IL DESTINO DI TARANTO E’ SEGNATO DALLA SUA STORIA MILITARE E DALLA SUA GEOGRAFIA di Luigi Longo

IL DESTINO DI TARANTO E’ SEGNATO DALLA SUA STORIA MILITARE E DALLA SUA GEOGRAFIA

 

di Luigi Longo

 

E Pensare Che C’era Il Pensiero*

 

Il secolo che sta morendo è un secolo piuttosto avaro nel senso della produzione di pensiero.

Dovunque c’è un grande sfoggio di opinioni piene di svariate affermazioni che ci fanno bene e siam contenti.

Un mare di parole un mare di parole ma parlan più che altro i deficienti.

Il secolo che sta morendo diventa sempre più allarmante a causa della gran pigrizia della mente.

E l’uomo che non ha più il gusto del mistero che non ha passione per il vero che non è cosciente del suo stato.

Un mare di parole un mare di parole è come un animale ben pasciuto.

E pensare che c’era il pensiero che riempiva anche nostro malgrado le teste un po’ vuote.

Ora inerti e assopiti aspettiamo un qualsiasi futuro con quel tenero e vago sapore di cose oramai perdute.

Va’ pensiero sull’ali dorate va’ pensiero sull’ali dorate.

Nel secolo che sta morendo s’inventano demagogie e questa confusione è il mondo delle idee.

A questo punto si può anche immaginare che potrebbe dire o reinventare un Cartesio nuovo e un po’ ribelle.

Un mare di parole un mare di parole io penso dunque sono un imbecille.

Il secolo che sta morendo appare a chi non guarda bene il secolo del gran trionfo dell’azione.

Nel senso di una situazione molto urgente dove non succede proprio niente dove si rimanda ogni problema.

Un mare di parole un mare di parole e anch’io sono più stupido di prima.

E pensare che c’era il pensiero era un po’ che sembrava malato ma ormai sta morendo.

In un tempo che tutto rovescia si parte da zero.
E si senton le note dolenti di un coro che sta cantando.

(sull’aria di va pensiero)

Vieni azione coi piedi di piombo Vieni azione coi piedi di piombo.

Giorgio Gaber

 

 

1.Un breve racconto di storia militare e geografica della città di Taranto

 

Il destino della città di Taranto è segnato dalla storia militare e dalla geografia che la rende un luogo strategico nel Mediterraneo e nell’Oriente. Per l’importanza geografica e militare di Taranto riporto una ampia sintesi tratta dal bel libro del 1930 dello storico Giuseppe Carlo Speziale << Alcune condizioni geografiche particolarmente felici hanno fatto sì che il golfo di Taranto sia sempre stato considerato come un nodo di traffici marittimi, sin dalla più remota antichità; e, per meglio specificare, i due bacini interni, il mar Grande ed il mar Piccolo, vasti e completamente chiusi come due laghi, sono sempre stati ancoraggi militari di prim’ordine e, in caso di conflitti o di attività nel Mediterraneo orientale, vere risorse anche per le armate più numerose. Quello di Taranto, infatti, è porto di concentramento e di imbarco per truppe e di preparazione alla guerra per le navi, porto di sorveglianza in posizioni strategica vantaggiosa, in quanto prossimo all’Oriente e posto in mezzo ai due bacini dell’Adriatico e dell’Egeo, che sono stati di tutto il Mediterraneo i mari più ricchi di storia e di eventi >>.

Taranto servì da nodo per i romani per la loro espansione; fu distrutta dagli Arabi di Sicilia per privare i Bizantini di uno dei porti migliori del loro dominio; << […] al tempo delle Crociate esso (il porto, mia specificazione) servì per concentramenti di navi e per l’imbarco delle milizie; ed in seguito, col determinarsi di nuovi antagonismi nell’Egeo e nell’Adriatico, ne ambirono il possesso sia i Turchi sia i Veneti appunto per questa sua posizione dominate […]; Federico II […] colla sua acutezza ed il suo senno politico, aveva già incluso in un suo vasto disegno militare una simile città e, in tempi di crociate e di guerre in Oriente, aveva già fatti i suoi calcoli e previsti i vantaggi  che poteva trarre da quell’osservatorio sul Mediterraneo, da quel porto per il Levante, da quel  “baluardo del regno” […] >>; Napoleone trasformò Taranto in una << piazzaforte d’appoggio della sua politica orientale […] In tale epico periodo una simile piazzaforte poté contemporaneamente servire a diversissimi scopi, che andavano dalla sorveglianza sui Balcani, alla minaccia di uno sbarco in Dalmazia per tenere a bada l’Austria, dal frazionamento delle forze navali inglesi alla creazione d’un centro d’informazione per il Levante e l’Adriatico, dalla preparazione di spedizioni navali a tutti i vantaggi marittimi sempre offerti da sì provveduto ancoraggio >>.

Nel primo decennio del Novecento Taranto fu sede del terzo dipartimento militare marittimo, così come Napoli fu sede del secondo Dipartimento (come vedremo in seguito le città di Napoli e Taranto diventano basi strategiche degli USA). << Le grandi manovre navali del 1907 furono come una specie di prova generale per gli impianti militari di Taranto, che quattro anni dopo venivano improvvisamente messe in febbrile travaglio dalla guerra di Libia. Nella prima impresa mediterranea della giovane Nazione, Taranto ebbe un’importanza, oltre il previsto ed il prevedibile, come luogo di appoggio per le forze marittime […] uno sguardo alla carta geografica […] fa subito rilevare come sia felice la posizione di Taranto per ogni attività navale da esplicare nel Mediterraneo centrale ed orientale […] Se alle considerazioni […] si aggiungono quella della difesa aerea […] Questa coesistenza nello stesso porto militare degli impianti dell’arsenale, della base navale e della base aerea ha una importanza infine che va anche al di là, e molto al di là, delle necessità e delle questioni del momento […] I destini di Taranto paiono quindi, ora più che mai, vincolati alle ragioni militari, e questa è e rimane la linea saliente della tradizione storica della città […] Federico II e Napoleone rimangono quindi i due profeti dei destini militari di Taranto: il tempo e le varie vicende han dato ampiamente ragione a quelle previsioni. (corsivo mio) >> (1).

Le suddette infrastrutture e basi furono utilizzate nella guerra di occupazione della Libia e nelle due guerre mondiali (2).

La città di Taranto, dall’antichità ad oggi, nelle fasi multicentriche e policentriche storicamente determinate, è stata condizionata dalle strategie militari delle potenze dominanti e in ascesa, in conflitto fra loro.

Oggi, nella fase multicentrica, la città di Taranto torna ad essere una base militare importante, una città Nato per gli USA (potenza dominante), per le sue strategie contro la Cina e la Russia (potenze in ascesa).

Nelle diverse fasi storiche Taranto ha usufruito di una posizione di rendita geografica (assoluta e differenziata) in quelle monocentriche (fasi di sviluppo pacifiche coordinate dalla potenza egemone) e di una posizione di sventura geografica in quelle multicentriche e policentriche (fasi di sviluppo conflittuale coordinate dalle strategie militari e dalle guerre).

 

2.La Nato a Taranto

 

Ho utilizzato i saperi della storia e della geopolitica per capire perché l’Ilva di Taranto dovrà essere chiusa per far posto alla base USA (via Nato) per le sue strategie di guerra nel Mediterraneo, nei Balcani, nel Vicino Oriente, nel Medio Oriente e nell’estremo Oriente.

Il V° Centro siderurgico di Taranto è stato costruito nei primi anni sessanta del secolo scorso, nella fase monocentrica coordinata dagli USA che non erano preoccupati dalla potenza dell’ex URSS perché era un gigante militare-nucleare con i piedi di argilla (3). Con la caduta del muro di Berlino (1989), con l’implosione dell’ex URSS (1991), dopo un decennio di apparente indiscusso dominio mondiale da parte degli Stati Uniti (tant’è che si parlò di fine della storia e di una prospettiva di pace mondiale), le relazioni mondiali cambiano e con l’ascesa di due potenze quali la Cina e la Russia, entriamo nella fase multicentrica. E’ in questa fase che gli USA costruiscono la base NATO di Napoli chiudendo l’Ilva di Bagnoli per le loro strategie di contrasto delle potenze in ascesa e approntano la base NATO di Taranto con la prevedibile chiusura dell’Ilva (4).

<< A Taranto ha sede il quartiere generale della High Readiness Force (Maritime), una forza marittima di rapido spiegamento che, al momento dell’impiego, sarebbe come le altre inserite nella catena di comando del Pentagono. L’importanza del porto di Taranto per la marina Usa trova conferma nel fatto che una società statunitense, la Westland Security, intende acquistare una parte dell’area portuale da destinare, oltre che a non precisate attività commerciali, a servizi per la Sesta Flotta Usa nel Mediterraneo, composta da 40 navi, 175 aerei e 21 mila uomini. Sempre a Taranto, c’è un importante nodo dei sistemi di comando, controllo, comunicazioni, computer e intelligence (C4I) del Centro della marina Usa per la “interoperabilità dei sistemi tattici”: in altre parole, un centro di comando e di spionaggio del Pentagono. La conferma si trova in un documento ufficiale dello stesso Pentagono, in cui si parla di un contratto da 9,8 milioni di dollari stipulato nel 1998 dal Dipartimento Usa della Difesa con la Logicon Inc. di Arlington per la messa a punto dei nodi della rete di comando e di spionaggio, tra cui-unico in Europa e nel Mediterraneo-quello di Taranto. Tutte queste forze e basi statunitensi, pur essendo in territorio italiano, sono inserite nella catena di comando del Pentagono e quindi sottratte a qualsiasi meccanismo decisionale italiano (corsivo mio) >> (5).

A partire dall’importanza del suo porto per la Marina statunitense Taranto, in maniera segreta e con libidine di servitù, sta diventando un polo Nato (6) e i suoi servili decisori attuali e futuri gestiranno, con il “Cantiere Taranto”, che è una riproposizione del Contratto Istituzionale di Sviluppo per questa area (CIS), la chiusura dell’Ilva e metteranno a completa disposizione il Mar Grande (nuova base navale) e il Mar Piccolo (Arsenale) per le strategie NATO (7).

Da qui bisogna partire per capire la trasformazione di Taranto da polo siderurgico a polo strategico della NATO, cioè degli USA.

 

3.La fine dell’Ilva di Taranto

 

Il soggetto che si è fatto carico dell’esplosione delle contraddizioni dell’Ilva, nel rapporto capitale-salute e capitale-ambiente, è stato la magistratura, nel 2012, per questioni legittime ma vecchie di 50 anni [la salute e la sicurezza dei lavoratori/trici sul luogo di lavoro e l’inquinamento territoriale (suolo, aria, mare) con conseguenze devastanti sulla popolazione]; contraddizioni, inoltre, che sono intrinseche alle dinamiche del modo di produzione capitalistico che non ha come obiettivo né la tutela della salute dei lavoratori/trici e della popolazione né il rispetto delle leggi della natura con i suoi cicli (8).

La magistratura non spiega perché arriva con 50 anni di ritardo ad affrontare le suddette questioni, né perché non ha messo sotto inchiesta tutti i poli siderurgici e chimici italiani.

