IL DESTINO DI TARANTO E’ SEGNATO DALLA SUA STORIA MILITARE E DALLA SUA GEOGRAFIA di Luigi Longo
IL DESTINO DI TARANTO E’ SEGNATO DALLA SUA STORIA MILITARE E DALLA SUA GEOGRAFIA
di Luigi Longo
E Pensare Che C’era Il Pensiero*
Il secolo che sta morendo è un secolo piuttosto avaro nel senso della produzione di pensiero.
Dovunque c’è un grande sfoggio di opinioni piene di svariate affermazioni che ci fanno bene e siam contenti.
Un mare di parole un mare di parole ma parlan più che altro i deficienti.
Il secolo che sta morendo diventa sempre più allarmante a causa della gran pigrizia della mente.
E l’uomo che non ha più il gusto del mistero che non ha passione per il vero che non è cosciente del suo stato.
Un mare di parole un mare di parole è come un animale ben pasciuto.
E pensare che c’era il pensiero che riempiva anche nostro malgrado le teste un po’ vuote.
Ora inerti e assopiti aspettiamo un qualsiasi futuro con quel tenero e vago sapore di cose oramai perdute.
Va’ pensiero sull’ali dorate va’ pensiero sull’ali dorate.
Nel secolo che sta morendo s’inventano demagogie e questa confusione è il mondo delle idee.
A questo punto si può anche immaginare che potrebbe dire o reinventare un Cartesio nuovo e un po’ ribelle.
Un mare di parole un mare di parole io penso dunque sono un imbecille.
Il secolo che sta morendo appare a chi non guarda bene il secolo del gran trionfo dell’azione.
Nel senso di una situazione molto urgente dove non succede proprio niente dove si rimanda ogni problema.
Un mare di parole un mare di parole e anch’io sono più stupido di prima.
E pensare che c’era il pensiero era un po’ che sembrava malato ma ormai sta morendo.
In un tempo che tutto rovescia si parte da zero.
E si senton le note dolenti di un coro che sta cantando.
(sull’aria di va pensiero)
Vieni azione coi piedi di piombo Vieni azione coi piedi di piombo.
Giorgio Gaber
1.Un breve racconto di storia militare e geografica della città di Taranto
Il destino della città di Taranto è segnato dalla storia militare e dalla geografia che la rende un luogo strategico nel Mediterraneo e nell’Oriente. Per l’importanza geografica e militare di Taranto riporto una ampia sintesi tratta dal bel libro del 1930 dello storico Giuseppe Carlo Speziale << Alcune condizioni geografiche particolarmente felici hanno fatto sì che il golfo di Taranto sia sempre stato considerato come un nodo di traffici marittimi, sin dalla più remota antichità; e, per meglio specificare, i due bacini interni, il mar Grande ed il mar Piccolo, vasti e completamente chiusi come due laghi, sono sempre stati ancoraggi militari di prim’ordine e, in caso di conflitti o di attività nel Mediterraneo orientale, vere risorse anche per le armate più numerose. Quello di Taranto, infatti, è porto di concentramento e di imbarco per truppe e di preparazione alla guerra per le navi, porto di sorveglianza in posizioni strategica vantaggiosa, in quanto prossimo all’Oriente e posto in mezzo ai due bacini dell’Adriatico e dell’Egeo, che sono stati di tutto il Mediterraneo i mari più ricchi di storia e di eventi >>.
Taranto servì da nodo per i romani per la loro espansione; fu distrutta dagli Arabi di Sicilia per privare i Bizantini di uno dei porti migliori del loro dominio; << […] al tempo delle Crociate esso (il porto, mia specificazione) servì per concentramenti di navi e per l’imbarco delle milizie; ed in seguito, col determinarsi di nuovi antagonismi nell’Egeo e nell’Adriatico, ne ambirono il possesso sia i Turchi sia i Veneti appunto per questa sua posizione dominate […]; Federico II […] colla sua acutezza ed il suo senno politico, aveva già incluso in un suo vasto disegno militare una simile città e, in tempi di crociate e di guerre in Oriente, aveva già fatti i suoi calcoli e previsti i vantaggi che poteva trarre da quell’osservatorio sul Mediterraneo, da quel porto per il Levante, da quel “baluardo del regno” […] >>; Napoleone trasformò Taranto in una << piazzaforte d’appoggio della sua politica orientale […] In tale epico periodo una simile piazzaforte poté contemporaneamente servire a diversissimi scopi, che andavano dalla sorveglianza sui Balcani, alla minaccia di uno sbarco in Dalmazia per tenere a bada l’Austria, dal frazionamento delle forze navali inglesi alla creazione d’un centro d’informazione per il Levante e l’Adriatico, dalla preparazione di spedizioni navali a tutti i vantaggi marittimi sempre offerti da sì provveduto ancoraggio >>.
