Il governo pericoloso di Don Ferrante atto II, di Massimo Morigi

Il governo pericoloso di Don Ferrante II (Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione)
A parte lo scoramento per la situazione venutasi a creare in Italia in seguito alla diffusione
del Corona virus in Italia (se non sbaglio il primo paese del mondo non asiatico per numero di contagi, un brillante risultato dovuto alle ridicole reazioni governative di tutela della salute pubblica messe in campo non appena si ebbe notizia del pericolo), non ci sarebbe molto da aggiungere a quanto già detto sull’ “Italia e il Mondo” ne Il governo pericolooso di Don Ferrante (https://italiaeilmondo.com/2020/02/21/il-governo-pericoloso-di-don-ferrante-dimassimo-morigi/, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20200223110210/https://italiaeilmondo.com/2020/02/21/il-governopericoloso-di-don-ferrante-di-massimo-morigi/) e, sempre sull’ “Italia e il Mondo” da quanto subito dopo ancor più dettagliatamente argomentato da Andrea Zhok sotto il titolo Coronavirus e struzzi politicamente correttti (all’URL
http://italiaeilmondo.com/2020/02/23/coronavirus-e-struzzi-politicamente-corretti-a-cura-digiuseppe-germinario/, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20200223132520/http://italiaeilmondo.com/2020/02/23/coronavirus
-e-struzzi-politicamente-corretti-a-cura-di-giuseppe-germinario/).

Ma, tuttavia, c’è un piccolo dettaglio, che vale la pena mettere in rilievo. Chi ha avuto la stoica sopportazione di seguirmi in questi anni sulle pagine elettroniche dell’ “Italia e il Mondo” si sarà bene accorto del mio rapporto di odio-amore con Carl Schmitt, e questo non perché lo abbia mai giudicato macchiato dai suoi trascorsi nazisti (come invece tuttora fa il politicamente corretto, sempre confondendo il giudizio sul valore di un pensiero con quello di chi lo esprime; estrema putrefazione di questa mentalità: le contestazioni a Roman Polanski per non farlo partecipare a Cannes perché alcuni decenni fa avrebbe forse commesso una violenza carnale) ma, molto semplicemente ed apparentemente sorprendentemente, dal sottoscritto giudicato non sufficientemente decisionista. Ma ci sono momenti in cui il pur “timido” decisionismo di Carl Schmitt è tuttora la stella polare del moderno pensiero filosofico-politico ed è lo strumento principale per conferire il suggello analitico alle situazioni di crisi politica sulle quali ci dobbiamo confrontare come cittadini e come analisti. E, allora, non tanto di fronte alla tardiva reazione governativa del mese appena trascorso, sulla quale abbiamo già detto, ma di fronte all’altrettanto giuridicamente arlecchinesco Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 31- EMERGENZA EPIDEMIOLOGICA DA COVID-2019, emesso in data 23 febbraio 2020 (all’Url http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-delconsiglio-dei-ministri-n-31/14163, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20200223131934/http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-delconsiglio-dei-ministri-n-31/14163), nel quale, testuali parole si recita: «Il Consiglio dei Ministri si è riunito sabato 22 febbraio 2020, alle ore 19.02, presso la sede del Dipartimento della protezione civile, sotto la presidenza del Presidente Giuseppe Conte. Segretario il Sottosegretario alla Presidenza Riccardo Fraccaro. […] Si introduce, inoltre, la facoltà, per le autorità competenti, di adottare ulteriori misure di contenimento, al fine di prevenire la diffusione del virus anche fuori dai casi già elencati. L’attuazione delle misure di contenimento sarà disposta con specifici decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti i Ministri e il Presidente della Regione competente ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui gli eventi riguardino più regioni. Nei casi di estrema necessità ed urgenza, le
stesse misure potranno essere adottate dalle autorità regionali o locali, ai sensi dell’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, fino all’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.», venie subito alla mente l’immortale sentenza del giuspubblicista di Plettenberg: «Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione.» (Carl Schmitt, Teologia politica, in Le categorie del ‘politico’, a cura di G. Miglio, e P. Schiera, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 33). Già chi è in questo caso il sovrano? e  ha diritto chi di fatto sovrano non lo è più pretendere la sottomissione di coloro verso i quali non sa nemmeno prendere in prima persona provvedimenti eccezionali per difenderli? Se l’attuale epidemia potesse insinuare nella pubblica opinione queste domande, non tutto il male, come si dice, verrrebbe
per nuocere.
Massimo Morigi – 23 febbraio 2019

Il Deep State contro Roger J. Stone, Jr: A Cautionary Tale, di Christian Josi

Qui sotto un articolo pubblicato sul periodico Townhall con un resoconto sufficientemente dettagliato e attendibile della vicenda giudiziaria, una vera e propria feroce persecuzione, nella quale è incappato Roger Stone. L’inaudita violenza della campagna mediatica e giudiziaria di questi anni non ha realizzato l’obbiettivo più ambito: la defenestrazione e la neutralizzazione del Presidente Trump. Ne hanno pesantemente condizionato e limitato l’indirizzo e l’agibilità politica costringendolo ad azioni contraddittorie e a legami politici che hanno pesato soprattutto nelle sue scelte di politica estera.  Non potendo eliminare il protagonista, le attenzioni più livide si sono rivolte ai personaggi determinanti che hanno costruito l’ascesa politica di Trump, Roger Stone, che gli hanno offerto supporto di relazioni, Paul Manafort, che gli avrebbero consentito solide basi di sostegno negli apparati di sicurezza e maggiore coerenza in politica estera rispetto ai proclami della campagna presidenziale, il generale Flynn. Una condotta spietata, indice di uno scontro politico feroce, inedito nella sua virulenza e durata, che ha come posta in palio il riconoscimento o meno di un mondo multipolare ormai in atto e la individuazione e le modalità di contrasto degli avversari strategici della potenza americana. Trump al momento è riuscito a venirne fuori pur  se a caro prezzo e riuscirà a contendere a fine anno la presidenza. Con le forze disponibili ha iniziato a reagire, tardivamente, con un vero e proprio repulisti di alcuni apparati importanti (NSC), ma senza disporre di sufficienti ed affidabili ricambi. Ha cominciato a chieder conto anche all’estero, anche in Italia, questa estate delle collusioni nelle macchinazioni ai suoi danni, come nell’affare Mifsud. Alcuni articoli sulla stampa estera,   https://www.telegraph.co.uk/news/2020/02/13/joseph-mifsud-mysterious-professor-trump-russia-scandal-heard-crossfire/?fbclid=IwAR0_pRqbHt9Y6maavGA7Z2utVUUzCowcEGtxdbna7q-RxDJvsjoJGZTXHFY  e nazionale https://www.lastampa.it/topnews/economia-finanza/2020/02/12/news/link-university-gli-affari-a-londra-con-il-falso-arcivescovo-1.38455817?fbclid=IwAR0wTALMQKU5dzxEIJi8TvUZnCqKWaSTPlYSuSclY4TYkLCdq2rjgRFurHQ sembrano il preannuncio di nuove attenzioni nei prossimi giorni, questa volta più circostanziate verso alcuni alti funzionari pubblici, di chiamate a correo e di denuncia delle ovvie  coperture politiche di tali azioni. Alcune di tali coperture ormai troppo al sicuro nei corridoi comunitari di Bruxelles, altri un po’ più esposti e vulnerabili per i riconoscimenti ostentati nell’ultima cena presidenziale di qualche anno fa. Trump è il Presidente degli Stati Uniti, insediatosi per affermare gli interessi degli Stati Uniti secondo il punto di vista di una elite alternativa in via di formazione di quel paese. La virulenza di quello scontro politico e le stesse offerte di una componente di quel teatro, prospettate più o meno esplicitamente, specie nel campo di azione del Mediterraneo, avrebbero potuto essere opportunità di un ricambio positivo di classi dirigenti nel nostro paese. Manca purtroppo la componente soggettiva in grado di cogliere le occasioni. Gli sviluppi dei prossimi giorni potrebbero essere una delle residue circostanze in una congiuntura destinata a chiudersi, in un modo o nell’altro, con le prossime elezioni americane, verso una direzione più definita e delimitata. Il ceto politico alternativo, o presunto tale, sorto in questi ultimi anni in Italia, sembra percorrere ancora una volta una strada opposta e subire il richiamo della foresta ai primi contraccolpi, già così traumatici per soggetti così fragili. Da una parte  torna a prevalere il richiamo e il vincolo europeista. Giancarlo Giorgetti così recita “Il punto è che farà la Cdu-Csu. Andrà a sinistra, verso verdi e socialisti? O si alleerà con i liberali? Da questo dipenderà la politica europea del Partito popolare. E noi dobbiamo essere “potabili” quando arriverà il momento” https://www.corriere.it/politica/20_febbraio_13/resteremo-nell-euro-migranti-si-collaboriora-bruxelles-ha-capito-ed945cec-4e9f-11ea-977d-98a8d6c00ea5.shtml?fbclid=IwAR0_zSZ2S_7Hn_8AV5TgCB-TVwG9PP1822fEZQCNoF07TvJ_rGxKFwqJhxg   

Rivelatore, oltre le intenzioni, l’aggettivo “potabile”. Non si tratta più di essere digeribili, assimilabili, metabolizzabili; bisogna diventare non inquinati, depurati e non tossici, con componenti da eliminare. E’ vero che qualcosa sta cambiando nella UE e nella sua politica economica; molto meno nella collocazione internazionale dei paesi europei. E’ ancora più vero che i cambiamenti che si preannunciano continuano a prevedere il sacrificio del nostro paese senza neppure la sponda offerta in questi ultimi due anni. Su questa base più che un partito nazionale e patriottico, può risorgere un movimento localista sostenitore di un federalismo d’accatto, privo però di uno stato centrale degno di questo nome. L’infamia dell’autorizzazione a procedere ai danni del Ministro dell’Interno Matteo Salvini rappresenta un passo di tale normalizzazione.

Dall’altro un movimento nazionalista fondato sulla religione, su dio e sulla civiltà. La nazione costituita dal popolo eletto che solo una costruzione politica su base religiosa come quella di Israele può permettersi di reggere pur con enormi costi politici e la forza di un paese a postura imperiale può sostenere. Non a caso che l’esplicitazione di un tale orientamento sia scaturita dalla recente partecipazione ad un convegno della Fondazione “Edmund Burke”. Ci aveva già provato tempo fa in Italia e in Europa con scarso successo Bannon; questa operazione appare oggi più promettente. Una base culturale ed ideologica, fideistica, manipolatoria ed elitaria, a dispetto dei reiterati appelli al popolo, da cui era riuscito a rifuggire in gran parte persino il fascismo di Benito Mussolini. Dubito che Giorgia Meloni riesca ancora a cogliere le pesanti implicazioni politiche e geopolitiche di un tale approccio culturale. 

Quello che una volta di più appare chiaro è che ci troviamo in un paese ormai drammaticamente povero di cultura e di cultura politica propria in particolare, ignaro della propria esperienza e tradizione millenaria. Un humus dal quale, più che una classe dirigente ambiziosa e consapevole dei propri limiti, può sorgere e proliferare un ceto politico remissivo e prostrato, il cui rappresentante più mellifluo appare il nostro PdC oppure un ceto tribunizio vittima del proprio impeto cieco e/o del proprio trasformismo più o meno consapevole. Entrambi in cerca di casa come profughi; entrambi però appesi voluttuosamente alla lenza dei pescatori più pazienti ed intraprendenti_Giuseppe Germinario

 

The Deep State contro Roger J. Stone, Jr: A Cautionary Tale

Scritto da Christian Josi | Fonte: TownHall | 14 febbraio 2020 19:01

The Deep State contro Roger J. Stone, Jr: A Cautionary Tale

La condanna del mio amico e collega Roger Stone è fissata per la prossima settimana a Washington, DC, e il circo che lo assedia è già in piena attività.

Questo caso, o la “strada ferrata”, come viene chiamato più appropriatamente, era concluso prima che iniziasse. Non avrebbe mai avuto una conduzione adeguata in questa sede, con questa giuria e soprattutto con il Giudice di Obama, Amy Berman Jackson e il fosco equipaggio dei pubblici ministeri del Deep-State sul caso (beh, in precedenza sul caso da quando tutti hanno lasciato questa settimana; ma perché Roger ha effettivamente preso una pausa quando il Presidente giustamente si è alzato in piedi per lui). È qualcosa che dovrebbe disturbare terribilmente tutti gli americani, indipendentemente da come potrebbero vedere Roger. Comunque, ho pensato che sarebbe stato un buon momento per rivisitare la narrazione ed evidenziare il modo brutto, vendicativo e davvero incostituzionale in cui questo affare si è svolto.

Come risultato del blackout mediatico sulle “notizie false” riguardanti l’accusa di Stone da parte di Robert Mueller e del Dipartimento di Giustizia (DOJ), pochi americani comprendono come e perché il consulente politico e lealista di lunga data di Trump è stato condannato per aver mentito al Congresso, quanto sia fragile il castello di accuse contro di lui e il modo in cui è stato trascinato in un processo in stile sovietico a Washington, DC, durante il quale il giudice ha precluso ogni efficace linea di difesa e ha accuratamente impilato una giuria anti-Trump composta completamente da democratici liberali.