E’ mia convinzione che l’azione della magistratura, che è parte integrante dei ceti decisori (altro che la teoria della separazione dei poteri, che la realtà smentisce…), è stata la testa di ariete che ha fatto saltare le contraddizioni del modo di produzione dell’Ilva (coinvolgendo anche il rapporto capitale-lavoro) affinchè si mettesse in moto una precisa strategia: quella della gestione della chiusura della più grossa impresa siderurgica europea perché incompatibile con le esigenze territoriali e strategiche degli agenti dominanti statunitensi attraverso i loro strumenti di intervento (Pentagono e Nato). Faccio osservare che l’impresa Ilva dei Riva era sulla strada della dismissione per mancanza di a) manutenzione ordinaria, straordinaria e di investimenti; b) rispetto di qualsiasi norma e legge; c) strategia per migliorare qualsiasi aspetto della produzione (l’introduzione di nuove tecnologie era impossibile su vecchi e usurati macchinari!), della salute, dell’ambiente, della città (9). La gestione dell’impresa Ilva, in un rapporto sociale storicamente determinato, è stata attuata con modalità da plusvalore assoluto e non da plusvalore relativo (10), senza pensare minimamente ad una strategia di ricaduta e di innervamento con lo sviluppo locale del territorio a diverse scale (locale, regionale, nazionale e mondiale). I Riva, ottimi cotonieri lagrassiani, hanno raschiato il fondo di tutte le risorse possibili nella produzione dell’acciaio. (11).

Perché i Riva hanno potuto muoversi ed operare in queste condizioni? E la mitica classe operaia che ruolo ha avuto insieme ai sindacati? (12) E le istituzioni che ruolo hanno svolto per fare rispettare le norme e i principi costituzionali? E la destra e la sinistra (oggi fa ridere la volontà di questa distinzione ideologica) quale ruolo hanno esercitato? In sintesi: il blocco di potere che si è formato intorno all’impresa Ilva dei Riva sapeva benissimo in quale condizioni essa operava e dove conduceva la strategia dei cotonieri. Perché nulla è stato fatto né in termini di salute dei lavoratori/trici e della popolazione, né in termini di difesa ambientale e delle risorse esistenti, né in termini di impresa aperta al territorio e al suo sviluppo?

 

 

  1. La gestione della chiusura dell’Ilva di Taranto

 

Anche se la strategia di gestione della chiusura dell’Ilva ha come scena principale la sfera economica (oltre a quelle istituzionale, giuridica e ideologica), attraverso il libero mercato (sic) e il ruolo di una grande impresa multinazionale (12 bis), le vere ragioni della chiusura dell’Ilva vanno ricercate nella sfera politica dei pre-dominanti statunitensi i quali hanno bisogno, nel conflitto per l’egemonia mondiale, di quello spazio geograficamente e militarmente strategico (le basi nato).

Il ruolo di ArcelorMittal. ArcelorMittal (ora in avanti AM), il principale produttore mondiale di acciaio che << dallo scoppio della crisi (2007-2012, mia precisazione) ha avviato un processo di ridimensionamento della propria presenza nel vecchio continente >> (13), ha due obiettivi da raggiungere: a) liquidare, incorporandola, una delle più grandi imprese siderurgiche europee, b) compiere una rottura, un salto decisivo verso la chiusura con i conseguenti licenziamenti degli operai. << Oggi compie un anno la gestione targata AM del complesso aziendale ex Ilva […] Le ipotesi di rilancio dell’acciaieria di Taranto […] hanno ormai lasciato spazio ai piani di ridimensionamento […] lo stabilimento siderurgico annaspa, fermo a poco più di 4 milioni di tonnellate di acciaio liquido prodotto nel 2019, con 1400 degli 8200 dipendenti in cassa integrazione (i dipendenti erano 10500 con i commissari, 12000 con la famiglia Riva, fino a 25000 con la gestione statale) […] >> (14). Federico Pirro (docente di storia dell’industria dell’Università di Bari) così chiarisce << […] se nella prossima trattativa fra gli esperti nominati dal governo e quelli di Arcelor non verrà ribadito con chiarezza dai rappresentanti italiani che il sito di Taranto non può scendere ad una capacità di 4 o 4,5 milioni di tonnellate all’anno, pena un drastico ridimensionamento del tutto antieconomico per un impianto di quelle dimensioni che è ancora la più grande acciaieria a ciclo integrale d’Europa e la maggiore fabbrica manifatturiera d’Italia con i suoi 8277 addetti diretti. […] Il gruppo franco-indiano, dopo aver ceduto alcuni suoi impianti in Europa a causa delle prescrizioni di Bruxelles per poter acquistare il gruppo Ilva, al momento gestito in locazione finalizzata all’acquisto, sta riorganizzando le produzioni nei suoi stabilimenti di Dunkerque e di Fos-sur-Mer vicino Marsiglia, portandole- con il consenso del governo francese- da 4 a 6 milioni di tonnellate ciascuno e, pertanto, potrebbe non aver interesse a conservare un’elevata capacità a Taranto, perché i 12 milioni di tonnellate dei due siti francesi e gli eventuali 4 del capoluogo ionico sarebbe sufficienti a conservare il suo mercato continentale. Si punterebbe così ad una mini Ilva. Secondo la sua strategia tale disegno sarebbe comprensibile, ma non sarebbe condivisibile per l’Italia che deve conservare adeguata capacità nel ciclo integrale. […] Pesantissimi, non solo per l’attuale manodopera diretta che con 4 o 4,5 milioni di tonnellate sarebbe dimezzata- senza alcuna speranza inoltre di poter un giorno recuperare in fabbrica gli attuali 1700 cassaintegrati in carico all’Amministrazione straordinaria-ma anche per gli addetti diretti di Genova e Novi Ligure, e per alcune migliaia di occupati dell’indotto manifatturiero delle altre città, ma soprattutto di Taranto e non solo di quello industriale. […] Le movimentazioni del porto cittadino che potrebbe anche perdere entro qualche anno, se non recuperasse traffici, la classificazione di porto core con la scomparsa della sua Autorità di sistema portuale […] ma anche il settore dell’autotrasporto su gomma e su ferrovia, tutto l’indotto di secondo e terzo livello, dalle pulizie industriali alle mense aziendali, senza considerare l0impoverimento complessivo di territori provinciali e regionali in cui viene speso il reddito di operai e tecnici dell’Ilva. Insomma, una catastrofe. >> (15). Rita Querzè ci informa che << L’uscita di ArcelorMittal dall’Ilva e dall’Italia è più vicina. La Corte suprema indiana ha dato il via libera ad AM per l’acquisizione del gruppo siderurgico indiano Essar Steel. Valore, tra acquisizione e investimenti: 6,15 miliardi di euro. Mittal non dovrà pagare tutto di tasca propria visto che l’operazione è condotta in joint venture con i giapponesi di Nippon Steel. Ma si tratta comunque di un impegno finanziario non distante da quello preventivato per acquisire l’ex Ilva (4,2 miliardi). L’investimento che doveva convergere su Taranto viene dirottato verso l’India. Secondo i siti specializzati, Essar Steel impiega meno della metà dei dipendenti dell’ex Ilva: 3.800 contro 10.700. Ma la capacità produttiva di Essar sarebbe superiore: 10 milioni di tonnellate di acciaio l’anno solo nello stabilimento di Hazira contro i 4 milioni di tonnellate di acciaio di Taranto (che dovevano diventare però 8 milioni a regime). Ad Hazira un manager a inizio carriera guadagna l’equivalente di 5.500 euro l’anno. Grazie a questo «colpo» AM entrerà nel mercato domestico: finora i Mittal non avevano investito a casa propria, il secondo mercato mondiale dell’acciaio. Questa operazione, con il nuovo posizionamento di Arcelor Mittal in India come fatto strategico, penalizza Taranto dal punto di vista dell’impegno delle risorse. >> (16).

E’ possibile, chiedo, che una multinazionale del livello di AM, che avrà sicuramente degli ottimi strateghi geoeconomici e geopolitici al suo interno, abbia partecipato al bando di gara non conoscendo la situazione di Taranto e, soprattutto, non conoscendo gli interessi militari degli Stati Uniti per il golfo di Taranto? E gli strateghi di AM saranno sicuramente informati che i due giganti asiatici del trasporto marittimo, la taiwanese Evergreen Maritime Corporation e la cinese Hutchison Whampoa, che controllavano al 90% la società terminalistica dello scalo pugliese (la Taranto Container Terminal), e movimentavano il 70% dei traffici, con dietro una potenza mondiale come la Cina, hanno dovuto abbandonare il porto di Taranto e trasferirsi nel porto del Pireo di Atene?

Una grande multinazionale come AM non può entrare in contraddizione dicendo, dopo un anno, che non può mantenere gli impegni presi per quanto stabilito nel bando di gara e nel contratto di acquisto dell’Ilva e nello stesso tempo investire in Francia e in India (la contraddizione va vista nell’insieme delle attività mondiali e tenendo presente i due Stati di appartenenza di AM con le loro strategie politiche nazionali). Né può addurre giustificazione di crisi dell’acciaio perché proprio in virtù di essa ha avviato un processo di ridimensionamento della propria presenza nel vecchio continente. Né può trincerarsi dietro la mancanza dello scudo penale perché è una pantomima politica in quanto tutti sanno che chiunque interviene sull’Ilva di Taranto, sia pubblico sia privato, ha bisogno dello scudo penale (17).

Il ruolo dei ceti decisori. La macchina della chiusura dell’Ilva (che avrà i suoi tempi) è già in movimento. Riporto quanto scritto nel 2013 perché nella sostanza ha ancora la sua validità, con l’aggiunta: a) il ruolo di AM, b) i nuovi formali strumenti di sviluppo del territorio (il “Cantiere di Taranto” e il CIS), c) una fantomatica svolta green degli impianti, d) un processo di decarbonizzazione che presuppone un radicale processo di trasformazione degli impianti oltre ad una chiara strategia di investimenti (forni elettrici…) considerando i tempi, le verifiche, l’occupazione (18), e) la farsa di una impresa di interesse strategico per il Paese << La UE, il governo italiano, la regione Puglia e il comune di Taranto sono i luoghi istituzionali dove saranno gestite le risorse finanziarie ( derogando al Patto di stabilità) per il rilancio di uno sviluppo dell’area tarantina nei settori della bonifica ambientale, del risanamento del territorio, della rigenerazione urbana della città, della smart city, del riuso del porto ( l’Autorità Portuale vede con favore la chiusura dell’Ilva per puntare a un riuso del porto e al superamento dell’attuale crisi sul modello di quello di Rotterdam: fare di Taranto, la Rotterdam del Mediterraneo), eccetera, in stretta collaborazione con le strategie di intervento che integrano la dimensione militare e quella civile della NATO. >>.

La solitudine degli operai, prima e la loro reazione di indifferenza e apatia poi, alla chiusura nei fatti dell’Ilva sono indici paradigmatici del degrado politico, sociale e culturale di Taranto, dell’Italia e dell’Europa. Per dirla con Costanzo Preve siamo in piena << […] libidine di servilismo della cultura europea contemporanea verso l’unico modello dominante americanocentrico >> (19).

