente, questo è il caso – Israele non ha mai avuto la resistenza per fare dodici round completi con l’Iran, e la speranza è sempre stata che gli Stati Uniti intervenissero, ed è per questo che tutto ora dipende da Trump e dalla sua piccola coorte di tiratori di corde.
Ma ancora una volta, a giudicare dalla sfida di Araghchi, l’Iran non sembra avere particolare fretta di genuflettersi all’Impero. Questo può solo significare che l’Iran ritiene che le sue possibilità siano piuttosto buone, il che si riflette ulteriormente sul livello di logoramento che l’Iran ha subito finora. Israele, invece, continua a subire effetti economici sempre più gravi:
“Maersk ha sospeso tutti gli scali navali ad Haifa, l’unico porto di acque profonde/hub pienamente operativo in Israele. Con il porto di Ashdod limitato dalla sua vicinanza a Gaza e il porto di Eilat ormai inattivo a causa del blocco del Mar Rosso, l’accesso marittimo di Israele si sta avvicinando all’isolamento strategico”.
Ricordiamo che anche gli aeroporti israeliani sono ora bloccati, con i leader israeliani che vietano alle persone di fuggire in modo permanente dalla nave che affonda. Forse stanno anche cercando di usare gli ebrei stranieri in visita come scudi umani per creare altre “tragedie” a livello di pubbliche relazioni, come sembra essere il caso in questione:
Una cosa è certa: mentre gli attacchi dell’Iran sono diminuiti, sono diminuiti anche i colpi notevoli di Israele, in particolare dopo che l’Iran ha lanciato un’indagine su scala nazionale che ha finora portato alla cattura di decine di agenti israeliani. Il Mossad, almeno per ora, è stato criticamente indebolito in Iran, il che ha comportato un netto calo dei “successi”. Per ora Israele fa girare le ruote, colpendo “siti nucleari” vuoti o non essenziali senza alcun effetto, solo per evocare un senso di slancio per la sua operazione in calo, mentre l’Iran si riorganizza lentamente e mette il Paese su una base bellica.
Dopo l’iniziale “slancio” e i fuochi d’artificio, entriamo ora in una nuova fase di scontro che metterà alla prova la resistenza di ciascun Paese. Gli Stati Uniti continuano a schierare forze massicce ovunque, dall’Arabia Saudita a Diego Garcia, e potrebbero far pendere la bilancia a favore di Israele se Trump si impegnasse in una massiccia operazione di lunga durata. Ma non dobbiamo illuderci di pensare che gli Stati Uniti non andrebbero incontro a gravi conseguenze: Trump si era appena rimbalzato vantando che “i salari sono saliti” al livello più alto degli ultimi 60 anni e si stava nuovamente vantando del “miracolo economico” che sta presiedendo. La chiusura di Hormuz e l’impennata dei prezzi del petrolio a livelli empi distruggerebbero quel miracolo e manderebbero nelle fogne l'”età dell’oro” di Trump, che sicuramente è il suo pensiero più importante mentre tiene il dito su quel pulsante rosso.
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Il seguente articolo premium a pagamento è una discussione completa di tutte le possibilità per l’imminente conflitto tra Iran e Stati Uniti, comprese le mie previsioni personali su ciò che accadrà.È lungo ben oltre 5.000 parole e copre vari aspetti dello stallo, dalla capacità degli Stati Uniti – o la sua mancanza – di colpire i siti nucleari iraniani o persino di degradare la sua rete di difesa aerea, al motivo per cui la Russia e la Cina potrebbero o meno assistere l’Iran in questa undicesima ora.
Le cose si muovono con estrema rapidità sul fronte iraniano, tanto che qualsiasi analisi rischia di essere immediatamente obsoleta a causa dei nuovi sviluppi. Ciò è particolarmente vero se si considera che alcuni degli attori coinvolti – in particolare Trump – agiscono con straordinaria imprevedibilità e incoerenza.
Il trattamento che Trump sta riservando alla saga dell’Iran è stato del tutto irregolare, persino psicotico. Dalla richiesta di colloqui a improvvisi sfoghi di “SOPRAVVIVENZA” e “Evacuate Teheran ora!” è impossibile prevedere cosa dirà o farà lo squilibrato; l’unica cosa che è diventata quasi certa è che Trump è stato fatto prigioniero da una qualche forma di minaccia estremamente compromettente da parte dei suoi responsabili legati a Israele: c’è ben poco altro per spiegare il suo comportamento sconcertante e squilibrato.
C’è una cosa che lo spiega, e questo ci porta al punto principale di questo articolo. Israele si aspettava chiaramente una capitolazione molto rapida da parte dell’Iran attraverso una serie di colpi debilitanti di decapitazione che sono riusciti solo in parte. Quando ciò non è avvenuto e quando l’Iran ha iniziato a far piovere colpi di rappresaglia, il blocco guidato da Israele è andato nel panico e ha iniziato a esercitare enormi pressioni su Trump per salvare il regno “eletto”.
In parte ciò ha a che fare con il fatto che Israele non è attrezzato per un lungo conflitto interiore:
L’articolo del Jerusalem Post sopra riportato conferma:
“Né gli Stati Uniti né gli israeliani possono continuare a stare seduti e intercettare missili tutto il giorno”, ha dichiarato Tom Karako, direttore del Missile Defense Project presso il Center for Strategic and International Studies. “Gli israeliani e i loro amici devono muoversi con tutta la fretta necessaria per fare ciò che deve essere fatto, perché non possiamo permetterci di stare seduti a giocare a rimpiattino”.
Veniamo ai punti vitali:
Israele aveva bisogno di un’operazione rapida per mettere fuori gioco l’Iran e probabilmente contava sull’entrata in guerra degli Stati Uniti. Ma questo va temperato con il fatto che Israele afferma di essersi preparato per il potenziale di un conflitto di lunga durata, ma presumibilmente solo sotto l’egida totale degli Stati Uniti e dell’Occidente che li sostengono completamente in ogni dimensione, in particolare quando si tratta di armi, carburante, ecc.
Che cosa ha fatto l’Iran? L’Iran, a quanto pare, ha scelto una strategia simile a quella della Russia, ovvero quella di rallentare deliberatamente il conflitto e di mettere a dura prova le risorse di Israele. Israele si aspettava che l’Iran “facesse il botto” e lanciasse tutta la sua dotazione di missili non solo per esaurirsi immediatamente, ma anche per provocare un’enorme “tragedia” da usare per incitare gli Stati Uniti a entrare in guerra. Invece, l’Iran ha scelto di dissanguare lentamente Israele con la strategia della “morte per mille tagli” sviluppata dalla Russia contro l’impero atlantista in Ucraina.
Così, l’Iran sta inviando ogni giorno piccole raffiche di missili per ridurre le risorse sociali, economiche e politiche di Israele.
Perché l’Iran ha scelto questa strategia? Perché è l’unica che ha una possibilità di successo, dato che dare a Israele una massiccia campagna “shock and awe” farebbe solo il suo gioco e darebbe agli israeliani esattamente quello che stavano cercando. Un rapporto indicava che Israele si era preparato ad oltre 5.000 vittime israeliane a causa degli attacchi iraniani e chiaramente non si aspettava che l’Iran scegliesse invece un metodo a fuoco lento:
La leadership di Israele si era preparata per circa 5,000 morti tra i civili in una guerra totale con l’Iran, ma ha scoperto che il suo nemico non è in grado di provocare gravi danni, ha dichiarato l’ex alto funzionario dell’intelligence Miri Eisin a Iran International.
Le affermazioni di Israele di aver stabilito una totale “superiorità aerea” sull’Iran sono fraudolente: gli aerei israeliani non stanno sorvolando l’Iran – non ci sono prove a sostegno di questa affermazione.
Israele ha utilizzato una combinazione di attacchi con i droni, per i quali esistono una montagna di prove. I droni UCAV sono meno rilevabili e sacrificabili, il che consente a Israele di spingerli verso Teheran subendo perdite per abbattimenti che non incidono sulla sua posizione pubblica.
Ogni singolo video di attacco rilasciato finora da Israele mostra le riprese di un UCAV o di un drone di sorveglianza, come in questo caso:
I droni IAI Heron, Harop ed Hermes sono stati avvistati numerose volte nello spazio aereo iraniano:
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Non esiste un solo video di un velivolo israeliano nello spazio aereo iraniano, ma esistono tonnellate di video che mostrano stadi di lancio di missili israeliani recuperati in Siria e in Iraq, il che indica che Israele continua a sparare missili come il Blue Sparrow da fuori dei confini iraniani.
Altri video mostrano la camma del missile Delilah, che ha una gittata di oltre 250 km e può raggiungere molti siti iraniani occidentali anche se sparato fuori dal confine.
Drone israeliano abbattuto vicino all’impianto nucleare iraniano di Natanz
Il vice governatore di Isfahan ha confermato che il sistema di difesa aerea Khordad-3 dell’IRGC ha intercettato e distrutto un drone israeliano nei pressi dell’impianto nucleare di Natanz, vicino alla città di Kashan.
In precedenza, almeno due dei droni UCAV israeliani Hermes sono stati abbattuti sopra l’Iran:
Le immagini hanno dimostrato che Israele sta utilizzando bombe droni a guida laser per colpire tutti i veicoli iraniani visti nei video di attacco, mentre missili da crociera e balistici a lunga distanza come l’Air LORA sono utilizzati per colpire obiettivi infrastrutturali più grandi:
Un UAV d’attacco Hermes 900 dell’aviazione israeliana abbattuto dagli iraniani.
I nodi di sospensione dell’UAV da ricognizione e da attacco Hermes-900 dell’Aeronautica israeliana intercettato erano equipaggiati con bombe aeree guidate di piccole dimensioni “Miholit”, analoghe alle KAB-20S russe e alle MAM-L turche.
Le armi sono dotate di sistemi di guida laser (o di immagini termiche) semi-attivi e hanno un raggio d’azione di 12-15 km se sganciate da altitudini di oltre 5.500 metri.
È ovvio che questo UAV è stato utilizzato direttamente per ingaggiare i sistemi mobili di artiglieria antiaerea delle forze di difesa aerea iraniane.
C’è stato solo un singolo filmato che ho visto personalmente che potrebbe indicare che i jet israeliani hanno appena sfiorato il territorio iraniano, in cui sembrava che i JDAMS fossero stati sganciati su Kermanshah, che si trova a poco più di 100 km dal confine iraniano:
I JDAMS hanno in genere un raggio d’azione di 25-50 km, anche se il JDAM-ER può raggiungere i 75 km, ma non è certo che Israele lo possieda. Questo attacco potrebbe rappresentare i jet israeliani che hanno superato di qualche chilometro il confine, ma è più o meno quanto sono disposti a fare.
La domanda principale è: perché?
Perché Israele non ha ancora degradato la difesa aerea iraniana a lungo raggio. Gli unici video di attacchi che Israele ha mostrato riguardavano una piccola manciata di antichi Falchi Mim-23, Karmin-2 a corto raggio e i sistemi Khordad a corto-medio raggio. Nulla di simile al Bavar-373, equivalente all’S-300, è stato eliminato, anche se Israele “sostiene” di aver spazzato via una percentuale inventata di AD iraniani, senza alcuna giustificazione.
Sembra probabile che l’Iran abbia ritirato gran parte dei suoi sistemi AD più lunghi e seri più a est, verso Isfahan e oltre, in previsione di bombardamenti statunitensi su larga scala. Questo sarebbe in accordo con un rapporto reale sul ritiro dei lanciamissili pesanti nella stessa regione, che sono ugualmente bersaglio degli attacchi israeliani.
Ricordiamo che Israele non è mai stato in grado nemmeno di sorvolare il territorio siriano, che aveva un AD molto più debole di quello iraniano – Israele ha bombardato la Siria da dietro il Monte Libano. Solo dopo l’insediamento di Jolani, Israele è stato finalmente in grado di distruggere la rete di AD siriana abbandonata e senza equipaggio. Inoltre, ricordiamo che Israele ha dovuto far volare i suoi F-35 a pochi metri dal suolo in Giordania durante i precedenti attacchi contro l’Iran, con rapporti che affermano:
“I caccia israeliani F-35I Adir volano a bassissima quota sul territorio giordano per evitare i radar prima di colpire Teheran.“.
Allo stesso modo, gli Stati Uniti non sono in grado di sorvolare lo Yemen e devono lanciare attacchi in stand off per evitare che gli F-35 vengano “quasi abbattuti” di nuovo quando si avvicinano troppo al confine. Quindi, Israele non è certamente in grado, al momento, di sorvolare l’Iran al di là, forse, di qualche piccola incursione appena oltre il confine.