Nel primo decennio del Novecento Taranto fu sede del terzo dipartimento militare marittimo, così come Napoli fu sede del secondo Dipartimento (come vedremo in seguito le città di Napoli e Taranto diventano basi strategiche degli USA). << Le grandi manovre navali del 1907 furono come una specie di prova generale per gli impianti militari di Taranto, che quattro anni dopo venivano improvvisamente messe in febbrile travaglio dalla guerra di Libia. Nella prima impresa mediterranea della giovane Nazione, Taranto ebbe un’importanza, oltre il previsto ed il prevedibile, come luogo di appoggio per le forze marittime […] uno sguardo alla carta geografica […] fa subito rilevare come sia felice la posizione di Taranto per ogni attività navale da esplicare nel Mediterraneo centrale ed orientale […] Se alle considerazioni […] si aggiungono quella della difesa aerea […] Questa coesistenza nello stesso porto militare degli impianti dell’arsenale, della base navale e della base aerea ha una importanza infine che va anche al di là, e molto al di là, delle necessità e delle questioni del momento […] I destini di Taranto paiono quindi, ora più che mai, vincolati alle ragioni militari, e questa è e rimane la linea saliente della tradizione storica della città […] Federico II e Napoleone rimangono quindi i due profeti dei destini militari di Taranto: il tempo e le varie vicende han dato ampiamente ragione a quelle previsioni. (corsivo mio) >> (1).
Le suddette infrastrutture e basi furono utilizzate nella guerra di occupazione della Libia e nelle due guerre mondiali (2).
La città di Taranto, dall’antichità ad oggi, nelle fasi multicentriche e policentriche storicamente determinate, è stata condizionata dalle strategie militari delle potenze dominanti e in ascesa, in conflitto fra loro.
Oggi, nella fase multicentrica, la città di Taranto torna ad essere una base militare importante, una città Nato per gli USA (potenza dominante), per le sue strategie contro la Cina e la Russia (potenze in ascesa).
Nelle diverse fasi storiche Taranto ha usufruito di una posizione di rendita geografica (assoluta e differenziata) in quelle monocentriche (fasi di sviluppo pacifiche coordinate dalla potenza egemone) e di una posizione di sventura geografica in quelle multicentriche e policentriche (fasi di sviluppo conflittuale coordinate dalle strategie militari e dalle guerre).
2.La Nato a Taranto
Ho utilizzato i saperi della storia e della geopolitica per capire perché l’Ilva di Taranto dovrà essere chiusa per far posto alla base USA (via Nato) per le sue strategie di guerra nel Mediterraneo, nei Balcani, nel Vicino Oriente, nel Medio Oriente e nell’estremo Oriente.
Il V° Centro siderurgico di Taranto è stato costruito nei primi anni sessanta del secolo scorso, nella fase monocentrica coordinata dagli USA che non erano preoccupati dalla potenza dell’ex URSS perché era un gigante militare-nucleare con i piedi di argilla (3). Con la caduta del muro di Berlino (1989), con l’implosione dell’ex URSS (1991), dopo un decennio di apparente indiscusso dominio mondiale da parte degli Stati Uniti (tant’è che si parlò di fine della storia e di una prospettiva di pace mondiale), le relazioni mondiali cambiano e con l’ascesa di due potenze quali la Cina e la Russia, entriamo nella fase multicentrica. E’ in questa fase che gli USA costruiscono la base NATO di Napoli chiudendo l’Ilva di Bagnoli per le loro strategie di contrasto delle potenze in ascesa e approntano la base NATO di Taranto con la prevedibile chiusura dell’Ilva (4).
<< A Taranto ha sede il quartiere generale della High Readiness Force (Maritime), una forza marittima di rapido spiegamento che, al momento dell’impiego, sarebbe come le altre inserite nella catena di comando del Pentagono. L’importanza del porto di Taranto per la marina Usa trova conferma nel fatto che una società statunitense, la Westland Security, intende acquistare una parte dell’area portuale da destinare, oltre che a non precisate attività commerciali, a servizi per la Sesta Flotta Usa nel Mediterraneo, composta da 40 navi, 175 aerei e 21 mila uomini. Sempre a Taranto, c’è un importante nodo dei sistemi di comando, controllo, comunicazioni, computer e intelligence (C4I) del Centro della marina Usa per la “interoperabilità dei sistemi tattici”: in altre parole, un centro di comando e di spionaggio del Pentagono. La conferma si trova in un documento ufficiale dello stesso Pentagono, in cui si parla di un contratto da 9,8 milioni di dollari stipulato nel 1998 dal Dipartimento Usa della Difesa con la Logicon Inc. di Arlington per la messa a punto dei nodi della rete di comando e di spionaggio, tra cui-unico in Europa e nel Mediterraneo-quello di Taranto. Tutte queste forze e basi statunitensi, pur essendo in territorio italiano, sono inserite nella catena di comando del Pentagono e quindi sottratte a qualsiasi meccanismo decisionale italiano (corsivo mio) >> (5).