 

E pensare che c’era il pensiero.

 

 

  1. L’ideologia dell’interesse nazionale

 

L’Ilva è uno stabilimento di interesse strategico nazionale (articolo 1 del decreto legge del 3 dicembre 2012 n.207 e sua conversione in legge n.231 del 2012). Ciò ha permesso, in una prima fase, di espropriarla per affidarla alla gestione pubblica (20) per il risanamento aziendale e territoriale per poi restituirla ai proprietari. Successivamente c’è una diversa gestione: pubblicazione di un bando di gara e assegnazione con un contratto di acquisto (non è il caso di approfondire in questa sede la costruzione del bando e del contratto di affitto con obbligo di acquisto anche se è facile intuire l’impostazione). Sarà il libero mercato con meccanismi democratici e trasparenti ad aggiudicare l’Ilva: il metodo della menzogna sistematica!

Perché non gestire il risanamento aziendale con i sub-decisori italiani invece di affidarla ad una multinazionale franco-indiana? Cioè mettiamo una impresa strategica nazionale in mano a una multinazionale straniera: è il trionfo della legge fondamentale della stupidità umana, dello storico Carlo Maria Cipolla (21). Una nazione seria non consegna una impresa strategica ad una multinazionale come AM che ha dietro due stati come la Francia e l’India. Chiedo: in questa fase di crisi da sovrapproduzione dell’acciaio e di processi di ristrutturazione, chi penalizzerà l’AM? La risposta è: l’Italia! Così come già sta accadendo con gli investimenti surriportati in Francia e in India.

Una impresa strategica nazionale non si consegna alla prima multinazionale mondiale dell’acciaio a meno che i sub-decisori italiani non abbiano affidato la liquidazione dell’Ilva, su comando dei pre-dominanti statunitensi i quali non fidandosi hanno optato per AM sapendo che dietro c’erano sub-dominanti servili, sì, ma affidabili e capaci di portare a termine la chiusura dell’Ilva (oltre ai giochi geoeconomici e geopolitici tra Usa, Francia e India).

In questa logica parlare di industria strategica di interesse nazionale diventa una farsa nazionale (22).

La magistratura con il gioco dello scudo penale (l’Ilva non può essere gestita senza lo scudo penale e questo lo sanno tutti! Anche i magistrati che discutono di grande dottrina giuridica per la incostituzionalità dello scudo penale utilizzato ad hoc) e con il gioco dell’interesse nazionale (tutelando una impresa strategica nazionale dopo averla data alla multinazionale AM?) entra nella vicenda Ilva per creare complessità strumentale al fine di perseguire l’obiettivo della chiusura.

Ancora una volta il ruolo della magistratura è funzionale alle strategie dei pre-dominanti statunitensi e ci vuole una bella faccia tosta a parlare della separazione dei poteri, una architettura giuridica-istituzionale creata per confondere il reale corso della dura realtà conflittuale.

Chiedo, ammesso e non concesso che ci siano le condizioni (23): quale impresa italiana (e sottolineo italiana perché deve essere espressione di una strategia di difesa degli interessi nazionali così come fanno tutte le nazioni non servili) investirebbe in questa complessità rischiosa e pericolosa? Rischiosa per le condizioni storiche oggettive del modo di produzione dell’Ilva dei cotonieri italiani (dal 1960 ad oggi) e pericolosa perché, come ci ricorda Gianfranco La Grassa, gli Stati Uniti d’America << […] sono ormai un grave pericolo e ostacolo […] per il mantenimento dell’autonomia di ogni singola area, di ogni singolo paese; difendiamoci dalla voracità statunitense. Del resto, anche dal punto di vista interno ad ogni paese, i gruppi dominanti più oppressivi, più parassitari e sanguisughe rispetto alla maggioranza della popolazione (non del “popolo”, questa maschera di tutti i traditori), sono quelli che si pongono alle dipendenze degli Usa; da essi sono quindi aiutati a mantenere la loro preminenza interna (corsivo mio) >> (24).

Se, come ho già sostenuto, rimaniamo nella logica capitale-lavoro, capitale-salute, capitale-ambiente, non capiremo perché l’Ilva di Taranto chiuderà. Se invece ci mettiamo nella logica del conflitto strategico (supportato dai saperi della storia, della geopolitica) allora capiremo che l’Ilva di Taranto chiuderà perché è incompatibile con le strategie USA (via Nato) delle fasi multicentrica e policentrica.

 

Il secolo che sta morendo è un secolo piuttosto avaro nel senso della produzione di pensiero. Dovunque c’è un grande sfoggio di opinioni piene di svariate affermazioni che ci fanno bene e siam contenti. Un mare di parole un mare di parole ma parlan più che altro i deficienti.

La citazione che ho scelto come epigrafe è tratta da:

 

Giorgio Gaber, E pensare che c’era il pensiero dall’album E pensare che c’era il pensiero, CD, 1995/1996.

 

NOTE

 

1.Giuseppe Carlo Speziale, Storia militare di Taranto. Negli ultimi cinque secoli, Giuseppe Laterza & Figli, Bari, 1930, pp. 14-15-16-246-258.

  1. Sul ruolo di Taranto nella guerra in Libia e nelle due guerre mondiali si rimanda a Giuseppe Carlo Speziale, Storia militare di Taranto, op. cit., pp.206-259; Mario Gismondi, Taranto: La notte più lunga. Foggia: la tragica estate, Dedalo, Bari, 1968; Giuliano Lapesa, Taranto dall’Unità al 1940: industrializzazione, quadri ambientali e demografici, politiche urbane, Tesi di Dottorato Università degli Studi di Napoli Federico II, www.fedoa.unina.it/3291/1/Lapesa_Giuliano_TesiDottorato.pdf; Roberto Nistri, Taranto nella grande guerra, www.taranto.anpi.it/2014/11/taranto-nella-grande-guerra/. Sulla relazione tra Arsenale e sviluppo economico, sociale, politico e strutturale della città si veda Rosa Alba Petrelli, L’Arsenale Marittimo Militare di Taranto. Un’indagine archeologico-industriale, Crace editore, Roma, 2005; Antonio Verardi, Quando la grande guerra arrivò a Taranto, www.pugliain.net, 17/1/2016.

3.Luigi Longo, Gli Stati Uniti e lo spettro della Russia, www.italiaeilmondo.com, maggio 2017.

4.Luigi Longo, Taranto, da polo siderurgico a polo strategico della NATO, www.conflittiestrategie.it, 20/7/2013 e www.italiaeilmondo.com, 20/5/2018.

5.Manlio Dinucci, Geopolitica di una “guerra globale” in AaVv, Escalation. Anatomia di una guerra infinita, Derive Approdi, Roma, 2005, pp.82-83.

  1. Sulla segretezza degli interventi NATO si rinvia al Dossier di Peacelink “Nato a Taranto”, www.peacelink.it; Interrogazione parlamentare al Ministro della Difesa presentata da Deiana Elettra in data 22/4/2004, htpp://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic4_09815_14.
  2. Sugli interventi e gli obiettivi contenuti nel CIS dell’area di Taranto si veda www.cistaranto.coesionemezzogiorno.it; sul ruolo e sul rilancio dell’Arsenale Militare di Taranto nelle strategie Nato si legga Maristella Massari, Taranto, è l’Arsenale il perno del rilancio in La Gazzetta del Mezzogiorno del 14/11/2019; Redazione AnalisiDifesa, Dimostrazione in mare per il progetto di ricerca militare OCEAN2020, www.analisidifesa.it, 20/11/2019; Redazione AnalisiDifesa, La portaerei Cavour esce dal bacino di carenaggio di Taranto, www.analisidifesa, 27/11/2019.
  3. Luigi Longo, L’Ilva di Taranto, www.conflittiestrategie.it, 7/8/2012.
  4. Per una analisi economica si rimanda a Riccardo Colombo e Vincenzo Comito, L’Ilva di Taranto e cosa farne. L’ambiente, la salute, il lavoro, Edizioni dell’asino, Roma, 2013; Emiliano Brancaccio e Salvatore Romeo, Piatto d’Acciaio, Limes n.3/2014; Salvatore Romeo, L’acciaio in fumo. L’Ilva di Taranto dal 1945 a oggi, Donzelli editore, Roma, 2019; Federico Pirro, Fare squadra per ripartire da un futuro d’acciaio in La Gazzetta del Mezzogiorno del 22/6/2019.
  5. Per capire la differenza di produzione in condizioni di plusvalore assoluto e plusvalore relativo si rimanda a Karl Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975, Libro primo, pp.621-648; Karl Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975, Libro primo, Appendici: Per la critica dell’economia politica. Capitolo VI inedito e altri scritti, pp.1185-1260.
  6. Per le funzioni dei cotonieri Riva e del loro blocco di potere si veda, sia pure in una logica di diritti sociali insufficiente a capire le cause profonde della crisi dell’Ilva, Loris Campetti, Ilva connection. Inchiesta sulla ragnatela di corruzioni, omissioni, colpevoli negligenze, sui Riva e le istituzioni, Manni editore, Lecce, 2013.
  7. Non mi stancherò di dare merito a Costanzo Preve e a Gianfranco La Grassa di aver svelato la non intermodalità della classe operaia. Oggi, si può dire, a partire dallo spettro del comunismo che si aggira per l’Europa del Manifesto del partito comunista del 1847-1848 di Karl Marx e Friedrich Engels. << Per indicare la nostra tesi che la classe operaia, proletariato, partiti comunisti, non sono realmente in grado di costruire una società basata su un modo di produzione diverso da quello capitalistico, parliamo di “non-intermodalità della classe operaia, del proletariato, dei partiti comunisti” >> in Costanzo Preve, Gesù tra i dottori. Esperienza religiosa e pensiero filosofico nella costituzione del legame sociale capitalistico, editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2019, pag. 104.

12.bis. Le imprese multinazionali hanno sempre dietro di sé le Nazioni. Senza il loro potere, che si esercita attraverso lo stato, le imprese multinazionali non avrebbero la forza di penetrare coi i loro investimenti le economie degli altri Paesi, di allargare i loro mercati, di allargare le aree di influenza, eccetera. Esse sono strumenti degli agenti strategici egemoni dei Paesi di appartenenza finalizzati all’accrescimento della propria potenza attraverso il conflitto strategico. A mò di esempio ricordo il ruolo delle multinazionali a servizio della politica imperiale USA nell’Iran degli anni ’50 durante la fase di consolidamento dell’egemonia statunitense nel Medio Oriente: esempio di politica pianificata centralmente altro che mercato e democrazia. Per questo si veda Peter Frankopan, Le vie della seta. Una nuova storia del mondo, Monadadori, Milano, 2017, pp.478-498.

  1. Emiliano Brancaccio e Salvatore Romeo, Piatto d’Acciaio, op. cit., pag.235; si veda anche Matteo Meneghello, ArcelorMittal, ecco cosa fa, e dove opera nel mondo, www.ilsole24ore.com, 8/11/2019; Giandomenico Serrao, Bilancio rosso per ArcelorMittal, che taglia la produzione in Europa, www.agi.it, 7/11/2019.