Il vero scopo dell’operazione pianificata va ben oltre la semplice degradazione del programma nucleare iraniano, e anche oltre il semplice cambio di regime, ma cerca invece di dividere interamente l’Iran in piccoli staterelli etnici facilmente dominabili:
Non sorprende che l’Iran sia sotto i ferri per essere smembrato solo poche settimane dopo aver lanciato un nodo critico della Nuova Via della Seta cinese, che bypassa
Israele ha colpito l’Iran proprio dopo il lancio di un nuovo collegamento ferroviario tra l’Iran e la Cina. Si dà il caso che rappresenti una minaccia geoeconomica esistenziale per gli Stati Uniti e i loro alleati .
La rotta aggira le sanzioni statunitensi e sbloccherebbe l’economia iraniana, permettendole di prosperare come mai prima d’ora, con l’Iran che diventerebbe anche un hub di trasporto eurasiatico chiave che arriva fino alla Russia:
Ora, il “regime” di Khamenei dovrebbe essere smantellato perché l’Iran rappresenta un contrappeso troppo grande per i sogni imperialisti dei neoconservatori e, soprattutto, per le profezie babilonesi-messianiche dei loro gestori.
L’autoproclamato “principe ereditario” dell’Iran ha persino lanciato il suo appello, prodotto dalla CIA, affinché la gente scenda in strada e rovesci il “regime” proprio al momento giusto:
Si tratta chiaramente di una produzione altamente coordinata, volta a fare all’Iran ciò che è stato fatto ad Assad e alla Siria alla fine dello scorso anno.
Gli Stati Uniti possono avere successo?
Ora arriviamo alla parte più importante. Dato che sappiamo che Israele non è in grado di penetrare lo spazio aereo iraniano con i suoi caccia, cosa possono fare Trump e gli Stati Uniti per “sconfiggere” rapidamente l’Iran?
Il problema principale è che l’obiettivo principale ostensibile è la distruzione del sito nucleare di Fordow, che si trova a centinaia di metri o più sottoterra. Le uniche armi potenzialmente in grado di farlo sono i bunker buster americani GBU-57 MOP (Mass Ordnance Penetrator).
Queste munizioni di grandi dimensioni possono essere trasportate solo dai caccia stealth B-2 o dai bombardieri strategici B-52. Non sono “bombe plananti” a lungo raggio e devono essere sganciate direttamente sull’obiettivo, il che significa che i B-2 dovrebbero penetrare fino a Fordow, nell’Iran centrale:
La grande domanda: i B-2 possono farlo?
No, non possono, almeno non senza il pericolo estremo che almeno uno di loro venga abbattuto. L’abbattimento di un B-2 “ammiraglia” sarebbe un’umiliazione disastrosa che annuncerebbe da sola il declino terminale dell’impero americano. È estremamente discutibile se Trump rischierebbe un simile attacco, date le probabilità di un minimo fallimento. Tuttavia, per correttezza, ecco la controargomentazione di un esperto:
Trump si trova tra l’incudine e il martello: ha bisogno di un’operazione molto rapida e semplice per dichiarare la vittoria e tirarsi fuori dal conflitto, in modo da non essere accusato di aver nuovamente impantanato gli Stati Uniti in un’interminabile guerra in Medio Oriente. Per renderla “breve e dolce”, dovrebbe inviare subito i B-2 e correre un rischio enorme per la reputazione dell’impero.
L’altra opzione è quella di lanciare prima una campagna su larga scala per degradare le difese iraniane, ma questo rischia di impantanarsi di nuovo in una guerra infinita, poiché l’Iran farà di tutto per intrappolare gli Stati Uniti nella sua dolorosa rete di conflitto prolungato. Potrebbero esserci settimane o mesi di gatto e topo, con potenziali perdite disastrose per gli Stati Uniti, eccetera, il tutto solo per “spianare la strada” al vero attacco. Ciò comporterebbe un enorme tributo politico per Trump e probabilmente segnerebbe la fine del suo regime. Rischia di perdere la sua base MAGA, con conseguente perdita delle elezioni di metà mandato e l’eventuale impeachment di Trump o almeno il completo disordine del partito repubblicano, che porterebbe alla vittoria dei democratici alle presidenziali del 2028.
Ricorda ancora: Gli Stati Uniti hanno avuto problemi per mesi nel tentativo di indebolire gli Houthi, con varie navi e caccia che hanno avuto degli scontri ravvicinati. Cosa li spinge a pensare che l’Iran sarebbe una passeggiata rispetto a questo?
Certo, dobbiamo ammettere quanto segue:
La caduta inaspettatamente improvvisa della Siria ha certamente galvanizzato i neocons per immaginare di poter ripetere rapidamente il trucco delle carte in Iran. E non è fuori dal campo delle possibilità: Khamenei ha molti detrattori, ed è per questo che Israele trova così facilmente talpe ed è in grado di infiltrarsi in Iran con spie e reti di sabotaggio; per non parlare del fatto che le repubbliche arabe e mediorientali sono note per esagerare la forza come meccanismo di difesa. Ricordiamo gli anni di propaganda di Hezbollah sulle “città missilistiche infinite” che non si sono mai realizzate durante la guerra di Israele contro Hezbollah, che ha portato alla decapitazione della leadership di Hezbollah. Allo stesso modo, Israele ha fallito la sua incursione e, nonostante Hezbollah abbia dato ragione a certi scettici, anche Israele non è stato all’altezza delle aspettative.
Quindi, rimane certamente una possibilità – per quanto remota possa essere – che l’Iran possa affrontare disordini interni e portare a un colpo di stato simile a quello di Assad, ma non ci sono ancora indicazioni reali che questa sia una possibilità particolarmente forte . Rimane la possibilità che la forza missilistica dell’Iran sia stata a lungo esagerata, ma non si può in buona fede sostenere che gli Houthi – che hanno lanciato missili senza sosta per mesi – siano in qualche modo riusciti a superare l’Iran in questa modalità.
Rimane il fatto che gli attacchi di Israele registrati finora hanno solo scalfito a malapena la superficie nel colpire una qualsiasi categoria di armi iraniane. Pertanto, dobbiamo concludere che qualsiasi attacco guidato dagli Stati Uniti comporterà un rischio immenso per i principali sistemi di punta iraniani, che finora sono stati trattenuti e preservati dagli attacchi israeliani.
Inoltre, anche se gli Stati Uniti dovessero riuscire a colpire Fordow, la questione della capacità del GBU-57 di penetrare o danneggiare la struttura sotterranea è molto discutibile:
Axios riporta che la decisione di Trump è appesa proprio a questa questione – si legga il grassetto qui sotto:
Trump dubita del completo successo di un potenziale attacco all’impianto sotterraneo iraniano di Fordow, scrive Axios.
Secondo le fonti della pubblicazione, egli è preoccupato di sapere se i missili americani Massive Ordnance Penetrator (MOP) saranno davvero in grado di distruggere questo impianto “più fortificato” dell’Iran.
I MOP non sono mai stati utilizzati sul campo di battaglia, sebbene siano stati sottoposti a diversi test durante lo sviluppo, si legge nella pubblicazione.
Israele, tuttavia, non dispone di tali munizioni. Secondo un funzionario statunitense, la parte israeliana ha detto all’amministrazione Trump che, pur non potendo penetrare in profondità nel sottosuolo con le bombe, può farlo usando le persone.
Il problema è che molti analisti ritengono che l’impianto di Fordow si trovi a 200-400 piedi di profondità, e che le GBU-57 siano in grado di penetrare solo per oltre 200 piedi, più o meno. Alcuni sostengono addirittura che Fordow possa avere sezioni di oltre 1.000 piedi o molto di più. Ciò richiederebbe l’impiego di molti GBU-57 nello stesso punto, il che significa generare molte sortite di B-2 e rischiarle sopra l’AD iraniana.
È un rischio particolare dato che l’Iran conosce esattamente il un sito che è nel mirino, ed esattamente l’arsenale che sta per sorvolare quel sito. Questo dà all’Iran ogni vantaggio nel pianificare un’imboscata per umiliare gli Stati Uniti facendo fuori un B-2. Non vedo come gli Stati Uniti possano portare a termine la missione senza prima impiegare una vasta campagna offensiva per degradare la rete di difesa iraniana e controllare totalmente i cieli sopra il sito prima.
Tenendo conto di ciò, ecco le opzioni finali e i potenziali risultati a mio avviso:
1. Trump sta pesantemente bluffando e sa che gli Stati Uniti non hanno alcuna possibilità senza una campagna prolungata per degradare l’esercito iraniano. Spera che le sciabolate e le passeggiate con i bombardieri possano spaventare l’Iran e indurlo alla capitolazione; proprio come mesi fa ha fatto volare i B-2 a Diego Garcia in una dimostrazione di forza, poi è stato costretto a richiamarli quando non ha sortito alcun effetto. Oggi abbiamo avuto un accenno a questa opzione, dato che Trump ha lasciato ancora una volta la porta aperta ai negoziati, osservando che l’Iran ha ancora una possibilità di risolvere la questione senza violenza, con varie voci – sebbene pubblicamente smentite – di delegazioni iraniane dirette in Oman per colloqui con Witkoff.
NYT: Il Presidente Trump si trova di fronte a una decisione cruciale nella guerra in corso da quattro giorni tra Israele e Iran. Deve decidere se intervenire aiutando Israele a distruggere l’impianto di arricchimento nucleare di Fordo, profondamente sepolto, al quale si può accedere solo con bombe americane “bunker buster” sganciate da bombardieri B-2. Inoltre, il Presidente Trump ha incoraggiato il Vicepresidente JD Vance e il suo inviato in Medio Oriente, Steve Witkoff, a proporre un incontro con gli iraniani questa settimana. I funzionari ritengono che questa offerta possa essere ben accolta.
2. Trump sceglierà di decapitare il “regime” facendo fuori Khamenei, il che gli darà una vittoria eclatante e la questione del nucleare potrà essere messa da parte. Khamenei sarebbe molto più facile da eliminare con attacchi di precisione, che non richiederebbero il volo di bombardieri strategici esposti sul centro dell’Iran. Questo potrebbe anche includere molti altri colpi di missili da crociera su siti militari iraniani, che permetterebbero agli Stati Uniti di salvare la faccia e dichiarare una sorta di vittoria di pubbliche relazioni.
3. Trump e l’Iran si accordano su una stretta di mano segreta che consentirebbe ai B-2 di avere un corridoio aperto per colpire la montagna di Qom che protegge Fordow, dopodiché seguirebbe un regime di de-escalation. Anche se Fordow non verrebbe danneggiata, gli Stati Uniti salverebbero la faccia e Trump otterrebbe una parvenza di “vittoria”, mentre l’Iran rimarrebbe tranquillo e accetterebbe qualche nuovo accordo che Israele sarebbe costretto a firmare con riluttanza.
4. Trump decide di “fare il botto” e lancia una grande campagna aerea per degradare le difese iraniane prima di rischiare l’attacco B-2. A questo punto si scatena l’inferno, perché l’Iran non avrebbe altra scelta che attaccare le navi statunitensi nei golfi di Persia e Oman, attaccare le basi militari statunitensi in Iraq, Qatar, ecc. e chiudere lo stretto di Hormuz.
A questo punto si trasformerebbe in un conflitto prolungato che sarebbe l’incubo che nessuno vuole. Sembra che gli Stati Uniti si stiano già preparando a questa eventualità:
Le immagini satellitari della base aerea di Al Udeid, in Qatar, una delle basi più importanti dell’aeronautica statunitense in Medio Oriente, sembrano mostrare la base completamente abbandonata. La base, che ospita regolarmente decine di velivoli militari, tra cui aerocisterne per il rifornimento aereo, velivoli di sorveglianza e velivoli da carico/trasporto con le forze aeree statunitensi e britanniche, sembra ora non avere un solo velivolo a terra, probabilmente tutti evacuati verso basi aeree in altre parti del Medio Oriente o in Europa, a causa delle preoccupazioni di un potenziale attacco da parte dell’Iran.
La TV iraniana ieri sera:
Previsione
La mia conclusione personale: credo che il rischio per gli Stati Uniti sia troppo grande perché Trump possa lanciare un attacco su larga scala. Pertanto, non posso che supporre che Trump stia di nuovo bluffando per portare gli iraniani al tavolo delle trattative e che alla fine cercherà di de-escalation.
Trump si tira indietro, secondo Axios.
Se dovesse attaccare, potrebbe scegliere di giocare sul sicuro lanciando prima attacchi a distanza su larga scala con missili da crociera, evitando di rischiare vere e proprie incursioni aeree in Iran. C’è la possibilità che adotti questa “mezza misura”, per poi forse ridimensionare l’operazione e dare di nuovo un “avvertimento” all’Iran di presentarsi al tavolo delle trattative prima “dell’attacco finale”, che sarebbe solo il modo degli Stati Uniti di salvare la faccia e non dover mettere a rischio la propria flotta di B-2 e F-35.
