LA GUERRA RUSSIA-UCRAINA: LO STUPIDO E L’ANALISTA, a cura di Luigi Longo

LA GUERRA RUSSIA-UCRAINA: LO STUPIDO E L’ANALISTA

a cura di Luigi Longo

Ho trovato interessante sia la conferenza stampa di Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, tenuta a Bruxelles il 25/11/2022 e ripresa dall’agenzia Adnkronos e pubblicata, a mò di stralcio, sul suo sito https://www.adnkronos.com/ucraina-stoltenberg-diventera-membro-nato_5EZiSZ99s7FBWwsQbcCHLa/amp.html, sia l’intervista del colonnello statunitense Douglas Macgregor rilasciata al canale polacco Votum TV e pubblicata sul sito www.comedonchisciotte.org del 24/11/2022.

Le riporto per riflettere sia sulla stupidità di Jens Stoltenberg sia sull’analisi concreta e ragionata del colonnello Douglas Macgregor.

Una precisazione e una riflessione. La precisazione riguarda il concetto di stupidità, una sorta di scherzosa (mica tanto) teoria generale della stupidità umana, elaborata dallo storico Carlo Maria Cipolla (Allegro ma non troppo, il Mulino, Bologna, 1988, in particolare le pagine 65-77) che così la definisce << Il secondo fattore che determina il potenziale di una persona stupida deriva dalla posizione di potere e di autorità che occupa nella società. Tra burocrati, generali, politici, capi di stato e uomini di Chiesa, si ritrova l’aurea percentuale […] di individui fondamentalmente stupidi la cui capacità di danneggiare il prossimo fu (o è) pericolosamente accresciuta dalla posizione di potere che occuparono (o occupano). La domanda che spesso si pongono le persone ragionevoli è in che modo e come mai persone stupide riescano a raggiungere posizioni di potere e di autorità >>. Affermare, come fa Jens Stoltenberg, che << […] Se Putin, o altri leader autoritari, vede che l’uso della forza è premiato, la userà ancora per raggiungere i suoi obiettivi. E’ quindi nei nostri interessi di sicurezza sostenere l’Ucraina. Bisogna ricordare che la Russia è l’aggressore, l’Ucraina è vittima di una aggressione e l’Ucraina ha il diritto di difendersi e noi la aiutiamo a farlo >> rientra sia nel potere della stupidità << La persona intelligente sa di essere intelligente. Il bandito è cosciente di essere un bandito. Lo sprovveduto è penosamente pervaso dal senso della propria sprovvedutezza. Al contrario di tutti questi personaggi, lo stupido non sa di essere stupido. Ciò contribuisce potentemente a dare maggiore forza, incidenza ed efficacia alla sua azione devastatrice. Lo stupido non è inibito da quel sentimento che gli anglosassoni chiamano self-consciousness. Col sorriso sulle labbra, come se compisse la cosa più naturale del mondo lo stupido comparirà improvvisamente a scatafasciare i tuoi piani, distruggere la tua pace, complicarti la vita ed il lavoro, farti perdere denaro, tempo, buonumore, appetito, produttività – e tutto questo senza malizia, senza rimorso, e senza ragione. Stupidamente. >>; sia nella quarta legge fondamentale della stupidità che afferma << Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore. Nei secoli dei secoli, nella vita pubblica e privata, innumerevoli persone non hanno tenuto conto della Quarta Legge Fondamentale e ciò ha causato incalcolabili perdite all’umanità. (grassetto mio, LL) >>.

La riflessione concerne l’analisi concreta della situazione concreta del colonnello Douglas Macgregor. Ne rimarco alcuni passaggi << Non vedo alcuna prova che Mosca sia interessata ad attaccare la NATO. Di certo non è interessata ad attaccare l’Occidente e penso che l’intero conflitto si sarebbe potuto evitare se avessimo semplicemente riconosciuto i legittimi interessi di Mosca riguardo a ciò che accade in Ucraina […] questo regime di Zelensky sia un governo molto pericoloso, inguaribilmente ostile alla Russia e che risponde esclusivamente alle istruzioni di Washington, che, a sua volta, ha deciso di indebolire la Russia in ogni modo possibile […] Beh, torniamo indietro e rendiamoci conto che la struttura militare che Putin e il suo governo hanno costruito negli ultimi 15-20 anni è stata concepita principalmente per difendere la Russia. Non è stata progettata per una guerra di conquista contro Paesi confinanti e, secondo me, [l’Occidente] non ha capito che la riduzione delle dimensioni e il cambiamento di orientamento [dell’esercito russo] lo rendevano molto diverso da quello che esisteva all’epoca dell’Unione Sovietica […] Sono abbastanza sicuro che i Russi non vorranno rimanere nell’Ucraina occidentale, che è il cuore dell’Ucraina e dove vivono i veri Ucraini. I Russi non sono interessati ad una cosa del genere. I Russi probabilmente si ritireranno nella parte alta del fiume, ma, per quanto riguarda Kherson, Kherson è sempre stata russa. Odessa è stata fondata dai Russi, anche se si potrebbe dare un po’ di merito ai Tedeschi, che erano certamente al servizio di Caterina la Grande, e che avevano partecipato alla costruzione di molte di queste città, insieme a Inglesi, Scozzesi e Olandesi. Siamo sinceri, il punto fondamentale è che questa regione è sempre stata russa, non è mai stata ucraina, il vero “cuore dell’Ucraina” è più a nord, a nord del Mar Nero. I Russi riconquisteranno Kherson e riconquisteranno anche Kharkov. Queste sono città storicamente russe, ma i Russi non sono interessati al resto del Paese. >>.

La guerra Russia-Ucraina si gioca nella soluzione del conflitto interno (in equilibrio dinamico) agli agenti strategici statunitensi. In sintesi, se: a) questo esprimerà un blocco egemone che produrrà un progetto di sintesi nazionale di una nuova idea di sviluppo e riorganizzazione sociale in grado di dialogare, come potenza mondiale, con il progetto del costituendo polo asiatico e, quindi, creare una frattura nella storia statunitense per rimanere nella fase multicentrica che significa condivisione e rispetto tra i costituendi poli: Occidentale (ad egemonia statunitense) e Orientale (ad egemonia cinese e russa) per il dominio mondiale; b) oppure, il conflitto, esprimerà un blocco egemone, sulla scia della storia statunitense, che fa della guerra lo strumento per l’affermazione del dominio mondiale monocentrico che porterà alla fase policentrica, ossia alla terza ed ultima guerra mondiale. Seneca, letto da Concetto Marchesi (Seneca, Casa editrice Giuseppe Principato, Messina-Milano, 1934, pag.274), sosteneva che << La guerra dell’uomo all’uomo è un pericolo quotidiano contro cui bisogna sempre premunirsi e vigilare; è il male più frequente, più tenace e più insidioso. La tempesta minaccia prima di scoppiare, l’edificio scricchiola prima di rovinare, il fumo preannunzia l’incendio: la rovina che ci viene dall’uomo è improvvisa ed è tanto più nascosta quanto più vicina. E’ un errore credere ai volti che ci si presentano: l’immagine è di uomo, l’animo è di belva; ma delle belve è più pericoloso il primo assalto: una volta passate non ci ricercano più, e solo il bisogno le porta a nuocere costrette dalla fame e dalla paura; per l’uomo è un piacere rovinare un altro uomo. >>.

In chiusura, rilevo, di sfuggita, che altra cosa è ragionare sul perché le relazioni sociali devono attraversare il campo del potere e del dominio (ossia il campo della stupidità che coinvolge tutti: stupidi e non stupidi) che sono distruttrici di sensatezza sociale storicamente data. Qui dobbiamo studiare, capire, comprendere la storia umana sessuata se vogliamo trasformare i rapporti sociali fondati sul potere e sul dominio in tutte le sfere della società e nell’insieme della vita pubblica e privata che sono intrecciate e innervate.

LO STRALCIO DELLA CONFERENZA STAMPA

UCRAINA, STOLTENBERG: “DIVENTERÀ MEMBRO NATO”

“Russia non ha veto su ampliamento Alleanza”

a cura di redazione Adnkronos

L’Ucraina diventerà membro della Nato. “Le porte della Nato sono aperte e lo abbiamo dimostrato non solo a parole ma anche con i fatti”, con la recente adesione della Macedonia del Nord e, quest’anno, l’avvio del processo di adesione di Finlandia e Svezia, passi a cui Mosca si opponeva, ha sottolineato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, in una conferenza stampa a Bruxelles, precisando che così facendo “dimostriamo che le porte della Nato sono aperte, la Russia non ha un veto sull’ampliamento dell’Alleanza e spetta ai Paesi alleati decidere sulle adesione”.

“E questo è lo stesso messaggio diretto all’Ucraina. Abbiamo ribadito la decisione presa al vertice di Bucarest del 2008 che l’Ucraina diventerà un Paese membro”, ha quindi aggiunto in vista della riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi Nato la prossima settimana, sempre a Bucarest.

“Il modo di aiutare l’Ucraina a raggiungere la membership è quello di lavorare insieme a Kiev, sia a livello politico che di sostegno pratico, che è quello che facciamo”, sia assicurando le necessità più urgenti di Kiev, che una cooperazione più a lungo termine.

“La maggior parte delle guerre terminano con negoziati, ma quello che avviene al tavolo negoziale dipende da quello che è accaduto sul campo di battaglia. Quindi la cosa migliore per aumentare le possibilità di una soluzione pacifica è sostenere l’Ucraina. Non ci tireremo indietro”, ha affermato ancora Stoltenberg.

“I Paesi alleati forniscono (a Kiev, ndr) sostegno militare senza precedenti e mi aspetto che i ministri degli Esteri si impegneranno per aumentare il loro supporto di equipaggiamenti non letali. Alla riunione di Bucarest chiederò più contributi. Sul tempo più lungo, aiuteremo l’Ucraina alla transizione da sistemi d’arma di epoca sovietica a standard Nato e incontreremo Dmytro Kuleba per discutere delle necessità più urgenti e del sostegno a lungo termine”, ha quindi anticipato.

“Putin sta fallendo in Ucraina e risponde con più brutalità. Ondate di attacchi missilistici diretti contro cittadini e infrastrutture civili privano gli ucraini di riscaldamento, luce e acqua. Sono tempi duri anche per il resto dell’Europa e per il resto del mondo, stiamo tutti pagando un prezzo per la guerra della Russia in Ucraina. Ma per noi il prezzo è in denaro, per gli ucraini è con il sangue. Se consentiamo a Putin di vincere, tutti noi pagheremo un prezzo più alto negli anni a venire. Se Putin, o altri leader autoritari, vede che l’uso della forza è premiato, la userà ancora per raggiungere i suo obiettivi. E’ quindi nei nostri interessi di sicurezza sostenere l’Ucraina. Bisogna ricordare che la Russia è l’aggressore, l’Ucraina è vittima di una aggressione e l’Ucraina ha il diritto di difendersi e noi la aiutiamo a farlo”.

L’INTERVISTA

L’UCRAINA STA PER ESSERE ANNICHILITA

L’intervista del colonnello douglas macgregor* al canale polacco votum tv

INTERVISTANATOUCRAINA

Votum TV**. Salve e benvenuti a tutti, spero che stiate passando una buona serata e vorrei darvi il benvenuto al primo episodio di Heretics channel su votum Tv. Stiamo trasmettendo dalla Polonia e questa sera abbiamo un ospite molto speciale, il colonnello Douglas McGregor, che vi è stato presentato con la sua biografia all’inizio dell’episodio. Credo che per molti molti dei nostri telespettatori il colonnello McGregor sia un personaggio molto noto, soprattutto alla luce della situazione che si sta verificando in Ucraina, ma non solo.

Colonnello Doug, è un onore averla nel nostro programma, come sta?

Macgregor. Benissimo.

Votum TV. Perfetto, entriamo subito nel vivo. Alla luce della situazione che si è verificata in Polonia con l’attacco missilistico dall’Ucraina, vorrei iniziare citando due tweet, uno di ieri e uno di oggi. Il primo proviene da un canale ucraino che sostiene di essere associato al movimento Euro Maidan e il secondo è di un giornalista polacco. Il primo afferma: “i sondaggi oggi impongono di scegliere tra la vergogna o la guerra, ma, anche se si sceglie la vergogna, la guerra busserà sicuramente alla porta. La storia ha dimostrato che la Polonia può vincere solo combattendo insieme all’Ucraina contro la Russia, tutte le altre opzioni rappresentano la distruzione della Polonia.” Il secondo tweet è di un giornalista polacco secondo cui, cito testualmente, “sarebbe un male se la tragedia di Przewodow [il villaggio dove è caduto il missile ucraino, N.D.T.] portasse in Polonia ad un indebolimento del sostegno all’Ucraina. Tali tragedie potranno cessare solo se la Russia porrà fine alla sua aggressione non autorizzata e illegale contro l’Ucraina, sosteniamo l’Ucraina.” Doug, come risponde a questi due tweet?

Macgregor. Sono certamente favorevole alla comprensione reciproca e alla cooperazione tra Polacchi e Ucraini, ma non condivido l’idea che la Russia sia attualmente un nemico di tipo sovietico che deve essere combattuto a tutti i costi. Non vedo alcuna prova che Mosca sia interessata ad attaccare la NATO. Di certo non è interessata ad attaccare l’Occidente e penso che l’intero conflitto si sarebbe potuto evitare se avessimo semplicemente riconosciuto i legittimi interessi di Mosca riguardo a ciò che accade in Ucraina. L’Ucraina è un vicino della Russia, ciò che accade in Russia è importante per gli Ucraini e ciò che accade in Ucraina è importante per i Russi, quindi avremmo potuto intervenire tempestivamente e dire: facciamo un cessate il fuoco e parliamo. In realtà, negli ultimi 10-20 anni, avremmo dovuto ascoltare i Russi riguardo alle loro preoccupazioni per ciò che stava accadendo in Ucraina ed ora penso che questo regime di Zelensky sia un governo molto pericoloso, inguaribilmente ostile alla Russia e che risponde esclusivamente alle istruzioni di Washington, che, a sua volta, ha deciso di indebolire la Russia in ogni modo possibile. L’intera faccenda si è ovviamente ritorta contro [l’Occidente]. La Russia è oggi economicamente e finanziariamente più forte di quanto non fosse all’inizio dell’intervento. Direi che sta anche diventando militarmente più forte ogni ora che passa, quindi la soluzione non è unirsi a questa guerra futile e inutilmente distruttiva con Mosca. È quella di mettere un po’ di buon senso nella testa della gente, nel governo di Kiev e l’ultima cosa che Varsavia deve fare è unirsi a questa follia. Varsavia dovrebbe offrire i suoi servizi come mediatore e porre fine a questo conflitto distruttivo, è qui che Varsavia potrebbe svolgere il ruolo di grande potenza.

Votum TV. È molto importante, credo, sottolineare la dimensione militare di questa situazione e penso che lei sia l’uomo perfetto per una cosa del genere, perché, fin dall’inizio di questa guerra, abbiamo avuto militari polacchi, ex ufficiali, che hanno continuato a dire che è solo una questione di tempo prima che la Russia finisca i missili, che i Russi rubano l’equipaggiamento militare degli Ucraini perché non ne hanno abbastanza nel loro esercito post-sovietico. Quindi, Doug, voglio che lei accompagni i nostri telespettatori attraverso una sorta di tour de force riassuntivo della situazione militare in Ucraina, con particolare attenzione a ciò che è appena accaduto a Kherson, perché stiamo vedendo molte e diverse interpretazioni. Secondo l’Occidente, i Russi sono stati scacciati, mentre i Russi dicono: “No, è stata solo una ritirata tattica e ritorneremo presto.”

Macgregor. Beh, torniamo indietro e rendiamoci conto che la struttura militare che Putin e il suo governo hanno costruito negli ultimi 15-20 anni è stata concepita principalmente per difendere la Russia. Non è stata progettata per una guerra di conquista contro Paesi confinanti e, secondo me, [l’Occidente] non ha capito che la riduzione delle dimensioni e il cambiamento di orientamento [dell’esercito russo] lo rendevano molto diverso da quello che esisteva all’epoca dell’Unione Sovietica. Putin, tra l’altro, aveva iniziato l’intervento in Ucraina orientale basandosi su una serie di presupposti che non erano validi, ma che all’epoca riteneva tali. Aveva affermato di non voler uccidere civili, di non voler distruggere le infrastrutture, anzi di avere intenzione di condurre una campagna molto limitata perché l’interesse principale della Russia era distruggere questi elementi radicali nell’est del Paese, ponendo così fine alla forza ostile costruita dagli Stati Uniti e dalla NATO nell’Ucraina orientale e giungere ad un qualche tipo di accordo che avesse consentito una pari rappresentanza di fronte alla legge per la popolazione di lingua russa che vive in Ucraina. Aveva pensato: “Stiamo combattendo contro un Paese slavo fratello e non vogliamo che questo conflitto duri più dello stretto necessario.” Secondo me pensava di avere a Kiev e a Washington dei partner con cui poter negoziare sul serio. Si sbagliava. Ora tutto è cambiato e i cambiamenti sono iniziati questa estate. Parlo delle decisioni prese ad agosto su come affrontare il resto della campagna ed ora [con l’arruolamento di altri 300.000 soldati russi] ci troviamo di fronte ad una forza totale di quasi 700.000 uomini che circondano l’Ucraina, con la forte probabilità che l’offensiva russa inizi nelle prossime settimane, quando il terreno si congelerà completamente e i Russi riterranno di essere pronti si muoveranno e daranno il colpo di grazia a questo Stato ucraino.

Non prendiamoci in giro, il regime di Kiev sarà probabilmente annientato insieme al resto delle sue forze armate, che, col tempo, si sono sempre più radicalizzate, al punto che questi cosiddetti nazisti e i loro sostenitori non solo uccidono i Russi, ma anche la loro stessa gente e, come abbiamo visto di recente, anche truppe polacche che combattevano in Ucraina indossando l’uniforme ucraina. La situazione si è deteriorata. I Russi avrebbero esaurito le munizioni, credo fin dal primo giorno di guerra, secondo la propaganda, e gli Ucraini sono ancora in marcia per la vittoria. Beh, sono tutte sciocchezze. I Russi ora si stanno mobilitando per portare a termine questo conflitto. L’errore più grande che potremmo fare in Occidente è farci coinvolgere. Abbiamo fatto abbastanza danni e credo che quello che vedremo sarà esattamente ciò che ho descritto: la totale distruzione dello Stato ucraino. Cosa succederà dopo non lo so. Sono abbastanza sicuro che i Russi non vorranno rimanere nell’Ucraina occidentale, che è il cuore dell’Ucraina e dove vivono i veri Ucraini. I Russi non sono interessati ad una cosa del genere. I Russi probabilmente si ritireranno nella parte alta del fiume, ma, per quanto riguarda Kherson, Kherson è sempre stata russa. Odessa è stata fondata dai Russi, anche se si potrebbe dare un po’ di merito ai Tedeschi, che erano certamente al servizio di Caterina la Grande, e che avevano partecipato alla costruzione di molte di queste città, insieme a Inglesi, Scozzesi e Olandesi. Siamo sinceri, il punto fondamentale è che questa regione è sempre stata russa, non è mai stata ucraina, il vero “cuore dell’Ucraina” è più a nord, a nord del Mar Nero. I Russi riconquisteranno Kherson e riconquisteranno anche Kharkov. Queste sono città storicamente russe, ma i Russi non sono interessati al resto del Paese.

Spero solo che gli Ucraini permettano la nascita di un nuovo governo con un nuovo atteggiamento, in modo da poter porre fine a questa situazione, perché, francamente, noi Americani abbiamo deluso il mondo. È la prima volta nella nostra storia, sicuramente dalla Seconda Guerra Mondiale, che non siamo intervenuti immediatamente per porre fine ad un conflitto che coinvolgeva la Russia. Abbiamo sempre lavorato instancabilmente per trovare una via d’uscita da un possibile conflitto con la Russia e mai prima d’ora avevamo avuto un governo che aveva cercato il conflitto con la Russia e la tragedia, ovviamente, è che abbiamo sovvenzionato e costruito nell’Ucraina orientale questa tremenda forza che, nonostante sia stata abbondantemente, stiamo continuando a sostenere e le vittime principali sono ovviamente gli Ucraini. Stanno morendo in gran numero. I Polacchi devono capirlo. La strada da seguire non è la guerra con la Russia.

Votum TV. Quindi, secondo lei, sono assurde le dichiarazioni di quelli che dicono: “un po’ di tempo in più e un po’ di armi in più cambieranno la situazione.” Che poi, più tempo e più armi sono le cose che Zelensky continua a chiedere.

Macgregor. Se si guarda agli attacchi, lo schema degli attacchi che sono iniziati da quando il generale Surovikin ha preso il comando, sono molto diversi da quelli visti in precedenza. In Russia, nei primi mesi, ci si chiedeva perché non erano stati distrutti i ponti, perché non era stata attaccata la rete dei trasporti, la rete elettrica, l’infrastruttura energetica, le installazioni militari ucraine, e così via. Ebbene, ora queste cose stanno accadendo. L’Ucraina non può più produrre combustibile per razzi, è stato tutto distrutto. L’Ucraina sta finendo il gasolio, non può illuminare e riscaldare le città perché non ha più energia. Questa situazione continuerà fino a quando il popolo ucraino sarà davvero affamato, congelato e senza speranza e allora inizierà l’offensiva russa, che sarà devastante. Ora stanno trattando l’Ucraina come un vero e proprio nemico, mentre prima non lo facevano e questo fatto non viene compreso in Occidente.

Votum TV… a me sembra che se si guarda, ad esempio, alla guerra strategica, alle campagne aeree strategiche recenti, lei personalmente era andato in Iraq nel ’91. Insomma, sembra che tutto questo faccia parte delle regole della guerra, o sbaglio?

Macgregor. Ha assolutamente ragione e, durante la Seconda Guerra Mondiale, probabilmente il compito più importante portato a termine dall’aviazione americana era stata la distruzione della capacità produttiva di carburante della Germania, che praticamente consentiva alla Wermacht di continuare a combattere. Quando i Sovietici avevano lanciato l’Operazione Bagration, nel giugno 1944, i Tedeschi non avevano quasi più carburante. In altre parole, i loro aerei avevano due ore di autonomia e poi dovevano atterrare. Sul terreno tutto era trainato da cavalli, non perché i Tedeschi non si fossero completamente modernizzati, ma perché non avevano più carburante. Trainavano l’artiglieria con i cavalli e i carri armati avevano forse solo un giorno, un giorno e mezzo di autonomia. Questo è il punto in cui si trova l’Ucraina ora; è una tattica ben precisa. Lo avevamo fatto con i Tedeschi, lo abbiamo rifatto nei Balcani con i Serbi, non è un crimine di guerra, è una misura prudente che chiunque prenderebbe in guerra. Quindi, stiamo osservando i Russi che fanno esattamente quello che abbiamo fatto o che faremmo noi.

Votum TV. In questo momento, in un contesto storico più ampio, sappiamo che Putin ha detto fin dall’inizio che la ragione principale di tutto questo riguarda l’espansione della NATO, che l’intervento militare ha lo scopo di fermare l’espansione della NATO iniziata alla fine degli anni ’90. So che lei è stato a Bruxelles e ha conosciuto il generale Wesley Clark. Col senno di poi e tenendo conto dell’opinione di molti altri stimati statisti americani, come il compianto George F. Kennan, le chiedo se questo è vero (questo potrebbe sembrare un paradosso a molti dei nostri telespettatori, ma credo che, se la si valuta in termini di conseguenze, questa domanda la si debba porre). Secondo lei, l’espansione della NATO iniziata alla fine degli anni ‘90 era stata una mossa prudente da parte degli Stati Uniti?

Macgregor. No, non credo lo sia stata e quando ero [a Bruxelles] la questione era emersa, c’erano state molte discussioni interessanti e avevo avuto il privilegio di parlare privatamente con ufficiali molto anziani delle forze armate tedesche e avevo chiesto loro a bruciapelo: “Cosa ne pensate?” e tutti credevano fermamente che lo scopo della NATO in Europa fosse quello di prevenire un’altra guerra in Europa, questo è ciò che credevano. Così avevo chiesto: “Ma portare la Polonia nella NATO aiuta o danneggia questa iniziativa?” [I Tedeschi] erano convinti che, visto quello che era successo alla Polonia in passato, far entrare la Polonia nella NATO, in questa Alleanza Occidentale, era qualcosa che [in quanto Tedeschi] erano assolutamente obbligati a fare per aiutare la Polonia. Quando i Polacchi si erano detti interessati ai territori persi durante la Seconda Guerra Mondiale, l’atteggiamento tedesco era stato: “Ci siamo messi il cuore in pace per le nostre perdite territoriali e siamo sicuri che lo faranno anche i Polacchi.” All’epoca avevo sentito dire cose diverse dai Polacchi e, certamente, avevo sentito cose diverse dagli Ungheresi, che continuavano a parlare delle terre della Corona di Santo Stefano, e questo era l’atteggiamento da parte europea.

Da parte americana, non era pensato alla storia, alla cultura, alla religione, alla lingua, a nulla. All’America, alla leadership americana non importava nulla di tutto ciò. In altre parole, indipendentemente dalla storia passata della Lituania polacca, del Regno di Prussia, del Regno d’Ungheria, dell’Impero asburgico, nulla di tutto ciò faceva la benchè minima differenza. Non c’era la volontà di guardare alle radici, alle origini delle varie popolazioni e di capire i loro interessi. Avevano detto che lo stavamo facendo per sostenere una “rivoluzione democratica” che, alla fine, sarebbe arrivata fino a Mosca. Ricordo di aver sentito questi discorsi. Li avevo guardati e avevo detto: “Non so che tipo di allucinogeni stiate prendendo, voi non sapete nulla delle persone che vivono in questi Paesi e quali sono i loro interessi. Oh, non importa, saranno tutti felici in questa democrazia utopica di perfetta diversità.” Era una cosa completamente irrazionale, ma questa era la prospettiva americana.

Votum TV. Quindi, in questo contesto, non credo che nessun presidente del periodo della Guerra Fredda, da Truman a Reagan, avrebbe mai contemplato che gli Stati Uniti sarebbero stati sull’orlo di una guerra potenzialmente nucleare a causa dell’adesione dell’Ucraina alla NATO. Non credo che le sia mai capitata una situazione del genere.

Macgregor. Sembra impossibile ma, lo ripeto, ciò che pensavano gli Europei e ciò che pensavano gli Americani erano due cose molto diverse. Si era trattato di una drammatica divergenza di opinioni e di percezioni. Il suo pubblico deve capirlo e credo che la situazione attuale sia qualcosa che avevo previsto a gennaio, quando avevo avuto una conversazione online con Dmitry Socoff [?] a Washington e avevo detto che, secondo me, questo conflitto sarebbe durato ben più di qualche mese. Questo conflitto distruggerà la NATO e penso che siamo a buon punto, soprattutto perché, come lei sa, ho fonti molto valide in Germania e le cose che sento dai Tedeschi sono spaventose. Penso che distruggendo il collegamento Nordstream con la Russia e poi, in ultima analisi, con questa guerra, [noi Americani] abbiamo fatto tutto ciò che era in nostro potere per espanderci in Ucraina. I Tedeschi sono pronti ad allontanarsi da noi. Penso che ora assisteremo ad una sorta di restaurazione o ad una fase di riavvicinamento tra Mosca e Berlino, come quelle che abbiamo già visto verificarsi storicamente e che si supponeva fosse quello che tutti dicevano di voler evitare.

Ora sta per accadere, assolutamente, e molti Tedeschi sono infuriati con il governo polacco che continua a battere i tamburi di guerra. I Tedeschi non capiscono il perché e anch’io continuo a chiedermelo. Lo chiedo sempre quando sento qualcuno che dice: “Non è forse un bene che stiamo indebolendo la Russia? La Russia è uno Stato nemico.” E io rispondo: “Davvero? La Russia non è più l’Unione Sovietica. La Russia sta forse ammassando eserciti per invadere l’Europa occidentale? No, ovviamente no. Che cosa sta facendo la Russia per meritare di essere distrutta?” Di solito ottengo questa risposta: “Beh, sono cattivi, sono antidemocratici.” Gran parte del mondo è antidemocratico, lo è sempre stato e probabilmente lo sarà sempre. È una sfortunata serie di circostanze e credo che i Polacchi, in larga misura, siano caduti in questa trappola e devono uscirne. Devono capire una volta per tutte quali sono i loro interessi, quali sono gli interessi della Polonia. L’interesse della Polonia coincide davvero con quello che vuole il governo di Kiev? È questo che vogliono? Sono uniti? Sono dalla stessa parte e si battono per le stesse cose? Non credo.