14.Mimmo Mazza, Taranto, un anno di Mittal: siderurgico in affanno, nuovi vertici taglia-personale, www.lagazzettadelmezzogiorno.it, 1/11/2019.

  1. Federico Pirro, L’Ilva non diventi un centro di servizi, intervista a cura di R. R., in La Gazzetta del mezzogiorno del 2/12/2019.
  2. Rita Querzè, ArcelorMittal investe 6 miliardi in India. L’addio all’ex Ilva più vicino, www.corriere.it, 16/11/2019; Federico Pirro, Una cordata italiana, un’orgogliosa risposta nazionale in La Gazzetta del Mezzogiorno, 6/12/2019.
  3. Federico Pirro, Anche la mano pubblica vorrà ottenere lo scudo penale in La Gazzetta del Mezzogiorno del 8/11/2019.

18.Sul piano B dell’Ilva e della via della decarbonizzazione si rinvia a Federico Pirro, La drammatica prospettiva di una fuga dall’acciaio in La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/10/2019.

  1. Costanzo Preve, Gesù tra i dottori. Esperienza religiosa e pensiero filosofico nella costituzione del legame sociale capitalistico, op. cit., pag.65.
  2. Intendo i luoghi pubblici, i luoghi dell’interesse generale, i luoghi delle istituzioni ramificate territorialmente, i luoghi dello Stato, come luoghi dove non si espleta la politica dell’interesse generale del Paese ma luoghi dove i gruppi strategicamente egemonici (pre-dominati e sub-dominanti) realizzano i loro indirizzi strategici di dominio.
  3. Carlo M Cipolla, Allegro ma non troppo, il Mulino, Bologna, 1988.
  4. Non poteva mancare la voce di Romano Prodi su una fumosa perdita di fiducia dell’Italia da parte dell’Unione Europea; è veramente irritante sentirlo dire da un esecutore di ordini dei sub-dominanti europei e pre-dominanti Usa, da chi è stato il protagonista della svendita delle società alimentari, facenti capo principalmente alla finanziaria SME dell’IRI; si legga Romano Prodi, L’Italia e l’industria. Una scossa o nessun si fiderà più di noi, www.ilmessagero.it, 6/11/2019.
  5. Il problema non è di una mini Ilva o Maxi Ilva (Paolo Bricco, Ex Ilva, il piano pubblico costerà almeno un miliardo. E i dipendenti che fine faranno? www.ilsole24ore.com., 6/12/2019) o di una newco tra pubblico e privato (Federico Pirro, Una cordata italiana. Una orgogliosa risposta nazionale in La Gazzetta del Mezzogiorno del 6/12/2019), quanto piuttosto quello serio che non ci sono le condizioni soggettive (decisori sub-dominanti servili e incapaci di autodeterminazione interna ed esterna) e oggettive (la città di Taranto è importante per le strategie statunitensi nelle fasi multicentrica e policentrica) per rilanciare l’Ilva.

24.Gianfranco La Grassa, Il compito dei compiti, www.conflittiestrategie.it, 4/12/2019.

ILVA, il suo percorso è la metafora del futuro di una nazione_con Augusto Sinagra

tra quelli che ci fanno

L’affare ILVA si sta rivelando la metafora del destino che l’Italia sta inseguendo nella sua frenesia autodistruttiva.

babbei al governo

Dal ruolo improprio, l’ennesimo, della magistratura alla contrapposizione paralizzante e arcadica tra difesa ambientale e salvaguardia del patrimonio industriale, specie di quello strategico di base, alla insipienza ed arrendevolezza di un ceto politico complice, ormai non solo oggettivamente. Una classe dirigente che non sa offrire un futuro, che non sa pensare all’interesse nazionale, che non sa far altro che nascondersi tra le pieghe sempre più asfittiche lasciate dagli attori geopolitici più intraprendenti. Ha dimostrato di non aver cura nemmeno delle condizioni minime di sopravvivenza del proprio apparato industriale; ha abdicato da ogni iniziativa politica lasciando sempre più spazio all’azione impropria di apparati preposti a sanzionare il mancato rispetto della legge; si sta facendo soverchiare da una multinazionale francoindiana complice dei propositi di desertificazione del paese ad opera dei “fratelli maggiori europei”. Un ceto politico inetto, scarsamente rappresentativo di interessi forti nel paese, ormai avviluppato in un conflitto tra bande. Potrebbe essere la grande occasione per un ceto politico alternativo di presentarsi come i difensori e gli assertori di una diversa prospettiva nazionale. E invece anche l’opposizione, compreso Salvini, sta rivelando limiti ed incomprensioni drammatici, per non dire di peggio. Di fronte a insolenti colpi di mano di Arcelor Mittal tesi a chiudere e danneggiare gli altiforni e alla reazione governativa meramente legalitaria, praticamente una manfrina, inadeguata rispetto all’urgenza drammatica della situazione, si chiosa bellamente sulla modalità di trattare con la multinazionale, sulle buone maniere piuttosto che spingere verso atti di imperio e straordinari che impediscano il vero e proprio sabotaggio in corso. La crisi ILVA è solo la punta di un iceberg che sta minacciando l’esistenza stessa di un apparato industriale appena degno di questo nome. Colpisce l’afasicità delle reazioni, compresa quella degli interessati diretti, gli operai. Non si può nemmeno più parlare della bollitura a fuoco lento di una rana. Qualche segnale di allarme, anche se tardivo, comincia a pervenire dagli ambienti imprenditoriali. E’ l’unico barlume di speranza rimasto. Si vedrà se il ricorso giudiziario, quel che pare una recita a contratto, si trasformerà in una reazione più risoluta. In controcanto ci sta pensando il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini a rivelarci convinto l’ultimo tassello della congiunzione astrale, assieme all’ambientalismo d’accatto e decrescista e ai propositi della Unione Europea a trazione franco-tedesca, che vorrebbe il funerale dell’ILVA e del paese: preoccupato del futuro dei quindicimila prossimi disoccupati, ha annunciato l’estensione dell’arsenale militare nel’area Italsider e la prossima assunzione di mille unità.

il complice

Vedremo! Buon ascolto_Giuseppe Germinario

requiem di una nazione, di una industria e di una città_di Giuseppe Germinario

Oggi, 4 novembre, Arcelor Mittal ha comunicato il recesso dal contratto di affitto e di acquisto delle attività industriali dell’ILVA di Taranto. Una decisione di fatto irreversibile se non a costo di una vera e propria andata a Canossa dle Governo, sempre che Arcelor non abbia ormai deciso di giocare su più tavoli nel teatro europeo. È l’annuncio di un disastro immane per il paese le cui implicazioni sono ancora difficilmente calcolabili nella loro integrità.

https://www.corriere.it/economia/aziende/19_novembre_04/ilva-lettera-recesso-arcelor-mittal-a1e4dbee-ff23-11e9-aa9d-60f7e515e47b.shtml

Sono in tanti certamente a rallegrarsi se, come ormai altamente probabile, tale decisione dovesse essere messa in atto:

  • Lo sono i paesi europei che avrebbero dovuto, per prescrizione comunitaria, ridurre le proprie quote di produzione dell’acciaio e che, con il tracollo dell’industria siderurgica italiana, poterebbero vedersi riattribuire importanti quote di produzione
  • Lo sono coloro che hanno ben presente il valore geopolitico e militare del golfo e dei due mari di Taranto e che vedono nella disponibilità di nuovi spazi la possibilità di estendere la presenza militare, in particolare aereonavale, in quelle acque e in quelle rade
  • Lo sono i profeti dell’ambientalismo che vedono la possibilità di costruire sulle ceneri dell’industria di base una economia ecologicamente compatibile fondata su economia circolare, sul turismo e sull’industria leggera, le ultime due ancora tutte da programmare ed edificare, ammesso e non concesso il realismo e la fattibilità di queste mere intenzioni

La soddisfazione dei primi due poggia su visioni e interessi concreti, quella dei secondi su mere illusioni. Tutti e tre sulle disgrazie e sulla condanna al declino di una nazione, di una industria e di una provincia.

Le frotte di lobbisti d’oltralpe saranno già pronte ad occupare i corridoi di Bruxelles per appropriarsi delle quote di acciaio lasciate a disposizione da ILVA e dalla magnanimità dei governi italiani. I quartier generali della NATO di sicuro avranno già pronti i piani di utilizzo di quelle aree così prossime ad aree cruciali di confronto geopolitico; nuove pedine da muovere nelle loro scacchiere.

Gli unici ad accontentarsi delle proprie illusioni e a rimpinzare di illusioni parte della popolazione sono gli integralisti dell’ambientalismo.

Non hanno compreso, o non vogliono comprendere, che una economia equilibrata e in sviluppo non può accontentarsi di sola agricoltura e di solo turismo; che qualsiasi industria, compresa quella leggera più avveniristica, non può fare a meno di una industria di base e pesante. Costoro ignorano le dimensioni del feroce scontro politico che portò alla costruzione dell’industria di base e dell’energia negli anni ’50, alla base dello sviluppo economico del paese; non comprendono l’importanza della sua difesa e sviluppo nel garantire il minimo necessario di autonomia politica e sovranità decisionale di una nazione. Aspetto ben presente invece nella testa delle classi dirigenti dei paesi emergenti e di quelli intenzionati a ricollocarsi nell’agone geopolitico. La stessa questione ambientale trova migliori possibilità di essere affrontata con la presenza e la ricchezza economica e del tessuto sociale garantita da importanti insediamenti industriali. I nostri paladini dell’ambiente credono veramente che una volta dismessi gli impianti, saranno finalmente disponibili quelle risorse necessarie per bonifiche ambientali costosissime in ordine di tempo e denaro? Gli esempi, tra i tanti, di Marghera, dell’Italsider di Napoli, di Gela, di Gioia Tauro dovrebbero far insinuare qualche dubbio in quelle menti sulla corrispondenza tra i loro propositi e la realtà storica e fattuale. Se non si è capaci di lottare per un ambiente migliore in una realtà industrialmente sviluppata, rendendo più compatibili ad esso le attività umane, come lo si potrebbe in un’area socialmente depressa e soggetta alle peggiori servitù, comprese quelle militari?

Le debolezze intrinseche di un movimento non si risolvono con gli ululati alla luna! Si risolvono nella funzione di “utili idioti” per disegni e strategie al di fuori della loro portata e comprensione. Prova ne è che i problemi ambientali di Taranto non dipendono unicamente dall’impianto siderurgico.

Un gioco e una trappola nei quali sono caduti o ai quali partecipano attivamente anche settori della magistratura e del ceto politico locale e della Regione Puglia; con un epilogo tragico e drammatico per le sorti di quell’area e della nazione intera; della stessa filiera dell’acciaio in Italia e in propsettiva dell’industria meccanica.

Un epilogo però largamente prevedibile, affatto inatteso; frutto delle politiche sconsiderate di dismissione delle partecipazioni statali, soprattutto in assenza di una imprenditoria privata storicamente incapace di subentrare con una qualche serietà nella gestione e proseguite vieppiù in una deriva di carattere predatorio e di svendita del controllo delle leve fondamentali; proseguita poi con l’affidamento alla famiglia Riva e la loro discutibile espropriazione senza futuro e conclusa con l’affidamento a gruppi esteri soggetti a ben altri controlli politici. La contrapposizione tra ambientalismo e sviluppo industriale è solo il frutto avvelenato della insipienza e della abdicazione di una classe dirigente. Una contrapposizione che non tarderà a manifestarsi purtroppo anche nelle piazze; su questo anche il gruppo dirigente sindacale ha responsabilità pesantissime.