Roger Stone è, come noto, il veterano stratega repubblicano, autore di bestseller del New York Times, esperto e consulente di lunga data della Trump Organization.

È un ex assistente del senatore Bob Dole, nonché dei presidenti Nixon e Reagan. Stone, 67 anni, è un veterano di 10 campagne presidenziali repubblicane. Il suo ruolo fondamentale nell’emersione politica di Donald Trump è dettagliato nella recente serie del documentario PBS su Donald Trump e nel pluripremiato documentario Netflix “Get Me Roger Stone”. Ha ricoperto il ruolo di Presidente del Comitato esplorativo presidenziale di Donald Trump nel 2000 e 2012 e vive a Fort Lauderdale con la sua affascinante moglie di 29 anni, Nydia Bertran Stone. Il presidente Trump è stato ospite d’onore al loro matrimonio a Washington, DC

Un’intensa indagine multimilionaria di due anni su Roger Stone ad opera del consigliere speciale Robert Mueller, iniziata nel 2017, non ha prodotto prove di collusione russa, nessuna collaborazione con Wikileaks e nessuna prova del fatto che Roger Stone avesse avuto un preavviso sulla fonte o sul contenuto di qualsiasi divulgazione di Wikileaks, comprese le e-mail di John Podesta prima della loro uscita; Robert Mueller alla fine ha accusato Roger Stone di “mentire al Congresso”. (A proposito, quando potremo accusare il Congresso di averci mentito quotidianamente?)

Il mese prima dell’arresto ostentato di Roger Stone, il presidente Trump ha twittato su Twitter: “Non testimonierò mai contro Trump” Questa affermazione è stata recentemente di Roger Stone, in sostanza affermando che non sarà costretto da un estorsore e da un procuratore fuori controllo a inventare bugie e storie sul “presidente Trump” È bello sapere che alcune persone hanno ancora coraggio “(3 dicembre 2018).

Il 25 gennaio 2019 l’FBI ha organizzato uno straordinario raid paramilitare prima dell’alba durante il quale 29 agenti dell’FBI in uniforme SWAT hanno fatto irruzione nella casa di Fort Lauderdale del 67enne consigliere di Trump, a bordo di 17 veicoli corazzati e utilizzando un’unità K-9, un elicottero sopra la testa e due unità anfibie sul canale dietro la casa di Stone per arrestarlo.

I pubblici ministeri sapevano che Stone era rappresentato da un avvocato e che lui aveva parlato con l’avvocato il giorno precedente. La successiva affermazione dei pubblici ministeri secondo cui Stone doveva essere arrestato in questo modo perché era considerato a “rischio di fuga” fu smentita ore dopo quando il governo non si oppose al suo rilascio senza una cauzione in contanti. Stone non aveva né un passaporto valido né un’arma da fuoco quando Il giudice Jackson ha proibito ai suoi avvocati di contestare le azioni dell’FBI in tribunale.

Sebbene la strada in cui viveva Stone fosse sigillata dall’FBI, la CNN era in prima fila a filmare l’arresto notturno di Stone.

Il video di sorveglianza domestica di Stone mostra un equipaggio della CNN che arriva e si installa a soli 25 piedi dalla sua porta di casa 11 minuti prima dell’arrivo dell’FBI con le armi d’assalto sguainate. Josh Campbell, ex assistente speciale del direttore dell’FBI James Comey ora con la CNN, è stato il primo corrispondente di notizie a denunciare l’arresto di Stone. Gli stessi avvocati di Stone hanno appreso dell’arresto del loro cliente da una telefonata di un produttore della CNN. L’FBI ha negato una richiesta FOIA per esibire tutte le e-mail tra l’FBI e la CNN nei giorni precedenti il ​​raid a casa di Stone, questione ora oggetto di una causa separata. Il senatore Lindsay Graham ha rilasciato una lettera al Dipartimento di Giustizia e all’FBI chiedendo chi ha disposto il raid nella casa di Stone. Non esiste alcuna documentazione pubblica di una risposta. Il consigliere speciale Robert Mueller ha rifiutato di commentare se l’ufficio del consulente speciale o l’FBI hanno lasciato la CNN prima dell’arresto di Stone per la TV durante la sua testimonianza al Congresso. Dopo l’arresto di Stone, il presidente Trump stesso ha twittato “Chi ha avvisato la CNN di essere lì?”

Al fine di giustificare i mandati di ricerca per e-mail, messaggi di testo e telefonate di Stone, così come le perquisizioni della casa e dell’ufficio di Stone in Florida e del suo appartamento a New York City, i pubblici ministeri hanno riferito a un giudice federale che avevano una probabile causa di riciclaggio di denaro straniero in contributi per campagne, frodi postali, frodi telefoniche e vari reati informatici tra cui l’accesso non autorizzato a un server di computer.

In realtà i pubblici ministeri non avevano prove del genere oltre al feed Twitter di Stone. Tutti i tweet di Stone erano basati su informazioni disponibili al pubblico. I mandati di perquisizione non hanno trovato conferme di nessuno di questi crimini e Stone è stato infine accusato di mentire al Congresso e di ripetuti tentativi di manomissioni dei testimoni. L’accusa inquisitoria di Stone è stata elaborata dal deputato Mueller Andrew Weissman sulla base dei meta-tag sulla accusa esplosiva spedita via e-mail alla stampa alle 7 del mattino del suo arresto (anche se un magistrato federale non ha denunciato l’accusa fino alle 9 : 30 di quella stessa mattina) in cui Weissman ha lasciato le sue iniziali.

Successivamente, l’ufficio del Special Counsel ha sostenuto che il caso di Stone sarebbe stato sottoposto al giudice Amy Berman Jackson perché avevano affermato che la vicenda era legata al caso non ancora trattato in cui Mueller accusava 75 russi per il presunto hackeraggio del Comitato nazionale democratico, sostenendo che l’indirizzo di posta di Stone è stato trovato da un mandato di ricerca in quel caso.

Il team di Mueller ha affermato che questa indagine è legata a quella di Stone per due motivi: primo, che alcuni “documenti rubati” sono un argomento in entrambi i casi, e in secondo luogo, che i mandati utilizzati nel caso degli hacker russi hanno fatto emergere “certe prove rilevanti” per il caso di Stone . In realtà, nessuna prova del caso di hacking russo è stata introdotta nel processo di Stone. Nulla nell’accusa di Stone avvalorava che avesse accesso a “documenti rubati”. Mueller fu essenzialmente autorizzato a “Judge Shop”, che è ampiamente considerato un abuso della Corte.

Il giudice Jackson, designato da Obama, è un attivista liberale che ha respinto la causa di morte per negligenza contro il segretario di Stato Hillary Clinton, oltre a respingere la causa da parte della Chiesa cattolica contestando il requisito di Obamacare secondo cui i datori di lavoro forniscono una copertura gratuita per la contraccezione e l’aborto.

La decisione di Jackson è stata annullata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Jackson ha anche presieduto il caso dell’ex responsabile della campagna Trump Paul Manafort durante il quale Manafort è stato incarcerato prima e durante il suo processo, nonostante non fosse stato condannato per nessun crimine. Una mozione preliminare per un giudice diverso e una sede diversa depositata dagli avvocati di Stone è stata negata, ovviamente.

Jackson ha decretato la prosecuzione dell’accusa contro ogni mozione degli avvocati di Stone tranne in un caso.

È stato riferito che il giudice spesso sorrideva e alzava gli occhi verso la giuria quando gli avvocati di Stone arringavano in tribunale.

Dopo un processo in stile sovietico di cinque giorni in cui il giudice Jackson ha vietato a Stone di costruire qualsiasi efficace linea di difesa, Stone è stato condannato da una giuria DC democratica su tutti e sette i capi di accusa ai suoi danni e ora affronta l’eventualità di molti, molti anni di prigione. Alcuni sostengono che ci sarà una mossa per prenderlo in custodia al momento della condanna, il che sarebbe una mossa molto insolita in un caso come questo e sottolinea semplicemente il disprezzo del Deep State contro il quale Stone si è scontrato.

Pochi minuti dopo la condanna di Stone, il presidente Trump ha twittato “Ora hanno condannato Roger Stone per aver mentito al Congresso e vogliono concedergli un lungo periodo di detenzione.

Che dire di Crooked Hillary, Comey, Strzok, Page, McCabe, Brennan, Clapper, Schiff, Ohr, Steele e Mueller stesso i qiuali hanno mentito e non sono stati perseguiti. Questo è un doppio standard come mai visto prima nel nostro paese “.

In effetti, Comey, Brennan, Clapper, McCabe, Strzok, Page, Rosenstein, Ohr e Mueller hanno mentito tutti sotto giuramento al Congresso su questioni consequenziali, ma il giudice Jackson ha espressamente vietato agli avvocati difensori di Stone di sostenere che il caso di Stone fosse un esempio di “accusa selettiva”. Naturalmente.

Il presidente Trump ha detto a FOX News alla vigilia di Natale 2019 che Stone era un “bravo ragazzo che piace a molte persone” e che ritiene che “fosse una brava persona” che, insieme al generale Michael Flynn, era stato trattato “molto ingiustamente” nel suo procedimento giudiziario dal consigliere speciale Robert Mueller e dal procuratore degli Stati Uniti per il distretto di Columbia.

Trump ha definito l’accusa di Stone e Flynn una “beffa di poliziotti sporchi”.

Roger Stone è stato incriminato per aver mentito al Congresso, nonostante l’incapacità di Mueller di trovare un crimine di fondo su cui basare la menzogna di Stone.

Al processo, i pubblici ministeri hanno fornito prove del fatto che Stone ha tentato (senza successo) di apprendere il contenuto delle rivelazioni di Wikileaks annunciate (che non è un crimine). Mueller ha criminalizzato le attività politiche perfettamente legali nell’accusa e nella condanna di Stone. Naturalmente.

A supervisionare il caso di Stone per l’Office of Special Counsel c’era Jeannie Rhee, che rappresentava Hillary Clinton e la Clinton Foundation nel grande caso di posta elettronica.

Rhee ha dato il massimo contributo alle campagne di Hillary nel 2008 e 2016 così come di Obama nel 2008. Aaron Zelinsky, ex editorialista di Huffington Post e assistente del procuratore degli Stati Uniti, è stato raccomandato dal procuratore generale Rod Rosenstein per assistere Rhee nell’accusa di Stone. Il caso di Stone alla fine sarebbe stato perseguito dall’assistente procuratore generale Jonathan Kravis, che era stato consigliere associato della Casa Bianca per il presidente Barack Obama. Adam Jed, un funzionario del DOJ di Obama che ha sostenuto con successo che l’atto del Congresso che bandiva il matrimonio gay era incostituzionale, ha completato l’accusa di Mueller contro Stone. Stone è stato perseguito dai suoi oppositori politici faziosi.

L’accusa incriminata di Rhee, avvocato di Hillary Clinton, è probabilmente correlata alla pubblicazione del libro di Stone, “The Clintons ‘War on Women”, che non solo descriveva gli attacchi sessuali seriali di Bill Clinton a più donne, ma anche il ruolo di Hillary nell’intimidazione, nel bullismo e nel silenziamento delle vittime. Ancora più importante, Roger Stone è stato il primo a esporre il collegamento Epstein-Clinton, documentando i 28 voli di Bill Clinton verso il condannato pedofilo nell’isola privata di Jeffrey Epstein e il ruolo di Epstein nella istituzione della Fondazione Clinton.

La violazione del False Statement Act per il quale Stone è stata accusato, richiede non solo che l’affermazione sia falsa, ma anche che sia materiale e che ci fosse l’intenzione di ingannare.

L’affermazione dell’accusa secondo cui Stone ha mentito perché “la verità non porterebbe bene a Donald Trump” è ridicola in considerazione del fatto che il candidato Trump stesso ha parlato apertamente dell’interesse della sua campagna per la divulgazione di Wikileaks:

10 ottobre 2016 a Wilkes-Barre, Pennsylvania: “Questo è appena uscito”, ha detto Trump. “WikiLeaks, adoro WikiLeaks.”

12 ottobre 2016 a Ocala, FL: “Questa roba su Wikileaks è incredibile”, ha detto Trump. “Ti dice il cuore interiore, devi leggerlo.”

13 ottobre 2016 a Cincinnati, OH: “È stato fantastico ciò che è uscito su WikiLeaks.”

31 ottobre 2016 a Warren, MI: “Ne è arrivato un altro oggi”, ha detto Trump. “Questo Wikileaks è come un tesoro.”

4 novembre 2016 a Wilmington, OH: “Scendendo dall’aereo, stavano solo annunciando nuovi WikiLeaks e volevo rimanere lì, ma non volevo farti aspettare”, ha detto Trump. “Ragazzo, adoro leggere quelle WikiLeaks.”

In effetti, il candidato Trump ha menzionato WikiLeaks 141 volte nel mese prima delle elezioni del 2016, secondo MSNBC.