Certo, c’è sempre la possibilità che la mia valutazione sulla forza dell’Iran sia troppo ottimistica, o che la potenza degli aerei stealth statunitensi sia sottovalutata . Forse i B-2 stealth sono davvero molto più “invisibili” di quanto pensiamo, e gli Stati Uniti riescono a portare a termine i loro attacchi senza perdite. Ma trovo difficile credere che l’Iran conosca le coordinate esatte verso cui voleranno i B-2 e non sia in grado in qualche modo di attaccarli in modo significativo. Ricordiamo che l’intera flotta aerea iraniana è ancora illesa, con solo un paio di vecchi F-14, che si dice siano aerei di recupero dismessi, finora distrutti.
L’Iran dovrebbe comunque avere più di 250 caccia, sebbene per lo più modelli datati. Ma sufficienti a rappresentare teoricamente un grave rischio per una flotta di bombardieri pesanti con un punto di convergenza noto con precisione. Ricordiamo che la Serbia ha fatto bombardare l’intera flotta NATO per mesi per stabilire la superiorità aerea, e anche in quel caso sono stati colpiti molti aerei, inclusi diversi F-117.
E le argomentazioni di cui sopra non affrontano nemmeno lontanamente la questione della flotta navale, con l’Iran che potrebbe lanciare missili antinave difensivi contro le navi statunitensi. Forse l’Iran giocherà sul sicuro, come alcuni credono abbia fatto contro Israele – dove l’Iran risponde solo con pochi attacchi reattivi e non provocatori, piuttosto che con attacchi proattivi davvero debilitanti; è possibile se l’Iran ritiene troppo alto il pericolo di distruzione totale e vuole semplicemente salvare la faccia ed esigere una certa deterrenza.
Pertanto, l’Iran potrebbe lanciare altri “attacchi simulati” contro basi statunitensi vuote, ma astenersi dal compiere attacchi davvero paralizzanti, come quelli contro portaerei statunitensi, ecc., poiché ciò indurrebbe a una risposta troppo dura. L’Iran potrebbe essere costretto a subire le sue conseguenze, limitandosi a cercare di preservare una parvenza di dignità contro ogni previsione: dopotutto, l’intero Occidente si sta lentamente preparando per unirsi agli attacchi in un modo o nell’altro, con la Gran Bretagna che ha appena annunciato che potrebbe unirsi agli Stati Uniti in qualsiasi attacco.
Da fonti pubbliche: presunti sbarramenti missilistici iraniani finora.
Alla fine, ci troviamo di fronte al seguente dilemma: Trump ha bisogno di una vittoria rapida. Ma c’è il temuto triangolo del triplo vincolo: ricordate, veloce, economico, buono? Qui è veloce, sicuro, buono: potete sceglierne solo due. Trump può avere una vittoria veloce e sicura, ovvero un “shock and awe” di tutti gli attacchi missilistici stand-off, ma non sarà buono, nel senso che non raggiungerà gli obiettivi primari. Può avere una vittoria sicura e buona, ma non sarà veloce, il che significa una lunga e protratta palude che distruggerà il suo impero MAGA e lo trasformerà in ciò che lui stesso odia. Oppure può provare una vittoria “buona e veloce”, il che significa impiegare immediatamente i B-2 per porre fine alla campagna in anticipo, ma di certo non sarà sicura e potrebbe concludersi con un disastro generazionale che segnerà una svolta nella caduta dell’impero statunitense.
Alcune riflessioni di alto livello sulla strategia dell’Iran fino ad oggi e su cosa riserva il futuro:
1. Il primo attacco al comando dell’IRGC fu un duro colpo, che eliminò personale chiave dalla rete di comando centrale dell’organizzazione: il gruppo di uomini che rimase unito fin dai primi giorni della guerra Iran-Iraq e che crebbe fino a trasformare l’IRGC nell’istituzione che è oggi.
2. Detto questo, le perdite di personale sono state rapidamente rimpiazzate dalla Guida Suprema dell’Iran. Sebbene la perdita della rete di comando centrale dell’IRGC avrà conseguenze a lungo termine sull’identità del gruppo, si tratta di un’istituzione tentacolare, progettata per il ricambio generazionale.
3. La perdita, e la successiva ripresa, del comando e controllo furono evidenti nella reazione iniziale dell’Iran all’attacco israeliano, con un ritardo notevole prima che l’Iran lanciasse la sua prima raffica di missili contro Israele. Ci volle ancora più tempo perché l’Iran riacquistasse un po’ di ordine nelle sue difese aeree.
4. Il ritardo nel comando e controllo tra missili e difese aeree potrebbe essere dovuto al fatto che i missili sono di esclusiva competenza dell’IRGC, mentre la difesa aerea è divisa con l’Artesh e governata dal quartier generale di Khatam al-Anbiya. In particolare, Israele ha preso di mira due volte il comandante del quartier generale di Khatam al-Anbiya.
5. Sebbene l’Iran abbia investito molto nelle sue difese aeree e rimarrà deluso dalle loro prestazioni fino ad oggi, è sempre stato chiaro che un nemico tecnologicamente superiore avrebbe potuto rapidamente sopraffarlo. È per questo che l’Iran ha scavato a fondo nel sottosuolo e utilizza strategie di guerra asimmetriche.
6. L’Iran subirà perdite significative, ma questo è incluso nella sua dottrina difensiva. Non avrà un obiettivo chiaro se non quello di infliggere a Israele abbastanza dolore da costringerlo a un cessate il fuoco. Per raggiungere questo obiettivo, prolungherà il conflitto il più a lungo possibile.
7. Questo è evidente nelle salve missilistiche dell’Iran: misurate e costanti, ma sufficientemente varie da tenere Israele in difficoltà. L’Iran non ha bisogno di lanciare 200 missili per raggiungere i suoi obiettivi; sferrare uno o due colpi di grande portata al giorno, ma per settimane consecutive, ha un impatto molto maggiore.
8. Il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra sconvolgerà l’attuale ritmo del conflitto. A differenza dello stile di guerra a distanza con Israele, l’Iran dispone di risorse ingenti che può impiegare per danneggiare gli interessi statunitensi nella regione. La sua intera dottrina militare è orientata al conflitto con gli Stati Uniti.
9. Se gli Stati Uniti entrassero in guerra, l’Iran avrebbe a disposizione decine di migliaia di missili balistici a corto raggio e sciami di droni e imbarcazioni d’attacco unidirezionali. Se la situazione non viene contenuta, il rischio di una grave escalation è enorme, con un ampio margine di conseguenze indesiderate.
10. Considerazione finale: dov’è Esmail Qaani, capo della Forza Quds e uno degli ultimi membri rimasti della rete di comando centrale dell’IRGC? La Forza Quds e i suoi alleati regionali sono stati duramente colpiti nell’ultimo anno, ma rimangono una forza potente e possono fungere da possibile guastafeste.
Infine, molti si chiedono perché Cina e Russia non “salvino” l’Iran con un massiccio ponte aereo, o come ha fatto l’Occidente per l’Ucraina. Innanzitutto, le notizie continuano a suggerire che la Cina lo stia effettivamente facendo:
Per quanto riguarda la Russia, Putin aveva precedentemente osservato che era la Russia a voler effettivamente concludere una partnership strategico-difensiva con l’Iran, ma l’Iran aveva rifiutato:
In breve, quando Russia e Iran hanno firmato una “partnership strategica” all’inizio di quest’anno, la Russia era disposta a elevarla allo stesso livello o a uno simile di quella con la Corea del Nord, dove includeva non solo un vago linguaggio di integrazione strategica, ma anche specifici obblighi di difesa in caso di attacco da parte di nazioni avversarie.
Perché l’Iran ha rifiutato?
L’inviato dell’Iran in Russia ha dichiarato quanto segue:
È stato l’Iran a ridurre deliberatamente la portata dell’accordo, rifiutandosi di includere una clausola di difesa reciproca completa. Prima della firma del “Partenariato Strategico Globale” il 17 gennaio 2025, l’ambasciatore iraniano a Mosca, Kazem Jalali, ha dichiarato apertamente che l’ Iran “non è interessato ad aderire ad alcun blocco di difesa” e preferisce mantenere la propria indipendenza e autosufficienza.
Di conseguenza, questo patto non rispecchia le disposizioni di difesa reciproca contenute negli accordi della Russia con la Bielorussia o la Corea del Nord. “La natura di questo accordo è diversa. Loro (Bielorussia e Corea del Nord) hanno instaurato relazioni di partenariato (con Mosca) in una serie di settori che non abbiamo trattato in modo specifico. L’indipendenza e la sicurezza del nostro Paese, così come l’autosufficienza, sono estremamente importanti. Non siamo interessati ad aderire ad alcun blocco”, ha dichiarato Kazem Jalali, ambasciatore iraniano a Mosca, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa TASS.
Bene, questo chiarisce le cose, non è vero?
Naturalmente, è ancora nell’interesse della Russia preservare l’Iran, patto di difesa o no, poiché la caduta dell’Iran comporterebbe gravi conseguenze per tutta l’Eurasia. Ma la Russia potrebbe benissimo contribuire in modi di cui non siamo ancora a conoscenza, o forse Putin semplicemente non ha la volontà o le risorse necessarie in questo momento.
Come breve affermazione conclusiva, dobbiamo riconoscere i culmini isterici che attualmente attanagliano il mondo. Sono un sottoprodotto e un’espressione della fase finale della “fine della storia” che siamo condannati a vivere, il punto cardine della grande Quarta Svolta. È un tempo di cambiamenti escatologici in arrivo, di finali e chiusure, che le nazioni e i loro leader possono intuire ma non verbalizzare del tutto. Possono agire solo d’impulso, con un’aggressività spaventata e riflessiva, un disperato bisogno di restare a galla, per non essere trascinati dalle oscure correnti sottostanti.
In tempi come questi, si avverte una sorta di impulso a “prendere tutto quello che si può”, simile a quello dei clienti del supermercato che in preda al panico accumulano latte e carta igienica. Solo che questo avviene su scala nazionale, con i leader mondiali che percepiscono l’imminente crisi, la frammentazione di vecchi sistemi e rituali, la dissoluzione degli ordini globali. In tempi come questi, i despoti più egoisti si affannano per trarre vantaggio dal caos e accaparrarsi ciò che resta della torta, in stile “cane mangia cane”.
Israele ne è il massimo esempio, poiché sente che la sua finestra di opportunità si sta chiudendo per sempre. Il mondo di domani promette schemi internazionali imprevedibili che non possono più garantire la marcia progressista di Israele verso il suo destino profetizzato. Anche Trump sembra essere stato colpito dallo spirito di follia isterica di questi tempi; metafisicamente intrappolato in una sorta di epilogo ricorsivo di “fine della storia”, incapace di elaborare il finale decisivo e necessario per la saga secolare dell’imperialismo della finanza privata, mentre il lustro dorato del MAGA svanisce lentamente in quello di una reliquia austera.
C’è ancora la possibilità di tornare indietro nel tempo, se Trump prendesse la decisione giusta. Può arginare la marea con un colpo di penna, ma le probabilità sono a suo sfavore. L’escalation e la guerra, in qualche modo, sembrano sempre opzioni più facili, forse perché il caos che generano rende facile distrarsi dai propri errori e mancanze – o persino dalla propria impopolarità e responsabilità penale, come nel caso di Bibi. È un parallelo calzante, dato che Trump ora rischia di seguire le orme di Netanyahu, diventando a sua volta un criminale di guerra vilipeso a livello globale e impopolare in patria.
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I due contendenti non si sono certo risparmiati in questi giorni.
Israele ha privilegiato le azioni di sabotaggio (in stile ucraino) con l’uso di droni e missili azionati dagli agenti infiltrati in territorio iraniano, mentre i caccia solo questa notte sono tornati a martellare con forza. Gli aerei israeliani, sfruttando i cieli aperti (per loro) di Giordania, Siria, Iraq e Azerbaijan, riescono a colpire quasi ovunque da Teheran a Isfahan e persino nella città santa sciita di Mashhad, al confine col Turkmenistan.
L’Iran, invece, predilige gli attacchi notturni (in stile russo) con ondate di droni e missili che esauriscono le difese nemiche. Haifa e Tel Aviv sono quasi sempre nel mirino, ma anche la base aerea di Nevatim e le strutture dei servizi segreti sono state colpite.
In attacco i due nemici più o meno si equivalgono; gli obiettivi preferiti da Israele sono gli aeroporti, le infrastrutture energetiche, i siti militari, di ricerca, nucleari e le figure dirigenziali sia militari che civili.
L’Iran, adottando un’altra tattica russa, centra lo stesso tipo di bersagli.
In difesa assistiamo a qualche progresso per gli iraniani, mentre per gli israeliani non si mette benissimo (lo vedremo tra poco).
