Stati Uniti, una transizione prematura_con Gianfranco Campa

Biden, appena insediato, ha già intrapreso la via del declino e dell’abbandono. Un itinerario probabilmente previsto dall’establishment che lo ha proposto e sostenuto con tutti i mezzi, leciti e opachi; previsto, ma non con l’accelerazione che sta prendendo. Man mano che si profila il cambio della guardia viene sempre più alla luce il vero detentore delle redini del Partito Democratico e il tramite dei centri di potere impegnati a gestire questa fase storica così critica per gli Stati Uniti, Barak Obama. Un vincitore sì, ma sulle ceneri di una battaglia politica rovinosa e delegittimante e con un avversario tutt’altro che debellato. La situazione ideale per iniziative e colpi di mano fuori controllo_Giuseppe Germinario

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IL COVID-19 È UNO STRUMENTO DEL POTERE NEL CONFLITTO STRATEGICO, a cura di Luigi Longo

IL COVID-19 È UNO STRUMENTO DEL POTERE NEL CONFLITTO STRATEGICO

a cura di Luigi Longo

 

 

Invito alla lettura della interessante intervista di Valentina Bennati ad Andrea Bolognesi, medico omeopata e specialista in psichiatria, La pandemia che ha deformato la mentalità del genere umano, pubblicato sul sito www.comedonchisciotte.org, del 12/3/2021.

E’ un’ottima sintesi, chiara su tutte le questioni riguardanti la gestione del covid-19, a partire dalla incapacità di affrontare una malattia curabile ai domiciliari (il 95% dei casi) o in strutture ospedaliere (il 5% dei casi con una minima percentuale di morti).

Qui si pongono due domande: perché una vaccinazione di massa apparentemente libera? Perchè non trattare la malattia come una influenza normale-particolare facendo attenzione agli anziani e ai portatori di patologie? Le risposte presuppongono una trattazione a parte.

Questa incapacità è stata chiaramente dimostrata dall’operato dei medici di base (rete dei medici per la cura domiciliare a livello nazionale) che sono andati contro la legge (cioè, oltre la legge, come insegna il pensiero femminile) e hanno curato e guarito i malati da covid-19. Hanno nei fatti smentito tutte le misure assurde e illogiche deliberate dai governi (Giuseppe Conte e Mario Draghi) supportati dalle istituzioni sanitarie, dagli scienziati, dagli esperti, dai mass-media e da “intellettuali”, tutti a servizio del potere dominante del Paese, servo, a sua volta, a livello internazionale (USA).

A monte c’è il fatto (il tempo si incaricherà di dimostrarlo), che si tratta di una pandemia causata da un virus (covid-19) particolare (troppo veloce nella diffusione) che ha origine artificiale e non naturale. Il covid-19 è uno strumento del conflitto strategico tra le potenze per l’egemonia mondiale: gli USA in relativo declino e la Cina e la Russia in ascesa.

La potenza più aggressiva e spregiudicata è quella degli Stati Uniti d’America: perché è nella loro storia, perché sono per un dominio unilaterale, perché sono in chiara fase di inizio declino insieme a tutto l’Occidente (che si butta sul postumano in nome delle magnifiche sorti e progressive dell’umanità invece di dare senso alla vita individuale e sociale), perché hanno un conflitto interno tra gli agenti strategici irreversibile, perché non riescono a fare sintesi nazionale capace di rilanciarsi come grande potenza, perché sono leader mondiali della ricerca, produzione e uso di armi batteriologiche.