Votum TV. Credo che molti dei nostri telespettatori siano d’accordo con quanto ha detto l’ex direttore della CIA, il generale Petraeus, qualche settimana fa. Si è parlato di una coalizione dei volenterosi. Come lei ben sa, una piccolo contingente, ufficialmente al di fuori della NATO potrebbe fare il suo ingresso in Ucraina, sto parlando di Rumeni, Polacchi e del 101° Aviotrasportato americano. So che ne ha parlato nelle sue precedenti interviste. Ha sentito qualcosa di nuovo al riguardo, ci sono nuovi sviluppi o è stato fatto un passo indietro dopo la caduta del missile ucraino in Polonia?

Macgregor. Penso che, per il momento, sia tutto fermo e credo che questo sia uno dei motivi per cui il generale Milley, il capo degli Stati Maggiori Riuniti, aveva fatto trapelare i suoi commenti al New York Times, commenti che, tra l’altro, ora ha smentito e ritrattato. La gente non capisce che i generali a quattro stelle che arrivano al vertice degli Stati Maggiori Riuniti non vengono mai scelti per la competenza o l’intelligenza dimostrata, ma per la loro disponibilità a dire o fare tutto ciò che vogliono i politici. È un peccato, ma è la verità e credo che Milley stesse diventando molto preoccupato perché io non conosco nessuno ai vertici delle forze armate statunitensi che pensi che sarebbe una buona idea per le forze polacche, americane e magari rumene entrare nell’Ucraina occidentale. Se lo facessero saremmo in guerra con la Russia e la vera domanda è “perché dovremmo voler entrare in guerra con la Russia?” Credo che la maggior parte delle persone all’interno del Dipartimento della Difesa abbia detto “beh, non possiamo farlo, non siamo preparati per una cosa del genere.” Un mio amico, un generale in pensione dell’esercito francese, mi ha detto: “Doug, l’esercito francese ha munizioni per quattro giorni, l’unica cosa che l’esercito francese potrebbe fare è un safari in Nord Africa.”

Beh, questo descrive la maggior parte degli eserciti NATO, la domanda infatti è quante munizioni abbiamo noi a disposizione. Sappiamo che le nostre scorte belliche sono state gravemente ridotte per rifornire gli Ucraini. Gli Ucraini sparano in media 7.000 proiettili d’artiglieria al giorno, i Russi 20.000. I Russi non stanno finendo le munizioni, no, non le finiranno, la loro industria è completamente attrezzata e ora c’è stata questa mobilitazione. Insomma, abbiamo a che fare con un avversario che è inequivocabilmente mobilitato e preparato a combattere e noi non lo siamo. Naturalmente, la gente ha detto che questa Coalizione dei Volenterosi è una cattiva idea, ma questo lo dicono dietro le quinte e poi perché dovremmo avere una Coalizione dei Volenterosi? La maggior parte dei Paesi NATO non è interessata a questo e non ha nessuna intenzione di aderire. Se si va in Spagna, in Italia, in Portogallo, in Grecia, persino in Francia, dietro le quinte la gente dice che è una cosa ridicola. Allora, perché la appoggiamo pubblicamente? Perché la gente vuole essere amica degli Stati Uniti, ma noi abbiamo spinto la cosa all’estremo e credo che, ad un certo punto, la gente dirà “al diavolo Washington” e questo non è nell’interesse del popolo americano. Penso che ci siamo molto vicini ed è un peccato, perché non era questo che volevamo all’inizio.

Votum TV. È un bene che lei abbia menzionato Milley, perché durante la sua recente conferenza stampa ha dichiarato in modo molto categorico che l’esercito degli Stati Uniti rimarrà il numero uno e che nessuno supererà gli Americani. In Polonia e nella NATO, gran parte dell’atteggiamento nei confronti di Mosca si basa sul presupposto che, avendo gli Stati Uniti alle spalle, nessuno può farci del male e quindi si tende a voler provocare i Russi perché è certo che lo Zio Sam ci difenderà. Penso che lei sia molto ben informato sulle condizioni delle forze armate statunitensi e vorrei che dicesse al pubblico polacco che cosa possiamo aspettarci da parte americana se, Dio non voglia, dovesse iniziare una guerra totale.

Macgregor. La prima cosa da tenere a mente è che probabilmente spenderemo sempre più soldi di tutti gli altri. Purtroppo i soldi spesi non equivalgono alla capacità militare e questo purtroppo non è molto chiaro. Le nostre forze sono, in realtà, piuttosto mal messe, abbiamo una quantità inesauribile di generali e ammiragli, ma relativamente poche persone che combattono davvero e questo è un problema. Abbiamo enormi difficoltà a trovare reclute per un esercito che dovrebbe sostenere il peso di una guerra contro la Russia. Non possiamo mantenere più di 475.000 persone e di queste forse solo 150.000 o 160.000 in unità combattenti. Se cercassimo di mobilitare la Guardia Nazionale o le riserve ci scontreremmo con una forte opposizione. Queste truppe sono state logorate e mal gestite, a mio parere, negli ultimi 22 anni di conflitti in Medio Oriente, questa forza è stanca, logorata ed esausta, ma c’è qualcosa di molto più importante di tutto questo. Innanzitutto né noi né i Russi vogliamo usare le armi nucleari. Ovviamente i Russi non ne hanno bisogno, possono raggiungere i loro obiettivi senza di esse. Spero che non si prenda più in considerazione l’idea di usarle in qualsiasi circostanza. Il nostro presidente ha incautamente firmato un documento che, di fatto, fa marcia indietro rispetto al nostro divieto de facto di usare le armi atomiche in prima battuta.

A mio parere, è stato un errore: se dovessimo ricorrere all’uso di armi nucleari, tutto si aggraverebbe rapidamente e la civiltà come la conosciamo si estinguerebbe. Questo lascia come unica alternativa un conflitto convenzionale ad alta intensità. Cosa possiamo fare? Beh, le cose sono cambiate dal 1945 e il suo pubblico deve capirlo. L’evoluzione della sorveglianza aerea e satellitare, sulla terra e in mare e i precisi e ipertecnologici sistemi d’arma stand-off, fanno sì che quando si lancia, per esempio, un missile da crociera con una testata esplosiva di 1.000 chilogrammi dal territorio russo, esso colpirà un obiettivo, per esempio, a Lisbona, in Portogallo, con grande precisione e se ne possono lanciare centinaia, se non migliaia, in tutta Europa. Se ci spostiamo nell’Atlantico, i sottomarini russi finiranno per ostacolare il movimento di qualsiasi forza statunitense che cerchi di consolidare la nostra posizione sul continente europeo. Non possiamo retrocedere nel tempo a 80 o 85 anni fa, siamo nel presente. Siamo limitati in ciò che possiamo fare ed è per questo che il presidente Trump aveva detto che gli Europei devono essere i loro primi soccorritori. In altre parole, se scommettete sul nostro arrivo tempestivo state commettendo un errore, perché oggi è tecnologicamente troppo facile per qualsiasi grande potenza interferire con il movimento di forze e rifornimenti dagli Stati Uniti all’Europa. Perciò non possiamo fare quello che avevamo fatto negli anni ’40, ovvero passare due anni a sconfiggere la minaccia sottomarina tedesca prima di raggiungere l’Europa.

Non funzionerà, certamente non funzionerà con i Russi, ma, lo ripeto, i Russi questo lo sanno, non sono interessati ad una guerra contro noi, vogliono davvero fare affari con noi, vorrebbero fare affari con la Germania e credo che vorrebbero fare affari con la Polonia. Dobbiamo liberarci di questa atmosfera velenosa, che non fa altro che coltivare odio e ostilità sulla base di atteggiamenti e idee che non si adattano più all’era moderna. Dobbiamo superare queste vecchie ferite, queste vecchie frustrazioni. Non significa che dobbiamo dimenticarle, non significa che dobbiamo smettere di ricordare i sacrifici delle persone che ci hanno preceduto, ma dobbiamo vivere in questo mondo di oggi con un insieme diverso di persone e andare avanti e penso che questo sia qualcosa che questa Amministrazione non è riuscita a fare. Ha cercato di trascinarci tutti in una nuova Guerra Fredda. La maggior parte degli Americani non vuole tornarci. Io, di certo, non lo voglio.

Votum TV. Giusto, è un bene che abbia menzionato Trump. Orban ha recentemente dichiarato che, se Angela Merkel fosse ancora al potere e Donald Trump alla Casa Bianca, questa guerra probabilmente non sarebbe scoppiata. Dal suo punto di vista, come pensa che Trump avrebbe affrontato la situazione nel suo evolversi, almeno a partire dal dicembre dello scorso anno, quando Putin aveva chiesto quelle garanzie di sicurezza per la Russia.

Macgregor. Innanzitutto, credo che il signor Orban stia dando troppo credito ad Angela Merkel. A me non sembra che abbia fatto nulla di veramente positivo per la Germania e sempre più Tedeschi vedono il suo mandato come un periodo di grave decadenza e credo che, alla fine, la considereranno una traditrice degli interessi nazionali tedeschi. Quindi dimentichiamo Angela Merkel. Credo che Donald Trump abbia avuto a che fare con una serie di persone che si sono sempre opposte a lui. Non c’è bisogno che lo spieghi alla maggior parte dei suoi telespettatori, ma siamo sinceri: aveva nominato persone che, fin dal primo giorno, avevano iniziato a sabotare e a sovvertire la sua politica, ma se fosse stato ancora presidente quando era iniziato tutto questo, come lei ha detto, nel dicembre dello scorso anno, penso che sicuramente Donald Trump avrebbe subito chiamato il presidente della Russia, chiedendo un incontro per poter parlare con lui e scoprire quali fossero esattamente le sue richieste. Ad essere sinceri, penso che avrebbe accettato la neutralità dell’Ucraina, immediatamente.

Non era mai stato molto entusiasta della NATO come arma offensiva, ricordate, lui, come gli Europei, pensava che la NATO fosse un’alleanza difensiva. Non era stato molto entusiasta del bombardamento della Serbia o di un intervento nei Balcani, non era molto entusiasta per il coinvolgimento degli Europei in Afghanistan e in Iraq o in Libia. Quindi, penso che avrebbe immediatamente organizzato una sorta di cessate il fuoco e poi avrebbe chiesto un incontro e che avrebbe poi raggiunto una sorta di accordo e, francamente, avrebbe invitato gli Ucraini (o l’attuale regime, odio dire Ucraini, perché non credo che Zelensky rappresenti tutti gli Ucraini) ad essere sinceri. Si sarebbe rivolto a Zelensky e gli avrebbe detto: “Guarda che se hai intenzione di persistere in questa guerra con la Russia lo farai da solo, noi non ti sosterremo.” Quindi, credo che le cose sarebbero state molto diverse.

Votum TV. Considerando che, come abbiamo appreso ieri, i Repubblicani hanno conquistato la maggioranza alla Camera, come crede sarà il sostegno dell’opinione pubblica americana, nelle prossime settimane, riguardo alla guerra in Ucraina e, se il sostegno continuerà, come pensa che evolverà la situazione per quanto riguarda la possibile influenza dell’opinione pubblica americana sul nuovo Congresso e sul Presidente?

Macgregor. Credo che il suo pubblico debba capire che se si guarda alle 10 priorità più importanti per il cittadino americano medio, non sono nemmeno sicuro che l’Ucraina rientri nella lista. Il nostro attuale problema è vecchio di 30 anni, era nato dopo Desert Storm, negli anni ’90, era iniziato sotto Bill Clinton, ma si potrebbe anche dire che era stato Bush a dare il via con l’intervento in Somalia, da cui tutti lo avevano messo in guardia, compreso il generale Powell. Gli Americani non sono interessati a questi interventi, da nessuna parte, e, di conseguenza, se questi interventi continuano è perché esistono degli sponsor che si comprano il sostegno del Congresso e quelli al Congresso pensano di trarne beneficio sia dal punto di vista finanziario (cosa vera), sia dal punto di vista dell’immagine, per poter dire ‘quanto siamo potenti. Purtroppo, gli Americani questo non lo capiscono e, quando bombardiamo qualcuno da qualche parte, pensano che questo li faccia sembrare grandi. Non è così, ma ci sono persone stupide che la pensano così, quindi, secondo me, questo è il problema e ora l’Ucraina è il posto da qualche parte, e il denaro viene speso e questo è altro denaro che si aggiunge ad un debito sovrano nazionale di 31 trilioni di dollari di cui la maggior parte delle persone non conosce neanche l’esistenza.

Guardano i tassi d’interesse salire, guardano l’inflazione aumentare, guardano il crollo dello Stato di diritto nelle nostre città e lungo i nostri confini, guardano l’invasione di questo Paese da parte di milioni di persone provenienti dai Paesi in via di sviluppo, soprattutto dall’America Latina, e si chiedono: “Che cosa stiamo facendo in Ucraina? Perché le truppe non proteggono i nostri confini? Perché non fermiamo la criminalità? Perché non affrontiamo la questione della prosperità economica? Perché non stiamo rimpatriando, come voleva il presidente Trump, il settore manifatturiero negli Stati Uniti [attualmente delocalizzato in Cina]? Questa gente a Washington è molto brava a distrarre le persone. Dicono che la Cina è la nuova minaccia commerciale, che la Russia è la nuova minaccia sovietica, che l’Isis è la nuova minaccia globale. Continuo a chiedere alla gente se sanno cosa potrebbe successo al Califfato Islamico e nessuno ha una risposta, credono sia sparito. Beh, certo, non tutti sanno che ci sono ancora problemi nel mondo islamico, ma l’intera questione era “come possiamo migliorare la situazione se non facendoci coinvolgere?” e la risposta è che non lo facciamo. Quindi, penso che il problema non sia il popolo americano, il problema, in questo momento, è al Congresso, al Senato, alla Camera, dove si fanno gli interessi degli sponsor. Stamattina, un giornalista importante mi ha chiesto perché la gente fa queste cose e io ho risposto che bisogna scoprire chi sono gli sponsor, scoprire quanti soldi arrivano nelle tasche di questi politici per la loro rielezione, per il loro mantenimento in carica, e che questo avrebbe risposto alla sua domanda.

L’Americano medio non manda milioni di dollari a Washington, bisogna quindi vedere da dove vengono questi soldi e credo che poi tutti i nodi verranno al pettine. Guardate il disastro di FTX che coinvolge questa criptovaluta e l’individuo che ne è coinvolto, che è ovviamente un grande sostenitore del signor Zelensky (che novità) e Zelensky che ha investito in FTX il denaro che gli avevamo mandato a Kiev e ora scopriamo che questo fa sembrare l’affare Enron come uno spettacolo secondario. Non sappiamo nemmeno con certezza quante centinaia di miliardi di dollari siano stati persi in questa impresa, ma chi ne ha beneficiato al Congresso? Ci sono tanti Repubblicani coinvolti in questa vicenda quanti Democratici, ed è per questo che si parla di partito unico, quindi la sintesi è questa: l’atteggiamento dell’America cambierà le cose a Washington? Sì, ma non subito, la situazione si trascinerà fino a quando non sarà chiaro che i Russi avranno schiacciato l’avversario e credo che Mosca abbia capito di non avere molta scelta, di non avere un vero partner negoziale e che qualsiasi offerta sarebbe trattata con grande sospetto. Io, se fossi russo, a questo punto sarei molto riluttante a credere a qualsiasi cosa potremmo dire noi Americani.

Votum TV. Un’ultima domanda, perché si parla molto, ovviamente, dei vertici che si sono appena svolti, dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, della nuova struttura dei BRICS. Sappiamo che molti Paesi stanno presentando domanda di adesione, tra cui Turchia e Arabia Saudita. Per concludere, un’ultima opinione su questo tema. Molte persone sono perplesse e dicono che l’Eurasia e le organizzazioni tipo BRICS non saranno mai una sorta di concorrenza per l’Occidente unito. Ma vediamo che sempre più capitali, sempre più persone, sempre più potenziale tecnologico militare si sviluppano a Est, non in Occidente, che è diventata una zona a dir poco deindustrializzata, e vediamo che l’Europa si sta praticamente suicidando dal punto di vista demografico ed economico, quindi, secondo lei, quale sarà la traiettoria dell’Eurasia rispetto all’Occidente collettivo e, tenendo conto anche di ciò che sta accadendo in Ucraina, l’Est sarà un forte concorrente e probabilmente anche un egemone?

Macgregor. Innanzitutto, le istituzioni che sostengono il potere finanziario occidentale e, in ultima analisi, il dominio finanziario americano non sono riproducibili in Oriente. In altre parole, per costruire il sistema e le varie istituzioni che sostengono il nostro dominio finanziario ci vorrà un po’ di tempo. Non ho dubbi che ci proveranno, e penso anche che, ad un certo punto, ci riusciranno. [Noi Occidentali] siamo sempre stati considerati affidabili, in altre parole: a chi altri affidereste i vostri soldi? Un tempo la gente era pronta ad affidarci il proprio denaro. Ora siamo visti come inaffidabili e truffatori e in gran parte del mondo c’è la tendenza ad allontanarsi da noi. La gente, per esempio, non capisce che se si guarda alla Banca Mondiale, l’abbiamo usata efficacemente per costringere le Nazioni a coltivare le colture che volevamo noi, invece di quelle che volevano loro. Ora, questa può sembrare una cosa di poco conto, ma non lo è se si vive in quei Paesi.

Credo che le persone di tutto il mondo siano stanche di subire la nostra prepotenza e, naturalmente, a questo si aggiunge il trasferimento [al resto del mondo] del nostro enorme debito attraverso il commercio in dollari. Quando tutto questo si romperà, quando cambierà, non lo sa nessuno. Non rapidamente, non nei prossimi sei mesi, probabilmente non nel prossimo anno, ma, alla fine, assolutamente sì. Penso che il cosiddetto Rubicone sia stato attraversato e che la Russia avrà un ruolo in tutto questo, ma i Russi non si illudono. Sanno che non saranno loro la potenza globale e, contrariamente alle credenze popolari, i Cinesi, che vogliono fare soldi, non sono molto propensi a sostituirci. In questo caso, la situazione è molto più eterogenea, ma non credo che, alla fine, nessuno di loro abbia molta possibilità di scelta. India, Cina, Russia, gran parte del mondo in via di sviluppo, il Medio Oriente e l’Asia, si allontaneranno da noi. Certo, potremmo cambiare, cercare di blandire queste persone, rinunciare a questa sorta di egemonia militare permanente nel mondo che usiamo per intimidire e intimorire le persone, ma, nel breve periodo, non credo che accadrà. Non vedo come possa accadere.

[…]

24.11.2022

*Douglas Macgregor, colonnello in pensione, è senior fellow di The American Conservative, è stato consigliere del Segretario alla Difesa nell’amministrazione Trump, è un veterano decorato e ha pubblicato cinque libri.

** I grassetti dell’intervista sono i miei (LL).

Non dare alla pace troppe possibilità, di Aurelien

Niente è più pericoloso di un trattato di pace imperfetto.

C’è una differenza fondamentale tra uno stato di pace e un trattato di pace. La storia è piena di disastri provocati da trattati negoziati al momento sbagliato o imposti a partecipanti riluttanti. Non vogliamo ripeterci con l’Ucraina.

Nota: Parte di ciò che segue è tratto da un articolo commissionato alcuni anni fa da un think-tank europeo, ma mai pubblicato perché considerato troppo controverso. Nemmeno io ero pagato.

La nostra società considera la pace sempre preferibile al conflitto e alla guerra, o almeno in linea di principio. Gli operatori di pace sono benedetti e lo sono anche le loro produzioni, per quanto discutibili possano rivelarsi. L’annuncio di un trattato di pace o addirittura di un cessate il fuoco, come recentemente in Etiopia, è visto come una buona notizia senza ambiguità. Inoltre, si presume che la pace sia l’ordine naturale delle cose e che una volta affrontate le “cause sottostanti” e alcuni individui malvagi condannati per qualcosa o altro, allora la pace arriverà naturalmente e tutti la accoglieranno con favore.

Non è sempre stato così. Per la maggior parte della storia umana, la guerra è stata considerata normale e persino lodevole. Si ritiene che una pace troppo lunga, in alcune opere di Shakespeare, porti alla decadenza. La guerra, al contrario, è l’occasione per atti di valore ed eroismo, e i grandi capi erano generalmente grandi capi di guerra, e grandi capi di guerra erano coloro che avevano sbaragliato eserciti nemici, ucciso un gran numero di nemici con le proprie mani e bruciato le loro città e schiavizzarono il loro popolo. “Saul ha ucciso le sue migliaia, ma Davide le sue decine di migliaia”, cantavano esultanti le donne israelite nel primo libro di Samuele , senza mostrare molta preoccupazione per i parenti degli uccisi.

Ora, questo non vuol dire che alla gente comune piacesse necessariamente molto la guerra: era vista nel migliore dei casi come un male inevitabile, e in realtà vivere la Guerra dei Cent’anni, o la Guerra dei Trent’anni, deve essere stata un’esperienza terrificante e esperienza traumatizzante per molte persone. Ma anche così, il richiamo di “andare per un soldato”, di compiere azioni coraggiose e fare fortuna lungo la strada, sembra essere una parte persistente della psiche umana, recentemente visibile nel fango e nel sangue dell’Ucraina.

Tutto questo è cambiato progressivamente negli ultimi duecento anni, non perché il mondo sia cambiato, ma perché la narrativa dominante al riguardo è cambiata. Come ho sottolineato prima , il liberalismo non ha mai veramente compreso le questioni del conflitto e della pace. I conflitti “scoppiano”, le nazioni “cadono nella” violenza, a volte perché le persone coinvolte sono stupide, a volte perché “imprenditori della violenza” sfruttano “rimostranze reali anche se esagerate” per i propri scopi. Criticamente, i conflitti non riguardano mai davvero nulla, e quindi i negoziati di pace, accolti da tutti e idealmente facilitati da quel curioso animale bastardo che è la Comunità internazionale, possono invariabilmente risolvere anche le controversie più intrattabili se esiste la volontà, e la pace durerà se vengono affrontate le “cause sottostanti”.

Un momento di riflessione suggerisce che questo modello dei mali del mondo è tratto dal diritto contrattuale e dalle negoziazioni contrattuali, come gran parte del pensiero liberale. Un trattato di pace può quindi essere paragonato alla creazione di un cartello per controllare la vendita di un particolare prodotto in un particolare mercato. Ci saranno trattative dure, ma alla fine si potrà trovare un compromesso che soddisfi tutti. Poiché, nella visione liberale, il conflitto riguarda in ultima analisi il potere e le risorse, può essere risolto secondo la stessa logica: tanto per te, tanto per me. Il guaio è che il mondo nel suo complesso non funziona così.

In particolare, i conflitti di solito riguardano qualcosa nella pratica e sono spesso situazioni binarie a somma zero in cui qualcuno (di solito la parte più debole) perderà da qualsiasi accordo di pace. Quindi il “conflitto” in Medio Oriente, ad esempio, non riguarda l’odio e la sfiducia reciproci tra ebrei e palestinesi, ma piuttosto su chi deve possedere la terra dove i palestinesi hanno vissuto fino al 1949. Alla fine, tu ed io non possiamo possedere entrambi il stessa casa, e in un conflitto vincerà il più forte. Sebbene le cause profonde del conflitto possano teoricamente essere affrontate in un accordo di pace, in molti casi ciò è impossibile senza assegnare effettivamente la vittoria a una parte. Qui potremmo ricordare l’inversione di Michel Foucault della famosa formula di Clausewitz: la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi. Anche quando un’autorità politica pone fine alla guerra, le future relazioni politiche sono ancorate all’equilibrio di forze alla fine del conflitto. Quindi i trattati di pace e le istituzioni che istituiscono non sono neutrali, ma riflettono l’equilibrio del potere politico e militare al momento della firma.

Allo stesso modo, il presupposto che il conflitto sia essenzialmente irrazionale (o non si verificherebbe), e quindi possa essere risolto attraverso i valori liberali della razionalità e della logica, in realtà sottovaluta l’importanza degli stessi motivi irrazionali. L’osservazione di David Hume secondo cui “la ragione è schiava delle passioni” è stata confermata in modo spettacolare dalle scoperte della moderna neuroscienza, che ci dice che la maggior parte delle decisioni sono effettivamente prese dalla nostra mente inconscia su basi emotive, e che la mente cosciente serve in gran parte a fornire post giustificazioni razionali ad hoc . Ecco perché il ruolo della paura nel provocare e prolungare il conflitto è così poco compreso. La paura, infatti, è il singolo più grande generatore di conflitti, e per definizione non è affrontabile con argomentazioni razionali o con l’attenta stesura degli articoli dei trattati di pace. Il rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Burundi al tempo della crisi ruandese ha commentato in un’intervista che ciò di cui quel Paese aveva bisogno non erano le forze di pace ma gli psichiatri: “hanno tutti paura l’uno dell’altro. Quando stringo loro la mano sono grondanti di sudore”. In tali circostanze, non c’è motivo di fidarsi di nessuno e ogni motivo per vedere cospirazioni ovunque.

I presupposti liberali vedono anche la pace e il conflitto come opposti binari. Non sembra necessariamente così sul terreno. Molti sistemi politici esistono in uno stato di costante lieve conflitto, attraversando uno spettro a seconda della situazione politica. La violenza è quindi uno strumento come un altro, da usare quando è opportuno, e da lasciare da parte a favore della trattativa o della politica quando non è produttiva. In un paese come il Libano, ad esempio, la violenza è un linguaggio in cui diverse fazioni e i loro sponsor stranieri parlano e negoziano tra loro. Lo spettro spazia da violente manifestazioni di piazza ad omicidi, autobombe e conflitti aperti, ognuno dei quali invia un messaggio calibrato, che viene compreso dagli altri. Chiaramente, un “accordo di pace” in tali circostanze è irraggiungibile, e credere che sia stato effettivamente negoziato è pericoloso.

Né gli accordi di pace sono universalmente popolari: anzi, il conflitto ha molti vantaggi, sia per i grandi che per i piccoli. Porta attenzione politica, denaro, investimenti e operatori umanitari stranieri e truppe con denaro da spendere. Negli ultimi anni è diventato sempre più evidente come certi conflitti continuino perché è nell’interesse di tutti i principali attori che lo facciano. (Altrimenti è inconcepibile che il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo sia durato così a lungo). Definire queste persone “spoiler” è poco adeguato: per la maggior parte stanno semplicemente rispondendo in modo intelligente ai dettami e alle opportunità della situazione.

Quindi ci sono molte ragioni per volere che un conflitto di basso livello continui, con solo perdite modeste e corrispondenti pochi incentivi per arrivare a una vera pace, dove come ci ricorda David Keen in un importante studio , “… le funzioni politiche ed economiche della guerra non scomparire semplicemente…. la pace è spesso molto violenta, mentre il dopoguerra si rivela, troppo spesso, un periodo prebellico». Quindi è più probabile che il leader intelligente di un paese o di una fazione, a meno che non stia perdendo male, preferisca la quantità nota di conflitto alle incertezze della pace. Ciò non significa, ovviamente, che parlare di pace, o anche firmare un accordo di pace, sia escluso se ciò è tatticamente vantaggioso. Ma nella maggior parte delle culture diverse dalla nostra, la firma di un accordo di pace è una decisione politica, mentre la sua attuazione è un’altra. In ogni caso, prima di promettere di firmare e rispettare un accordo di pace, un leader intelligente si farà due domande:

  • · La firma di questo accordo di pace favorirà i miei obiettivi politici?
  • · Se lo implemento, sarò ancora vivo alla fine di un certo periodo minimo?

Eppure, nonostante tutte queste difficoltà e debolezze, i trattati di pace vengono quasi sempre firmati, anche se in seguito sfociano in conflitti. Perchè è questo?