A partire dall’importanza del suo porto per la Marina statunitense Taranto, in maniera segreta e con libidine di servitù, sta diventando un polo Nato (6) e i suoi servili decisori attuali e futuri gestiranno, con il “Cantiere Taranto”, che è una riproposizione del Contratto Istituzionale di Sviluppo per questa area (CIS), la chiusura dell’Ilva e metteranno a completa disposizione il Mar Grande (nuova base navale) e il Mar Piccolo (Arsenale) per le strategie NATO (7).
Da qui bisogna partire per capire la trasformazione di Taranto da polo siderurgico a polo strategico della NATO, cioè degli USA.
3.La fine dell’Ilva di Taranto
Il soggetto che si è fatto carico dell’esplosione delle contraddizioni dell’Ilva, nel rapporto capitale-salute e capitale-ambiente, è stato la magistratura, nel 2012, per questioni legittime ma vecchie di 50 anni [la salute e la sicurezza dei lavoratori/trici sul luogo di lavoro e l’inquinamento territoriale (suolo, aria, mare) con conseguenze devastanti sulla popolazione]; contraddizioni, inoltre, che sono intrinseche alle dinamiche del modo di produzione capitalistico che non ha come obiettivo né la tutela della salute dei lavoratori/trici e della popolazione né il rispetto delle leggi della natura con i suoi cicli (8).
La magistratura non spiega perché arriva con 50 anni di ritardo ad affrontare le suddette questioni, né perché non ha messo sotto inchiesta tutti i poli siderurgici e chimici italiani.
E’ mia convinzione che l’azione della magistratura, che è parte integrante dei ceti decisori (altro che la teoria della separazione dei poteri, che la realtà smentisce…), è stata la testa di ariete che ha fatto saltare le contraddizioni del modo di produzione dell’Ilva (coinvolgendo anche il rapporto capitale-lavoro) affinchè si mettesse in moto una precisa strategia: quella della gestione della chiusura della più grossa impresa siderurgica europea perché incompatibile con le esigenze territoriali e strategiche degli agenti dominanti statunitensi attraverso i loro strumenti di intervento (Pentagono e Nato). Faccio osservare che l’impresa Ilva dei Riva era sulla strada della dismissione per mancanza di a) manutenzione ordinaria, straordinaria e di investimenti; b) rispetto di qualsiasi norma e legge; c) strategia per migliorare qualsiasi aspetto della produzione (l’introduzione di nuove tecnologie era impossibile su vecchi e usurati macchinari!), della salute, dell’ambiente, della città (9). La gestione dell’impresa Ilva, in un rapporto sociale storicamente determinato, è stata attuata con modalità da plusvalore assoluto e non da plusvalore relativo (10), senza pensare minimamente ad una strategia di ricaduta e di innervamento con lo sviluppo locale del territorio a diverse scale (locale, regionale, nazionale e mondiale). I Riva, ottimi cotonieri lagrassiani, hanno raschiato il fondo di tutte le risorse possibili nella produzione dell’acciaio. (11).
Perché i Riva hanno potuto muoversi ed operare in queste condizioni? E la mitica classe operaia che ruolo ha avuto insieme ai sindacati? (12) E le istituzioni che ruolo hanno svolto per fare rispettare le norme e i principi costituzionali? E la destra e la sinistra (oggi fa ridere la volontà di questa distinzione ideologica) quale ruolo hanno esercitato? In sintesi: il blocco di potere che si è formato intorno all’impresa Ilva dei Riva sapeva benissimo in quale condizioni essa operava e dove conduceva la strategia dei cotonieri. Perché nulla è stato fatto né in termini di salute dei lavoratori/trici e della popolazione, né in termini di difesa ambientale e delle risorse esistenti, né in termini di impresa aperta al territorio e al suo sviluppo?