Romano Prodi ce lo ha ricordato in questi giorni: sapeva benissimo, assieme a Draghi e Ciampi, cosa stava facendo negli anni ’90 ai danni del paese. I nostri campioni tutti di un pezzo, però, hanno confuso il coraggio con l’obbedienza supina a ordini superiori e i cantori odierni hanno ancora il coraggio e la sfrontatezza di celebrarli come eroi e futuri condottieri. I loro epigoni, attualmente ben rappresentati nel Governo Conte, a cominciare dall’avvocato del popolo e dal commesso viaggiatore della Farnesina, ne sono solo gli esecutori e liquidatori più stupidi ed arruffoni, intenti a contrabbandare la loro sopravvivenza elettorale, forse addirittura nei sondaggi, con le sorti del paese.

In Europa e nel mondo ormai conoscono bene la nostra classe dirigente. Il settimanale francese Marianne l’ha definita insignificante. Una analoga consapevolezza dovrebbe sorgere in tempi rapidi anche nel nostro paese, pena l’impossibilità definitiva di poterne costruire l’embrione di una nuova capace quantomeno di individuare gli interessi forti di una nazione, di difenderli e di costruire intorno ad essi un blocco ed una formazione sociale più equilibrata e dinamica. In Italia purtroppo non esistono “poteri forti” checché ne pensi Di Maio, Conte e compagnia bella e quel poco che c’è lo stanno demolendo allegramente.

CHI GESTIRÀ LA FASE DI CHIUSURA DELL’ILVA DI TARANTO?, a cura di Luigi Longo

CHI GESTIRÀ LA FASE DI CHIUSURA DELL’ILVA DI TARANTO?

a cura di Luigi Longo

 

Ho sostenuto qui, qui, qui con una ragionevole ipotesi che l’Ilva di Taranto si avvierà verso la chiusura perché è incompatibile con l’allargamento della base Nato e perché gli USA ritengono Taranto e Foggia spazi fondamentali per le loro strategie nel Mediterraneo, Medio Oriente e Oriente.

L’avvio della chiusura di una impresa di livello mondiale, con il più grande impianto siderurgico d’Europa, strategica per l’economia italiana, significherà avviare l’Italia verso un più accentuato declino economico, sociale e politico; dimostrando così che siamo amministrati da sub-sub-decisori servili e stupidi ( ci vorrebbe un altro Johnathan Swift per aggiornare la follia dei decisori) nel momento in cui svendono una industria strategica ad una multinazionale facendo in modo che siano sempre più i gabinetti stranieri a decidere la sorte della nazione.

Si pone una domanda: la svendita dell’Ilva di Taranto alla Am Investco (joint venture tra AcelorMittal (85%)- multinazionale con sede in Lussemburgo con primo azionista la famiglia indiana Mittal e Marcegaglia (15%), con advisor Jp Morgan) é l’inizio della complessa fase di gestione della chiusura?

L’articolo di Comidad (L’Ilva tra nuvole tossiche e nuvole di astrazione, apparso sul sito www.comidad.org, il 14/6/2018), di seguito riportato, pone delle riflessioni che lasciano intravedere le irrisolvibili problematiche perchè l’Ilva possa continuare a produrre e fanno emergere il conflitto tra i sub-sub-decisori delle varie sfere: militare, politica, economica e ambientale, nella fase di gestione della chiusura dell’Ilva.

 

 

L’ILVA TRA NUVOLE TOSSICHE E NUVOLE DI ASTRAZIONE

di Comidad

 

 

L’ennesimo “governo del cambiamento” si è andato a scontrare con le normali emergenze”. Se il dibattito sull’ILVA di Taranto continua ad assumere gli stessi toni spesso esasperati ed esasperanti, è perché risulta astratto; risente cioè di un’assoluta mancanza di contestualizzazione. Anzitutto bisogna capire quanto ha inciso, e quanto incide tuttora, nella vicenda il fatto che lo stabilimento ILVA confini con strutture militari, tra cui una base NATO. Quale che sia il governo in Italia, la NATO ha fatto capire chiaramente che non intende mollare la presa sul Sud del Mediterraneo.
La presenza dello stabilimento ILVA a Taranto è per “caso” diventata di troppo? Ostacola con la sua presenza l’espansione delle strutture militari?
Circa tre anni fa l’allora Capo di Stato Maggiore della Marina ventilò l’ipotesi di un assorbimento dei lavoratori dell’ILVA nel personale civile della struttura militare dell’Arsenale di Taranto.
Che si tratti di un progetto abbandonato o di un progetto lasciato in sospeso, oppure di una boutade di pubbliche relazioni per far vedere quanto possono essere buoni e utili i militari, ancora non è chiaro.
Un’altra questione non da poco è cercare di stabilire quanto incida la presenza militare nell’inquinamento dell’area. Un’ILVA capro espiatorio? Certo è che nessun perito di tribunale si sentirebbe di rovinarsi l’esistenza chiamando in causa una fonte di inquinamento di origine militare. E poi col segreto militare ci sarebbe poco da fare persino se la magistratura fosse al di sopra di ogni sospetto.
Oltre la vicenda del sito di Taranto, c’è la questione della siderurgia in genere. Può esistere una siderurgia senza le sovvenzioni statali, una siderurgia di “mercato”, oppure rientra nel novero delle fiabe liberiste?
In nome del mercato si delega la produzione della gran parte dell’acciaio alla Cina, dove però i colossi dell’acciaio sono tutti statali e vanno verso una crescente cartellizzazione, sempre all’ombra della mano pubblica.
Non sarebbe molto meno oneroso per la spesa pubblica italiana una siderurgia nazionalizzata piuttosto che foraggiare il rapinatore privato di turno?
In molti settori industriali tenere in piedi la finzione del privato ha un costo esorbitante per il bilancio dello Stato che deve tappare i buchi; ma questi “sprechi” di denaro pubblico possono essere catalogati sia come costi dell’assistenzialismo per ricchi, sia come costi della lotta di classe contro il lavoro.
La fiaba liberista ci narra di governanti spendaccioni che acquistano con la spesa allegra il consenso delle masse. La realtà è l’esatto opposto: lo Stato infatti spende e paga il pedaggio alle multinazionali di turno per poter mantenere i lavoratori dei centri siderurgici sotto la spada di Damocle della perdita del posto di lavoro. La produzione siderurgica comporta infatti la presenza sul territorio di concentrazioni operaie e, per i governi, il problema è di evitare che queste concentrazioni operaie diventino, come in passato, roccaforti e punti di aggregazione dell’opposizione sociale.
Un’altra passeggiata tra le nuvole riguarda le cosiddette “bonifiche ambientali”. Persino nell’ipotesi più ottimistica, cioè che l’inquinamento di Taranto sia esclusivamente di fonte industriale e non militare, ogni bonifica costituisce un’avventura di cui non si possono quantificare costi e tempi. E ciò senza tener conto dei rischi ulteriori che comporta l’andare a smuovere strutture che hanno sedimentato scorie tossiche in stratificazioni storiche. A sentire certi discorsi sembra che il disinquinamento sia come confessarsi e farsi la comunione per ritornare puri come prima. In realtà ogni bonifica è un azzardo e le tecnologie in grado di renderlo meno azzardato non sono del tutto certe e affidabili, anche se, ovviamente, il business ambientale tende a far credere il contrario.
La storia infinita della mancata bonifica del sito di Bagnoli è stata risolta semplicisticamente dalla magistratura nei consueti schemi del caso di corruzione. Ci si propina la solita fiaba moralistica secondo cui sarebbe stato solo l’inquinamento delle anime ad impedire il disinquinamento dell’ambiente.

 

TARANTO, DA POLO SIDERURGICO A POLO STRATEGICO DELLA NATO, DI LUIGI LONGO

Qui sotto un saggio di Luigi Longo sugli interessi geopolitici che in qualche maniera stanno contribuendo a determinare, in maniera determinante, assieme al conflitto intracomunitario sulla ripartizione delle quote di produzione di acciaio, il destino infausto dello stabilimento ILVA di Taranto. Il testo è apparso nel 2013 su www.conflittiestrategie.com, sito con il quale sia lo scrivente che l’autore collaboravano.Giuseppe Germinario

Taranto, da polo siderurgico a polo strategico della NATO

di Luigi Longo

 

 

Quando si giunge ai beni della terra, allora

                                                                       il bene più grande si nomina inganno e pazzia.

                                                                       Quelle passioni alte che ci hanno dato la vita,

                                                                       di pietra si fanno nel caos del mondo.[…]

\                   Johann Wolfgang Goethe*

 

Colui che disse che la vita dell’uomo è una guerra,

                                                           disse almeno tanto gran verità nel senso profano

                                                           quanto nel sacro. Tutti noi combattiamo l’uno

                                                           contro l’altro, e combatteremo fino all’ultimo fiato,

                                                           senza tregua, senza patto, senza quartiere. Ciascuno

                                                           è nemico di ciascuno, e dalla sua parte non ha altri che

                                                           se stesso.[…] Del resto o vinto o vincitore, non bisogna

                                                           stancarsi mai di combattere, e lottare, e insultare e calpestare

                                                           chiunque ci ceda anche per un momento. Il mondo è

                                                           fatto così, e non come ce lo dipingevano a noi poveri

                                                           fanciulli.[…]

.                                                                                                                      Giacomo Leopardi*

 

Essere pessimisti circa le cose del mondo e la vita in

                                                           generale è un pleonasmo, ossia anticipare quello che

                                                           accadrà […]. La situazione politica in Italia è grave ma

                                                           non è seria[…].

Ennio Flaiano*

 

 

1.Il conflitto strategico all’Ilva di Taranto.Nel mio precedente scritto sulla questione dell’Ilva di Taranto ho avanzato l’ipotesi della trasformazione di questo polo siderurgico in polo strategico della NATO (1). Oggi, con il commissariamento dell’Ilva, questa ipotesi diventa più fondata, soprattutto se analizziamo le seguenti fasi: a) il decreto di commissariamento ( nomina di Enrico Bondi a commissario straordinario e di Edo Ronchi a sub commissario per la tutela ambientale ); b) il programma di intervento finalizzato nei fatti alla chimera della bonifica ambientale e della tutela della salute degli operai e della popolazione; c) la configurazione di blocchi di potere economico-portuale ( uso e riuso del porto ), economico-ambientale ( bonifica e risanamento ) e economico-territoriale ( rigenerazione urbana e nuovo ruolo della città ); d) la trasformazione, di fatto, a comando NATO della seconda base navale nel Mar Grande ( ubicata nella zona “Chiapparo”) e la costruzione della terza base navale NATO nel Mar Grande ( localizzata nel molo polisettoriale vicino al Molo Ovest del porto utilizzato dall’Ilva) (2); e) la nuova strategia USA nel mediterraneo ( soprattutto nei paesi del Nord Africa) e nel Medio Oriente (soprattutto in Siria e Iran).