· Le persone
In Libano, in Iraq e a Gaza gli attacchi notturni vengono visti come un film all’aperto o uno spettacolo pirotecnico: gente in strada e sui tetti che filma coi cellulari a suon di musica; a Teheran le reazioni sono miste, diverse persone lasciano la città, altre festeggiano in piazza fregandosene anche degli allarmi. Sono balzati agli onori della cronaca due giornalisti che, dopo essere stati bombardati in diretta, hanno ripreso le trasmissioni. Così come il noto professor Marandi scampato a un attacco missilistico, spostatosi in un seminterrato e andato in onda come ospite nel seguito programma del giudice Napolitano, in diretta nientemeno che da New York.
In generale, possiamo dire che il Paese si è stretto attorno ai vertici politici, militari e religiosi.
In Israele i più giovani rimangono in strada o sui balconi per riprendere le battaglie tra i missili e postarle sui social, cosa che ha fatto infuriare l’esercito (come in Ucraina); i meno giovani si riparano nei rifugi sotterranei o nella metropolitana con un misto di paura e nervosismo. Il Paese non si è stretto attorno al governo, almeno questa è l’impressione.
Occorre sempre tenere presente che al di là delle immagini spettacolari, ci sono persone che soffrono e che muoiono. Per quanto fino ad ora il numero delle vittime non sia minimamente paragonabile, ad esempio, a quelle di Gaza o del 7 ottobre, ricordiamoci che ogni vita è sacra.
· Considerazioni tecniche (sono fondamentali in una guerra, vi tocca leggerle)
In attacco Israele sfrutta la sua aviazione decisamente superiore a quella iraniana. Se la guerra dovesse durare pochi giorni problemi zero, se si prolungasse verrebbero fuori le note magagne degli F-35: costi di manutenzione e consumi di carburante disumani, surriscaldamento e malfunzionamenti elettronici in caso di stress operativo.
Quanto agli agenti del Mossad infiltrati che hanno dato un bel vantaggio iniziale ad Israele, vedremo quanto resisteranno alla caccia all’uomo che è iniziata per tutto l’Iran. Sono stati mobilitati i Basij, una sorta di guardia nazionale, e in molti villaggi sono sorte milizie popolari che hanno scovato diversi nascondigli, magazzini e mezzi utilizzati per attaccare i siti sensibili all’interno del Paese.
Pure l’Iran pare non avere problemi ad attaccare, tuttavia la reale situazione delle sue piattaforme di lancio è sconosciuta. Coi primi raid gli israeliani ne hanno distrutte parecchie, anche se (sempre in stile russo) molte erano esche, vale a dire o mezzi vecchi in disuso o veri e propri “fake”.
Passando alla difesa, gli israeliani stanno utilizzando sia il loro sistema a tre strati (corto, medio e lungo raggio) sia le due batterie THAAD made in USA. Il famoso iron beam, un’arma laser, ad oggi non si è visto. Dai video emerge chiaramente come le più avanzate batterie di difesa NATO & friends possano poco contro decine di missili e droni che saturano i cieli. Il discorso vale anche sotto l’aspetto economico: basti pensare che un complesso THAAD costa circa 1 miliardo di dollari chiavi in mano e ogni missile intorno ai 15 milioni, mentre l’ipersonico più costoso lanciato dall’Iran, il Fattah-1, si aggira intorno ai 200 mila dollari. Persino qui si rivedono scene tipiche della guerra russo ucraina, con una differenza di costi tra attacco e difesa a dir poco imbarazzante, visto che per un Fattah vengono sparati dai 6 ai 12 missili intercettori (quelli israeliani costano intorno ai 3 milioni di dollari l’uno).
D’altro canto, l’Iran è ancora alle prese coi problemi creati al sistema difensivo (soprattutto ai radar) dal Mossad. Sta comunque migliorando rispetto ai primi giorni, pare addirittura che abbia abbattuto alcuni caccia di Tel Aviv: meglio attendere una conferma visiva per esserne certi. I sistemi di lancio sembrano ancora in buono stato essendo conservati sottoterra e portati in superficie solo al bisogno.
· Considerazioni politiche ed economiche
La prima e la più importante: qualcuno delle parti in causa ha riflettuto due minuti sulla nuvola radioattiva che si propagherebbe per il Medio Oriente e il Caucaso qualora un paio di missili facessero centro all’interno di un sito nucleare? Anche qui sembra di rivivere quanto avviene in Ucraina con la centrale di Enerhodar: analisi delle conseguenze non pervenuta.
I mercati finanziari rimangono dove erano poco dopo lo scoppio del conflitto: questo la dice lunga sul livello di inconsapevolezza che aleggia tra New York e Londra riguardo le ripercussioni di una escalation. È lo stesso schema seguito durante il Covid e la guerra russo ucraina; oggi due morti in meno e quindi va tutto bene e si sale, oggi due missili in meno e quindi tutto risolto e si sale. L’ho analizzato nella “Teoria delle aspettative irrealizzabili”.
Proprio nelle ultime ore, gli USA hanno incrementato il supporto logistico e di sorveglianza satellitare a Israele, spostando diversi aerei nella regione oltre al gruppo di navi capitanate dalla portaerei Nimitz. Lasciando perdere le altalenanti dichiarazioni del presidente Trump, tutto lascia presupporre che gli Stati Uniti interverranno a fianco di Israele.
· Possibili scenari
1) I due contendenti, a corto di munizioni e fatti due calcoli, inveiscono l’uno contro l’altro come nel 2024 diminuendo l’intensità degli attacchi fino a cessarli.
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2) Nessuno interviene, per Israele si mette male e decide di ricorrere all’arma nucleare; è una ipotesi estrema e da scongiurare con tutte le forze; tuttavia, non è da escludere (così come in Ucraina).
3) Gli USA intervengono e la guerra si estende a tutto il Medio Oriente; le basi americane nel Golfo e i Paesi che appoggiano il duo Washington-Tel Aviv vengono attaccati da Teheran; il numero dei morti cresce a dismisura.
4) L’Iran cerca appoggi esterni per contenere gli Stati Uniti senza trovarne; a quel punto si arrocca in difesa con qualche sortita offensiva e alla lunga ne esce vincitore, come gli Afghani e gli Houthi; il problema è che, rimanendo solo, se finisce i missili son finiti, se finisce i soldi son finiti, a meno che…
5) La Russia fornisce (o minaccia di fornire) a Teheran sistemi di difesa avanzati come gli S-350 e gli S-400 (escludiamo i nuovi S-500) molto temuti dai piloti NATO & friends e caccia Su35S (escludo i Su-57) che renderebbero la vita meno facile all’aereonautica israeliana; Trump a quel punto si ricorda di essersi autoproclamato “il pacificatore” e mette un freno al governo di Tel Aviv.
6) La Cina si unisce alla Russia raffreddando gli animi di israeliani e statunitensi; a questo proposito pare che due aerei cargo con supporto logistico partiti da Pechino siano già arrivati in Iran, che fornisce quasi il 15% del fabbisogno annuale di petrolio alla Cina.
7) Le tre super potenze, o solo Russia e Stati Uniti, trovano un accordo e tutti si calmano.
8) A quel punto, oltre a calmarsi, si organizza quella necessaria conferenza internazionale per mettere a punto la sicurezza di Europa orientale, Medio Oriente ed Estremo Oriente.
Ancora una volta e con maggior forza: che Dio ce la mandi buona!
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Chi dei due? Khamenei o Netanyahu? ………O entrambi?_Giuseppe Germinario
Negli ultimi 35 anni, l’uomo forte dell’Iran si è gradualmente affermato come un decisore chiave nella regione. Fino a quando la guerra che stava conducendo indirettamente con Israele si è riversata sul suo territorio. E ha minacciato apertamente il suo regno.
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Un manifestante regge una foto della Guida Suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei, durante una manifestazione a Teheran in solidarietà con il governo contro gli attacchi israeliani, 14 giugno 2025. Atta Kenare/AFP
12 aprile 1980. La storia è una cavalcata veloce. La rivoluzione islamica in Iran, gli accordi di Camp David e l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS hanno accelerato il ritmo. Ma per i diplomatici americani tenuti in ostaggio a Teheran per cinque mesi, la vita si è fermata. L’operazione Eagle Claw, lanciata dal presidente americano Jimmy Carter per cercare di liberare i prigionieri, non aveva ancora avuto luogo. John Limbert, trentenne, era in isolamento. In questo giorno di primavera, riceve la visita mattutina di due rappresentanti svizzeri del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Più tardi, arriva una figura sconosciuta, accompagnata da una piccola squadra di cameraman. Sembra fragile, con una barba nera. Come il suo turbante. Il religioso è l’inviato di un regime ancora agli inizi. La scena è filmata. Sembra un’operazione di seduzione rivolta alla comunità internazionale.
La persona con cui John Limbert parlò era un certo Ali Khamenei. “Non si è presentato, ma sembrava avere una posizione nella difesa”, ricorda l’ex diplomatico.
Tra i due uomini si svolge un curioso dialogo in persiano. La forma è cortese. Il contenuto, invece, è tagliente. John Limbert conosce a fondo il paese. Decide quindi di “decapitare” il chierico “con il cotone”, come recita un vecchio adagio locale. Per farlo, coinvolge il visitatore in un gioco di ruolo in cui il galateo – il “taarof” iraniano – viene rielaborato. Normalmente, il galateo prevede che il padrone di casa insista affinché l’ospite rimanga quando quest’ultimo deve andarsene. Voi iraniani siete così ospitali”, ha scherzato il diplomatico. Una volta che hai un ospite, non puoi lasciarlo andare”. Ma nel chiuso della stanza, John Limbert decise di cambiare le carte in tavola. “Gli chiesi gentilmente di sedersi e mi scusai per non avere nulla da offrirgli”, ricorda.
All’epoca, nessuno immaginava nemmeno per un secondo il destino che attendeva l’impiegato. “Non mi vedevo affatto a parlare con un politico di primo piano. Non l’avevo mai sentito nominare”, dice John Limbert.
A prima vista, l’Ayatollah Ali Khamenei è un enigma. Non molto popolare, non ha né il carisma né la profonda erudizione religiosa del suo predecessore, l’ayatollah Ruhollah Khomeiny, l’uomo che a suo tempo ha cambiato il volto del Medio Oriente. Eppure, in più di tre decenni, ha saputo navigare astutamente nelle acque agitate della regione, mettendo fuori gioco i suoi rivali interni, reprimendo senza vergogna le ondate di dissenso ed estendendo l’influenza iraniana nel vicinato arabo, trasformando queste nuove “province” in luoghi di conflitto indiretto con il suo nemico giurato, gli Stati Uniti.
Ma oggi, all’età di 86 anni, Ali Khamenei sembra essere sulla sedia elettrica. Al crepuscolo della sua vita, la guerra che da anni conduce indirettamente con Israele si sta estendendo sul suo territorio e sta mettendo a rischio il suo regime. Dal 7 ottobre, l’uomo forte dell’Iran ha assistito al crollo fulmineo della sua “eredità”. Un’eredità pazientemente costruita che, in pochi mesi, è andata in frantumi. La dottrina della piovra di Israele ha raggiunto il suo stadio finale. Prima è stato necessario tagliare le braccia all’animale. Hezbollah – il “gioiello della corona” – è stato decapitato. La presenza dell’Iran in Siria è stata notevolmente ridotta. La caduta del regime sanguinario di Bashar al-Assad ha portato Damasco all’interno degli Stati arabi del Golfo, alleati di Washington. I gruppi armati iracheni affiliati alla Repubblica islamica sono sempre più isolati. E Hamas – i cui legami con l’Iran sono complessi e non organici – governa ora la Striscia di Gaza, dove Tel Aviv non nasconde più le sue ambizioni: la pulizia etnica. D’ora in poi, lo Stato ebraico vuole attaccare la testa. Con un obiettivo dichiarato: la distruzione del programma nucleare e delle capacità militari dell’Iran. E un altro obiettivo, meno chiaro: il cambio di regime. Ali Khamenei sarà assassinato? E la sua morte in tali circostanze significherebbe necessariamente la fine della Repubblica islamica? Oppure Israele intende indebolire il più possibile un regime che sa essere maledetto da gran parte della sua popolazione, per incoraggiarla a sollevarsi? Al momento in cui scriviamo, tutti gli scenari sono possibili. Ma nessuno di essi prevede un’uscita vittoriosa della Guida suprema.
Sayyid Qutb
Nato nel 1939 a Machhad, nel nord-est dell’Iran, da un chierico, Javad Khamenei, e dalla figlia di un chierico, Khadija Mirdamadi, il giovane Ali cresce in una famiglia modesta. Ben presto si è distinto per il suo profilo atipico. “Fin da piccolo amava la letteratura più della teologia e passava più tempo alla biblioteca Astan-e Qods-e Razavi – la più grande collezione di libri in Iran – che alla moschea”, spiega Ali Alfoneh, ricercatore dell’Arab Gulf States Institute con sede a Washington.