Quindi, cosa stava nascondendo Stone? Stone, che è comparso volontariamente davanti al comitato e non in giudizio, non aveva motivo di mentire su ciò che era un’attività politica completamente legale. Durante il processo di Stone non c’erano testimonianze del fatto che avesse detto a qualsiasi funzionario della campagna Trump di Wikileaks che non avrebbero potuto leggere sul feed Twitter di Stone. Il comitato di intelligence della Camera ha votato per consegnare la testimonianza classificata di Stone su richiesta di Mueller, ma non ha rinviato Stone per l’accusa. Il rapporto finale della commissione non ha rilevato che Stone aveva indotto in errore la commissione.

Anche un’altra narrazione, “manomissione dei testimoni”, è falsa.

Stone aveva già divulgato alla House Intelligence Committee che il conduttore radiofonico progressista e l’impressionista comico Randy Credico, con il quale Stone aveva nobilmente lavorato sulla riforma della giustizia penale, era la sua fonte per quanto riguarda il significato e i tempi delle prossime rivelazioni di Wikileaks alla House Intelligence Committee. Stone ha esortato Credico a far valere i suoi diritti sul Quinto emendamento per non testimoniare davanti al Comitato di intelligence della Camera perché, secondo Stone, Credico ha affermato di aver temuto l’esposizione pubblica nella comunità progressista perché aveva “contribuito a eleggere Trump”. Credico ha ammesso che il suo avvocato gli ha consigliato di far valere i suoi diritti sul Quinto emendamento così come numerosi giornalisti e l’ACLU.

Le accuse sostenute dai pubblici ministeri, secondo cui Stone aveva minacciato di “rubare il cane di Credico” per costringerlo al silenzio, furono specificamente negate da Credico al processo. Il 20 gennaio 2020, Credico ha scritto una lettera al giudice Jackson affermando che “non si è mai sentito minacciato da Stone”. Tuttavia Stone è stato condannato con l’accusa di manipolazione di testimoni. L’accusa ha insistito sul fatto che Credico non era la fonte di Stone riguardo al contenuto generale e rilascio di ottobre delle rivelazioni di Wikileaks, nonostante il rilascio di Stone di una catena di e-mail  indiscutibilmente dimostrano che lo era.

I pubblici ministeri federali hanno insistito sul fatto che il dott. Jerry Corsi era la fonte della limitata conoscenza dei piani di Wikileaks da parte di Stone, ma i pubblici ministeri non hanno prodotto alcuna prova per dimostrarlo e non ha indicato intenzionalmente Corsi come testimone del processo di Stone. Uno scambio di e-mail del 2 agosto tra Stone e Corsi, prodotto dal governo durante il processo, ha dimostrato che i pronostici di Corsi che una grande mole di dati di Wikileaks sarebbe arrivata in agosto e che riguardava la Clinton Foundation erano errati. Uno scambio di testi tra Corsi e Stone il 3 ottobre riconosceva che “Assange non ha nulla e si è preso gioco di se stesso”.

Il criminale condannato Rick Gates ha testimoniato al processo di Stone di aver sentito una conversazione al telefono cellulare tra Stone e Trump mentre era su un SUV sulla strada per l’aeroporto di LaGuardia nell’agosto 2016.

Gates ha ammesso di non poter ascoltare la vera conversazione e che i pubblici ministeri federali non hanno prodotto registrazioni telefoniche o testimoni aggiuntivi per confermare questa affermazione, sebbene Gates abbia affermato che c’erano due agenti dei servizi segreti nel SUV. Sia Trump che Stone hanno negato che questa conversazione abbia mai avuto luogo. Nelle risposte scritte alle domande di Mueller, il presidente Trump ha negato espressamente di aver mai discusso delle rivelazioni di Wikileaks. Gates, condannato per cospirazione e mentendo all’FBI, ricevette solo una condanna a 45 giorni in cambio della sua testimonianza contro Stone. I pubblici ministeri federali hanno anche rifiutato di perseguire Gates per non aver pagato tasse su milioni di dollari di entrate; introiti che ha ammesso di aver sottratto al suo partner Paul Manafort.

Naturalmente, il D.C. La giuria ha ritenuto Stone colpevole di tutte le accuse. Mentre un giurato (un collaboratore di Beto O’Rourke) ha dichiarato al Washington Post che la giuria era “diversa per età, genere, razza, etnia, reddito, istruzione e occupazione”. La sua affermazione è fuorviante per non dire altro. La giuria non includeva repubblicani, né veterani militari, né cattolici della chiesa romana, né uomini neri e nessuno con un’istruzione universitaria inferiore ma includeva un ex candidato democratico al Congresso, due avvocati che lavoravano nelle amministrazioni democratiche, tre giurati con legami con FBI, tre giurati con legami con il Dipartimento di Giustizia e due giurati con legami con la CIA e un incaricato di Obama nella posizione di direttore delle comunicazioni di un dipartimento federale. È ed è sempre stato discutibile se un repubblicano possa ottenere un processo equo nel Distretto di Columbia.

La premessa alla base dell’accusa federale a Roger Stone contenuta nelle prime due pagine del disposto è che i russi hanno violato il DNC e fornito questi dati presumibilmente compromessi con Wikileaks. Tutte le domande a cui Stone avrebbe mentito si riferivano a questa presunta azione, ma il giudice Amy Berman Jackson non avrebbe permesso agli avvocati di Stone di confutare ciò chiamando testimoni forensi come per l’NSA Bill Binney. Avendo basato l’accusa contro Stone su questa premessa, i pubblici ministeri federali ora hanno insistito sul fatto che era irrilevante.

Quando il governo ha ammesso di scoprire che l’FBI non aveva mai ispezionato i server DNC e aveva invece fatto affidamento su una bozza di promemoria redatta da Crowdstrike, una società IT strettamente legata a Hillary Clinton, l’ammissione ha ottenuto un’ampia copertura mediatica.

Il governo ha quindi presentato un’ulteriore risposta al tribunale affermando di avere altre fonti di conferma che il DNC era stato violato dai russi ma ha rifiutato di fornire qualsiasi conferma fattuale di tale affermazione.

Il giudice Jackson ha vietato agli avvocati di Stone di sollevare qualsiasi questione relativa alla cattiva condotta del procuratore speciale, del DOJ, dell’FBI o dei membri del Congresso.

“Non ci saranno indagini sugli investigatori nella mia aula di tribunale”, ha detto, nonostante la nomina del consigliere speciale John Durham, ad opera del procuratore generale Bill Barr, per fare esattamente questo.

Il deputato Adam Schiff ha ammesso che il suo coordinamento con l’ufficio del Consiglio speciale ha violato le regole della Camera in una lettera al presidente del Comitato di intelligence Devin Nunes.

Tuttavia, il giudice Jackson ha proibito agli avvocati di Stone di perseguire queste prove di un “insediamento” di Schiff. Il Washington Post ha riferito che Mueller aveva in anticipo una copia della testimonianza classificata di Stone (un’altra violazione delle regole della Camera) prima della votazione da parte del comitato completo per rilasciare la testimonianza al Consiglio speciale su richiesta di Mueller, ma lo ha fatto senza rinvio a giudizio per falsa testimonianza. Schiff, il deputato Eric Swallwell e il deputato Joaquin Castro hanno predetto tutti, immediatamente dopo la testimonianza di Stone, che sarebbe stato incriminato per spergiuro – impossibile per loro sapere senza aver visto gli esiti della sorveglianza su Stone.

https://townhall.com/columnists//christianjosi/2020/02/15/the-deep-state-v-roger-j-stone-jr-a-cautionary-tale-n2561371

Il re è nudo, ma…, di Giuseppe Germinario

Il re è nudo, ma non tutti ancora lo vedono. Qui sotto la conferenza stampa tenuta due giorni fa da Matteo Salvini, presente lo stato maggiore della Lega, a proposito dell’adesione dell’Italia al MES. Una esposizione di insolita chiarezza nel panorama politico italiano. Gli autori del sito hanno più volte espresso valutazioni severe e critiche sull’operato del precedente Governo Conte e sull’apertura e gestione della crisi di governo. L’insieme delle politiche di quel Governo, a cominciare dalla politica estera per finire con la politica economica e con la gestione delle politiche industriali, sono state segnate dal trasformismo e da una concezione dell’azione politica meramente elettoralistica, inadeguata rispetto al contesto geopolitico. La crisi dell’ILVA è uno degli esempi di tale condotta. Come si fa ad affidare un settore strategico ad una multinazionale franco-indiana, parte integrante di strategie geopolitiche e geoeconomiche opposte e ostili all’interesse nazionale? La vicenda del MES svela un altro aspetto particolarmente amaro: la collocazione geopolitica e la condotta sugli aspetti fondamentali e portanti di questa collocazione tende ad andare al di là delle intenzioni delle forze politiche; muove forze, punti di vista ed interessi annidati in prassi, routine e strutture dei centri decisionali ed istituzionali difficili da fronteggiare. Pare evidente che una parte della classe dirigente si stia allarmando e svegliando pur tardivamente e in maniera goffa. La conferenza stampa e gli allegati inseriti aprono squarci alla consapevolezza inusuali_Giuseppe Germinario

https://www.esm.europa.eu/legal-documents

 

RendiConte e resa (si spera) dei Conte, di Alberto Bagnai_ titolo a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto due post dell’onorevole Alberto Bagnai particolarmente interessanti in quanto illustrano le modalità ed i vincoli che il Presidente Conte avrebbe dovuto osservare durante la fase di trattativa riguardante il MES. Siamo ad un punto cruciale nel quale il re appare nudo. Vedremo se ci sarà qualche bambino in grado di dirlo ed una reazione sufficiente a delegittimare l’impostura e farlo decadere con ignominia.

Una piccola chiosa: non avrebbe potuto essere questo uno dei momenti più opportuni per aprire le ostilità ed eventualmente far cadere il primo Governo Conte?_Giuseppe Germinario

https://goofynomics.blogspot.com/

Ratifica

Avrei preferito andare un’oretta in palestra, anziché dedicarla a insultare la vostra intelligenza. Tuttavia, l’ameno dibbbattito su Twitter mi lascia intendere che c’è del vero nelle querimonie piddine sull’analfabetismo funzionale. Evidentemente, il vostro non sapere come funziona è talmente pervasivo che contamina di sé anche il lessico, sovvertendo il senso delle parole, che, di per sé, basterebbero a descrivere, e rendervi quindi pienamente intelligibile, la realtà dei fatti. Potevo aspettarmelo? Sì. Siete decine di migliaia, e conosco personalmente svariate centinaia di voi. Non ne ho trovato uno che abbia chiaro che cosa sia la bilancia dei pagamenti (ogni riferimento a Nat è puramente intenzionale), nonostante gli sforzi qui profusi per spiegarvene sia il meccanismo che la rilevanza (la crisi dell’Eurozona è una crisi di debito estero, cioè di bilancia dei pagamenti, e il dibattito di questi giorni, quello sul MES, ne è in qualche modo la conferma definitiva…). Eppure la bilancia dei pagamenti è una cosa semplice: se entrano soldi nel Paese, il segno è positivo, se escono dal Paese è negativo. Ma… ggnente!

Certe volte mi chiedo perché siate così tanti a seguirmi e così pochi a capirmi. La risposta che mi do è che probabilmente intuite, dietro al mio sforzo (vano) di farmi capire una virtù un po’ démodé: l’amore per il prossimo (anche per chi non capisce la bilancia dei pagamenti: so di non capire tante cose anch’io), e quello per il Paese, condite con una sorta di illuministica fiducia nelle virtù della ragione e della ragionevolezza umana, e quindi della democrazia. Per motivi che non riesco a capire, sapere che qualcuno ancora ci crede vi rassicura e vi appaga.

Male!

Non dovrebbe appagarvi: dovreste anche studiare (almeno, Gramsci la pensava così).

E allora, provo a spiegarvi una cosa che evidentemente, a giudicare dal dibbbattito, sfugge: stranamente, i trattati intergovernativi vengono negoziati dai governi.

So che può sembrare paradossale, misterioso, so che questo concetto rinvierà nelle menti di molti di voi a oscuri complotti, a Bilderberg, o ai rettiliani (ma anche a Nibiru). Invece è solo etimologia: “inter” non è una squadra di calcio (la squadra è l’Inter, con la maiuscola), ma una preposizione latina che significa “tra”. I Trattati intergovernativi quindi sono trattati tra governi, il che significa che chi li negozia sono i… rettiliani? Bilderberg? La Trilaterale? La Spectre? No: i governi.

Ci siamo fino a qui?

Bene.

Rinuncio a spiegarvi cosa sia un Governo (appellandomi alla prima legge della termodidattica: “Ci sono cose che se potessero essere capite non andrebbero spiegate”).

Facciamo un passettino avanti, volete?

Perché mai ai Governi viene in mente di fare un negoziato? Chi li legittima a farlo?

Mettetevi nella testa di un grillino, per dire. Diventi ministro, accedi al potere: il tuo primo pensiero ovviamente è godere dei privilegi della casta, e abbandonarti insieme alla cricca alle mollezze della corruzione. Questa è la loro visione della politica: una visione che li qualifica (pensa male chi l’ha nel cuore) e che però non quadra col fatto di svegliarsi alle cinque di mattina per prendere un aereo e andare a Bruxelles dove i fratelli europei ti chiudono in una stanza e ti ci tengono finché non gli dici di sì, alle cinque della mattina dopo! I Governi non negoziano Trattati per sport o per prescrizione del medico (che probabilmente consiglierebbe attività meno malsane), ma in virtù di un mandato conferito loro direttamente o indirettamente dal Parlamento, che a sua volta è eletto dal popolo, che sareste (molto evidentemente a vostra insaputa) voi.