- La gestione della chiusura dell’Ilva di Taranto
Anche se la strategia di gestione della chiusura dell’Ilva ha come scena principale la sfera economica (oltre a quelle istituzionale, giuridica e ideologica), attraverso il libero mercato (sic) e il ruolo di una grande impresa multinazionale (12 bis), le vere ragioni della chiusura dell’Ilva vanno ricercate nella sfera politica dei pre-dominanti statunitensi i quali hanno bisogno, nel conflitto per l’egemonia mondiale, di quello spazio geograficamente e militarmente strategico (le basi nato).
Il ruolo di ArcelorMittal. ArcelorMittal (ora in avanti AM), il principale produttore mondiale di acciaio che << dallo scoppio della crisi (2007-2012, mia precisazione) ha avviato un processo di ridimensionamento della propria presenza nel vecchio continente >> (13), ha due obiettivi da raggiungere: a) liquidare, incorporandola, una delle più grandi imprese siderurgiche europee, b) compiere una rottura, un salto decisivo verso la chiusura con i conseguenti licenziamenti degli operai. << Oggi compie un anno la gestione targata AM del complesso aziendale ex Ilva […] Le ipotesi di rilancio dell’acciaieria di Taranto […] hanno ormai lasciato spazio ai piani di ridimensionamento […] lo stabilimento siderurgico annaspa, fermo a poco più di 4 milioni di tonnellate di acciaio liquido prodotto nel 2019, con 1400 degli 8200 dipendenti in cassa integrazione (i dipendenti erano 10500 con i commissari, 12000 con la famiglia Riva, fino a 25000 con la gestione statale) […] >> (14). Federico Pirro (docente di storia dell’industria dell’Università di Bari) così chiarisce << […] se nella prossima trattativa fra gli esperti nominati dal governo e quelli di Arcelor non verrà ribadito con chiarezza dai rappresentanti italiani che il sito di Taranto non può scendere ad una capacità di 4 o 4,5 milioni di tonnellate all’anno, pena un drastico ridimensionamento del tutto antieconomico per un impianto di quelle dimensioni che è ancora la più grande acciaieria a ciclo integrale d’Europa e la maggiore fabbrica manifatturiera d’Italia con i suoi 8277 addetti diretti. […] Il gruppo franco-indiano, dopo aver ceduto alcuni suoi impianti in Europa a causa delle prescrizioni di Bruxelles per poter acquistare il gruppo Ilva, al momento gestito in locazione finalizzata all’acquisto, sta riorganizzando le produzioni nei suoi stabilimenti di Dunkerque e di Fos-sur-Mer vicino Marsiglia, portandole- con il consenso del governo francese- da 4 a 6 milioni di tonnellate ciascuno e, pertanto, potrebbe non aver interesse a conservare un’elevata capacità a Taranto, perché i 12 milioni di tonnellate dei due siti francesi e gli eventuali 4 del capoluogo ionico sarebbe sufficienti a conservare il suo mercato continentale. Si punterebbe così ad una mini Ilva. Secondo la sua strategia tale disegno sarebbe comprensibile, ma non sarebbe condivisibile per l’Italia che deve conservare adeguata capacità nel ciclo integrale. […] Pesantissimi, non solo per l’attuale manodopera diretta che con 4 o 4,5 milioni di tonnellate sarebbe dimezzata- senza alcuna speranza inoltre di poter un giorno recuperare in fabbrica gli attuali 1700 cassaintegrati in carico all’Amministrazione straordinaria-ma anche per gli addetti diretti di Genova e Novi Ligure, e per alcune migliaia di occupati dell’indotto manifatturiero delle altre città, ma soprattutto di Taranto e non solo di quello industriale. […] Le movimentazioni del porto cittadino che potrebbe anche perdere entro qualche anno, se non recuperasse traffici, la classificazione di porto core con la scomparsa della sua Autorità di sistema portuale […] ma anche il settore dell’autotrasporto su gomma e su ferrovia, tutto l’indotto di secondo e terzo livello, dalle pulizie industriali alle mense aziendali, senza considerare l0impoverimento complessivo di territori provinciali e regionali in cui viene speso il reddito di operai e tecnici dell’Ilva. Insomma, una catastrofe. >> (15). Rita Querzè ci informa che << L’uscita di ArcelorMittal dall’Ilva e dall’Italia è più vicina. La Corte suprema indiana ha dato il via libera ad AM per l’acquisizione del gruppo siderurgico indiano Essar Steel. Valore, tra acquisizione e investimenti: 6,15 miliardi di euro. Mittal non dovrà pagare tutto di tasca propria visto che l’operazione è condotta in joint venture con i giapponesi di Nippon Steel. Ma si tratta comunque di un impegno finanziario non distante da quello preventivato per acquisire l’ex Ilva (4,2 miliardi). L’investimento che doveva convergere su Taranto viene dirottato verso l’India. Secondo i siti specializzati, Essar Steel impiega meno della metà dei dipendenti dell’ex Ilva: 3.800 contro 10.700. Ma la capacità produttiva di Essar sarebbe superiore: 10 milioni di tonnellate di acciaio l’anno solo nello stabilimento di Hazira contro i 4 milioni di tonnellate di acciaio di Taranto (che dovevano diventare però 8 milioni a regime). Ad Hazira un manager a inizio carriera guadagna l’equivalente di 5.500 euro l’anno. Grazie a questo «colpo» AM entrerà nel mercato domestico: finora i Mittal non avevano investito a casa propria, il secondo mercato mondiale dell’acciaio. Questa operazione, con il nuovo posizionamento di Arcelor Mittal in India come fatto strategico, penalizza Taranto dal punto di vista dell’impegno delle risorse. >> (16).
