Lula è il cavallo di Troia di Biden? _ Di Tigrane Yegavian

Questo sito ha pubblicato diversi articoli attraverso i quali si esprimevano numerose e fondate riserve sulle aspettative generate dalla recente rielezione di Lula alla presidenza del Brasile, specie negli ambienti della sinistra progressista e radicale. Questo articolo, specie per il sito di provenienza, non fa che confermare questi dubbi e la reale natura di questa presidenza. Giuseppe Germinario

Lula è il cavallo di Troia di Biden?
Di Tigrane Yegavian
Un miracoloso politico, Luiz Inácio Lula da Silva è tornato con successo al potere sfruttando le eccentricità del suo avversario Jair Bolsonaro. Con lui, il Brasile sta tornando alla brillantezza diplomatica dei primi anni 2000, ma dietro il mantello neo-occidentale-mondista della sua politica estera, l’amministrazione Biden sta tracciando le sue linee rosse. Il nuovo Lula siglerà la cessione della sovranità del suo Paese all’egemone nordamericano?
Già attivo tra il 2007 e il 2010 come mediatore negli accordi sul nucleare tra Iran e Stati Uniti, il capo di Stato brasiliano (77 anni) ha fatto un grande colpo diplomatico questa primavera quando ha difeso a Pechino l’idea di trasformare il G20 in un “Club della pace”. Ex campione dei BRICS, Lula ha denunciato la politica occidentale che “alimenta la guerra” in Ucraina e ha concluso il suo tour diplomatico con una tappa negli Emirati Arabi Uniti, dove ha promosso la sua agenda di pace, firmando al contempo altri contratti in vista della COP 30, che si terrà in Amazzonia.
Questa è l’altra faccia della medaglia: l’ex sindacalista e araldo dei BRICS e di un vero e proprio Terzo Mondo chiede l’abbandono del dollaro come unica moneta di scambio internazionale. Il governo brasiliano mantiene una posizione di neutralità nel conflitto in Ucraina, nonostante abbia condannato l’invasione russa alle Nazioni Unite. Brasilia dipende fortemente dalle importazioni di fertilizzanti russi per la sua industria agroalimentare. Non sorprende quindi che dall’inizio della guerra Lula si sia rifiutato di adottare un pacchetto di sanzioni contro la Russia e sia stato indulgente con Putin. È sempre in nome di questa neutralità che ha rifiutato di fornire le munizioni per carri armati richieste dalla Germania per essere inviate in Ucraina. L’ultima battuta d’arresto è arrivata al vertice del G7 di Hiroshima, quando Lula si è detto “sconvolto” per non aver potuto incontrare il suo omologo ucraino.
IL FUTURO DEI BRICS?
Si potrebbe pensare che il campione di un nuovo ordine internazionale che tenga conto degli interessi del Sud del mondo di fronte all’egemonia statunitense stia seguendo le orme del defunto Hugo Chavez. Tuttavia, nulla è meno certo, come dimostrano la fragilità della sua base politica e i numerosi compromessi che limitano il suo spazio di manovra. Questa è l’altra faccia della medaglia. Il ritorno del Brasile sulla scena internazionale nella speranza di mediare nel conflitto in Ucraina si sta rivelando una cortina di fumo. Apparentemente in una posizione di equilibrio con la Cina e gli Stati Uniti, Brasilia mantiene e rafforza stretti legami con Washington. E a ragione! Valutata nel contesto più ampio di una semplice ricerca di equilibrio tra le due potenze mondiali, la retorica pacifista di Lula è facilmente influenzata dalle pressioni americane, poiché non ha alcun ruolo nel suo previsto multiallineamento tra questi due Paesi. Per questo motivo Lula la considera estensibile, nel caso in cui una marcia indietro sulla sua retorica possa alleviare la pressione pubblica degli Stati Uniti.
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Come segnale forte, il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha visitato il Brasile in aprile, ufficialmente per “accogliere” la posizione di Lula. La maggior parte dei media si è limitata a riportare questa informazione senza analizzare i dettagli di questo insolito viaggio, preferendo saltare alla conclusione che Brasilia fosse allineata con Mosca e Pechino. Ad esempio, non hanno menzionato il contenuto delle discussioni tra Lula e il suo omologo rumeno Iohannis, in visita a Brasilia sulla scia della visita del capo della diplomazia russa. Durante l’incontro, il presidente brasiliano ha criticato la Russia per aver violato l’integrità territoriale dell’Ucraina, con cui la Romania condivide un confine di 600 km. Queste osservazioni non sono cadute nel vuoto al Dipartimento di Stato e alcuni faticano a interpretarle, poiché sembrano essere in completa contraddizione con quelle fatte qualche giorno prima in presenza di Lavrov.
La retorica della pace promossa dall’ex sindacalista non ha molta importanza se si guarda con attenzione al comportamento della diplomazia brasiliana sulla questione ucraina. A differenza del suo predecessore, Dilma Rousseff, che era molto più sovranista del suo mentore e si è astenuto dal condannare l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014, Lula non ha commesso errori. Estremamente sensibile alle pressioni di Washington, si è affrettato a denigrare la Russia una volta decollato l’aereo di Lavrov, per dimostrare la sua affidabilità.
“FEDERAZIONE DI UNA RETE INTERNAZIONALE ANTIPOPULISTA
Vale quindi la pena di esaminare più da vicino la proposta avanzata dal presidente brasiliano a Washington nel mese di febbraio. Secondo il serissimo Politico, durante questo primo viaggio negli Stati Uniti, Lula ha recitato il suo credo di fede “liberale e globalista”, smentendo la sua presunta intenzione di de-dollarizzare gli scambi finanziari internazionali. La sua proposta di creare una rete di influenza transnazionale in collaborazione con l’establishment democratico americano è stata un segno di buona volontà. L’obiettivo: combattere gli scettici del clima e i populisti di estrema destra sia nell’emisfero americano che in quello europeo. Bolsonaro, Trump, Le Pen e Orban, nemici dichiarati della sinistra progressista. Un progetto che è trapelato poco e che potrebbe forse spiegare la relativa indulgenza di Washington nel reagire alle rodomontate terzomondiste di Lula in Asia e Medio Oriente. La rappresentante Pramila Jayapal, leader del Congressional Progressive Caucus, ha dichiarato che Lula le ha chiesto di mobilitare le forze di sinistra contro “una rete internazionale di individui e movimenti di destra” che sta cercando di “prendere il controllo dei Paesi democratici”. Un primo passo potrebbe essere compiuto nel corso dell’anno, con un possibile viaggio in Brasile dei progressisti del Congresso. Il rappresentante Ro Khanna della California, un leader liberale della Camera che ha incontrato Lula, ha detto che il presidente brasiliano ha sollecitato tre volte i legislatori a visitare il Brasile. Se la retorica di pace di Lula, campione del riavvicinamento sino-americano e della benevola neutralità nei confronti di Mosca, è stata usata come un cavallo di Troia?
L’ESTABLISHMENT BRASILIANO INFILTRATO DAI NEOCON
È un dato di fatto che il terzo mandato di Lula non sta entusiasmando i fautori di un nuovo ordine mondiale, tanto che gli sconvolgimenti della politica brasiliana e della sua cucina interna stanno minando l’autorità di un Lula poco eletto. Sotto la pressione dei suoi numerosi sostenitori, in particolare della massa dei partiti del Centroão noti per la loro venalità, l’ex leader sindacale ha nominato vicepresidente della Repubblica l’ex governatore dello Stato di San Paolo, Geraldo Alckmin. Benefattore di destra di Lula e figura del partito PSDB, teoricamente di centro-sinistra, Alckmin è molto più di un semplice sostenitore liberale. L’ex compagno di corsa di Lula è l’artefice della svolta neocon del Brasile, che ha portato il gigante sudamericano all’ovile americano. Presumibilmente vicino agli ambienti industriali e finanziari, conservatore religioso, membro dell’Opus Dei e contrario all’aborto, G. Alckmin è un liberale convinto, favorevole a una nuova serie di privatizzazioni. Vuole trasformare l’Amazzonia in un “cantiere” ed è stato coinvolto nella ribellione contro il Partito dei Lavoratori, che ha definito “organizzazione criminale”. In caso di disgrazia di Lula, Alckmin potrebbe molto probabilmente accedere alla magistratura suprema.
La strategia degli Stati Uniti nel loro cortile sudamericano è innovativa e mostra una reale modernizzazione del loro software. Sono finiti i tempi benedetti dei colpi di Stato militari fomentati da ufficiali dal grilletto facile e virulentemente anticomunisti. Il modus operandi è quello di federare nuove reti impegnate nella democrazia liberale contro i malvagi sovranisti populisti di destra. In altre parole, semplicemente “comandare da dietro”.
I prossimi mesi faranno maggiore luce sull’atteggiamento dello Stato profondo in Brasile, che è stato in gran parte al posto di comando dopo l’impeachment di Dilma Rousseff nel 2016, quando ha denunciato a gran voce lo scandalo delle intercettazioni della NSA prima di essere sostituita dal vicepresidente Michel Temer, molto americanofilo. Quest’ultimo ha anche accelerato la delicatissima fusione Embraer-Boeing, bloccata dai tribunali brasiliani nel luglio 2022 su istigazione di Jair Bolsonaro.
L’altra grande incognita resta il ruolo dell’esercito. La leadership militare brasiliana è sfaccettata. Mentre l’aeronautica è nota per la sua vicinanza agli Stati Uniti, non è necessariamente così per la marina e ancor meno per l’esercito, che domina ampiamente gli altri due in termini di dimensioni della sua forza lavoro e del suo peso politico. Le tensioni tra l’esercito e il governo Lula rimangono alte dopo il licenziamento del suo capo in seguito al saccheggio dei centri di potere a Brasilia. Finora, tuttavia, non si sono verificati episodi di sedizione.
Con le sue ricchezze naturali e il suo complesso industriale, il Brasile è destinato a diventare un obiettivo primario per gli appetiti dell’establishment statunitense che, con il pretesto di lottare per la protezione del clima, è interessato all’internazionalizzazione e al saccheggio dell’Amazzonia.

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Lula, gli Stati Uniti, i BRICS_a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto una serie di articoli di varia estrazione riguardanti il ritorno di Lula a Presidente del Brasile e i suoi primi atti nello scacchiere geopolitico. So bene che buona parte di questi articoli susciterà le perplessità se non l’avversione di tutta quell’area politica attratta, ormai da generazioni, dalle azioni e dai proclami della sinistra rivoluzionaria e populista dell’America Latina. Una attrazione determinata più da una visione romantica di quelle spinte, rivoluzionarie o riformiste che siano, che dai reali successi conseguiti in termini di solidità del potere eventualmente conseguito e di reale trasformazione positiva dei rapporti sociali di quelle formazioni. Un abbaglio che ha impedito di cogliere i trasformismi e gli opportunismi che regolarmente seguono a prese di posizione velleitarie o mal poste. E’ troppo presto per esprimere un giudizio definitivo sul senso reale del ritorno di Lula alla presidenza; come pure appare troppo sbrigativo qualificarlo come un mero strumento statunitense all’opera all’interno dei nuovi schieramenti geopolitici in via di formazione. I dubbi, però, sono tanti e giustificati. Lula fungerà, comunque, da una sorta di cartina di tornasole. Attualmente lo scacchiere geopolitico vede uno schieramento occidentale, a guida statunitense, in fase di contrazione, ma ancora coeso politicamente e militarmente in un suo proprio sistema di alleanze. Dall’altra parte si assiste ad aggregazioni crescenti, tra queste i BRICS, ma ancora eterogenee nei fini e nei mezzi, le quali riescono ad assumere con relativa efficacia il compito di destrutturare la forma di dominio tuttora dominante, con minore efficacia quella propositiva. Diventano, così, al contempo, esse stesse un campo di azione delle varie potenze attive nello scacchiere, comprese quelle che intendono avversare. Man mano che negli Stati Uniti dovesse crescere la consapevolezza di una competizione geopolitica impensabile solamente venti anni fa, tanto più si intensificheranno le azioni diversive e dirompenti all’interno di quei nuovi schieramenti in formazione. Lula potrebbe rientrare in queste dinamiche. Staremo a vedere. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Non siamo obbligati a seguire tutte le opinioni degli Stati Uniti”, dice Celso Amorim

BAHIA

 

A 80 anni, l’ex ministro degli Esteri Celso Amorim è il diplomatico con più esperienza in Brasile. È anche il più vicino a Lula (PT), che lo ha scelto come consigliere speciale per rappresentare il presidente nelle delicate missioni internazionali.

 

Amorim ha comandato il Ministero delle Relazioni Estere nel governo di Itamar Franco tra il 1993 e il 1995, ha ricoperto la stessa carica nei due precedenti mandati di Lula come Presidente della Repubblica ed è stato Ministro della Difesa sotto Dilma Roussef (PT).

 

In questa intervista, difende la posizione di Lula sulla guerra in Ucraina e afferma che le critiche del presidente non riguardano solo la posizione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea in relazione al conflitto.

 

Afferma che le critiche sono già state rivolte a gran voce alla Russia, che ha invaso il Paese confinante, e che il Brasile ha persino accompagnato i Paesi occidentali nella condanna dell’atto alle Nazioni Unite.

 

Tuttavia, afferma che bisogna cercare la pace e che le “sanzioni” o l’insistenza per “sconfiggere la Russia” non risolveranno la questione.

 

“Che cosa volete? Una vendetta? Dare una lezione?”, dice a proposito della posizione dei Paesi occidentali nel conflitto. “L’ultima volta che ci si è provato [con il Trattato di Versailles dopo la sconfitta della Germania nella Prima guerra mondiale] è andata proprio così”, afferma.

 

Amorim afferma inoltre che il Brasile riconosce l’importanza del ruolo degli Stati Uniti, che hanno riconosciuto il risultato delle elezioni presidenziali brasiliane quando queste erano messe in discussione dall’ex presidente Jair Bolsonaro (PL). Questo, però, non obbliga il Brasile a seguire gli interessi statunitensi negli affari internazionali.

 

“Non c’è stato alcun patto”, afferma.

 

Leggete, di seguito, i principali estratti dell’intervista.

 

RICEVERE

 

Il coordinatore delle comunicazioni strategiche del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha dichiarato che le dichiarazioni del presidente brasiliano sulla guerra in Ucraina sono profondamente problematiche e che sta “ripetendo a pappagallo” la propaganda di Cina e Russia sul conflitto. Lula sta dicendo verità scomode o sta ripetendo ciò che interessa a questi due Paesi?

 

Non ho intenzione di entrare in polemica con l’addetto stampa della Casa Bianca. Lasciamogli pensare ciò che vuole.

 

Ma, in realtà, la posizione del Presidente Lula è molto chiara: è una difesa degli interessi brasiliani e della percezione del Brasile rispetto al mondo. È la difesa di un mondo multipolare, che ha a che fare anche con la questione della dollarizzazione o della de-dollarizzazione di parte delle relazioni economiche [tra Paesi].

E ha anche a che fare con la ricerca di equilibrio nel mondo, [con il tentativo di] contribuire a renderlo più equilibrato.

 

Per quanto riguarda specificamente la guerra, la nostra ricerca è la pace. Il Brasile ha condannato [la guerra tra Russia e Ucraina] innumerevoli volte e in innumerevoli occasioni.

 

Il Presidente Lula ha criticato verbalmente l’azione russa di invasione dell’Ucraina. Il Brasile difende il principio dell’integrità territoriale degli Stati. Su questo non ci sono dubbi.

 

INCONTRO TRA LULA E IL CANCELLIERE RUSSO

 

Lula ha ripetuto le sue critiche al Cancelliere russo Sergei Lavrov, con cui si è incontrato lunedì (17)?

 

Mettiamola in prospettiva: il cancelliere russo non è venuto in Brasile come emissario [del presidente russo Vladimir Putin].

 

Il suo ospite è stato il ministro Mauro Vieira [delle Relazioni estere]. I due hanno parlato a lungo e ciò che hanno detto in seguito è stato divulgato alla stampa. Entrambi.

 

L’incontro del Cancelliere russo con il Presidente [Lula] è stata una visita di cortesia. Non entrerò nei dettagli [della conversazione tra i due].

 

Ma il nostro atteggiamento è chiaro. Abbiamo già votato le risoluzioni dell’ONU [che condannano l’aggressione russa all’Ucraina], lui [Lula] ha già parlato [condannando l’azione della Russia]. Non c’è dubbio che il Brasile sia critico.

 

Il Brasile difende la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale.

 

Ora, quello che pensiamo è che non serve a nulla rimanere fermi su questo, o continuare ad applicare sanzioni, o voler sconfiggere la Russia. Questo non porterà la pace. La Russia è un Paese molto importante e molto grande, oltre ad essere partner del Brasile. E bisogna cercare un modo per avere [negoziati di pace]. Questo è stato il senso delle parole del Presidente Lula.

 

Perché c’è la percezione, da parte sua e del Presidente Lula, che gli Stati Uniti e l’Unione Europea non stiano cercando la pace in questo momento?

 

Ci sono dichiarazioni specifiche [da parte di funzionari degli Stati Uniti e dei Paesi europei], come “dobbiamo sconfiggere la Russia” o “dobbiamo indebolire la Russia”. Questo è variato nel tempo.

 

Ora, nell’ambito della concezione che la Russia ha sbagliato, la nostra posizione è quella di far dialogare i Paesi.

 

La guerra non è una soluzione né per la Russia né per l’Ucraina. Questa è la domanda del Brasile.

 

Lavorare solo per rafforzare militarmente una parte [come hanno fatto gli Stati Uniti e i Paesi europei], o per, ad esempio, imporre sanzioni all’altra, non contribuisce alla pace. Non si contribuisce alla conversazione, non si crea un clima favorevole alla ricerca di negoziati.

 

E [queste autorità] finiscono, volontariamente o involontariamente, per contribuire al prolungamento della guerra.

 

RICERCA DELLA PACE IN UCRAINA

 

Una parte della stampa statunitense afferma che l’ambizione del Brasile di negoziare la fine della guerra e la pace è ingenua, non è alla portata del nostro Paese.

 

Non credo che sia ingenua. C’è buona fede nelle nostre azioni, nella ricerca della pace.

 

C’è una grande chiarezza sul fatto che non sarà il Brasile a fare la pace. Deve essere un gruppo di Paesi.

Rileggete la dichiarazione congiunta del Presidente Lula e del Presidente cinese Xi Jinping, in cui si afferma che entrambi i Paesi sostengono tutti i movimenti per la pace e invitano altri Paesi a unirsi a questo sforzo.