Certo, una volta i negoziati erano più diretti: se un popolo voleva qualcosa da un altro, andava in massa a chiederglielo. Sono quelle che i libri di storia una volta chiamavano invasioni barbariche, e che ora nei libri di testo degli accoglioni si chiamano migrazioni (Enea era un migrante, quindi anche Attila…). Viceversa, non credo che sia mai successo che un intero parlamento si sia spostato per negoziare qualcosa! Evidentemente, però, su Twitter c’è qualcuno che pensa che le cose funzionino così (sono tutti quelli che con accorati accenti ci chiedono di fare “qualcosa”, o di fare “di più”). Tanto per esser chiari: a noi è sempre apparso evidente che il precedente Governo non ne volesse sapere mezza di essere fedele al mandato conferitogli (come ha detto Molinari in aula: loro sapevano di essere un governo espresso da una maggioranza “sovranista”, ma ovviamente facevano finta di non saperlo), tant’è vero che prima di sfiduciarlo ci siamo anche posti il problema se fosse tecnicamente possibile affiancare le delegazioni italiane con esponenti della maggioranza parlamentare. Non è tecnicamente possibile: a negoziare ci va il Governo.

Riassumo: i trattati fra Governi li fanno i Governi.

Mi fate una cortesia? Tornate su di un rigo e rileggete tre o quattro volte, poi andiamo avanti.

Ora, siccome anche in un sistema che, a differenza di quello europeo, non abbia fatto del waterboarding il suo principale strumento di mediazione politica, i Governi, nel negoziare un Trattato, possono avere mille e un motivo, lecito o illecito, per deviare dal mandato che il Parlamento gli ha direttamente o indirettamente conferito, in pressoché tutti gli ordinamenti è previsto l’istituto della ratifica parlamentare (vi esorterei a leggere il significato sul vocabolario).

Quindi, ricapitolando. Voi eleggete il Parlamento, che dà la fiducia al Governo, e che poi gli conferisce un mandato a negoziare (tecnicamente, un simile mandato viene conferito con un atto di indirizzo definito risoluzione). Il Governo negozia, poi firma il trattato, poi torna a casa e lo presenta al Parlamento, che a quel punto, se lo trova conforme all’interesse del Paese, lo ratifica.

Ci siamo? Tutto chiaro?

Bene.

Per maggiore chiarezza, vi esorterei, anzi, vi scongiurerei di leggere gli articoli dal 4 al 7 della Legge 234 del 2012 (legge Moavero).

Leggeteli ora, se li avete già letti rileggeteli, se non li avete letti non venite a seccarmi con astruse teorie: a ogni giorno basta la sua pena e chi non si documenta non è previsto nel menù.

La legge Moavero venne concepita dopo l’approvazione di MES e Fiscal compact (avvenuta a luglio 2012), proprio come reazione a un certo scontento che perfino lo stesso PD provava per la porcata fatta (ci sono tante brave persone anche là dentro). L’articolo 5, che prevede un obbligo di informativa rafforzata in caso di trattati in ambito monetario e finanziario, è una chiara conseguenza di questo disagio. Leggendolo vedi in filigrana la sigla MES.

Questo è come funzionano le cose in teoria: la dinamica mandato parlamentare-negoziato intergovernativo-ratifica in Italia è normata, per quanto attiene alle sedi europee (ma in caso di trattati monetari o finanziari anche al di fuori da queste sedi) da una specifica legge.

E ora veniamo alla pratica.

In pratica, l’unico dispositivo di questa legge applicato coerentemente è il primo periodo del primo comma dell’art. 4: “Prima dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, il Governo illustra alle Camere la posizione che  intende  assumere,  la quale tiene conto degli eventuali indirizzi dalle  stesse  formulati.” Mi riferisco alla mesta liturgia delle comunicazioni del premier al Parlamento prima del Consiglio Europeo (quello dei capi di Stato e di Governo), liturgia che si svolgerà la prossima volta l’11 dicembre in vista del Consiglio del 12. Trattandosi di comunicazioni, e non di informativa, è previsto che dopo il discorsetto del premier (dimo, famo, faremo, ecc.) ci sia, oltre a una discussione generale, anche il voto di una risoluzione (che non ci sarebbe nel caso di informativa). Il secondo periodo del primo comma (“su loro richiesta,  esso  riferisce  altresì  ai  competenti  organi parlamentari prima delle riunioni del Consiglio dell’Unione  europea”) non era mai stato applicato prima che arrivassi io (a testimonianza del grande interesse dei piddini per l’Europa), e il terzo periodo (“Il Governo informa i competenti organi parlamentari sulle  risultanze delle riunioni del Consiglio  europeo  e  del  Consiglio  dell’Unione europea, entro quindici giorni dallo svolgimento delle stesse”) non è altresì mai stato applicato, perché è sì vero che sono riuscito, dopo estenuanti negoziati, ad avere un paio di volte Tria in Commissione dopo l’Ecofin, ma è anche vero che non sarei stato io a doverlo chiamare, ma lui a venire: “il Governo informa”, dice la legge, non “il presidente dell’organo parlamentare competente, facendo ricorso a una enorme dose di pazienza e profondendosi in lusinghe, supplica il Governo di concedergli l’insigne e immeritato favore di informarlo su quali impegni vada prendendo alle spalle degli italiani in giro per l’Europa”.

Chiaro?

Questo è il primo punto: intanto, se ora c’è un dibattito su questa roba qui è perché qualcuno si è impuntato a seguire le regole. Apro e chiudo una parentesi: e io che ne sapevo, di queste regole? Niente, ovviamente, non essendo un esperto di diritto parlamentare. E allora? E allora sono degli europeisti convinti che hanno attirato la mia attenzione su di esse. Bisogna parlare con tutti, ed esistono anche europeisti in buona fede (probabilmente esistono anche degli oceanisti, o degli antartidisti, in buona fede, ma ancora non ne ho incontrati).

Secondo punto: per un parlamentare è tecnicamente impossibile sapere quale sia l’iter di una trattativa in Europa. Tanto per essere chiari, noi presidenti di Commissione non riceviamo le relazioni e le note informative predisposte dalla Rappresentanza e menzionate al comma 3 dell’articolo 4 (più precisamente: questi documenti in qualche caso arrivano in Parlamento e giungono – credo – alla mia Commissione, ma sotto vincoli di riservatezza strettissimi che, a quanto capisco, comportano l’obbligo di consultarli solo presso la Presidenza di Commissione, e non possono essere citati nei resoconti di seduta). Inoltre, delle riunioni svolte nelle sedi europee, e in particolare dell’Eurogruppo, non esistono verbali: non si può sapere, se non de relato dalla Rappresentanza nel caso in cui un’anima buona ti mandi le note informative, quali siano le posizioni espresse dal nostro Governo, non ci sono votazioni formali, non ci sono né resoconti sommari né tanto meno stenografici.

Quindi, in sintesi: delle riunioni dell’Eurogruppo, dove si decide, non si sa nulla. Delle riunioni dell’Euro working group, che è in qualche modo il preconsiglio, quello dove si fissano i dettagli tecnici delle decisioni da prendere, si sa meno di nulla. Delle riunioni dell’Ecofin, che viene a valle dell’Eurogruppo, ed è quello dove ci si fa la foto di gruppo, si sanno le scemenze dette in europeese nei comunicati stampa: “la sfida ambiziosa, i significativi progressi, ecc.”, senza che sia mai ben chiaro quando si è firmato cosa o comunque chi abbia preso quale impegno.

Questa mancanza di trasparenza non è lamentata solo da Bagnai: se vi andate a vedere i lavori delle conferenze interparlamentari, vedrete che tutti lamentano la mancanza di trasparenza dell’Eurogruppo.

Terzo punto: in tutta evidenza il Governo precedente ha disatteso completamente la Legge Moavero. Il considerando 5A della bozza di revisione del Trattato chiarisce che in Europa se ne è cominciato a parlare all’Eurogruppo di dicembre 2018. Secondo la legge Moavero, qualcuno sarebbe dovuto venire in aula a spiegarci che cosa si stesse per fare. Se lo ha fatto, nessuno se ne è accorto. Non mi ricordo se a quell’epoca conoscessi già la legge Moavero. Quello che so è che stavo lottando contro il muro di gomma dei soliti noti per difendere le banche di credito cooperativo da un destino evitabile, riuscendoci solo in parte (ma una parte significativa): purtroppo, noi siamo pochi e loro sono molti. Dietro a tutto non si può stare.

E veniamo al punto in cui siamo ora. A quanto pare di capire, la riforma del MES non è stata ancora siglata. Non è invece chiaro se il governo si sia attenuto all’impegno preso il 19 giugno 2019 (quindi non “tempestivamente”, come vorrebbe la legge) a:

“non approvare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di investimenti, e che minino le prerogative della Commissione europea in materia di sorveglianza fiscale; a promuovere, in sede europea, una valutazione congiunta dei tre elementi del pacchetto di approfondimento dell’Unione economica e monetaria – la riforma del trattato del Meccanismo europeo di stabilità (MES), dello Schema europeo di garanzia sui depositi (EDIS), e del budget dell’area euro -, riservandosi di esprimere la valutazione finale solo all’esito della dettagliata definizione di tutte le varie componenti del pacchetto, favorendo il cosiddetto “package approach”, che possa consentire una condivisione politica di tutte le misure interessate, secondo una logica di equilibrio complessivo; a rendere note alle Camere le proposte di modifica al trattato ESM, elaborate in sede europea, al fine di consentire al Parlamento di esprimersi con un atto di indirizzo e, conseguentemente, a sospendere ogni determinazione definitiva finché il Parlamento non si sia pronunciato.”

Ci sono due passaggi parlamentari prima della riunione in cui la riforma dovrebbe essere approvata da Conte in sede europea: uno è l’affare assegnato in merito all’A.S. 322 (proposta di modifica del MES), che prevede, in fase istruttoria, l’audizione del ministro Gualtieri mercoledì prossimo, prima dell’Eurogruppo del 4 dicembre (dove si prendono le decisioni). Poi ci sono le già citate comunicazioni del premier Conte l’11 dicembre prima del Consiglio Europeo del 12 (dove si firmano le decisioni).

A quanto pare di capire, a quel punto saremmo arrivati alla fase “il Governo firma il Trattato” (avendo sostanzialmente eluso, o comunque non attivato tempestivamente, la fase “il Parlamento conferisce un mandato”).

Ad oggi non sappiamo se il Governo firmerà, perché la sua maggioranza è divisa su questo, essendo composta da un partito che il MES voleva liquidarlo, e da un partito che il MES lo ha invece fortemente voluto.

Poi, certo, resterà la fase “il Parlamento ratifica”.

Se state seguendo il ragionamento, dovreste capire quali siano le criticità di arrivare alla fase “ratifica”.

Intanto, una mancata ratifica è equivalente, in termini politici (non in termini procedurali) a un voto di sfiducia. Il Governo, certo, non è obbligato a dimettersi, ma se su un Trattato così importante viene sconfessato dal Parlamento, è chiaro che per non prenderne atto occorre portare la faccia di bronzo a un livello ancora superiore rispetto a quello dimostrato finora (a partire da quando il partito di maggioranza relativa abbandonò l’aula in occasione delle comunicazioni sulla TAV).

Poi, si crea un problema a livello internazionale, perché giustamente i partner europei (quelli del waterboarding) potrebbero legittimamente porsi delle domande sull’attendibilità di un Paese che manda un Governo a dire una cosa quando evidentemente il Parlamento ne pensa un’altra. Non sono un grande fan dell’argomento “in Europa dobbiamo essere credibbbili” (a renderci tali basta un qualsiasi museo diocesano), ma è indubbio che, mettendosi nei panni della controparte, avere una posizione e mantenerla (o modificarla per chiari e giustificati motivi) è essenziale perché negoziare abbia un senso. Un Governo che venisse sconfessato dal proprio Parlamento in Europa non verrebbe guardato con gli stessi occhi. Va anche detto che se la sarebbe cercata! Dopo aver visto come vengono trattati i Parlamenti (con la tecnica del mushroom management), le lamentele dei diversi funzionari che ho incontrato circa il fatto che “eh, noi abbiamo fatto il possibile, ma da Roma non ci arrivavano segnali chiari…” mi sembrano molto meno credibili: è un dato di fatto che alcuni di quelli che mi hanno fatto questo discorso sono poi gli stessi che mi hanno impedito di leggere un testo che, peraltro, avevo già letto per altre vie, impedendomi cioè di acquisire gli elementi necessari per fornire loro quei segnali della cui mancanza si lamentavano!

La sede per fare un sano gioco delle parti fra Parlamento e Governo quindi non è la ratifica, ma il negoziato, cioè l’Eurogruppo. In quella sede i paesi civili mandano ministri in grado di dire ai loro pari: “cari amici, quello che mi proponete è tanto bello, vi sono sinceramente grato dell’aiuto che volete dare alle vostre nostre banche, ma purtroppissimo il Parlamento da noi è sovrano come da voi, e io non ho mandato a concludere prima di ulteriori approfondimenti sul pacchetto che forse è un pacco”.