E’ possibile, chiedo, che una multinazionale del livello di AM, che avrà sicuramente degli ottimi strateghi geoeconomici e geopolitici al suo interno, abbia partecipato al bando di gara non conoscendo la situazione di Taranto e, soprattutto, non conoscendo gli interessi militari degli Stati Uniti per il golfo di Taranto? E gli strateghi di AM saranno sicuramente informati che i due giganti asiatici del trasporto marittimo, la taiwanese Evergreen Maritime Corporation e la cinese Hutchison Whampoa, che controllavano al 90% la società terminalistica dello scalo pugliese (la Taranto Container Terminal), e movimentavano il 70% dei traffici, con dietro una potenza mondiale come la Cina, hanno dovuto abbandonare il porto di Taranto e trasferirsi nel porto del Pireo di Atene?
Una grande multinazionale come AM non può entrare in contraddizione dicendo, dopo un anno, che non può mantenere gli impegni presi per quanto stabilito nel bando di gara e nel contratto di acquisto dell’Ilva e nello stesso tempo investire in Francia e in India (la contraddizione va vista nell’insieme delle attività mondiali e tenendo presente i due Stati di appartenenza di AM con le loro strategie politiche nazionali). Né può addurre giustificazione di crisi dell’acciaio perché proprio in virtù di essa ha avviato un processo di ridimensionamento della propria presenza nel vecchio continente. Né può trincerarsi dietro la mancanza dello scudo penale perché è una pantomima politica in quanto tutti sanno che chiunque interviene sull’Ilva di Taranto, sia pubblico sia privato, ha bisogno dello scudo penale (17).
Il ruolo dei ceti decisori. La macchina della chiusura dell’Ilva (che avrà i suoi tempi) è già in movimento. Riporto quanto scritto nel 2013 perché nella sostanza ha ancora la sua validità, con l’aggiunta: a) il ruolo di AM, b) i nuovi formali strumenti di sviluppo del territorio (il “Cantiere di Taranto” e il CIS), c) una fantomatica svolta green degli impianti, d) un processo di decarbonizzazione che presuppone un radicale processo di trasformazione degli impianti oltre ad una chiara strategia di investimenti (forni elettrici…) considerando i tempi, le verifiche, l’occupazione (18), e) la farsa di una impresa di interesse strategico per il Paese << La UE, il governo italiano, la regione Puglia e il comune di Taranto sono i luoghi istituzionali dove saranno gestite le risorse finanziarie ( derogando al Patto di stabilità) per il rilancio di uno sviluppo dell’area tarantina nei settori della bonifica ambientale, del risanamento del territorio, della rigenerazione urbana della città, della smart city, del riuso del porto ( l’Autorità Portuale vede con favore la chiusura dell’Ilva per puntare a un riuso del porto e al superamento dell’attuale crisi sul modello di quello di Rotterdam: fare di Taranto, la Rotterdam del Mediterraneo), eccetera, in stretta collaborazione con le strategie di intervento che integrano la dimensione militare e quella civile della NATO. >>.
La solitudine degli operai, prima e la loro reazione di indifferenza e apatia poi, alla chiusura nei fatti dell’Ilva sono indici paradigmatici del degrado politico, sociale e culturale di Taranto, dell’Italia e dell’Europa. Per dirla con Costanzo Preve siamo in piena << […] libidine di servilismo della cultura europea contemporanea verso l’unico modello dominante americanocentrico >> (19).
E pensare che c’era il pensiero.