È chiaro che non si tratta di un’azione che il Presidente Lula farà da solo.

 

Ora, contrariamente a quanto dicono certi editoriali, il Brasile è un Paese importante, è uno dei cinque Paesi più grandi del mondo in termini di territorio, insomma è un Paese molto rispettato a livello internazionale.

 

Si dà il caso che, in questo caso [di guerra], l’Unione Europea abbia adottato un partito.

 

Non dico che sia sbagliato criticare l’azione specifica [della Russia contro l’Ucraina].

Ma bisogna farlo in modo da non rendere impossibile la pace.

 

Cosa volete? Una vendetta? Volete dare una lezione?

 

L’ultima volta che è stata tentata una politica del genere, dopo la Prima guerra mondiale, con il Trattato di Versailles [in cui i Paesi vincitori della guerra imponevano dure condizioni alla Germania], ha portato a quello che è successo dopo [l’ascesa al potere di Adolf Hitler]. Ha dato origine a questo sentimento di rancore e risentimento.

 

Noi non crediamo che le cose stiano così.

 

Quali sono i limiti del Brasile in questo scenario?

 

Molte volte, per fare la pace, c’è bisogno di un po’ di denaro per aiutare la ricostruzione [dei Paesi distrutti dai conflitti]. E questo il Brasile non ce l’ha.

 

Abbiamo una capacità di dialogo che fa parte della nostra storia, che è una storia di pace con i suoi vicini, di mediazione, di ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti, come è nella nostra Costituzione e anche nella Carta delle Nazioni Unite.

 

Quindi, se aggiungiamo un Paese come la Cina, che ha una forte capacità di persuasione, e Paesi come il Brasile… Per esempio, la troika del G20 oggi è composta da Indonesia, India e Brasile. Possiamo anche aggiungere il Sudafrica.

 

Quando si dice “c’è una reazione molto forte” [alle dichiarazioni di Lula], si tratta di una forte reazione occidentale. Ora, se si va a vedere cosa pensano gli indiani, gli africani e molti altri che magari non hanno le stesse condizioni per esprimersi, la visione non è la stessa.

 

MONDO MULTIPOLARE

 

Gli Stati Uniti non hanno capito la posizione del Brasile? O il Presidente Lula non ha usato bene le parole? O ancora, gli Stati Uniti non sono realmente interessati alla pace?

 

Non lo so, né posso dare giudizi sugli altri.

 

Penso che sia una visione diversa, sì, da quella brasiliana.

 

È una differenza di visione nel senso seguente: vogliamo un mondo equilibrato e multipolare, perché è quello che interessa di più al Brasile. Naturalmente, il Brasile non avrà la forza di creare questo mondo. Ma può contribuire a un mondo che non sia diviso in una “guerra fredda”, tra buoni e cattivi.

 

Questa non è la politica storica del nostro Paese. Il Brasile storicamente, anche durante il governo militare, ha evitato di adottare una politica del genere.

 

Nel caso [dell’indipendenza] dell’Angola, il Brasile ha riconosciuto il governo angolano. E gli Stati Uniti lo aborrivano, perché si definiva marxista-leninista. Noi volevamo la pace, fin da allora.

 

Nelle attuali condizioni mondiali, dell’economia e di molti altri aspetti, interessa al Brasile lavorare per un mondo multipolare.

 

La nostra voce sarà ascoltata meglio lì che in un mondo diviso da una guerra fredda tra buoni e cattivi.

 

Un mondo multipolare interessa agli Stati Uniti?

 

È curioso. L’ex presidente [Barack] Obama ha persino usato questa espressione in un’occasione.

 

Negli Stati Uniti non c’è una visione univoca su questo tema. E quello che abbiamo detto non è molto diverso da quello che ha detto l’ex Segretario di Stato Henry Kissinger, soprattutto all’inizio di questo conflitto, in relazione all’idea che bisogna cercare soluzioni pacifiche, non provocatorie.

 

Ad esempio, sull’espansione della NATO [alleanza militare dei Paesi occidentali]: sono d’accordo con Kissinger.

 

Kissinger è di sinistra, è comunista, è antiamericano? No. Ma non pensiamo che questa [espansione della NATO] contribuisca alla pace, perché crea più tensioni.

 

Giustifica l’invasione [dell’Ucraina da parte della Russia]? Anche no. Ecco perché siamo a favore della soluzione pacifica.

 

È una cosa complicata, perché bisogna riconoscere gli interessi e le preoccupazioni delle varie parti, e allo stesso tempo garantire il rispetto delle norme fondamentali del diritto internazionale – non regole inventate e poi cambiate da un Paese o dall’altro.

 

Questo è ciò che stiamo cercando di fare.

 

Non saremo all’unisono con tutti, ma, ad esempio, con la Cina c’è stata un’ottima intesa.

 

Contrariamente a quanto a volte si pensa, la Cina non è impegnata solo a sconfiggere gli Stati Uniti o altro.

 

C’è una competizione, non c’è dubbio. Non sono ingenuo a non vederlo. Ma la Cina è il Paese che è cresciuto di più con la globalizzazione. E la globalizzazione dipende dalla pace.

 

La nostra posizione in merito, anche se da punti di vista diversi o differenti, è vicina a [quella della Cina], perché anche noi vogliamo la pace. Non vogliamo una guerra fredda e non vogliamo scegliere [una parte del conflitto].

 

In molte cose, gli Stati Uniti sono un partner eccellente per il Brasile.

 

Se si considera la politica sociale ed economica del presidente [Joe] Biden, abbiamo molte coincidenze con essa.

 

Riconosciamo l’atteggiamento positivo dell’amministrazione Biden nei confronti del processo elettorale in Brasile.

 

Ora, questo non ci obbliga a seguire tutte le loro opinioni. Possiamo divergere, come facciamo in altre cose, nei negoziati commerciali e in altre questioni.

 

I Paesi hanno interessi e per il Brasile una guerra fredda non è interessante.

 

Guardate il nostro settore agroalimentare: esporta [molto in Cina] e ha raggiunto delle posizioni.

 

È chiaro che non venderemo i nostri principi per questo. Ma non abbiamo nemmeno intenzione di lanciarci in provocazioni e conflitti inutili.

 

DIFESA DELLE ELEZIONI BRASILIANE DA PARTE DEGLI STATI UNITI

 

Si dice che i diplomatici statunitensi invochino il fatto che il loro governo abbia riconosciuto l’elezione del presidente Lula, come se fossero i garanti della nostra democrazia, e che ora si infurierebbero. Avrebbero un’altra alternativa? Appoggerebbero un colpo di Stato?

 

La nostra democrazia è una responsabilità brasiliana, fondamentalmente.

 

Ora, non c’è dubbio che la posizione americana, la posizione degli Stati Uniti, abbia influenza in Brasile. Ha influenza in tutti i settori della vita brasiliana.

 

Hanno assunto un atteggiamento corretto nei confronti del processo elettorale brasiliano, e questo è positivo.

 

Tra l’altro, non sono stati solo gli Stati Uniti. Sono stati loro e tutta la comunità internazionale. Loro e i tifosi del Flamengo, come si dice a Rio de Janeiro.

 

E questo non vincola il Presidente Lula alle posizioni americane.

 

Certo che no. Non c’è stato alcun patto per dire: “Guardate, noi sosteniamo il processo elettorale e voi ci sosterrete nel nostro conflitto contro la Cina”. No. Ogni Paese ha la propria opinione e ha il diritto di discutere civilmente. Di poter essere in disaccordo.

 

Discutiamo, vediamo e parliamo. Più partner abbiamo, meglio è.

 

Anche l’Unione Europea ha reagito alle posizioni del Brasile. Potrebbero esserci delle ritorsioni contro il Brasile?

 

L’Unione europea non ha una posizione unica [sulla guerra in Ucraina], vero? Cerchiamo di essere obiettivi.

 

Ad esempio, il presidente francese [Emmanuel] Macron è stato in Cina e ha parlato molto più a lungo di noi con Xi Jinping. Ed è tornato [in Francia] dicendo che è importante affermare l’autonomia strategica dell’Europa.

 

Ha detto che l’Europa non è in grado di risolvere i propri problemi, riferendosi all’Ucraina, e quindi non deve intromettersi a Taiwan.

 

Immagino che a Washington ci siano persone che non hanno gradito. Ma è normale. Non è ostilità. È una ricerca di difesa degli interessi del proprio Paese.

 

Il Presidente Lula ha parlato spesso con gli europei. Lui stesso si sta recando di nuovo in Europa, in Portogallo e in Spagna, e ha avuto contatti con il cancelliere tedesco, con il primo ministro [Olaf Scholz], con il presidente Macron e anche con il presidente ucraino Volodimir Zelenski.

 

Abbiamo parlato con tutti.

 

IN UCRAINA

 

L’Ucraina ha invitato Lula a visitare il Paese e a vedere da vicino la guerra, e anche la Russia vorrebbe la sua presenza e un forum economico a San Pietroburgo. Quante possibilità ci sono che questi viaggi avvengano?

 

Non posso dare certezze  su questo, perché queste cose a volte si evolvono.

 

Ma, al momento, il Presidente Lula, personalmente, non ha in programma alcun viaggio in quest’area. Al momento no. Per quanto ne so, non ci sono piani.

https://politicalivre.com.br/2023/04/nao-somos-obrigados-a-seguir-todas-opinioes-dos-eua-diz-celso-amorim/#gsc.tab=0

Lula annuncia le condizioni per visitare Russia e Ucraina

Il presidente brasiliano afferma che i futuri viaggi in uno dei due paesi dipenderanno dall’avanzamento dei colloqui di pace

 

Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva (L) incontra il presidente portoghese Marcelo Rebelo de Sousa (R) prima di un colloquio al Palazzo Belem di Lisbona il 22 aprile 2023. © Stringer/Agenzia Anadolu via Getty Images

Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva, comunemente noto come Lula, ha dichiarato sabato, durante una visita diplomatica in Portogallo, che rimane necessario che una coorte di Paesi aiuti a guidare sia la Russia che l’Ucraina verso la pace. Ha anche riservato critiche al ruolo di Mosca nell’istigare “una guerra con l’Ucraina”.

 

“Il Brasile vuole trovare un modo per stabilire la pace”, ha detto Lula sabato durante una conferenza stampa con il suo omologo portoghese Marcelo Rebelo de Sousa, con il quale aveva appena concluso un incontro a porte chiuse.

 

“È meglio trovare una via d’uscita al tavolo dei negoziati che una via d’uscita sul campo di battaglia”, ha dichiarato Lula. “La guerra distrugge soltanto, non costruisce nulla”, ha aggiunto, affermando che si rifiuterà di visitare Mosca o Kiev finché una o entrambe non faranno passi concreti verso la cessazione delle ostilità.

 

I commenti di Lula arrivano dopo che è stato criticato in Occidente per aver suggerito, poco dopo una visita di Stato in Cina questo mese, che gli Stati Uniti e i loro alleati europei stavano “incoraggiando la guerra” in Ucraina con la fornitura di armi alle forze di difesa di Kiev.

 

Il suo progetto di una roadmap verso la pace è stato elogiato dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, in visita a Brasilia all’inizio della settimana, ma un portavoce della Casa Bianca ha accusato il presidente brasiliano di “ripetere a pappagallo la propaganda russa e cinese senza guardare ai fatti”.

 

 

Leggi tutto La Casa Bianca si scaglia contro il Brasile per l’Ucraina

Tuttavia, venerdì la Reuters ha riferito che Lula avrebbe ammorbidito la sua posizione sulle critiche al ruolo dell’Occidente nel conflitto ucraino. Due funzionari di Brasilia hanno dichiarato all’agenzia di stampa che i commenti di Lula hanno provocato “rumore inutile” e hanno minato la posizione del Brasile come potenziale mediatore di pace.

 

Ciononostante, sabato Lula ha ribadito che “se non si fa la pace, si contribuisce alla guerra” e ha detto di aver rifiutato la richiesta del cancelliere tedesco Olaf Scholz di fornire aiuti militari all’Ucraina. Ma ha aggiunto che il suo governo si oppone fermamente alle azioni di Mosca; una posizione che, a suo dire, si è riflessa nei “voti dell’ONU” del Brasile.

 

“La Russia ha commesso un errore”, ha detto Lula sabato. “Tutti pensiamo che la Russia abbia commesso un errore. Non avrebbe dovuto invadere, ma lo ha fatto. Il Brasile non vuole scegliere da che parte stare. Vuole un gruppo di Paesi con cui parlare”.

 

L’arrivo di Lula in Portogallo venerdì è stato accolto da un’ondata di proteste da parte di cittadini e sostenitori ucraini fuori dall’ambasciata brasiliana a Lisbona, molti dei quali erano irritati da ciò che consideravano l’incapacità di Brasilia di affrontare la vera causa del conflitto. Venerdì Lula ha annunciato che il suo principale consigliere di politica estera avrebbe incontrato il presidente ucraino Vladimir Zelensky a Kiev.

 

La visita del leader brasiliano in Portogallo sarà seguita da un soggiorno di due giorni in Spagna, dove incontrerà il re Felipe IV e il primo ministro Pedro Sanchez.

https://www.rt.com/news/575189-brazil-lula-ukraine-russia/?utm_source=substack&utm_medium=email

 

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Lula ha appena screditato la politica estera del Brasile ponendo condizioni alla sua visita in Russia

ANDREW KORYBKO

23 APR

DETTAGLI

Lula sta essenzialmente dicendo che l’espansione globale delle relazioni economiche tra Brasile e Russia dipende dal fatto che la Russia comprometta gli obiettivi di sicurezza nazionale che cerca di portare avanti attraverso l’operazione speciale in corso in Ucraina, che Mosca considera ufficialmente come esistenziale. Questa posizione contraddice tutto ciò che la comunità multipolare rappresenta, ponendo così il Brasile dalla parte politica dell’Occidente nella dimensione russo-statunitense della nuova guerra fredda, nonostante i suoi crescenti legami con la Cina.

 

La transizione sistemica globale verso il multipolarismo ha visto decine di Paesi abbandonare il paradigma occidentale-centrico delle relazioni internazionali, tristemente noto per l’imposizione di condizioni unilaterali agli altri e per l’influenza che il pensiero a somma zero esercita sulla formulazione delle politiche. Il Brasile si annovera formalmente tra gli Stati che si concentrano sulla costruzione di un ordine mondiale più equo, in particolare nel coordinamento congiunto con i partner BRICS, ma il Presidente Lula lo ha appena screditato durante il suo viaggio in Portogallo.

 

Mentre si trovava lì, RT ha riferito che ha posto delle condizioni alla sua visita in Russia che gli erano state estese dal Presidente Putin attraverso il Ministro degli Esteri Lavrov durante la recente visita di quest’ultimo in Brasile. Il principale consigliere di Lula per la politica estera ha recentemente rivelato, in una lunga intervista sulla visione del mondo del suo capo, che al momento non ha in programma di recarsi in Russia o in Ucraina, ma sabato il leader brasiliano ha chiarito che potrebbe riconsiderare l’idea se i due paesi compiranno progressi tangibili verso la pace.

 

Probabilmente pensava che questo lo avrebbe fatto apparire “equilibrato”, “neutrale” e “pragmatico”, ma se da un lato questo approccio gli farà probabilmente guadagnare una proverbiale pacca sulla spalla dai suoi partner occidentali, dall’altro scredita completamente la politica estera del suo Paese agli occhi della Russia e del resto della comunità multipolare. La ragione di questa valutazione è che questa seconda categoria di Paesi non crede nell’imposizione di condizioni unilaterali ai propri partner, tanto meno che coinvolgano le loro relazioni con terze parti.

 

Ciò che Lula ha appena fatto dimostra quanto la sua visione del mondo sia strettamente allineata con i Democratici liberali-globalisti al potere negli Stati Uniti, con i quali avrebbe proposto di lanciare una rete di influenza globale durante il suo viaggio a Washington a febbraio, secondo quanto riportato recentemente da Politico, che ha citato esponenti del Congresso che hanno partecipato all’incontro. Invece di inventare un pretesto “pubblicamente plausibile” per rifiutare “gentilmente” l’invito del suo omologo a partecipare al Forum economico internazionale di San Pietroburgo di metà giugno, Lula sta facendo delle richieste al Presidente Putin.

 

In sostanza, sta dicendo che l’espansione globale delle relazioni economiche tra Brasile e Russia dipende dal fatto che la Russia comprometta gli obiettivi di sicurezza nazionale che cerca di portare avanti attraverso l’operazione speciale in corso in Ucraina, che Mosca considera ufficialmente come esistenziale. Questa posizione contraddice tutto ciò che la comunità multipolare rappresenta, ponendo così il Brasile dalla parte politica dell’Occidente nella dimensione russo-statunitense della Nuova Guerra Fredda, nonostante i suoi crescenti legami con la Cina.

 

A questo proposito, la grande strategia di Lula (che può essere approfondita attraverso le due analisi ipertestuali precedenti) è fondamentalmente quella di “bilanciare” i suoi principali partner cinesi e statunitensi – per quanto maldestramente – attraverso la de-dollarizzazione con i primi e il proselitismo del “wokeismo” con i secondi. Le relazioni con la Russia sono considerate sacrificabili, poiché la sua importanza in questo paradigma impallidisce rispetto a quelle dei due paesi, essendo per lo più relegata alla sfera della cooperazione sulle materie prime (compresa l’energia).

 

Anche se il Brasile e la Russia hanno interessi comuni nell’accelerare il multipolarismo finanziario, soprattutto attraverso il progetto della nuova valuta di riserva dei BRICS, Lula ha chiaramente lasciato che la sua preferenza ideologica per l’Occidente avesse la precedenza su questo, imponendo le condizioni che ha appena fatto per partecipare all’evento di metà giugno. Non c’è assolutamente alcuna possibilità che la Russia scenda a compromessi sui suoi obiettivi di sicurezza nazionale in Ucraina solo per fargli prendere in considerazione l’idea di presentarsi a quel forum di investimenti, quindi si dovrebbe dare per scontato che non ci andrà.

 

Anche se i propagandisti del suo schieramento potrebbero tentare di distorcere la situazione ricordando a tutti che non andrà in Ucraina a meno che la Russia non faccia progressi tangibili verso la pace, le relazioni del Brasile con Kiev non sono così importanti per la transizione sistemica globale come lo sono quelle con Mosca. Si può quindi affermare che Lula non sta solo tenendo in ostaggio i legami bilaterali con la Russia attraverso la sua richiesta unilaterale, ma sta anche rallentando il ritmo di realizzazione dei loro comuni obiettivi di multipolarità finanziaria.