Vediamo, in estrema sintesi, l’utilizzo dello strumento covid-19 in Italia ricordando che l’OMS non ha mai dichiarato la pandemia e che già nel 2017-2018 si era verificato negli USA uno dei più gravi focolai di influenza della storia recente. Fu una catastrofica influenza almeno tre volte più letale dell’attuale crisi sanitaria legata al coronavirus (covid-19). Allora l’OMS ritenne non necessario (sic) allertare il mondo o arrestare tutte le attività commerciali planetarie come ha fatto con il covid-19. Stranamente l’OMS non si era nemmeno preoccupato di etichettare l’epidemia americana come un’epidemia o una pandemia. Si era trattato solo di una “normale influenza” nonostante l’entità dei decessi, l’enorme numero di ricoveri e l’alto tasso di infezione (Gilad Atzmon, L’amnesia è un sintomo del Covid-19?, in www.comedonchisciotte.com, 21/4/2020).

  1. 1. Il progetto di Mario Draghi (un agente strategico esecutivo), a grandi linee, è abbastanza chiaro e sarà realizzato attraverso lo strumento pandemico del Covid-19. L’emergenza economica, sociale, sanitaria permette di dichiarare (come se ce ne fosse stato bisogno) che l’Italia non si schioda dalla Nato e dalla UE, istituzioni ad egemonia (nell’accezione gramsciana) statunitense. Per queste ragioni il governo appronta e realizzerà le infrastrutture (Tav, Ponte sullo stretto di Messina, eccetera) per le strategie Usa-Nato che solo applicando la logica del conflitto strategico si possono comprendere, altrimenti si rimane nella logica dello sviluppo (liberista, keynesiano e marxista) dei pre e sub-dominanti che vela molto bene il conflitto tra le potenze mondiali. La nostra presenza incondizionata nella UE (che è un progetto USA, non dimentichiamolo) serve per tenere unita la UE per le strategie Usa contro la Russia; questo è ciò che appare in superficie; in realtà gli Stati Uniti temono fortemente l’alleanza tra Cina e Russia (le forme di collaborazione tra le due potenze in ascesa sono sempre più consistenti, non fosse altro per battere un nemico comune). E’ mia convinzione che la UE è finita ed è tenuta in piedi dagli Usa attraverso Nato, che si è terribilmente trasformata (si interessa di quasi tutte le sfere sociali) e fa da collante e da coordinamento (via Germania e Francia) dell’Europa; per non parlare del ruolo che svolge nei Balcani con il coordinamento della Polonia e in Medio Oriente con il coordinamento di Israele.

L’Italia resta una nazione geograficamente importante per le strategie USA (in Europa, nel Mediterraneo, nel Medio Oriente): è dal Risorgimento che l’Italia è una espressione geografica per i conflitti tra le potenze, allora per l’Inghilterra, oggi, per gli USA.

2.Il covid-19 permette il passaggio ad una forma di “democrazia” autoritaria che nella fase multicentrica è necessaria per accorciare la filiera del comando per la strategia, per la gestione e per la esecuzione del potere, non dominio perché parliamo di sub-dominanti (il governo sta preparando le riforme delle regioni in macro aree e lavora a nuovi strumenti giuridici: altro che difesa della Costituzione avanzata da ritardati giuristi e costituzionalisti).

La decisione di affidare all’Esercito l’emergenza Covid-19 (cosa che andava fatta dal primo momento non fosse altro per la prontezza della macchina organizzativa) è simbolico di un ruolo sempre più presente della sfera militare nel blocco degli agenti sub-dominanti. Mentre è preoccupante la militarizzazione delle città (per ora solo polizia e carabinieri, in attesa, come scrissi nel mio Americanizzazione del territorio, della «… forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR». Questa nuova “super-polizia” è, recita l’art. 1 del Trattato, «una Forza di Gendarmeria Europea operativa, pre-organizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi al fine di eseguire tutti i compiti di polizia nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi», al servizio, non tanto dei cittadini dell’Ue o degli Stati firmatari del Trattato (le “Parti”), ma, sostiene l’art. 5, sarà «messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche».

Intanto, in questa fase, è sospesa la “democrazia” con tutte le violazioni che gli amanti dello stato di diritto non vedono.