Alla fine degli anni Cinquanta, questa passione lo introdusse nei salotti letterari di Mashhad, dove fece la conoscenza di scrittori locali, molti dei quali di sinistra. “Rimase particolarmente colpito da due personaggi: Ali Shariati, un intellettuale di Mashhad che nelle sue opere polemiche mescolava sciismo e marxismo, e il romanziere Jalal Al-e Ahmad, che imputava l’arretratezza e il sottosviluppo dell’Iran all’emulazione dell’Occidente da parte del regime Pahlavi”, racconta Ali Alfoneh. Il giovane si trasferì quindi a Qom, dove visse dal 1958 al 1964. Si tratta di un periodo decisivo, perché qui incontra l’ayatollah Ruhollah Khomeini, la cui opposizione alla modernizzazione dell’Iran sotto il regime dello Scià – ritenuta contraria all’Islam – avrà su di lui un’innegabile influenza.
Ali Khamenei durante la Rivoluzione islamica. Wikicommons. https://khamenei.ir/
Influenzato dal movimento Fadayan-e Islam – un gruppo fondamentalista sciita fondato alla fine degli anni Quaranta da Navab Safavi – Ali Khamenei abbracciò pienamente l’ideologia rivoluzionaria dell’Ayatollah Khomeini e contribuì a reclutare nuovi militanti per sostenere il progetto del suo maestro. Tornò quindi a Mashhad, dove rimase fino allo scoppio della Rivoluzione islamica. Questo periodo fu intervallato da esperienze di detenzione a Teheran e di esilio per dissidenza politica.
Soprattutto, nel 1967, traduce in persiano l’opera del fratello musulmano Sayyid Qutb “al-Mustaqbal li-hadha al-din” (Il futuro di questa religione), in cui l’autore difende la supremazia politica dell’Islam. Nella prefazione alla sua traduzione, Ali Khamenei sostiene che l’Islam deve modernizzare il suo messaggio se vuole attrarre le giovani generazioni.
Secondo lui, la maggior parte dei musulmani limita la religione ai rituali. È una visione quietista che trascura la sua forza rivoluzionaria, non sconvolge l’ordine sociale e politico ed è perfettamente accettabile per le potenze imperialiste occidentali. Questo rifiuto dell’Occidente ha avuto luogo nel contesto internazionale di un’epoca in cui il Terzo Mondo stava guadagnando terreno in ogni angolo del pianeta. Ma si rifà anche alla dolorosa storia dell’ingerenza britannica e americana nel Paese, dal monopolio del tabacco concesso dallo scià agli inglesi nel 1890 all’Operazione Ajax del 1953 e all’alleanza tra gli Stati Uniti e la dittatura Pahlavi.
“Ali Khamenei è un prodotto del suo tempo. Si è fatto le ossa in politica negli anni ’60 e ’70, in un periodo di sperimentazione rivoluzionaria e di immaginazione politica su scala globale, anche nella sua città natale, Mashhad”, sottolinea lo storico Arash Azizi. “Era anche un’epoca segnata dall’estremismo in politica. La sua visione è stata plasmata dal fervore di un periodo in cui la sfida al potere comprendeva imprigionamenti, attentati e assassinii, non solo in Iran ma in tutto il mondo, anche in Germania e in Italia con la Fazione dell’Armata Rossa e le Brigate Rosse, ad esempio.
Stratega
Il 16 gennaio 1979, l’ultimo scià dell’Iran, Mohammad Reza Pahlavi, lasciò Teheran per sempre. Una pagina è stata voltata, un’altra è stata aperta. Il 1° febbraio, l’ayatollah Rouhollah Khomeyni è tornato trionfalmente dopo 14 anni di esilio. Ma l’insediamento del nuovo regime fu presto minacciato dal vicino Iraq. Nel 1980, l’esercito di Saddam Hussein invase il Paese. Questo segnò l’inizio di una guerra durata otto anni che avrebbe causato centinaia di migliaia di vittime. All’interno, i gruppi di sinistra che in precedenza avevano combattuto a fianco degli islamisti furono esclusi dal governo. Il governo raddoppiò la violenza contro qualsiasi forma di opposizione. Era il momento di consolidare l’apparato repressivo del nascente regime.
Nel giugno 1981, mentre si accingeva a tenere un sermone nella moschea Abouzar di Teheran, Ali Khamenei sfuggì a un attentato. Perse l’uso della mano destra e parte dell’udito. Pochi mesi dopo, fu nominato Presidente della Repubblica islamica. “All’epoca, la carica non era molto importante. Il Primo Ministro, Mir Hossein Moussavi, e il Presidente del Parlamento, Akbar Hashemi Rafsanjani, avevano più potere”, osserva Arash Azizi. Durante la guerra Iran-Iraq, Ali Khamenei non ha avuto un ruolo di primo piano, se non quello di contribuire a stabilire le relazioni internazionali del regime, come dimostrano il suo viaggio a New York, presso la sede delle Nazioni Unite, nel 1987, e la sua visita in Corea del Nord nel 1989.
Da allora non ha mai messo piede all’estero.
Gli anni ’80 sono stati un periodo di brutalità senza precedenti, culminato nell’esecuzione di decine di migliaia di oppositori politici nel 1988. Ma all’epoca Ali Khamenei era solo un anello della catena. Le sue prerogative erano limitate.
Ma dietro la sua facciata austera si nasconde uno stratega impareggiabile. Il suo amico di lunga data, Akbar Hashemi Rafsanjani, lo avrebbe imparato a sue spese. Quando Khomeini morì nel giugno 1989, l’Assemblea degli Esperti dovette eleggere il suo successore. Rafsanjani era all’epoca una figura influente nella Repubblica islamica e convinse i cauti membri di questo organo costituzionale a scegliere Ali Khamenei. Nella sua mente, la futura Guida Suprema – o “rahbar” – sarebbe stata l’uomo di punta del regime, mentre lui stesso avrebbe governato dietro le quinte. È stato quindi necessario modificare la Costituzione per consentire l’elezione di un leader con qualifiche religiose insufficienti. All’epoca, Ali Khamenei era solo un chierico di medio livello, un “hojatolislam”.
Tutti i rami del governo e le istituzioni associate sono sotto il controllo del velayat-e-faqih, cioè del “rahbar”. La carica di Primo Ministro è stata abolita, mentre la presidenza è stata affidata all’autorità esecutiva. Rafsanjani bramava questa posizione, pensando di poterla usare per controllare Ali Khamenei. I suoi calcoli si sono rivelati sbagliati: sebbene Khamenei abbia corso con successo alle elezioni per due volte, l’ascesa al potere del suo “protetto” – a cui aveva aperto tutte le porte – lo ha messo da parte.
Dopo la sua nomina, la Guida Suprema fu elevata al rango di “ayatollah” – un titolo indebitamente attribuitogli per gli scopi della sua carica – e iniziò a ristrutturare la Repubblica in un ambiente trasformato. La guerra Iran-Iraq scosse i miti rivoluzionari. “Sebbene l’Iran sia riuscito a spodestare l’Iraq nel 1983, la Repubblica islamica voleva continuare la guerra per estendere la rivoluzione e si era posta l’obiettivo di rovesciare Saddam Hussein”, sottolinea Arash Azizi. “Ma ha fallito miseramente. Gli ideali islamici devono cedere il passo alla realtà: un Paese devastato che deve essere ricostruito; uno Stato senza alleati che deve imparare a negoziare e a ripensare la propria sicurezza. “Nel 1980, l’Iran è stato invaso dall’Iraq, ma il mondo intero, e in particolare i vicini arabi di Teheran, che percepivano l’Iran rivoluzionario come una minaccia maggiore del regime baathista, hanno sostenuto Baghdad”, afferma Ali Alfoneh. Questo è il motivo principale per cui la Repubblica islamica sta cercando di ottenere armi nucleari come deterrente finale contro gli avversari stranieri”. È anche sulle rovine di questo conflitto che è nato il progetto di Teheran basato sulla combinazione di missili e milizie. Non si dovevano più combattere battaglie in territorio iraniano. Ed è al di fuori dei suoi confini che la Repubblica islamica sta pazientemente costruendo le sue linee di difesa.
Buone pratiche
Consapevole delle sue carenze, Ali Khamenei si è affidato fin dall’inizio all’alleanza con le Guardie Rivoluzionarie per sviluppare il suo potere. Se prima della guerra i pasdaran avevano una legittimità costituzionale, il conflitto li ha trasformati nella principale forza militare del Paese. Grazie a questo “scambio di cortesie” con la Guida suprema, sono riusciti anche a costruire un impero economico che sfugge ai controlli del governo. Oggi controllano fino al 60% del PIL e traggono profitto da ogni tipo di traffico, in particolare quello di droga.
Ali Khamenei, da parte sua, può contare sui Pasdaran – e in particolare sulla milizia Bassidj, passata sotto l’autorità formale del comandante dell’IRGC nel 2007 – per sedare le varie ondate di protesta che hanno segnato il suo regno, dal movimento studentesco del 1999, al movimento Donne, Vita, Libertà del 2022, passando per il movimento verde del 2009 e la serie di rivolte guidate principalmente da richieste socio-economiche che hanno caratterizzato il periodo 2017-2021. La Guida suprema ricorda inoltre a ogni presidente che è l’unico a comandare. Negli anni ’90, la priorità di Khamenei era quella di preservare lo status quo, resistendo ai tentativi di Rafsanjani di sbarazzarsi delle istituzioni “rivoluzionarie”, ad esempio fondendo le Guardie rivoluzionarie con l’esercito regolare, e di riformare l’economia iraniana”, spiega Ali Alfoneh. In seguito, durante i due mandati del presidente riformista Mohammad Khatami (1997-2005), la Guida Suprema ha usato la sua onnipotenza per ostacolare i piani di una figura del sistema troppo liberale per i suoi gusti. Era un momento propizio per l’ascesa dei Guardiani della Rivoluzione nell’arena politica, come contrappeso alle ambizioni della presidenza. “Ali Khamenei aveva una legittimità religiosa, mentre Mohammad Khatami aveva una legittimità popolare”, afferma Tarek Mitri, vice primo ministro del Libano. “Non appena mi sono recato in Iran, da una visita all’altra, il Presidente ha perso parte del suo territorio. In un’occasione mi ha confidato di non avere più alcuna autorità sul Ministero dell’Istruzione. E la volta successiva, sentiva di non avere più alcuna influenza sul sistema giudiziario”, ricorda.
Mir-Hossein Mousavi e Mohammad Khatami nel 1985. Il primo era allora Primo Ministro (1981-1989) e il secondo Ministro della Cultura (1982-1992) della Repubblica Islamica. Wikicommons
La caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 ossessiona il “rahbar”. Ci pensa costantemente, considerandola la conseguenza delle riforme avviate sotto Gorbaciov. A suo avviso, la liberalizzazione economica e politica del potere aveva indebolito il controllo dello Stato sulla società, rendendola più ricettiva alle riforme e portando, in ultima analisi, alla disgregazione dell’Impero Rosso. Il destino dell’URSS ha alimentato la paranoia della Guida Suprema, anche tra coloro che erano ideologicamente più legati a lui.
Quando il presidente Mahmoud Ahmadinejad divenne presidente, Ali Khamenei continuò la sua fagocitazione delle istituzioni. All’apparenza, l’ultraconservatorismo del nuovo capo del governo aveva tutto per piacere. Infatti, il “rahbar” lo ha sostenuto con tutte le sue forze, fino a truccare le elezioni del 2009 a suo favore. Eppure. L’uomo stesso ha finito per cadere in disgrazia durante il suo secondo mandato. Populista schietto, il piantagrane iraniano moltiplicava le provocazioni e cercava di affermare la propria autonomia, fino a bruciarsi le dita.
A cosa serve la carica di Presidente se il suo titolare è legato mani e piedi? In realtà, la carica è preziosa agli occhi della Guida suprema. Gli permette di monopolizzare il potere senza mai essere chiamato a risponderne. E di delegare la responsabilità ai suoi successivi capi di governo… senza un briciolo di potere.
In quasi trentacinque anni di carriera, Ali Khamenei ha gradualmente sviluppato una presa quasi assoluta su tutto il funzionamento dello Stato e trae la sua legittimità anche dal suo status di “reggente”. Questo perché, secondo la dottrina del velayet-e faqih sviluppata dal suo predecessore, è proprio il “fakih”, la Guida Suprema, che dovrebbe avere il potere fino al ritorno del vero detentore, il dodicesimo e ultimo Imam o “maestro dei tempi”.
Ali Khamenei ora controlla il governo, comanda le forze armate e supervisiona il sistema giudiziario. Le istituzioni elette sono sfruttate in modo tale da rendere futile qualsiasi sfida al suo dominio. E per neutralizzare gli appetiti di alcuni e di altri, ha ingegnosamente costruito un’istituzione parallela per ogni ministero. Le decisioni vengono prese all’interno di una cerchia estremamente ristretta. Ma è lui ad avere l’ultima parola e non esita a mettere una parte contro l’altra, a seconda delle circostanze.