 

La cosa più dannosa di questa intuizione è che ogni osservatore obiettivo sa che non si può fare affidamento sul Brasile durante il terzo mandato di Lula, che sta formulando la politica estera sotto l’influenza di paradigmi occidentalocentrici obsoleti a causa del suo allineamento ideologico con i democratici statunitensi. Nessun membro della comunità multipolare può dare per scontati i legami con questo Paese, nemmeno la Cina, perché c’è sempre la possibilità che gli Stati Uniti facciano pressioni per replicare questa politica ostile anche nei loro confronti.

 

Se dovesse scoppiare un conflitto caldo nel Mar Cinese Meridionale o nello Stretto di Taiwan, ad esempio, ci si aspetta che Lula riduca unilateralmente i legami del Brasile con la Cina con il falso pretesto di voler apparire “equilibrato”, “neutrale” e “pragmatico”. Dopo tutto, la NATO guidata dagli Stati Uniti sta attivamente conducendo una guerra per procura contro la Russia attraverso l’Ucraina, eppure non ha permesso che questo gli impedisse di visitare Washington all’inizio di febbraio o il Portogallo questo fine settimana. Questo dimostra che sta davvero applicando ipocritamente due pesi e due misure.

 

Alla luce di ciò, la sua retorica pacifista non può essere considerata altro che una copertura per il suo allineamento politico con gli Stati Uniti contro la Russia nel conflitto geostrategicamente più importante dalla Seconda Guerra Mondiale. È solo una tattica per ingannare i creduloni della comunità Alt-Media e facilitare le operazioni di gaslighting dei suoi propagandisti, volte a manipolare le percezioni popolari sulla verità della sua politica estera. Ponendo condizioni alla sua visita in Russia, Lula ha dimostrato che i legami con il Paese BRICS sono sacrificabili.

https://korybko.substack.com/p/lula-just-discredited-brazils-foreign?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=116678834&isFreemail=true&utm_medium=email

Il piano di Lula: Una battaglia globale contro il trumpismo

Ispirati dal presidente brasiliano, gli americani di sinistra stanno valutando se rispondere alla destra internazionale con un proprio movimento.

 

Il presidente Joe Biden, a destra, cammina con il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva.

I presidenti Joe Biden e Luiz Inácio Lula da Silva hanno profonde divergenze politiche, soprattutto sull’Ucraina. Per ora, hanno messo a tacere le loro differenze per presentare un fronte unito contro le forze autocratiche e insurrezionali locali. | Foto Alex Brandon/AP

 

Di ALEXANDER BURNS

 

13/04/2023 04:30 AM EDT

 

Aggiornato: 04/13/2023 10:25 AM EDT

 

Alexander Burns è redattore associato per la politica globale di POLITICO. La sua rubrica Domani esplora il futuro della politica e i dibattiti politici che attraversano i confini nazionali.

 

Luiz Inácio Lula da Silva è arrivato a Washington all’inizio di quest’anno nel bagliore di un glorioso ritorno. Liberato dal carcere, eletto per un nuovo mandato come presidente del Brasile e trionfatore di un’insurrezione in stile 6 gennaio, il populista di sinistra sembrava incarnare la resistenza della democrazia in un’epoca di estremismo.

 

Ma negli incontri privati con i legislatori progressisti e i leader dei lavoratori, Lula ha lanciato un messaggio terribile, secondo quattro persone presenti alle discussioni.

 

Sebbene demagoghi velenosi siano caduti sia in Brasile che negli Stati Uniti, Lula ha avvertito che una rete globale di forze di destra continua a minacciare la libertà politica. Gli elettori schiacciati dalla disuguaglianza economica e confusi da un torrente di disinformazione sui social media sono rimasti vulnerabili a figure come Donald Trump e Jair Bolsonaro, il brutale uomo forte che Lula ha sconfitto a fatica lo scorso autunno.

 

“Mi suona familiare”: Biden scherza con Lula su Bolsonaro e le “fake news”.

 

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A Washington, il 77enne leader brasiliano ha lanciato un appello alla battaglia: La sinistra deve costruire una propria rete transnazionale, ha detto Lula, per combattere per i suoi valori politici e affrontare crisi come la privazione economica e il cambiamento climatico.

 

I leader dell’estrema destra come Trump e Bolsonaro nelle Americhe si sono cercati a vicenda e hanno trovato compagni di viaggio negli integralisti europei come la francese Marine Le Pen e il primo ministro ungherese Viktor Orbán. A sinistra non è esistito un club analogo. Secondo Lula, è giunto il momento di cambiare le cose.

 

La rappresentante Pramila Jayapal (D-Wash.), capo del Congressional Progressive Caucus, ha detto che Lula voleva mobilitare le forze di sinistra contro “una rete internazionale di persone e movimenti di destra” che sta cercando di “impadronirsi dei Paesi democratici”.

 

“Si è rivolto a noi chiedendo al Caucus Progressista di costruire qualcosa che possa contrastare questo fenomeno”, ha ricordato Jayapal.

 

Un primo passo potrebbe essere compiuto nel corso dell’anno, con un possibile viaggio in Brasile dei progressisti del Congresso. Il deputato californiano Ro Khanna, uno dei principali liberali della Camera che ha incontrato Lula, ha dichiarato che il presidente brasiliano ha sollecitato tre volte i legislatori a recarsi in visita.

 

Khanna ha detto di aver chiesto al suo staff di esplorare altri forum internazionali in cui i progressisti statunitensi dovrebbero far sentire la loro presenza.

 

L’esortazione di Lula rappresenta una sfida attesa da tempo per la sinistra statunitense. Per tutta l’influenza che hanno esercitato sulla politica interna, i Democratici di sinistra non sono ancora riusciti ad articolare un programma transnazionale distintivo.

 

Questa è stata un’occasione mancata.

 

Non è che ai progressisti non interessi il resto del mondo. È solo che tendono a coinvolgerlo come un insieme sparso di punti nevralgici e cause personali, senza raccontare una storia più universale sulle lotte del XXI secolo.

 

A Washington, molti progressisti hanno abbracciato la narrazione scelta dal Presidente Joe Biden di una grande competizione tra democrazia e autocrazia, lamentando al contempo l’abisso tra la retorica di Biden e la sua tolleranza verso tirannie strategicamente utili come l’Arabia Saudita. Tuttavia, essi hanno fatto solo tentativi stentati di delineare un programma generale di sinistra che parta dal cambiamento negli Stati Uniti e si estenda al resto del mondo.

 

Il senatore del Vermont Bernie Sanders ha fatto lo sforzo più sviluppato, chiedendo nel 2018 un “fronte progressista internazionale” contro oligarchi, despoti e multinazionali. Ma il suo ruolo principale in questi giorni è quello di presiedere il Comitato per la Salute, l’Educazione, il Lavoro e le Pensioni del Senato, una carica potente che si concentra sull’economia degli Stati Uniti.

 

Matt Duss, ex consigliere di Sanders per la politica estera, ha detto che c’è una “crescente sensibilità a sinistra” per un impegno più coerente con i partner di altri Paesi, “non solo in Sud America ma nel Sud globale”. Il momento sembra propizio per i progressisti per far valere le loro ragioni per una politica transnazionale ancorata a idee economiche tradizionalmente di sinistra.

 

Ma i progressisti statunitensi non dispongono attualmente di una ricca rete di relazioni all’estero a cui attingere.

 

“È un’area in cui la sinistra in particolare deve fare un lavoro molto, molto migliore”, ha detto Duss.

 

È facile sopravvalutare l’influenza globale della destra statunitense. Provocatori legati a Trump come Steve Bannon possono irrompere in altri Paesi, dichiarare l’alba di una nuova era di nazionalismo di ultradestra e generare una copertura ansiosa nella stampa tradizionale. Ma è stato più difficile per queste forze conquistare il potere e governare. Gli appoggi di Trump alle elezioni straniere non sono serviti a molto.

 

All’inizio di quest’anno, la mia collega Zoya Sheftalovich ha riferito che il panico per l’ingerenza in stile Bannon era diminuito in Europa: Věra Jourová, vicepresidente della Commissione europea, ha ricordato il timore che, dopo il 2016, un personaggio come Bannon potesse contribuire ad accendere un movimento continentale. “Non è successo”, ha detto Jourová.

 

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Tuttavia, per i conservatori estremi ha avuto un valore politico pensare a se stessi in termini globali. Li ha aiutati a identificare le tendenze e gli atteggiamenti culturali che hanno guidato le elezioni oltre i confini nazionali – la rabbia per la crisi dei rifugiati siriani, la paura della Cina, il risentimento verso le grandi tecnologie – e ad affinare un vocabolario comune per discuterne.

 

A livello intangibile, ha dato a un gruppo di ideologi un tempo emarginato un certo esprit de corps che può tradursi in ciò che gli americani chiamano spavalderia.

 

Guarda: I manifestanti pro-Bolsonaro assaltano gli edifici governativi del Brasile

 

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Lula, che in precedenza è stato presidente del Brasile dal 2003 al 2010, potrebbe trovarsi in una posizione unica tra i leader stranieri per chiamare la sinistra statunitense alle barricate.

 

Anche prima del suo ritorno al potere, Lula occupava un posto speciale nell’immaginario dei progressisti statunitensi: un crociato populista in una delle più grandi democrazie del mondo, un difensore dell’Amazzonia, uno schietto esponente della sinistra americana durante l’era di George W. Bush. La sua incarcerazione nel 2018, frutto di un discutibile processo per corruzione, lo ha reso un martire politico.

 

C’è una componente estetica nel suo fascino per i progressisti che aiuta a oscurare altre realtà scomode, come la sua visione equivoca dell’invasione russa dell’Ucraina.

 

Si pensi alle immagini dell’ultima candidatura di Lula, che mostrano un ruggente combattente di sinistra che fa campagna nei quartieri poveri e saluta folle estasiate da un’auto scoperta. Sono scene sconosciute agli elettori statunitensi del nostro tempo. Per molti progressisti, sembrano la versione migliore della politica.

 

La detenzione di Lula ha rafforzato il suo rapporto a distanza con i legislatori di sinistra di Washington, che hanno sposato la sua causa. Sanders ha guidato lo sforzo, chiedendo ripetutamente il rilascio di Lula durante la sua campagna presidenziale. Dopo il suo rilascio, il politico brasiliano ha ringraziato Sanders.

 

“Spero che i lavoratori americani ti facciano diventare presidente degli Stati Uniti”, ha scritto Lula a Sanders su Twitter.

 

Nella foto il presidente della Commissione Salute, Istruzione, Lavoro e Pensioni del Senato, Bernie Sanders, I-Vt.

Il ruolo principale del senatore Bernie Sanders è quello di presiedere il Comitato per la salute, l’istruzione, il lavoro e le pensioni del Senato, una carica potente che si concentra sull’economia degli Stati Uniti. | J. Scott Applewhite/AP Photo

 

Quest’anno ha continuato a esprimere gratitudine a Washington, incontrando Sanders e ringraziando lui e altri progressisti per il loro sostegno. Quando Lula si è riunito con i leader sindacali, è stato effusivo. “Voleva ringraziare il movimento sindacale per essere al suo fianco”, ha detto Randi Weingarten, presidente della Federazione americana degli insegnanti.

 

Anche con i dirigenti sindacali, Lula ha sollecitato una mobilitazione transnazionale. Ha fatto pressione su di loro affinché conducano una “lotta per i lavoratori e per sollevare le loro aspirazioni economiche, i loro salari di sussistenza”, oltre a proteggere l’Amazzonia, ha detto Weingarten.

 

Nel suo incontro con i progressisti del Congresso, Khanna ha detto che Lula ha descritto una certa forma di politica progressista – incentrata sull’avanzamento economico della classe operaia e sulla lotta al cambiamento climatico – come l’antidoto allo stato di disperazione che alimenta le politiche autoritarie.

 

“Una delle intuizioni interessanti che ha avuto è che c’è un movimento, non solo in Brasile ma in tutto il mondo, di antipolitica”, ha detto Khanna, “e che le persone hanno perso la fiducia nell’organizzazione e nell’attività politica, e si sono bevute il racconto che tutto è corrotto, tutto è rotto e la politica non conta”.

 

La soluzione, secondo Lula, è una “politica di speranza e di aspirazioni” che dia agli elettori la fiducia “di poter migliorare le condizioni economiche della gente”, ha detto Khanna.

 

Per certi versi, questo sembra un personaggio molto vicino a noi: Joe Biden.

 

Il Presidente degli Stati Uniti e Lula hanno profonde divergenze politiche, soprattutto sull’Ucraina. Per ora, hanno messo a tacere le loro differenze per presentare un fronte unito contro le forze autocratiche e insurrezionali locali. Alla Casa Bianca, ciascuno ha salutato l’altro come un campione della democrazia.

 

Quando ho contattato il portavoce di Lula, José Crispiniano, in merito ai suoi incontri a Washington, ha condiviso una dichiarazione che sottolinea l’ammirazione di Lula per Biden: “È rimasto colpito e soddisfatto dell’impegno del Presidente Biden nei confronti dei sindacati e dei lavoratori”. Ha rifiutato di commentare le osservazioni di Lula sulla costruzione della sinistra globale.

 

Manifestanti, sostenitori dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro, prendono d’assalto l’edificio del Congresso nazionale a Brasilia, in Brasile.

CASA BIANCA

 

L’amministrazione Biden condanna l’assalto agli edifici governativi della capitale brasiliana

DI OLIVIA OLANDER E NAHAL TOOSI

Biden e Lula sono simili per un altro aspetto importante. Sono entrambi leader nazionali di lunga data che hanno portato alla vittoria coalizioni di centro-sinistra, in parte perché hanno saputo resistere agli attacchi della destra che avrebbero potuto abbattere qualsiasi candidato meno familiare agli elettori.

 

Il ministro delle Finanze brasiliano, Fernando Haddad, che ha raggiunto Lula a Washington, lo ha fatto notare ai progressisti del Congresso. “Ha detto che nessun altro oltre a Lula avrebbe potuto vincere”, ha detto Khanna. Secondo Haddad, solo Lula era in grado di superare la valanga di bile e disinformazione diretta contro la sua candidatura.

 

In nessuno dei due Paesi è garantito che un messaggio di sinistra o di centro-sinistra possa avere successo con un altro messaggero.

 

Anche questo è un monito e una sfida per i progressisti.

https://www.politico.com/news/magazine/2023/04/13/lula-global-battle-against-trumpism-00091794?utm_source=substack&utm_medium=email

L’ultima guerra ibrida contro il Brasile è condotta da forze dichiaratamente pro-Lula

 

ANDREW KORYBKO

4 MAR 2023

 

La seconda guerra ibrida in Brasile è in realtà il risultato di una lotta di potere non dichiarata all’interno del partito, iniziata dai sostenitori del “Nuovo Lula” contro la base di sostenitori del partito che pensano ancora che sia il “Vecchio Lula”, il cui esito determinerà la traiettoria del Brasile nella Nuova Guerra Fredda. Continuerà a muoversi in una direzione allineata con gli Stati Uniti in mezzo all’imminente triforcazione delle relazioni internazionali o si ricalibrerà più vicino all’Intesa sino-russa e/o al Sud globale.

 

Chiarire il significato di guerra ibrida

 

La prima guerra ibrida in Brasile è stata condotta dagli oppositori del Presidente Lula per effettuare un cambio di regime contro il suo Partito dei Lavoratori (PT), il che rende l’ultima guerra ibrida in Brasile ancora più intrigante, poiché è condotta da forze apparentemente pro-Lula per rafforzare il regime. Prima di procedere, è necessario un chiarimento sulla terminologia precedente, per evitare qualsiasi malinteso sul modo in cui viene descritto lo stato attuale delle cose.

 

Per Guerra Ibrida si intende la manipolazione non convenzionale dei processi socio-politici di uno Stato preso di mira per far avanzare l’agenda degli operatori. Per quanto riguarda la parola “regime” nei termini “cambio di regime” e “rafforzamento del regime”, essa si riferisce semplicemente al governo e non viene utilizzata nel modo in cui i propagandisti occidentali l’hanno usata per delegittimare le autorità. Tenendo conto di ciò, l’osservazione che ci sono due guerre ibride in Brasile ha più senso.

 

La prima e la seconda guerra ibrida contro il Brasile

 

La prima è stata orchestrata dagli Stati Uniti con l'”Operazione Autolavaggio” per rimuovere il PT attraverso un colpo di Stato post-moderno guidato dalle forze dell’ordine, come punizione per la politica estera relativamente più multipolare dell’epoca. La seconda, invece, è condotta su prerogativa indipendente di forze apparentemente pro-Lula, al fine di manipolare le percezioni della base del PT sulla politica estera di Lula, relativamente più allineata agli Stati Uniti, durante il suo terzo mandato, in modo da scongiurare preventivamente il dissenso interno.

 

La prima guerra ibrida contro il Brasile si è basata su presunte rivelazioni anti-corruzione per mettere in moto la dimensione “lawfare” del processo di cambio di regime, che ha poi catalizzato una combinazione di proteste organizzate indipendentemente contro il PT e di quelle organizzate da agenzie di intelligence straniere mascherate da “ONG”. Al contrario, la seconda guerra ibrida contro il Brasile si basa esclusivamente su teorie del complotto armate per impedire alla base del PT di protestare contro Lula.

 

La realtà dell’approccio di Lula alla guerra per procura tra NATO e Russia

 

“Lula ha chiarito nella sua telefonata con Zelensky che è contrario all’operazione speciale della Russia”, che ha fatto seguito al voto del Brasile a sostegno di una risoluzione ONU anti-russa, che a sua volta è arrivata poco dopo che lui stesso aveva condannato l’operazione speciale della Russia nella sua dichiarazione congiunta con Biden all’inizio di febbraio. Invece di rimanere neutrale nei confronti del conflitto ucraino, astenendosi come hanno fatto i suoi colleghi BRICS, ha ordinato ai suoi diplomatici di allinearsi apertamente con gli Stati Uniti su questa delicata questione.

 

“La visione multipolare ricalibrata di Lula lo rende favorevole ai grandi interessi strategici degli Stati Uniti”, come spiegato nella precedente analisi ipertestuale e dimostrato dalla sua politica nei confronti della guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina. I lettori possono saperne di più esaminando le opere citate in questo pezzo. Il punto è che la sua politica nei confronti di questo conflitto non è quella che si aspettava la base del PT, che sperava che avrebbe invertito la posizione del suo predecessore Bolsonaro di votare contro la Russia alle Nazioni Unite, astenendosi invece.