3.L’economia è a pezzi, è stato dichiarato lo sterminio delle PMI (di tutti i settori), così come delle imprese che gli algoritmi decideranno che non vanno salvate (sic): il governo prevede la loro distruzione creatrice che nulla ha a che fare con quella pensata da Joseph A. Schumpeter. << […] la grande struttura delle multinazionali americane entrerà nel mercato italiano, gli interi settori che spariranno verranno comprati dalle multinazionali […] >> (Valerio Malvezzi, E’ drammatico le piccole imprese italiane spariranno, www.radioradio.it, 13/3/2021). Per i dominanti nostrani che vogliono farci credere di risollevare la crisi profonda dell’economia italiana con il Recovery Fund, riporto quanto dichiarato da Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonso in una intervista al Financial Times del 12/2/2021:<< Se esaminiamo i 209 miliardi che il Recovery Plan stanzierà per l’Italia per i prossimi sei anni, 127 sono prestiti che prevedono solo un risparmio sullo spread tra tassi di interesse nazionali ed europei: anche con previsioni pessimistiche sui tassi italiani, non più di 4 miliardi all’anno. Per quanto riguarda i restanti 82 miliardi di risorse a fondo perduto, l’importo netto dipenderà dal contributo dell’Italia al bilancio europeo. Considerato che un accordo su rilevanti imposte pan-europee appare improbabile, i paesi membri dovranno contribuire come di consueto in relazione al pil annuale. Il che implica che l’Italia dovrebbe pagare non meno di 40 miliardi. La sovvenzione netta europea è quindi di soli 42 miliardi, ovvero 7 miliardi l’anno. Infine, se si considera che nella prossima sessione l’Italia contribuirà alla parte restante del bilancio Ue per circa 20 miliardi, il trasferimento netto totale scende a meno di 4 miliardi l’anno [corsivo mio] >>.

4.Il territorio è sempre più venduto, vulnerabile e fragile: il locale viene annientato dal globale senza una minima strategia nazionale. << L’Italia […] il campo di battaglia delle guerre che i principi stranieri conducevano per impadronirsi dei suoi territori […]>> (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Scritti politici, a cura di Claudio Cesa, Einaudi, Torino, 1972, pag.102). Così come sono in crisi sia la relazione tra città e campagna sia la relazione tra ruralità e l’approvvigionamento alimentare (altro che green economy; per dirla con Niccolò Macchiavelli i nostri dominanti sono dei porci!).

5.Le industrie strategiche neanche a parlarne (Eni, Leonardo se non hanno una nazione forte alle spalle faranno ben altri interessi e seguiranno ben altre alleanze), tant’è che, per scelte strategiche USA, l’Ilva di Taranto è stata ceduta ad una multinazionale straniera (e meno male che era strategica per il Paese! Ma in mano a chi siamo?) che è l’anticamera della chiusura della fabbrica con gestione sociale a carico dello Stato, un film già visto a Bagnoli.

6.La sanità sta subendo una grande ristrutturazione (se ci fosse un po’ di serietà si evidenzierebbero i morti che l’emergenza covid-19 ha prodotto a causa della riduzione degli interventi e delle cure in tutti i reparti ospedalieri; le modalità con cui ci vengono dati i numeri relativi alle malattie, ai decessi e alla diffusione del virus è una vera disinformazione statistica. E’ una vergogna istituzionale!) nella quale le garanzie della tutela della salute per tutti sono quasi ridotte all’osso (con l’aggravante che accogliamo migranti in maniera delinquenziale a cui va garantita l’assistenza sanitaria con l’innesco di una guerra tra poveri).

Il covid-19 è il cavallo di Troia per riorganizzare la sanità con una lotta senza quartiere, nei vari dipartimenti, per accaparrarsi risorse, tecnologie, nuovi settori di ricerca, sulla pelle della maggioranza della popolazione.