Una donna passa davanti a un murale che celebra Ali Khamenei. Teheran, 9 marzo 2022. Atta Kenare/AFP
Come se non bastasse, è a capo di un vasto impero economico che, secondo un’inchiesta della Reuters del 2013, ha un valore di 95 miliardi di dollari. Questa somma sbalorditiva proviene da un’entità opaca chiamata Setad. Il Setad è stato fondato da Ruhollah Khomeini poco prima della sua morte per gestire e vendere le proprietà abbandonate durante i disordini degli anni post-rivoluzionari. Sebbene il suo scopo fosse quello di aiutare i più poveri, nel corso del tempo si è trasformato in un gigantesco conglomerato con partecipazioni in molti settori dell’economia. Naturalmente, nulla indica che Ali Khamenei attinga direttamente ai fondi dell’organizzazione per arricchimento personale. Resta il fatto che nessun organismo può impedirgli di farlo e che questa fortuna gli fornisce risorse finanziarie particolarmente consistenti.
Ossessioni
In oltre quarant’anni, le promesse economiche, sociali e politiche del 1979 sono state tradite. La rivoluzione si è trasformata in una lunga controrivoluzione, con la sua parte di contraddizioni, che a loro volta hanno dato origine a impulsi rivoluzionari. In oltre quarant’anni, i tassi di istruzione e alfabetizzazione delle donne sono aumentati considerevolmente. Ma i loro diritti sono stati sempre più limitati. All’interno dell’Assemblea degli esperti – l’organo responsabile del controllo e dell’eventuale destituzione della Guida suprema, ma anche della nomina del suo successore alla sua morte – l’età media è di 65 anni. Degli 88 esperti, 52 sono nati negli anni ’50 o prima, come ha ricordato Arash Azizi in un articolo pubblicato nel giugno 2024. Per riprendere una frase dell’analista iraniano Karim Sadjadpour: “L’età mediana è morta”. Al contrario, l’età mediana della popolazione è di 33 anni.
Una donna senza velo si trova sul tetto di un veicolo mentre i manifestanti si dirigono verso il cimitero di Aichi a Saqez, luogo di nascita di Mahsa Amini, la cui morte dopo l’arresto da parte della polizia morale per “aver indossato un velo inappropriato” è stata il punto di partenza del movimento Donne, Vita, Libertà. 26 ottobre 2022. Foto AFP
Oggi la Repubblica islamica è una gerontocrazia bigotta che deve governare una società sempre più secolarizzata, con un’ampia fetta di giovani assetati di apertura. In 35 anni, il volto del Paese si è trasformato. Ma Ali Khamenei non si è mai liberato delle sue ossessioni. Il controllo del corpo delle donne e l’odio per l’America – per il quale è molto riconoscente – plasmano l’identità del regime. La copertura morale è la strumentalizzazione della causa palestinese. “Morte a Israele” rimane lo slogan operativo, insieme al sostegno a ciò che resta dell'”asse della resistenza””, sottolinea Barbara Slavin, ricercatrice senior presso lo Stimson Center. In realtà, però, l’ascesa al potere di Teheran nella regione non ha prodotto alcun guadagno politico sostanziale per i palestinesi. Israele è più forte che mai. L’eredità di Khamenei è costituita da rovine arabe e prigioni iraniane;
L’obiettivo è strutturale: smantellare il nucleo di potere dell’Iran. Scopri perché la retorica nucleare è una copertura per una più ampia strategia di logoramento del regime.
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Geopolitics Brief si fa strada tra la confusione con riflessioni spontanee e stimolanti sugli sviluppi globali. Libero dalla routine e guidato dalla pertinenza, emerge al momento giusto: evidenziando ciò che è significativo, sorprendente o semplicemente degno di essere analizzato più attentamente.
Nell’intensificarsi dello stallo tra Israele e Iran , non è la preoccupazione visibile per l’arricchimento dell’uranio a definire la logica strategica di fondo, quanto piuttosto un più profondo confronto strutturale tra sistemi statali. Ciò che apparentemente si presenta come una disputa sulla tecnologia nucleare è, in sostanza, uno scontro tra due imperativi strategici inconciliabili: la ricerca di preminenza regionale e sicurezza del regime da parte di Israele, e la ricerca di deterrenza e autonomia geopolitica da parte dell’Iran. Il dossier nucleare funge meno da vero e proprio vettore di minaccia e più da quadro di legittimazione: uno strumento narrativo utilizzato per giustificare azioni militari e politiche che servono obiettivi più ampi e non dichiarati. Questa disgiunzione tra obiettivi proclamati e comportamento operativo sottolinea quanto la moderna arte di governare, in particolare nei dilemmi di sicurezza ad alto rischio, sia governata non dalla retorica politica, ma da vincoli e pressioni strutturali persistenti.
Al centro di questo scontro si trova una contraddizione fondamentale radicata nella percezione che Israele ha del regime iraniano. Sotto il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, il pensiero strategico israeliano non tratta la Repubblica Islamica semplicemente come uno Stato rivale con capacità problematiche; al contrario, considera la natura stessa del regime clerico-militare iraniano come una minaccia permanente ed esistenziale alla sicurezza nazionale israeliana. Questa percezione non è semplicemente ideologica, ma si fonda su una valutazione a lungo termine che considera inaccettabile qualsiasi regime a Teheran con ambizioni regionali e capacità militare-industriale autonoma. Di conseguenza, l’apparato di sicurezza israeliano ha elevato l’imperativo del contenimento del regime (se non della sua destabilizzazione) a pilastro centrale della propria dottrina. La questione nucleare, in questo contesto, non è trattata come un fine in sé, ma come un flessibile strumento di giustificazione. Fornisce copertura politica e diplomatica a operazioni militari che mirano fondamentalmente a indebolire o smantellare la capacità statale dell’Iran.
Questa logica strategica è una conseguenza diretta della Dottrina Begin , formulata per la prima volta nei primi anni ’80, che afferma che Israele non permetterà agli stati ostili nella regione di acquisire armi nucleari. Inizialmente applicata in operazioni chirurgiche specifiche (come l’attacco aereo del 1981 al reattore iracheno di Osirak e il bombardamento del 2007 dell’impianto siriano di Al-Kibar), la dottrina si è evoluta, sotto Netanyahu, in un quadro molto più ampio. Quella che un tempo era una linea guida operativa per prevenire la capacità nucleare tecnica è diventata un approccio programmatico alla negazione strategica; ora si concentra non solo sulla distruzione delle infrastrutture, ma anche sul minare la continuità istituzionale dei regimi avversari. Il passaggio operativo da attacchi limitati ai reattori ad attacchi ad ampio spettro contro la struttura di comando iraniana riflette questa portata ampliata. Che questa strategia possa avere successo o meno è irrilevante; ciò che conta è che, strutturalmente, Israele non sta cercando di impedire una bomba: sta cercando di far crollare il sistema che potrebbe ordinarne la costruzione.
L’Iran, da parte sua, ha mantenuto una posizione di deliberata ambiguità nucleare da quando ha interrotto il suo programma di armamenti palesi nel 2003, in seguito alle rivelazioni dell’intelligence internazionale. Questa posizione è stata caratterizzata da un attento equilibrio: progressi tecnici sufficienti a mantenere viva la leva negoziale, ma non sufficienti a giustificare una rappresaglia militare su vasta scala o l’applicazione universale di sanzioni. Questa strategia di latenza (preservare l’infrastruttura tecnica e la base di conoscenze necessarie per una rapida “evasione” senza effettivamente armare) è servita a contenere le minacce esterne, preservando al contempo la coesione interna del regime. All’interno dell’Iran, la strategia riflette un compromesso tra fazioni: i sostenitori della linea dura in materia di sicurezza che considerano essenziale la deterrenza nucleare e i tecnocrati moderati che danno priorità all’integrazione economica e all’alleggerimento delle sanzioni. Tuttavia, l’escalation di Israele minaccia di sconvolgere questo equilibrio. Prendendo di mira individui e istituzioni allineati alla moderazione, gli attacchi israeliani potrebbero rafforzare la posizione di coloro che sostengono una deterrenza nucleare palese.
La tempistica delle azioni di Israele è altrettanto istruttiva. Con Hezbollah temporaneamente indebolito dalle recenti operazioni israeliane e gli Stati Uniti sotto un’amministrazione poco incline a limitare l’azione israeliana, l’equilibrio di potere regionale si è spostato a favore di Israele. Netanyahu, incontrando scarsa resistenza istituzionale all’interno del suo governo o della gerarchia militare, ha colto questa finestra strategica permissiva per imporre un dilemma alla leadership iraniana: reagire e rischiare una guerra regionale devastante senza il supporto garantito di Russia o Cina, oppure astenersi e subire un crollo reputazionale che potrebbe mettere a repentaglio la stabilità interna del regime. Il punto non è semplicemente imporre una decisione tattica, ma mettere sotto pressione il regime strutturalmente (per esacerbare le contraddizioni tra le sue esigenze strategiche e i vincoli operativi).
In questo contesto, la narrazione nucleare funziona meno come un vero e proprio avvertimento e più come un facilitatore operativo. Le affermazioni di Netanyahu secondo cui l’Iran possiede abbastanza uranio arricchito per ” nove bombe atomiche ” sono tecnicamente errate ( l’Iran non ha arricchito l’uranio oltre il 60% di purezza , mentre l’arricchimento per uso militare inizia al 90%), ma politicamente efficaci. Queste esagerazioni servono a costruire un senso di minaccia imminente, autorizzando così un’azione militare prolungata in nome della difesa preventiva. Creano urgenza, mobilitano il sostegno pubblico e delegittimano l’impegno diplomatico, liberando così lo spazio politico necessario per l’escalation.
La risposta dell’Iran è stata cauta ma rivelatrice. Il regime continua a presentare ” Questionari Informativi di Progettazione ” all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) per i nuovi impianti di arricchimento, mantenendo una sottile corazza di cooperazione. Allo stesso tempo, ha ridotto la collaborazione sostanziale con gli ispettori dell’AIEA , limitando la visibilità sulle sue attività nucleari. Questa duplice strategia di segnalazione è progettata per tenere socchiusa la porta diplomatica e al contempo comunicare la propria determinazione al pubblico nazionale e internazionale. Ma la sua efficacia sta diminuendo. Quando gli avversari considerano l’esistenza stessa di un regime come il problema, un’adesione graduale non offre alcun sollievo.
In tali condizioni, la deterrenza inizia a invertire la sua funzione. Invece di dissuadere gli attacchi israeliani, l’attuale mancanza di un deterrente nucleare da parte dell’Iran li invita. Il regime, profondamente consapevole del destino dei leader privi di armi nucleari (da Saddam Hussein a Muammar Gheddafi), potrebbe considerare sempre più la militarizzazione non solo auspicabile, ma essenziale per la sopravvivenza del regime. Ciò segnerebbe un passaggio decisivo da una strategia di calcolata ambiguità a una di deterrenza palese, guidata non da zelo ideologico ma da necessità materiali. Questo potenziale cambiamento rispecchia la traiettoria nordcoreana: un programma un tempo ambiguo, consolidatosi in una capacità di deterrenza palese in risposta a una minaccia esistenziale. I calcoli interni dell’Iran potrebbero ora inclinarsi nella stessa direzione.
Nel frattempo, i meccanismi internazionali progettati per contenere tale escalation appaiono inerti. Le condanne dell’AIEA sono diplomaticamente significative, ma prive di potere esecutivo in assenza di un consenso tra le principali potenze. Data la dipendenza economica della Cina dal petrolio iraniano e la cooperazione militare-industriale della Russia con Teheran (in particolare nello scambio di droni e tecnologia militare), nessuna delle due è propensa a sostenere ulteriori sanzioni. Gli Stati Uniti, da parte loro, hanno declassato il rientro nel Piano d’azione congiunto globale (JCPOA), avendo ceduto l’iniziativa nella regione a Israele.
Pertanto, la logica dello scontro si è autoalimentata. Israele è strutturalmente costretto a mantenere la pressione attraverso attacchi ricorrenti per impedire all’Iran di riorganizzarsi e consolidare la propria posizione. L’Iran, a sua volta, è sempre più spinto a perseguire una deterrenza nucleare dichiarata come unica via praticabile per la sicurezza del regime. Questo circolo vizioso rimodella le dinamiche politiche interne di entrambi gli Stati. In Iran, è probabile che il processo decisionale si sposti a favore delle fazioni che propugnano la militarizzazione (non per zelo ideologico, ma perché ogni altro modello di sopravvivenza ha fallito sotto pressione). In Israele, l’inerzia strategica garantisce una continua escalation come politica predefinita, soprattutto sotto una leadership che considera il contenimento come capitolazione.