La Germania lo fa sistematicamente: perché noi no?

Mistero.

Sono quasi nove anni che ci poniamo questa domanda: non siamo riusciti a trovare la risposta, e forse non la troveremo mai. Intanto, ripetete con me: gli elettori eleggono il Parlamento, che dà un mandato negoziale al Governo, che conclude un Trattato, che il Parlamento è chiamato a ratificare.

E ora ripetetelo senza di me, e cercate di ricordarvi a che punto di questa storia siamo. Io vado ad occuparmene.

domenica 24 novembre 2019

Per farvi capire come funziona…

Come sapete, al termine di una lunga e faticosa trattativa con il dottor Conte, prima che questi si trasformasse nel signor Giuseppi, ero riuscito, col sostegno di autorevoli esponenti del Movimento 5 Stelle, a fargli prendere l’impegno di trasmettere alle Camere la proposta di modifica del Trattato istitutivo del Meccanismo Europeo di Stabilità. Di questa riforma, come già del Trattato, nulla si doveva sapere, e coerentemente, come vedete, i giornali fanno il possibile per ignorare la notizia. Tuttavia, visto che ora purtroppo in applicazione della Legge Moavero, che qualcuno ha testardamente cercato di riportare in vita, se ne dovrà parlare, sul sito del Senato finalmente trovate i testi in questa pagina.

Giusto così, per farvi capire come funziona: se cliccate sul primo link ottenete un documento in italiano che reca le sole proposte emendative, cioè le modifiche apportate alle singole parti del trattato originale, esposte con la tecnica del rinvio. Naturalmente, lette così, senza coordinarle col testo originale, molte modifiche non sono di immediata comprensione. Se invece cliccate sul secondo link ottenete un documento in inglese, inizialmente rubricato come A.S. 322, ora A.S. 322-bis, che reca il testo del Trattato come modificato dagli emendamenti proposti (o approvati? Questo non è chiaro). Insomma: quello che in italiano si chiamerebbe un “testo coordinato”. Naturalmente, se non si conosce a memoria il trattato, risulta difficile individuare nel testo coordinato quali siano le innovazioni.

Affrettandomi a dire che in questo i funzionari della mia Commissione non c’entrano nulla (il testo in inglese fu trasmesso dal ministro Tria mentre scoppiava la crisi di governo, cioè quando lui pensava che ormai nessuno potesse metterci la testa, quello in italiano inviato pochi giorni fa dal ministro Gualtieri), si potrebbe maliziosamente pensare che qualcuno stia facendo di tutto per impedire una lettura agevole del Trattato di cui non si deve parlare! Si potrebbe anche ironizzare sulle due strategie seguite per confondere le idee nella testa dei parlamentari, che di tempo per lo studio ne hanno poco, purtroppo: al Nord, dare un testo che fila, nella cui scorrevolezza le più insidiose fra le modifiche rischiano di passare inosservate; al Sud, dare i soli emendamenti, destinati a restare criptici se avulsi dal contesto.

In termini sostanziali, poco male. Chi segue il dibattito non ha certo bisogno di leggere i testi per sapere di che cosa si tratta: la sostanza era già nell’editto di Meseberg! E poi, volendo, il Senato ha ottimi uffici studi dove si lavora a predisporre testi a fronte.

Tuttavia, in Parlamento anche la forma è sostanza.

Supponiamo che qualcuno voglia discutere formalmente il testo ed evidenziare quali siano le sue novità, per poi discuterle. Bene, una di queste, come sapete, è la possibilità di usare il MES come common backstop (dispositivo di sostegno comune) al Fondo di risoluzione unico (chi non sa che cosa sia, trova qui una spiegazione). Proprio per questo, cioè perché entra in materia di salvataggi bancari, mi è stato possibile chiedere l’assegnazione del documento alla mia Commissione. Senza entrare nei dettagli, vi faccio osservare una cosa. Nel testo coordinato inglese, questa innovazione è introdotta nel comma 2 dell’art. 12. Negli emendamenti (in italiano) la stessa modifica è rubricata come comma 1-bis. Diverse tecniche legislative, o forse, chi sa, magari anche un diverso testo, perché nonostante il dottor Conte avesse promesso di aspettare che il Parlamento si esprimesse, il signor Giuseppi certamente ha lasciato che le cose andassero avanti: tanto poi arriva dicembre, la finanziaria, le vacanze di Natale, il Trattato passa e buonanotte! Certo, in altri Parlamenti sarebbe andata a finire così, non lo metto in dubbio. Ora le cose sono un po’ cambiate. Mi dispiace…

Tuttavia, al di là dell’attenzione che cerchiamo di mettere in quanto succede, il punto è che se un parlamentare italiano volesse dire che questa cosa gli sta, o non gli sta, bene, allo stato dell’arte, cioè data la disinvoltura con cui i Governi trattano il Parlamento, gli sarebbe materialmente impossibile farlo in modo preciso. Cosa mettiamo a verbale? Il dissenso (o consenso) con il comma 2 o con il comma 1.bis?

Bene. Credo che abbiate capito come funziona. Tatticucce, mezzucci… Provano a prenderti per sfinimento, asserragliati come sono nella prima classe del Titanic, dove, a giudicare da certe dichiarazioni, mi sembra che si cominci a sentire un po’ di umidità (l’accordatura dell’orchestrina ne risente). Ma mentre è indubbiamente possibile fermare un transatlantico con un iceberg (abbiamo esempi), ritengo altamente improbabile fermare la Storia con le mani: non possono riuscirci loro, e, naturalmente, non possiamo riuscirci nemmeno noi.

Mantenete la calma e state saldi.

ILVA, il suo percorso è la metafora del futuro di una nazione_con Augusto Sinagra

tra quelli che ci fanno

L’affare ILVA si sta rivelando la metafora del destino che l’Italia sta inseguendo nella sua frenesia autodistruttiva.

babbei al governo

Dal ruolo improprio, l’ennesimo, della magistratura alla contrapposizione paralizzante e arcadica tra difesa ambientale e salvaguardia del patrimonio industriale, specie di quello strategico di base, alla insipienza ed arrendevolezza di un ceto politico complice, ormai non solo oggettivamente. Una classe dirigente che non sa offrire un futuro, che non sa pensare all’interesse nazionale, che non sa far altro che nascondersi tra le pieghe sempre più asfittiche lasciate dagli attori geopolitici più intraprendenti. Ha dimostrato di non aver cura nemmeno delle condizioni minime di sopravvivenza del proprio apparato industriale; ha abdicato da ogni iniziativa politica lasciando sempre più spazio all’azione impropria di apparati preposti a sanzionare il mancato rispetto della legge; si sta facendo soverchiare da una multinazionale francoindiana complice dei propositi di desertificazione del paese ad opera dei “fratelli maggiori europei”. Un ceto politico inetto, scarsamente rappresentativo di interessi forti nel paese, ormai avviluppato in un conflitto tra bande. Potrebbe essere la grande occasione per un ceto politico alternativo di presentarsi come i difensori e gli assertori di una diversa prospettiva nazionale. E invece anche l’opposizione, compreso Salvini, sta rivelando limiti ed incomprensioni drammatici, per non dire di peggio. Di fronte a insolenti colpi di mano di Arcelor Mittal tesi a chiudere e danneggiare gli altiforni e alla reazione governativa meramente legalitaria, praticamente una manfrina, inadeguata rispetto all’urgenza drammatica della situazione, si chiosa bellamente sulla modalità di trattare con la multinazionale, sulle buone maniere piuttosto che spingere verso atti di imperio e straordinari che impediscano il vero e proprio sabotaggio in corso. La crisi ILVA è solo la punta di un iceberg che sta minacciando l’esistenza stessa di un apparato industriale appena degno di questo nome. Colpisce l’afasicità delle reazioni, compresa quella degli interessati diretti, gli operai. Non si può nemmeno più parlare della bollitura a fuoco lento di una rana. Qualche segnale di allarme, anche se tardivo, comincia a pervenire dagli ambienti imprenditoriali. E’ l’unico barlume di speranza rimasto. Si vedrà se il ricorso giudiziario, quel che pare una recita a contratto, si trasformerà in una reazione più risoluta. In controcanto ci sta pensando il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini a rivelarci convinto l’ultimo tassello della congiunzione astrale, assieme all’ambientalismo d’accatto e decrescista e ai propositi della Unione Europea a trazione franco-tedesca, che vorrebbe il funerale dell’ILVA e del paese: preoccupato del futuro dei quindicimila prossimi disoccupati, ha annunciato l’estensione dell’arsenale militare nel’area Italsider e la prossima assunzione di mille unità.

il complice

Vedremo! Buon ascolto_Giuseppe Germinario

LA TEORIA DELLE CATASTROFI, di Piero Visani

Lo storico Mario Silvestri – molto bravo anche se inviso all’accademia – era solito parlare de “l’Italia caporetta”, quel “fil rouge” che percorre tutta la nostra storia nazionale e ci porta da un disastro militare a un collasso politico, da una catastrofe naturale a un crollo di un’opera di ingegneria civile.
Silenzio assoluto su questi temi; al massimo qualche scrollata di capo e mai, dicasi mai, l’orgia di vieto moralismo che si fa, ad esempio, sul tema dell’evasione fiscale. Silenzio imbarazzato e/o complice, semmai, sui molti, enormi latrocini che vengono perpetrati utilizzando soldi pubblici.
Del ponte Morandi non è colpevole nessuno, salvo i 43 disgraziati che hanno avuto “la colpa” di passare di lì nel momento sbagliato. Dell’acqua alta a Venezia ha colpa il riscaldamento globale, non chi se ne è fregato di portare a termine il MOSE e si è preoccupato solo di portare via la cassa.
Ora non bisogna dividersi, nel senso che quelli che hanno rubato si terranno il malloppo e noi – ovviamente – i negozi e le case piene d’acqua, oppure continueremo a pagare le autostrade più care del mondo per riuscire a trovare la liberazione della morte (perché questa è la morte, in Italia, una liberazione) su qualche ponte mal manutenuto.
Un popolo estenuato ed esasperato, legittimamente privo di speranze, osserva tutto questo con scetticismo totale, sapendo che, se non si salverà da solo, non lo salverà nessuno. Reso scettico e cinico da una valanga di parole inutili e dalla mancanza ASSOLUTA di qualche fatto concreto.
Pian piano, ci avviciniamo “alla fine del libro che parlava di noi”, ridotti a farsesca espressione geografica, dove l’unica presenza statale che si percepisce è nell’applicazione di tasse e balzelli.
Siamo al “de profundis” e, per nostra fortuna, non ce n’è più spazio per molti altri. L’agonia si avvicina a grandi passi al termine. Si discuterà, si faranno assurde logomachie, non si farà lo straccio di un intervento concreto e, nel caso limite che venisse iniziato, non sarà MAI finito. Poi la catastrofe successiva andrà ad aggiungersi a quella precedente, in una sequenza interminabile e quasi soddisfatta di sé, a ben guardare.
Se dovessimo finire come Paese e come popolo, come auspico da tempo, potremo dire non solo – andreottianamente – che “ce la siamo cercata”, ma pure che ce la siamo meritata.
Un Paese dove pochi eroi masochisti riescono ad arrivare in orario, quale che sia il lavoro che svolgono, compirà il più straordinario dei miracoli: arriverà puntuale e in orario al suo tragico appuntamento con la fine della Storia. Non penso proprio che piangerò. Mi sono dimesso da italiano da oltre un decennio.

Del ponte Morandi non è colpevole nessuno, salvo i 43 disgraziati che hanno avuto “la colpa” di passare di lì nel momento sbagliato. Dell’acqua alta a Venezia ha colpa il riscaldamento globale, non chi se ne è fregato di portare a termine il MOSE e si è preoccupato solo di portare via la cassa.
Ora non bisogna dividersi, nel senso che quelli che hanno rubato si terranno il malloppo e noi – ovviamente – i negozi e le case piene d’acqua, oppure continueremo a pagare le autostrade più care del mondo per riuscire a trovare la liberazione della morte (perché questa è la morte, in Italia, una liberazione) su qualche ponte mal manutenuto.
Un popolo estenuato ed esasperato, legittimamente privo di speranze, osserva tutto questo con scetticismo totale, sapendo che, se non si salverà da solo, non lo salverà nessuno. Reso scettico e cinico da una valanga di parole inutili e dalla mancanza ASSOLUTA di qualche fatto concreto…

derive in pot pourri, a cura di Antonio de Martini

E SI CHE CE N AVOCATO DE FAMA
Una specificazione molto precisa. Dettagliata. Arcelor Mittal può recedere dal contratto di affitto – preliminare alla vendita – in tutta una serie di ipotesi. Già il contratto d’affitto con obbligo di acquisto di rami d’azienda, siglato il 28 giugno 2017, era abbastanza nitido. Ma l’accordo di modifica del contratto, che risale al 14 settembre 2018, è ancora più chiaro.

Il Sole 24 Ore ha avuto modo di leggere entrambi i documenti. E, a meno che non siano intervenute successive modifiche, dalla loro consultazione evapora ogni ambiguità. L’accordo che modifica il contratto dedica a ogni plausibile declinazione l’articolo 27. Il titolo è esaustivo: “Retrocessione dei rami d’azienda”. Quattro pagine fitte di fattispecie, sei paragrafi che definiscono ogni ipotesi.