 

Alla fine è successo l’esatto contrario: Lula ha ribaltato la posizione relativamente più neutrale del suo predecessore nei confronti della guerra per procura tra NATO e Russia, condannando senza precedenti la Russia nella sua dichiarazione congiunta con Biden, cosa che Bolsonaro non ha fatto dopo il suo incontro con il leader statunitense la scorsa estate. Ogni pretesa di neutralità che il Brasile avrebbe potuto tentare di invocare nei confronti di questo conflitto è stata screditata dal momento che Lula ha deciso di andare contro la tendenza dei BRICS diventando il primo leader a condannare ufficialmente la Russia.

 

La teoria del complotto sulla presunta posizione “segreta” di Lula

 

Il suo approccio indiscutibilmente allineato agli Stati Uniti nei confronti del conflitto geostrategicamente più trasformativo dalla Seconda Guerra Mondiale ha turbato molti tra la base del PT, soprattutto perché ha sollevato preoccupazioni su tutto ciò che questa posizione potrebbe comportare. Ad esempio, suggerisce che nell’imminente triforcazione delle relazioni internazionali tra il Miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, l’Intesa sino-russa e il Sud globale guidato informalmente dall’India, il Brasile si allineerà molto più vicino al blocco statunitense che agli altri due.

 

Al fine di evitare preventivamente il dissenso interno tra i suoi ranghi, sia che si esprima attraverso il cyberspazio sotto forma di critiche sui social media, sia che si esprima nelle strade sotto forma di proteste, le forze dichiaratamente pro-Lula hanno elaborato una teoria del complotto sulla sua posizione. Nonostante i fatti oggettivamente esistenti e facilmente verificabili, insistono sul fatto che Lula sostiene “segretamente” l’operazione speciale della Russia e che tutte le mosse pubbliche che lo riguardano sono solo un suo gioco di “scacchi 5D”.

 

Questa teoria del complotto è fondamentalmente un’imitazione brasiliana di quella messa in giro dal famigerato QAnon, secondo il quale ogni mossa fatta pubblicamente da Trump nella direzione opposta alle aspettative della sua base era solo un suo presunto gioco di “scacchi a 5D” per “psicologizzare” i suoi avversari, ma che “solo loro” e non i loro rivali “conoscono la verità”. Entrambi sono avulsi dalla realtà, sono stati inventati solo per evitare preventivamente il dissenso interno tra le file dei loro sostenitori e funzionano essenzialmente come “religioni secolari”.

 

Quest’ultima caratterizzazione è più azzeccata di quanto gli osservatori possano inizialmente pensare. Proprio come la base del Movimento MAGA era così disperata da credere che il suo “eroe” Trump fosse il suo “salvatore” che avrebbe invertito tutte le politiche odiate del suo predecessore Obama, così anche la base del PT è così disperata da credere che il suo “eroe” Lula sia il suo “salvatore” che invertirà tutte le politiche odiate del suo predecessore Bolsonaro.

 

In realtà, Trump ha finito per diventare il presidente più duro nei confronti della Russia sin dalla vecchia guerra fredda, prima della nuova guerra fredda in corso, che ha raggiunto la sua ultima fase sotto Biden dopo l’inizio dell’operazione speciale di Mosca. Quanto a Lula, ha abbandonato la posizione relativamente più neutrale di Bolsonaro nei confronti della guerra per procura tra NATO e Russia, condannando senza precedenti la Russia nella sua dichiarazione congiunta con Biden e diventando così il primo leader dei BRICS a farlo. Entrambi hanno finito per deludere le loro basi sulla Russia.

 

Il complotto per prevenire disperatamente il dissenso interno al PT

 

Per essere assolutamente chiari, non è realistico immaginare che la base del Movimento MAGA avrebbe protestato contro la politica ostile di Trump nei confronti della Russia se non fosse stata ingannata dalla teoria cospirativa degli “scacchi 5D” di QAnon, né avrebbe fatto alcuna differenza se lo avesse fatto. La base del PT è molto più consapevole e attiva dal punto di vista politico, quindi c’è la possibilità che alcuni protestino contro la politica ostile di Lula nei confronti della Russia, e questo potrebbe fare la differenza.

 

Anche se il loro dissenso interno rimane nell’ambito del cyberspazio, potrebbe comunque avere un impatto notevole sul ridisegno della percezione di Lula e della politica estera di questo terzo mandato, che potrebbe quindi cambiare le dinamiche interne al partito nel lungo periodo. Coloro che hanno architettato la teoria del complotto sulla sua posizione nei confronti della Russia, l’hanno armata contro la base del PT e impiegano aggressivamente attacchi tossici ad hominem contro chiunque li verifichi, vogliono disperatamente evitare questi due scenari.

 

Stanno letteralmente conducendo una guerra ibrida non solo contro lo stesso partito che dicono di sostenere, ma contro tutti i brasiliani attraverso i mezzi non convenzionali con cui mirano a manipolare i processi socio-politici del Paese attraverso la campagna di disinformazione appena descritta. Sebbene non si possa escludere che elementi di alto livello del PT abbiano incoraggiato o orchestrato questi ultimi sviluppi, questo non si può sapere con certezza e rimane quindi una pura speculazione.

 

Prove inconfutabili dell’esistenza della seconda guerra ibrida contro il Brasile

 

Tuttavia, l’esistenza di questa seconda guerra ibrida contro il Brasile non può essere negata da nessun osservatore onesto, poiché è indiscutibile che questa teoria cospirativa armata stia circolando in modo virale in tutto l’ecosistema informativo del Paese. Ecco tre esempi di oggi, che sono stati riciclati da “utili idioti” che hanno creduto a questa disinformazione sull’approccio di Lula alla guerra per procura tra NATO e Russia, oppure deliberatamente spinti da persone che intendevano consapevolmente fuorviare il loro pubblico.

 

Anche una setta nota come “Partito della Causa dei Lavoratori” (“PCO”, secondo l’abbreviazione portoghese) ha assunto questa teoria del complotto come causa principale, nel tentativo di reclutare nuovi membri e di accattivarsi il favore delle élite del PT, senza che nessuno dei due obiettivi sia garantito. Il punto è che la guerra ibrida descritta nel presente articolo, alimentata dal disperato desiderio politico di scongiurare preventivamente il dissenso interno alla base del PT, è attivamente condotta contro i brasiliani in questo momento.

 

Per ricordare al lettore che questo processo può essere tranquillamente descritto come una guerra ibrida, poiché si tratta di mezzi non convenzionali per manipolare i processi socio-politici dello Stato preso di mira al fine di portare avanti l’agenda degli operatori, che è stata appena riassunta sopra. A differenza della prima guerra ibrida contro il Brasile, non è orchestrata da alcun soggetto esterno, non mira a provocare proteste e non ha l’intenzione di promuovere un cambio di regime contro il PT.

 

“Sostenitori del “nuovo Lula” e sostenitori del “vecchio Lula

 

Piuttosto, questa seconda guerra ibrida contro il Brasile viene condotta sulla base di una prerogativa indipendente delle forze apparentemente pro-Lula (presumendo che non siano coinvolte figure di alto livello del PT) per scongiurare preventivamente il dissenso interno alla base del PT (compreso quello che potrebbe assumere la forma di proteste) a fini di rafforzamento del regime. Il motivo per cui questi agenti sono descritti come solo apparentemente a favore di Lula è che chi lo sostiene sinceramente non sentirebbe il bisogno di mentire sulle sue posizioni.

 

Un vero credente aspirerebbe sempre ad articolare accuratamente le sue politiche, anche quelle con cui potrebbe non essere d’accordo, invece di manipolare le percezioni degli altri su di esse, per non parlare di quelle della base del PT. Opinioni contrarie espresse in modo responsabile, attraverso critiche costruttive come quelle contenute nel presente articolo, potrebbero portare a cambiamenti significativi per il meglio o, almeno, a modellare in qualche modo i parametri per dibattiti a lungo attesi su questioni delicate come l’approccio “politicamente scomodo” di Lula alla guerra per procura tra NATO e Russia.

 

Ciò che invece sta accadendo è che gli opportunisti politici (sempre supponendo che non siano coinvolte figure d’élite del partito al potere) stanno impedendo che ciò accada per paura che i processi socio-politici risultanti all’interno del PT possano alla fine portare a ricalibrare la politica estera di Lula. Essi sostengono davvero il “Nuovo Lula”, incarnato dal suo approccio relativamente più allineato agli Stati Uniti durante il suo terzo mandato, in contrapposizione al “Vecchio Lula” che la maggior parte della base del PT apparentemente pensa ancora che sia.

 

Riconcettualizzare la seconda guerra ibrida contro il Brasile

 

Questa intuizione (a prescindere dalle speculazioni sul coinvolgimento di figure di alto livello del PT in quest’ultima guerra ibrida) consente agli osservatori di riconcepire il tutto come una lotta di potere interna al PT volta a manipolare la base del partito affinché ignori le prove inconfutabili che la sua visione del mondo è cambiata. Ciò di cui questi operatori non si rendono conto è che anche la consapevolezza di questa spiacevole realtà da parte della sua base non li porterebbe ad abbandonare il sostegno a Lula, poiché il loro feroce odio per Bolsonaro lo rende impossibile.

 

In questo senso, si può quindi affermare che le forze che stanno dietro a questa ultima guerra ibrida al Brasile sono pro-Lula nel senso che sostengono il “Nuovo Lula”, mentre la base del PT è anch’essa pro-Lula, ma soprattutto perché sostiene il “Vecchio Lula”. La seconda maggioranza dei suoi sostenitori non lo abbandonerebbe di certo per Bolsonaro o per chiunque altro anche se venisse a sapere che la sua visione del mondo è cambiata, ma potrebbe comunque cercare di fargli pressione per ricalibrare la sua politica estera più vicina alle loro aspettative.

 

Osservazioni oggettive

 

Da un punto di vista esterno, i sostenitori del “Nuovo Lula” che si armano di teorie cospirative sul suo approccio alla guerra per procura tra NATO e Russia sembrano avere la coscienza sporca, poiché si aspettano che la base del PT rifiuti questa politica, e quindi mentono per nasconderla. Quello che avrebbero dovuto fare è articolare la sua nuova visione del mondo e soprattutto la sua posizione nei confronti di questa delicata questione, avviando così un dibattito relativamente controllato all’interno del PT su tutto questo.

 

Conducendo una guerra ibrida guidata dalla disinformazione sui loro compagni di partito in particolare e sul resto dei loro compatrioti in generale, questi sostenitori del “Nuovo Lula” stanno facendo un gioco di potere per il controllo del PT, che a sua volta può essere descritto come un gioco di potere per il controllo della politica estera del Brasile. Sanno di essere in minoranza e che la maggioranza della base del PT rifiuterebbe la direzione allineata agli Stati Uniti in cui Lula sta portando il Paese, ergo perché stanno ricorrendo alla guerra ibrida per mantenere il loro potere.

 

Questa osservazione dà credito a quella che al momento è una pura speculazione sulla complicità di alti membri del partito nell’ultima guerra ibrida contro il Brasile, che appare probabile se si concettualizzano le dinamiche socio-politiche analizzate – soprattutto quelle interne al PT – in questo modo. Le loro teorie cospirative vengono utilizzate non per rafforzare il regime in sé, poiché la base del PT non abbandonerà mai Lula, ma specificamente per rafforzare il controllo di questa minoranza ideologica sul partito.

 

Riflessioni conclusive

 

Alla luce di ciò, la seconda guerra ibrida in Brasile è in realtà il risultato di una lotta di potere non dichiarata all’interno del PT, iniziata dai sostenitori del “Nuovo Lula” contro la base dei sostenitori del partito che lo ritengono ancora il “Vecchio Lula”, il cui esito determinerà la traiettoria del Brasile nella Nuova Guerra Fredda. Continuerà a muoversi in una direzione allineata con gli Stati Uniti in mezzo all’imminente triforcazione delle relazioni internazionali o si ricalibrerà più vicino all’Intesa sino-russa e/o al Sud globale.

https://korybko.substack.com/p/the-latest-hybrid-war-on-brazil-is?utm_source=substack&utm_medium=email

La restaurazione della politica estera brasiliana

Come Lula può recuperare il tempo perduto

Di Hussein Kalout e Feliciano Guimarães

15 marzo 2023

Il Presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva a Brasilia, marzo 2023

Il Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva a Brasilia, marzo 2023

Adriano Machado / Reuters

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Il trionfo di Luiz Inácio Lula da Silva, noto come Lula, alle elezioni presidenziali brasiliane del 2022 ha segnato niente meno che il salvataggio della democrazia del Paese. La presidenza del suo predecessore, Jair Bolsonaro, aveva indebolito i pilastri fondamentali del sistema brasiliano: lo Stato di diritto e la coesione delle istituzioni statali, il consolidamento democratico raggiunto da quando il Paese è uscito nel 1988 da decenni di dittatura militare. In effetti, la vittoria di Lula ha rappresentato una rinascita della democrazia e un rifiuto dell’autoritarismo atavico.

 

Il 77enne presidente brasiliano ha ora iniziato il suo terzo mandato (due mandati tra il 2003 e il 2010). Deve affrontare sfide importanti su tutti i fronti. Come negli Stati Uniti, il Paese è polarizzato e molti sostenitori di Bolsonaro si rifiutano di accettare il risultato delle elezioni, una convinzione rabbiosa che ha portato a rivolte nella capitale Brasilia a gennaio. Il Brasile è cambiato dall’ultima volta che Lula è stato al potere e così anche il mondo. La politica estera di Lula deve tenere conto di un ordine internazionale che è più frammentato, competitivo e fragile di quanto non fosse due decenni fa.

 

Bolsonaro ha lasciato la politica estera del Brasile alla deriva. Quando ha lasciato il suo incarico, Brasilia non aveva ancora stabilito come posizionarsi nel contesto della crescente rivalità tra Cina e Stati Uniti. Aveva voltato le spalle a un’azione concertata nel suo cortile sudamericano. E grazie al negazionismo climatico di Bolsonaro e dei suoi luogotenenti, la sua politica ambientale era a pezzi.

 

Rimanete informati.

Analisi approfondite con cadenza settimanale.

Il governo di Lula deve ora raccogliere i cocci. I politici brasiliani hanno a lungo insistito sulla virtù di un ordine mondiale multipolare, ma questa insistenza sarà messa alla prova dall’ineluttabile competizione tra Cina e Stati Uniti, le due maggiori potenze mondiali. Lula deve tracciare una rotta tra questi due Paesi, che sono entrambi partner essenziali per il Brasile. Sulla scena globale, il Brasile può tornare a svolgere un ruolo chiave nello sforzo di contenere il cambiamento climatico, un progetto ampiamente abbandonato da Bolsonaro. E nel suo vicinato, il Brasile dovrebbe usare le sue dimensioni e il suo peso economico per contribuire a sostenere la stabilità e la prosperità della regione. Se Lula riuscirà a trovare un equilibrio tra idealismo e pragmatismo, potrà mettere il Brasile sulla strada per recuperare il prestigio e la rilevanza persi sotto il suo predecessore.

 

A PIEDI LA LINEA

Quando Lula è diventato presidente, nel 2003, Washington e Pechino non erano ancora rivali quasi alla pari. Gli Stati Uniti si comportavano ancora come l’unica superpotenza mondiale. Sebbene in rapida crescita, la Cina non chiedeva di essere riconosciuta alla stregua degli Stati Uniti. Né i responsabili politici brasiliani dovevano preoccuparsi di come le loro decisioni avrebbero potuto giocare contemporaneamente in Cina e negli Stati Uniti. Oggi, la competizione tra le grandi potenze ha invariabilmente influenzato gli interessi del Brasile in varie arene internazionali, anche in America Latina, dove i due Paesi si contendono l’influenza. La competizione tra Stati Uniti e Cina rappresenta una sfida enorme per il governo Lula nel breve periodo e per la politica estera brasiliana nel lungo periodo.

 

La politica estera della nuova amministrazione Lula dovrebbe basarsi soprattutto sul bilanciamento tra le potenze. Non può sperare di sostituire l’una con l’altra: entrambe sono indispensabili. Gli Stati Uniti sono il principale investitore del Brasile e la Cina il suo principale partner commerciale. Entrambi i Paesi sono ugualmente importanti per lo sviluppo tecnologico del Brasile. Ad esempio, per quanto riguarda i semiconduttori, sia la Cina che gli Stati Uniti vogliono aumentare i loro investimenti per espandere gli elementi della catena di fornitura dei chip in Brasile. L’amministrazione Lula non può permettersi di perdere nessuno di questi investimenti nel tentativo di reindustrializzare il Paese.

 

Il Brasile può recuperare il prestigio e la rilevanza che ha perso sotto Bolsonaro.

Certo, il Brasile è stato deluso dal comportamento degli Stati Uniti negli ultimi 20 anni. Da tempo i politici brasiliani ritengono che Washington abbia trascurato il loro Paese e, più in generale, l’America Latina, che riceve l’attenzione degli Stati Uniti solo quando una grande potenza straniera – oggi la Cina – cerca di estendere la propria influenza. Il Brasile e gli Stati Uniti si trovano ora ad affrontare due sfide importanti nelle loro relazioni bilaterali. In primo luogo, Brasilia e Washington devono identificare e poi definire le aree importanti in cui entrambi possono cooperare. In un incontro di febbraio a Washington, Lula e il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden hanno convenuto che entrambi i Paesi sono impegnati ad affrontare il cambiamento climatico e a difendere la democrazia. In secondo luogo, entrambe le parti devono avere una chiara percezione dei punti di disaccordo e di quelli che potrebbero sorgere in futuro. I diplomatici statunitensi, ad esempio, non sono riusciti a convincere il Brasile a sostenere apertamente l’Ucraina nella sua guerra con la Russia, un conflitto di cui il Brasile non vuole far parte. Brasilia e Washington possono istituire un gruppo di lavoro permanente per mitigare questi punti di attrito e, a poco a poco, smussare le potenziali tensioni. Ovviamente, i diplomatici non saranno in grado di risolvere ogni questione. Non ci si può aspettare che Paesi delle dimensioni del Brasile e degli Stati Uniti siano d’accordo su ogni aspetto dell’ordine internazionale e regionale.