Innanzitutto, è importante distinguere tra due tipi di trattati efficaci. Uno (spesso, in pratica un armistizio) può essere considerato un trattato amministrativo . Anche la resa incondizionata deve essere organizzata in qualche modo, dopotutto. Tradizionalmente, tali trattati venivano imposti ai vinti dal vincitore (la sconfitta francese del 1870-71 ne è un buon esempio), ed era normale che la parte perdente pagasse le spese della parte vittoriosa, come in una causa giudiziaria. Questo era il modello ancora in funzione all’epoca dei negoziati di Versailles.

Il secondo è un trattato sostanziale , in cui le differenze devono essere appianate, gli obiettivi confrontati l’uno con l’altro e, si spera, deve essere concordata una soluzione politica duratura. Si tratta di un tipo di trattato tipico delle guerre a obiettivi limitati della prima età moderna, come il trattato di Utrecht del 1713, che pose fine alla guerra di successione spagnola. In tali trattati, tutti concordano sul fatto che la guerra è durata abbastanza a lungo, che è improbabile che ulteriori combattimenti risolvano qualcosa, ed è giunto il momento di parlare. Nel 1713 era chiaro che i francesi avrebbero scelto un nuovo re in Spagna, ma c’erano tutta una serie di altre questioni da risolvere tra i governanti d’Europa.

Curiosamente, la maggior parte dei trattati di pace negoziati nei tempi moderni non rientra in nessuna di queste categorie. Forse è per questo che così tanti di loro falliscono e portano a ulteriori conflitti. Questi trattati tendono ad essere imposti, o almeno fortemente incoraggiati e facilitati, dall’esterno, da nazioni e individui che condividono idee largamente liberali sulla pace e la sicurezza, e quindi piuttosto dissociati dalla realtà. Ora, mentre tutte queste idee non sono molto evidenti nel caso della guerra in Ucraina al momento (piuttosto, le stesse onde radio stanno cedendo sotto il peso della sete di sangue liberale-umanitaria) arriverà un punto in cui “i colloqui di pace ” sono necessarie, o almeno possibili, e in quel momento quasi sicuramente riaffioreranno le tradizionali idee liberali. Ho già suggerito che dobbiamo diffidarne in linea di principio: ecco alcuni casi in cui hanno funzionato in modo disastroso nella pratica e che possono fornire spunti di riflessione nel contesto dell’Ucraina.

Uno è il predominio da parte di estranei, che possono influenzare pesantemente una o più parti e in effetti fornire gran parte del materiale per il trattato finale stesso. Ciò è accaduto a Versailles e ai negoziati associati, dove Wilson e la delegazione americana hanno beneficiato del loro status di banchiere delle potenze dell’Intesa e del suo status di capo di stato. Sono arrivati ​​anche con un programma normativo significativo e poca conoscenza ed esperienza pratica sia dell’Europa e del Medio Oriente, sia dell’arte della negoziazione. La Conferenza di Parigi è stata anche la prima in cui un gran numero di Stati o non erano rappresentati come negoziatori, o nella migliore delle ipotesi erano in modalità supplichevole, chiedendo favori a inglesi, francesi e americani. Le grandi potenze erano, in larga misura, in grado di disporre come meglio credevano.

Questo modello continua oggi, con l’ulteriore complicazione che i negoziati di pace possono essere dominati non solo da stati esterni, ma anche da politici e media nelle capitali nazionali lontane dall’azione. Durante il conflitto in Bosnia, un armistizio generale sarebbe stato possibile in qualsiasi momento dopo il 1993, probabilmente sulla falsariga del Piano di pace Vance-Owen. Ma l’opinione politica in un certo numero di capitali occidentali lontane dall’azione e dal costante accrescimento di cadaveri, ha ostacolato qualsiasi accordo che “ricompensasse l’aggressione”, indipendentemente dal fatto che la gente del posto lo volesse. Nelle parole agghiaccianti di un politico olandese, ciò che serviva era “un accordo che soddisfi il nostro senso di giustizia”. Ma non era solo, e il governo americano, sollecitato da influenti Ong, è riuscito per qualche tempo a ostacolare la pace. Commenti simili sono già stati fatti sull’Ucraina. Questo atteggiamento di moralismo distaccato, lontano dalla realtà sul campo, può portare a negoziazioni di pace strutturate per soddisfare le esigenze dei sistemi politici al di fuori della zona di conflitto.

Nel caso dell’Ucraina, sembra abbastanza ovvio che, una volta che l’Occidente si sarà avvicinato all’idea dei negoziati, è probabile che voglia tentare di determinarne l’esito. Ma dal momento che l’Occidente avrà poca o nessuna influenza sui russi, cercherà di compensare microgestendo la parte ucraina. Ciò avrà (almeno) due ovvie conseguenze. Una sarà quella di mettere ciò che è “accettabile” per l’Occidente, e ciò che può essere venduto ai cittadini, ai parlamenti e ai media, prima di qualsiasi considerazione degli interessi del popolo ucraino, o addirittura delle prospettive di pace. La tentazione, infatti, sarà quella di cercare di costringere gli ucraini a prendere nei negoziati una linea più dura di quanto sia effettivamente ragionevole, o addirittura praticabile. Un altro è che qualsiasi unità di intenti che l’Occidente possa avere all’inizio evaporerà rapidamente e diversi paesi occidentali, individualmente o in combinazione, negozieranno separatamente con diverse fazioni all’interno o all’esterno del governo ucraino.

Gli stessi attori esterni, ovviamente, hanno i loro programmi gli uni con gli altri e nel proprio paese, e molto dipende dal fatto che abbiano uno status ufficiale nei colloqui. È difficile immaginare che gli Stati Uniti, la NATO e l’Unione Europea semplicemente osserveranno da lontano qualsiasi negoziato sull’Ucraina senza cercare di influenzarli, ma ovviamente più attori ci sono in un negoziato, più geometricamente diventa complesso. È probabile che le relazioni tra questi attori (che comunque in gran parte si sovrappongono) diventino tese molto rapidamente. C’è anche una differenza fondamentale tra facilitare i negoziati con competenze e aiuti logistici, e limitarsi a mettersi in mezzo e cercare di influenzare il risultato. L’accordo globale di pace per il Sudan del 2005, ad esempio, ideato in gran parte dall’estero, ha prodotto un testo troppo complesso e ambizioso per essere attuato e ha portato alla fine all’indipendenza e poi all’implosione del Sud Sudan. In ogni caso, non è raro che anche i negoziati formali siano destabilizzati dalle attività di singoli grandi attori: un esempio sono i negoziati sullo Statuto di Roma del 1998, dove altre parti si sono adoperate per accogliere gli Stati Uniti nella formulazione del trattato finale, solo per scoprire che il presidente Clinton aveva paura di sottoporlo al suo Senato per la ratifica.

Un altro rischio è un approccio eccessivamente tecnico a problemi che sono in realtà profondamente politici e potrebbero non avere una soluzione facile. Sebbene il discorso culturale popolare della prima guerra mondiale, seguendo la guida della letteratura degli anni ’20, parli di una “guerra inutile” piena di “strage insensata” che “non ha risolto nulla”, la verità è piuttosto diversa. La guerra ebbe la sua origine ultima nella logica della sostituzione dei possedimenti imperiali sparsi con nuovi stati-nazione, e nei conseguenti problemi di quali sarebbero stati i confini di questi stati-nazione, e come sarebbero stati fissati. (La risposta alla seconda domanda è stata sfortunatamente semplice: è stata con la violenza.) In pratica questo si è risolto nel futuro degli imperi asburgico, ottomano e romanov, e se ognuno di loro poteva contenere le proprie pressioni centripete interne. Altri temi sussidiari includevano, chi avrebbe controllato gli ex territori ottomani se quell’impero fosse crollato, e dove sarebbero stati i confini tra gli stati successori degli imperi Romanov e Asburgico, così come la piccola questione se la Francia o la Germania sarebbero stati i principali potere militare in Europa.

A queste domande è stata data una certa risposta dalla guerra stessa, così come dagli anni di conflitto che seguirono, e dalla serie di trattati solitamente indicati come “Versailles”. In difesa di Lloyd George, Wilson e Clemenceau, si può dire che hanno fatto del loro meglio, di fronte a problemi intellettualmente e politicamente molto più complessi di quanto potessero affrontare. Ma il loro approccio effettivo ricordava un negoziato del diciottesimo secolo in cui i territori venivano scambiati tra sovrani, piuttosto che un mondo in cui i sentimenti nazionalisti popolari e la politica democratica cominciavano ad avere una reale influenza. Quindi probabilmente sembrava un’idea intelligente assegnare i Sudeti di lingua tedesca al neonato stato della Cecoslovacchia per dotarlo di una frontiera difendibile. Che cosa potrebbe andare storto?

In molti modi, quell’incapacità di cogliere lo stesso quadro generale che vediamo più chiaramente ora, è parallela all’incapacità delle nostre élite politiche, intellettuali e mediatiche di capire cosa sta succedendo oggi in Ucraina e, cosa più importante, intorno. Quello che stiamo vedendo sono in realtà due cose: il definitivo allentamento delle tensioni inerenti alla situazione alla fine della seconda guerra mondiale, e la successiva creazione di un nuovo ordine di sicurezza in Europa, dove prevarranno o gli Stati Uniti o la Russia. E se entrambi questi punti sembrano avere echi del periodo 1914-21, ebbene forse sì: in tal senso è giusto dire che la prima guerra mondiale “non ha risolto nulla” perché gli insediamenti definitivi nella storia sono rari. Come accadeva un secolo fa, questi grandi problemi intrattabili contengono molti piccoli problemi intrattabili, come le ultime disposizioni per la disposizione delle repubbliche dell’ex Unione Sovietica, il destino dei confini stabiliti con la forza dopo il 1945, il progressivo lo svuotamento delle popolazioni dei paesi in declino dell’Est e la questione se la Francia o la Germania debbano essere l’attore dominante in Europa. Tra gli altri, ovviamente.

Nel 1914, l’insieme delle tensioni politiche che esistevano in Europa produsse una situazione che non poteva essere risolta pacificamente: Francia e Germania non potevano scambiarsi la proprietà dell’Alsazia e della Lorena a settimane alterne, e la Polonia esisteva o non esisteva. Il risultato è stata la violenza. Allo stesso modo, oggi, l’apparentemente irresistibile marcia verso est del liberalismo normativo si è scontrata direttamente con la massa genuinamente inamovibile dell’opposizione russa. In teoria, quest’ultimo caso avrebbe potuto essere risolto, almeno per un po’, ma come ho sostenuto , ciò sarebbe avvenuto a costo di creare una crisi esistenziale nella cultura liberale occidentale. In pratica, la collisione era probabilmente inevitabile.

Ora è importante non lasciarsi trasportare dai confronti storici. Una guerra generale in Europa non accadrà ora, anche perché l’Occidente in senso lato non ha i mezzi per combatterla. Ma i due momenti sono, direi, di gravità e significato paragonabili. Ciò significa che i tentativi di rimediare al problema ritarderanno solo il peggio, e il peggio sarà probabilmente peggiore di quanto sarebbe stato altrimenti. L’unica cosa che, forse, stabilizzerà la situazione è se le sarà permesso di svolgersi completamente, cosa che probabilmente accadrà comunque. (Spiegherò quel commento gnomico tra un momento.)

Un ultimo rischio (ne bastano tre) è che i partecipanti ai negoziati semplicemente non abbiano alcun reale interesse a concluderli positivamente. Sembra ovvio, ma c’è stata una storia decennale di forzatura di un accordo – qualsiasi accordo – tra le parti di un conflitto armato, per poi rimanere scioccati quando va terribilmente storto. Il classico caso moderno è il trattato di pace di Arusha del 1993 per il Ruanda, che ha diviso il paese, il governo e le forze di sicurezza, più o meno equamente tra l’RPF, rappresentanti della vecchia classe aristocratica in esilio, e l’allora governo di coalizione esistente a Kigali , escludendo tutte le altre forze politiche. In un Paese e in una regione dove le stragi erano uno strumento tradizionalmente basilare della politica, ed era sempre stato assente il concetto stesso di negoziazione e compromesso, lo stesso Trattato destabilizzò la situazione e rese di fatto inevitabile una ripresa della guerra, con le terribili conseguenze che seguito.

Ma può essere vero anche il contrario. Dopo il rilascio di Nelson Mandela nel 1990 e la revoca del bando dell’ANC e del Partito Comunista, le varie parti hanno dovuto trovare una via da seguire. Sebbene ci fossero piccoli gruppi di intransigenti in luoghi diversi, la stragrande maggioranza degli attori (come la stragrande maggioranza della popolazione) ha riconosciuto che le uniche scelte erano un accordo di qualche tipo o un’apocalittica spirale mortale per il paese. Non c’è niente che concentri così tanto la mente sulla ricerca di soluzioni come la prospettiva della distruzione se non ci riesci. E in tal senso, se molti degli accordi presi tra il 1990 e il 1994 possono essere, e sono stati, pesantemente criticati, ciò non toglie che la volontà politica condivisa di uscire dall’impasse sia riuscita ad appiattire tutti gli ostacoli.

Nel caso dell’Ucraina, è importante distinguere diversi tipi di “accordi”, ciascuno dei quali può essere soggetto ad alcuni dei problemi sopra discussi. Potrebbe essere utile prenderli in sequenza. In primo luogo, la fine di qualsiasi combattimento richiede accordi tecnici di qualche tipo. Ci sarà una linea oltre la quale i russi non intendono andare, ci saranno problemi di sicurezza e ordine pubblico nelle città vicine, molti casi di persone che devono transitare sulla linea di controllo, sicurezza da entrambe le parti, indagini sulle violazioni dell’accordo, e così via. Tali accordi sono meglio negoziati a livello locale da coloro che dovranno attuarli. La storia suggerisce che gli “osservatori internazionali” e ancor più le forze di interposizione, nel migliore dei casi non aggiungono nulla e nel peggiore dei casi possono essere manipolati e diventare parte del problema.

Tali accordi provvisori a un certo punto dovranno essere inclusi in un accordo che stabilisca i futuri confini e la composizione politica dell’Ucraina. La storia suggerisce che non è ragionevole aspettarsi troppo dai documenti, perché la pressione per raggiungere un accordo porta inevitabilmente a compromessi, che potrebbero essere deplorati e persino abbandonati in seguito. In particolare, è difficile credere che qualsiasi governo ucraino immediatamente prevedibile sarebbe abbastanza unito e avrebbe abbastanza controllo del paese da firmare e attuare un accordo vincolante. Come precedente storico, si consideri il caso del trattato anglo-irlandese del 1921, aspramente divisivo, che richiese importanti concessioni da entrambe le parti. FE Smith, uno dei negoziatori britannici, ha detto in seguito a Michael Collins, capo della delegazione irlandese: “Potrei aver firmato la mia condanna a morte politica”. A cui Collins ha risposto, prescientemente “Potrei aver firmato la mia vera condanna a morte”. Fu assassinato pochi mesi dopo. Oppure si consideri il caso dei delegati dell’UCK ai colloqui di Rambouillet sul Kosovo nel 1999, dove il capo della delegazione (che in realtà era solo un portavoce dei comandanti militari) era obbligato a dire alla delegazione statunitense che se avesse firmato il trattato proposto nel testo, sarebbe stato ucciso al suo ritorno.

Tutto ciò suggerisce che non ha molto senso cercare di negoziare una soluzione politica onnicomprensiva per l’Ucraina, con un insieme ampio ed elaborato di strutture per l’attuazione. Un simile insediamento conterrebbe probabilmente in sé i semi della sua distruzione: grossolanamente, come abbiamo visto, più complesso è l’insediamento, maggiore è il margine per le cose che vanno male. Al contrario, i contorni spogli di un insediamento – un’Ucraina smilitarizzata e un po’ più piccola senza alcuna influenza occidentale – sono facili da capire e anche essenzialmente robusti. È questo che bisognerà tenere presente, anche se il legalismo russo e l’inevitabile tendenza dei negoziati a sollevare problemi complessi che invitano a soluzioni complesse lo renderanno difficile. Il coinvolgimento di parti esterne dovrebbe essere contrastato il più possibile, perché in realtà c’è poco che possano contribuire ed è improbabile che una particolare parte esterna sia accettabile per entrambe le parti. E tale coinvolgimento porta i suoi problemi: la convenzione secondo cui un governo degli Stati Uniti non è vincolato dai trattati firmati dal suo predecessore, per esempio, è inutile.

Infine, c’è la questione più ampia del nuovo ordine di sicurezza in Europa che emergerà dopo il conflitto. Anche in questo caso, non è molto utile parlare di trattati e accordi formali, perché, nella misura in cui saranno presenti, sarà un esercizio di riordino quando i principali contorni politici si saranno già aggiustati. In effetti, è un classico errore supporre che gli accordi formali cambino le cose: non lo fanno. Quelli di successo, almeno, registrano semplicemente il fatto che le cose sono già cambiate. Il problema fondamentale di questo nuovo ordine di sicurezza è facile da enunciare: solo una potenza esterna può avere un’influenza decisiva sull’Europa occidentale. Possono essere gli Stati Uniti o la Russia, ma non possono essere entrambi allo stesso tempo. Dopo il 1945, ci fu una demarcazione geografica tra i due, e c’erano regole non scritte che la sostenevano. Sebbene non ci sia mai stato un trattato di guerra fredda, la situazione era notevolmente stabile e le due grandi potenze generalmente evitavano sfide dirette l’una con l’altra. Dopo il 1989, gli Stati Uniti sono avanzati costantemente, fino a quando non hanno colpito un muro di mattoni all’inizio di quest’anno. Ora è possibile vedere una nuova dispensa, non senza gli Stati Uniti del tutto, dal momento che la vita non funziona così, ma con un ruolo americano nettamente ridotto in Europa e il riconoscimento de facto dell’influenza russa. La NATO probabilmente continuerà in qualche forma, e potrebbero anche esserci alcune unità militari statunitensi aggrappate alla periferia, ma questo sarà in gran parte teatro. Ora non c’è motivo di pensare che i russi vorranno emulare le pratiche statunitensi di coinvolgimento diretto con paesi europei, basi militari e così via, e in effetti non ne hanno bisogno. Sarebbe sufficiente un riconoscimento generalmente inteso ma tacito che il nuovo regime è: americani fuori, russi dentro e tedeschi (ancora) giù.

Più a lungo va avanti la guerra, più è probabile che appaiano sul terreno il secondo e il terzo di questi insediamenti, dopodiché potrebbe non essere nemmeno necessario formalizzarli in un trattato. Nessuno, ovviamente, vuole che le guerre continuino per il gusto di farlo, ma, come ho sostenuto, i tentativi di utilizzare negoziati e trattati per fermare i conflitti che in realtà hanno una dinamica inarrestabile non fanno che peggiorare le cose alla fine. Al contrario, alcune guerre, come quella in Bosnia, alla fine finiscono quando le parti sono esaurite. Per quanto l’idea possa sembrare poco allettante, alcune crisi devono solo essere lasciate a risolversi da sole, se mai ci sarà un risultato stabile che abbia una possibilità di durare.

https://aurelien2022.substack.com/p/dont-give-peace-too-many-chances?utm_source=post-email-title&publication_id=841976&post_id=87811858&isFreemail=true&utm_medium=email

La geopolitica energetica della Russia con Cina e India_di Andrew Korybko

Due precisazioni: dalle dinamiche geoeconomiche a quelle geopolitiche il passaggio non è così scontato; la connessione diretta ai confini con la Cina favorisce economicamente quest’ultima e i rapporti commerciali Russia-Cina ammontano ancora a sei volte quelli Russia-India. Rimangono l’interesse per un riequilibrio geopolitico della posizione dei russi e la tradizione di lunghi rapporti politici e militari tra Russia e India. Buona lettura, Giuseppe Germinario

I punti principali di questa analisi sono diversi. In primo luogo, la geopolitica energetica della Russia con Cina e India è reciprocamente vantaggiosa. In secondo luogo, la strategia di diversificazione energetica della Cina è bilanciata dall’insaziabile appetito dell’India per le risorse russe scontate. In terzo luogo, l’India sta rapidamente sostituendo la Cina come principale partner della Russia. In quarto luogo, né le suddette discussioni né le discussioni sino-americane in corso su una nuova distensione sono a somma zero per Mosca o Pechino. E finalmente sta emergendo un nuovo equilibrio strategico globale.

Il nucleo RIC della transizione sistemica globale

La Cina e l’India sono i due principali partner della Russia nel mondo, con i quali collabora strettamente sia a livello bilaterale che multilaterale attraverso i BRICS e la SCO . Collettivamente indicati come RIC, sono le forze trainanti nella transizione sistemica globale verso il multipolarismo . Tutti e tre prevedono di riformare le relazioni internazionali in modo che siano più democratiche, uguali e giuste, con un grande passo in quella direzione compiuto attraverso la cooperazione energetica reciprocamente vantaggiosa di Cina e India con la Russia.

Il ruolo della geopolitica energetica nella nuova guerra fredda

Prima di descrivere in dettaglio le dinamiche delle relazioni energetiche della Russia con entrambi, è importante sottolineare rapidamente come ciò aiuti in primo luogo a far avanzare il multipolarismo. In poche parole, garantire la sicurezza energetica delle grandi potenze asiatiche stabilisce una solida base economica su cui accelerare ulteriormente il loro sviluppo. Questo a sua volta stabilizza le loro società, scongiura complotti di divide et impera guidati dall’esterno e li rende forze più potenti da non sottovalutare in tutto il Sud del mondo.

È in quei paesi che comprendono la maggior parte dell’umanità che la Nuova Guerra Fredda dovrebbe essere combattuta più ferocemente per procura. Questa competizione mondiale è tra il miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e il Sud del mondo guidato congiuntamente da BRICS e SCO (o maggioranza globale come gli studiosi russi hanno recentemente iniziato a descriverlo) sulla direzione della transizione sistemica globale. Il primo vuole mantenere l’unipolarità mentre il secondo lavora attivamente per costruire un futuro multipolare.

L’asse energetico russo-cinese

Dopo aver spiegato il grande contesto strategico in cui si sta svolgendo la geopolitica energetica della Russia con Cina e India, è giunto il momento di dettagliare ciascuno di questi due assi. A partire da quello russo-cinese, l’energy business forum di martedì ha visto la condivisione di alcune importanti informazioni sui loro legami. Il CEO di Rosneft Igor Sechin ha rivelato che la Russia è ora il principale fornitore di petrolio della Cina dopo aver fornito il 7% delle sue importazioni e si aspetta che le consegne di GNL diventino pari alle forniture di gasdotti nel prossimo futuro.

Il vice primo ministro russo Alexander Novak ha ribadito la loro stretta collaborazione nel settore energetico e ha suggerito che lo sviluppo e la produzione congiunta di attrezzature potrebbe diventare la fase successiva in questo senso. Ha anche rivelato che stanno sviluppando un sistema di accordi per aggirare lo SWIFT e condurre scambi di valute nazionali. Infine, è stata letta una dichiarazione del presidente cinese Xi sull’intenzione del suo Paese di rafforzare ulteriormente i suoi legami energetici con la Russia, in particolare sulle rinnovabili.

L’asse energetico russo-indiano

Passando all’asse energetico russo-indiano, le importazioni di petrolio del suo partner da parte dello stato dell’Asia meridionale sono aumentate di oltre 50 volte dall’inizio dell’operazione speciale di Mosca Gli ultimi dati della società del mercato finanziario statunitense Refinitiv , che per coincidenza sono stati rilasciati più o meno nello stesso periodo del forum sul business energetico russo-cinese di questa settimana, hanno mostrato che l’India ha acquistato il 40% del petrolio russo di qualità degli Urali, rendendola così il più grande importatore di Mosca di questa risorsa e Il principale partner energetico di Delhi con il 22% del totale.

Mentre i dati hanno anche mostrato che la Cina ha importato 1,82 milioni di barili al giorno in ottobre rispetto al picco dell’India di 935.556, ha anche rivelato che il primo ha rappresentato solo il 5% delle esportazioni marittime degli Urali a novembre, anche se gli esperti prevedono che alcune petroliere dirette altrove cambieranno successivamente le loro destinazione per la Repubblica Popolare. In ogni caso, il significato dei suddetti dati è che la Cina è il principale partner energetico della Russia, ma la stragrande maggioranza delle sue importazioni avviene tramite oleodotti mentre l’India avviene via mare.

Confronto e contrasto

Questa osservazione fornisce chiarezza ai recenti rapporti secondo cui alcuni acquirenti cinesi avrebbero sospeso le loro importazioni di petrolio russo prima dell’incombente price cap dell’Occidente che entrerà in vigore il 5 dicembre. Mentre questo potrebbe probabilmente essere interpretato come un tacito “gesto di buona volontà” da parte della Repubblica popolare nei confronti del suo rivale americano per facilitare le loro discussioni in corso su una nuova distensione , è in gran parte superficiale poiché la maggior parte di tali importazioni di petrolio russo avviene tramite oleodotti, quindi ha vinto ‘t influenzare in modo significativo i legami bilaterali.

L’India, nel frattempo, ha respinto con orgoglio pressioni senza precedenti su di essa da parte dei suoi partner nel Golden Billion per continuare ad espandere in modo completo la sua cooperazione energetica reciprocamente vantaggiosa con la Russia. Nel grandioso contesto strategico della Nuova Guerra Fredda, questa è stata una potente mossa di sfida multipolare considerando il desiderio di Delhi di trovare un equilibrio tra i due blocchi de facto. Senza esagerare, ha svolto un ruolo indispensabile nell’accelerare l’ascesa di quel paese a Grande Potenza di rilevanza mondiale .

Acquisti cinesi di oleodotti contro acquisti marittimi indiani

Alla luce delle intuizioni finora condivise in questa analisi sulle dinamiche della geopolitica energetica della Russia con la Cina e l’India, emergono alcune tendenze emergenti. In primo luogo, la Cina continuerà a fare affidamento principalmente sugli oleodotti russi per ricevere il petrolio del paese vicino, mentre l’India continuerà a fare affidamento sulle rotte marittime. Il primo è più economico in quanto riguarda contratti a lungo termine con prezzi fissi mentre il secondo potrebbe essere un po’ più costoso a causa della loro assenza, ma questo non è scontato.

Questo porta l’analisi alla seconda tendenza emergente ed è che il ruolo di primo piano dell’India come principale importatore di energia per via marittima della Russia e la sua volontà politica nel garantire in modo indipendente i suoi interessi nazionali nonostante la pressione straniera le conferiscono un’influenza sproporzionata nella grande pianificazione strategica di Mosca. La dipendenza sproporzionata del Cremlino dalle esportazioni di energia per attutire il colpo alle sue entrate annuali inflitto dalle sanzioni dell’Occidente potrebbe portare anche a Delhi offerte allettanti a lungo termine.

Le conseguenze della strategia cinese di diversificazione energetica  

In terzo luogo, il “gesto di buona volontà” in gran parte superficiale della Cina nei confronti degli Stati Uniti, dopo che alcuni dei suoi importatori avrebbero interrotto l’acquisto di petrolio russo prima dell’incombente tetto massimo, potrebbe liberare più petrolio marittimo da acquistare da parte dell’India, accelerando così la tendenza precedente. Inoltre, la diversificazione energetica attiva di Pechino rispetto al suo recente accordo GNL da 60 miliardi di dollari per 27 anni con il Qatar potrebbe gradualmente erodere la posizione di Mosca come principale fornitore di energia.

Tale sviluppo potrebbe essere accelerato nel caso in cui la Cina riprenda il suo impegno de facto congelato per la prima fase dell’accordo commerciale dell’era Trump per l’acquisto di 50 miliardi di dollari di esportazioni di energia dagli Stati Uniti per facilitare la nuova distensione o premiare Washington per eventuali concessioni potenziali come ritardare a tempo indeterminato le spedizioni di armi a Taiwan. Ciò non significa che l’impegno del presidente Xi di rafforzare i legami energetici con la Russia non sarà rispettato, ma solo che l’impatto potrebbe non essere quello previsto.