La nuova strategia USA, che fa riferimento a Barak Obama e agli agenti dominanti che lo esprimono, assegna un ruolo importante all’Italia considerata uno spazio geografico asservito con infrastrutture militari strategiche ( armi e sistemi di comunicazioni), ovviamente, per questioni di sicurezza legate all’Europa, al Medio Oriente e all’Africa e già mai per costruire con tutta l’Europa [si veda il costruendo accordo di libero scambio USA-UE ( la NATO economica)] << la testa di ponte americana sul continente euroasiatico >> (Zbigniew Brzezinski) per l’accerchiamento militare della Russia (una potenza ri-emergente), temuta sopratutto per il suo arsenale militare nucleare (3), nella fase multipolare lagrassiana che si sta facendo sempre più vivace e incalzante.

Si può affermare che la nuova strategia USA di ri-orientamento, dopo il tramonto della illusione di essere diventata l’unico centro di ordine mondiale a seguito dell’implosione dell’ex URSS ( 2001-2003, la sconfitta del Nuovo ordine mondiale o del secondo secolo americano), porta a un conflitto per l’egemonia mondiale che può sfociare in un dominio meno unilaterale ( un assestamento della fase multipolare) o in una guerra mondiale ( fase policentrica) come la storia dimostra (4).

Gianfranco La Grassa sostiene che << Si deve partire dalla configurazione che sono andati assumendo i rapporti internazionali nella nostra area, e in quella vicina africana e mediorientale, per meglio valutare che cosa stia accadendo in Italia. Sembra di poter constatare che il mutamento strategico statunitense, precisatosi soprattutto negli ultimi anni, ha ormai bisogno di accelerare date trasformazioni nella subordinazione italiana >> (5); Gianfranco La Grassa ha ragione, soprattutto in considerazione del fatto che << Le strutture statunitensi in Italia permettono una capacita’ di azione unica e sono fondamentali per la nostra possibilità di promuovere la stabilita’ nel Mediterraneo, nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Abbiamo quindicimila uomini nelle sei basi italiane e questi insediamenti presentano alcune delle nostre più avanzate risorse schierate fuori dagli Stati Uniti [ corsivo mio] >> (6).

I segnali della suddetta accelerazione sono: 1) lo «Strategic Dialogue», una revisione complessiva della collaborazione tra Italia e Stati Uniti, che non avveniva da circa due anni, si è tenuta di recente a Roma. L’invito viene da Derek Chollet, Assistant Secretary of Defense for International Security Affairs, ossia il principale consigliere del capo del Pentagono Hagel per le questioni di sicurezza legate all’Europa, al Medio Oriente e all’Africa, che così afferma << Discutere il nostro rapporto strategico e le cose che possiamo fare insieme nel mondo. E’ un appuntamento che arriva in un momento cruciale: il quadro della sicurezza nella regione mediorientale e nordafricana sta cambiando velocemente, e l’Italia è un partner indispensabile per portare cambiamenti positivi ( corsivo mio)…L’Italia è un partner molto stretto su questa vicenda. Ha ospitato almeno un incontro degli Amici della Siria, i segretari Kerry e Panetta sono venuti da voi a parlare in varie occasioni. State dando un contributo importante con l’assistenza umanitaria, lavorando con paesi tipo la Giordania per rafforzare le loro difese, e aiutando a costruire un’opposizione coerente e capace di favorire i cambiamenti che vorremmo vedere in Siria [ corsivo mio] >> (7); 2) la nomina del nuovo ambasciatore USA in Italia, John Phillips e, soprattutto, la presenza della moglie Linda Douglass, ex portavoce della Casa Bianca sulla riforma della Sanità e una delle più quotate strateghe di Barak Obama, i quali aiuteranno il Presidente della Repubblica che garantisce la costituzione italiana fondata sulla sovranità popolare e non sulla servitù volontaria, a mettere ordine tra gli agenti sub-dominati italiani ( i cotonieri di Gianfranco La Grassa) in modo da gestire, senza eccesso di disordine, attraverso le istituzioni, l’asservimento del territorio italiano alla strategia degli agenti dominanti USA, in una fase molto delicata e in continua mutazione, soprattutto, come indica Derek Chollet, nella regione mediorientale e nordafricana (8).

Leggerò i fatti di Taranto secondo lo schema proposto per il conflitto strategico dell’Ilva.

2.Le città NATO. La città di Taranto è diventata una città importante per la strategia USA-NATO. Una città NATO. Gli agenti dominanti USA hanno bisogno della piena disponibilità del porto di Taranto (9), con i suoi Mar Piccolo e Mar Grande, per le loro infrastrutture militari strategiche ( sommergibili nucleari, armi, sistemi di sorveglianza). E’ da un decennio ( il tempo non è da leggere in maniera lineare e deterministico) che stanno lavorando a questa trasformazione che si innerva con quelle trasformazioni messe in atto in altre basi militari USA-NATO ( Napoli, Sigonella, Niscemi, Vicenza) e alla trasformazione del ruolo della NATO (10).

Nel porto di Taranto è localizzata, dalla prima metà degli anni sessanta del secolo scorso, l’Ilva che è evidentemente incompatibile con la strategia della trasformazione delle basi NATO.

Noto una certa analogia, da prendere con cautela e calarla storicamente, con la storia industriale della più grande acciaieria di Napoli, l’Ilva di Bagnoli. Anche qui gli obiettivi erano le esigenze strategiche e territoriali della base NATO della città di Napoli ( quartier generale della NATO, sede di vari comandi di unità di servizi USA, grande centro per le telecomunicazioni del Mediterraneo dell’US Navy che coordina tutta l’attività di comunicazione, comando e controllo del Mediterraneo, eccetera). In quegli anni si svolgevano fatti di importanza mondiale per il nuovo equilibrio che si andava configurando con la caduta del muro di Berlino e con la successiva implosione dell’ex URSS. Si aprivano nuovi scenari per gli USA come possibilità di un unico centro di coordinamento mondiale e un nuovo ruolo della NATO. La chiusura dell’Ilva di Napoli per le esigenze territoriali della base del quartiere generale della NATO non poteva essere detta. Tutto fu velato dietro un fumoso progetto per il risanamento e il rilancio dello sviluppo della città di Napoli che passava attraverso il conflitto tra i settori economici (industriale, edilizio, turistico) : il progetto Fiat-Partecipazioni Statali degli anni ’80, l’idea della NeoNapoli di Paolo Cirino Pomicino, la fase di Tangentopoli, le lotte di blocchi di potere per i finanziamenti della bonifica di Bagnoli, non realizzata ( dal 2003 sono stati presentati ben 6 progetti di bonifica), gli indirizzi per la pianificazione urbanistica ( impianti di eccellenza per il turismo legato al sistema congressuale alberghiero, grande parco pubblico, rete di attività produttive connesse con la ricerca scientifica, eccetera).

L’Ilva di Bagnoli, una impresa in piena salute, fu chiusa e venduta ai cinesi (11).

Un sindaco, Antonio Bassolino, e un urbanista, Vezio De Lucia (i nomi sono l’espressione di gruppi di potere in riferimento agli agenti sub-dominanti), gestirono la fase di velamento culturale e ideologico della grande trasformazione della città di Napoli.

Anche qui occorse un decennio per preparare la trasformazione.

 

3.Il ruolo della magistratura. L’inizio della fine ( che avrà i suoi tempi) dell’Ilva di Taranto è datato dall’azione della magistratura che il 26 luglio 2012 dispone il sequestro preventivo, senza facoltà d’uso, degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva. L’azione è intrapresa per tutelare, con mezzo secolo di ritardo, i sacri principi costituzionali di tutela della salute dei lavoratori, della popolazione e del territorio. E’ logico pensare, considerato che la magistratura agisce sull’intero territorio nazionale, che tutti i poli siderurgici e petrolchimici abbiano lo stesso interessamento, se così non fosse rimarrebbe sempre la domanda in sospeso: perché l’Ilva di Taranto?.

Se dovessimo tutelare i suddetti sacri principi costituzionali (12) dovremmo chiudere qualsiasi impresa di produzione di merce, ma a questo punto non saremmo più nella società capitalistica. E non credo che la magistratura pensasse ad un’altra società. Infatti la sua azione sembra quella di difendere i sacri principi costituzionali elevandoli su un edificio sociale costruito con fondamenta di ingiustizie, di sperequazioni, di privilegi, di inganni, di ruberie, di pazzie e di guerre.

Giorgio Nebbia, che è un noto merceologo, ha scritto di recente che <<… la produzione dell’acciaio, come di qualsiasi altra merce, è accompagnata, inevitabilmente [corsivo mio], da scorie, rifiuti e nocività: la natura non dà niente gratis [ lui essendo un merceologo si ferma alla natura e non pensa ai rapporti sociali che determinano la forma, lo sviluppo della produzione e l’uso della natura, mia critica] >> (13). Ha sostenuto un grande medico e scienziato, Giulio Maccacaro, che << …c’è un solo MAC [Massima Concentrazione Accettabile di una sostanza, mia precisazione] accettabile ed è quello zero…>> (14). Nella società a modo di produzione capitalistico non esiste un processo produttivo a MAC zero.

La magistratura sa che non ci sono le risorse finanziare per risanare e bonificare il territorio, ammesso e non concesso che ciò sia possibile!, e per questo dà la caccia al tesoro finanziario della famiglia Riva la quale metterà in campo, visto il potere che le deriva dal condurre un’impresa di livello mondiale ( il gruppo Riva nel 2011 è il primo nel settore in Italia, quarto in Europa e ventitreesimo nel mondo), tutte le sue relazioni economiche, politiche, finanziarie, istituzionali ( la grande impresa non è solo ciclo economico), per contrastare il sequestro delle sue risorse finanziarie.

La storia economica reale dei poli siderurgici e petrolchimici dimostra che c’è la privatizzazione dei benefici e la socializzazione delle perdite ( umane, ambientali e territoriali).

Le risorse finanziarie che la magistratura intende confiscare alla famiglia Riva, tramite la capogruppo Riva Fire (15), sono pari a 8 miliardi e 100 milioni di euro. La somma stabilita equivale, secondo la magistratura, ad << …un indebito vantaggio economico all’Ilva ai danni della popolazione e dell’ambiente >> e sarebbero destinate agli interventi di risanamento e bonifica territoriale. Dalle risorse finanziarie da confiscare sono esclusi i costi per la bonifica di acqua e suolo ai parchi minerali, oltre al profitto necessario per continuare la produzione. E’ evidente che con queste condizioni l’impresa Ilva non è in grado di pianificare il piano industriale 2013-2018. Ed è evidente che il peso per contrattare a livello europeo, in una fase competitiva sempre più agguerrita [ francesi, tedeschi e turchi stanno già beneficiando della crisi dell’ILVA](16), gli aiuti del piano siderurgico predisposto dalla Commissione Europea sarà pari a zero, per non parlare del ruolo, nella sostanza assente, dello Stato italiano. Ricordo che l’Ilva è stata decapitata del gruppo dirigente strategico e tecnico.