 

Il Brasile deve evitare alleanze rigide e abbracciare partenariati più flessibili, in linea con l’idea che l’ordine internazionale sta diventando sempre più multipolare. In alcuni casi, il Brasile guadagnerà di più lavorando con i Paesi del Nord globale. Entro la metà di quest’anno, Lula cercherà di finalizzare l’accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay). L’amministrazione di Lula potrebbe anche prendere in considerazione l’adesione all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, un piano avviato dai suoi predecessori ma deriso da settori della sinistra brasiliana. In altri casi, tuttavia, il Brasile cercherà partnership più adatte nel Sud globale. La Cina ha segnalato, ad esempio, il suo interesse a firmare un accordo commerciale con il Mercosur.

 

La guerra in Ucraina ha messo il Brasile in una posizione difficile. Non può non condannare l’invasione russa, né opporsi completamente alla Russia, suo partner in iniziative come il gruppo BRICS (che riunisce Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Lula ha ventilato l’idea che un gruppo di Paesi non allineati, tra cui il Brasile, potrebbe contribuire a portare le due parti in conflitto al tavolo delle trattative e a porre fine alla guerra. Una cosa è avere una posizione sulla guerra a livello multilaterale e un’altra è cercare di mediare un conflitto molto intricato, in cui il Brasile ha una capacità limitata di influenzare gli eventi sul campo. Le innegabili qualità di negoziatore di Lula potrebbero scontrarsi con i duri limiti dell’incompatibilità degli interessi russi e ucraini.

 

Nei forum multilaterali, come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il Brasile aspira ad assumere nuove responsabilità in materia di sicurezza globale. Sotto la guida di Lula, non dovrebbe deviare dai principi fondamentali della sua politica estera, tra cui l’impegno per la risoluzione pacifica delle controversie, il diritto internazionale, il multilateralismo e i diritti umani. A livello più ampio, i funzionari brasiliani hanno chiesto che le organizzazioni internazionali, in particolare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, affrontino meglio le minacce alla pace, così come le pandemie, le crisi dei rifugiati, le guerre commerciali, la sicurezza informatica, l’insicurezza alimentare e, soprattutto, i cambiamenti climatici.

 

POTERE CLIMATICO

Sotto Bolsonaro, il Brasile ha abbandonato la sua posizione di attore principale nell’affrontare la crisi climatica. Lula spera di raddrizzare la situazione e di riconquistare il rilievo che il Brasile aveva e il ruolo di leadership nella lotta al cambiamento climatico prima della presidenza di Bolsonaro.

 

Le foreste amazzoniche brasiliane, secondo il luogo comune, sono “i polmoni della Terra”, assorbono enormi quantità di anidride carbonica ed espirano ossigeno. Eppure queste foreste sono sotto pressione, minacciate da allevatori, agricoltori e minatori. La lotta alla deforestazione in Brasile è di interesse mondiale. Il governo di Lula, a differenza di quello di Bolsonaro, probabilmente applicherà le severe leggi esistenti volte a proteggere l’Amazzonia. Ma al di là dell’applicazione delle protezioni legali, la società brasiliana deve comprendere meglio il valore e lo scopo della conservazione della foresta. Per raggiungere questo obiettivo sociale più ampio, lo Stato deve incoraggiare gli sforzi per sviluppare bioindustrie in Amazzonia che sfruttino le sue risorse senza portare alla deforestazione – come la coltivazione delle bacche di acai – e dare potere alle comunità locali e ai gruppi indigeni. In questo modo, la nuova amministrazione Lula ritiene di poter affrontare la crisi climatica nel modo più efficiente possibile.

 

Purtroppo, i necessari investimenti pubblici e privati in scienza, tecnologia e innovazione per realizzare questa iniziativa sono ancora molto al di sotto di quanto necessario. Il Brasile e i suoi vicini amazzonici devono approfittare degli impegni assunti da tutti i firmatari dell’Accordo di Parigi per cercare finanziamenti sufficienti e tecnologie verdi. A tal fine, il governo Lula spera di dare nuovo impulso all’Organizzazione del Trattato di Cooperazione Amazzonica, un forum multilaterale con sede a Brasilia che promuove lo sviluppo sostenibile nel bacino amazzonico, ma che non è mai stato pienamente utilizzato dalla sua creazione nel 1995. Il Brasile potrebbe portare la sua politica climatica a un nuovo livello creando un’iniziativa multilaterale che potrebbe chiamarsi Forum mondiale dell’Amazzonia, una sede per riunire tutti i Paesi e gli attori politici interessati a garantire l’Amazzonia per le generazioni future.

 

ESSERE UN BUON VICINO

In questo contesto, il Brasile deve raddoppiare gli sforzi nel proprio cortile, in Sud America, il suo spazio d’azione naturale. Un Brasile disinteressato al Sudamerica, come è stato durante l’amministrazione di Bolsonaro, non fa che approfondire i possibili problemi. Impegnarsi nel dialogo con democrazie fragili e imperfette, e persino con Stati autocratici come il Venezuela, è meglio che ostracizzarli. Isolare questi attori porta solo alla rinascita dell’autoritarismo e genera instabilità politica e sociale.

 

Tuttavia, il Brasile deve stabilire come vuole esercitare la sua leadership e promuovere lo sviluppo nella regione. Bolsonaro ha trattato il Sudamerica come un ostacolo al futuro del suo Paese. Lula deve cercare un nuovo approccio al Sud America, riconoscendo che il suo Paese può guidare l’integrazione della regione. Il Brasile può offrire ai Paesi del Sudamerica vantaggi che nessun altro Stato sudamericano può offrire: un grande mercato di consumo, la capacità finanziaria della sua banca nazionale di sviluppo, la cooperazione su questioni di sicurezza più ampie e il peso diplomatico.

 

Per poter proiettare il proprio potere e conservare la propria influenza, il Brasile dovrà fare delle concessioni. La leadership regionale ha un costo. Queste concessioni, per la maggior parte, sono di natura economica e potrebbero danneggiare gli interessi di alcuni settori economici brasiliani. L’apertura del mercato interno a particolari esportazioni dai vicini, come le banane dall’Ecuador o i prodotti tessili dal Perù, potrebbe segnalare la volontà del Paese di pagare il prezzo della leadership. Se il Brasile non offre ai suoi vicini ulteriori incentivi per integrare le loro economie con il mercato brasiliano, il governo Lula corre il rischio di vedere potenze esterne alla regione prendere il controllo delle catene di approvvigionamento e interrompere ulteriormente l’integrazione sudamericana.

 

IL BRASILE È TORNATO

Naturalmente, quando tutto è una priorità, niente è una priorità. Il nuovo governo Lula deve stabilire come incanalare le proprie energie e risorse verso le iniziative giuste. La politica estera è una politica pubblica e, in quanto tale, deve rappresentare le richieste dei brasiliani e soddisfare le loro esigenze più pressanti. La priorità numero uno del Brasile è quella di ridurre la vergognosa disuguaglianza; come misurato dal coefficiente Gini, il Paese è uno dei più disuguali al mondo. La politica estera del Brasile dovrebbe guidare tutte le sue iniziative verso questo obiettivo essenziale, concentrandosi sui temi della sicurezza alimentare, del cambiamento climatico, dell’agricoltura sostenibile, dell’integrazione regionale, dello sviluppo tecnologico e dell’accesso al mercato. Qualsiasi azione che si discosti da questo obiettivo fondamentale non dovrebbe essere considerata una priorità.

 

Dopo il tumulto degli anni di Bolsonaro, il Brasile può riaffermarsi come una forza preziosa sulla scena internazionale. Il mondo è cambiato dal primo mandato presidenziale di Lula e la politica estera del Brasile deve adattarsi alle sfide attuali e future. Lula ha ora la grande opportunità di costruire una nuova dottrina, coesa, credibile e innovativa. Il Brasile è tornato e può svolgere un ruolo positivo, persino indispensabile, nella regione e nel mondo.

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In Focus: i commenti dell’Ucraina di Lula

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva gesticola durante un evento al Palazzo Planalto di Brasilia il 20 aprile.

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva gesticola durante un evento al Palazzo Planalto di Brasilia il 20 aprile. EVARISTO SA/AFP TRAMITE GETTY IMAGES

Mentre Lula ha cercato di posizionarsi come un arbitro neutrale e degno di fiducia per aiutare a mediare la fine della guerra della Russia in Ucraina, una serie di suoi commenti nei giorni scorsi ha suscitato aspre critiche da parte di funzionari statunitensi ed europei, che hanno accusato il presidente brasiliano di schierarsi dalla parte di Mosca .

Sabato a Pechino, Lula ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero smetterla di “incoraggiare la guerra”; domenica, durante una sosta negli Emirati Arabi Uniti, ha affermato che la decisione di fare una guerra “è stata presa da due paesi”. Lunedì, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov è arrivato in Brasile per un viaggio precedentemente programmato e ha affermato che Russia e Brasile hanno una “visione simile” della guerra.

I commenti di Lula sono stati “semplicemente fuorvianti”, ha detto lunedì il portavoce della sicurezza nazionale degli Stati Uniti John Kirby. Martedì, la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha affermato che una conferenza stampa tenuta il giorno precedente dal ministero degli Esteri brasiliano sulla guerra non presentava “un tono di neutralità”.

In Europa, i funzionari hanno criticato pubblicamente i commenti e, secondo quanto riferito , un briefing interno dell’UE ha espresso preoccupazione per la posizione del Brasile sull’Ucraina. Martedì il ministero degli Esteri ucraino ha affermato che “l’approccio che mette sullo stesso piano vittima e aggressore” non è “in linea con la reale situazione” e ha invitato Lula a visitare il Paese.

Martedì Lula aveva rilasciato una nuova dichiarazione in cui condannava “la violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina” e mercoledì il suo consigliere per gli affari esteri Celso Amorim ha discusso della guerra con il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan, dove c’è stata una “franca discussione in un tentativo di chiarire i malintesi”, ha riferito Bloomberg .

Sullivan e Jean-Pierre hanno affermato che il rapporto Brasile-USA è rimasto forte, ma i commentatori hanno concordato in modo schiacciante che il Brasile ha bruciato parte della benevolenza occidentale di cui godeva inizialmente dopo l’insediamento di Lula a gennaio. Il Brasile dovrebbe assumere “impegni reali nei confronti delle democrazie liberali che hanno contribuito a sconfiggere il golpe di Bolsonaro”, ha twittato il giornalista brasiliano João Paulo Charleaux . “È necessario prendere posizione nelle relazioni internazionali”.

Catherine Osborn è la scrittrice del settimanale Latin America Brief di Foreign Policy . È una giornalista di stampa e radio con sede a Rio de Janeiro. Twitter:  @cculbertosborn

Il Brasile corteggia la Cina per rafforzare i legami tecnologici

Lula crede che Pechino possa aiutare, non ostacolare, le ambizioni industriali di Brasilia.

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Di Catherine Osborn , autrice del settimanale Latin America Brief di Foreign Policy .

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Il ministro delle finanze brasiliano Fernando Haddad parla durante una conferenza stampa presso l’ambasciata brasiliana a Pechino il 14 aprile.

Il ministro delle finanze brasiliano Fernando Haddad parla durante una conferenza stampa presso l’ambasciata brasiliana a Pechino il 14 aprile. TINGSHU WANG-POOL/GETTY IMAGES

21 APRILE 2023, 8:00

Bentornati al  Latin America Brief di Foreign Policy .

I punti salienti di questa settimana: esaminiamo gli alti e bassi del recente viaggio in Cina del presidente brasiliano Lula, compresi i suoi commenti su tutto, dal commercio alla guerra in Ucraina, e incontriamo una rivoluzionaria pop star cilena palestinese .

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Il legame Pechino-Brasilia

La megadelegazione brasiliana che si è recata in Cina la scorsa settimana comprendeva una sfilza di uomini d’affari, sette ministri, cinque governatori statali, 27 legislatori e, naturalmente, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Mentre i commenti di Lula sulla guerra in Ucraina hanno forse ricevuto la maggior copertura sulla stampa occidentale (ne parleremo più avanti in “In Focus”), il viaggio ha anche ripristinato le relazioni del suo governo con il suo più grande partner commerciale. A Pechino, Brasile e Cina hanno firmato una serie di memorandum e accordi che secondo i funzionari valgono circa 10 miliardi di dollari.

Lula ha molta esperienza nel trattare con la Cina e si è avvicinato al paese durante le sue due precedenti amministrazioni presidenziali, dal 2003 al 2010. In quel periodo, i due paesi hanno firmato un accordo per essere partner strategici, hanno visto un aumento del commercio e degli investimenti bilaterali e co -ha fondato il gruppo BRICS insieme a Russia, India e Sud Africa.

A quel tempo, Lula ei suoi consiglieri celebravano i crescenti legami tra Brasile e Cina. Ma alcuni nelle comunità di politica estera ed economica del Brasile hanno anche iniziato a chiedersi se il Brasile fosse abbastanza attento nel suo commercio bilaterale con la Cina. La stampa fine dei vari accordi firmati la scorsa settimana suggerisce che le loro preoccupazioni hanno plasmato l’approccio del nuovo governo Lula a Pechino.

Durante il primo periodo in carica di Lula, la Cina aveva un appetito travolgente per le materie prime brasiliane come la soia, il minerale di ferro e il petrolio. Ma alcuni produttori di manufatti brasiliani hanno segnalato difficoltà a vendere sul mercato cinese. Nel frattempo, la quota manifatturiera del PIL brasiliano si stava riducendo rapidamente. Quando il ministero degli Esteri brasiliano ha pubblicato una raccolta di saggi sulle relazioni Brasile-Cina nel 2011, molti hanno discusso se le relazioni economiche con la Cina stessero contribuendo alla deindustrializzazione del Brasile.

Gli studiosi hanno avvertito che la deindustrializzazione prematura è rischiosa per i paesi in via di sviluppo. Molti paesi che sono passati da poveri a ricchi hanno prima costruito i loro settori manifatturieri e hanno iniziato a lasciarli indietro solo quando le persone sono migrate verso lavori altamente qualificati e ad alto salario in altri settori. (Il Brasile si è mosso lungo la prima parte di questo percorso dagli anni ’50 agli anni ’80, quando sono cresciuti settori come la lavorazione dei metalli, la produzione di automobili, la produzione tessile e la produzione di macchinari pesanti.)

Ma in alcune parti del mondo in via di sviluppo che vedono una deindustrializzazione prematura, come il Brasile, le persone spesso lasciano i settori industriali per lavori a bassa retribuzione e bassa produttività piuttosto che lavori con salari più alti. Ad esempio, un ex operaio potrebbe ora lavorare come cassiere, autista Uber o venditore ambulante. Un enorme 39% dei lavoratori brasiliani oggi lavora nel settore informale.

Un documento del 2022 dell’economista ed esperta di Cina Tatiana Rosito e Vinicius Mariano de Carvalho del Kings College di Londra, entrambi brasiliani, sostiene che mentre il Brasile e la Cina hanno mantenuto “un’agenda complementare di successo”, i dati commerciali degli ultimi due decenni mostrano che il Brasile “non è stato in grado di diversificare in modo significativo le sue esportazioni” verso la Cina.

Rosito ha ora un’opportunità privilegiata per cambiare rotta: lei e altri che hanno chiamato a perfezionare la strategia del Brasile nei confronti di Pechino sono stati nominati a posizioni di rilievo nella nuova amministrazione Lula.

Tra i volti nuovi di Brasilia c’è Tatiana Prazeres, segretaria per il commercio estero del Ministero dello Sviluppo, Industria, Commercio e Servizi del Brasile. Prazeres ha detto a Foreign Policy che la nuova amministrazione sta cercando competenze e investimenti cinesi in Brasile che possano promuovere “una neo-industrializzazione del Paese” incentrata sulle tecnologie verdi e altri settori ad alta tecnologia. Ha definito queste le “industrie del futuro”.

Il Brasile è stato il maggior destinatario di investimenti diretti esteri cinesi nel 2021, secondo un rapporto del China-Brazil Business Council . Tra il 2007 e il 2021, il gruppo ha calcolato che gli investimenti cinesi in Brasile sono andati principalmente nei settori dell’elettricità e del petrolio, e i due paesi stanno pianificando un fondo di investimento congiunto per l’energia verde.

Uno dei memorandum firmati la scorsa settimana si impegna a facilitare progetti che includono trasferimenti di tecnologia; separatamente, sono stati annunciati accordi che includono un impianto di idrogeno verde, progetti eolici offshore e l’ultima fase di un programma satellitare prodotto congiuntamente, nonché un impegno per facilitare le start-up brasiliane a commercializzare i loro prodotti in Cina e un piano per creare un binazionale azienda di logistica agricola.

Molte delle idee annunciate “sono ancora intenzioni” piuttosto che piani concreti, come ha detto a Foreign Policy l’economista Paulo Morceiro dell’Università di Johannesburg , “ma è generalmente positivo”. Ha detto che il Brasile dovrebbe trarre vantaggio dal fatto che ha molti dei minerali critici necessari per la transizione energetica, “e la Cina ha la tecnologia”.

Tuttavia, i frequenti discorsi dell’amministrazione Lula sulle nuove politiche industriali – in collaborazione o meno con la Cina – innervosiscono alcuni economisti. Tali politiche sono molto difficili da calibrare con successo, ha dichiarato a Foreign Policy l’economista Emanuel Ornelas della Fondazione Getúlio Vargas Ha detto che l’attuale discorso sulla politica industriale gli dà “un po’ di pelle d’oca” e ha aggiunto che la storia del Brasile è disseminata di politiche industriali fallite che hanno portato a industrie che sono state “protette per decenni e sono sopravvissute senza diventare competitive a livello internazionale”.

Indipendentemente da come Lula progetta le sue ultime politiche industriali, il governo non ha i soldi per lanciare i pacchetti di stimolo verde multimiliardari che vanno di moda negli Stati Uniti e in Europa. Quello che ha sono le materie prime, un mercato interno di 215 milioni di persone e, se si fa attenzione, la capacità di contrattare a livello internazionale.

https://foreignpolicy.com/2023/04/21/brazil-china-lula-xi-trade-lavrov-russia-ukraine/

 

I cinque dettagli più importanti che molti osservatori hanno tralasciato della visita di Lavrov in Brasile, di ANDREW KORYBKO

Il viaggio di Lavrov ha evidenziato il ruolo significativo che la Russia attribuisce al Brasile quando si tratta della dimensione latinoamericana della grande strategia di Mosca. La retorica di entrambe le parti è stata positiva, ma resta da vedere se alla fine ne uscirà qualcosa di concreto, che sarà determinato in gran parte dalla partecipazione o meno di Lula al Forum economico internazionale di San Pietroburgo di quest’anno, tra meno di due mesi, come è stato appena invitato a fare.