Piuttosto, il punto negli ultimi due paragrafi è che la pragmatica strategia di diversificazione energetica della Cina non influirà in modo significativo sulle relazioni con la Russia a causa dei loro accordi di gasdotti esistenti e di quelli sperati di GNL come suggerito da Sechin, ma potrebbe liberare ancora più risorse per l’India da comprare. Mosca sarebbe incline ad estendere i termini preferenziali a Delhi per raggiungere accordi a lungo termine per garantire la stabilità di bilancio, alimentando al contempo l’ascesa del suo partner come Grande Potenza di importanza globale.

La quarta tendenza è quindi che i legami energetici russo-cinesi rimarranno stabili (anche se cambieranno gradualmente forma passando maggiormente al GNL e infine alle rinnovabili) mentre quelli russo-indiani continueranno a crescere. Il limite del secondo sarà solo la capacità produttiva della Russia e la continua volontà politica dell’India di sfidare la pressione occidentale. Questi possono essere corretti attraverso investimenti congiunti e aprendo la strada a un sistema di pagamento dedollarizzato non SWIFT come quello tra Russia e Cina.

Russia-India > Russia-Cina

Infine, l’ultima tendenza è che il partenariato strategico russo-indiano sta rapidamente sostituendo quello russo-cinese in termini di importanza per la grande strategia di Mosca. Questo non vuol dire che i legami russo-cinesi si deterioreranno – niente affatto! – ma solo che si stanno “normalizzando” di fronte alla lotta di Pechino per ricalibrare la sua grande strategia a causa degli sconvolgimenti sistemici globali causati dal conflitto ucraino e delle discussioni in corso con Washington su una nuova distensione che si stanno verificando di conseguenza.

Questi ultimi sviluppi non sono nulla di negativo per le relazioni russo-cinesi, ma suggeriscono che la cosiddetta “epoca d’oro” dei loro legami in cui si presumeva ( col senno di poi inesatto ) fosse sulla stessa identica pagina con uno un altro a tutti gli effetti è finito silenziosamente. Continueranno a lavorare a stretto contatto per riformare le relazioni internazionali nella direzione multipolare attraverso la de-dollarizzazione e forum multilaterali come i BRICS, ma stanno sempre più facendo le cose a modo loro.

Al contrario, le grandi strategie della Russia e dell’India sono rapidamente confluite da febbraio quando entrambe le grandi potenze si sono rese conto di quanto siano sempre state complementari rispetto alla loro visione condivisa di rompere l’ impasse bi-multipolare della transizione sistemica globale. Nessuno dei due voleva perpetuare indefinitamente il duopolio della superpotenza sino-americana che altrimenti avrebbe potuto radicarsi nelle relazioni internazionali, ecco perché si sono sforzati insieme di distruggerlo nell’ultimo anno.

Pensieri conclusivi

I punti principali di questa analisi sono diversi. In primo luogo, la geopolitica energetica della Russia con Cina e India è reciprocamente vantaggiosa. In secondo luogo, la strategia di diversificazione energetica della Cina è bilanciata dall’insaziabile appetito dell’India per le risorse russe scontate. In terzo luogo, l’India sta rapidamente sostituendo la Cina come principale partner della Russia. In quarto luogo, né le suddette discussioni né le discussioni sino-americane in corso su una nuova distensione sono a somma zero per Mosca o Pechino. E finalmente sta emergendo un nuovo equilibrio strategico globale .

La Turchia sta annegando nelle opportunità, di Kamran Bokhari

Ma i vincoli interni limiteranno la capacità di Ankara di capitalizzare.

In quasi tutte le direzioni, l’ambiente strategico della Turchia presenta opportunità per Ankara. I turchi trarranno vantaggio in particolare dalle crisi parallele che devono affrontare la Russia e l’Iran. Detto questo, lo stato dell’economia politica della Turchia è un serio vincolo. Ciò significa che ci sono limiti a quanto nell’immediato la Turchia potrà trarre vantaggio dagli spostamenti in atto nel bacino del Mar Nero e nel versante meridionale del Paese con il Medio Oriente.

Spazio per crescere

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan in un discorso del 23 novembre in parlamento ha affermato che le operazioni aeree della Turchia contro le forze curde siriane nel nord della Siria sono solo l’inizio di un’offensiva terrestre molto più ampia che Ankara lancerà quando opportuno. Erdogan ha affermato che il suo paese è più determinato che mai a proteggere il suo confine meridionale espandendo il suo “corridoio di sicurezza” esistente all’interno del territorio siriano. Il giorno prima, Reuters ha riferito che gli aerei da guerra turchi hanno attraversato per la prima volta lo spazio aereo controllato dalla Russia e dagli Stati Uniti sopra la Siria per attaccare le posizioni separatiste curde siriane come rappresaglia per un attentato del 13 novembre a Istanbul. Un anonimo alto funzionario turco ha affermato che i turchi hanno coordinato i bombardamenti dell’F-16 con le autorità statunitensi e russe.

Controllo territoriale nel nord della Siria |  novembre 2022
(clicca per ingrandire)

Dal 2016, la Turchia è impegnata in diverse operazioni militari nel nord della Siria con l’obiettivo principale di contenere il separatismo curdo siriano. I separatisti hanno guadagnato terreno perché gli Stati Uniti li hanno sostenuti come prima linea nella guerra contro il gruppo dello Stato islamico. Ankara ha anche sostenuto una varietà di forze ribelli siriane contrarie al regime di Assad. Gli sforzi turchi sono stati ostacolati dagli sforzi di Mosca e Teheran per sostenere il presidente Bashar Assad. Il 2022 è stato una sorta di punto di svolta. La guerra della Russia in Ucraina ha gravemente minato la posizione politica interna ed estera di Mosca, mentre l’Iran sta affrontando una crescente rivolta generale interna.

Pertanto, né la Russia né l’Iran hanno la stessa larghezza di banda per trattare con la Siria che hanno avuto negli anni passati. Questa situazione in evoluzione crea le condizioni affinché la Turchia cerchi di approfittare dell’apertura e di fare serie incursioni sul suo fianco meridionale. È ancora troppo presto per prevedere con un certo grado di certezza quanto margine di manovra abbia la Turchia, ma senza un sostegno sostanziale da parte dei suoi alleati russi e iraniani, il regime di Assad vedrà probabilmente una rinascita delle forze ribelli che la Turchia ha un grande interesse a sostenere.

Il Medio Oriente allargato non è l’unica arena in cui la Turchia sta giocando un ruolo di primo piano. Ankara è stata anche un attore chiave nella guerra in Ucraina. Mantiene stretti legami con la Russia mentre fornisce droni alle forze ucraine. Il grado di influenza dei turchi in questo spazio di battaglia può essere misurato dall’accordo sul grano raggiunto a luglio, che Ankara ha mediato tra Mosca e Kiev. Gli sforzi turchi hanno consentito agli ucraini di riprendere le esportazioni di prodotti alimentari che erano stati interrotti dalla guerra e contenere la crescente insicurezza alimentare globale. Nelle scorse settimane i russi hanno minacciato due volte di annullare l’accordo, ma i turchi sono riusciti a convincerli a mantenerlo. La Turchia ha usato la sua posizione nel bacino del Mar Nero per far sembrare che stia negoziando sia con la Russia che con la NATO, che avvantaggia Erdogan vista l’immagine che vuole avere al suo interno. Ne beneficia anche la Turchia in quanto sembra che stia diventando un attore regionale.

Gli Stati Uniti hanno lottato per anni su come trattare con la Turchia di Erdogan, che, pur essendo un alleato della NATO, si è sempre più impegnata in politiche estere unilaterali che sono in conflitto con gli interessi statunitensi. Tuttavia, il ruolo della Turchia nella guerra in Ucraina si è rivelato utile a Washington, il che spiegherebbe come i turchi siano riusciti a ottenere la cooperazione degli Stati Uniti per i loro ultimi attacchi aerei contro i separatisti curdi. Anche se gli Stati Uniti non hanno guardato dall’altra parte, non stanno facendo nulla per scoraggiare la Turchia. Allo stesso modo, l’influenza della Turchia con una Russia isolata a livello internazionale significava che non doveva preoccuparsi che i russi creassero problemi agli attacchi aerei turchi.

Siria e oltre

L’invio di forze di terra sarà molto più complicato, tuttavia, perché è lì che i turchi probabilmente incontreranno gli iraniani, più specificamente le milizie a guida iraniana. Il braccio operativo all’estero del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche di Teheran, la Forza Quds, ha fatto il lavoro pesante per garantire che il regime di Assad non crolli contro una ribellione condotta da milizie islamiste in gran parte sunnite. La Forza Quds ha mobilitato, addestrato e sostenuto diverse decine di migliaia di miliziani che, anni dopo aver aiutato il regime di Assad a reprimere l’insurrezione, rimangono schierati e non lontano dalle regioni della Siria settentrionale dove i turchi cercano di espandere la loro presenza.

Mentre gli iraniani hanno dato scacco matto ai turchi nel Levante, negli ultimi due anni si è sviluppato il contrario nel Caucaso meridionale. Con l’assistenza militare turca, in particolare la fornitura di droni Bayraktar, l’Azerbaigian alla fine del 2020 è stato in grado di invertire l’equilibrio di potere nella regione del Nagorno-Karabakh, dove l’Armenia dal 1994 aveva il sopravvento. Avendo guadagnato una grande quantità di territorio, l’Azerbaigian ora ha un confine molto più lungo con il rivale Iran. Gli iraniani, che sono alleati degli armeni, sono stati allarmati da questo sviluppo sin dalla guerra del 2020, ma lo sono ancora di più ora, poiché i disordini interni si sono diffusi alle parti etniche azere dell’Iran nordoccidentale vicino al confine con l’Azerbaigian.

La situazione ha spinto l’Iran a condurre esercitazioni militari su larga scala il mese scorso vicino al confine con l’Azerbaigian. Mentre l’Iran è sulla difensiva, la Turchia spera di beneficiare della vittoria dell’Azerbaigian sull’Armenia. La Turchia ha negoziato un corridoio che la collegherebbe direttamente all’Azerbaigian attraverso l’exclave di Baku di Nakhchivan e attraverso il territorio armeno, dando alla Turchia la capacità di attingere alle risorse energetiche della regione trans-caspica e oltre, fino all’Asia centrale. Criticamente, questa regione è stata una sfera di influenza russa, ei turchi hanno fatto irruzione nel Caucaso meridionale ben prima dell’indebolimento della Russia nella guerra in Ucraina.

I Balcani sono un altro vecchio terreno di calpestio turco dove i turchi vorrebbero ravvivare la loro influenza. Gli accordi di Dayton del 1995, che hanno posto fine alla guerra in Bosnia, hanno creato un complesso accordo politico tra le sue popolazioni bosgnacche, serbe e croate. Gli Accordi di Dayton sono stati sottoposti a crescenti tensioni, soprattutto a causa degli sforzi della semiautonoma repubblica serba di etnia serba per la secessione dalla federazione bosniaca. I russi sono alleati dei serbi e Mosca è stata a lungo sconvolta dall’intervento occidentale in Kosovo. Il presidente russo Vladimir Putin ha persino giustificato la guerra in Ucraina tracciando un’analogia con il bombardamento della Serbia da parte della NATO e il sostegno all’indipendenza del Kosovo.

I serbi stanno probabilmente assistendo all’indebolimento della loro Russia protettrice con grande trepidazione e si chiedono cosa significhi per il loro futuro nei Balcani occidentali. Se la Russia cerca di innescare il conflitto in questa regione per contrastare le sue perdite in Ucraina o non è in grado di aiutare i suoi alleati serbi che hanno sfidato gli accordi di Dayton, i Balcani occidentali potrebbero precipitare nel conflitto. Ciò creerebbe un’apertura per la Turchia per venire in aiuto dei suoi alleati bosniaci in un modo molto più robusto di quanto abbia fatto negli anni ’90, specialmente con la Turchia che oggi persegue aggressivamente lo status di grande potenza e con le fortune in declino della Russia.

Il vincolo Erdoganomico

Nonostante i vuoti geopolitici che si stanno formando attorno ad essa, i vincoli interni di Ankara costringeranno i turchi a scegliere le loro battaglie ea dare priorità ai loro sforzi di conseguenza. Il futuro del regime di Erdogan, dopo quasi 20 anni al potere, è in discussione, con il presidente che dovrà affrontare le elezioni il prossimo anno. Il 2023 segna anche il centenario della moderna repubblica turca. Erdogan inizialmente ha presieduto un decennio di rinascita economica come primo ministro, ma l’economia turca ha preso una brutta piega nel 2013 quando sono scoppiate le proteste contro Erdogan, un anno prima che assumesse il controllo della presidenza e guidasse il paese verso l’autoritarismo.

Valutazione dell'approvazione del lavoro del presidente Erdogan, ottobre 2022
(clicca per ingrandire)

Da allora, la valuta del paese ha perso il 75% del suo valore e l’inflazione è all’85%, mentre Erdogan continua a resistere all’aumento dei tassi di interesse. La situazione finanziaria della Turchia ha imposto un’inversione delle politiche di Erdogan verso il Medio Oriente. Non molto tempo fa, la Turchia era alle prese con tutti i principali attori del Medio Oriente sostenendo le forze dei Fratelli Musulmani sulla scia della rivolta della Primavera Araba. Un decennio dopo, Erdogan ha fatto baldoria per migliorare i legami con Israele, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e, più recentemente, Egitto. Proprio la scorsa settimana, la Turchia e l’Arabia Saudita sarebbero state in trattativa per un deposito saudita di 5 miliardi di dollari presso la banca centrale turca. La banca centrale turca ha accordi di swap in valute locali con molte delle sue controparti per un valore totale di 28 miliardi di dollari. I turchi hanno firmato un accordo con la Corea del Sud per quasi 1 miliardo di dollari,

Questa pazzia di indebitamento è guidata dalla necessità di Erdogan di cercare di sostenere il più possibile la situazione economica in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari del prossimo anno, previste per il 18 giugno. Sei partiti di opposizione, di cui almeno due guidati da ex Erdogan, si sono uniti per mettere in campo un candidato comune contro Erdogan e ripristinare la democrazia parlamentare nel paese. Gli indici di gradimento per il Partito per la giustizia e lo sviluppo di Erdogan sono precipitati a causa del peggioramento delle condizioni economiche. C’è anche la questione se il voto sarà libero ed equo. Indipendentemente dall’esito, le situazioni politiche ed economiche interne continueranno a limitare la capacità della Turchia di sfruttare le numerose opportunità geopolitiche che emergono attorno all’Eurasia.

https://geopoliticalfutures.com/turkey-is-drowning-in-opportunity/?tpa=MWEzZGJkYzAzNjU5OGU0MDE1Y2E1NTE2NzA1MTM4NzgwNGVjMmQ&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/turkey-is-drowning-in-opportunity/?tpa=MWEzZGJkYzAzNjU5OGU0MDE1Y2E1NTE2NzA1MTM4NzgwNGVjMmQ&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20its%20published

Da Apollo, a Musk, passando per Artemis_di Gianfranco Campa

DA APOLLO, A MUSK, PASSANDO PER ARTEMIS! La corsa alla colonizzazione spaziale è ripartita

Nella mitologia greca Artemide era figlia di Zeus e sorella gemella di Apollo.

Il fratello Apollo l’ha preceduta sulla Luna, ora tocca ad Artemide seguirlo sulla stessa scia, dalla Terra alla Luna, passando da Cape Canaveral e da Starbase.

E così che, quasi in sordina, dopo ripetuti ritardi, problemi tecnici, costi esorbitanti, la NASA ha lanciato martedì scorso la missione Artemis 1, appunto verso la luna. La missione circumnavigherà la luna con la sonda Orion senza essere umani a bordo, per poi rientrare sulla terra. Questa dovrebbe essera la prima di molte altre missioni  impegnate, questa volta, da equipaggi umani. L’obiettivo eventualmente è di sbarcare un uomo (una donna?)  sulla Luna; sarebbe il ritorno degli esseri umani sul satellite terrestre.

La prima volta che abbiamo circumnavigato la Luna è stato con Apollo 8, la notte di Natale del 24 Dicembre 1968. Per certi versi l’Apollo 8 è stata più importante e storica del più famoso Apollo 11, con il quale sbarcarono sul suolo lunare due astronauti: Neil Armstrong e Buzz Aldrin.

Mentre Apollo 11 è rimasto impresso nella storia dell’umanità, la missione dell’Apollo 8 è in gran parte, ai più, sconosciuta. Ma fu proprio la missione dell’Apollo 8 ad aprire la strada a tutte le successive missioni che si susseguiranno sul suolo lunare.

Apollo 8 fu il pioniere, l’apripista, al successo dell’intero programma spaziale Apollo.

Con Apollo 8 era la prima volta che gli esseri umani, in carne e ossa, lasciavano l’orbita terrestre per avventurarsi negli ignoti spazi siderali dell’universo, senza aver valutato appieno i rischi che i tre astronauti, Frank Borman, James Lovell e William Anders, avrebbero potuto passare.

Per la prima volta, gli astronauti sono stati in grado di vedere nella sua interezza la  Terra dallo spazio.

Fu la prima volta che fotografammo il sorgere della terra sull’orizzonte lunare in quella notte di Natale del 1968.

Con Apollo 8 fu la prima volta che osservammo e fotografammo la parte nascosta della Luna.

Apollo 8 fu una missione rischiosissima ma necessaria visto che gli Americani all’epoca credevano di non avere il lusso di aspettare. I bollettini di intelligence dicevano che i Sovietici erano pronti a lanciare una missione lunare con il razzo N1. E così fu presa la decisione di accelerare i tempi e andare direttamente sulla luna saltanto alcuni processi di collaudo della missione Apollo.

Nel 1968 l’America era una nazione molto diversa da oggi; più dinamica, più intraprendente, più disposta all’avventura. Un’America che non aveva ancora esaurito l’impeto pionieristico dei suoi antenati.

Oggi è tutto cambiato! Così Artemis 1, senza equipaggio, arriva a circumnavigare la luna emulando la storica missione di Apollo 8. Ma a differenza di Apollo, a parte il compito di circumnavigare la Luna senza equipaggio, Artemis di storico non ha quasi niente.

La missione Apollo era composta da 4 elementi fondamentali. In cima al razzo Saturn V c’era la navicella Apollo, composta da; il Modulo di Servizio (per i sistemi di propulsione e di supporto del veicolo spaziale), la Navicella del Modulo di Comando (gli alloggi dell’equipaggio e la sezione di controllo del volo) e la Navicella del Modulo Lunare (per portare due membri dell’equipaggio sulla superficie lunare, sostenerli sulla Luna e riportarli nell’orbita lunare).

La missione Artemis 1 è composta da due elementi fondamentali; il razzo SLS (Space Launch System), il razzo mammuth al centro di tante polemiche e controversie e la navicella di comando Orion.

Nel 2024 la seconda missione Artemis 2 trasporterà i primi quattro astronauti ospiti della capsula Orion, lanciata dal SLS, verso la Luna, all’interno della quale, durante la missione di circa dieci giorni, l’equipaggio completerà la circumnavigazione lunare e tornerà sulla Terra.

Nel 2025 Artemis 3 vedrà lo sbarco degli uomini sulla superficie lunare. A condizione, naturalmente, che le missioni precedenti abbiano avuto successo. In questa missione il sistema Artemis si arricchirà di un altro importantissimo elemento, il Modulo Lunare, necessario agli astronauti per atterrare e rientrare dal suolo lunare. Gli astronauti stessi dovrebbero rimanere sulla luna per circa una settimana.

Mentre in Italia  e in Europa si tessono le lodi al contributo Italiano ed europeo alla missione Artemis, contributi minori rispetto a quelli americani, la NASA, pur riconoscendo il ruolo europeo alla missione con un “Ampliare le nostre partnership commerciali e internazionali”, sul suo sito rende chiaro lo scopo reale del programma Artemis: “Stabilire la leadership americana e una sua  presenza strategica sulla Luna espandendo al contempo l’impatto economico globale degli Stati Uniti” con buona pace dei buontemponi nostrani che ancora credono alla favola di alleanze e strategie comuni. Strategie comuni e alleanza si, ma solo se il maggior beneficiario di questi intrecci siano sempre gli Stati Uniti d’America. (https://www.nasa.gov/what-is-artemis).

Ho accennato al fatto che Artemis di storico e di rivoluzionario non abbia quasi niente. Mentre si celebra la missione di Artemis, il sistema di lancio SLS è già superato. Il suo destino è già segnato.

In questo eccellente articolo, ERIC BERGER spiega il vero stato della corsa allo spazio in chiave Americana; il futuro appartiene a Elon Musk, non alla NASA.

 

Qui la traduzione della sintesi dell’articolo:

“L’aspetto più impegnativo di quasi tutti i veicoli di lancio sono i suoi motori .Il razzo SLS utilizza i motori rimasti dal programma dello space shuttle. I suoi booster montati lateralmente sarebbero versioni leggermente più grandi di quelli che hanno alimentato la navetta spaziale Shuttle per tre decenni. La parte più recente del veicolo sarebbe il suo grande stadio centrale, che ospita idrogeno liquido e serbatoi di carburante con l’ossigeno necessario ad alimentare i quattro motori principali del razzo. Ma anche questa componente è derivata. Il diametro di 8,4 metri del core stage era identico al serbatoio esterno dello space shuttle, che trasportava gli stessi propellenti per i motori principali dello shuttle.

Il programma missilistico SLS della NASA è stato un disastro fin dall’inizio. È stato efficiente in particolare in una cosa: distribuire posti di lavoro a grandi appaltatori aerospaziali negli stati dei principali leader dei comitati del Congresso. Per questo motivo, i legislatori hanno causato anni di ritardi, un raddoppio dei costi di sviluppo a oltre $ 20 miliardi a scapito della disponibilità di razzi molto più economici e riutilizzabili, costruiti dal settore privato.

Quindi eccoci qui, quasi una dozzina di anni dopo la firma di quell’atto di autorizzazione, con la NASA finalmente pronta a lanciare il razzo SLS. L’agenzia ha impiegato 11 anni per passare dal nulla alla Luna. Ci sono voluti 12 anni per passare dall’avere tutti gli elementi costitutivi di un razzo a  esibirlo sulla rampa di lancio, pronto per un volo di prova senza equipaggio.

Rimane difficile celebrare un razzo che, per molti versi, è responsabile di un decennio perduto di esplorazione spaziale statunitense. I costi finanziari del programma sono stati enormi. Tra il razzo, i suoi sistemi di terra e il lancio della navicella Orion in cima alla pila, la NASA ha speso decine di miliardi di dollari. Ma direi che i costi delle opportunità perse sono ancora più alti. Per un decennio, il Congresso ha diretto l’attenzione dell’esplorazione della NASA verso un programma simile ad Apollo, con un enorme veicolo di lancio, utilizzando la tecnologia degli anni ’70 per i suoi motori, serbatoi e booster.

La conseguente ricerca di un credibile programma di esplorazione dello spazio ha dominato i programmi di volo spaziale umano della NASA negli ultimi due decenni e alla fine ci ha portato al razzo SLS e al programma Artemis Moon.

Nel frattempo ci sono stati anche altri due macro trend molto importanti. Uno è l’ascesa del volo spaziale commerciale con la sua profusione di razzi e satelliti. SpaceX, fondata nel 2002, è l’esempio di questo nuovo movimento spaziale.

L’altro cambiamento radicale è stato l’ascesa del programma spaziale cinese, che ha portato in orbita il suo primo astronauta nel 2003.

Dopo il disastro della Columbia, il presidente Bush ha fissato grandi obiettivi per la NASA: completare la Stazione Spaziale Internazionale entro il 2010 e ritirare il vecchio shuttle spaziale; far volare un veicolo con equipaggio nello spazio profondo (che in seguito sarebbe stato chiamato Orion) entro il 2014 e riportare gli esseri umani sulla Luna entro il 2020 con il Constellation Program. La NASA ha terminato la ISS e ha ritirato la navetta entro il 2011, ma ha fallito gli altri obiettivi.

Le ragioni sono complicate, ma direi che l’ostacolo maggiore proveniva da grandi appaltatori aerospaziali come Boeing, Lockheed Martin e Northrop Grumman i quali insistevano per ottenere grandi pezzi della torta dei finanziamenti utilizzando l’influenza del Congresso per ottenere ciò che volevano.

Questi tre eventi – la fine della Columbia, la fondazione di SpaceX e il primo volo spaziale umano in Cina – segnano l’inizio dell’era moderna dei voli spaziali. Ho avuto un posto privilegiato in prima fila rispetto ai cambiamenti dovuti a questi eventi negli ultimi due decenni, ed è stato affascinante osservare l’impresa statunitense di volo spaziale umano passare finalmente da un modello che era più o meno consolidato negli anni ’60 e gli anni ’70 in un’era moderna, dinamica e innovativa. Ma non è stato facile arrivarci.

Nel 2009, ho iniziato a coprire giornalisticamente a tempo pieno il tema dello spazio per il quotidiano Houston Chronicle. Con l’avvicinarsi del 40° anniversario dell’atterraggio dell’Apollo 11 sulla Luna, chiamai Chris Kraft, il primo e leggendario direttore di volo della NASA. Ho raccolto alcune citazioni e, verso la fine dell’intervista, ci siamo resi conto che eravamo praticamente vicini di casa a Clear Lake.

“È molto costoso da progettare, è molto costoso da sviluppare” riferendosi al SLS; così mi disse quasi un decennio fa. “Quando inizieranno seriamente a svilupare il razzo, il budget andrà in tilt. Faranno emergere tutti i problemi tecnici e di sviluppo, facendo salire i costi di sviluppo. Poi ci sono i costi operativi di quella bestia (SLS), che mangerà viva la NASA . Non saranno in grado di farlo volare più di una volta all’anno, ammesso che otterranno il budget per farlo. Quindi quello che ti ritrovi è una bestia di razzo, che non puoi costruire perché non hai i soldi per farlo e anche  se ce l’avessi non puoi farlo funzionare”.

Le sue argomentazioni, si sono dimostrate quasi del tutto corrette; mi avevano in quel momento convinto. Ho iniziato a farmi un nome come giornalista dello spazio scrivendo in modo critico e in modo incisivo – sul programma SLS, in un momento in cui molti giornalisti del campo lo interpretavano in modo più neutrale.

Contattai l’allora amministratore della NASA, Charles Bolden. Gli chiesi perché la NASA avesse bisogno di un razzo per carichi pesanti quando SpaceX (Elon Musk) aveva iniziato a costruire il Falcon Heavy, che aveva circa il 70 percento della capacità di sollevamento del booster SLS a meno del 10 percento del costo. (Un lancio del Falcon Heavy costa circa $ 150 milioni. Un singolo lancio del razzo SLS costa almeno $ 2 miliardi per l’intero anno.)

‘Siamo onesti’, disse Bolden in risposta. ‘Non abbiamo un veicolo per carichi pesanti disponibile nel privato. Il Falcon 9 Heavy potrebbe un giorno diventare operativo. E` sul tavolo di progettazione; in questo momento l’unica soluzione  reale è  SLS che è invece in costruzione.’

Il Falcon Heavy ha volato per la prima volta nel 2018 ed è ora disponibile per uso commerciale. Il commento di Bolden è diventato un meme.

Quello che è successo con il programma SLS negli anni successivi non dovrebbe sorprendere nessuno. Il livello di finanziamento del programma è costantemente aumentato e il suo sviluppo è stato allungato. Il meccanismo di contrattazione cost-plus utilizzato dalla NASA per finanziare lo sviluppo del veicolo incentiva Boeing e altri appaltatori a spendere più tempo e denaro lavorando su un veicolo perché ottengono più commissioni per un periodo più lungo. La SLS è stata venduta al pubblico come un razzo che sarebbe stato sviluppato nei tempi e con un budget contenuto perché era un derivato dello shuttle e utilizzava hardware tradizionale. Il suo contratto cost-plus predisponeva che accadesse il contrario.

Per la grande industria aerospaziale, quindi,  la pacchia dei contratti statali potrebbe finire. Uno dei cambiamenti radicali che abbiamo visto nell’industria aerospaziale negli ultimi due decenni è l’ascesa di nuovi attori. SpaceX è il più notevole tra loro, ed è senza dubbio il più dirompente, ma è tutt’altro che l’unico concorrente.