7.Mancano in generale sia le condizioni oggettive: una fase di trapasso d’epoca con crisi irreversibile dell’Occidente con un cambiamento antropologico delle relazioni umane (le relazioni digitali imposte via covid-19 sono un ottimo allenamento per snaturare l’essenza umana fatta di relazioni, di contatti, di corpi, di presenze); sia le condizioni soggettive: mancano i soggetti ed è assente, per dirla con Costanzo Preve, la tensione da passione durevole; rischiamo, cioè, di creare soggetti virtuali e non materiali.

 

 

 

LA PANDEMIA CHE HA DEFORMATO LA MENTALITÀ DEL GENERE UMANO

 

di Valentina Benna

Un anno che ha sconvolto le nostre vite e messo a dura prova la nostra psiche. Prima la paura di un virus nuovo, poi il distanziamento sociale, le limitazioni alle libertà, la mancanza di lavoro, la didattica a distanza, le difficoltà di assistenza sanitaria per altre patologie, il blocco delle attività ricreative, culturali e religiose. Si è alzata un’onda di malessere mentale dall’impatto devastante perché interessa e interesserà moltissime persone.

Se intendiamo la salute come equilibrio di corpo-mente-spirito, davvero siamo in grave pericolo perché tutto ciò che è accaduto e sta accadendo sta cambiando in modo drammatico, e forse definitivo, i rapporti umani e sta minando la nostra stabilità e vitalità.

E’ un problema grave che, però, non trova abbastanza spazio sui media. Anzi, proprio Tv e giornali sono intenti a diffondere e amplificare dati allarmanti e sensazioni di pericolo.

Quali sono i rischi di questa comunicazione ‘ammalata’? Quanta parte della popolazione sa verificare la fonte e la veridicità delle notizie? Quanti possiedono gli strumenti psicologici ed emotivi per gestire la narrativa catastrofista e unidirezionale che da mesi viene fatta di questo virus? Penso soprattutto alle persone più vulnerabili (gli anziani e i giovani) e a chi è solo e in difficoltà e non può far conto su nessuno.

Sfiducia, sconforto, paura, senso di frustrazione, sono emozioni sempre più evidenti, basta guardarsi un po’ intorno o parlare con la gente. E non può passare inosservato l’aumento dei disturbi psichici che sono sempre di più in rapida crescita, soprattutto nelle città. E’ utile approfondire l’argomento con il Dottor Andrea Bolognesi, medico omeopata e specialista in psichiatria. Bolognesi è anche consulente presso la Fondazione Internazionale Valsé Pantellini per lo studio e la ricerca nell’ambito delle malattie degenerative e tumorali e, di recente, è entrato a far parte della rete di medici attivi in tutta Italia per la cura tempestiva domiciliare covid in ogni regione, iniziativa partita dall’Avvocato Erich Grimaldi che si batte da mesi per la modifica dei protocolli ministeriali che non tengono conto delle esperienze ed evidenze dei territori.

Dottor Bolognesi sono ormai passati molti mesi dall’inizio della ‘pandemia’, alla paura iniziale è subentrata la crisi economica con il senso di incertezza per il futuro, poi la stanchezza e infine anche la rabbia. Sono insorte, e nel tempo si sono aggravate, varie forme di disagio psicologico e molte persone hanno cominciato a fare uso di ansiolitici, antidepressivi, sonniferi e tranquillanti. Quali sono i disturbi principali rilevati? Ci sono già dei dati nazionali ufficiali?

“È giusta la distinzione in due fasi: la prima caratterizzata dalla reazione euforico/patriottica dell’andrà tutto bene e dei canti sul balcone, la seconda invece dal graduale scoramento, al limite della rassegnazione, sia perché dopo un anno esatto siamo tornati al punto di partenza, sia perché l’emergenza socio-economica si è sommata in modo drammatico a quella sanitaria.