L’ultima visita del ministro degli Esteri russo Lavrov in Brasile è andata esattamente come ci si aspettava, con la promessa di un’espansione globale della cooperazione tra i due Paesi BRICS, ma ci sono stati anche cinque dettagli molto importanti che sono sfuggiti alla maggior parte degli osservatori. Il primo è che il comunicato stampa ufficiale brasiliano ha informato tutti che l’anno scorso il commercio bilaterale ha raggiunto il record storico di 9,8 miliardi di dollari, che si è verificato interamente sotto il mandato del predecessore di Lula, Bolsonaro.

Questo fatto contraddice la narrazione della comunità Alt-Media secondo cui l’ex leader sarebbe stato un burattino degli Stati Uniti, poiché nessun mandatario di questo tipo avrebbe mai portato il commercio con la Russia al livello più alto mai raggiunto, soprattutto nel contesto della guerra per procura tra NATO e Russia in corso in Ucraina nell’ultimo anno. La base su cui entrambe le parti si sono impegnate a rafforzare ulteriormente i loro legami è stata quindi parzialmente costruita da Bolsonaro, che a sua volta ha proseguito la traiettoria che Temer e Rousseff hanno mantenuto dai primi due mandati di Lula.

In secondo luogo, l’espressione di gratitudine di Lavrov “ai nostri amici brasiliani per la corretta comprensione della genesi di questa situazione e per il loro sforzo di contribuire alla ricerca di modi per risolverla”, riportata nella trascrizione ufficiale del Ministero degli Esteri russo della sua dichiarazione congiunta, ha un significato più profondo. Il testo dà credito a un rapporto trapelato di recente secondo il quale il suo Paese approva l’ottica della retorica pacifista di Lula, ma ciò non significa che ne approvi la sostanza.

A questo proposito, il terzo dettaglio è il tempo che il diplomatico russo ha dedicato a spiegare la posizione di Mosca nei confronti del conflitto e il desiderio di vederlo finire “il prima possibile”. Ciò segue la condanna della Russia da parte di Lula nella sua dichiarazione congiunta con Biden, il voto del Brasile a sostegno di una risoluzione antirussa dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e poi la menzogna di Lula, proprio il giorno prima del viaggio di Lavrov, sul presunto disinteresse del Presidente Putin per la pace. Di conseguenza, le sue parole possono essere viste come una risposta educata a questi sviluppi precedenti.

In quarto luogo, la riaffermazione del sostegno di Lavrov al previsto seggio permanente del Brasile al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dimostra la de-ideologizzazione delle relazioni della Russia con l’America Latina, soprattutto dopo la summenzionata ostilità politica di Lula e i suoi piani riferiti di lanciare una rete di influenza globale con i Democratici statunitensi. Anche se la Cina e gli Stati Uniti sono i due partner più importanti del Brasile nella grande strategia di Lula, la Russia può ancora aiutarlo a portare avanti il loro obiettivo comune di accelerare la transizione sistemica globale verso il multipolarismo.

Infine, l’omologo di Lavrov ha confermato di aver trasmesso a Lula l’invito del Presidente Putin a partecipare al Forum economico internazionale di San Pietroburgo (SPIEF) a metà giugno, invito che, secondo quanto riportato dalla TASS, è stato esteso per la prima volta durante il viaggio a Mosca del suo principale consigliere di politica estera il mese scorso. Lula si era già impegnato a non visitare né la Russia né l’Ucraina a causa del conflitto in corso e la Corte penale internazionale ha chiesto al Brasile di arrestare il Presidente Putin se dovesse mai recarsi in quel Paese, quindi non è chiaro se Lula accetterà l’offerta.

Quest’ultimo dettaglio del viaggio di Lavrov in Brasile è di gran lunga il più importante, poiché è un modo intelligente ed educato per valutare la sincerità delle intenzioni dichiarate da Lula di continuare a costruire legami con la Russia nonostante le pressioni degli Stati Uniti. Naturalmente può dire che ci sono i cosiddetti “conflitti di programmazione” o magari dichiarare di essere malato proprio prima della partenza per San Pietroburgo, ma il punto è che questo dimostrerà se Lula è seriamente intenzionato a mettere in pratica tutto ciò che Lavrov e il suo omologo hanno discusso.

Nel complesso, il viaggio di Lavrov ha evidenziato il ruolo significativo che la Russia attribuisce al Brasile quando si tratta della dimensione latinoamericana della grande strategia di Mosca. La retorica di entrambe le parti è stata positiva, ma resta da vedere se alla fine ne uscirà qualcosa di concreto, che sarà determinato in gran parte dalla partecipazione o meno di Lula allo SPIEF di quest’anno tra meno di due mesi. Nel frattempo, si prevede che gli Stati Uniti eserciteranno la massima pressione per indurlo a non partecipare, quindi è difficile prevedere cosa farà.

https://korybko.substack.com/p/the-five-most-important-details-that

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La de-dollarizzazione del commercio brasiliano-cinese fa più luce sulla grande strategia di Lula, di Andrew Korybko

Nonostante Lula promuova il multipolarismo finanziario a spese indiscutibili del dollaro, è solidamente allineato con i liberal-globalisti al potere negli Stati Uniti, soprattutto a livello di politica interna e socio-culturale.

Breve contesto

All’inizio di questa settimana il Brasile e la Cina hanno raggiunto un accordo per la de-dollarizzazione del loro commercio, che accelererà i processi di multipolarità finanziaria nel contesto della transizione sistemica globale. La tempistica è stata curiosa, tuttavia, dal momento che il ministro dell’Agricoltura brasiliano Carlos Favaro ha dichiarato ai media lo scorso fine settimana che “tutte le azioni di governo sono rinviate” a causa della cancellazione del viaggio programmato da Lula dopo essersi ammalato. Anche se lo ha riprogrammato per l’11-14 aprile, le parti hanno deciso di firmarlo la scorsa settimana invece di aspettare fino ad allora.

Inoltre, ciò è avvenuto nella stessa settimana in cui gli Stati Uniti hanno ospitato il secondo “Vertice per la democrazia”, al quale Lula non ha partecipato in video come previsto con il pretesto della sua recente malattia. Ciononostante, ha inviato una lunga dichiarazione che i media alleati hanno riportato erroneamente come filo-russa, la cui descrizione è screditata da fatti verificabili provenienti da fonti ufficiali qui e dal testo stesso che è stato poi pubblicato integralmente qui. La Russia non è affatto menzionata e il testo sembra una lettera d’amore ai democratici statunitensi.

L’allineamento ideologico di Lula con i liberali-globalisti statunitensi

Lula è ideologicamente allineato con i liberali-globalisti, che gli intrepidi lettori possono approfondire consultando la raccolta di articoli condivisa alla fine di questa analisi qui. Non sorprende quindi che nella sua lettera abbia insinuato che l’opposizione brasiliana sia “estremista”, abbia condannato la “disinformazione” che, a suo dire, sta guidando quest’ultima come pretesto per imporre potenzialmente più censura nel prossimo futuro, come parte della sua campagna di consolidamento del potere sostenuta dagli Stati Uniti, e abbia elogiato le persone “LGBTQIA+”.

Queste agende, che il presidente ha presentato al “Summit per la democrazia”, sono in linea con le cause propagandate in tutto il mondo dal finanziatore della Rivoluzione Colorata George Soros, che ha appoggiato entusiasticamente Lula nel suo discorso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera a metà febbraio. L’ultimo paragrafo, riguardante in particolare le persone LGBTQIA+, contraddice direttamente il sostegno ufficiale della Russia ai valori morali tradizionali, come promulgato nel suo nuovo concetto di politica estera che può essere letto qui.

Nell’ottavo paragrafo, la Russia avverte che “Una forma diffusa di interferenza negli affari interni degli Stati sovrani è diventata l’imposizione di atteggiamenti ideologici neoliberali distruttivi che vanno contro i valori spirituali e morali tradizionali”. Questo passaggio giustifica l’obiettivo ufficiale di difendere i valori morali tradizionali, citato una dozzina di volte, spiega perché la Russia ha vietato la propaganda LGBT+ e aggiunge un contesto alla conclusione del Presidente Putin secondo cui l’élite liberale promuove la pedofilia.

Gestire la percezione statunitense della politica di multipolarità finanziaria del Brasile

La dimensione socio-culturale della visione del mondo di Lula è quindi opposta a quella della Russia, che presumibilmente considera “bigotta” e “fascista”, proprio come fanno in genere i suoi sostenitori liberal-sinistri. Tuttavia, questi due Paesi BRICS condividono l’obiettivo comune del multipolarismo finanziario, spiegando così la sua decisione di de-dollarizzare il commercio brasiliano-cinese. Tornando a questo sviluppo, la sua tempistica suggerisce che Lula ha voluto che ciò avvenisse in modo relativamente più silenzioso rispetto al suo annuncio mentre era in piedi con la sua controparte.

Poiché era già stato concordato, la sua sfida era quindi quella di gestire la percezione degli Stati Uniti, poiché non voleva rischiare di offendere i suoi colleghi “guerrieri della giustizia sociale”, come AOC e Bernie Sanders, entrambi incontrati durante il suo viaggio a Washington a febbraio. Lula voleva anche evitare di offendere il suo nuovo amico Biden, dopo che i due avevano concordato di rafforzare in modo globale la partnership strategica dei loro Paesi nella loro dichiarazione congiunta, che può essere letta sul sito ufficiale della Casa Bianca qui e analizzata qui.

A tal fine, la sua ultima malattia è stata politicamente conveniente, nel senso che gli ha permesso di posticipare il suo viaggio programmato in modo che non coincidesse con il secondo “Vertice per la democrazia” degli Stati Uniti e quindi di autorizzare la firma dell’accordo di de-dollarizzazione in sua assenza con un’attenzione relativamente minore. Come spiegato in precedenza, ha voluto fare del suo meglio per gestire la percezione degli Stati Uniti su questo sviluppo che fa avanzare l’obiettivo del Brasile di multipolarità finanziaria a spese indiscutibili del dollaro.

Lo scenario della competizione ideologica russo-brasiliana in Africa

Per quanto i suoi alleati mediatici e i sicofanti dei social media sostengano il contrario, è comunque di fatto falso descrivere Lula come contrario agli Stati Uniti, come dimostrato dalla sua dichiarazione già citata ai partecipanti al vertice della scorsa settimana e da quella congiunta con Biden a febbraio, anch’essa linkata in precedenza. Nonostante la sua promozione del multipolarismo finanziario a spese indiscutibili del dollaro, è solidamente allineato con i liberal-globalisti al potere negli Stati Uniti, soprattutto in ambito politico e socio-culturale.

Le due dichiarazioni citate dimostrano che Lula condivide la missione liberal-globalista di Biden di delegittimare le rispettive opposizioni come “estremiste”, di preparare l’imposizione di una maggiore censura con il suddetto pretesto e di propagandare le cause LGBT+ in piena collaborazione tra loro. Quest’ultima parte contraddice direttamente uno dei precetti chiave contenuti nel nuovo concetto di politica estera della Russia, ovvero la difesa dei valori morali tradizionali, e costituisce quindi una minaccia ibrida.

Comunque sia, il Brasile come Stato non è una minaccia per la Russia, ma la sua potenziale propagazione di cause LGBT+ in collusione con gli Stati Uniti in Paesi terzi in cui anche Mosca ha interessi, come quelli tradizionalmente conservatori in Africa come l’Uganda, potrebbe costituire una sfida asimmetrica non amichevole. Russia e Brasile potrebbero quindi trovarsi a competere per i cuori e le menti in quei Paesi, con la prima che difende le restrizioni sulla propaganda LGBT+ e il secondo che agita i locali contro di esse.

L’immaginario del Brasile come equilibratore tra Cina e Stati Uniti

Per quanto riguarda la Cina, invece, non ci si aspetta che il Brasile si scontri o entri in competizione con essa in alcun modo, poiché Lula prevede che il suo Paese sia in equilibrio tra la Cina e gli Stati Uniti. Da un lato, la Cina è il principale partner economico del Brasile e un alleato nel perseguire il comune obiettivo del multipolarismo finanziario. Dall’altro lato, gli Stati Uniti sono il principale partner brasiliano in materia di sicurezza e oggi sono anche una fonte di ispirazione per i suoi liberali-globalisti, che si ispirano al Partito Democratico al potere.

La questione è stata accennata di sfuggita in questa analisi, che ha interpretato l’elogio della Cina fatto dal ministro degli Esteri Vieira in un’intervista come “la possibilità che il Brasile tenti di trovare un equilibrio tra il leader statunitense del Miliardo d’oro, con cui Lula si è politicamente allineato, contro la Russia, e il motore economico cinese dell’Intesa sino-russa”. A prescindere dal successo di questo approccio, gli osservatori dovrebbero notare che la Russia non dovrebbe avere un ruolo di primo piano nella grande strategia di Lula.

Il commercio continuerà probabilmente a crescere in quanto reciprocamente vantaggioso, ma i legami politici potrebbero presto peggiorare nel caso in cui Lula estradasse una sospetta spia negli Stati Uniti per affrontare le accuse invece di deportarla in Russia, cosa che i lettori possono approfondire qui. Il potenziale viaggio del Ministro degli Esteri Lavrov in Brasile questo mese si concentrerà probabilmente su questo tema, esplorando anche la possibilità di espandere ulteriormente i loro legami economici, in particolare nel settore energetico, come suggerito dall’ambasciatore del Paese in Russia.

Sfatare la “grande bugia” della sinistra brasiliana

La nomina da parte di Lula dell’ex Presidente Rousseff alla guida della Nuova Banca di Sviluppo (NDB) dei BRICS dovrebbe quindi essere interpretata nel contesto dell’avanzamento degli obiettivi di multipolarità finanziaria del Brasile, invece di avere a che fare con la Russia come i suoi alleati mediatici e i sicofanti dei social media stanno facendo credere. La “Grande Bugia” della sinistra brasiliana e dei suoi sostenitori all’estero è che Lula è filo-russo, anche se i fatti dimostrano che è politicamente allineato con gli Stati Uniti contro la Russia nella guerra per procura con la NATO.

Faranno girare qualsiasi cosa faccia per mentire che è segretamente alleato con la Russia contro gli Stati Uniti, nonostante i fatti citati in questa analisi da fonti ufficiali sfatino completamente questa teoria letterale della cospirazione. Questo fatto “politicamente scomodo” non può mai essere riconosciuto apertamente, nemmeno nell’ipotesi che Lula estradi la sospetta spia negli Stati Uniti per affrontare le accuse, invece di deportarla in Russia, poiché i propagandisti temono che ciò riveli la verità sulla visione del mondo liberal-globalista di Lula, allineata agli Stati Uniti.

Nella loro mente, la falsa percezione di Lula come “rivoluzionario multipolare che si oppone all’egemonia statunitense” deve essere mantenuta a tutti i costi, per evitare che la suddetta verità sulla sua visione del mondo provochi una rivolta politica tra la base del Partito dei Lavoratori che lo costringa a ricalibrare la sua grande strategia. Questo spiega perché stanno spingendo così attivamente l’ultima narrativa di disinformazione che sostiene falsamente che il suo accordo di de-dollarizzazione con gli Stati Uniti significhi che egli è contrario e allineato con la Russia.

Il futuro delle relazioni russo-brasiliane

In realtà, la Russia è considerata da Lula solo un partner commerciale e un Paese con cui cooperare per perseguire i comuni obiettivi di multipolarità finanziaria. È ferocemente contrario alla sua difesa ufficiale dei valori morali tradizionali e soprattutto alle mosse militari che è stata costretta a fare per difendere le sue linee rosse di sicurezza nazionale in Ucraina dopo che la NATO le ha clandestinamente oltrepassate. Lula non lo dirà mai apertamente, ma con ogni probabilità pensa che la Russia sia “bigotta”, “fascista” e “imperialista”.

Nonostante ciò, continuerà a cooperare con la Russia su questioni di interesse comune, come spiegato, ma nessuno dei due può fare affidamento sull’altro, come la Russia può fare affidamento sull’India, partner dei BRICS, che Lula probabilmente ritiene anch’essa guidata da “bigotti” e “fascisti”, in accordo con la sua visione del mondo liberal-globalista. I limiti artificiali imposti alla loro partnership sono dovuti all’ideologia radicale del leader brasiliano, che tutti gli osservatori onesti devono riconoscere se aspirano ad analizzare accuratamente la sua grande strategia futura.

https://korybko.substack.com/p/the-de-dollarization-of-brazilian

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La visione multipolare ricalibrata di Lula lo rende suscettibile ai grandi interessi strategici degli Stati Uniti, di ANDREW KORYBKO

Le dichiarate simpatie dell’autore non devono ingannare e portare ad un atteggiamento prevenuto. L’articolo assume grande importanza non solo per le interpretazioni delle dinamiche geopolitiche in corso nel cortile di casa statunitense, ma perché induce ad ulteriori e più generali riflessioni. Evidenzia la relativa flessibilità in via di acquisizione della diplomazia statunitense e l’evoluzione particolarmente articolata e mutevole che prenderà il multipolarismo, almeno in questa prima fase. Non è escluso che questa flessibilità, se non proprio mutevolezza, cominci ad emergere una buona volta anche in Europa e, attualmente, nel contesto del conflitto ucraino. Occorrerebbe un vero e proprio collasso, auspicabile, di gran parte delle classi dirigenti e delle leadership degli stati nazionali europei. Un occhio particolare si dovrebbe dedicare al particolare ruolo del Governo Meloni, come più volte adombrato in altri articoli. A questa attenzione dovrebbe auspicabilmente seguire un approccio analitico che rifugga dalla tifoseria e faziosità in conto terzi che caratterizza l’asfittico dibattito politico e geopolitico italiano. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

Nessuna delle intuizioni condivise in questa analisi suggerisce che Lula sia controllato dagli Stati Uniti, ma solo che la sua precedente prigionia lo ha chiaramente cambiato. Non è più il “rivoluzionario multipolare” che era una volta o almeno era considerato essere, anche dagli Stati Uniti che deposero il suo successore e poi cercarono di screditarli entrambi su quella presunta base. La visione ricalibrata del multipolarismo di Lula lo rende accettabile per gli Stati Uniti, i cui democratici al potere amano anche il suo allineamento ideologico interno con loro e soprattutto la sua crociata contro l’opposizione di destra.