«Nel caso in cui – si legge nel documento – con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non de o finitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch’esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l’annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell’art. 1, comma 8.1, del D.L. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l’annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l’esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell’impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall’annullamento in parte qua), l’Affittuario ha diritto di recedere dal contratto».

Il linguaggio contrattuale dà forma verbale alla sostanza della questione: cambia il quadro giuridico generale, che rappresenta lo sfondo regolamentare su cui si è svolta l’asta internazionale che ha visto ArcelorMittal prevalere su Jindal, Arvedi, Leonardo Del Vecchio e Cassa Depositi e Prestiti? Viene cancellata la non punibilità per reati compiuti da altri, prima dell’arrivo del nuovo proprietario a Taranto? Arcelor Mittal restituisce le chiavi dello stabilimento. E, questo, con qualunque tipo di misura, di qualunque fonte normativa.

Ma c’è dell’altro. Sempre nell’addendum al contratto siglato il 14 settembre 2018 si legge: «L’affittuario potrà altresì recedere dal contratto qualora un provvedimento legislativo o amministrativo, non derivante da obblighi comunitari, comporti modifiche al Piano Ambientale come approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano Industriale».

UN’INCHIESTA A ROMA PER PRESUNTE INTERCETTAZIONI ABUSIVE.
IL COINVOLGIMENTO RUSSIAGATE
DI TRUMP. IL CASO BIJA. LA GUERRA
AI VERTICI PER LE NOMINE. SONO GLI SCANDALI CHE FANNO TREMARE I NOSTRI 007
DI EMILIANO FITTIPALDI
Il grande caos all’italiana di fine 2019 sembra non risparmiare niente e nessuno. Fa traballare il neonato governo giallorosso di Giuseppe Conte, senza ossigeno a soli due mesi dalla nascita. Mo- stra le crepe profonde dell’economia nazionale, caratterizzata da crescita asfittica e crisi industriali che si trascinano insolute verso il burrone. Il disordine investe la maggioranza, i partiti, istituzioni e corpi intermedi e – secondo i pessimisti – rischia di risolversi in un solo modo: elezioni anticipate e vittoria della destra estrema di Matteo Salvini.
Dallo scompiglio non si salva nemmeno uno dei settori più delicati della Repubblica. Quello, cioè, dei nostri servizi segreti e delle autorità preposte alla sicurezza nazionale. Dal Russiagate di Trump alla vicenda dei trafficanti libici in visita nei ministeri, passando per le furiose guerre interne sulle nomine sino al coinvolgimento di pezzi da novanta dei nostri 007 nell’inchiesta su Antonello Montante, agenzie come Dis, Aisi e Aise (le ultime due monitorano rispettivamente la sicurezza interna e le minacce che arrivano dall’esterno) sembrano vivere uno dei momenti più delicati degli ultimi tempi.
«Il nostro core business, sia chiaro, resta solido: vantiamo ancora capacità ed eccellenze invidiate in mezzo mondo», spiega un’accreditata fonte interna. «Il problema è
che una crisi di sistema come quella che stiamo vivendo non può non avere rilessi anche su di noi. È come in uno specchio: siamo organismi che rispondono all’autorità politica. La debolezza dell’amministrazione, l’incapacità di comando e la selezione discutibile della nostra classe dirigente ha generato tensioni e trambusto».
MISTERO EXODUS
La situazione, ora, rischia di deteriorarsi ancora. A causa di alcune inchieste della magistratura. Su tutte, quella della procura di Roma sulla vicenda Exodus, un sistema spyware che una ditta di Catanzaro, la E. Surv, ha venduto anni fa a procure di mezza Italia per efettuare intercettazioni telefoniche attraverso l’inoculazione dei trojan nei cellulari degli indagati. Non solo: Exodus è stato acquistato anche dall’Aisi e dall’Aise.
Lo scorso maggio i pm di Napoli in un’inchiesta parallela hanno arrestato il proprietario della srl calabrese e il creatore della piattaforma informatica. Le accuse sono gravi: aver efettuato intercettazioni illecite su soggetti estranei a qualsiasi indagine penale e aver compiuto una frode in pubbliche forniture. Tutti i dati sensibili captati da Exodus sarebbero infatti finiti non all’interno di server protetti ubicati sul territorio nazionale – come previsto dai contratti con le procure e le authority – ma in un archivio segreto su un cloud Amazon in Oregon,
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Governo / Scontro tra apparati
Usa. Anche Vito Tignanelli e Maria Aquino, titolari della società STM che commer- cializzava Exodus per conto della E.Surv, sono stati indagati.
L’inchiesta dei colleghi di Roma sta invece cercando di capire chi e perché – nelle nostre agenzie di intelligence – ha voluto comprare il malware, e soprattutto se Exodus sia stato usato in modo illecito dai nostri 007 per spiare di nascosto obiettivi sensibili.
L’aggiunto Angelantonio Racanelli, presente il capo dell’ufficio “facente funzioni” Michele Prestipino, qualche settimana fa ha così deciso di sentire Luciano Carta, il generale della Finanza oggi numero uno dell’Aise. Sei mesi fa il capo dell’agenzia aveva già risposto con una lettera ad alcuni quesiti rivoltigli dall’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone andato poi in pensione, chiarendo che – almeno secondo quanto evidenziato dai documenti interni – il software-spia all’Aise non era mai stato utilizzato da nessuno.
Carta, per stilare la lettera, ha dovuto chiedere informazioni agli uomini che si erano occupati del dossier. Exodus, infatti, è stato acquistato tra fine del 2016 e l’inizio del 2017, quando il generale della Finanza era semplice numero due di Alberto Manenti. Le deleghe sui sistemi di sorveglianza interni e sulle intercettazioni preventive erano però in mano a Giuseppe Caputo, allora capo di gabinetto di Manenti e oggi attuale vicedirettore dell’Aise. Fu lui, d’accordo con l’allora direttore, a decidere di comprare Exodus. Anche perché la piattaforma, comprata per circa 350 mila euro con un versamento in contanti, era stata consigliata da Sergio De Caprio, alias Capitano Ultimo, che in quel periodo aveva lasciato i Carabinieri per approdare all’Aise.
All’uomo che catturò Totò Riina Manenti e Caputo avevano subito affidato compiti importanti, dalla sicurezza degli accessi della sede romana al tentativo (fortemente sponsorizzato da Marco Minniti, allora sottosegretario a Palazzo Chigi con delega
Gennaro Vecchione, direttore del Dis, l’organismo di coordinamento dei servizi.
Nell’altra pagina: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump
ai servizi) di pacificare le tribù del Fezzan per provare a chiudere le rotte subsahariane dei trafficanti di migranti. Ma la mansione primaria di De Caprio e dei suoi uomini (quasi tutti appartenenti al reparto dei carabinieri del Noe) era vigilare sulla sicurezza interna. Dunque guidare il reparto che deve investigare anche sulle possibili talpe che si nascondono tra le nostre barbe finte: Exodus fu preso anche perché i vecchi software forniti da Hacking Team non erano più utilizzabili.
Ora qualcuno in procura – nessuno è stato ancora iscritto nel registro degli indagati – teme che qualcuno dentro l’Aise possa aver efettuato intercettazioni abusive: le domande rivolte da Racanelli a Carta hanno riguardato proprio Exodus, e alla luce di quanto richiesto presto il direttore potrebbe fornire nuova documentazione sull’affaire.
Se le ipotesi investigative fossero fondate, il caso sarebbe ovviamente clamoroso. Fonti dell’intelligence e altre vicinissime all’inchiesta, però, evidenziano non solo che lo spyware Exodus non sarebbe mai stato usato dall’agenzia per la sicurezza esterna. Ma soprattutto che tutte le intercettazioni effettuate (con altri metodi e/o software senza bug) avrebbero tutte le autorizzazioni necessarie. In primis quella della procura generale della Corte d’Appello di Roma, guidata da Giovanni Salvi.
Ma come mai l’agenzia non avrebbe mai utilizzato Exodus per mesi nonostante i denari spesi? «L’Aise non ha mai usato Exodus per una ragione molto semplice: mancavano i prerequisiti tecnici», spiegano fonti qualiicate. Per dirla semplice, nel 2017 gli agenti degli affari interni e quelli dell’E. Surv che da contratto dovevano inoculare il trojan nei telefoni degli obiettivi (una volta innestato il trojan, gli uomini di Ultimo avrebbero dovuto remotizzare le informazioni in server sicuri), dopo aver avuto i decreti autorizzativi non sarebbero riusciti a iniettare Exodus nei dispositivi.
Un’operazione in efetti non semplicissima
IL PM CHE INDAGA SUL SOFTWARE EXODUS È RACANELLI. REGISTRATO DALLA GUARDIA DI FINANZA MENTRE PARLA CON PALAMARA SULL’AFFAIRE CSM
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ma, come dimostrato anche dall’ultima inchiesta sullo scandalo del Csm: il Gico della Guardia di Finanza riuscì ad infettare solo il cellulare di Luca Palamara, mentre gli altri indagati non aprirono l’Sms che nascondeva il virus, restando così immuni dalle intercettazioni ordinate della procura di Perugia.
Se gli accertamenti della procura dovessero confermare quanto già spiegato a suo tempo da Carta, generale stimato da tutto l’arco parlamentare, l’inchiesta sull’uso di Exodus in Aise potrebbe chiudersi presto. In caso contrario, Racanelli potrebbe presto chiamare in procura nuovi testimoni.
La questione resta delicata, e sono molti ad essere interessati allo sviluppo delle investigazioni. Nei servizi, al governo, ma anche dentro l’ufficio giudiziario di Roma, che aspetta ancora il successore di Pignatone. Anche perché il pm Racanelli – secondo qualcuno – rischia di essere in conlitto di interessi, perché suo fratello Paolo, nei mesi in cui Ultimo tentò di usare Exodus per incastrare presunte talpe interne all’agenzia, lavorava proprio nell’Aise.
Si racconta che i rapporti tra il fratello del pm e i suoi superiori, coloro dunque che sembrano essere al centro dell’indagine giudiziaria del congiunto, non fossero eccellenti. Non abbiamo certezze in merito. Ma è un fatto che lo 007 lasciò improvvisamente Forte Braschi nel 2017, per trasferirsi alla sede dell’Aisi di Bari. In Puglia è rimasto quasi due anni: oggi Paolo è tornato a Roma, in una sede del controspionaggio guidato da Mario Parente.
Anche quest’ultimo potrebbe presto es- sere chiamato a dare informazioni utili per chiarire se e come Exodus sia stato usato dai suoi agenti segreti: l’Aisi avrebbe infatti usato il software in dosi massicce. È necessario capire se dati sensibili siano finiti nel cloud in Oregon, e se informazioni chiave per la nostra sicurezza nazionale non siano state bucate da soggetti esterni senza autorizzazioni.
Vedremo. Di sicuro il pm Racanelli da qualche settimana è coadiuvato nell’inchiesta anche dall’aggiunto Paolo Ielo, che Prestipino ha voluto affiancare al titolare dell’indagine per rafforzare il pool. Una scelta non banale: grazie alla lettura di carte inedite risulta all’Espresso che proprio Racanelli a maggio fu ascoltato mentre discuteva con il collega Luca Palamara in merito a un esposto del pm Stefano Fava, che i magistrati di Perugia considerano essere stato scritto per danneggiare proprio Ielo. «Bisogna insistere per avere le carte, e incominciare a muovere le carte», dice Angelantonio a Palamara, furioso con Ielo perché aveva mandato gli atti su una sua presunta corruzione alla procura umbra. «La tua cosa in Prima Commissione (la sezione disci- plinare del Csm, ndr) rimarrà in stand by
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Foto: L. Mistrulli – Ag. Fotogramma, O. Douliery – Getty Images