- L’ideologia dell’interesse nazionale
L’Ilva è uno stabilimento di interesse strategico nazionale (articolo 1 del decreto legge del 3 dicembre 2012 n.207 e sua conversione in legge n.231 del 2012). Ciò ha permesso, in una prima fase, di espropriarla per affidarla alla gestione pubblica (20) per il risanamento aziendale e territoriale per poi restituirla ai proprietari. Successivamente c’è una diversa gestione: pubblicazione di un bando di gara e assegnazione con un contratto di acquisto (non è il caso di approfondire in questa sede la costruzione del bando e del contratto di affitto con obbligo di acquisto anche se è facile intuire l’impostazione). Sarà il libero mercato con meccanismi democratici e trasparenti ad aggiudicare l’Ilva: il metodo della menzogna sistematica!
Perché non gestire il risanamento aziendale con i sub-decisori italiani invece di affidarla ad una multinazionale franco-indiana? Cioè mettiamo una impresa strategica nazionale in mano a una multinazionale straniera: è il trionfo della legge fondamentale della stupidità umana, dello storico Carlo Maria Cipolla (21). Una nazione seria non consegna una impresa strategica ad una multinazionale come AM che ha dietro due stati come la Francia e l’India. Chiedo: in questa fase di crisi da sovrapproduzione dell’acciaio e di processi di ristrutturazione, chi penalizzerà l’AM? La risposta è: l’Italia! Così come già sta accadendo con gli investimenti surriportati in Francia e in India.
Una impresa strategica nazionale non si consegna alla prima multinazionale mondiale dell’acciaio a meno che i sub-decisori italiani non abbiano affidato la liquidazione dell’Ilva, su comando dei pre-dominanti statunitensi i quali non fidandosi hanno optato per AM sapendo che dietro c’erano sub-dominanti servili, sì, ma affidabili e capaci di portare a termine la chiusura dell’Ilva (oltre ai giochi geoeconomici e geopolitici tra Usa, Francia e India).
In questa logica parlare di industria strategica di interesse nazionale diventa una farsa nazionale (22).
La magistratura con il gioco dello scudo penale (l’Ilva non può essere gestita senza lo scudo penale e questo lo sanno tutti! Anche i magistrati che discutono di grande dottrina giuridica per la incostituzionalità dello scudo penale utilizzato ad hoc) e con il gioco dell’interesse nazionale (tutelando una impresa strategica nazionale dopo averla data alla multinazionale AM?) entra nella vicenda Ilva per creare complessità strumentale al fine di perseguire l’obiettivo della chiusura.
Ancora una volta il ruolo della magistratura è funzionale alle strategie dei pre-dominanti statunitensi e ci vuole una bella faccia tosta a parlare della separazione dei poteri, una architettura giuridica-istituzionale creata per confondere il reale corso della dura realtà conflittuale.
Chiedo, ammesso e non concesso che ci siano le condizioni (23): quale impresa italiana (e sottolineo italiana perché deve essere espressione di una strategia di difesa degli interessi nazionali così come fanno tutte le nazioni non servili) investirebbe in questa complessità rischiosa e pericolosa? Rischiosa per le condizioni storiche oggettive del modo di produzione dell’Ilva dei cotonieri italiani (dal 1960 ad oggi) e pericolosa perché, come ci ricorda Gianfranco La Grassa, gli Stati Uniti d’America << […] sono ormai un grave pericolo e ostacolo […] per il mantenimento dell’autonomia di ogni singola area, di ogni singolo paese; difendiamoci dalla voracità statunitense. Del resto, anche dal punto di vista interno ad ogni paese, i gruppi dominanti più oppressivi, più parassitari e sanguisughe rispetto alla maggioranza della popolazione (non del “popolo”, questa maschera di tutti i traditori), sono quelli che si pongono alle dipendenze degli Usa; da essi sono quindi aiutati a mantenere la loro preminenza interna (corsivo mio) >> (24).
Se, come ho già sostenuto, rimaniamo nella logica capitale-lavoro, capitale-salute, capitale-ambiente, non capiremo perché l’Ilva di Taranto chiuderà. Se invece ci mettiamo nella logica del conflitto strategico (supportato dai saperi della storia, della geopolitica) allora capiremo che l’Ilva di Taranto chiuderà perché è incompatibile con le strategie USA (via Nato) delle fasi multicentrica e policentrica.
Il secolo che sta morendo è un secolo piuttosto avaro nel senso della produzione di pensiero. Dovunque c’è un grande sfoggio di opinioni piene di svariate affermazioni che ci fanno bene e siam contenti. Un mare di parole un mare di parole ma parlan più che altro i deficienti.
La citazione che ho scelto come epigrafe è tratta da:
Giorgio Gaber, E pensare che c’era il pensiero dall’album E pensare che c’era il pensiero, CD, 1995/1996.
NOTE
1.Giuseppe Carlo Speziale, Storia militare di Taranto. Negli ultimi cinque secoli, Giuseppe Laterza & Figli, Bari, 1930, pp. 14-15-16-246-258.