Gettare Cina e Russia sotto l’autobus a Buenos Aires

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, popolarmente noto come Lula, è un’icona della sinistra latinoamericana e un titano del movimento multipolare globale grazie alla sua co-fondazione dei BRICS. Queste impressionanti credenziali, tuttavia, sono precisamente il motivo per cui le sue divergenze con gli altri membri del BRICS Cina e Russia sul commercio e l’Ucraina sono così inaspettate. Il presente pezzo tenterà quindi di chiarire i suoi calcoli strategici al fine di discernere le sue motivazioni in disaccordo con quei due su questi temi.

Per quanto riguarda il primo, la scorsa settimana ha detto  Mauro Vieira al suo omologo uruguaiano Luis Lacelle Pou che spera che Montevideo sosterrà la conclusione dell’accordo commerciale del Mercosur con l’UE prima che ne negozi uno con la Cina. La richiesta di Lula ha fatto seguito al suo ministro degli Esteri Mauro Vieira che ha dichiarato  al quotidiano Folha de São Paulo che l’ annuncio dell’Uruguay lo scorso luglio di aver mosso i primi passi per negoziare un accordo commerciale con la Cina potrebbe “distruggere” il Mercosur poiché le merci cinesi circolerebbero liberamente nel blocco in quello scenario .

Per quanto riguarda le divergenze con la Russia sull’Ucraina, Lula ha paragonato la sua operazione speciale lì alla guerra ibrida degli Stati Uniti contro il Venezuela mentre parlava a Buenos Aires. Secondo il leader brasiliano appena rieletto, “Così come sono contrario all’occupazione territoriale, come ha fatto la Russia con l’Ucraina, sono contrario a troppe interferenze nel processo venezuelano”. La Russia non ha avuto niente a che fare con il suo viaggio e il paragone che ha fatto con il Venezuela è assurdo, motivo per cui la sua osservazione è stata così sorprendente.

Dare credito dove è dovuto

Nonostante i suoi disaccordi con la Cina sul commercio e la Russia sull’Ucraina, Lula spera comunque di espandere la cooperazione del Brasile con entrambi. Il primo è stato dimostrato da lui che ha espresso tale intenzione all’inizio dell’anno quando ha rivelato di aver ricevuto una lettera  dal suo omologo cinese, il presidente Xi, mentre il secondo è avvenuto alla fine dello scorso anno, quando ha parlato  con il presidente Putin . Di conseguenza, Lula non riconosce Taiwan né ha concordato con la Germania di armare indirettamente l’Ucraina.

La realtà dell’approccio di Lula alla Cina

Anche così, queste politiche pragmatiche non tolgono nulla a ciò che ha appena detto riguardo alle sue divergenze con la Cina sul commercio e con la Russia sull’Ucraina. Tornando a loro e cominciando dal primo citato, lui e il suo team sembrano condividere le preoccupazioni dell’amministrazione Bolsonaro che la Cina stia tentando di entrare clandestinamente nel Mercosur attraverso una backdoor uruguaiana, che entrambi considerano una minaccia per l’economia a lungo termine degli interessi del Brasile.

La soluzione di Lula è quella di rinegoziare prima i termini dell’accordo commerciale congelato del Mercosur con l’UE per concludere un accordo con quel blocco economico occidentale, dopodiché crede evidentemente che il Brasile e i suoi vicini sarebbero in una posizione migliore per negoziare condizioni migliori dalla Cina. In nessun caso vuole che l’Uruguay accetti unilateralmente il proprio accordo commerciale con la Cina, poiché pensa che ciò minerebbe l’unità del Mercosur, danneggerebbe gli interessi economici a lungo termine del Brasile e darebbe un vantaggio alla Cina.

In qualità di capo di stato, è suo diritto formulare la politica in qualunque modo consideri nell’interesse nazionale del suo paese, ma è comunque interessante che la posizione del suo team sulla delicata questione della negoziazione di un accordo di libero scambio con la Cina sia simile a quella dell’amministrazione Bolsonaro. Questa osservazione ovviamente non sarà popolare tra i sostenitori più appassionati di Lula – che la ignoreranno, affermeranno falsamente che è diversa da quella di Bolsonaro e/o attaccheranno coloro che la tirano fuori – ma non si può negare.

La realtà dell’approccio di Lula alla Russia

Passando alle divergenze di Lula con la Russia sull’Ucraina, anche la sua politica nei confronti della principale guerra per procura della Nuova Guerra Fredda è simile a quella di Bolsonaro. Il governo del primo ha votato all’UNGA per condannare la sua operazione speciale proprio all’inizio di marzo come presunta “aggressione” e poi ancora una volta in ottobre per condannare la sua riunificazione con la Novorossiya come presunta “annessione”. Lo stesso Bolsonaro si è rifiutato di condannare personalmente la Russia, tuttavia, a differenza di Lula che ha appena infranto quel tabù facendolo a Buenos Aires.

A giudicare dalle sue parole, questa icona della sinistra latinoamericana e titano del multipolarismo continua la politica del suo predecessore nei confronti del conflitto ucraino . Questo spiega perché ha definito le azioni della Russia una “occupazione” e le ha paragonate alla guerra ibrida degli Stati Uniti contro il Venezuela. Ancora una volta, i sostenitori più appassionati di Lula saranno furiosi per questa osservazione, ma non possono negarlo così come non possono nemmeno negare che sta continuando la politica di Bolsonaro di opporsi ai colloqui commerciali dell’Uruguay con la Cina.   Questi fatti “politicamente scorretti” fanno naturalmente sorgere la domanda sul perché Lula stia continuando le politiche di Bolsonaro nei confronti della Cina sul commercio e della Russia sull’Ucraina. Dopo tutto, è Lula stesso che ha pronunciato quelle due affermazioni rilevanti che sono state precedentemente analizzate in questo pezzo e non membri delle burocrazie militari, di intelligence o diplomatiche permanenti del Brasile (“stato profondo”) che avrebbero potuto essere nominati dal suo predecessore e quindi incolpati per aver continuato la sua politica senza il permesso di Lula.

La vera differenza tra Lula e Bolsonaro

Ognuno è responsabile delle proprie parole, e le ultime di Lula su Cina e Russia non fanno eccezione. Considerando questo, la conclusione che emerge è che le sue uniche vere divergenze con Bolsonaro riguardano questioni socio-politiche interne. Le opinioni di Lula sono liberal-globaliste e allineate in senso interno con i democratici al potere negli Stati Uniti, mentre quelle di Bolsonaro sono nazionaliste conservatrici ed erano allineate con quelle di Trump, spiegando così perché la squadra di Biden lo odiava.

Al contrario, il team di Biden sostiene con tutto il cuore Lula poiché condivide opinioni molto simili sul cambiamento climatico, COVID, “LGBTQI +” e la presunta minaccia che i loro oppositori di destra nel loro insieme (e non solo pochi estremisti come ogni parte hanno) presumibilmente presentare alla sicurezza nazionale. Le seguenti cinque analisi condividono maggiori informazioni su questa osservazione “politicamente scorretta”, i cui dettagli vanno oltre lo scopo del presente pezzo ma potrebbero comunque essere interessanti per i lettori intrepidi:

* 31 October: “* 31 ottobre: ​​“ The Geostrategic Consequences Of Lula’s Re-Election Aren’t As Clear-Cut As Some Might ThinkLe conseguenze geostrategiche della rielezione di Lula non sono così nette come alcuni potrebbero pensare ””

* 1 November: “* 1 novembre: ” Biden’s Reaction To Brazil’s Latest Election Shows That The US Prefers Lula Over BolsonaroLa reazione di Biden alle ultime elezioni brasiliane dimostra che gli Stati Uniti preferiscono Lula a Bolsonaro ””

* 24 November: “* 24 novembre: “ Korybko To Sputnik Brasil: The Workers’ Party Is Infiltrated By Pro-US Liberal-GlobalistsKorybko To Sputnik Brasil: Il Partito dei Lavoratori è infiltrato da liberal-globalisti filoamericani ””

* 9 January: “* 9 gennaio: “ Everyone Should Exercise Caution Before Rushing To Judgement On What Just Happened In BrazilTutti dovrebbero prestare attenzione prima di affrettarsi a giudicare ciò che è appena accaduto in Brasile ””

* 12 January: “* 12 gennaio: ” Korybko To Sputnik Brasil: The US Played A Decisive Role In The January 8th IncidentKorybko allo Sputnik Brasil: gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo decisivo nell’incidente dell’8 gennaio ””

Il maldestro atto di equilibrio di Lula

Detto questo, l’allineamento ideologico interno di Lula con le opinioni liberal-globaliste dei democratici statunitensi al potere non si estende alla politica estera, come dimostrato dal suo pragmatico rifiuto di riconoscere Taiwan e di armare indirettamente l’Ucraina attraverso la Germania. Ciò dimostra che sostiene davvero la transizione sistemica globale  verso il multipolarismo complesso (“multiplexity”)  e non è favorevole a ritardarla indefinitamente per sostenere l’unipolarismo incentrato sugli Stati Uniti come quell’egemone in declino e i suoi vassalli europei stanno così disperatamente cercando di fare.

Allo stesso tempo, la sua visione del multipolarismo non è la stessa della Russia, che il presidente Putin ha spiegato in tre occasioni chiave l’anno scorso in quello che può essere descritto collettivamente come il suo Manifesto rivoluzionario globale , i cui dettagli possono essere letti nei tre precedenti collegamenti ipertestuali. A differenza del leader russo, il cui paese è stato costretto da circostanze al di fuori del suo controllo a diventare il leader del movimento multipolare mondiale, il restaurato presidente brasiliano vuole mantenere un piede in entrambi i blocchi de facto.

Questi sono il miliardoGolden billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e il sud globale guidato congiuntamente da BRICS SCO , di cui il Brasile fa parte. Il secondo, dovrebbe essere chiarito, dovrebbe anche essere guidato congiuntamente da altre organizzazioni multipolari come l’Unione africana (UA), l’ASEAN e il CELAC, e altri, sebbene ciò non sia ancora accaduto. L’ India ha perfezionato l’arte dell’equilibrio tra i due blocchi , che il Brasile di Lula cerca di emulare, anche se molto più goffamente, come dimostra la sua pubblica condanna dell’operazione speciale della Russia.

A riprova delle sue intenzioni, ha criticato sia la Russia che la Cina in misura diversa durante il primo viaggio all’estero del suo terzo mandato, come è stato precedentemente analizzato in questo articolo, e visiterà anche gli Stati Uniti il  ​​mese prossimo. Queste mosse possono essere interpretate come un tentativo di trovare un equilibrio tra il Golden Billion e il Global South, anche se i critici potrebbero considerarle come inutili dimostrazioni di fedeltà agli Stati Uniti. Non va comunque dimenticato che anche in quella trasferta riportò il Brasile alla CELAC , che fu molto importante.

La visione di Lula per il CELAC

Lula apparentemente prevede che il blocco multipolare diventi uno dei leader congiunti del Sud del mondo, il che è ragionevole e abbastanza probabile. Tuttavia, non sembra aspettarsi che il CELAC sfiderà in modo significativo gli Stati Uniti come il suo omologo venezuelano Maduro ha lasciato intendere all’inizio del mese che vuole che accada. Piuttosto, il leader brasiliano vuole senza dubbio che la CELAC abbia ottimi rapporti con il suo vicino settentrionale, anche se più equilibrati e rispettosi (almeno in superficie).

Questa valutazione si basa sulla sua visione implicita del Mercosur, informata da ciò che ha appena detto sui suoi accordi commerciali con l’UE e la Cina. Lula prevede che il blocco di integrazione regionale concluda un accordo con uno dei principali membri del Golden Billion per poi dargli una leva per concludere un accordo complementare con un importante membro del Sud del mondo. La sua strategia del Mercosur sarà quindi probabilmente ampliata per plasmare la sua visione di una CELAC molto più ampia nella transizione sistemica globale verso la multiplexità.

Mentre ci sono alcuni che potrebbero aspettarsi che la grande strategia multipolare di Lula venga contrastata dagli Stati Uniti, ci sono anche ragioni plausibili per cui quell’egemone unipolare in declino potrebbe effettivamente sostenerla. Gli stessi strateghi degli Stati Uniti sembrano aver tacitamente accettato che la suddetta transizione sia attualmente in atto e irreversibile, come evidenziato dal fatto che riconoscono l’ascesa dell’India come grande potenza di importanza globale nell’ultimo anno, che è stato un risultato diretto del loro fallimento nel costringere Delhi a entrare scaricare la Russia.

Le ragioni geostrategiche dietro il sostegno degli Stati Uniti a Lula

Ne consegue quindi che potrebbero anche accettare tacitamente l’eventuale ascesa della CELAC come uno dei leader congiunti della transizione sistemica globale alla multiplexità, sebbene con l’intento di controllare indirettamente questa tendenza irreversibile allo scopo di rallentare il declino dell’egemonia unipolare degli Stati Uniti . Fintanto che il CELAC aderisce alla visione implicita di Lula di dare la priorità ai legami con il Golden Billion rispetto ai principali membri del Sud del mondo come Cina e Russia invece di quello rivoluzionario di Maduro, allora questo è accettabile.

Per spiegare, proprio come Lula prevede di sfruttare gli accordi della CELAC con il Golden Billion per poi darle un vantaggio nel tagliare accordi complementari con il Sud del mondo, così anche gli Stati Uniti potrebbero sfruttare la priorità che prevede che questo blocco offra alla sua “sfera di influenza” per non perdere il controllo delle tendenze multipolari. Dal momento che il declino dell’egemonia unipolare degli Stati Uniti è attualmente in atto e irreversibile come i suoi strateghi già tacitamente accettano, allora la politica più ottimale è tentare di controllare questo processo.

Con questo in mente, la restaurata leadership del Brasile da parte di Lula e la sua visione del CELAC sono l’ideale per far avanzare i grandi obiettivi strategici degli Stati Uniti, ergo il suo pieno sostegno per lui al giorno d’oggi. In passato, gli Stati Uniti consideravano lui e il suo successore Dilma Rousseff “pericolosi rivoluzionari multipolari” sulla falsariga di Castro, Chavez e Maduro, motivo per cui li deposero e cercarono di screditare il loro governo precedente attraverso l'”Operazione Car Wash”, ma in seguito si sono resi conto che il suo Lula era stato umiliato e quindi ora lo sostengono.

Le sue critiche a Cina e Russia, insieme alla sua visione del CELAC che contrasta con quella recentemente articolata di Maduro, confermano che hanno fatto la scelta giusta nel sostenerlo rispetto a Bolsonaro, che era troppo un “jolly” per i loro gusti e il cui “populismo di destra” ” ha sfidato il loro globalismo liberale almeno nel senso socio-politico interno. In confronto, Lula è internamente allineato con i democratici al potere negli Stati Uniti, più prevedibile e “addomesticato”, il che rende quindi più facile per loro trattare con lui.

Lula non dovrebbe più essere considerato un “rivoluzionario multipolare”

L’unico “compromesso” che gli Stati Uniti devono fare è trattare lui, il Brasile e l’America Latina nel suo insieme con un po’ più di rispetto rispetto a prima. Ciò, tuttavia, è inevitabile a causa del modo in cui le tendenze multipolari irreversibili hanno limitato i modi in cui gli Stati Uniti possono imporre la loro egemonia unipolare sull’emisfero. Questo non significa che smetterà di intromettersi nei loro affari, ma solo che cercherà almeno superficialmente di trattarli (o alcuni di loro come Lula) un po’ meglio e più alla pari.

Questi grandi calcoli strategici aggiungono un contesto al motivo per cui gli Stati Uniti sostengono Lula su Bolsonaro, la cui ottica è inspiegabile per molti poiché non possono accettare il motivo per cui sosterrebbero il loro ex nemico multipolare sullo stesso uomo che la loro guerra ibrida al Brasile ha contribuito a spazzare via di potenza. La realtà “politicamente scorretta” è che Lula è ora considerato dagli Stati Uniti più “gestibile” di quanto lo fosse Bolsonaro per le ragioni che sono state spiegate, in particolare l’allineamento ideologico interno del primo con la sua élite.

Se Lula fosse stato ancora il “rivoluzionario multipolare” che gli Stati Uniti lo consideravano durante i suoi due precedenti mandati, allora non lo avrebbero sostenuto e avrebbero assicurato in un modo o nell’altro che perdesse la sua candidatura per la rielezione. Non è quello che era una volta o almeno era considerato, tuttavia, come evidenziato dal fatto che praticava la grande strategia opposta rispetto a quella che faceva oggi rispetto agli affari prioritari con il Golden Billion per poi ottenere influenza sul Sud del mondo.

Ciò contrasta con la visione di Maduro, che ritiene che il Venezuela, la CELAC e il Sud del mondo nel suo insieme dovrebbero dare la priorità agli accordi con paesi multipolari come Cina e Russia per poi avere la leva per tagliare quelli complementari con i membri del Golden Billion come l’UE. Di conseguenza, gli Stati Uniti rimangono ancora contrari al leader venezuelano (anche se recentemente hanno iniziato a impegnarsi pragmaticamente con lui a causa dei loro interessi legati all’energia ) mentre sostengono con tutto il cuore Lula.

Nessuna di queste intuizioni suggerisce che Lula sia controllato dagli Stati Uniti, ma solo che la sua precedente prigionia lo ha chiaramente cambiato. Non è più il “rivoluzionario multipolare” che era una volta o almeno era considerato essere, anche dagli Stati Uniti che hanno deposto il suo successore e poi hanno cercato di screditarli entrambi su quella base percepita, ma è ancora almeno formalmente impegnato con la sinistra- come le politiche economiche interne per la riduzione della povertà, che è la causa che lo ha maggiormente appassionato in tutta la sua vita.

La visione ricalibrata del multipolarismo di Lula – presumibilmente concepita durante la sua prigionia – lo rende accettabile per gli Stati Uniti, i cui democratici al potere amano anche il suo allineamento ideologico interno con loro e soprattutto la sua crociata contro l’opposizione di destra. Per queste ragioni, oltre a quelle legate al modo in cui la transizione sistemica globale ha limitato i modi in cui gli Stati Uniti possono imporre la propria egemonia sull’emisfero, Lula è quindi visto dai suoi strateghi come il leader latinoamericano ideale.