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finché non si chiude il processo… questo è pacifico perché là non ci sono elementi… quindi secondo me la commissione non fa niente sulla pratica tua» spiega Racanelli (dimessosi a luglio da segretario di Magistratura indipendente subito dopo lo scoppio dello scandalo) all’amico. «Su quell’altra bisogna insistere… incominciare a convocare… perché così segnali…».
PATTO SCELLERATO
L’inchiesta sul malware Exodus non è l’unica che coinvolge i vertici dei nostri servizi. Divorati da guerre intestine per il potere e le nomine, da settimane le nostre barbe finte leggono e rileggono le motivazioni della sentenza con cui i giudici di Caltanissetta hanno condannato a 14 anni di carcere Antonello Montante, l’ex numero uno di Confindustria Sicilia che aveva – secondo il gup Graziella Luparello, «occupato, mediante corruzione sistematica e raffinate operazioni di dossieraggio, molte istituzioni regionali e nazionali». La sentenza cita anche due pezzi grossi dell’Aise, Mario Parente e Valerio Blengini, oggi numero uno e due dell’Aisi, che – interrogati dal gup in merito ad alcune fughe di notizie e un presunto tentativo di preservare un colonnello dei servizi (Giuseppe D’Agata considerato vici- nissimo a Montante) dall’inchiesta giudiziaria – avrebbero entrambi detto bugie ai giudici. «Blengini e Parente mentono sapendo di mentire
la carica riunisce quelle di ministro della Giustizia e Procuratore Generale
pendo di mentire», dice la Luparello. Per preservare «un patto scellerato, al quale potrebbe aver aderito, lo si afferma con grande desolazione, anche l’attuale direttore generale Mario Parente». Il gup è talmente convinta che i vertici del servizio interno non le hanno raccontato la verità che ordina, nei confronti di Blengini e il suo capo, la trasmissione degli atti alla procura nissena. Per valutare se i due abbiano compiuto o meno reati.
Il premier Conte, che ha mantenuto le deleghe sui servizi, segue i dossier che arrivano dalla magistratura con grande attenzione. Ma le sue preoccupazioni maggiori riguardano, in questi giorni, i possibili sviluppi del Russiagate americano. O meglio, del côté tricolore della vicenda, che rischia di tenere a lungo sulle spine sia Palazzo Chigi sia Gennaro Vecchione, che l’avvocato di Volturara Appula ha voluto fortemente a capo del Dis, il dipartimento che coordina i nostri servizi.
È noto che Conte ha chiesto al suo fedelissimo (e a Carta e Parente che si sono adeguati obtorto collo) di incontrare ad agosto e settembre il ministro della Giustizia William Barr. L’uomo che insieme al procuratore John Durham sta indagando sull’ipotesi che Donald Trump, accusato di essere stato aiutato dai russi nella campagna elettorale del 2016, sia al contrario vittima di un complotto ai suoi danni ordito da pezzi dell’Fbi e dai democratici, con l’aiuto di governi e servizi di alcuni paesi alleati.
Due incontri segreti di cui Conte non informò nessuno, nemmeno il Quirinale. Riunioni che alcuni giudicano fatto gravissimo («il premier ha venduto i nostri servizi a un governo straniero per ottenere il sostegno da Trump», attaccano le opposizioni), e che molti valutano quantomeno inopportuni, dal momento che Barr è un’autorità politica, e che i servizi possono scambiare informazioni solo con i loro omologhi.
Il presidente del Consiglio e Vecchione, interrogati davanti al Copasir, hanno minimizzato gli eventi, negando con forza che i nostri 007 abbiano girato a Barr informazioni sensibili sul presunto complotto. Sarà però fondamentale leggere il rapporto finale del Dipartimento di giustizia sui presunti abusi compiuti dal deep state Usa per azzoppare la campagna di Trump: se dovessero esserci particolari rilevanti sull’Italia che non collimassero con le dichiarazioni di Conte e Vecchione, le polemiche potrebbero tornare in prima pagina con efetti devastanti. E l’ipotesi già raccontata dal nostro settimanale di uno spostamento del generale a Palazzo Chigi come consigliere militare, con lo spostamento di Carta al Dis e la promozione di un interno come nuovo capo dei servizi esterni (Giovanni Caravelli è in pole position, Caputo pagherebbe la vicenda Exodus) prenderebbe di nuovo corpo.
«L’indagine di Durham (che ha cercato prove in Italia, Australia, Ucraina e Gran Bretagna, ndr) è molto importante, sento che è una delle indagini più importanti nella storia del nostro Paese», ha ribadito il presidente americano in settimana. Nel palazzo romano di Piazza Dante, nuova sede dei nostri servizi, si augurano che Trump e Barr, essendo alle prese con la procedura di impeachment per le presunte pressioni fatte al governo ucraino per danneggiare il rivale Joe Biden, bluffino. O che, quantomeno, il lavoro di Durham e dell’ispettore generale del Dipartimento di Stato Michael Horowitz alla fine non citi espressamente l’Italia. «Se fossimo coinvolti davvero nel rapporto sarebbe un disastro», spiegano dal Dis. «Anche perché oggi non possiamo permetterci distrazioni. Le nostre agenzie devono concentrarsi pancia a terra su fronti caldi, in primis sulla Libia e sui tentativi di riportare a casa i nostri concittadini rapiti all’estero», come Silvia Romano.
In questi giorni, inoltre, a creare ansia è pure il rinnovo automatico degli accordi con l’esecutivo di Al Serraj, firmati da Paolo Gentiloni e Minniti nel 2017. Mentre molti addetti ai lavori, tra cui il prefetto Mario Morcone, non si capacitano ancora di come abbiano fatto i nostri servizi a permettere che un guardacoste e trafficante di rango come Abdulrahman Al Milad detto “Bija”, potesse due anni fa arrivare in Italia per discutere di politiche migratorie con nostri funzionari. Tanto da essere immortalato con tutti gli onori in alcune fototografie pubblicate su “Avvenire” che hanno dato il via al caso.
A Palazzo Chigi sottolineano che le eventuali responsabilità politiche e quelle inerenti al “mancato controllo” siano da addebitare a chi c’era prima, e che Conte e i nuovi vertici da poco insediatesi nulla potevano sapere. Nessuno fa nomi a chi scrive, ma è facile immaginare che ad Alberto Manenti, ex capo dell’Aise, possano fischiare le orecchie. Per trent’anni nell’agenzia, di cui conosce a menadito strutture e segreti, Manenti – grande conoscitore dello scenario libico, vanta buoni rapporti sia con Al Sarraj sia con il rivale Khalifa Haftar – è tornato a sorpresa sulla scena pochi giorni fa. Quando ha prima incontrato il capo della Cia Gina Haspel in un albergo della Capitale vicino l’ambasciata di Via Veneto (di che hanno parlato? Dello spygate?), poi ha “portato” l’ambasciatore libico a Roma dal neo ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. A che titolo, resta un mistero.
Gli amici sostengono che Manenti sia così intraprendente solo per provare a dare qualche buon consiglio «dall’alto della sua grande esperienza», eppure nei servizi segreti e a Palazzo Chigi le mosse dell’ex numero uno non sono affatto piaciute. Non solo per l’eccessiva autonomia di un semplice pensionato: gli si rinfaccia pure un rapporto ancora troppo stretto con Caputo e legami con Leonardo Bellodi, ex capo delle relazioni istituzionali di Eni che lo scorso febbraio ha fondato il “Marco Polo Council”. Un think tank specializzato in intelligence che ha ottime entrature in Usa, Israele e Medio Oriente.
Il problema di fondo, però, resta uno sol- tanto: quando il caos indebolisce l’autorità politica, la confusione si riverbera automaticamente sulle istituzioni controllate. Dunque: o Conte riprende rapidamente il controllo saldo della barra del timone, o altri scandali porteranno la barca della no- stra intelligence verso scogli ancora più perigliosi. Q
IL PREMIER CONTE E IL DIRETTORE DEL DIS VECCHIONE ASPETTANO CON ANSIA LA PUBBLICAZIONE
DEL RAPPORTO BARR. CHE POTREBBE SMENTIRLI
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Foto: E. Ferrari – Ansa, S. Georges – The Washington Post via Getty Images

IL SENSO DI UN VOTO, di Piero Visani

IL SENSO DI UN VOTO

L’editoriale che il professor Ernesto Galli della Loggia ha dedicato ai risultati delle elezioni regionali umbre sulle pagine del “Corriere della Sera” di oggi meriterebbe un’attenta analisi, specie a quanti – e sono incredibilmente numerosi, oltre che incredibilmente amatoriali… – pensano che il monitoraggio dell’informazione consista nel presentare ai rispettivi “capoccia”, la mattina presto, le fotocopie degli articoli più rilevanti comparsi sulla stampa italiana, senza valutazione alcuna di contorno.
Questo denso articolo di fondo prende le mosse dai rapporti che è ormai necessario stabilire, a livello partitico, con l’elettorato di opinione, rapporti che sono sicuramente più importanti e urgenti in un’epoca post-ideologica, che pare possa essere diretta dalle iniziative capillari di sistemi di comunicazione ad hoc, ma ha pure bisogno di molto di più di tutto questo, perché è vero che oggi i consensi si ottengono in modo molto più facile di un tempo, ma è anche vero che sono consensi “liquidi”, pronti a cambiare destinazione in fretta.
Galli della Loggia cita, al riguardo, il paradigmatico esempio della liquidità post-ideologica grillina, che ha finito per approdare, nel giro di un quinquennio, al più totale e assoluto nullismo, perché è arrivata al governo in fretta, ma poi ha cercato di risolvere il suo rapporto con il mondo nel fin troppo mitico “uno vale uno”, vale a dire in una straordinaria bugia inserita dentro una colossale panzana, che ne ha mostrato la più totale inesistenza nei rapporti con la società civile e lo “Stato profondo”, e lo ha portato ad assumere come “garante” una figura tutto men che adamantina e sicuramente eterodiretta come il professor Giuseppe Conte.
Il dramma è che, a fronte di avversari politici in totale liquefazione, il Centrodestra italiano, anche nella versione Destracentro che si dice possa prevalere, ha da opporre loro il medesimo nullismo e la medesima, totale liquidità “à la” Zygmunt Bauman.
Si notano – è vero – i movimenti di posizionamento di coloro, e sono tanti, che tirano a una poltrona, una poltroncina o anche un semplice strapuntino, ma non c’è “grande politica”, in tutto questo; c’è la solita e in fondo meschina “piccola politica” ispirata al semplice “cambio di glutei”. Cosa potrà scaturire da tutto questo? Ovviamente NULLA, è la risposta fin troppo facile. E’ una tragedia che ciò accada nel momento in cui la società italiana respinge con forza – come un “altro da sé” – l’accoppiata catto-comunista che l’ha ridotta progressivamente in povertà. Ma il problema è che gli attuali vincitori non hanno un PROGETTO per il futuro della società italiana, ammesso e non concesso che di averne uno interessi loro qualcosa. Pensano alle prossime elezioni, per vincerne una e perdere quella successiva, dopo aver fatto vedere “urbi et orbi” (anche nel senso di cecati…) quale sia la loro consistenza, politica e metapolitica. Questo è il vero dramma nazionale.

THE DAY AFTER

Esaurita la fase dei trionfalismi di prammatica (quella non può mai mancare…) e la fase della sistemazione “gluteare” (neppure quella può mai mancare, glutei e politica in Italia hanno un legame indissolubile), poi DOVREBBE cominciare quella di riuscire a cambiare qualcosa (fase cui nessuno, nel centrodestra, pensa mai…). Così, tra qualche mese, l’elettore medio comincerà a chiedersi per quale diavolo di motivo li ha votati, certi partiti. E la domanda, come sempre, rimarrà senza risposta, favorendo rapidi recuperi degli avversari.
Perché certe vittorie dovrebbero (e sottolineo dovrebbero…) essere un INIZIO e invece, in un ambito che ignora completamente la questione della metapolitica, del “Deep State”, del consolidamento in ambito culturale e societario, presto tutto sarà una FINE.
Nel frattempo, prevedo qualche corso di formazione da “Fossombroni [con la “i”, non con la “e”, ovviamente] a Cucinelli”. E il vuoto metapolitico, magicamente, si colmerà…

parabole e figuri, di Piero Visani e Augusto Sinagra

ARROGANZA E TRACOTANZA

A quanto riferiscono i mezzi di comunicazione l’ultimo annuncio del Conte Tacchia, al secolo Conte Giuseppe (quello del curriculum che esaltava le sue gesta) è che il governo da lui presieduto per volontà del figlio di Bernardo Mattarella e del pampero argentino (si sa: Dio crea gli uomini e questi poi si accoppiano per affinità) creerà un milione e mezzo di posti di lavoro per gli africani irregolarmente presenti sul territorio nazionale.
Quello che non chiarisce l’Avvocato dell’Unione europea è come si faccia a concludere un contratto di lavoro con persone delle quali si ignora la vera identità, il luogo e la data di nascita e le pregresse vicende di vita.
Neppure chiarisce che tipo di contratto di lavoro, in quale settore, per quali prestazioni lavorative.
Viene il dubbio che il bellimbusto pugliese abbia avuto questa idea dopo aver visto o rivisto il film “Via col vento” recuperando alla memoria gli schiavi addetti alle piantagioni di cotone.
Quello che indigna dell’annuncio di questo deplorevole personaggio è che evidentemente non gliene fotte niente dei cinque milioni di italiani (e forse di più) che l’ISTAT colloca nella fascia di povertà.
Probabilmente con questa dichiarazione il foggiano che ha l’unico merito dell’eleganza, come dice Vittorio Feltri, ha inteso consapevolmente pigliare per il culo il Popolo italiano e gli stessi clandestini africani che vengono immessi sul territorio nazionale in sfacciata violazione della legge (mi riferisco al Decreto convertito in legge relativo ai cosiddetti “porti chiusi”).
Che il giovanotto foggiano ami prendere per il culo il Popolo italiano ha un recente precedente: il cosiddetto “accordo di Malta” con il quale lui assumeva di aver fatto in un giorno più di quanto aveva fatto il Ministro Matteo Salvini in 14 mesi. Si è visto come è andata e come sta andando fino al punto che la Signorina Luciana Lamorgese, Ministro dell’Interno (ma chi glielo doveva dire?!) chiede piagnucolosamente aiuto all’Unione europea la quale ovviamente se ne frega perché il progetto preordinato è che l’Italia sia un campo di raccolta di clandestini e di irregolari.
Il giovane pugliese mostra una smisurata e ingiustificata considerazione di sé stesso ma non si rende conto che si sta consegnando, nella sua smania di protagonismo e nella sua accecata ambizione, ad essere iscritto nella pagina più triste della recente storia nazionale: lui e tutti i suoi sodali del governo che per il bene della Nazione ci si augura che possa cadere il più presto possibile.
Fin da ora occorre pensare a come rimediare ai danni provocati a tutto il Popolo italiano da questo governo che è espressione di volontà e intendimenti tanto ignobili quanto inconfessabili.
AUGUSTO SINAGRA

PARABOLE: DA GRILLO A GRILLOTALPA, di Piero Visani

Come capita spesso a coloro che vorrebbero “cambiare il mondo”, succede che i loro propositi si fermino a mezza via, o a un quarto di via oppure per mutamento di destinazione.
Può capitare, ad esempio, che un noto “Grillo” sventratore di parlamenti e istituzioni affini rinunci al nobile compito che si era dato per trasformarsi in un ben più modesto – e diffuso – grillotalpa, che – come si legge su Wikipedia (perdonate l’assoluta modestia della fonte, ma devo lavorare e non percepisco redditi di cittadinanza):
“Il grillotalpa può risultare molto dannoso per le coltivazioni; è polifago, nutrendosi di una vastissima gamma di piante, di cui attacca in particolare le radici; oltre a cibarsene, le trancia per scavare le sue gallerie [Incredibile, per un no TAV…] e anche quelle che non vengono danneggiate in questo modo subiscono gli effetti del disseccamento del terreno dovuto alla sua azione”.
Altra alternativa possibile sono i grilli che – per ragioni varie che non stiamo qui ad approfondire, tanto le conoscono tutti visto che sono all’onore delle cronache – diventano delle autentiche “bocche di rosa”, come nel celeberrimo testo della canzone di Faber:

“La chiamavano bocca di rosa
Metteva l’amore, metteva l’amore
La chiamavano bocca di rosa
Metteva l’amore sopra ogni cosa.