Il commento di Bolden fa sorridere col senno di poi perché Falcon Heavy ha battuto il razzo SLS in orbita di almeno quattro anni e mezzo. Ma è anche significativo che anche il razzo di nuova generazione di SpaceX, il veicolo Starship, stia per offuscare il razzo SLS. Se Starship raggiungerà anche solo la metà del suo potenziale, supererà il razzo SLS in ogni modo possibile. È più potente, molto meno costoso e completamente riutilizzabile; può essere lanciato centinaia di volte all’anno, non una sola volta.

Chi quest’anno si è concentrato sulla “corsa allo spazio” tra SLS e Starship ha colto il segno. La vera domanda non è quale dei due razzi super pesanti venga lanciato per primo. L’interrogativo giusto è “quante astronavi  Starship lancerà tra il primo e il secondo volo del razzo SLS?”

Nominalmente, la seconda missione SLS dovrebbe volare nel 2024, ma probabilmente scivolerà nel 2025. In teoria, Starship potrebbe lanciare una dozzina di volte tra oggi e il 2025. Forse 30 volte. Forse ancora di più. Più di un decennio fa, la commissione Augustine ha affermato che la NASA dovrebbe individuare una capacità operativa sostenibile. I razzi riutilizzabili a basso costo sono, chiaramente, la nuova traiettoria sostenibile della NASA.

E la NASA sta già valutando questo futuro. Dopo aver assegnato i contratti SLS e Orion, da allora ha  quasi esclusivamente firmato  contratti “a prezzo fisso” per altri elementi dei suoi programmi di esplorazione con compagnie private, SpaceX principalmente. Attraverso questi contratti, la NASA si è spostata maggiormente verso l’acquisto di servizi dall’industria spaziale commerciale statunitense invece di essere coinvolta direttamente in  ogni fase del processo di sviluppo spaziale.

“Questa è stata una cosa davvero strana”, ha detto Kathy Lueders, che guida l’esplorazione umana operativa per la NASA, “La NASA ha avuto difficoltà a passare dal dire ‘Sono io quello che fa tutto’ a riconoscere ‘lasciamolo fare ad altri'”.

Ma di quello sforzo ne è valsa la pena. Lueders ha spiegato che la NASA sta lavorando con l’industria privata per creare quanti più tipi di partnership possibile per soddisfare le esigenze delle sue varie missioni. L’obiettivo è aiutare l’industria a capire di cosa ha bisogno la NASA e quindi cercare di acquistare servizi che quelle aziende possono anche vendere ad altri clienti spaziali. Ciò incentiva l’industria privata a investire autonomamente in queste tecnologie e fornisce prodotti tempestivi a basso costo.

“Lo facciamo perché riteniamo che sia importante per noi come nazione mantenere la nostra leadership nello spazio”, ha affermato Lueders. “Ogni nazione nel mondo è ammirata di come abbiamo creato queste nuove relazioni con la nostra industria commerciale”.

La NASA lo ha dimostrato nell’aprile 2021 quando l’agenzia ha selezionato l’astronave di SpaceX come “sistema di atterraggio umano” per il programma Artemis Moon. Questo era quasi inimmaginabile solo un paio di anni fa, ma ora l’ambizioso veicolo Starship è saldamente sul percorso critico della NASA verso la Luna. Per ora, Starship si limiterà a traghettare gli astronauti sulla Luna dall’orbita lunare e tornare indietro. Ma non è troppo difficile prevedere gli astronauti che alla fine si lanciano dalla Terra in Starship e vi ritornano allo stesso modo. Se si potrà dimostrare che Starship è sicuro ed efficace – ancora qualche se, per ulteriorecautela- sarà di gran lunga superiore a SLS e Orion in termini di costi, riutilizzabilità e cadenza.

L’ironia è che il Congresso ha accettato di finanziare Starship a $ 2,9 miliardi per lo sviluppo e un paio di missioni lunari. È meno di quanto la NASA spende ogni anno per i costi di sviluppo di SLS e Orion, ma è comunque significativo. E, cosa più importante, nel finanziare Starship, il

Congresso sta finanziando il razzo che un giorno quasi sicuramente metterà fuori servizio il suo amato booster SLS.

La realtà è che lo spazio commerciale privato ha già vinto la guerra dei razzi. La tendenza del settore sembra essere irrevocabilmente diretta verso il riutilizzo. Oltre a Starship, Blue Origin sta costruendo un razzo gigante, New Glenn, destinato ad avere un primo e un secondo stadio completamente riutilizzabili. Relativity Space sta costruendo il gigantesco razzo Terran R completamente riutilizzabile. L’erede della compagnia missilistica United Launch Alliance, di proprietà di Boeing e Lockheed Martin, sta studiando il riutilizzo dei motori principali sul suo nuovo razzo Vulcan. Perfino l’Europa – la vecchia e noiosa Europa istituzionale! – sta cercando di sviluppare un razzo riutilizzabile per carichi pesanti nel prossimo decennio.

 

Il motivo per cui dico che SLS è stata una delle cose migliori che sono successe alla NASA è semplice. Col senno di poi, è il prezzo politico che l’agenzia ha dovuto pagare per portare il Congresso a riconoscre un vero programma di esplorazione dello spazio piu efficiente e meno costoso.

Il  Congresso ha finanziato sempre più altri elementi privati necessari per completare Artemis, tra cui il lander lunare di SpaceX e le tute spaziali per la superficie lunare. Ora come ora, il Congresso non ha un piano per salvare Artemis se la NASA decidesse si abbandonare il razzo SLS e la  navicella Orion. Quindi, grazie a queste nuove collaborazioni col settore privato, la NASA potrà sviluppare un piano per lanciare gli esseri umani sulla Luna e forse, un giorno, su Marte, con o senza SLS.

Se il razzo SLS funziona bene, allora può fungere da traspostatore  pesante provvisorio mentre SpaceX e le altre entità private continuano a lavorare sui loro sistemi di lancio rivoluzionari. Man mano che saranno collaudati, l’uso di SLS e, alla fine, di Orion diventerà obsoleto. Potrebbe succedere in tre anni. O cinque. O 10. Non importa. Ad un certo punto, la NASA si ritroverà con un vero e proprio programma per lo spazio profondo e senza bisogno di razzi imposti dal Congresso.

Quindi grazie, grosso razzo arancione, per aver lubrificato la rampa di lancio. Buona fortuna con la tua arrampicata gravitazionale.  Staremo tutti a guardare e tiferemo per te, anche se non tutti piangeremo la tua fine.”

https://arstechnica.com/science/2022/08/the-sls-rocket-is-the-worst-thing-to-happen-to-nasa-but-maybe-also-the-best/

Qui sotto la traduzione dell’articolo di riferimento

 

Il razzo SLS è la cosa peggiore che possa capitare alla NASA, ma forse anche la migliore?

“Questa è stata una cosa davvero dura.”

Il razzo del sistema di lancio spaziale della NASA all'LC-39B, in preparazione al decollo alle 8:33 ET del 29 agosto 2022.
Ingrandisci / Il razzo del sistema di lancio spaziale della NASA all’LC-39B, si prepara a decollare alle 8:33 ET del 29 agosto 2022.
Trevor Mahlmann

Il 29 luglio 1958 il presidente Eisenhower firmò la legge istitutiva della National Aeronautics and Space Administration. All’epoca gli Stati Uniti avevano messo in orbita circa 30 kg di piccoli satelliti. Meno di 11 anni dopo, Neil Armstrong e Buzz Aldrin sbarcarono sulla Luna.

Il presidente Obama ha firmato un atto di autorizzazione della NASA l’11 ottobre 2010. Tra le sue disposizioni, la legge prevedeva che la NASA creasse il razzo Space Launch System e lo preparasse per il lancio nel 2016. Sembrava ragionevole. A quel tempo, la NASA lanciava razzi, anche molto grandi, da mezzo secolo. E in un certo senso, questo nuovo razzo SLS era già stato costruito.

L’aspetto più impegnativo di quasi tutti i veicoli di lancio sono i suoi motori. Nessun problema: il razzo SLS utilizzerebbe i motori rimasti dal programma dello space shuttle. I suoi booster montati lateralmente sarebbero versioni leggermente più grandi di quelli che hanno alimentato la navetta per tre decenni. La parte più recente del veicolo sarebbe il suo grande stadio centrale, che ospita serbatoi di carburante a idrogeno liquido e ossigeno per alimentare i quattro motori principali del razzo. Ma anche questa componente era derivata. Il diametro di 8,4 metri del core stage era identico al serbatoio esterno dello space shuttle, che trasportava gli stessi propellenti per i motori principali dello shuttle.

Ahimè, la costruzione non è stata così facile. Il programma missilistico SLS della NASA è stato un disastro fin dall’inizio. È stato efficiente proprio in una cosa, distribuendo posti di lavoro a grandi appaltatori aerospaziali negli stati dei principali leader dei comitati del Congresso. Per questo motivo, i legislatori hanno trascurato anni di ritardi, un costo di sviluppo più che raddoppiato a oltre $ 20 miliardi e la disponibilità di razzi molto più economici e riutilizzabili costruiti dal settore privato.

Quindi eccoci qui, quasi una dozzina di anni dopo la firma di quell’atto di autorizzazione, e la NASA è finalmente pronta a lanciare il razzo SLS. L’agenzia ha impiegato 11 anni per passare dal nulla alla Luna. Ci sono voluti 12 anni per passare dall’avere tutti gli elementi costitutivi di un razzo ad averlo sulla rampa di lancio, pronto per un volo di prova senza equipaggio.

Ho emozioni decisamente contrastanti.

I booster montati lateralmente sul razzo SLS derivano dal programma dello space shuttle
Ingrandisci / I booster montati lateralmente sul razzo SLS derivano dal programma dello space shuttle
Trevor Mahlmann

Con il lancio a pochi giorni di distanza, sono incredibilmente felice per le persone della NASA e delle compagnie spaziali che hanno lavorato sodo, tagliato la burocrazia, gestito migliaia di requisiti e realizzato questo razzo. E non vedo l’ora di vederlo volare. Chi non vorrebbe vedere un enorme razzo di Brobdingnagian consumare milioni di chilogrammi di carburante e spezzare i legami scontrosi della gravità terrestre?Sul lato meno felice, rimane difficile celebrare un razzo che, per molti versi, è responsabile di un decennio perduto di esplorazione spaziale statunitense. I costi finanziari del programma sono stati enormi. Tra il razzo, i suoi sistemi di terra e il lancio della navicella Orion in cima alla pila, la NASA ha speso decine di miliardi di dollari. Ma direi che i costi di opportunità sono più alti. Per un decennio, il Congresso ha spinto l’attenzione dell’esplorazione della NASA verso un programma simile ad Apollo, con un enorme veicolo di lancio che è completamente esaurito, utilizzando la tecnologia degli anni ’70 nei suoi motori, serbatoi e booster.

In effetti, alla NASA è stato detto di guardare indietro quando la vivace industria spaziale commerciale di questo paese era pronta a spingere verso voli spaziali sostenibili costruendo grandi razzi e facendoli atterrare, o immagazzinando propellente nello spazio o costruendo rimorchiatori riutilizzabili per andare avanti e indietro tra la Terra e la Luna. È come se il Congresso avesse detto alla NASA di continuare a stampare giornali in un mondo con Internet a banda larga.

Non doveva essere così. In effetti, una manciata di visionari leader della politica spaziale ha cercato di fermare lo spreco, ma è stata respinta dall’industria della difesa e dai suoi alleati al Congresso.

Per me personalmente, questa è anche la fine di un’era. In molti modi, questo razzo ha rispecchiato la mia carriera di giornalista e scrittore che si occupa dell’industria spaziale. Quindi, mentre ci avviciniamo a questo lancio epocale, voglio raccontare la storia, la vera storia, sull’origine e su dove sta andando. Sosterrò che il razzo SLS è la cosa peggiore, e forse allo stesso tempo la cosa migliore, che sia mai capitata alla NASA.

Credo che questa storia possa ancora avere un lieto fine.

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Come le animazioni del Protocollo Callisto hanno preso vita con il Motion Capture

Torna all’inizio

Ho scritto del programma spaziale per due decenni, a partire dal disastro dello space shuttle Columbia nel febbraio 2003. Questa tragedia ha costretto i responsabili delle politiche spaziali con sede a Washington, DC, a fare i conti con la fine del programma dello space shuttle e decidere cosa avrebbe fatto la NASA in seguito. .

La conseguente ricerca di un credibile programma di esplorazione dello spazio profondo ha dominato i programmi di volo spaziale umano della NASA negli ultimi due decenni e alla fine ci ha portato al razzo SLS e al programma Artemis Moon. Ci sono stati anche altri due macrotrend molto importanti. Uno è l’ascesa del volo spaziale commerciale e la sua profusione di razzi e satelliti. SpaceX, fondata nel 2002, è l’esempio di questo nuovo movimento spaziale. L’altro cambiamento radicale è stato l’ascesa del programma spaziale cinese, che ha portato in orbita il suo primo astronauta nel 2003.

Questi tre eventi – la fine della Columbia , la fondazione di SpaceX e il primo volo spaziale umano in Cina – segnano l’inizio della moderna era dei voli spaziali. Ho avuto un posto privilegiato in prima fila rispetto ai cambiamenti causati da questi eventi negli ultimi due decenni, ed è stato affascinante vedere l’impresa statunitense di volo spaziale umano passare finalmente da un modello che era più o meno consolidato negli anni ’60 e Gli anni ’70 in un’era moderna, dinamica e innovativa. Ma non è stato facile arrivarci.

Dopo il disastro della Columbia , il presidente Bush ha fissato grandi obiettivi per la NASA: completare la Stazione Spaziale Internazionale entro il 2010 e ritirare il vecchio shuttle spaziale, far volare un veicolo dell’equipaggio nello spazio profondo (che in seguito sarebbe stato chiamato Orion) con gli astronauti entro il 2014 e riportare gli esseri umani a la Luna entro il 2020 con il Constellation Program. La NASA ha terminato la ISS e ha ritirato la navetta entro il 2011, ma ha fiutato gli altri obiettivi. Le ragioni sono complicate, ma direi che l’ostacolo maggiore proveniva da grandi appaltatori aerospaziali come Boeing, Lockheed Martin e Northrop Grumman che insistevano per ottenere grandi pezzi della torta dei finanziamenti e avere l’influenza del Congresso per ottenere ciò che volevano.

Gli appaltatori – non è il caso di chiamarli Big Aerospace, poiché sono tutti tra i principali appaltatori della difesa degli Stati Uniti – hanno vinto la loro prima battaglia nel 2005. Mentre la NASA cercava il modo migliore per riportare gli astronauti nello spazio profondo, la scelta era tra un sistema di trasporto derivato dallo space shuttle o funzionante con gli esistenti razzi Atlas e Delta utilizzati dalle forze armate statunitensi, i cosiddetti Evolved Expendable Launch Vehicles. Alla fine, la NASA ha deciso  di costruire razzi utilizzando i propri componenti dello shuttle. Convenientemente, questo piano prometteva la maggior parte dei soldi per lo sviluppo per i grandi appaltatori.

In un’analisi di questo approccio, il noto scienziato lunare Paul Spudis ha scritto che mentre l’architettura Constellation potrebbe alla fine funzionare, ha richiesto molti più finanziamenti di quelli disponibili. La riluttanza della NASA ad adottare possibili alternative, ha concluso, è diventata “una camicia di forza programmatica”. L’alternativa preferita di Spudis era quella di utilizzare i razzi Atlas e Delta disponibili in commercio e sviluppare depositi di propellente in orbita per rifornirli di carburante per le missioni lunari.

Spudis aveva ragione. L’amministrazione Bush non si è mai battuta per i miliardi di dollari aggiuntivi necessari per Constellation, e il Congresso non aveva alcuna fretta di vedere progressi reali. Com’era prevedibile, un paio d’anni dopo, i programmi di sviluppo di Constellation erano in forte ritardo e fuori budget.

L’elezione del presidente Obama nel 2008 ha posto le basi per la seconda battaglia. Ha nominato il dirigente aerospaziale Norm Augustine per condurre una revisione degli sforzi di esplorazione umana della NASA. La prima frase di questo rapporto di 156 pagine era succinta e riassumeva il problema: “Il programma di volo spaziale umano degli Stati Uniti sembra essere su una traiettoria insostenibile”.

Di conseguenza, l’amministrazione Obama ha cercato un percorso sostenibile e ha chiesto aiuto all’industria spaziale commerciale. A quel punto, SpaceX aveva lanciato con successo il suo razzo Falcon 1 per la prima volta ed era a buon punto nello sviluppo del più grande razzo Falcon 9. Il CEO di Amazon Jeff Bezos stava investendo centinaia di milioni di dollari nella costruzione di un grande razzo a Blue Origin. E la United Launch Alliance stava valutando le opzioni per modernizzare i suoi razzi Atlas e Delta.

Nella sua richiesta di bilancio per l’anno fiscale 2011, l’amministrazione Obama ha cercato di cancellare i razzi Ares I e Ares V, così come Orion, e spendere invece 3,1 miliardi di dollari per finanziare lo sviluppo di un futuro sistema di lancio per carichi pesanti. In sostanza, questo denaro sarebbe stato conteso dall’industria privata, consentendo loro di svolgere attività di ricerca e sviluppo sulle tecnologie di propulsione. L’obiettivo era finalizzare i progetti di nuovi razzi commerciali entro il 2015 e iniziare a costruirli successivamente attraverso un partenariato pubblico-privato. Se questo programma fosse avvenuto, SpaceX Starship e i veicoli New Glenn di Blue Origin potrebbero già volare regolarmente.

Il Congresso era sbalordito, ovviamente, perché questo piano avrebbe ridotto il suo controllo sui finanziamenti lasciando competere le società private per gli appalti. Il contraccolpo alle proposte di Obama, sia da parte dei repubblicani che dei democratici, è stato tremendo.

“Dato che abbiamo proposto di rescindere contratti del valore di miliardi di dollari, la risposta negativa al budget non è stata sorprendente”, ha scritto l’allora vice amministratore della NASA, Lori Garver, nel suo libro Escaping Gravity . “Poiché la NASA non faceva parte di un’agenda nazionale più ampia da decenni, i suoi alfieri includevano senatori e rappresentanti autoselezionati con contratti e lavori esistenti nei loro distretti il ​​cui interesse principale era spesso mantenere lo status quo”.

Il Congresso, che aveva il potere della borsa, reagì. Ha concesso a malincuore alcune centinaia di milioni di dollari alla NASA per finanziare il “programma dell’equipaggio commerciale” che alla fine ha portato allo sviluppo dei veicoli Crew Dragon e Boeing Starliner di SpaceX. A sua volta, ha ottenuto oltre 3 miliardi di dollari all’anno per la navicella spaziale Orion e un nuovo razzo, lo Space Launch System. Questa volta il Congresso non ha scherzato. Ha scritto l’autorizzazione del razzo per garantire che i suoi appaltatori preferiti, tra cui Boeing e Northrop Grumman, ottenessero gran parte dell’azione.

Big Aerospace ha vinto la sua seconda grande battaglia in cinque anni sui piani di esplorazione dello spazio profondo della NASA, ed è stata una vittoria duratura. Tutto sommato, la NASA ha speso circa $ 50 miliardi in hardware e sistemi di terra Ares, Orion e SLS. Ma alla fine, questa potrebbe essere una vittoria di Pirro.

“SLS è reale”

Nel 2009, stavo iniziando a coprire lo spazio a tempo pieno per lo Houston Chronicle, oltre a riferire sulla scienza e sulla miriade di uragani della regione. Con l’avvicinarsi del 40° anniversario dell’atterraggio dell’Apollo 11 sulla Luna, ho chiamato Chris Kraft, il primo e più leggendario direttore di volo della NASA, da cui è stato nominato Mission Control a Houston. Ho raccolto alcune citazioni e, verso la fine dell’intervista, ci siamo resi conto che eravamo praticamente vicini di casa a Clear Lake.

Mi ha invitato a passare qualche volta e abbiamo stretto un’amicizia nel decennio successivo. (È morto all’età di 95 anni, appena sei giorni dopo il 50° anniversario dell’atterraggio dell’Apollo 11.) Ogni due mesi, andavo a casa sua nel pomeriggio, dopo la sua partita mattutina, e sorseggiavamo Coca -Cola nella sua tana al piano di sopra. A quel punto, Kraft aveva aspettato decenni che accadesse qualcosa con gli umani nello spazio profondo dai tempi di Apollo, e niente era successo. Quindi era frustrato.

A Kraft è piaciuta l’idea iniziale alla base del programma Constellation, ma ha visto i problemi che ha incontrato quando il finanziamento promesso si è esaurito. Quando il Congresso ha detto alla NASA di costruire il razzo SLS, non aveva niente di tutto ciò.

“È molto costoso da progettare, è molto costoso da sviluppare”, mi ha detto quasi un decennio fa. “Quando inizieranno effettivamente a svilupparlo, il budget andrà in tilt. Sorgono tutti i tipi di problemi tecnici e di sviluppo, che aumenteranno i costi di sviluppo. Poi ci sono i costi operativi di quella bestia , che mangerà vivi la NASA se ci arriveranno. Non saranno in grado di farlo volare più di una volta all’anno, se questo, perché non hanno il budget per farlo. Quindi quello che hai è una bestia di un razzo, che ti darebbe tutte queste capacità, che non puoi costruire perché non hai i soldi per costruirlo in primo luogo, e non puoi gestirlo se lo avessi.”

Le sue argomentazioni, che si sono rivelate del tutto corrette, mi hanno convinto in quel momento. Ho iniziato a farmi un nome come giornalista spaziale scrivendo in modo critico – e discuterei in modo incisivo – sul programma SLS in un momento in cui molti giornalisti spaziali lo interpretavano in modo più neutrale. Nel 2014, ho scritto una serie in sette parti sul Chronicle intitolata “Alla deriva”, con la tesi centrale che il programma per lo spazio profondo della NASA era fuori rotta.

Nella misura in cui la serie viene ricordata oggi, è a causa di una citazione che mi è stata data dall’allora amministratore della NASA Charles Bolden. Gli ho chiesto perché la NASA avesse bisogno di un razzo per carichi pesanti quando SpaceX aveva iniziato a costruire il Falcon Heavy, che aveva circa il 70 percento della capacità di sollevamento del booster SLS, a meno del 10 percento del costo. (Un Falcon Heavy sacrificabile costa circa $ 150 milioni. Un singolo lancio del razzo SLS costa almeno $ 2 miliardi all’anno.)

“Siamo molto onesti”, ha detto Bolden in risposta . “Non abbiamo un veicolo per carichi pesanti disponibile in commercio. Il Falcon 9 Heavy potrebbe un giorno nascere. È sul tavolo da disegno in questo momento. SLS è reale.”

Il Falcon Heavy ha volato per la prima volta nel 2018 ed è ora disponibile in commercio. Il commento di Bolden è diventato un meme .

Quello che è successo con il programma SLS negli anni successivi ad “Adrift” non dovrebbe sorprendere nessuno. Il livello di finanziamento del programma è aumentato e il suo sviluppo è stato allungato. Il meccanismo di contrattazione cost-plus utilizzato dalla NASA per finanziare lo sviluppo del veicolo incentiva Boeing e altri appaltatori a spendere più tempo e denaro lavorando su un veicolo perché ottengono più commissioni per un periodo più lungo. L’SLS è stato venduto al pubblico come un razzo che sarebbe stato sviluppato nei tempi e nel budget perché era un derivato dello shuttle e utilizzava hardware tradizionale. Il suo contratto cost-plus garantiva che accadesse il contrario.

Per tutti questi motivi, ma in particolare per i suoi costi di opportunità e per la sua natura retrospettiva, il razzo SLS è quasi la cosa peggiore che sia accaduta alla NASA negli ultimi sei decenni.

Aumento dello spazio commerciale

Per Big Aerospace, tuttavia, la festa potrebbe finire. Uno dei cambiamenti radicali che abbiamo visto nell’industria aerospaziale negli ultimi due decenni è l’ascesa di nuovi attori. SpaceX è il più notevole tra loro, ed è sicuramente il più dirompente, ma è tutt’altro che l’unico concorrente.

Il commento di Bolden è divertente col senno di poi perché Falcon Heavy ha battuto il razzo SLS in orbita di almeno quattro anni e mezzo. Ma è anche significativo che anche il razzo di nuova generazione di SpaceX, il veicolo Starship, abbia quasi battuto il razzo SLS in orbita. Se Starship raggiunge anche solo la metà del suo potenziale, supererà il razzo SLS in ogni modo possibile. È più potente, molto meno costoso e completamente riutilizzabile e può essere lanciato centinaia di volte all’anno, non una sola volta.

Chi quest’anno si è concentrato sulla “corsa allo spazio” tra SLS e Starship ha colto il punto. La vera domanda non è quale dei due razzi super pesanti venga lanciato per primo. Piuttosto, è “quante astronavi lanceranno tra il primo e il secondo volo del razzo SLS?”

Nominalmente, la seconda missione SLS dovrebbe volare nel 2024, ma probabilmente scivolerà nel 2025. In teoria, Starship potrebbe lanciarsi una dozzina di volte tra oggi e allora. Forse 30 volte. Forse di più. Più di un decennio fa, la commissione Augustine ha affermato che la NASA dovrebbe trovare una traiettoria sostenibile. I razzi riutilizzabili a basso costo sono, chiaramente, la traiettoria sostenibile della NASA.

E la NASA sta già acquistando questo futuro. Da quando ha concesso i contratti SLS e Orion, ha assegnato quasi esclusivamente contratti “a prezzo fisso” per altri elementi dei suoi programmi di esplorazione. Attraverso questi contratti, la NASA si è spostata maggiormente verso l’acquisto di servizi dall’industria spaziale commerciale degli Stati Uniti invece di fornire un design di alto livello e controllare ogni fase del processo di sviluppo.

“Questa è stata una cosa davvero dura”, ha detto Kathy Lueders, che guida l’esplorazione umana operativa per la NASA, alla conferenza ASCENDx a Houston ad aprile. “La NASA ha avuto difficoltà a passare dal dire ‘ Sono io quello che lo fa’ a ‘ Lo stiamo facendo'”.

Il razzo Falcon Heavy di SpaceX ha il 70 percento della capacità di sollevamento del razzo SLS, a meno di un decimo del costo.
Ingrandisci / Il razzo Falcon Heavy di SpaceX ha il 70 percento della capacità di sollevamento del razzo SLS, a meno di un decimo del costo.
Trevor Mahlmann

Ma quello sforzo è valsa la pena. Lueders ha spiegato che la NASA sta lavorando con l’industria per creare quanti più tipi di partnership possibili per soddisfare le esigenze delle sue varie missioni. L’obiettivo è aiutare l’industria a capire di cosa ha bisogno la NASA e quindi cercare di acquistare servizi che quelle aziende possono anche vendere ad altri clienti spaziali. Ciò incentiva l’industria privata a investire autonomamente in queste tecnologie e a fornire prodotti tempestivi a basso costo.

“Lo facciamo perché riteniamo che sia importante per noi come nazione per mantenere la nostra leadership nello spazio”, ha affermato Lueders. “Ogni nazione nel mondo è invidiosa del modo in cui abbiamo creato queste nuove relazioni con la nostra industria commerciale”.

La NASA lo ha dimostrato nell’aprile 2021 quando l’agenzia ha selezionato l’astronave di SpaceX come “sistema di atterraggio umano” per il programma Artemis Moon. Questo era quasi inimmaginabile anche un paio di anni fa, ma ora l’ambizioso veicolo Starship è saldamente sul percorso critico della NASA verso la Luna. Per ora, Starship si limiterà a traghettare gli astronauti sulla Luna dall’orbita lunare e tornare indietro. Ma non è troppo difficile vedere gli astronauti che alla fine si lanciano dalla Terra in Starship e vi ritornano allo stesso modo. Se si può dimostrare che Starship è sicuro ed efficace – ancora se, per essere sicuri – è di gran lunga superiore a SLS e Orion in termini di costi, riutilizzabilità e cadenza.

L’ironia è che il Congresso ha accettato di finanziare Starship a un livello di $ 2,9 miliardi per lo sviluppo e un paio di missioni lunari. È meno di quanto la NASA spende ogni anno per i costi di sviluppo di SLS e Orion, ma è comunque significativo. E, cosa più importante, nel finanziare Starship, il Congresso sta finanziando il razzo che un giorno quasi sicuramente metterà fuori servizio il suo amato booster SLS.