A Napoli fu la sfera economica, intrecciata alla sfera ideologica, la teste di ariete per la base NATO, a Taranto è la sfera della magistratura, innervata alla sfera ideologica, ad essere la testa di ariete della NATO.

 

4.Il ruolo del governo. L’Ilva, è utile ricordarlo, è una impresa di livello mondiale, con il più grande impianto siderurgico d’Europa, che produce acciaio, una merce base dell’economia italiana e mondiale. E’ un’impresa strategica per l’economia italiana. Ha una occupazione diretta di circa 12 mila lavoratori, a cui deve aggiungersi un indotto strettamente collegato sul piano verticale che porta l’occupazione diretta a oltre 15 mila unità. A questo dato devono sommarsi 9.200 unità legate all’indotto, per un totale complessivo di occupazione pari a oltre 24 mila occupati (17).

L’intervento del governo si concentra in tre direzioni: a) l’esproprio di una grande impresa (con la beffa del richiamo agli articoli 32, 41 e 43 della Costituzione, mai vista nella storia dell’industria italiana); b) la bonifica dell’ambiente, la tutela della salute e la salvaguardia del territorio; c) l’applicazione dell’ AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) al processo produttivo dell’Ilva, anticipata e integrata con le migliori tecnologie disponibili da impiegare nel settore della siderurgia a livello europeo per assicurare la protezione dell’ambiente e la protezione della salute così come da decisione della Commissione Europea 2012/135/UE ( la Commissione Europea dà tempo fino 2016 per uniformarsi).

La domanda viene spontanea: perché anticipare di tre anni il recepimento della suddetta decisione della Commissione UE creando uno squilibrio nel mercato della concorrenza tra le imprese del settore siderurgico ( scusate il linguaggio neoclassico)? E il recepimento della suddetta decisione della Commissione Europea nell’AIA non significa non rendere competitiva l’Ilva e avviarla alla chiusura?. E’ questo il modo di difendere un’industria strategica da parte del governo italiano?

Andiamo avanti nel ragionamento.

Tutto questo, ovviamente, avverrà di pari passo con la elaborazione del piano industriale per il rilancio dell’Ilva e del piano ambientale per la tutela del territorio ( città, mare e territorio rurale) e della salute dei lavoratori e della popolazione.

Così ragiona il ministro dello sviluppo economico Flavio Zanonato: << Il costo di un’eventuale chiusura dell’impianto avrebbe conseguenze negative gravi sul piano economico e, comunque, determinerebbe il consolidamento di una situazione che, secondo i magistrati di Taranto, è da considerarsi di disastro ambientale. L’impatto economico negativo è stato valutato attorno ad oltre 8 miliardi di euro annui, imputabili per circa 6 miliardi alla crescita delle importazioni, per 1,2 miliardi al sostegno al reddito ed ai minori introiti per l’amministrazione pubblica e per circa 500 milioni in termini di minore capacità di spesa per il territorio direttamente interessato. In una fase di calo globale del mercato, è evidente che l’eventuale uscita dello stabilimento di Taranto sarebbe guardata con estrema soddisfazione dai maggiori competitor europei e mondiali, che vedrebbero aumentare le proprie prospettive di mercato a tutto danno del sistema produttivo italiano. Anche un’eventuale vendita ad operatori internazionali esporrebbe il nostro Paese al rischio di un forte impoverimento della capacità tecnologica e di innovazione. L’importanza strategica di questo complesso industriale non può, però, far venir meno gli obblighi di tutela ambientale da cui dipende la qualità della vita dei cittadini di Taranto. La crescita economica e la salvaguardia della salute non sono, in particolare in questo caso, due diritti contrapposti e la prima non si può certo perseguire facendo soccombere la seconda [ corsivo mio]. Il Governo, quindi, tende ad adottare tutte le azioni utili a tutelare l’ambiente e la vivibilità della città di Taranto nella consapevolezza che un’interruzione della produzione peggiorerebbe ulteriormente la situazione rendendo impossibile la bonifica dei siti inquinati. La sopravvivenza dello stabilimento è, oggi, dunque, legata alla capacità dell’azienda di mettere in atto gli investimenti necessari a rendere compatibile l’impianto con le norme ambientali e di sicurezza sulla salute dei cittadini  [ corsivo mio]>> (18).

La priorità del governo nella questione Ilva è tutta incentrata sulla questione ambientale, sulla tutela della salute e sul risanamento della città. Basta avere la pazienza di leggere i dibattiti parlamentari, gli atti delle Commissioni Parlamentari (VIII e X), i decreti legge, i disegni di legge di conversione dei decreti, per rendersene conto direttamente. Anche il Vice presidente della Commissione Europea, Antonio Tajani, privilegia l’aspetto ambientale della questione Ilva anche perché nel piano siderurgico dell’Unione Europea, che illustra uno scenario di grande crisi, non c’è spazio per una grande impresa come l’Ilva, tra l’altro impossibilitata ad agire perchè in fase di esproprio temporaneo, e le condizioni di rilancio del settore siderurgico previste nel suddetto piano necessitano di una forte presenza dello Stato che abbia un minimo di strategia di politica economica sovrana e che sappia difendere le sue industrie strategiche e, in una logica di sviluppo economico, sappia ridurre i costi eccessivi dell’energia che <<… pesa fino al 40% sui costi di produzione di un impianto siderurgico, per cui il settore risente fortemente del trend dei costi energetici che, in Europa, sono tra i più alti al mondo >> e rilanciare i due settori di maggior consumo di acciaio (le costruzioni e la produzione di auto) così come fanno la Germania e la Francia (19).

L’Unione Europea sta indagando sull’Ilva di Taranto e vuole sapere dal Governo italiano, dalla regione Puglia e dall’Arpa/Puglia, come si sta combattendo l’inquinamento, come si gestiscono le discariche, i rifiuti e le acque reflue. Chiede inoltre di sapere se sono stati violati il diritto alla vita e il rispetto della vita privata e familiare (articolo 2 e 7 della Carta dei diritti fondamentali della UE) (20).

Il governo italiano sta chiudendo tutte le imprese strategiche appartenenti ai settori innovativi ( inutile fare l’elenco); è in forte crisi anche il tanto lodato e non strategico made in Italy; la Banca d’Italia è preoccupata per la tenuta dell’intero sistema industriale (si vedano gli ultimi bollettini economici della Banca d’Italia). Stiamo in una crisi profonda di portata epocale per la quale l’80% della popolazione non vive bene.

A chi pensate che la UE taglierà la produzione, per ridurre la propria sovraccapacità, che ammonta a 80 milioni e rappresenta oltre 1/3 della produzione complessiva ?

Il governo italiano, mentre chiude le sue imprese strategiche, per assecondare gli agenti strategici americani, con grandi perdite nelle relazioni geopolitiche e geoeconomiche, diventando sempre più un territorio dove << i gabinetti stranieri [sono] a decidere la sorte della nazione >> , decide per decreto (articolo 1 del decreto legge del 3 dicembre 2012 n.207) di trasformare l’Ilva in impresa strategica ed espropriarla per affidarla alla gestione pubblica per il risanamento aziendale e territoriale per poi restituirla ai proprietari. Come se i luoghi pubblici, i luoghi dell’interesse generale, i luoghi delle istituzioni ramificate territorialmente, i luoghi dello Stato, fossero luoghi dove si espleta la politica dell’interesse generale del Paese e non invece, luoghi dove i gruppi strategicamente egemonici ( pre-dominati e sub-dominanti) realizzano i loro indirizzi strategici di dominio (21).

Non solo, ma la difesa ambientale e la salute delle popolazioni, per cui è stata espropriata l’Ilva, è ideologica ( nell’accezione negativa del termine) e strumentale da parte del governo italiano, tant’è che all’articolo 41, comma 1, del decreto legge n.69/2013[ il cosiddetto decreto del fare (sic)], si legge  <<…nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all’eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile…>>. E’ ovvio che l’economicamente sostenibile si riferisce alle imprese. E, allora, i tanto decantati articoli 41 e 43 della Costituzione italiana si applicano soltanto all’Ilva? Se interpreto bene il citato articolo, mi ritorna di nuovo la domanda: perché L’Ilva? E i giuslavoristi, i costituzionalisti, i difensori estremi della Costituzione non hanno niente da dire sulla incostituzionalità del citato comma?

Se fosse vivente il grande storico Carlo Maria Cipolla certamente avrebbe aggiornato il suo magnifico saggio ( Allegro ma non troppo) sulle leggi fondamentali della stupidità umana.

5.Il ruolo dei Commissari. Per realizzare questo grande disegno di rilancio dell’Ilva e di risanamento ambientale e territoriale vengono nominati un Commissario Straordinario, nella persona di Enrico Bondi, già amministratore delegato dell’Ilva nominato dalla famiglia Riva, e un sub Commissario all’ambiente nella persona di Edo Ronchi ( un confusionario della generazione “sessantottopersa” nel distorto benessere capitalistico, che ha scambiato una rivoluzione di costume e di consumo per una rivoluzione sociale nell’accezione marxiana e leniniana, esperto di sviluppo sostenibile, stimato dagli ambientalisti e dai radicali di sinistra, in quota nel PD). Entrambi traghetteranno, in un continuo gioco delle parti, se le cose dette hanno un minimo di sensatezza, l’Ilva alla chiusura. Sono gli esecutori, insieme ai loro gruppi di potere, degli ordini degli agenti strategici sub dominanti italiani alla mercè dei desiderata dei predominanti USA via NATO. A ciò è servito l’applicazione del citato artico 1 del D.L. n.207/2012, altro che interesse pubblico o interesse generale o bene del Paese.

Enrico Bondi, con il suo gruppo di potere di riferimento, medierà con la proprietà una chiusura dignitosa dal punto di vista economico-finanziario magari aiutando l’Ilva a de-localizzare nei Balcani.

Edo Ronchi, con il suo gruppo di potere di riferimento, lavorerà ad un grande piano di risanamento dell’ambiente, della città e del territorio rendendo << … gli stabilimenti Ilva un punto di riferimento in Europa, anticipando di tre anni le migliori tecnologie disponibili (Best Available Technologies, BAT) che saranno applicate in ambito europeo a partire dal 2016. Nella consapevolezza di una situazione di assoluta emergenza, il Governo intende tuttavia giungere alla realizzazione dello stabilimento più avanzato in Europa in termini di compatibilità ambientale…>> (22).

La UE, il governo italiano, la regione Puglia e il comune di Taranto sono i luoghi istituzionali dove saranno gestite le risorse finanziarie ( derogando al Patto di stabilità) per il rilancio di uno sviluppo dell’area tarantina nei settori della bonifica ambientale, del risanamento del territorio, della rigenerazione urbana della città, della smart city, del riuso del porto ( l’Autorità Portuale vede con favore la chiusura dell’Ilva per puntare a un riuso del porto e al superamento dell’attuale crisi sul modello di quello di Rotterdam: fare di Taranto, la Rotterdam del Mediterraneo) (23), eccetera, in stretta collaborazione con le strategie di intervento che integrano la dimensione militare e quella civile della NATO.