Appena scese alla stazione
Nel paesino di Sant’Ilario [capite a me…]
Tutti si accorsero con uno sguardo
Che non si trattava di un missionario”.

In effetti, l’abbiamo ormai compreso pure noi…

amarcord di un capitano, di Giuseppe Germinario

I pescatori, si sa, sono una comunità un po’ particolare. Corrono insieme ai punti di approdo, ma devono scegliersi in solitaria il punto di pesca più promettente. Passano il tempo pazientemente concentrati a percepire ogni piccolo sussulto della lenza, ma hanno sempre parte dello sguardo rivolto di sottecchi verso le fortune alterne del vicino di sponda. Matteo Salvini, mi pare di vederlo. Dietro la finestra con gli occhi gonfi di rammarico e lo sguardo fisso verso la favorevole postazione abbandonata appena due mesi fa e ormai occupata da altri, per di più suoi acerrimi avversari. La pesca sino a quel momento, in quel punto, era stata miracolosa; in quello specchio di acqua si avvertivano però i primi segni apparenti di esaurimento del banco. Compiaciuto del risultato e inquieto per lo stallo, avrà pensato che il merito fosse soprattutto delle capacità ipnotiche del pescatore piuttosto che delle condizioni ambientali favorevoli. Suggestioni probabilmente misteriosamente irradiate dal rosario gelosamente custodito e grossolanamente ostentato. Era arrivato il momento di ambire ad una postazione più promettente e autorevole e ad una qualità di pescato più pregiata e prestigiosa. Abbandonando il presidio così fruttuoso, aveva azzardato che anche tutti gli altri, compreso il capofila, abbandonassero rassegnati il proprio.

Preso dal miraggio della moltiplicazione dei pesci, Matteo Salvini non aveva compreso e non si era accorto di due cose fondamentali ed ha finito lui paradossalmente per abboccare.

Per lui si trattava di ambire ad una preda più gratificante agli occhi e al palato, per gli altri di abbandonare il presidio che avrebbe loro garantito una sussistenza quantomeno onorevole

Il pesce è solito avvicinarsi alla scogliera per nutrirsi la sera e al mattino, quando i bagnanti si ritirano, la bonaccia lo culla senza rischi particolari e i bocconcini papabili fuoriescono dai piccoli anfratti delle rocce.

Matteo Salvini, l’apostolo pescatore, non si è accorto purtroppo o non ha voluto vedere che il banco non era più così gremito solo per le troppe mute in immersione che fibrillavano a bella posta i flutti della sua riserva.

Ha visto i rivali, alla fine, mantenere le posizioni ed occupare la sua proprio quando, immediatamente dopo l’abbandono, le condizioni di pesca si stavano dimostrando particolarmente favorevoli.

Non si sa se i pescatori succedutisi siano in possesso delle abilità necessarie a cogliere la pesca miracolosa; i pesci al contrario si sa, non sanno esprimersi con la bocca, ma sanno coltivare altrimenti la propria astuzia. L’augurio è anzi che tra tonni ed acciughe capiti qualche squalo o qualche piovra abbastanza agili da afferrare fuor d’acqua i predatori attualmente in cima alla scala alimentare.

Sta di fatto che il Capitano che ambiva a diventare Generale, almeno per un bel po’ non potrà nemmeno avvicinarsi al timone e nemmeno riprendere la posizione e il titolo conquistatosi sul campo; e neppure ad ambire a sedute di pesca tranquille nell’attesa.

Fuor di metafora le condizioni favorevoli, presentatesi non a caso a ridosso della improvvida ritirata, sono al momento due, in un contesto nel quale il Bel Paese sta diventando sempre più uno dei campi della cruenta singolar tenzone che sta opponendo le classi dirigenti statunitensi e le loro propaggini europee:

  • Le pesanti pressioni, per altro verosimilmente giustificate, che gli esponenti della Presidenza Americana stanno esercitando sul Governo e direttamente sugli stessi alti funzionari dei Servizi di Intelligence italiani e americani qui operativi, per ottenere chiarimenti e giustificazioni sul ruolo svolto da questi nella costruzione dell’artificio del Russiagate. I nomi che circolano insistentemente negli States e ormai sommessamente anche in Italia toccano le cariche più alte degli apparati di sicurezza e politici di primo rango, in particolare di area sinistrorsa. Quale migliore occasione per mettere in difficoltà se non addirittura destabilizzare una parte essenziale del sistema di potere ultratrentennale che ha portato allo sfascio e alla più umiliante subordinazione politica il nostro paese e per sferrare il colpo definitivo alla espressione politica che ne ha governato ricorrentemente le sorti?
  • La crisi già latente ma sempre più aperta e inquietante che sta investendo la Germania, il paese centrale della Unione Europea, frutto dello sconvolgimento del sistema unipolare concepito e abbozzato negli anni ’90 e della riconsiderazione dei rapporti e delle gerarchie tra il paese leader del mondo occidentale, gli Stati Uniti e quello dei suoi alleati subordinati sta mettendo sempre più in discussione l’autorevolezza e la sostenibilità delle politiche comunitarie nonché la compatibilità dei vincoli-capestro che stanno facendo languire le economie europee e dissanguando in particolare quelle mediterranee. Si tratta di uno conflitto geopolitico interno all’alleanza che ha assunto le vesti di un confronto geoeconomico; una dinamica che vede sempre più vacillare il complesso delle istituzioni comunitarie europee grazie all’opera innanzitutto del suo principale e originario artefice. Viene a cadere così la motivazione morale e moralistica della distinzione di trattamento tra paesi maiali (PIIGS) e paesi “virtuosi”. Una messinscena che ha retto e giustificato una spoliazione ventennale, in particolare del nostro paese il cui sfarinamento offre nuovi margini di trattativa e di reazione alle vittime. Anche questa una occasione per innescare uno scontro o un confronto meno parolaio e velleitario forti della presenza di concreti piani B, sino ad ora chimerici.

Il primo Governo Conte, a partire dalle elezioni europee, aveva ormai imboccato il viale del tramonto. Il piano di accerchiamento ai danni di Salvini è stato costruito abilmente e la morsa che lo stava paralizzando sempre più soffocante. La parodia della lettera di infrazione della Commissione Europea ormai decaduta è stata solo la ciliegina sulla torta. I segnali che gli avversari interni al governo cominciassero ad appropriarsi della conduzione degli stessi cavalli di battaglia del leghista, a cominciare dal problema dell’immigrazione, erano ormai visibili.

La strada intrapresa da Salvini era sempre più irta di ostacoli e disseminata di trappole. All’interno del suo partito numerosi esponenti, verosimilmente, anziché sostenerlo lo hanno spinto ad inciampare. Alla fine, però, è stato lui a scegliere il tempo e le modalità migliori, ma per gli avversari, di conduzione dell’operazione trasformistica ai suoi danni.

Il leader leghista non ha mai goduto di particolare credito negli ambienti, in specie americani che avrebbero potuto sostenerlo. Le sue acritiche intemerate a favore di Guaidò in Venezuela e di Netaniau in Israele parevano musica per le orecchie della Amministrazione Americana, in realtà sono stati degli assist gratuiti, per altro del tutto ininfluenti, a favore della sua componente più oltranzista, ma ridimensionata con le recenti dimissioni di Bolton. Non è stato l’unico gesto da acchiappafarfalle; anche i suoi rapporti con Bannon confidavano in accreditamenti che l’esponente americano non era in grado di garantire. Mi fermo qui per non infierire.

Salvini, assieme a Conte, entrambi hanno avuto in parziale autonomia una carta strategica da giocare rispetto ai compari franco-tedeschi, nel Mediterraneo arabo ed in Libia in particolare. Non hanno saputo né voluto giocarla.

Siamo lontani dalla visione e dalla “audacia” offerte dai Triumviri Andreotti, Craxi, de Michelis, con i prodromi e gli antefatti di Aldo Moro. Il prezzo pagato alla fine da questi ultimi fu particolarmente salato. La loro azione, però, fu propedeutica e decisiva agli accordi di Oslo e alle trattative di Camp David tra Arafat e il Governo Israeliano almeno sino a quando il governo americano decise di condurre in prima persona il gioco. Ancora più coraggiosa, ma sfortunata fu la loro azione tesa a salvaguardare l’integrità della Jugoslavjia. Il contesto geopolitico era radicalmente cambiato e i nemici interni, a cominciare dalle regioni del Triveneto e dal Vaticano, erano particolarmente attivi ed efficaci.

All’attuale classe dirigente italiana, compreso Salvini, non si può chiedere tanto; ma il pressapochismo è veramente disarmante. Lungi da una visione strategica, manca ogni minima accortezza tattica; al massimo furbizia, ma senza astuzia.

Si dirà che “del senno di poi son piene le fosse” ed una situazione geopolitica e politica così intricata non agevola certamente le scelte più opportune e lungimiranti e spingono all’azzardo.

Senza menar vanto, giacché il ruolo di cassandre è puramente coreografico e poco consolante, i redattori del nostro blog, assieme a pochissimi altri, da mesi se non da anni stanno deliberando in maniera originale e sino ad ora attendibile sulla condizione europea, francotedesca e soprattutto americana e in controtendenza con le vulgate più modaiole. A maggior ragione i professionisti della politica dovrebbero possedere strumenti migliori e più efficaci di valutazione.

La Lega soffre di tre tare drammatiche che le impediscono il salto di qualità.

La prima, comune a tutti i partiti, di essere una semplice macchina elettorale ma quasi del tutto priva di legami con quel “partito istituzionale” trasversale o con quei gruppi di “funzionari” che possono garantire almeno una parziale operatività delle scelte politiche.

La seconda è l’incapacità di offrire a quei ceti sociali, specie professionali ed imprenditoriali, presenti in essa, una alternativa credibile al pedissequo allineamento europeista e filotedesco in una situazione per altro ben diversa e molto meno allettante rispetto aille suggestioni filotedesche di trenta anni fa.

Se per il PD il processo di rimozione degli antefatti “comunisti” ha consentito una sopravvivenza trentennale che però lo sta comunque portando ad un progressivo logoramento, il processo di rimozione, piuttosto di giustapposizione, delle posizioni federal-seccessioniste con le ambizioni di partito nazionale rendono pressoché impossibile una navigazione a vista e opportunistica per lungo tempo.

Checché ne pensino i sovranisti di sinistra, ultimi arrivati in questo caleidoscopio, i quali poggiano sui diseredati, sulla plebe, sui precari e sugli sfruttati le ambizioni e i propositi di emancipazione del paese e della formazione sociopolitica e di ricostruzione delle prerogative statuali, l’apporto dei ceti professionali ed imprenditoriali, compresi quelli della grande industria, in specie strategica, è imprescindibile per la realizzazione di queste ambizioni, comprese quelle di potenza e quelle di una formazione sociale più giusta ed equilibrata.

Le Lega si sta rivelando altrettanto incapace ad assolvere a questo compito.

Il risorgente livore anticomunista, il neoeuropeismo di soppiatto ritrovato lasciano presagire un repentino ritorno alle origini della Lega negli alvei classici della lotta e della collusione politica.

A quel punto, raggiunto il quale, l’unico dubbio che rimane sarebbe se Salvini c’è o ci fa; anche su questo non è detto che i comportamenti fattuali coincidano necessariamente con le intenzioni.

 

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