Dove andiamo da qui

La realtà è che lo spazio commerciale ha già vinto le guerre missilistiche. La tendenza del settore sembra essere irrevocabilmente diretta verso il riutilizzo. Oltre a Starship, Blue Origin sta costruendo un grande razzo, New Glenn, destinato ad avere un primo e un secondo stadio completamente riutilizzabili. Relativity Space sta costruendo il grande razzo Terran R completamente riutilizzabile. L’eredità della società missilistica United Launch Alliance, di proprietà di Boeing e Lockheed Martin, sta studiando il riutilizzo dei motori principali sul suo nuovo razzo Vulcan. Perfino l’Europa – la vecchia e noiosa Europa istituzionale! – sta cercando di sviluppare un razzo riutilizzabile per carichi pesanti nel prossimo decennio.

Il motivo per cui dico che SLS è stata una delle cose migliori che sono successe alla NASA è semplice. Col senno di poi, è il prezzo politico che l’agenzia ha dovuto pagare per portare il Congresso a bordo con un vero programma di esplorazione dello spazio profondo. Il programma Artemis, che è certamente il più “reale” programma di esplorazione umana dello spazio profondo della NASA dai tempi di Apollo, è stato creato dal vicepresidente Mike Pence e dall’allora amministratore Jim Bridenstine circa tre anni fa. Il Congresso ha accettato solo perché Bridenstine ha promesso di utilizzare il razzo SLS per tutti i lanci umani sulla Luna.

Da allora, il Congresso ha finanziato sempre più altri elementi necessari per rendere reale Artemis, tra cui il lander lunare di SpaceX e le tute spaziali per la superficie lunare. Per ora, il Congresso non acquisterà Artemis se la NASA si allontanerà dal razzo SLS e dalla navicella spaziale Orion. Quindi, grazie a questi programmi, la NASA ha un piano in buona fede per rimandare gli esseri umani sulla Luna e forse, un giorno, su Marte.

Quello che succede dopo si riduce all’esecuzione. Se il razzo SLS funziona bene, bene. Può fungere da sollevatore pesante provvisorio mentre SpaceX e i suoi fratelli continuano a lavorare sui loro grandi sistemi di lancio rivoluzionari. Man mano che saranno online, l’uso di SLS e alla fine di Orion diventeranno obsoleti. Potrebbe succedere in tre anni. O cinque. O 10. Davvero non importa. Ad un certo punto, la NASA si ritroverà con un vero e proprio programma per lo spazio profondo e senza bisogno di razzi imposti dal Congresso. Accadrà… che l’astronave è salpata.

Quindi grazie, grosso razzo arancione, per aver ingrassato i pattini. Buona fortuna per scalare quella collina gravitazionale la prossima settimana. Staremo tutti a guardare e tiferemo per te, anche se non tutti piangeremo la tua fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le armi segrete di Zelensky, di Claudio Martinotti Doria

Esattamente come Hitler nell’ultimo periodo bellico, quando ormai le sorti della guerra erano segnate, anche l’ex comico cocainomane Zelensky, ripone le sue ultime speranze nelle armi segrete.

In un video che ha circolato per qualche tempo in rete, poi subito fatto sparire, si è visto atterrare nell’Aeroporto Internazionale di Leopoli “Danylo Halytskyi”, un cargo C-130J Super Hercules privo d’insegne identificative e di color nero, dal quale ci si sarebbe aspettato di vedere scendere materiale bellico o forze speciali. Con immensa sorpresa, i pochi testimoni, uno dei quali probabilmente autore del video, videro scendere alcune decine di uomini e donne con strani costumi policromatici e folkloristici, come fossero provenienti da o diretti a una festa in maschera o di Halloween, tutti portavano una molteplicità di amuleti e talismani di ogni forgia, collane, ornamenti pittoreschi, alcuni disponevano di lugubri bastoni con dei piccoli teschi al posto del pomelo.

Successiva il video, che seppur sparito dalla rete è stato salvato in tempo da diversi internauti, è stato esaminato da alcuni esperti in discipline antropologiche, etnologiche e simbologiche, che hanno identificato i costumi come haitiani. In particolare si tratterebbe di costumi cerimoniali indossati dagli houngan e dalle mambo durante i rituali vudù.

Si presume pertanto che le persone sbarcate a Leopoli fossero sacerdoti e sacerdotesse vudù.

Tutti sappiamo quale sia la principale prerogativa attribuita a tali personaggi, quale sia il loro potere, per quanto ammantato di leggenda e mitologia.

Di fronte al collasso del suo paese, al rischio di un’interruzione del sostegno occidentale, alla migrazione di decine di milioni di abitanti infreddoliti e affamati, e soprattutto di fronte a un esercito ormai decimato e allo sbando, che rischia continui ammutinamenti (seppur soffocati nel sangue dai nazisti e taciuti dai media mainstream), a Zelensky non rimane altro che far resuscitare i soldati da lui stesso fatti massacrare, per obbligarli a combattere di nuovo, in un perverso e aberrante circolo vizioso, una sorta di angosciante loop temporale, nel quale le vittime sono sempre le stesse, come pure il carnefice.

Ma la componente più inquietante di questo situazione è l’imperdonabile complicità dell’Occidente, che non solo sostiene questo osceno personaggio ma ospita moltissimi corrotti oligarchi ucraini fuggiti dalla guerra, arricchitisi depredando il loro paese e vendendo le forniture militari destinate al fronte. Un regime criminale nazista creato dagli anglosassoni con il colpo di stato del 2014 in chiave antirussa, che ha come effetto collaterale doloso il depauperamento dell’UE, eseguito dall’attuale leadership europea che agisce contro gli interessi della popolazione.

Ad ogni modo non escluderei l’ipotesi che gli zombie, una volta attivati, vedendo le folle cittadine dirigersi verso i confini europei in cerca di un pasto e un luogo di accoglienza caldo, si pongano sulla loro scia e non varchino anche loro i confini dell’UE. Aggravando in tal modo la situazione. Non dubito che anche in questo caso, per coerenza politica, i DEM di casa nostra invochino il diritto di accoglienza nei loro confronti, come profughi di guerra, che per altro, nel loro specifico caso, hanno veramente combattuto.

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

LA STRATEGIA USA, VIA NATO, PIANIFICA LE INFRASTRUTTURE MILITARI E CIVILI DEI TERRITORI EUROPEI IN FUNZIONE DEL CONFLITTO CON LA RUSSIA E CON LA CINA. IL CASO DEL TERRITORIO ITALIANO. a cura di Luigi Longo

LA STRATEGIA USA, VIA NATO, PIANIFICA LE INFRASTRUTTURE MILITARI E CIVILI DEI TERRITORI EUROPEI IN FUNZIONE DEL CONFLITTO CON LA RUSSIA E CON LA CINA. IL CASO DEL TERRITORIO ITALIANO.

a cura di Luigi Longo

 

La lettura dell’articolo di Antonio Mazzeo, Basi di guerra da nord a sud. L’unità d’Italia rifatta dalla NATO pubblicato sul sito www.marx21.it, del 15/11/2022, che propongo, è interessante perché fa riflettere sul ruolo della NATO come strumento di gestione della pianificazione strategica dei territori europei da parte degli USA. In particolare si sofferma sull’utilizzo del territorio italiano, disseminato di infrastrutture e basi militari (senza considerare quelle segrete), come avamposto delle strategie statunitensi nel Mediterraneo, nei Balcani, nel Vicino, Medio ed Estremo Oriente. Mi interessa sottolineare quattro questioni: la prima, la fase, che corrisponde a quella pre-multicentrica (che dato nel 2011 con l’emergere in maniera chiara delle due potenze mondiali, Cina e Russia, in grado di contrastare l’egemonia mondiale degli USA), dove lo strumento statunitense dell’Unione Europea (UE) era funzionale alle sue strategie, caratterizzata dall’approntamento delle infrastrutture (i corridoi europei) finalizzate alla costruzione di una rete di mobilità per gli scenari di allargamento della NATO nell’Europa centrale e dell’est per costruire quel cordone militare di isolamento e contrasto della Russia (per approfondimenti rimando ai miei scritti su Tav, Corridoio V , NATO e USA. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico; L’americanizzazione del territorio. Appunti per una riflessione; Le infrastrutture militari nella fase multicentrica; I corridoi europei e la strategia USA pubblicati sui siti www.conflittiestrategie.it e www.italiaeilmondo.com); la seconda, il sabotaggio ai gasdotti Nord Stream rappresenta sia un atto di rottura da parte degli USA-UE delle relazioni con la Russia (di tipo prevalentemente economico), sia l’inizio della fase di passaggio dalla fine del progetto statunitense della UE (con il declino del sistema-euro conseguenza del declino del sistema-dollaro) alle relazioni dirette con le singole nazioni europee (iniziata dall’amministrazione di Donald Trump) e la sua sostituzione, di fatto, con il progetto NATO più funzionale alle strategie della fase multicentrica; la terza, il progetto NATO della fase multicentrica comporterà un nuovo equilibrio dinamico con nuove architetture istituzionali sovranazionali che gestiranno l’attuale spazio europeo; nuove organizzazioni territoriali (ne circolano da tempo diverse configurazioni) si prevedono per il futuro dell’Europa, espressione geografica a servizio delle strategie statunitensi; la quarta, l’assenza della ricerca (pubblica e privata) sia sulle relazioni tra basi militari Usa-Nato e sviluppo locale, regionale, nazionale e internazionale, sia sulle relazioni politiche, militari, industriali, economiche, sociali e culturali nei territori di localizzazione delle basi e delle loro proiezioni nei sistemi di valori territoriali.

Oggi c’è la necessità per l’Italia e per l’Europa (che è bene ricordarlo non è l’Europa delle nazioni, ma un luogo istituzionale sovranazionale nato da un progetto pensato, finanziato e guidato dagli Stati Uniti e gestito da sub-agenti dominanti soprattutto tedeschi) di uscire dalla NATO per costruire la possibilità di una Europa che cessi di << […] continuare a essere un mito, un sogno staccato dalla realtà di popolazioni molteplici e diverse, un continente fatto di europei senza un’Europa>> (Jacques Le Goff, L’Europa raccontata ai ragazzi, Laterza, Roma-Bari, 1996, pag.25) e sia capace di porsi come un piccolo continente di intersezione e di dialogo tra Occidente e Oriente.

<< Nel 1313 […] i nuovi statuti del comune di Treviso trovarono un’immagine efficace per definire la dialettica fra individuo e la collettività […] la società è come un concerto: gli strumenti e le voci sono tutti diversi fra loro, e così dev’essere perché valga la pena di ascoltare la musica; allo stesso modo sono diversi fra loro gli esseri umani, ma se obbediscono alla ragione […] dalla loro diversità risulterà una società armoniosa >> (Alessandro Barbero, Donne, madonne, mercanti e cavalieri. Sei storie medievali, Editori Laterza, Roma-Bari, 2013, pag. 130). Provo a immaginare l’Europa come un grande concerto: le nazioni sono tutte diverse fra loro, e così deve essere perché valga la pena ascoltare una musica di costruzione, di cambiamento, di coordinamento finalizzata ad una società più sensata e più attenta alle esigenze della maggioranza delle popolazioni.

Chi mette in musica un progetto alternativo di una nuova idea di organizzazione sociale nella fase multicentrica affinchè l’Europa cessi di essere un mito e diventi un piccolo continente autodeterminato in relazione all’Occidente e all’Oriente?

Occorre un soggetto sessuato in grado di offrire una partitura come fondamento solido e meditato per i suoi obiettivi tenendo conto del grande e attuale insegnamento di Karl Marx quando sostiene che << È né più né meno che un inganno sobillare il popolo senza offrirgli nessun fondamento solido e meditato per la sua azione. Risvegliare speranze fantastiche […] lungi dal favorire salvezza di coloro che soffrono, porterebbe inevitabilmente alla loro rovina: rivolgersi ai lavoratori senza possedere idee rigorosamente scientifiche e teorie ben concrete significa giocare in modo vuoto e incosciente con la propaganda, creando una situazione in cui da un lato un apostolo predica, dall’altro un gregge di somari lo sta a sentire a bocca aperta: apostoli assurdi e assurdi discepoli. In un paese civilizzato non si può realizzare nulla senza teorie ben solide e concrete; e finora, infatti, nulla è stato realizzato se non fracasso ed esplosioni improvvise e dannose, se non iniziative che condurranno alla completa rovina la causa per la quale ci battiamo. L’ignoranza non ha mai giovato a nessuno!>> (Hans Magnus Enzensberger, a cura di, Colloqui con Marx e Engels, Einaudi, Torino, 1977, pag. 53).

 

 

 

 

BASI DI GUERRA DA NORD A SUD. L’UNITÀ D’ITALIA RIFATTA DALLA NATO*

di Antonio Mazzeo**

 

Il sempre più evidente coinvolgimento nella guerra fratricida Russia-Ucraina di alcune delle principali basi ospitate in territorio italiano si accompagna al colpo di acceleratore che le forze armate nazionali, USA e NATO hanno dato ad alcuni programmi (vecchi e nuovi) di ampliamento e potenziamento del dispositivo bellico.

L’ultima missione di spionaggio sui cieli dell’Europa dell’Est è stata tracciata dai radar lo scorso 14 ottobre. Un Gulfstream E.550 CAEW del 14° Stormo dell’Aeronautica militare italiana dopo essere decollato dallo scalo romano di Pratica d Mare ha raggiunto prima i confini della Polonia con l’Ucraina e poi quelli con l’enclave russa di Kaliningrad. Un’operazione ormai di routine da quando le forze armate di Mosca hanno invaso l’Ucraina. Il velivolo in dotazione ai reparti di volo italiani aveva fatto il suo debutto nelle aree di conflitto l’8 marzo 2022 con una missione d’intelligence nello spazio aereo della Romania fino ai confini con Moldavia e Ucraina e le sempre più agitate e militarizzate acque del Mar Nero. Da allora i Gulfstream E.550 di Pratica di Mare sono uno degli attori più richiesti dai comandi NATO che coordinano le operazioni aeree di sorveglianza e “contenimento” dei reparti di guerra della Federazione russa in territorio ucraino.

Basati sulla piattaforma del jet sviluppato dall’azienda statunitense Gulfstream Aerospace, appositamente modificato e potenziato dalla israeliana Elta Systems Ltd. (società del gruppo IAI), i velivoli in dotazione all’Aeronautica italiana non sono semplicemente dei “radar volanti”, ma possiedono anche compiti di “gestione” delle missioni alleate nei campi di battaglia e di disturbo delle emissioni elettroniche “nemiche”. “Gli aerei CAEW hanno funzioni di sorveglianza aerea, comando, controllo e comunicazioni, strumentali alla supremazia aerea e al supporto alle forze di terra”, spiega lo Stato maggiore dell’Aeronautica.

“In altre parole, essi sono un assetto di straordinario valore sia per l’Italia che per la NATO per conseguire quella che è definita come Information Superiority, cioè il vantaggio che deriva dall’abilità di raccogliere, processare e trasferire un flusso ininterrotto di informazioni mentre si impedisce al nemico di poter fare lo stesso”.

Non sono solo i sofisticati e costosissimi aerei di produzione israelo-statunitense a consolidare il ruolo di cobelligerante dello scalo militare di Pratica di Mare nel sanguinoso conflitto russo-ucraino. E’ da qui infatti che decollano con sempre più frequenza i velivoli cisterna KC-767A dell’Aeronautica utilizzati per il rifornimento in volo dei cacciabombardieri italiani e NATO impiegati nella Air Policing Mission anti-russa nello spazio aereo di Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria e delle Repubbliche baltiche. Velivoli cargo dello stesso tipo vengono impiegati da Pratica di Mare anche per trasportare i sistemi d’arma “donati” dal governo italiano alle forze armate ucraine e gli uomini, i mezzi pesanti e gli armamenti destinati ai battaglioni di pronto intervento che la NATO ha insediato a mò di tenaglia alle frontiere occidentali di Russia e Bielorussia (attualmente i reparti italiani d’élite dell’Esercito sono presenti in Ungheria, Bulgaria e Lettonia).

Ma in Italia non c’è solo Pratica di Mare a fare da trampolino di lancio degli assetti aerei impiegati nella pericolosa escalation bellica in Europa orientale e nel Mar Nero. Dalla stazione aeronavale di Sigonella, in Sicilia, con cadenza ormai quotidiana e fin da prima dell’aggressione russa del 24 febbraio scorso, decollano i droni d’intelligence AGS della NATO e “Global Hawk” di US Air Force e i nuovi pattugliatori marittimi P8A “Poseidon” di US Navy e delle forze aeronavali di Australia e del Regno Unito. Anch’essi ricoprono le stesse rotte fino ai confini con il territorio ucraino, rumeno, bulgaro e moldavo, per operazioni di intelligence e ricognizione. Così come avviene con i CAEW Gulfstream di Pratica di Mare, i dati sensibili raccolti dai “Poseidon” e dai droni USA e NATO di Sigonella vengono messi a disposizione delle forze armate di Kiev per pianificare le operazioni contro l’invasore russo. Sono cioè una specie di occhio e orecchio non poi tanto segreto contro le manovre dell’esercito di Mosca e una sorta di consigliere-guida della controffensiva ucraina che ha già consentito di ottenere sul campo rilevanti “successi” sugli avversari.

Questi velivoli hanno pure moltiplicato gli interventi nel Mediterraneo orientale in prossimità del porto di Tartus, Siria, utilizzato per le soste tecniche della flotta militare russa. In particolare proprio un pattugliatore P-8A di US Navy è stato protagonista di quella che, per il valore politico-simbolico ma soprattutto per le conseguenze in termini di vite umane, ha rappresentato una delle azioni di guerra più significative e drammatiche del conflitto: l’affondamento dell’incrociatore russo Moskva a largo di Odessa, mercoledì 13 aprile, presumibilmente dopo essere stato colpito dai militari ucraini con uno o più missili anti-nave. Sono ancora fittissimi i misteri sulle dinamiche e sulle unità protagoniste dell’attacco, così come è ancora ignoto il numero delle vittime. E’ tuttavia certo che l’operazione militare contro la nave ammiraglia russa nel Mar Nero è stata “monitorata” e registrata a poche miglia di distanza da un “Poseidon” statunitense decollato dalla stazione aeronavale siciliana.

Il sempre più evidente coinvolgimento nella guerra fratricida Russia-Ucraina di alcune delle principali basi ospitate in territorio italiano si accompagna al colpo di acceleratore che le forze armate nazionali, USA e NATO hanno dato ad alcuni programmi (vecchi e nuovi) di ampliamento e potenziamento del dispositivo bellico. Dalle Alpi al Canale di Sicilia non c’è comando, centro radar e telecomunicazione, aeroporto e scalo portuale che non ospiti o stia per stia per ospitare milionari cantieri infrastrutturali. La NAS – Naval Air Station di Sigonella è forse l’esempio più eclatante: per ospitare i nuovi pattugliatori “Poseidon” sono state realizzate alcune aree di parcheggio e un maxi-hangar con annesso centro di manutenzione del costo di 26,5 milioni di dollari, inaugurato ufficialmente a metà gennaio 2022.

Nella base siciliana è divenuto pienamente operativo l’AGS – Alliance Ground Surveillance, il sistema avanzato di sorveglianza terrestre e intelligence dell’Alleanza Atlantica basato su cinque grandi velivoli senza pilota RQ-4 “Phoenix” realizzati dal colosso aerospaziale Northrop Grumman.

Questi nuovi droni sono lunghi 14,5 metri e possono volare in tutte le condizioni ambientali e ininterrottamente per più di 30 ore, fino a 18.280 metri di altezza e a una velocità di 575 km/h. Il loro raggio d’azione è di oltre 16.000 km. Inoltre, poche settimana fa, il Dipartimento dell’US Air Force ha firmato un contratto del valore di 177 milioni di dollari con una società controllata dal colosso militare industriale Raytheon Technologies, per migliorare l’efficienza dei 14 terminali mondiali (tra cui Sigonella) inseriti nel sistema High Frequency Global Communications (HFGCS). Le stazioni terrestri dell’HFGCS trasmettono i cosiddetti EAM (messaggi di azione di emergenza) e altri tipi di codici di rilevanza strategica, compresi quelli per la conduzione di un attacco nucleare.

A Vicenza, dopo la realizzazione presso l’ex aeroscalo “Dal Molin” di un enorme complesso militare riservato ai paracadutisti della 173^ Brigata aviotrasportata di US Army, ha preso il via un megaprogetto del valore stimato di 373 milioni di dollari per la realizzazione entro cinque anni di 478 alloggi per il personale militare statunitense e famiglie (villette a schiera e diverse nuove palazzine all’interno della caserma Ederle e del cosiddetto Villaggio della Pace). Sono previste inoltre nuove infrastrutture viarie per rendere più rapido e “sicuro” il collegamento delle basi USA di Vicenza con l’aeroporto NATO di Aviano (Pordenone), sede di alcuni reparti aerei dell’US Air Force dotati dei cacciabombardieri di quarta generazione F-16 a capacità nucleare, nonché utilizzato per i grandi aerei cargo che trasportano i parà della 173^ Brigata verso i maggiori scacchieri di guerra internazionali (recentemente in Iraq e Afghanistan, attualmente in Europa orientale e in Africa). E ad Aviano, così come a Ghedi (Brescia), sono in via di completamento i lavori di “rafforzamento” dei bunker che ospitano le bombe nucleari tattiche B-61 delle forze aeree statunitensi, attualmente in fase di aggiornamento per essere impiegate a bordo dei cacciabombardieri di quinta generazione F-35 in dotazione alle forze USA e italiane.

Bibliche colate di cemento a fini bellici sono previste anche per un’altra città dall’incomparabile patrimonio storico, artistico, architettonico e paesaggistico: Pisa. Secondo quanto previsto dal Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, in un’area di 73 ettari a Coltano, all’interno del parco regionale di Migliarino–San Rossore–Massaciuccoli, saranno realizzati innumerevoli caserme e alloggi per militari e famiglie, poligoni di tiro e basi addestrative.

Tre i reparti d’assalto dei Carabinieri che saranno insediati a Coltano ci sono il 1° Reggimento Paracadutisti “Tuscania”, il G.I.S.-Gruppo di Intervento Speciale e il Centro Cinofili, da decenni impiegati nei maggiori teatri di guerra internazionale in azioni di combattimento e nell’addestramento “anti-terrorismo” del personale militare di alcuni ingombranti regimi africani e mediorientali. Il progetto di Pisa è funzionale al rafforzamento del ruolo geo-strategico della regione Toscana per la proiezione extra-area delle forze armate nazionali, USA e NATO. La nuova cittadella dei reparti d’assalto dei Carabinieri si aggiungerà infatti alla grande base di stazionamento dei mezzi pesanti di US Army di Camp Darby, agli aeroporti di Pisa-San Giusto e Grosseto, al porto di Livorno, alle tante caserme dei parà della “Folgore”, al centro di ricerca militare avanzato (già nucleare) di San Piero a Grado, al comando fiorentino della Divisione “Vittorio Veneto” prossimo ad operare come Multinational Division South NATO per gli interventi dell’alleanza nel Mediterraneo e in Africa.

Un hub toscano per la guerra globale che si aggiunge a quelli veneto-friulano (con Vicenza e Aviano); siciliano (Sigonella, il MUOS di Niscemi, la baia di Augusta, lo scalo di Trapani-Birgi e le isole minori di Pantelleria e Lampedusa); pugliese (le basi navali NATO di Taranto e Brindisi, gli aeroporti di Amendola, Gioia del Colle e Galatina); campano (il porto di Napoli e Capodichino, il Comando interalleato di Lago Patria); sardo (gli innumerevoli poligoni sparsi per tutta l’isola, Decimomannu, l’arcipelago della Maddalena). L’Italia armata e ipermilitarizzata per gli interessi strategici del Pentagono e dell’Alleanza Atlantica ma anche per i profitti e i dividendi del complesso militare-industriale nazionale e internazionale.

A esclusivo beneficio delle industrie di morte sorgerà a Torino l’ultimo tempio dedicato ad Ares, dio di tutte le guerre, che convertirà parte del territorio dell’Italia nord-occidentale nell’ennesimo hub militare del paese (in quest’area esistono già il centro di Cameri-Novara per la produzione degli F-35, il quartier generale dei NATO Rapid Deployable Corps di Solbiate Olona, i complessi Leonardo- Agusta a Varese, la base nucleare di Ghedi, le fabbriche di pistole, mitra e fucili nel bresciano). Lo scorso 7 aprile i ministri degli Esteri e della Difesa della NATO hanno approvato un documento strategico che pone le basi del “Defence innovation accelerator for the North Atlantic” (DIANA), cioè l’Acceleratore di innovazione nella difesa per l’Atlantico del Nord), dotato di una prima tranche di un miliardo di euro circa grazie al NATO Innovation Fund, il fondo di investimenti finanziari varato dall’Alleanza. Con il DIANA sarà promossa la ricerca scientifico-tecnologica di centri accademici, start up e piccole e medie imprese sulle cosiddette deep technologies, le tecnologie emergenti che la NATO ha identificato come “prioritarie”: sistemi aerospaziali, intelligenza artificiale, biotecnologie e bioingegneria, computer quantistici, cyber security, motori ipersonici, robotica e sistemi terrestri, navali, aerei e subacquei a pilotaggio remoto, industria navale e delle telecomunicazioni, ecc.

“Gli investimenti e la ricerca del progetto DIANA serviranno a dare vita a quelle tecnologie nascenti che hanno il potere di trasformare la nostra sicurezza nei decenni a venire, rafforzando l’ecosistema dell’innovazione dell’Alleanza e sostenendo la sicurezza del nostro miliardo di cittadini”, ha dichiarato il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg. E proprio la città di Torino è stata scelta come prima sede europea degli acceleratori DIANA. L’avvio dell’ambizioso programma è previsto per l’inizio del prossimo anno, quando saranno definiti i progetti da finanziare. In una prima fase la sede di DIANA sarà ospitata in un’area di 9.000 mq ricavata all’interno delle storiche Officine Grandi Riparazioni, il complesso industriale sorto a Torino a fine Ottocento. A partire dal 2026 l’incubatore-acceleratore DIANA sarà trasferito nella Città dell’Aerospazio in via di realizzazione in un’area di 184.000 mq alla periferia ovest del capoluogo piemontese, grazie ad un finanziamento di 300 milioni di euro del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR), più altri 800 milioni che dovrebbero giungere da una settantina di aziende del settore aerospaziale interessate al progetto industriale.

Tra queste ultime in pole position c’è ovviamente l’holding Leonardo SpA, leader nella produzione di sistemi d’arma tecnologicamente avanzati. “Leonardo, azienda partecipata al 30% dal Ministero dell’economia coordinerà tre progetti del nuovo sistema di difesa europeo: il sistema di navigazione satellitare Galileo, finanziato dall’Unione europea con 35,5 milioni di euro; quello di tecnologia sicura Essor, che ha ricevuto 34,6 milioni; e il progetto degli anti-droni Jey Cuas (13 milioni)”, ha riportato l’Indipendente in un ampio servizio pubblicato il 17 luglio 2022. “Una parte degli spazi della città sarà destinata al nuovo campus del Politecnico di Torino, mentre l’altra sarà occupata dagli uffici del programma DIANA e da alcune aree per la sperimentazione di nuove tecnologie di terra e di volo”.

A fianco dei laboratori e degli spazi per le start-up, si insedierà nella Città dell’Aerospazio pure il Business Incubation Centre dell’Agenzia Spaziale Europea. Secondo quanto dichiarato dal ministero della Difesa italiano, verrà messo a disposizione del progetto pure il neo costituito acceleratore Takeoff – Aerospace & Advanced Hardware (una creatura di Cdp Venture Capital, Fondazione CRT e UniCredit) e “saranno rese disponibili le capacità di sperimentare tecnologie innovative” presso il Centro di Supporto e Sperimentazione Navale della Marina Militare di La Spezia e il Centro Italiano Ricerche Aerospaziali (CIRA) di Capua, società partecipata dell’Agenzia Spaziale Italiana, del Consiglio Nazionale delle Ricerche e della Regione Campania.