Ecco perché hanno sostenuto con entusiasmo il suo ritorno alla presidenza e celebrato la sua vittoria su Bolsonaro poiché si prevede che sarà più facile trattare con Lula, soprattutto ora che non è più percepito come un “rivoluzionario multipolare pericoloso” come rimane con orgoglio Maduro. Questo è il vero Lula come esiste oggettivamente nel 2023 e non quello che i suoi sostenitori più appassionati fantasticano che sia, cosa che deve essere accettata da chi aspira ad analizzare con precisione il suo terzo mandato.

https://korybko.substack.com/p/lulas-recalibrated-multipolar-vision?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=99412214&isFreemail=true&utm_medium=email

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HERNAN CORTES – la SECONDA conquista (21° sec.)_di Daniele Lanza

HERNAN CORTES – la SECONDA conquista (21° sec.).
(** nota in merito all’anomala situazione geoculturale odierna nelle Americhe. Un tassello in più per la comprensione del Brasile ed altri)
[da leggere tutto, prego]
Dunque : massima parte di noi ha un’immagine scolpita, cristallizzata, del landschaft culturale latinoamericano, come di un continuum permeato di una certa cattolicità di fondo – di cui la civiltà iberica (ispano/portoghese) è storicamente intrisa – in un carosello sconfinato di cittadine e paesi dedicati a santi e numi tutelari, icone della Madre de Dios…..e processioni variopinte dalle alte sierre del Messico alle giungle amazzoniche, come 1000 documentari e pellicole del cinema ce li hanno riportati.
E’ così per la totalità dei “non preparati” tra chi mi legge (ma anche chi preparato sia, ma senza una conoscenza specifica degli equilibri culturali dell’America latina), ed è naturale che sia in fondo, dato che la cellula culturale di base di cui si parla è quella. Proprio questo tuttavia ci porta a non notare un fatto alquanto curioso : se si sfoglia un qualsiasi report statistico/demografico di un paese (a caso) di quest’area, viene fuori che 1/10 o più degli abitanti sarebbe di fede PROTESTANTE.
La prima impressione, come detto, è quanto mai curiosa (nessuno tra gli stati tradizionalmente cattolici nella storia della vecchia Europa, ha mai vantato un fenomeno demografico di questo livello – fatta eccezione per il caso ugonotto nella Francia del secolo XVI° – o per meglio dire, ha mai accettato una minoranza protestante troppo numerosa nel proprio corpo territoriale). La curiosità diventa poi stupore, andando a sfogliare in serie le statistiche di tutti i paesi circostanti : in quasi tutti la minoranza protestante “danza” tra il 10 – 15% della popolazione. In alcune fasce del continente (vicine allo strategico stretto di Panama, ossia Colombia e Venezuela) si sale ad una forbice tra il 15 -20%. Si conclude col Brasile : il maggiore stato dell’America latina intera, vanta una quota che sfiora il 25% di tutti gli abitanti.
Lo stupore a questo punto diventa attenzione (tre livelli percettivi differenti del lettore) : non si parla di un periferico staterello o provincia al confine con le Galapagos……parliamo di un paese di oltre 200 milioni di abitanti, il colosso della lusosfera (cosmo di lingua portoghese), di tradizione cattolica secolare (dalla fondazione) dove la settimana scorsa si sono concluse combattutissime elezioni (…). L’interrogativo è dunque uno : COSA STA SUCCEDENDO ?
Si ha obiettivamente l’impressione di essersi persi qualcosa, vero ? In effetti è proprio così : chi non vive nella realtà sudamericana non ha potuto notare un trend in corso nelle ultime due generazioni, che consiste nell’attività missionaria pressochè continua e metodica dei gruppi evangelici. Prendere nota di quest’ultimo termine per favore, perché è la CHIAVE di quanto seguirà : “evangelico” sta ad indicare il movimento trasdenominazionale (ossia che non si riconduce a nessuna denominazione tradizionale come “luterani”, “metodisti” o altro), nato e sviluppatori tra le maglie dell’universo protestante/anglosassone a partire dal 18° secolo.
Il protestantesimo stesso – questo tutti lo dovrebbero sapere – altro non è che termine ombrello, utilizzato spesso nella prospettiva cattolica per indicare collettivamente tutti i cristiani che rifiutano Roma come proprio faro (…) : a differenza del mondo cattolico, non esiste un’autorità spirituale universale e unica per i protestanti, i quali a tutti gli effetti non sono che un ensemble di una ventina di differenti manifestazioni senza una gerarchia centralizzata quanto quella cattolico/romana. Considerata questa struttura di base, e le legislazioni molto permissive dell’America anglosassone non deve dunque stupire il proliferare di movimenti religiosi che ne vedrà (l’allegro e talvolta violento circo spirituale di sette piccole e grandi che popola gli USA è noto a tutti). L’evangelismo – per così dire – si inserisce storicamente in questa dinamica, con fortune alterne.
Predicatori, pastori e comunità evangeliche sorgono come i funghi un po dappertutto, nell’ampio contesto anglofono nordamericano, che con i suoi spazi e le sue caratteristiche ne è il laboratorio ideale : a differenza delle correnti protestanti “standard” quelle evangeliche sono caratterizzate da un’energia non comune, una carica di proselitismo e spirito missionario che gli altri hanno perduto e che pare riportare ad antiche origini della cristianità (concetto chiave è il “BORN AGAIN” ovvero rinascita….un re-start esistenziale dell’individuo convertito). Il movimento cresce lentamente lungo tutto il secolo XIX, mentre è nel secolo ancora successivo che avverrà la vera svolta : Nel contesto oramai secolarizzato del 900 le correnti evangeliche esplodono letteralmente (complice il declino delle denominazioni standard, ormai inadeguate a intercettare i bisogni odierni) e se ad inizio secolo sono ancora un fenomeno di costume, verso la fine sono una realtà imponente. Alle soglie del 2000 gli evangelici rappresentano ormai la gran parte del mondo protestante statunitense e senza dubbio il più energico, il più fattivo (ed anche fondamentalista all’occorrenza), al punto da divenire utenza elettorale fondamentale nelle elezioni a stelle strisce, dapprima a livello locale…per arrivare sino alla Casa bianca. Il fenomeno, interno alla cultura statunitense è abbastanza noto : ad ogni elezione d’oltreoceano, decine di commentatori e sondaggisti esperti di politica yankee a spiegarci cosa sia la “BIBLE BELT” e cose simili (ci siamo sì ?).
Orbene, terminata questa (troppo breve in realtà, ma obbligatoria) parentesi introduttiva, torniamo al tema centrale del post : “COSA STA SUCCEDENDO ?” (nell’America latina). Il fatto è che l’evangelismo statunitense vive un successo di tale portata lungo il corso del 900 da non affermarsi soltanto sul suolo patrio e dintorni, ma al punto da USCIRNE, da evadere dal nativo alveo anglosassone e puntare con audacia ad una dimensione del tutto estranea come quella ispanoamericana: i primi nuclei evangelici si impiantano nei principali paesi latinoamericani nel corso della prima metà del secolo (1900-1950). In questa fase sono una realtà del tutto marginale: solite missioni e predicatori anglofoni con bibbia in mano…presenza bizzarra, senza particolare presa sulla società locale.
E’ nel segmento 1950-2000 che qualcosa si innesca. Qualcosa che probabilmente va oltre il semplice successo nell’opera di proselitismo (…) : se torniamo alle statistiche del 1970, l’insieme dei “protestanti” non supera il 3% in un paese come il Brasile, mentre oggi – ripeto – si sfiora ¼ della popolazione. Significa che quasi una persona ogni 4 ha cambiato fede in un lasso di tempo di 50 anni. Le teorie complottistiche (di parte cattolica) punto il dito contro Washington : a parere loro si tratterebbe di un ben preciso ed articolato piano di lunghissimo termine della politica statunitense ben decisa a rafforzare le propria presa politica sui paesi latinoamericani, favorendo l’affermarsi in Mesoamerica e Sudamerica di organizzate ed agguerrite minoranze protestanti, ovvero portatrici di una filosofia culturale “sorella” del protestantesimo anglosassone, con le quali vi sia una lingua comune e una perfetta sintonia di vedute. In parole povere, filiazioni culturali traverso le quali esercitare influenza e pressione nella vita interna di tali paesi. Stando alla visione complottista….la CIA ed altri poteri forti statunitensi avrebbero finanziato tenacemente e pazientemente (mentalità di lunghissimo periodo) l’evangelismo anglosassone nell’America latina a partire dal momento in cui si resero conto della non completa “affidabilità” del cattolicesimo locale : sentito l’odore delle numerose rivoluzioni reali e potenziali che covavano nel contesto latino nella generazione del secondo dopoguerra (Cuba, Cile, Bolivia, Brasile, Nicaragua, etc. nel periodo 1955-1970) lo stato di cose allarma tanto le alte sfere dell’amministrazione a stelle e strisce da indurre Richard Nixon ad approntare una politica apposita* (*tesi cospirazionista esposta ne “The Expansion of Protestantism Was Part of CIA War Plan for South America” di Jorge Rondon, stando al quale, CRUCIALE fu un memorandum del 1969 a Washington, dove si sottolineava come la chiesa cattolica – elemento cruciale della cultura latinoamericana – avesse cessato di fare gli interessi USA).
Fermiamoci un attimo dal capitolo precedente.
Solitamente non sposo le tesi cospirazioniste, anzi le evito: troppo attira l’intrigo della cospirazione o del piano segreto, la mente del lettore comune e non solo…..trasformandosi rapidamente in un morboso gioco infantile, in un processo indiziario che va avanti all’infinito. Scrivo da ANNI sul web, evitando accuratamente di farmi coinvolgere in qualsivoglia (affascinante ed oscuro) castello di carte : eppure………qui c’è qualcosa sotto e di grande. Non sottoscrivo la tesi che vi sia stato un piano accurato e definito (improbabile), ma che una politica di fondo da parte di Washington vi sia stata, posso crederlo. Signori che leggono : qui si parla di oltre 100 milioni di conversioni al protestantesimo (dato statistico reale) in un lasso di tempo di 40-50 anni. Su un terreno di gioco già occupato da un attore importante (chiesa cattolica) da svariato secoli. Da studioso di storia non mi vengono alla mente di casi di conversione (non forzata) di queste dimensioni e in una finestra cronologica così ristretta. C’è qualcosa che non quadra (anche senza voler essere complottisti).
Ritengo pertanto che qualcosa di vero vi sia e funziona più o meno così : un determinato momento (a cavallo tra gli anni 60/70) le amministrazioni statunitensi paventando il trend rivoluzionario (di matrice marxista) in tanti paesi latinoamericani, prendono atto da un lato di non potersi imporre esclusivamente con la forza (logico)…….dall’altro – cosa più critica – che non possono realmente contare sulla fragile e decadente chiesa cattolica di tali paesi per farvi fronte : quest’ultima è il VERO PROBLEMA in quanto debole e corrotta, ma cosa ancor più grave, sebbene sia contraria al marxismo è essa stessa nell’essenza una filosofia affine in un certo senso (“umanistica” se non vogliamo dire “socialista”) fatta di amore e perdono (che significa “lassismo” nella forma mentis anglosassone…) e che in fin dei conti punta alla dimensione sociale dell’uomo anziché quella individuale.
Cerco di riformulare in modo efficace ; la conclusione – e devo dire molto sottile – cui sono giunti consiglieri e decisori della casa bianca è la seguente : sebbene cattolici e comunisti si siano combattuti per generazioni (e pertanto sarebbe stato logico continuare a usare i cattolici a mo di scudo anticomunista)……..in realtà queste due entità sono interconnesse tra loro assai più di quanto non si voglia supporre, nella misura in cui la mentalità ecumenica, orientata alla società più che al singolo individuo, della cattolicità collima con le ideologie “rosse” novecentesche. Profonda è la verità in tutto questo, sebbene i sostenitori di entrambe queste entità non vogliano capacitarsene ancora oggi (la rifiutano i cattolici e ancor più la respingono i comunisti) : la contrapposizione socialismo/cattolicità, vissuta intensamente da generazioni intere, incontestabile dal punto di vista cattolico o socialista rispettivamente…..perde invece consistenza da un punto di vista anglosassone/protestante, “estraneo” ad entrambi i contendenti (ed inizia ad “avvicinarli”, associarli). Il cuore non dicibile di tutto questo è che cattolicità e comunismo sono nemici sì, ma nel senso che sono RIVALI : rivaleggiano si danno battaglia, sul medesimo piano (quello sociale), ma NON lo negano (semplicemente ognuno dei due ne vorrebbe il monopolio !). Comunismo e cattolicità condividono – sebbene da prospettive differenti (una teologica e l’altra secolare) – la medesima idea dell’uomo e del suo rapporto con la società. Idea che NON è condivisa affatto dalla più atomistica visione protestante nordamericana. Da questo assunto ne ricaviamo una conseguenza (ragionando dal punto di vista anglosassone) : la cattolicità in sé non solo non è la soluzione al problema, ma è ESSA STESSA il problema, dal momento che col proprio innato senso sociale costituisce un sostrato culturale che in fondo, involontariamente, genera e nutre il suo superamento storico costituito dal socialismo politico stesso, dal marxismo.
A questo proposito amo sottolineare come l’ortodossia slava – assai più prossima alla cattolicità che non ai protestanti, che di chiesa apostolica si tratta – con la propria anima sociale, universale ha forse, involontariamente, spianato il terreno a coloro che sarebbero venuti dopo (universalismo socialista, che potrebbe essere visto come successore desacralizzato). Forse – involontariamente – hanno preparato la strada alla rivoluzione che li travolgerà (nutrita letteratura russa in tale proposito, sui legami filosofico culturali tra ortodossia e socialismo). In parole altre le ideologie socialiste del XX secolo sono riuscite ad attecchire meglio laddove GIA’ in un certo senso regnavano filosofie sociali…..ossia cattoliche o ortodosse che fossero (contrariamente che alla fredda individualità protestante dell’anglosfera).
Arriviamo al punto, seguendo il probabile ragionamento nordamericano : posto e premesso che SIA il comunismo SIA la cattolicità sono il problema (due facce della medesima medaglia), allora conviene combatterli entrambi, con armi differenti. Se da un lato si finanziano nel breve periodo gruppi anticomunisti, contras etc. (come al solito e come ben si sa), dall’altro (questo meno si sa) inizia una possente offensiva culturale sul lungo periodo, una vera e propria guerra silenziosa, finalizzata a conquistare perlomeno uno strato della popolazione locale ad un’ideologia affine al pensiero anglosassone : a tale scopo anziché affidarsi ad un partito si affidano invece alla FEDE e anche subdolamente, potendo contare su un contesto disastrato ovvero la povertà atavica della società più arretrate del continente sudamericano. E’ tra gli strati più poveri e disperati che gli evangelici fanno proselitismo, conquistando vaste fasce della popolazione (quel 25% di brasiliani divenuti evangelici proviene dalle favelas e altri luoghi disagiati). La stessa cosa negli altri paesi : i poveri in pratica vengono sottratti alla classica “Teologia della liberazione” (socialismo cristiano sviluppatosi nell’alveo cattolico in fondo) che tanto fece parlare di sé in America latina, per darsi invece alla Teologia evangelica che promette un altro genere di liberazione (mobilità sociale, ma di stampo liberista anglosassone). Detto fatto : i sovietici avevano i partiti comunisti di ogni paese al mondo al loro servizio…..e Washington aveva invece i protestanti (evangelici) al proprio.
Il meccanismo ha un che di geniale in sé (seguitemi) : anziché ostinarsi a colpire – come al solito – i ribelli comunisti…..si è scelto invece di colpire l’alveo culturale profondo della mentalità sociale (ovvero i cattolici, supponendo che da questi – indirettamente- nascono i comunisti stessi !). Controintuitivo non è vero ? Ma formidabile se anche solo una parte della premessa su cui si fonda è vera: nel senso che non si affronta il comunista sul campo con un mitra, ma lo si “annulla”, si fa in modo che non venga mai alla luce, eliminando il terreno di coltura (che la mentalità latino cattolica è). Si instaurano quindi poderose minoranze evangelico/protestanti, le quali si rivelano (poteva essere altrimenti ?) estremamente attive in POLITICA e spesso supportando in un modo o in un altro la visione più liberista e più in linea con la mentalità nordamericana (semplifico di molto per forza di cose).
Ripeto (per la seconda volta), non si tratta di un piano preciso – dato che non si può governare con troppa sicurezza del risultato un processo di tali dimensioni – ma sicuramente una tendenza che è stata supportata con ogni mezzo dalle alte sfere di Washington. Forse la più grande manifestazione di Kulturkampf mai avvenuta (e senza che alcuno dall’Europa vi facesse troppo caso).
Washington certo, ha potuto agire contando sull’assoluta libertà di azione che gode nelle Americhe sin da prima dei conflitti mondiali e sull’assoluta supremazia economica che vanta nei confronti di paesi che comparativamente potrebbero essere considerati ancora “secondo mondo” (se non terzo), e forse i risultati raggiunti sono stati ancora più alti di quanto ci si aspettasse, forse un ordine di grandezza non completamente previsto (?), eppure è così. Se gli odierni studi di geopolitica hanno coniato l’espressione “soft power” per indicare l’ampliarsi dell’influenza di una potenza sullo spazio circostante senza l’utilizzo delle armi……direi che questo è un caso di proporzioni ciclopiche (quest’ultimo aggettivo non è esagerato considerate le dimensioni demografiche del fenomeno e ancor più che questo sta avvenendo in relativo silenzio rispetto al mondo esterno, dato che pochi al di fuori dei paesi latinoamericani ne sono veramente al corrente). Anche il lettore che non si ritrovi nelle tesi complottiste può legittimamente porsi una domanda, pensando all’ipotesi che un quarto dei suoi concittadini si converta nello spazio di 50 anni (…).
Nelle elezioni brasiliane della settimana scorsa tutto il mondo evangelico era dalla parte di bolsonaro…e LULA ha vinto per un pelo. Alla luce di quanto detto sino qui direi che non si tratta più di “destra contro sinistra”, o forse sì, ma si dovrebbe a questo punto ridefinire il significato di “destra” e “sinistra”. Bolsonaro e Lula sono entrambi fortemente riformisti, ma di segno diverso : il primo rappresenta il vessillo liberista nordamericano (il modello è quello). Lula invece propone un modello riformista affine allo spirito più “autoctono” del Brasile (si potrebbe dire così) : sebbene Lula sulla carta si di “sinistra” è a modo suo il SOVRANISTA nel contesto brasiliano, puntando ad una permanenza del modo di pensare latino e brasiliano rispetto all’influenza esterna (USA).
No, nella scelta del titolo non ho esagerato : si è di fronte ad una SECONDA conquista del nuovo mondo. Se la Germania nazista intotolò a Barbarossa il piano di conquista dell’URSS, qui si può parlare di piano CORTES.