Le soluzioni negoziate, un tempo basate su una reciproca modificazione comportamentale, appaiono ora strutturalmente obsolete. Israele non accetta più la premessa che il comportamento iraniano possa essere riformato. L’Iran giunge sempre più alla conclusione che la moderazione porti solo vulnerabilità. Il conflitto si è sganciato dal quadro diplomatico e si è integrato nei meccanismi della politica di potenza. In un simile contesto, la deterrenza non è un equilibrio stabile, ma una soglia mobile, continuamente ridefinita dalle mutevoli percezioni della minaccia e dall’evoluzione delle capacità militari. Ciò che rimane non è una tabella di marcia verso la pace, ma un terreno strategico governato dalla forza, dall’attrito e dalla logica sistemica della sopravvivenza preventiva.
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L’Iran ha lanciato la fase successiva della sua operazione True Promise 3.0, prendendo di mira vari siti di infrastrutture energetiche e militari israeliane. Questa volta si è trattato di missili ipersonici Fattah-1 di ultima generazione, che hanno avuto un impatto abbagliante su Tel Aviv e sul nord di Israele: uno spettacolo così spettacolare da rivaleggiare solo con gli attacchi di Oreshnik dell’anno scorso:
Le scene erano quasi troppo irreali per essere credibili, come se si trattasse di un blockbuster di Michael Bay troppo prodotto. Tra gli obiettivi c’erano la raffineria di Haifa e il centro di ricerca israeliano del Weizmann Institute for Science di Rehovot, vicino a Tel Aviv:
Che ruolo ha la raffineria di Haifa che l’Iran ha preso di mira? La raffineria di petrolio di Haifa, nel nord della Palestina occupata, fornisce oltre il 60% del fabbisogno di carburante di Israele, dalla benzina e il diesel al carburante per l’aviazione. Con questi impianti danneggiati nell’attacco iraniano di questa notte, Israele dovrà affrontare un problema di carburante. Il successo dell’attacco alla raffineria di Haifa è un colpo strategico alla spina dorsale economica e militare di Israele. Il fatto che Israele taccia sugli impatti alla sua raffineria, e non abbia ancora detto nulla, ma si sia concentrato sull’impatto a Tamra – che credo sia stato causato da un missile intercettore fallito di Israele (staremo a vedere) – dimostra che il danno è stato doloroso. Ed è solo l’inizio…
Il New York Times, citando immagini condivise, riferisce che il centro di ricerca israeliano, il Weizmann Institute for Science, è stato danneggiato da un missile balistico iraniano negli ultimi attacchi al centro di Israele. L’edificio si trova a Rehovot, a sud di Tel Aviv, e secondo quanto riferito è scoppiato un incendio in uno degli edifici che contengono i laboratori.
Nel frattempo, Israele ha colpito anche il più grande giacimento di gas naturale dell’Iran, il South Pars, che è anche il più grande del mondo:
Israele sta bombardando la capacità dell’Iran di esportare petrolio e gas naturale. Ciò eliminerà la capacità dell’Iran di esportare circa 2 milioni di bpd, la maggior parte dei quali è destinata alla Cina. Il giacimento di gas naturale iraniano South Pars è stato chiuso, il giacimento petrolifero di Shahran è in fiamme. Diverse raffinerie di petrolio in Iran sarebbero in fiamme. Questo causerà una carenza di benzina e diesel in Iran. I prezzi del petrolio e del gas naturale saliranno alle stelle all’apertura dei mercati lunedì.
Tuttavia, il primo ciclo di attacchi di Israele ha prevedibilmente causato molti meno danni di quelli dichiarati. La maggior parte delle persone non ha idea di come si faccia il BDA e salta semplicemente a conclusioni basate su immagini emotive di un oggetto “distrutto” o di un altro.
Prendiamo ad esempio l’impianto di Tabriz: uno o due piccoli edifici sono stati “danneggiati”:
Natanz – un impianto gigantesco, come si può chiaramente vedere – ha visto alcuni trasformatori di potenza e una sottostazione ricevere danni da lievi a moderati:
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Inoltre, è stato anche mostrato che la maggior parte dei filmati degli attacchi di Israele contro i mezzi terrestri iraniani si sono rivelati delle esche, in quanto nessuno degli MRBM è stato visto accendersi dopo che i massicci ordigni sono atterrati sopra di loro.
Allo stesso modo, le affermazioni sulla “superiorità aerea israeliana” erano uno sciatto intruglio messo insieme da filmati di droni IAI Heron a bassa quota che volteggiavano brevemente su Teheran per foto di pubbliche relazioni, probabilmente prima di essere abbattuti, mentre sono emersi filmati di alcuni “grandi aerei” che l’Iran sosteneva fossero F-35 distrutti, ma che probabilmente erano droni. Inoltre, le affermazioni sul successo dell'”infiltrazione” israeliana e sulle “basi segrete” sono apparse più che altro un’esagerazione di psyop, poiché è emerso che gli israeliani operavano da basi segrete dell’Azerbaigian, lanciando droni e vari altri oggetti contro l’Iran da ogni direzione. Questo, tra l’altro, non è niente di nuovo: risale al 2012:
L’unica parte dell’operazione che ha avuto un relativo successo è stata l’assassinio di leader iraniani chiave e di figure nucleari.
Dopo gli attacchi avevo postato su Twitter:
Il test di falsificabilità definitivo sul “successo” degli attacchi israeliani: guardate quanto velocemente Israele affermerà che l’Iran è “ancora una volta” vicino a ottenere la bomba. Ora si festeggia, ma tra 2-3 mesi Bibi strillerà che l’Iran è di nuovo “al 90%” dell’arricchimento.
La domanda più grande: quando Bibi strillerà tra 2-3 mesi, gli attuali “celebratori” ammetteranno che gli attacchi sono stati un fallimento totale? O verrà nascosto sotto il tappeto come tutte le volte precedenti…?
Sembra che la mia previsione si sia avverata molto prima, perché quasi immediatamente è stato annunciato che Israele è effettivamente incapace di distruggere il programma nucleare iraniano, e che Israele ha chiesto urgentemente l’aiuto degli Stati Uniti per farlo:
Axios scrive che a Israele mancano i grandi bunker buster e i loro bombardieri strategici per infliggere danni reali alle strutture sotterranee chiave dell’Iran:
Israele non può bombardare impianti nucleari nelle montagne iraniane senza gli USA
Israele non ha le bombe bunker necessarie per distruggere l’impianto nucleare di Fordow sulle montagne.
Le hanno gli Stati Uniti. Un funzionario israeliano ha detto ad Axios che “gli Stati Uniti potrebbero ancora unirsi all’operazione e che il presidente Trump ha persino suggerito che lo avrebbe fatto se necessario quando ha parlato con Netanyahu nei giorni precedenti l’attacco”.
“Ma un portavoce della Casa Bianca ha smentito, dicendo ad Axios che Trump aveva detto il contrario. Il funzionario ha detto che gli Stati Uniti non intendono essere direttamente coinvolti in questo momento”, scrive la pubblicazione.
RVvoenkor
Il piano è sempre stato ovviamente quello di spingere l’Iran ad una risposta schiacciante che avrebbe in qualche modo incitato gli Stati Uniti ad entrare in guerra per conto di Israele, al fine di finire l’Iran. Il programma nucleare era probabilmente un falso obiettivo, mentre il vero obiettivo era il rovesciamento totale della leadership iraniana e la fomentazione di rivolte civili in tutto il Paese per mettere l’Iran alle strette sotto un governo fantoccio guidato dall’Occidente.
Ora Trump si trova sul filo del rasoio di una delle sue decisioni più critiche: se tradire il mandato del popolo americano e consegnare il suo secondo mandato e la sua eredità in declino al cumulo di rifiuti della storia, o se tirarsi indietro dai lacci di Miriam Adelson e altri donatori e mostrare una spina dorsale nel difendere la vera visione “America First” che ha promesso a tutti. Al momento in cui scriviamo, ci sono notizie di riunioni urgenti al Pentagono che riguardano proprio la questione della richiesta di Israele agli Stati Uniti di entrare ufficialmente in guerra per “finire l’Iran”.
Yanis Varoufakis scrive:
Questa è la Waterloo di Trump. Si è presentato come il Leviatano che avrebbe portato una pace furtiva, un accordo intelligente che evitasse una guerra con l’Iran. Poi, con un’altra grave violazione del diritto internazionale, Netanyahu lo mette in una piccola scatola: Perché o Trump sapeva dell’attacco, nel qual caso non è altro che il tirapiedi di Netanyahu. Oppure non lo sapeva, il che porta a chiedersi perché non lo sapeva e come reagirà al fatto di essere trattato come un pazzo da Netanyahu. In ogni caso, l’immagine di Trump come uomo forte e capace di concludere accordi è ormai andata in fumo. In ogni caso, passerà alla storia come l’ennesimo Presidente degli Stati Uniti che Netanyahu ha piegato alla sua volontà genocida.
L’intero mondo non occidentale guarda ora con il fiato sospeso questo momento di svolta cruciale: Trump può fare una mossa per riscattare almeno qualche speranza perduta per la leadership globale dell’America, o invece piantare il chiodo finale nella sua bara, edificando per sempre il nascente Sud globale sulla vera natura dell’Occidente immorale, barbaro e senza principi. È un bivio metafisico: Trump rimarrà fedele alla sua missione quasi spirituale di miglioramento del mondo, oppure affogherà gli Stati Uniti nel sangue dell’imperialismo neocon.
Su X avevo ipotizzato che, per quei “credenti” dal cappello bianco, ci fosse una piccola possibilità che Trump ci prendesse per matti in una partita di scacchi in 5D. L’ultima volta abbiamo appreso che avrebbe ingannato l’Iran, cullandolo in un falso senso di sicurezza solo per permettere a Israele di lanciare il suo vile attacco a sorpresa.
Ma se Trump avesse in realtà teso una trappola a Israele per tutto il tempo? Israele si aspettava che gli Stati Uniti si unissero e “finissero l’Iran”, mentre ora Trump potrebbe togliere loro il tappeto da sotto i piedi, abbandonando Israele al suo destino e lasciando invece che sia l’Iran a finire Israele, o almeno a facilitare la deposizione del regime di Bibi. Potrebbe essere? Forse c’è una piccola possibilità che sia possibile, se Trump è molto più intelligente di quanto gli attribuiamo – o semplicemente molto più stufo di Bibi.
La controprova più fondata di questa teoria è stata fornita da Zei_Squirrel:
[Gli Stati Uniti e Israele non hanno lanciato questa guerra per cercare di eliminare i siti nucleari. Sanno di non poterlo fare. Sono troppo ben protetti e dispersi e qualsiasi danno può essere ricostituito nel breve termine. L’hanno lanciata per provocare il collasso totale dello Stato in Iran, iniziando per fasi. La prima fase consisteva nell’eliminare i vertici militari e dell’IRGC, dando la caccia anche agli scienziati e uccidendo in massa i civili.
In questo modo si creerebbe la falsa impressione che siano ancora in qualche modo limitati e concentrati su obiettivi militari/nucleari.
Dopo aver ricevuto quella che si aspettano sarà una risposta altrettanto contenuta da parte dell’Iran, la vedranno come una conferma che l’Iran non si atterrà alle sue linee rosse dichiarate e che ha ancora paura di incontrare Israele allo stesso livello di escalation.
Questo è il loro via libera per passare alla fase successiva, che consiste nel colpire e uccidere i principali leader politici, compreso Khamenei.
La loro speranza non è quella di sostituire l’attuale governo e lo Stato con una sorta di riedizione del fascista sionista monarchico attraverso i suoi fallimenti, perché sanno che non c’è una base di sostegno per questo all’interno del Paese.
La loro speranza è di fare un’altra Libia e un’altra Siria: Scatenare forze per procura che finanziano e armano insieme ai regimi fantoccio dello “scudo arabo” del Golfo e alla NATO-Erdogan e trasformarla in una spirale di morte e caos, una “guerra civile” inventata in cui gli iraniani sono pagati e armati dalla CIA e dal Mossad per uccidere gli iraniani.
Il MEK e altre forze per procura di questo tipo sono già state addestrate e preparate e sono pronte per essere attivate. Inizieranno con autobombe e attacchi terroristici che uccideranno in massa i civili. L'”ISIS” riapparirà di nuovo e farà il suo tipico lavoro per i loro padroni della CIA-Mossad.
Gli Stati Uniti e Israele hanno deciso di lanciare questa guerra da prima che Trump fosse eletto, e ha il pieno e totale sostegno dell’intero complesso militare-intelligenziale-industriale statunitense, dei media e della classe politica, sia repubblicana che democratica, e sarebbe successo anche se Kamala Harris avesse vinto le elezioni.
Vedono l’Iran e l’Asse della Resistenza e la sua alleanza con Russia e Cina come il principale ostacolo alla piena e totale egemonia imperiale sionista USA-NATO-Israeliana nella regione e, per estensione, nel mondo, e vogliono distruggerlo perché è l’unico che, a differenza di Russia e Cina, non ha un deterrente nucleare e vogliono raggiungerlo prima che lo ottenga.