- Sul ruolo di Taranto nella guerra in Libia e nelle due guerre mondiali si rimanda a Giuseppe Carlo Speziale, Storia militare di Taranto, op. cit., pp.206-259; Mario Gismondi, Taranto: La notte più lunga. Foggia: la tragica estate, Dedalo, Bari, 1968; Giuliano Lapesa, Taranto dall’Unità al 1940: industrializzazione, quadri ambientali e demografici, politiche urbane, Tesi di Dottorato Università degli Studi di Napoli Federico II, www.fedoa.unina.it/3291/1/Lapesa_Giuliano_TesiDottorato.pdf; Roberto Nistri, Taranto nella grande guerra, www.taranto.anpi.it/2014/11/taranto-nella-grande-guerra/. Sulla relazione tra Arsenale e sviluppo economico, sociale, politico e strutturale della città si veda Rosa Alba Petrelli, L’Arsenale Marittimo Militare di Taranto. Un’indagine archeologico-industriale, Crace editore, Roma, 2005; Antonio Verardi, Quando la grande guerra arrivò a Taranto, www.pugliain.net, 17/1/2016.
3.Luigi Longo, Gli Stati Uniti e lo spettro della Russia, www.italiaeilmondo.com, maggio 2017.
4.Luigi Longo, Taranto, da polo siderurgico a polo strategico della NATO, www.conflittiestrategie.it, 20/7/2013 e www.italiaeilmondo.com, 20/5/2018.
5.Manlio Dinucci, Geopolitica di una “guerra globale” in AaVv, Escalation. Anatomia di una guerra infinita, Derive Approdi, Roma, 2005, pp.82-83.
- Sulla segretezza degli interventi NATO si rinvia al Dossier di Peacelink “Nato a Taranto”, www.peacelink.it; Interrogazione parlamentare al Ministro della Difesa presentata da Deiana Elettra in data 22/4/2004, htpp://dati.camera.it/ocd/aic.rdf/aic4_09815_14.
- Sugli interventi e gli obiettivi contenuti nel CIS dell’area di Taranto si veda www.cistaranto.coesionemezzogiorno.it; sul ruolo e sul rilancio dell’Arsenale Militare di Taranto nelle strategie Nato si legga Maristella Massari, Taranto, è l’Arsenale il perno del rilancio in La Gazzetta del Mezzogiorno del 14/11/2019; Redazione AnalisiDifesa, Dimostrazione in mare per il progetto di ricerca militare OCEAN2020, www.analisidifesa.it, 20/11/2019; Redazione AnalisiDifesa, La portaerei Cavour esce dal bacino di carenaggio di Taranto, www.analisidifesa, 27/11/2019.
- Luigi Longo, L’Ilva di Taranto, www.conflittiestrategie.it, 7/8/2012.
- Per una analisi economica si rimanda a Riccardo Colombo e Vincenzo Comito, L’Ilva di Taranto e cosa farne. L’ambiente, la salute, il lavoro, Edizioni dell’asino, Roma, 2013; Emiliano Brancaccio e Salvatore Romeo, Piatto d’Acciaio, Limes n.3/2014; Salvatore Romeo, L’acciaio in fumo. L’Ilva di Taranto dal 1945 a oggi, Donzelli editore, Roma, 2019; Federico Pirro, Fare squadra per ripartire da un futuro d’acciaio in La Gazzetta del Mezzogiorno del 22/6/2019.
- Per capire la differenza di produzione in condizioni di plusvalore assoluto e plusvalore relativo si rimanda a Karl Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975, Libro primo, pp.621-648; Karl Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975, Libro primo, Appendici: Per la critica dell’economia politica. Capitolo VI inedito e altri scritti, pp.1185-1260.
- Per le funzioni dei cotonieri Riva e del loro blocco di potere si veda, sia pure in una logica di diritti sociali insufficiente a capire le cause profonde della crisi dell’Ilva, Loris Campetti, Ilva connection. Inchiesta sulla ragnatela di corruzioni, omissioni, colpevoli negligenze, sui Riva e le istituzioni, Manni editore, Lecce, 2013.
- Non mi stancherò di dare merito a Costanzo Preve e a Gianfranco La Grassa di aver svelato la non intermodalità della classe operaia. Oggi, si può dire, a partire dallo spettro del comunismo che si aggira per l’Europa del Manifesto del partito comunista del 1847-1848 di Karl Marx e Friedrich Engels. << Per indicare la nostra tesi che la classe operaia, proletariato, partiti comunisti, non sono realmente in grado di costruire una società basata su un modo di produzione diverso da quello capitalistico, parliamo di “non-intermodalità della classe operaia, del proletariato, dei partiti comunisti” >> in Costanzo Preve, Gesù tra i dottori. Esperienza religiosa e pensiero filosofico nella costituzione del legame sociale capitalistico, editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2019, pag. 104.