Non sono a conoscenza di dati ufficiali, ma l’evidenza di un aumento del consumo di ansiolitici, antidepressivi e ipnoinducenti è nota a tutti così come, in parallelo, l’aumento dei disturbi connessi.

A causa del lockdown sicuramente abbiamo assistito ad un aumento degli episodi di violenza domestica, dovuti a convivenze forzate di coppie già in crisi o di nuclei familiari confinati in spazi angusti e non abituati a vivere insieme per tante ore. Attingendo alla mia personale esperienza di psichiatra posso dire che durante il lockdown dell’anno scorso son dovuto intervenire d’urgenza per episodi di aggressività e violenza ad opera di soggetti con crisi psicotica scatenata dalla chiusura forzata. Molto frequenti anche le crisi depressive aggravate dall’isolamento e con necessità di aumentare il dosaggio dei farmaci già in uso.”

La gestione del nuovo coronavirus ha cambiato in modo drammatico i rapporti umani. Mascherine, distanziamento, smart working, didattica a distanza, divieto di riunirsi e stare vicini, disinfezione continua di mani e locali, misurazione della temperatura: tutto necessario, ci è stato detto, ma è aumentata inesorabilmente la distanza tra le persone ed è diminuita la capacità di empatia. E’ qualcosa di profondo e dirompente, eppure è una questione sottovalutata che non trova adeguata analisi da parte dei media così intenti a comunicarci solo numeri di contagi e notizie relative al vaccino. Quanto tutto questo sta incidendo sulla nostra psiche e che peso avrà sulle nuove generazioni?

“L’opportunità delle misure adottate, fatta eccezione per un ragionevole distanziamento nei luoghi chiusi, è tutta da dimostrare e siamo ancora in attesa della pubblicazione dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico che ci spieghino PER OGNI SINGOLO PROVVEDIMENTO il razionale e quindi, in virtù di questo, la reale efficacia. Riguardo ai cambiamenti nei rapporti umani si è consumata di fatto la morte della prossemica e sappiamo quanto l’essere umano, per sua natura sociale, si giovi del linguaggio non verbale, della gestualità, del contatto, della vicinanza, specialmente nei paesi dell’area mediterranea, per stabilire e mantenere rapporti. Tutto ciò è stato inibito e/o negato e inevitabilmente modificherà gli stili e gli assetti comportamentali soprattutto nelle fasce d’età in formazione, private sul nascere della naturale propensione all’incontro.

Visi che fino a ieri ci erano familiari all’improvviso siamo stati costretti a percepire come minacciosi tanto da scendere istintivamente dal marciapiede se li vediamo dirigersi verso di noi, amici che salutavamo con una stretta di mano o con un abbraccio che temiamo di incontrare perché non sappiamo se lo accetterebbero, e così via con esempi infiniti.

L’enfasi sulla malattia, i toni catastrofisti dei mass media non lasciano spazio per riflessioni su questo tema”.

All’inizio l’emergenza sanitaria c’è sicuramente stata e ha mandato in tilt il nostro ‘depotenziato’ sistema sanitario, poi le terapie sono stata individuate e i tanti medici che già hanno curato a domicilio con successo hanno dimostrato che di covid si guarisce, basta intervenire subito adeguatamente in modo da evitare ricoveri ospedalieri. C’è stato però il problema dei protocolli ministeriali a base di solo paracetamolo ‘nei primi giorni di vigile attesa’, proprio quelli che invece dovrebbero essere decisivi per aggredire il virus …