Un mixer – letteralmente esplosivo – di organizzazioni militari internazionali, grandi, medie e piccole industrie, istituzioni pubbliche e private, banche e gruppi finanziari, autorità statali, regionali e locali, università e centri di ricerca scientifica che farà di Torino la capitale europea delle guerre globali aerospaziali del XXI secolo. Guerre ancor più automatizzate e disumanizzate di quelle a cui abbiamo assistito, impotenti e inorriditi, in questi ultimi decenni.

*I corsivi e i grassetti presenti nell’articolo sono i mei (LL).

**Giornalista e saggista. Ecopacifista e antimilitarista.

 

Trump, ora più che mai!_di Roger Stone

Qui sotto pubblichiamo l’appello lanciato da Roger Stone a sostegno della ricandidatura di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti. Roger Stone è stato, assieme al Generale Flynn, una figura chiave della prima elezione di Trump. Non tutti lo hanno compreso nel movimento MAGA; forse nemmeno appieno lo stesso Trump, almeno sino a quando lo ha graziato dalla persecuzione giudiziaria allo scadere del suo mandato presidenziale. Lo hanno capito benissimo al contrario i suoi avversari portandolo con ferocia e spietatezza alla rovina economica e ad una condizione di salute precaria. Non ostante, assieme a qualche altro fondatore, abbia scelto di mettersi saggiamente in disparte al momento dell’insediamento di Trump alla Casa Bianca, è rimasto comunque nel mirino spietato dei suoi avversari. Ricordiamo tutti la vergognosa spettacolarità della vera e propria operazione militare che lo ha condotto agli arresti in piena notte nella sua abitazione. Roger Stone è stato un alto funzionario dello stato federale con incarichi chiave sin dalla lontana amministrazione Nixon. Conosce benissimo i meccanismi di funzionamento delle dinamiche politiche americane ed ha intuito, tra i primi, la via del disastro verso la quale stavano conducendo il paese le varie amministrazioni, a partire da quella di Bush Senior e i centri decisori presenti negli apparati nevralgici. A settanta anni Stone getta sul terreno il peso della sua autorevolezza per sostenere ancora una volta Trump e diradare almeno in parte la cortina fumogena stesa sulle candidature alternative, o presunte tali che stanno emergendo. Non conoscendo bene, nei particolari, le dinamiche interne al movimento, nutriamo qualche dubbio, però, sulla giustezza di questa ricandidatura di un personaggio dai limiti, pari alla sua tenacia, evidenti e sulla maturità di eventuali candidature realmente alternative. Tanto più che, alla sua seconda riproposizione, non sembra disporre del sostegno e del supporto di un gruppo ben organizzato, strutturato ed esperto. La dinamica dello scontro politico negli Stati Uniti vive una fase di stallo, ma solo apparente. Di fatto la polarizzazione geografica del conflitto interno si è ulteriormente accentuata con l’ulteriore fattore dirompente di un movimento che continua ad estendersi nei ceti popolari produttivi delle varie etnie. L’alterazione dei risultati elettorali con brogli ormai su scala industriale sta facendo il resto, insinuando il dubbio sulla effettiva efficacia di un impegno politico fondato e dettato esclusivamente sulle scadenze elettorali in un movimento che ha compreso l’importanza di un radicamento nei centri amministrativi e di potere e di una connessione con quelle élites dissenzienti con l’attuale politica avventurista. Il movimento MAGA vive all’interno profonde contraddizioni tra chi punta ad una azione tendente semplicemente a dividere il fronte geopolitico avversario che si sta compattando, più per la costrizione esterna americana che per affinità dei componenti, attorno al polo russo-sino-indiano e chi, mosso probabilmente da una impostazione economicista e un po’ ingenua, tende a ridurre le dinamiche geopolitiche ad una serie di relazioni bilaterali mutevoli. Una interpretazione, quest’ultima, probabilmente accettabile e praticabile solo in una fase temporanea di transizione verso una ricomposizione multipolare degli schieramenti e non a caso sostenuta, paradossalmente, anche dalla attuale leadership cinese. Un aspetto che avrebbe dovuto far riflettere meglio la dirigenza cinese, riguardo al suo comportamento nei confronti di Trump. Un movimento il cui successo, però, potrebbe condurre ad una dinamica meno tragica le relazioni geopolitiche e spostare più all’interno degli Stati Uniti un conflitto che, altrimenti, coinvolgerà il mondo intero. Una classe dirigente e un ceto politico serio e legato agli interessi fondamentali dei paesi europei più importanti dovrebbe sostenere ed agevolare convintamente la strada di questo movimento proprio per gli spazi che un suo successo definitivo aprirebbe ad una condizione più autonoma ed indipendente dell’Europa. Il carattere miserabile, stupido, insipiente e compradore di questi, già visibile in quei quattro anni, sta emergendo, purtroppo, sempre più alla luce del sole condannando, con poche eccezioni, un intero continente al disastro inconsapevole ed autolesionistico a vantaggio di una élite sempre più arroccata. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

ROGER STONE: TRUMP, ORA PIÙ CHE MAI

Trump non è accettato o sostenuto dai membri titolari di tessera dell’establishment repubblicano di Washington. Questa è una virtù, non una pecca.

 

Nel suo discorso di annuncio alle sua corsa alle presidenziali 2024, un discorso ordinato e perfettamente disciplinato, Donald Trump si è riformulato come un outsider politico pronto a tornare alle guerre politiche di vecchia stagione e a sfidare gli interessi politici e mediatici radicali che hanno sistematicamente ribaltato e neutralizzato il progressi fatti durante la sua prima presidenza.

Quelli del movimento MAGA riescono a percepire, attraverso la narrativa accuratamente orchestrata, implacabile e completamente falsa, la tesi che cerca di incolpare l’ex presidente per la sottoperformance del partito repubblicano nelle elezioni di medio termine. Com’è conveniente che la vittoria relativamente facile del candidato appoggiato da Trump J.D. Vance in Ohio, così come la dura, ma riuscita rielezione del senatore Ron Johnson (forse il più grande difensore di Trump al Senato degli Stati Uniti) in Wisconsin sono così facilmente trascurate dai media.

Quelli della cabala corporativa/governativa/mediatica ora elevano lo spettro di una candidatura del governatore della Florida Ron DeSantis. La scelta di De Santis come principale nemico di Trump è un riconoscimento del fatto che il collegio elettorale dell’America Prima (MAGA) è ancora dominante alla base del Partito Repubblicano. DeSantis, nonostante il suo pedigree, ha governato in Florida seguendo il manuale del MAGA.

L’establishment, che ora cerca di distruggere Trump, ha già riconosciuto la non fattibilità di presentare come alternativa a Trump l’ex vicepresidente Mike Pence o l’ex direttore della CIA e segretario di Stato Mike Pompeo, tutte e due potenziali candidature assolutamente impopolari tra la base di MAGA. L’ascesa di una potenziale candidatura di De Santis, toglie prezioso ossigeno che una delle loro candidature richiederebbe.

L’unico altro potenziale candidato, dietro cui la cabala repubblicana/mediatica poteva schierarsi, il senatore della Florida Marco Rubio, è stato sostanzialmente neutralizzato da Trump quando l’ex presidente ha tenuto un comizio caloroso a favore di Rubio, in Florida, nel momento in cui  la rielezione del Senatore Rubio era in bilico. La sfida contro la candidata Democratica si presentava problematica poiché la deputata della sinistra radicale; Val Demings era ben finanziata e organizzata. L’intervento di Trump ha tolto dalla pentola bollente Rubio forzando poi Rubio ad essere in debito con Trump e quindi ora fedele all’ex presidente.

Prima del comizio di Trump a Miami, i sondaggi mostravano che Rubio era in vantaggio su Demings di soli tre punti, ma dopo il comizio di Trump, il senatore Rubio ha ottenuto una vittoria finale di 16 punti rispetto alla Demings.

Con Pence e Pompeo che mancano del necessario appeal nella base repubblicana e con Rubio dipendente ora da Trump,altro non rimane che DeSantis.

Ieri sera ho partecipato allo storico annuncio del presidente Trump a Mar-a-Lago della sua candidatura per le presidenziali del 2024. C’era elettricità nell’aria che non vedevo né sentivo dall’inizio del 2016. I media hanno rapidamente sottolineato che mentre io e Mike Liddell, descritti come “i sostenitori di Trump”, eravamo tra il pubblico, nessun membro del nuovo Congresso era presente . Ancora una volta, i media giudicano male l’umore degli elettori;  il fatto che Trump non sia appoggiato o sostenuto da membri tesserati dell’establishment repubblicano di Washington è un pregio, non un difetto.

L’assalto organizzato dall impero mediatico NewsCorp di Rupert Murdoch, tra cui Fox News, il Wall Street Journal e il New York Post, mette in mostra una chiara impressione errata del ruolo svolto da Fox e dalle altre testate giornalistiche di Murdoch nell’ascesa iniziale di Trump.

Fox News ha cercato sistematicamente di promuovere più sfidanti a Trump nelle primarie del 2016. Tuttavia, ha visto svanire quegli sforzi quando hanno scoperto che trasmettere dall’inizio alla fine i comizi di Trump faceva guadagnare gli indici più alti di ascolto mai registrati prima nella storia di Fox News, consentendo così a Murdoch di addebitare molto di più per la pubblicità sulla sue reti. Fox News ha  beneficiato della nomina e dell’elezione di Donald Trump più che Trump abbia beneficiato delle dirette fatte dalle emittenti di Murdoch.

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump potrebbe affrontare coloro che traggono grandi profitti dall’immigrazione illegale e frontiere aperte?

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump smaschererà e correggerà la corruzione nelle nostre agenzie di intelligence e negli uffici delle forze dell’ordine, come la CIA e l’FBI?

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump organizzerà una campagna nazionale per porre un limite temporale per  i membri eletti del Congresso?

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump imporrebbe il divieto agli ex membri del Congresso, o del ramo esecutivo, di esercitare pressioni dopo aver lasciato le alte cariche del governo?

Qualcuno crede che qualsiasi candidato diverso da Donald Trump sfiderà il duopolio bipartitico che sta cercando di cancellare la nostra eredità, cancellare la nostra Costituzione e distruggere le stesse libertà che garantiscono lo stile di vita americano?

Ecco perché sono con Trump, ora più che mai.

 

Roger Stone

Cambio di epoca, di André Laranè

Da Olaf Scholz a Joe Biden, il ritorno del protezionismo

23 novembre 2022: la “terza globalizzazione” volge al termine. Questo fenomeno era stato a lungo evidente. Ma ciò che lo era di meno è il caos in cui si pone con gli Stati dell’Unione Europea che competono tra loro attraverso i sussidi e gli Stati Uniti che stabiliscono senza remore misure fortemente protezionistiche a vantaggio dei loro industriali nazionali…

Attraverso il caos economico che ha provocato (penuria, embarghi, crisi energetiche, ecc.), la guerra in Ucraina ha rilanciato la guerra commerciale e questa ha colpito in primo luogo gli Stati che si erano maggiormente impegnati nel libero scambio, vale a dire gli Stati europei.

Siamo molto probabilmente giunti alla fine di un ciclo storico iniziato dopo la seconda guerra mondiale con i negoziati internazionali a favore della liberalizzazione degli scambi ( Kennedy Round ) e culminato a fine secolo con la creazione del WTO ( World Trade Organization ) nel 1994. Non è niente di nuovo sotto il sole. È la riedizione di una politica di libero scambio iniziata con il  trattato franco-britannico del 1860 e durata fino alla vigilia della Grande Guerra. In questo periodo, ricorda Suzanne Berger, docente al MIT di Cambridge (Massachusetts),“l’internazionalizzazione dell’economia lì ha raggiunto, nei settori del commercio e della mobilità dei capitali, un livello che riprenderà solo a metà degli anni ’80”  ( nota ).

Contestata dagli antiglobalisti  fin dall’inizio del XXI secolo, la  “terza globalizzazione”  è oggi allo stremo (621). Niente di straordinario in questo. I suoi principali iniziatori, vale a dire gli Stati Uniti e l’Europa occidentale, hanno esaurito il suo fascino. Ciò che è inatteso, invece, è la ricomposizione dei circuiti di scambio attorno al pianeta e la ridistribuzione delle carte. Quasi vent’anni fa, abbiamo evocato l’ avvicinarsi della fine di questa globalizzazione prevedendo la costituzione di blocchi più o meno interdipendenti: Americhe, Europa-Russia-Mediterraneo, Asia meridionale e paesi dell’Oceano Indiano, Estremo Oriente.

Ce ne stiamo allontanando infatti per ragioni che hanno a che fare con l’ideologia e le bizzarrie geopolitiche piuttosto che con la razionalità economica. La Russia, ricacciata nelle tenebre , ruppe brutalmente con l’Europa alla quale era destinata ad associarsi. Nella stessa Europa, la moneta unica ha aggravato le divergenze e le tensioni tra il nord (ex “zona del marco” ) e il sud ( “Club Med” ). Dall’Algeria all’Iran, il mondo mediterraneo e mediorientale non offre più serie prospettive di sviluppo. La Cina, dopo gli sgargianti successi, prende atto del fallimento delle sue Nuove Vie della Seta. Comincia a soffrire, come i suoi vicini, dell’invecchiamento della sua popolazione e del mancato rinnovamento delle generazioni. Solo l’Asia meridionale ei paesi dell’Oceano Indiano (India, Insulindia, ecc.) proseguono la loro allegra strada.

L’Occidente sull’orlo di un esaurimento nervoso

In Occidente, il libero scambio si è manifestato per l’ultima volta con l’attuazione del trattato commerciale tra Europa e Canada (CETA). Il trattato è entrato in vigore il 21 settembre 2017, “provvisoriamente” , senza votazione da parte dei parlamenti nazionali. Da allora, la ribellione degli elettori alle urne e nelle strade così come la rivelazione della nostra fragilità industriale in occasione della pandemia (carenza di mascherine, respiratori, ecc.) hanno raffreddato l’ardore liberista.

Infine, la guerra in Ucraina ha fatto cadere le maschere. Quando si è trattato di riarmo, Polonia e Germania si sono subito rivolte agli Stati Uniti per ordinare caccia F-35 senza preoccuparsi di considerare l’offerta francese con il suo Rafale . Qualche mese dopo, per dare il cambio, tutti fingono di voler riattivare il progetto di un aereo europeo.

Nel settembre 2022, il nuovo cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato lo sblocco di 200 miliardi di euro per proteggere le persone e soprattutto le aziende dall’aumento dei prezzi dell’energia. Questa misura a sostegno della sua industria, presa senza consultazioni con gli altri governi europei, è uno schiaffo in faccia ai partner commerciali della Germania e in particolare alla Francia, che non hanno tante riserve monetarie e temono che le loro aziende vengano schiacciate dai loro rivali tedeschi.

Dall’altra parte dell’Atlantico, gli Stati Uniti, forti della loro onnipotenza militare, se ne servono apertamente per rompere quel che resta dell’autonomia europea.

Il sabotaggio dei gasdotti balticiha infranto le speranze degli industriali tedeschi di trovare rapidamente energia a basso costo. Due mesi dopo, nonostante i mezzi di indagine a disposizione degli americani, non sappiamo ancora chi si celi dietro questo sabotaggio: i perfidi russi, come suggeriscono i media occidentali, o gli inglesi che, con i loro luoghi di conoscenza, avrebbero agito su ordine da Washington, come suggerisce il Cremlino? Eppure questo sabotaggio è un nuovo duro colpo per gli europei che sono costretti ad acquistare a caro prezzo lo shale gas liquefatto americano, mentre cittadini e industriali d’oltreoceano possono continuare ad acquistare questo stesso shale gas a un prezzo tre volte inferiore: 10 dollari invece del 30 per mille BTU (unità termiche barili).

Infine, a seguito della sua promessa agli elettori che lo hanno riconfermato alla Casa Bianca, Joe Biden ha firmato l’ Inflation Reduction Act (RIA). Con il pretesto di combattere sia l’inflazione che il riscaldamento globale, ha sbloccato 300 miliardi di dollari a beneficio dei suoi concittadini con in particolare un credito d’imposta fino a 7500 dollari, riservato all’acquisto di un veicolo elettrico uscito da una fabbrica nordamericana con una batteria prodotta localmente. Si prevede inoltre che la fabbrica sia aperta ai sindacati statunitensi, il che esclude le fabbriche di produttori asiatici installate in America! Questa clausola rivolta gli europei e in particolare il commissario europeo al mercato interno Thierry Breton, che vede“Ingenti sovvenzioni che possono portare a distorsioni della concorrenza” .

Si apriranno trattative tra gli alleati per cercare di appianare queste divergenze senza però vedere gli assetti degli europei, divisi e più che mai dipendenti da Washington in materia militare e strategica. Questa situazione ricorda i rapporti tra Atene ei suoi “alleati”  della lega di Delo , dopo che questi ultimi avevano affidato ad Atene la loro sicurezza contro l ‘”orso” persiano .

https://www.herodote.net/D_Olaf_Scholz_a_Joe_Biden_le_retour_du_protectionnisme-article-2838.php

“La guerra necessaria. Logiche della dipendenza, di Alessandro Visalli

La guerra sollecita sentimenti di morte e gratifica le virtù meno virtuose, esalta il coraggio meramente fisico, sollecita il nazionalismo. La nostra civiltà, come è accaduto in altre crisi, sta retrocedendo rapidamente (uso questa parola che evito sempre perché qui è appropriata in senso tecnico) a stati spirituali ed emotivi che si credevano erroneamente passati, quando erano solo sopiti perché non necessari. Anche se lascia senza parole, tutto ciò non accade per caso: appena la posizione dei nostri sistemi economici nella catena del valore, o, per dirlo meglio, nella catena dello sfruttamento e dell’estrazione di valore mondiale è stata sfidata, e ciò si è fatto urgente[1], allora abbiamo immediatamente dismesso l’abito del mercante per prendere dagli antichi armadi quello del guerriero e tutta la sua epica. Non appena i nostri privilegi, la possibilità di avere i nostri agi e i nostri giocattoli con poche ore di lavoro (mentre i fattori con i quali sono prodotti derivano da tantissime ore di altri umani meno umani) è stata messa a rischio allora è uscito lo spirito vero dell’Europa. Il pirata Drake, fatto baronetto e poi divenuto parte della schiatta dominante; i tanti avventurieri senza scrupoli ma con tanto coraggio che hanno piegato il mondo; la corazza di Cortez, … Tutto è tornato, anche la nausea.

Fino a ieri, sicuri che il ‘dolce commercio[2] avrebbe portato con sé attraverso la spinta interna del consumo l’allineamento del mondo agli standard dell’occidente e garantito quindi il relativo dominio di fatto, erano i paesi guida anglosassoni (e gli Usa in primis) a spingere sull’interconnessione. L’idea era di considerare la “modernizzazione”[3] compiuta storicamente, ed in innumerevoli conflitti, dalle società europee nel torno di anni tra il XV ed il XIX secolo come una “tappa”[4], storicamente necessaria, dei “progressi”[5] della “Ragione”[6] che porta con sé il necessario -biunivocamente connesso- sviluppo delle forze produttive. Nessuno sviluppo autentico è quindi considerato possibile, né civile e morale, né produttivo ed autosostenuto, senza che si aderisca a questo movimento ineluttabile e progressivo, irreversibile, scritto nella “Storia”[7], e del quale l’Occidente rappresenta il modello e l’alfiere. Questa costellazione di idee, nelle quali è incorporata la mente di ogni “buon” cittadino occidentale, democratico e progressista, sicuro della propria superiorità e del destino manifesto che aspetta il mondo intero quando lo riconosca, è sfidata oggi dalla direzione che stanno prendendo i fatti.

Bombardamento di Belgrado, 1999

 

Ci sono molte chiavi possibili per comprendere questo fenomeno. Una risale allo scontro di potenza (ovvero tra “grandi potenze”[8]) che ha un sapore novecentesco inconfondibile. Per chiamare un testimone non sospettabile di amicizia con il nemico, Chas Freeman[9] ha recentemente dichiarato[10] che la guerra tra Ucraina e Russia assomiglia alle guerre per procura tra i blocchi della guerra fredda, come quella del Vietnam o dell’Afghanistan, dove una parte era impegnata e si logorava e l’altra operava in modo indiretto. La parte che agiva tramite il procuratore, fino al suo ultimo uomo, non aveva alcun interesse a porvi fine. In questo caso Washington ha costantemente soffiato sulla brace fino a che è divampato il fuoco. Come scrive nel suo articolo, ha “trascorso gli ultimi otto anni ad addestrare ed equipaggiare le forze ucraine per combattere la Russia e i separatisti a Donetsk e Lugansk. Ha sostenuto con forza la resistenza ucraina all’aggressione russa, suggerendo al contempo che potrebbe opporsi a un accordo ucraino con Mosca, che considera troppo favorevole alla Russia”. Insomma, “queste politiche non mirano a produrre una pace. Mirano a sostenere la guerra finché ci sono ucraini disposti a morire in combattimento con i russi”. Dunque, in sintesi, “nella guerra in Ucraina, abbiamo appena assistito alla fine del periodo successivo alla Guerra Fredda, alla fine del secondo dopoguerra e all’era di Bretton Woods, alla fine della pace in Europa e alla fine del dominio globale euro-americano. Le sanzioni ora divideranno il mondo in ecosistemi in competizione per finanza, tecnologia e commercio. Difficilmente possiamo immaginare le implicazioni di una tale trasformazione.”

Guardando invece la cosa dal punto di vista russo per il politologo russo Dmitrij Trenin[11] la guerra per procura con gli Stati Uniti è da inserire in un complessivo processo di cambiamento dell’ordine mondiale che vede il baricentro di attività economica spostarsi dall’Euro-Atlantico all’Indo-Pacifico. In questa crisi si sta abbandonando l’eredità di Pietro il Grande, ovvero il desiderio Russo di essere parte integrante della civiltà paneuropea che è andato avanti sino al “primo” Putin (il quale chiese di entrare nella Ue e nella Nato). Il fallimento di questi tentativi deriva però dal semplice fatto che “gli edifici europei sono stati costruiti ed occupati sotto la protezione degli Stati Uniti, e non della Russia”. Questa, come dice, “non è colpa di nessuna delle parti. È impossibile per il collettivo occidentale incorporare una scala così ampia nella sua comunità senza minare le sue fondamenta strutturali; ampliare le fondamenta significherebbe rinunciare alla sua posizione egemonica” (questa è la frase chiave, sulla quale torneremo nel seguito).

E’ sempre più evidente che i paesi ‘non bianchi’ (secondo la razzistica tassonomia implicita, e talvolta non solo, occidentale[12]) emergono alla consapevolezza che la pluralità di civiltà esistenti ha pieno diritto di considerarsi alla pari con quella occidentale. Le civiltà cinese, indiana e islamica si stanno quindi alzando e rifiutano la visione gerarchica lungo il maggiore o minore ‘avanzamento’, o ‘modernità’[13]. Di fronte a questa contrapposizione, anche culturale, la guerra ibrida[14] in corso nasconde e manifesta ad un tempo grumi concreti di interesse, di classe e di gruppo. Specificamente l’interesse dell’Occidente (anzi, di uno degli occidenti) a conservare la sua capacità di aspirare dal mondo il surplus, tramite il commercio ineguale e tramite l’interconnessione finanziaria, e sostenere in tal modo un tenore di vita che eccede quello del resto dell’umanità. Interessi che sono per questo accuratamente nascosti sotto più strati sovrapposti di ideologia e di sentimenti apparentemente umani.

 

Perché, però, Trenin dice che è impossibile per il collettivo occidentale incorporare una scala così ampia nella sua comunità senza minare le sue fondamenta strutturali in quanto ampliare le fondamenta significherebbe rinunciare alla sua posizione egemonica? Uno schema analitico[15] proposto a partire dagli anni cinquanta del novecento (con antesignani negli anni venti e trenta) e poi sommerso negli anni novanta dalla fine della guerra fredda può fornire qualche indizio. Esso individuava nella “metropoli” una tendenza alla concentrazione e sottoinvestimento tenuta a tratti sotto controllo da specifiche ‘controtendenze’ le quali coinvolgono le “periferie”. Le principali nel secondo dopoguerra furono la guerra fredda (con l’espansione del sistema militare-industriale e i corposi investimenti pubblici connessi), l’esportazione di capitale per sfruttare lavoro e materie prime a basso prezzo, e la cetomedizzazione[16], che contribuì a spegnere le tensioni politiche create dalle numerose ‘periferie’ interne. La nozione di ‘periferia’ e di ‘centro’ (o “metropoli”) era una delle chiavi più importanti ed anche una delle più delicate della teoria e viene ripresa spesso nel dibattito contemporaneo.

Uno dei punti chiave era che il dirottamento del surplus su spese improduttive (il cui massimo esempio è in quelle militari), lungi dall’essere uno spreco ed una distorsione, diventa una necessità sistemica che serve nel breve termine ad impedire la stagnazione per impossibilità di ‘realizzo’ del capitale. Dunque, sempre nel breve termine, esso rende possibile la prosecuzione dell’accumulazione. Le merci e i servizi prodotti, infatti, nelle condizioni monopolistiche hanno una strutturale difficoltà a trovare collocazione in un mercato interno reso debole dall’eccesso di estrazione di surplus e di concentrazione dei profitti e dei capitali. Ne deriva la tendenza alla successione di fasi di espansione e destabilizzazione, e di conseguente l’insorgere ciclico di fasi di disordine sistemico (anche politico), che caratterizzano la fisiologia del sistema capitalistico esteso.

La tesi, avanzata già alla fine degli anni Quaranta, era che le ‘ragioni di scambio’[17] tra paesi sviluppati e non tendono, nel lungo periodo, a sfavorire i paesi esportatori di prodotti primari in favore di quelli che esportano prodotti manifatturati. È la debolezza relativa del mondo del lavoro nelle periferie a determinare questo effetto, per il quale i prodotti industriali contengono, a parità di prezzo, molto meno lavoro e meno fattori (energia, materia) di quelli con i quali sono scambiati. Di qui la prescrizione classica di procedere ad un’industrializzazione forzata. La prescrizione economica principale di tutte le diramazioni della teoria è la cosiddetta “disconnessione[18]. Ovvero, partendo dal riconoscimento dell’esistenza di una ‘metropoli’ sfruttatrice e di una ‘periferia’ sfruttata, della necessità di sviluppo industriale autonomo e della ‘sostituzione delle importazioni[19]. Una prescrizione per molti versi semplicistica che è fallita ovunque non erano presenti le condizioni di forza (ma non ovunque).

 

La mondializzazione e l’Ordine Mondiale a guida occidentale (dell’Occidente collettivo) emerse proprio dopo la decolonizzazione e gli sforzi falliti di “sostituire le importazioni”; molti paesi ex coloniali a quel punto avevano infrastrutture ed erano disponibili ad avviare cicli di industrializzazione molto più solidi. I capitali (anche quelli riciclati dal saccheggio dell’est) vennero quindi proiettati nelle ex periferie con maggiore impeto ed esplose in pochi anni l’esercito di riserva mondiale. La base produttiva si sparpagliò in tutte le aree di minore resistenza. Nel modello che si affermò la domanda era, peraltro, ormai garantita dalla fluidità ed estensione dei mercati e dal meccanismo delle “bolle”. Nacque così il sistema della “sostituzione delle esportazioni”, fragile e basato sulla liquidità, che da allora deve correre sempre più forte per restare sostanzialmente fermo. In questo contesto in via di formazione, dalla metà degli anni Ottanta, a Birmingham la “banda dei quattro” (Immanuel Wallerstein, Giovanni Arrighi, André Gunder Frank e Samir Amin) elaborò la “teoria dei sistemi mondo”. Il focus analitico si spostò dagli stati-nazione al sistema globale. Negli anni Novanta la teoria si consolidò. Venne proposta da Giovanni Arrighi una teoria dei cicli egemonici[20] non economicista, che individua come fattore principale il “vantaggio posizionale” e lo scontro tra due tecnologie del potere reciprocamente estranee: una ‘capitalista’ ed una ‘territorialista’. Lo schema analitico postulava l’esistenza di grandi cicli di accumulazione, composti idealtipicamente da una fase di espansione produttiva seguita da una fase terminale finanziaria, che si intrecciano a cicli di egemonia in cui un “centro” si impone a tante “periferie”, creando ogni volta un sistema funzionalmente interconnesso. Quando i cicli vanno ad esaurimento la soluzione delle contraddizioni avviene tramite la riorganizzazione dello spazio politico-economico mondiale da parte di un nuovo Stato capitalistico egemonico che ha un diverso e più efficace modello. Nel complesso si passa quindi da un modello fondato sulla trasformazione DTD’ ad una TDT’, passando da un’instabilità all’altra nella ricerca di “terre vergini”, nel senso di sfruttabili.