Si tratta di una guerra esistenziale di sopravvivenza non solo per lo Stato iraniano, ma per l’Iran come nazione.
Se questo progetto avrà successo, il Paese sarà balcanizzato, le divisioni etniche saranno fomentate da attori stranieri, la CIA e il Mossad e le marionette del Golfo finanzieranno e armeranno decine di squadre di morte e di stupro per procura che si aggireranno nei loro feudi, decine di milioni di vite saranno distrutte.
Bisogna fare di tutto per impedirlo. L’Iran ha le armi per farlo. Ha la capacità di farlo, è solo una questione di volontà. Ha la volontà di fare ciò che serve per evitare la distruzione di massa del proprio popolo e della propria nazione? Io spero di sì. Tutti noi dobbiamo sperare che sia così.
La mia previsione su cosa accadrà?
Dipende tutto dalla decisione di Trump, ma se sceglierà di non entrare in guerra, allora gli attacchi di Israele si attenueranno dopo pochi giorni, ed entrambe le parti cercheranno probabilmente una de-escalation, mentre entrambe dichiareranno una “vittoria importante” al rispettivo pubblico nazionale. Israele si inventerà una serie di obiettivi che sono stati “portati a termine” e questo sarà tutto, dopodiché la situazione interna di Israele si deteriorerà rapidamente, poiché nessuno sarà convinto che Israele abbia “vinto” qualcosa o che abbia arrecato danni seri all’Iran.
Ma se gli Stati Uniti entrano, allora o si scatena l’inferno e l’Iran mantiene la promessa di chiudere lo Stretto di Hormuz, mandando potenzialmente il mondo in tilt economico, oppure – per placare i suoi responsabili israeliani – Trump sventola uno show strike “devastante” e dichiara i siti nucleari iraniani “cancellati” e si ritira immediatamente per iniziare un nuovo regime di de-escalation con l’Iran.
Ho una probabilità di 70/30 che negli Stati Uniti prevalga il buonsenso e che Trump decida di non entrare in guerra, e che le cose vadano nella direzione della prima opzione, ma vedremo come si evolverà.
Come ultimo elemento, ecco un video profetico del capo scienziato nucleare iraniano Feyerdoon Abbasi che recentemente ha discusso della sua potenziale fine per mano israeliana:
Sembrava accettare il suo destino con calma e grazia, sapendo che il Paese era stato lasciato nelle abili mani della generazione più giovane.
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Botte da orbi tra Iran e Israele (per i meno raffinati)
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Ursula von der Leyen potrebbe approfittare del momento e candidarsi come nuovo Capo di Stato Maggiore dell’Iran, paese che sicuramente ha più bisogno di un piano di riarmo rispetto all’Unione Europea.
Cerchiamo di spiegare cosa è successo e cosa potrebbe accadere senza l’utilizzo degli slogan tanto cari ai giornalisti.
· I fatti
Ieri notte Israele ha attaccato l’Iran con oltre 300 bombe lanciate da 200 aerei da combattimento (F-35, F-16 e F-15). Ha colpito la capitale Teheran e Tabriz, le centrali nucleari di Natanz e Arak, alcuni siti militari e diverse zone residenziali dove sono stati uccisi quattro membri dei vertici militari e sei scienziati addetti al programma nucleare, oltre al capo negoziatore (schema simile a quello utilizzato l’anno scorso contro Hezbollah e Hamas).
L’Iran non ha inizialmente reagito perché i servizi segreti israeliani avevano distrutto o disabilitato le difese aeree tramite squadre di incursori presenti sul territorio. È la terza volta in un anno che il Mossad si muove abbastanza liberamente nella ex Persia.
Israele ha poi proseguito l’offensiva fino a questa mattina, prendendo di mira nuovamente la capitale Teheran, alcune infrastrutture militari, diverse città secondarie e il più importante sito nucleare iraniano, quello di Fordow, protetto da un bunker a diversi metri di profondità e in parte all’interno di una montagna. Stupisce l’accuratezza degli attacchi, niente a che vedere con quanto avviene a Gaza, segno che i missili erano probabilmente guidati da agenti nascosti nelle vicinanze degli obiettivi.
In serata le difese antiaeree iraniane hanno ripreso a funzionare e così la guida suprema Alì Khamenei ha dato il via libera alla ritorsione, durata tutta la notte e condotta tramite droni e missili balistici (alcuni ipersonici). Tel Aviv è stata il bersaglio preferito, ma anche la Cisgiordania e il Nord di Israele sono stati interessati. Pare che anche la centrale nucleare di Dimona e le basi da cui sono partiti gli aerei siano state attaccate. Al momento in cui scrivo le ostilità sono cessate da poco.
· Considerazioni tecniche
I servizi segreti israeliani, grazie a decenni di esperienza sul campo, sono riusciti a infiltrarsi in diverse zone dell’immenso Iran e, tramite droni, missili guidati e probabilmente apparecchi per la guerra elettronica, a distruggere o disabilitare i sistemi di difesa antiaerea iraniana. I loro jet hanno così potuto operare indisturbati dai cieli dell’Iraq (ad oggi ancora sotto controllo USA). Le poche difese rimaste attive si sono concentrate a proteggere i siti sensibili della capitale e la centrale di Fordow che pare non abbia subito danni. Si tenga presente che la maggior parte delle installazioni militari iraniane si trova a molti metri di profondità ed è per questo difficilmente raggiungibile dai missili. Grazie a ciò, L’Iran è stato in grado di reggere l’urto e contrattaccare.
Non avendo un’aviazione paragonabile a quella di Israele, si è affidato a droni e missili balistici. I primi hanno impiegato diverse ore per raggiungere Israele e sono stati utilizzati come esche per le difese, mentre i secondi sono arrivati a destinazione in una quindicina di minuti (sette per gli ipersonici) saturando il sistema di difesa a 3 strati che protegge il territorio israeliano.
Tirando le somme, come la guerra russo ucraina ci insegna, difendersi da un aggressione dal cielo è assai più complicato e costoso che attaccare, mentre via terra è esattamente il contrario. Sono quindi fondamentali la sorveglianza dei confini e il monitoraggio dei siti sensibili per non ritrovarsi spiacevoli sorprese. Se nei primi 20 anni del millennio siamo stati ossessionati dalla privacy, nei prossimi 20 lo saremo dalla sicurezza. I droni low cost han cambiato gli scenari bellici.
· Considerazioni politiche
Ci sono 4 Stati nel mondo che adottano una politica estera spregiudicata: la Turchia, il Rwanda, gli Stati Uniti e Israele (lasciamo stare per il momento il conflitto russo ucraino). Mentre per i primi 3 esistono dei limiti, o per lo meno cercano ogni tanto di tirare un colpo al cerchio e uno alla botte, per il quarto no.
Israele ha un piano ben preciso da almeno 30 anni (in realtà da molto prima, lo vedremo prossimamente) e con l’aiuto degli Stati Uniti sta cercando di implementarlo. È quello delle famose 7 guerre per assumere il controllo del Medio Oriente rivelato dal generale USA Wesley Clark nel 2001 (qui). All’appello mancava solo l’Iran che, senza il supporto made in USA, non sarebbe stato attaccato.
Quindi, da ieri anche gli Stati Uniti sono in guerra con l’Iran. Con buona pace di Tulsi Gabbard (direttrice dell’Intelligence), di Steve Witkoff (il vero ministro degli esteri USA) e del giornalista Tucker Carlson che hanno cercato in tutti i modi di spiegare a Trump che con l’Iran bisognava giungere ad un accordo.
A Netanyahu, invece, va bene così, è un presidente adatto a tempi di guerra (come qualcun altro più a nord); in tempi di pace probabilmente la sua carriera politica finirebbe in un amen.
A Teheran per ora pare facciano finta di niente e attacchino solamente obiettivi israeliani, evitando di colpire le numerose basi USA presenti in Medio Oriente. Certo il colpo subito è stato pesante, anche perché era nell’aria nonostante gli imminenti negoziati con gli inviati di Trump.
Impedire all’Iran di fabbricare la bomba atomica sembra quindi un pretesto. Tra l’altro basterebbe che Teheran ne chiedesse una decina delle 6 mila in dotazione a Mosca per averla già domani in pronta consegna; peccato che anche la Russia sia contraria a un Iran atomico perché poi lo diventerebbero anche le monarchie del Golfo (Arabia, Qatar). Certo, qualche sistema di difesa avanzato e qualche caccia la Russia potrebbe fornirlo in tempi rapidi, ma il presidente Putin ragiona con schemi diversi; basti pensare che è l’unico Capo di Stato ad aver già parlato al telefono con le due controparti. L’Iran è sì un suo alleato, ma in Israele vivono circa 1 milione e mezzo di russi.
La Cina, la Turchia e l’Arabia Saudita si son fermate alle solite condanne formali, mentre il Pakistan, pur non essendo in ottimi rapporti con Teheran, ha dichiarato che l’Iran ha il diritto di difendersi in base all’articolo 51 delle Nazioni Unite. Sull’ Europa stendiamo il solito velo pietoso.
· Possibili scenari
Di sicuro non sarà una toccata e fuga come nel 2024. Entrambi i contendenti han dichiarato che ci saranno altri attacchi.
Altra certezza è che le leadership occidentali non capiscono che mettendo pressione a popoli con secoli di storia la reazione è quella opposta a quella desiderata. Si cementano attorno ai loro leader. Perciò Tel Aviv e Washington possono scordarsi un cambio di regime come avvenuto in Siria nel giro di poche ore. L’Impero Romano, che era l’Impero Romano, cercò per 700 anni di sottomettere la Persia e non ci riuscì; possibile che nessun leader studi un filino di storia?
Oltretutto, un’azione del genere è forse il miglior incentivo a dotarsi di un’arma atomica il prima possibile. In stile Nord Corea, che sarà anche un paese “brutto e cattivo”, però, per lo meno, non ha missili che gli piovono sulla testa.
Quindi, dal punto di vista militare, tutto è possibile a meno che USA e Russia non trovino un accordo su vasta scala. Magari la Cina rivedrà la sua teoria del “vinco senza far niente” perché a questo punto potrebbe non essere più sufficiente. Se Russia e Iran rimarranno impantanati per anni nelle rispettive guerre, chi sarà il prossimo obiettivo? La butto lì: Pechino?
Non aspettiamoci alcunché da Paesi Arabi e Turchia, a loro in fondo va bene così, se poi non si porrà freno all’escalation vedremo se avranno ragione a farsi gli affari propri. Ne dubito fortemente.
Occorre una conferenza internazionale in cui si discuta della sicurezza di tutti e non solo di alcuni.
Dal punto di vista economico la reazioni più ovvie potrebbero essere la discesa dei mercati azionari e la salita delle materie prime, soprattutto se Iran e Yemen decidessero di chiudere i due stretti attorno alla Penisola Arabica. Dico potrebbero essere perché, se intervengono le Banche Centrali, non c’è guerra o crisi che tenga, come nel 2008, nel 2020 e nel 2022. Per ora hanno ancora la forza di sostenere i mercati indipendentemente da tutto, c’è poco da fare.
In conclusione, la situazione è grave; l’Iran non è l’Afghanistan, né la Siria, né l’Iraq, né la Libia; è uno Stato con il controllo delle proprie risorse, senza divisioni “tribali”, con una popolazione tendenzialmente giovane di 90 milioni di persone e un apparato militare sviluppato. È vero però che al suo interno ha un grosso pericolo: a Teheran c’è un traffico che “Bari vecchia spostati”…
Al terzo tentativo di registrazione siamo riusciti a presentare un resoconto particolarmente denso di dati e considerazioni, tutto da ascoltare. Il dato cruciale è la chiusura di una tenaglia che ha indotto allo smarrimento e al trasformismo il principale personaggio politico dello scenario occidentale: Donald Trump. Le conseguenze saranno enormi e dirompenti. Trascineranno il mondo e gli Stati Uniti in una gestione caotica ed imprevedibile del processo multipolare. Mi spingo in una previsione un po’ azzardata, dettata dalla mia esperienza: di certo non salveranno Trump, divenuto, suo malgrado e oltre le sue virtù, un simbolo della resistenza a questa classe dirigente nichilista, da una fine beffarda, se non tragica, dettata dal suo progressivo isolamento dalle forze che lo hanno sostenuto e salvato. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Nell’alternarsi di incontri e trattative continua la pressione distruttiva e tragica di Israele su Gaza. Dalle ceneri, come un’araba fenice, Hamas sembra risorgere dai colpi costanti di IDF. Gli attacchi e l’assedio alla popolazione civile sono l’arma totale che Netanyahu intende utilizzare per risolvere il conflitto e allargare la presenza di Israele. Una ferocia insostenibile agli occhi dei suoi stessi alleati più stretti in un Medio Oriente nel quale il ruolo di Israele rischia sempre più il ridimensionamento. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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