12.bis. Le imprese multinazionali hanno sempre dietro di sé le Nazioni. Senza il loro potere, che si esercita attraverso lo stato, le imprese multinazionali non avrebbero la forza di penetrare coi i loro investimenti le economie degli altri Paesi, di allargare i loro mercati, di allargare le aree di influenza, eccetera. Esse sono strumenti degli agenti strategici egemoni dei Paesi di appartenenza finalizzati all’accrescimento della propria potenza attraverso il conflitto strategico. A mò di esempio ricordo il ruolo delle multinazionali a servizio della politica imperiale USA nell’Iran degli anni ’50 durante la fase di consolidamento dell’egemonia statunitense nel Medio Oriente: esempio di politica pianificata centralmente altro che mercato e democrazia. Per questo si veda Peter Frankopan, Le vie della seta. Una nuova storia del mondo, Monadadori, Milano, 2017, pp.478-498.
- Emiliano Brancaccio e Salvatore Romeo, Piatto d’Acciaio, op. cit., pag.235; si veda anche Matteo Meneghello, ArcelorMittal, ecco cosa fa, e dove opera nel mondo, www.ilsole24ore.com, 8/11/2019; Giandomenico Serrao, Bilancio rosso per ArcelorMittal, che taglia la produzione in Europa, www.agi.it, 7/11/2019.
14.Mimmo Mazza, Taranto, un anno di Mittal: siderurgico in affanno, nuovi vertici taglia-personale, www.lagazzettadelmezzogiorno.it, 1/11/2019.
- Federico Pirro, L’Ilva non diventi un centro di servizi, intervista a cura di R. R., in La Gazzetta del mezzogiorno del 2/12/2019.
- Rita Querzè, ArcelorMittal investe 6 miliardi in India. L’addio all’ex Ilva più vicino, www.corriere.it, 16/11/2019; Federico Pirro, Una cordata italiana, un’orgogliosa risposta nazionale in La Gazzetta del Mezzogiorno, 6/12/2019.
- Federico Pirro, Anche la mano pubblica vorrà ottenere lo scudo penale in La Gazzetta del Mezzogiorno del 8/11/2019.
18.Sul piano B dell’Ilva e della via della decarbonizzazione si rinvia a Federico Pirro, La drammatica prospettiva di una fuga dall’acciaio in La Gazzetta del Mezzogiorno del 23/10/2019.
- Costanzo Preve, Gesù tra i dottori. Esperienza religiosa e pensiero filosofico nella costituzione del legame sociale capitalistico, op. cit., pag.65.
- Intendo i luoghi pubblici, i luoghi dell’interesse generale, i luoghi delle istituzioni ramificate territorialmente, i luoghi dello Stato, come luoghi dove non si espleta la politica dell’interesse generale del Paese ma luoghi dove i gruppi strategicamente egemonici (pre-dominati e sub-dominanti) realizzano i loro indirizzi strategici di dominio.
- Carlo M Cipolla, Allegro ma non troppo, il Mulino, Bologna, 1988.
- Non poteva mancare la voce di Romano Prodi su una fumosa perdita di fiducia dell’Italia da parte dell’Unione Europea; è veramente irritante sentirlo dire da un esecutore di ordini dei sub-dominanti europei e pre-dominanti Usa, da chi è stato il protagonista della svendita delle società alimentari, facenti capo principalmente alla finanziaria SME dell’IRI; si legga Romano Prodi, L’Italia e l’industria. Una scossa o nessun si fiderà più di noi, www.ilmessagero.it, 6/11/2019.
- Il problema non è di una mini Ilva o Maxi Ilva (Paolo Bricco, Ex Ilva, il piano pubblico costerà almeno un miliardo. E i dipendenti che fine faranno? www.ilsole24ore.com., 6/12/2019) o di una newco tra pubblico e privato (Federico Pirro, Una cordata italiana. Una orgogliosa risposta nazionale in La Gazzetta del Mezzogiorno del 6/12/2019), quanto piuttosto quello serio che non ci sono le condizioni soggettive (decisori sub-dominanti servili e incapaci di autodeterminazione interna ed esterna) e oggettive (la città di Taranto è importante per le strategie statunitensi nelle fasi multicentrica e policentrica) per rilanciare l’Ilva.
24.Gianfranco La Grassa, Il compito dei compiti, www.conflittiestrategie.it, 4/12/2019.