 

Secondo le ‘teorie della dipendenza’, che pure hanno andamento plurimo e notevoli divergenze interne, insomma, il capitalismo è un movimento che genera sempre una dialettica spaziale internamente connessa con la lotta di classe. Crea e vive di squilibri. Ne deriva una tendenza interna a trovare sempre nuovi sbocchi alle eccedenze di capitale che generano i “centri” (monopolistici)[21]. Ma questo determina una cronica instabilità e genera instancabilmente dipendenze. La geopolitica del capitalismo crea quindi costantemente e necessariamente economie subalterne, e quelle che Harvey chiama “coerenze strutturate incomplete” (appunto perché dipendenti). Contemporaneamente genera e sostiene alleanze di classe nelle quali quelle superiori sono di necessità estese a livello internazionale. Quindi crea costantemente colonialismo (esterno ed interno) ed imperialismo. Il punto è che questo movimento a spirale, oltre ad essere costantemente a rischio di crollo, non è autoequilibrante ma favorisce la concentrazione delle risorse nelle aree forti ed effetti di riflusso su quelle di provenienza. Per questa ragione la geopolitica del capitalismo è sempre alla ricerca di meccanismi nuovi di assorbimento (impiego) del surplus e dello sfruttamento di una classe e di un territorio sugli altri. Questa ricerca, parossistica, di ‘soluzioni’ spaziali attiva il circolo vizioso della competizione sulla scala globale ed espone il mondo al costante rischio di precipitare nella violenza (anzi, è in se stesso violenza potenziale, trattenuta e minacciata).

E’ importante sottolineare che la tendenza intrinseca del capitalismo a generare scontri tra aree e dipendenze “coloniali” non è una questione di disposizione morale, ma una necessità. Non è un complotto ma un funzionamento. L’accumulazione del capitale è, infatti, in buona misura una questione geografica. Il problema è che, nel quadro di questa teoria, l’interconnessione delle dinamiche di espansione e contrazione produce oggi l’esaurimento della soluzione (alle crisi degli anni Sessanta e settanta) della finanziarizzazione e poi mondializzazione e quindi l’accelerazione di una transizione in corso da molto tempo. Transizione che è cresciuta all’ombra della fase ‘unipolare’ (quando l’egemone statunitense si è progressivamente mutato in dominatore) fino ad emergere negli ultimi anni con la doppia sfida della Cina e della Russia (e degli altri). Assistiamo perciò all’emergere di nuove potenziali costellazioni di potenza, e di una nuova egemonia possibile, che determina aree di crisi ad elevato rischio di perdita di controllo. Perdita di controllo che oggi abbiamo sotto i nostri occhi, quando la ‘violenza trattenuta e minacciata’ tende ad uscire dalle caserme.

Più concretamente, l’esaurimento, da vedere come perdita di equilibrio, del ciclo del debito sembra imminente. Le istituzioni finanziarie pubbliche, sulle quali da tempo è caduto il peso di salvare il sistema dal quale dipendono per intero le élite e buona parte dei sistemi sociali e territoriali del mondo, fanno crescente fatica a garantire la liquidità. Sempre nuove invenzioni sono messe sul tappeto e sempre meno tempo è in tal modo “comprato”[22]. Tutto ciò è stato enormemente accelerato dalla crisi pandemica[23]. Dall’altra parte sono in corso potenti riarticolazioni del modo di produzione stesso[24]. Si tratta di un livello sotterraneo, ma decisivo, di tensione che spinge per mutamenti radicali a causa della difficoltà alla riproduzione del capitale, dei crescenti rischi di controllo, della dinamica interna della tecnoscienza. Tutte queste forze convergono nel mutamento accelerato della piattaforma tecnologica[25] e quindi delle strutture della vita quotidiana di molti. Queste tendenze di crisi, che possono essere lette con le lenti della “teoria della dipendenza”, si legano agli effetti depositati dalla lunga fase neoliberale. Precisamente alla ridislocazione in occidente del lavoro di massa verso settori a basso valore aggiunto, e quindi deboli ed a più elevato tasso di sfruttamento ed alla concentrazione crescente dei guadagni di ricchezza su sezioni sempre minori della popolazione, avvantaggiate dalla propria posizione nei flussi di valore e nei luoghi ‘densi’ che li organizzano.

 

La guerra tra la Russia e l’Ucraina aggiunge un’ulteriore dimensione a questa consapevolezza e sta spingendo tutte le parti del mondo a richiedere improvvisamente “indipendenza”, piuttosto che efficienza e rapidità.

Ciò che accade ha portata storica. Alcuni mesi fa il vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, il filoccidentale ma fedelissimo di Putin ex Presidente ed ex Primo ministro fino al 2020 Dmitrij Anatol’evič Medvedev, ha dichiarato sulla stampa russa che le sanzioni (congelamento delle riserve, misure sui capitali privati all’estero, esclusione dallo Swift) violano la sacralità della proprietà privata e lo stato di diritto, apparentemente cari all’occidente, e dunque manifestano una ‘guerra senza regole’ che ‘distruggerà tutto l’ordine economico mondiale’. Lo distruggerà (anzi, lo ha già distrutto) perché queste misure colpiscono principalmente la credibilità stessa di chi le promuove, stracciando leggi e regolamenti, con ciò mostrando la natura del potere. Determinano l’arrivo di un nuovo “Ordine finanziario mondiale” nel quale chi non è credibile non avrà più voce in capitolo. Chi farebbe patti con un baro? La risposta russa a questa mossa è stata di tentare di capovolgere il principio di base denaro-per-merci. L’idea è di connettere merci di base, petrolio, gas naturale, materie prime minerarie e oro, al rublo. La guerra valutaria lanciata contro la Russia, fondata sull’inibizione della liquidità in modo che sia inibita sia la funzione di riserva di valore, sia quella di mezzo di scambio della moneta internazionale detenuta dal sistema economico russo, viene tradotta da questa mossa (alla quale lavora la Banca centrale Russa e la diplomazia economica altamente attiva verso i paesi ‘non allineati’, che crescono ogni giorno) in guerra di merci e monete. Ovvero in un confronto a tutto campo tra ‘merci’ cruciali e monete sovrane ad esse ancorate. Se l’Occidente ha la sua valuta finanziaria, il ‘non-occidente’ (che si genera per negazione direttamente dalla logica della ‘crociata’ politico culturale altamente autolesionista avviata dai neocon americani negli anni Novanta ed ora fatta propria dai democrat al potere[26]) ha le merci di base e anche la capacità di trasformazione. Da tempo, infatti, le basi industriali di tutte le filiere mondiali non sono più in Occidente e questo fa tutta la differenza. Allora, chi ha paura di chi? Chi punisce chi? Chi ha ucciso il cervo? Si chiede Zhang Weiwei (docente di economia al Fudan e presidente del China Research Institute) su Guancha[27].

Chiaramente, la rivoluzione contro l’Ordine valutario americano[28], lanciata in questo modo, deve vedere necessariamente la partecipazione della Cina stessa, che è ormai la più grande economia mondiale (a parità di potere di acquisto, ovvero in termini di beni reali), il più grande commerciante di beni e il più grande mercato di consumo e investimento. E’ del tutto chiaro che avendo perso tutti questi primati gli Stati Uniti sono in una posizione di fragilità.

Questa considerazione mostra con precisione la posta della guerra e anche la ragione della disperata determinazione americana (e dei suoi clienti e subalterni).

Si tratta, niente di meno che di tradire il principio cardine dell’Ordine finanziario esistente per il quale la liquidità va sempre protetta. Ovvero il principio per il quale va sempre garantito, costi quel che costi, che sia sempre possibile la convertibilità incondizionata tra moneta e credito (per cui qualsiasi credito sia sempre rilevabile a richiesta in moneta). Questo è quel che rendeva il dollaro la moneta centrale e i suoi titoli la riserva di valore più affidabile per privati e stati. Se il credito è essenzialmente una relazione rischiosa, allora ciò che è stato fatto è di distruggerlo. Ma non si può distruggere una relazione senza esserne colpiti.

Ed il colpo cade in una situazione di enorme fragilità. Infatti la potenza americana, in prima fase fondata sulla maggiore produttività e sull’enorme dotazione di infrastrutture, industrie, capacità in un mercato continentale interconnesso, dalla crisi degli anni sessanta-settanta (nella quale quella supremazia si erode) e dalla rottura del 1971 non vive più del suo commercio e della sua produzione, ma dei suoi debiti. Paradossalmente vive di rendita sui propri debiti, grazie alla tesaurizzazione come moneta del debito della sua Banca Centrale, che è accettata in tutto il mondo come moneta di riserva. Il sistema del dollaro svolge questa funzione in modo rischioso ed incerto, a causa dell’assenza di una sottostante economia effettivamente dominante, sostenuta da un attivo commerciale che renda logico detenere riserve (per acquistare beni). La funzione di riserva, questo si vede benissimo in questa crisi, ha il suo limite fuori di sé (si regge sull’indispensabile capacità di minaccia, e quindi di ordine, svolta dalle forze armate americane). Del resto, a ben vedere, c’è in pratica un solo ‘bene’ nel quale la superiorità Occidentale è ancora netta: le armi. Di qui l’assoluta necessità di spezzare la resistenza russa, prima che la Cina diventi troppo forte anche su questo terreno.

 

Dall’altra parte l’idea che emerge dalla reazione del sistema russo alla crisi, alla quale si era lungamente preparato[29], è di riposizionarsi nella catena del valore da paese ‘periferico’, che essenzialmente vende materie prime con sfavorevoli ragioni di scambio, affidandosi per il resto alle importazioni di prodotti finiti o semilavorati, a paese ‘semicentrale’ in un ecosistema dominato da centri di potenza ed industriali meno ostili (la Cina, l’India, il Brasile, il Sudafrica, i Brics, ai quali aggiungere almeno il Venezuela, alcuni paesi africani, alcuni paesi del golfo, probabilmente il Pakistan e forse l’Arabia Saudita) e, soprattutto, più complementari.

Detto in altre parole, c’è una sorta di ironia: l’occidente si aspetta che l’ambiente economico russo sia costretto dalla crisi dei capitali ad accettare una situazione di maggiore dipendenza e quindi maggior sfruttamento (banalmente di dover accettare di vendere i propri prodotti e materie prime ad un prezzo inferiore, o serbando minore quota del profitto[30]), ricollocandosi in posizione ancor più periferica. Ma la Russia sembra voler accettare la sfida e punta a ricollocarsi in un diverso ecosistema nel quale la propria industria e i propri prodotti energetici siano più necessari. Il progetto di Putin, e dei gruppi decisionali che lo circondano, è quindi di invertire la sconfitta degli anni Ottanta, ma non nel modo che pensiamo: non si tratta affatto, almeno a medio termine, di recuperare le aree di influenza territoriale perdute che, nel frattempo, si sono interconnesse con l’ecosistema economico occidentale in modo troppo intenso (tanto meno di farlo per via militare). Si tratta di qualcosa di molto più significativo: di risolvere l’incorporazione subalterna del sistema-mondo che allora fu determinata. Esiste solo un modo a tal fine, ed è quello che viene indicato come “ristrutturazione strutturale dell’economia”. Si tratta di riportare le proprie élite industriali e finanziarie, con le buone o le cattive (ed una guerra è a tal fine perfetta) sotto il dominio della propria logica ‘territorialista’; rialzare a tal fine barriere di sistema (e questo lo stanno facendo gli Usa); trovare un’altra area di proiezione per i propri capitali, nella quale la concorrenza sia più contenuta e l’ambiente normativo più controllabile. Passare da un modello trainato dalle esportazioni (quello della “Grande Moderazione” degli ultimi trenta anni) ad uno in cui è la domanda interna a stabilizzare il paese. Si tratta ovviamente di un enorme compito per il quale saranno necessari anni e potrebbe fallire, si dovrà: ristrutturare il mercato del lavoro; modificare i settori trainanti; attuare quella che in Cina è stata chiamata una “doppia circolazione”. Ciò dovrà comportare una netta ridistribuzione tra industrie e professioni, oltre che tra aree economiche geografiche. Molti impiegati di alto livello nelle multinazionali estere perderanno il lavoro e dovranno ricollocarsi, mentre presumibilmente ci sarà più lavoro ai livelli meno sofisticati. Malgrado ciò, perché sia possibile ristrutturare l’economia, il monte complessivo dei salari dovrà aumentare, per far crescere la domanda interna. Il modello neoliberale funziona all’esatto opposto. Tiene compressa la domanda interna, per proteggere i profitti industriali, e ricerca la necessaria capacità di spesa per garantire il realizzo delle merci in capitale all’estero in una lotta spietata a somma zero. In questo consiste la sua “libertà”. La scommessa russa è di poter ritransitare nel modello opposto, ovviamente insieme alla Cina ed a numerosi partner. Un modello che stabilizza il proprio ciclo di valorizzazione e riproduzione del capitale facendo essenzialmente leva sul mercato interno, salari alti e stabili, una classe media in ascesa. Ovviamente ne fanno parte un certo controllo dei flussi di capitali e l’indisponibilità a farsi controllare dall’esterno.

L’idea è che dentro questo sistema, che fraziona il complessivo sistema-mondo occidentale, ritagliandovi un grande enclave, la Russia possa trovare una posizione di minore debolezza. In altre parole che possa essere più necessaria, sia come fornitore di materie prime e di tecnologie avanzate (in alcuni specifici settori, aerospaziale, chimica, nucleare, militare), sia come fornitore di protezione (sfidando, ovviamente, il monopolio Usa su questo cruciale ‘servizio’). Due generi di interlocutori sono da individuare per questo progetto: in primo luogo, i grandi paesi altamente differenziati e fortemente finanziarizzati, ma che nell’ecosistema “Occidentale” sono costantemente schiacciati al ruolo di junior partner o di ospite inaffidabile[31]. In secondo luogo, i paesi intermedi, con una specializzazione più pronunciata e minori risorse umane, materiali e finanziarie. Questi si sentono spesso umiliati e vittimizzati dall’arroganza occidentale e possono essere tentati di ridurre la dipendenza.

Chiaramente, e simmetricamente, i paesi che nell’attuale sistema-mondo sono ‘centrali’ o ‘semi-centrali’ (o ‘semi-periferici’ in un centro rilevante come quello europeo), da questa riframmentazione in sistemi-mondo interconnessi, ma anche parzialmente separati, hanno da perdere. Da una parte si riducono gli sbocchi alle eccedenze di capitale, ovvero le aree nelle quali proiettare i capitali garantendone per via politica o di influenza militare la redditività. Quindi diventa più difficile il gioco di rompere gli ‘spazi regionali’, costringendoli a rilasciare i propri valori e destabilizzandoli (gioco nel quale gli Usa sono maestri, ma noi siamo i vecchi maestri ed attuali volenterosi allievi). Infine, si ridefinisce l’intera gerarchia delle dipendenze e dell’estrazione del surplus; in quanto quel sistema esteso che chiamiamo per comodità ‘capitalismo’ (ovvero quell’insieme di rapporti sociali, giuridici e di soggettività che si definiscono per la centralità del principio organizzativo e di ordine del ‘capitale’) è sempre composto di parti interconnesse, ognuna delle quali trova la propria struttura e organizzazione dalla propria posizione nell’insieme. Posizione che è sempre gerarchica. La ragione è che tutti i fenomeni economici e sociali, ed in ultima analisi anche politici e militari, trovano possibilità di essere compresi solo nell’unità complessiva delle parti in interazione.

 

Il processo di fratturazione dell’ambiente finanziario e commerciale mondiale, e la revoca della centralità in esso del dollaro (processo che richiederà qualche anno), riprodurrà quindi quella priorità all’indipendenza che rese possibile il percorso di crescita di tanti paesi nel trentennio ’50-’80 e ne motivò la tensione ideale. Anche alla luce di questi fenomeni si può verificare come tutte le teorie trovino sempre la loro urgenza e plausibilità dal contesto del tempo. Sono, cioè, illuminate dal tempo nel quale si manifestano, più che il contrario. Prevedo che, insieme al confronto tra sistemi, intorno a questo tempo difficile tornerà perciò in campo la “teoria della dipendenza” e quella “dell’imperialismo”.

 

 

 

[1] – Fenomeno che, lo dovremo guardare con attenzione, si è incrudito quando la crisi del Covid ha spezzato le supply chain mondiali e la ripartenza ha evidenziato l’incremento senza controllo delle materie prime, con conseguenze sistemiche e cumulative a carico della competitività e dell’inflazione.

[2] – Il termine è messo in giro nel XVIII secolo e rappresenta la condensazione di un’idea contemporaneamente semplicissima e straordinariamente sottile: quella che il fatto di far passare le relazioni umane attraverso il vincolo morbido dello scambio per puro interesse (il “dolce commercio”) le trasformerà e civilizzerà. L’uomo stesso diventerà meno ferino, meno orientato a perseguire motivazioni irrazionali (come “l’onore”), e la società diventerà meno separata in enclave, in clan in lotta reciproca; sarà meno attraversata da inimicizie radicali (ad esempio religiose). Ma questa non è l’idea di una condizione ‘naturale’ dell’uomo che si tratta solo di far emergere, contiene il progetto di una antropologia minimalista. Il progetto di un “uomo nuovo” che viene prodotto dall’estensione del commercio e dalla struttura legale e governativa che lo impone. Cfr., ad esempio, Jean-Claude Michéa, “L’impero del male”, Libri Scheiwiller, 2008 (ed. or. 2007).

[3] – Altro termine chiave della costellazione liberale: si tratta del superamento del mondo tradizionale, con tutte le sue strutture relazionali ed antropologiche, i sistemi di potere, i vincoli costitutivi, i valori (ad esempio l’onore, la responsabilità concreta, la reciprocità nel sistema del dono, l’ordine presunto naturale, …).

[4] – L’idea di un procedere per “tappe” della “storia” è un’altra tipica idea illuminista, fattasi strada tra il XVII ed il XVIII secolo, viene articolata sia nell’ambiente napoletano (Gianbattista Vico, 1668-1744) sia in quello scozzese (Adam Ferguson, 1723-1816), ovviamente ciò porta a ritenere che l’uomo proceda, generazione dopo generazione, ad apprendere sempre meglio il proprio modo di essere nel mondo e quindi progredisca.

[5] – “Progresso” è probabilmente il termine più inevitabile della costellazione liberale-moderna. Il concetto è legato ad una duplice radice: da una parte è un’interpretazione-ricostruzione dell’esperienza storica della tecnica e della scienza nella fioritura cinque-seicentesca e nell’estensione sette-ottocentesca, dall’altra è ancora un progetto di rottura delle relazioni tradizionali e di liberazione delle forze del lavoro e dell’industria dai vincoli storici. Si tratta di un progetto negativo, che conosce ciò che non vuole, ma non ciò verso cui tende. Un programma intrinsecamente “illimitato”, e quindi anche, e necessariamente, in-umano e carico di hybris. Per questa lettura del liberalesimo come “progetto negativo”, si può leggere Andrea Zhok, “Critica della ragione liberale”, Meltemi, 2020.

[6] – “Ragione”, rigorosamente al singolare, è quindi il coronamento di questo giro di concetti e del progetto ad essi connesso. Si tratta dell’idea che si deve imporre una unica via, perché aderente all’autentica natura umana (o, per meglio dire, alla natura umana che deve diventare unica).

[7] – La “Storia” è quindi orientata, ha carattere unitario, conoscibile nel suo senso, normativamente connotata.

[8] – Il riferimento obbligato è al lavoro di Mearshmeier.

[9] – Vicesegretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale dal 1993 al 1994 ed ex ambasciatore degli Stati Uniti in Arabia Saudita durante le operazioni Desert Shield e Desert Storm. Freeman è noto in ambito diplomatico per essere stato vice segretario di Stato per gli affari africani durante la storica mediazione statunitense per l’indipendenza della Namibia dal Sud Africa e del ritiro delle truppe cubane dall’Angola. Ha inoltre lavorato come Vice Capo Missione e Incaricato d’Affari nelle ambasciate americane sia a Bangkok (1984-1986) che a Pechino (1981-1984). Dal 1979 al 1981 è stato Direttore per gli Affari Cinesi presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ed è stato il principale interprete americano durante la storica visita del presidente Richard Nixon in Cina nel 1972.

[10] – Si veda https://it-insideover-com.cdn.ampproject.org/c/s/it.insideover.com/guerra/ucraina-ex-ambasciatore-freeman-usa-non-vogliono-pace-ucraina.html/amp/

[11] – Dmitrij Trenin, “Riflettendo sul percorso internazionale della Russia: chi siamo, dove siamo, per cosa e perché”, Guancha, 15 aprile 2022

[12] – Si può vedere il post “Circa David Brooks, ‘La globalizzazione è finita’. Ovvero, ancora del ‘fardello dell’uomo bianco’”, Tempofertile, 9 aprile 2022.

[13] – E’ quello che, in una diversa prospettiva, mostra Christopher Coker in “Lo scontro degli stati-civiltà”, Fazi Editore, 2020 (ed- or. 2019).

[14] – Si veda Qiao Liang, Wang Xiangsui, “Guerra senza limiti”, LEG, 2001 (ed. or. 1999).

[15] – Si veda per un inquadramento concettuale, Alessandro Visalli, “Dipendenza. Capitalismo e transizione multipolare”, Meltemi 2020, oppure Giacomo Gabellini, “Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense”, Mimesis, 2021.

[16] – Una spiegazione interna della tendenza alla crescita della classe media che caratterizzò gli anni del ‘trentennio socialdemocratico’ e con essa l’insorgenza della ‘società del benessere’ (poi revocata nel quarantennio neoliberale).

[17] – Si definiscono “ragioni di scambio” il rapporto tra l’indice dei prezzi all’esportazione di un paese e quello dei prezzi all’importazione. Dal punto di vista dell’intero paese, rappresenta l’ammontare di esportazioni richiesto per ottenere una unità di importazione. Dunque il prezzo tra due beni (o di un bene e di un altro rispetto ad una unità di misura comune, ad esempio il denaro internazionalmente accettato come il dollaro) è relativo ai rapporti di forza che si determinano sul “mercato”, e che dipendono da molteplici fattori non tutti economici.

[18] – Dai flussi di capitale governati dal ‘centro’ e dalle altre forme di dipendenza commerciale e/o politica.

[19] – Si veda R. Prebisch, Crecimiento, desequilibrio y disparidades: interpretación del proceso de desarrollo económico, 1950, in italiano. La crisi dello sviluppo argentino. Prebisch è, con Hans Singer, il creatore della tesi della “sostituzione delle importazioni”, per la ragione che il deterioramento continuo delle ragioni di scambio delle economie primarie, normalmente periferiche, è conseguenza del fatto che la domanda di prodotti manufatti cresce molto più rapidamente di quella delle materie prime.

[20] – Qui la coppia interpretativa è quella dominio/egemonia per la quale si è soliti rinviare ad Antonio Gramsci. Il concetto di ‘egemonia’, per essere compreso, va connesso con la sua assenza, ossia con il puro e semplice “dominio”. Dove il potere è nudo, privo della necessaria componente del consenso. Ma il vero potere non si limita alla costrizione; si estende alle menti e ai cuori, si fa seguire in qualche modo volontariamente, coinvolgendo insieme: la rappresentazione di sé che si costruisce, l’immagine del mondo e la meccanica dei valori e obiettivi, con la loro gerarchia. Si radica inoltre nella “base” degli interessi e dei bisogni, cui in qualche modo (secondo il filtro delle rappresentazioni) l’egemone risponde, facendosene almeno in parte carico. Il vero potere è dunque egemonia.

[21] – Data la loro difficoltà a trovare occasioni di investimento al livello adeguato per effetto dei rendimenti decrescenti.

[22] – Vedi Wolfgang Streeck, Tempo guadagnato, la crisi rinviata del capitalismo democratico, Feltrinelli, 2013

[23] – Interviene in questa situazione, da tempo compromessa, lo shock determinato dall’attesa pandemia figlia dei molti squilibri del mondo e della sua vorticosa e irresponsabile integrazione orizzontale senza protezione. Quella in corso è solo l’ultima delle recenti zoonosi che si sono diffuse nel mondo, uccidendo negli ultimi quarant’anni oltre trenta milioni di persone. C’è una relazione piuttosto riconoscibile tra l’estensione degli insediamenti umani, a ridosso di tutte le rimanenti aree di naturalità, e lo sfruttamento intensivo della vita stessa (ad esempio, degli allevamenti) e la frequenza e rapidità con la quale batteri, virus e funghi, protisti, prioni e vermi, riescono a fare un salto di specie ed a replicarsi tra uomo e uomo. Ed inoltre, una volta che il patogeno si è insediato nell’ospite umano la velocità con la quale questo entra in contatto con altri ospiti e questi si muovono nel mondo. La pandemia amplifica e accelera le molte linee di crisi antecedenti e tendenze già in movimento. Lo fa in quanto figlia dell’interconnessione del mondo e dell’estensione in esso del modo di produzione capitalista, per sua natura incapace di limitarsi nello sfruttamento di qualsiasi cosa sia utilizzabile come merce.

[24] – Una recente ricostruzione, se pur di parte liberale, si può leggere in Richard Baldwin, “Rivoluzione globotica. Globalizzazione, robotica e futuro del lavoro”, Il Mulino 2019.

[25] – Intendo per “piattaforma tecnologica” un set di funzionamenti essenziali, punti di convenienza e vantaggio per diversi gruppi e ceti sociali determinati da network di tecnologie convergenti e reciprocamente rafforzanti, quindi dall’insieme di skill favorite da queste e di know how privilegiati, ma anche da norme sociali e giuridiche che si affermano nella sfera pubblica e privata, e infine da pacchetti di incentivi pubblici e privati (entrambi, norme e incentivi, coinvolti nell’affermazione del network di tecnologie). Una “piattaforma tecnologica” è, inoltre, sempre connessa con un assetto geopolitico che la rende vincente (e in ultima analisi possibile).

[26] – Si veda, “Circa David Brooks, ‘La globalizzazione è finita’. Ovvero, ancora del ‘fardello dell’uomo bianco’”, Tempofertile, 9 aprile 2022. E anche “Politica estera basata sui valori o sull’autodeterminazione. Note sulla svolta di Biden”, Tempofertile, 5 aprile 2022.

[27] – Zhang Weiwei, “Russia vs Stati Uniti: la guerra del denaro e della valuta”, Guancha, 25 aprile 2022

[28] – Si nomina in questo modo la capacità della moneta americana, fino al 1971 nel suo ancoraggio nominale all’oro e in base al Trattato di Bretton Woods e dopo senza di esso, di essere quella riserva di valore ed unità di conto che rende stabile il sistema finanziario mondiale.

[29] – Nella crisi Ucraina del 2014 la Russia ebbe chiarissimo che ad uno scontro con l’occidente si sarebbe ad un certo punto giunti, e che la stessa Ucraina lo voleva. La preparazione al momento è stata condotta allargando le riserve, riducendo l’esposizione in dollari, rinforzando le relazioni internazionali con i paesi non occidentali. Per un chiarimento si può vedere questo video del 2014.

[30] – Ad esempio, cedendo alle multinazionali britanniche o Usa le concessioni delle proprie risorse minerarie a fronte di royalties limitate.

[31] – Questi, che vanno dalla Cina all’India con l’aggiunta del Brasile (ma guarderei anche al Messico), sono in qualche modo ed a vario modo riluttanti a fare lo stesso passo. Lo faranno solo se costretti, quindi fino a che il network al quale tutti stanno lavorando non sarà consolidato cercheranno di stare su tutti i tavoli. In ogni caso sono troppo grandi per chiudere completamente le porte. In prospettiva cercheranno di ascendere al ruolo di egemone di un nuovo sistema-mondo guidato in modo federato.

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