I sindacati, i partiti convergeranno, per gestire la fase di passaggio dal polo siderurgico al polo NATO, le loro azioni per difendere il lavoro (intanto ci saranno a luglio i primi 2 mila esuberi per crisi di mercato) (24) e la dignità della popolazione con i meccanismi di difesa sociale, ridotti all’osso, del fu stato sociale.

I lavoratori e le lavoratrici si chiederanno, come Vincenzo Buonocore dell’Ilva di Bagnoli, perché l’Ilva è stata chiusa ?

La popolazione di Taranto continuerà a credere che nella società capitalistica è possibile un modo di produzione rispettoso della salute, dell’ambiente e del territorio e dorme tranquilla perché sa che ha come Presidente della Repubblica un garante intransigente della Costituzione italiana.

La sfera ideologica è già al lavoro.

Non è la marxiana storia che si ripete diventando farsa, ma è la lagrassiana storia che torna in maniera diversa.

 

 

*Le citazioni che ho scelto come epigrafe sono tratte da:

 

  • Johann Wolfang Goethe, Faust, a cura di Franco Fortini, Mondadori, Milano, 1970, pag.53;
  • Giacomo Leopardi, Con pieno spargimento di cuore, L’Orma editore, 2012,pp.43-44;
  • Ennio Flaiano, Diario notturno, Adelphi, Milano, 2012, pp. 114 e 165.

 

 

NOTE

 

1.In Italia esistono ufficialmente 120 basi dichiarate, oltre a 20 basi militari USA totalmente segrete e ad un numero variabile ( al momento sono una sessantina) di insediamenti militari o semplicemente residenziali con la presenza di militari USA. Per quanto riguarda le basi segrete, non si sa ovviamente dove siano, né che armi e che mezzi vi si trovino. Cfr Le basi militari Usa e Nato in Italia in www.neoingegneria.com

2.La prima base navale della Marina Militare Italiana è ubicata nel Mar Piccolo. Il Mar Piccolo è un’area militarizzata se consideriamo la presenza dell’Aeronautica Militare con un deposito sotterraneo di rifornimento più grande del Sud- Italia. Oltre ad infrastrutture e servitù militari. Il Mar Grande è lo specchio d’acqua della parte settentrionale del Golfo di Taranto ( con profondità massima di 36 m), compreso tra il continente e le isole Cheradi; comunica con il Mar Piccolo per mezzo di due canali, che isolano il centro storico di Taranto. Il Mar Piccolo è lo specchio d’acqua delle coste pugliesi ( 20 Km2, perimetro 26,5 Km), che comunica con il Golfo per mezzo di due canali stretti, uno naturale, l’altro artificiale e navigabile; è diviso in due bacini dalla penisola di Punta Penna ed è poco profondo (10 m). Numerose sorgenti subacquee (citri) rendono l’acqua meno salata rispetto al mare aperto, creando condizioni favorevoli per la mitilicoltura.

3.Peter Dale Scott, Droga, petrolio e guerra in www.eurasia-rivista.org , luglio 2013.

4.Per approfondimenti si rimanda a Gianfranco La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, Roma, 2008; Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010; Henry Kissinger, Cina, Mondadori, Milano, 2011.

5.Gianfranco La Grassa, Situazione pericolosa e instabile inwww.conflittiestrategie.it, giugno 2013.

6.Si rimanda al Rapporto del 2009, redatto dall’incaricata d’affari dell’ambasciata USA Elizabeth Dibble per Barak Obama, pubblicato a cura di Giuseppe Germinario in www.conflittiestrategie.it, 2013.

7.Paolo Mastrolilli, L’Italia è decisiva in Siria per costruire l’opposizione, intervista a Derek Chollet, in La Stampa del 22 giugno 2013.

8.Negli USA i diplomatici importanti, come Thomas Pickering ambasciatore in Russia, India, Israele, hanno criticato Barak Obama perché ha affidato le migliori ambasciate agli uomini che hanno abbondantemente finanziato la sua campagna elettorale. Beh, che si aspettavano? Fa parte del gioco della lotta tra agenti dominanti con orientamenti e strategie diverse. Ma il problema non è solo semplicemente utilitaristico, Barak Obama sta mettendo uomini e donne fidati e “capaci” nelle nazioni importanti per la sua strategia. L’Italia è una nazione-territorio importante. Per la cronaca John Phillips e Linda Douglass sono proprietari del borgo Finocchieto vicino a Buonconvento in provincia di Siena (Toscana). Hanno deciso di gestire direttamente il proprio giardino perché non si fidano dei giardinieri italiani. Sta finendo anche il nostro made in Italy di nazione-giardino più bella del mondo!

9.Lo smantellamento, nel breve-medio periodo, della storica impresa dell’Arsenale della Marina Militare Italiana, con perdita di 1.200 posti di lavoro, il trasferimento del 70% dei traffici al porto Pireo (Atene) dei due giganti asiatici del trasporto marittimo, la taiwanese Evergreen Maritime Corporation e la cinese Hutchison Whampoa che controllano al 90% la società terminalistica dello scalo pugliese ( la Taranto Container Terminal), rientra nella logica della piena disponibilità del porto di Taranto alla Nato. Infatti nella strategia Usa-Nato è prevista la messa in comune di spazi e infrastrutture militari e civili localizzati per aree europee per superare le difficoltà connesse a) alle installazioni militari, b) al controllo del territorio, c) alla contribuzione finanziaria dei paesi Nato, d) al coordinamento delle politiche di difesa, e) alla prevenzione dei conflitti, f) al sostegno della ricostruzione post-conflitto delle aree di intervento, g) alle strategie di integrazione della ricostruzione economica e istituzionale, h) alla militarizzazione delle grandi città.

10.Sulla trasformazione del ruolo della Nato mi permetto di rinviare al mio scritto “Tav, corridoio V, Nato e Usa. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico” in www.conflittiestrategie.it, 2012.

11.L’Ilva di Bagnoli contava a partire dal 1973 più di 7698 posti di lavoro. Fu chiusa nel 1991. Si veda il romanzo industriale di Ermanno Rea, La dismissione, Rizzoli, Milano, 2002; per una ricostruzione della mancata bonifica dell’area dell’Ilva si rimanda a Dario Del Porto, Napoli, sequestrata area ex Italsider. La procura: disastro ambientale in www.napoli.repubblica.it, 11 aprile 2013; Redazione, Colpo di genio su Bagnoli: la bonifica è in ritardo? Riduciamo il perimetro! in www.lanottata.it, 2013.

12.Il convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza di Taranto, il 14 giugno 2013, su << Sviluppo economico e tutela dell’ambiente nel rispetto dei diritti contrapposti. Il caso Ilva a Taranto >>, è stato tutto un appiattimento sui principi vuoti della tutela della salute, dell’inquinamento, sui limiti dell’utilità sociale delle imprese, eccetera, principi sanciti dagli artt. 32, 41 e 43 della Costituzione italiana. Cfr L’intervento della giuslavorista Angelica Riccardi, docente di Diritto del lavoro dell’Università degli Studi di Bari in www.peacelink.it, giugno 2013.

  1. Giorgio Nebbia, L’acciaieria non è un salotto in www.ecologiapolitica.org., luglio 2013.

14.Giulio Maccacaro, Per una medicina da rinnovare, scritti 1966-1976, Feltrinelli, Milano, pag. 314; Lorenzo Tomatis, Riflessioni su Giulio Maccacaro e i rischi attribuiti ad agenti chimici in << Epidemiologia & Salute >>, luglio-ottobre 2004.

15.La Riva Fire ( acronimo di Finanziaria Industriale Riva Emilio), che ha sede a Milano, ha come principali società: Riva acciaio SpA, che controlla anche le principali consociate estere, che raggruppa le attività nell’acciaio da forno elettrico (produzione di semiprodotti e prodotti lunghi) e nel recupero del rottame di ferro; Ilva SpA, che produce acciaio da ciclo integrale ( prodotti piani).

16.Commissione Europea, Piano d’azione per una siderurgia europea competitiva e sostenibile in www.europa,eu , giugno 2013; Antonio Tajani, Piano d’azione Acciaio, conferenza stampa, Strasburgo, giugno 2013 in www.europa.eu.

17.I dati occupazionali sono di fonte governativa. Essi si trovano nella introduzione al disegno di legge di conversione del decreto legge n.61/2013, camera dei deputati, atti parlamentari in www.camera.it . Sul sito web della camera è possibile leggere tutto il dibattito parlamentare, il lavoro delle Commissioni, i decreti leggi e l’ultimo disegno di legge approvato alla Camera e mandato al Senato per l’approvazione definitiva ( si suppone).

  1. Intervento del Ministro dello sviluppo economico alla Camera dei deputati del 4 giugno 2013, seduta n.28, in www.camera.it .
  2. 19. Antonio Tajani, Piano d’azione Acciaio, op.cit.

20.Mimmo Mazza, “ Violato diritto alla vita”, l’Europa indaga sull’Ilva in << La Gazzetta del Mezzogiorno >> del 17 luglio 2013.

21.Per un approfondimento si rinvia a Gianfranco La Grassa, L’altra strada. Per uscire dall’impasse teorico, Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2012; Idem, Un pot-pourri, che spero interessi in www.conflittiestrategie.it , maggio 2013; Idem, Quali prospettive ( al momento pessime?) in www.conflittiestrategie.it , luglio 2013.

 

  1. Intervento del Sottosegretario allo sviluppo economico alle Commissioni riunite ( VIII, ambiente, territorio e lavori pubblici e X, attività produttive, commercio e turismo), 11 giugno 2013, in www.camera.it .
  2. 23. Per un’idea della gravità della crisi del Porto di Taranto riporto quanto dichiarato in sede di << Accordo per lo sviluppo dei traffici containerizzati nel porto di Taranto e il superamento dello stato d’emergenza socio-economico ambientale >> presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti << La nuova grande portualità commerciale del Mezzogiorno d’Italia è nata in tempi relativamente recenti fondandosi su due HUB: Gioia Tauro e Taranto. Nell’ultimo quinquennio il Mediterraneo è diventato un mare ad alta competitività a causa di ulteriori offerte di servizi portuali di transshipment, prima inesistenti: da Porto Said a Tangeri, sulla sponda Africana; dal Pireo ad Algesiras, nel Sud Europa. A causa della concorrenza di tali porti, dei ritardi infrastrutturali ed al lungo periodo di crisi internazionale tutt’ora in corso, il porto di Taranto sta vivendo un periodo di forte crisi con conseguenze estremamente negative che potrebbero ulteriormente aggravarsi in assenza di azioni che consentano una rapida realizzazione delle esistenti progettualità. Per questi motivi, gli eventi degli ultimi anni hanno generato aggravi economici agli operatori, oltre al gravissimo danno d’immagine del porto verso il mercato internazionale >>. Il suddetto Accordo è pubblicato sul BURP n.100 del 10 luglio 2012 della regione Puglia ( regione.puglia.it ); Ferruccio Pinotti, Taranto dal porto arriva la speranza in << il Corriere della Sera >> del 30 agosto 2012.

24.Domenico Palmiotti, Ilva Taranto l’alto forno 2 e l’acciaieria 1: 2 mila a casa da luglio in << Il Sole 24 Ore >> del 12 giugno 2013.