“Ho avuto modo di esprimere in più occasioni e in maniera netta il mio pensiero su questo argomento attraverso i social nel corso di tutto l’anno e approfitto di questa preziosa occasione per ribadirlo con forza. L’emergenza nella quale ci troviamo è SANITARIA e NON medica in quanto riguarda essenzialmente l’assenza di terapie domiciliari corrette e tempestive e la carenza – grave prima, ma imperdonabile dopo la pausa estiva – delle strutture ospedaliere e in particolare dei posti letto in terapia intensiva. È insopportabile che l’AIFA solo in questi giorni, e grazie a una sentenza del TAR, sia stata costretta ad abbandonare le linee guida, reiterate fino al 20/11/2020, dove si indicava l’uso della ‘tachipirina e vigile attesa’ nelle fasi iniziali della malattia. Da mesi era noto ai medici che lavorano sul campo, curando e guarendo malati in carne ed ossa, che tali indicazioni erano addirittura controindicate e responsabili dell’aggravarsi del quadro clinico, spesso con esiti nefasti. Tali linee guida vengono partorite dalle menti geniali di ‘esperti’ che, chiusi nei loro uffici, non hanno visto un malato da anni e che attendono gli studi clinici pubblicati, magari come quello pubblicato sul Lancet e poi ritirato che screditava l’uso dell’idrossiclorochina, prima di dare via libera all’uso di un protocollo.

Ma io domando: è più importante basarsi sui risultati ottenuti da medici che hanno curato malati guarendoli, e quindi evitandone il ricovero, oppure attendere mesi o anni che gli studi clinici vengano pubblicati? La Medicina non è una scienza esatta, è al massimo una pratica empirica e in caso di emergenza come questo non ci si dovrebbe soffermare su tali sottigliezze.

Un’altra domanda mi sorge spontanea: come mai tutti gli organismi di controllo dei farmaci, AIFA compresa, non hanno preteso lo stesso rigore metodologico prima di approvare l’uso dei vaccini?”

Le persone mal curate a casa fanno inevitabilmente risalire i ricoveri, di conseguenza si rimette in moto la macchina dei lockdown (che per la verità non si è mai arrestata) con i relativi danni economici, sociali e psicologici causati dalle chiusure. Aumenta, dunque, l’angoscia nelle persone. Del resto i media stessi, con i dati che danno, enfatizzano continuamente l’impressione che siamo ancora in pericolo e non informano, invece, dell’opportunità delle cure domiciliari e della necessità di potenziarle. Non c’è il rischio, in questo modo, di incidere i modo serio sulla stabilità mentale delle persone?

“La paura nasce in genere dall’ignoto, dall’imprevisto, dall’imponderabile e la comparsa di un virus sconosciuto che si diffonde rapidamente nel mondo intero racchiude in sé tutte queste caratteristiche ma questa è, si può dire, la paura come espressione naturale, direi ancestrale dell’essere umano. Altra cosa è la paura, in certi casi il terrore, veicolata da una martellante, asfissiante comunicazione monotematica, unilaterale, ubiquitaria quale è stata ed è tuttora quella proposta da TUTTI i mass media. Tale assedio quotidiano fatto di bollettini di contagi, di morti e, ultimamente, di vaccini offusca la capacità di discernere e induce, specie i soggetti più fragili e meno dotati di capacità critica, a una sorta di ‘trance cognitiva’.

Soltanto chi riesce a sottrarsi a questa dittatura mediatica può distinguere il vero dal falso o quantomeno riportare i fatti nelle giuste proporzioni. Auspico che col tempo il numero di queste persone ‘mainstream free’ siano sempre di più e possano creare una massa critica tale da arginare il pensiero unico dominante della ‘scienza non è democratica’ di buroniana memoria”.

Ci sono famiglie angosciate perché impossibilitate a vedere i figli o i parenti che soggiornano in strutture che forniscono cure difficilmente garantibili a domicilio e anche disabili abbandonati dall’assistenza domiciliare o scolastica che sono totalmente a carico delle famiglie in seguito al lockdown. E’ pesante anche la situazione di molti anziani residenti nelle case di riposo privati delle visite di famigliari e amici. Quanto la solitudine e l’isolamento incidono sulla salute?

“Uno dei fatti più disumani che hanno caratterizzato questo anno di pandemia è stata la negazione della sepoltura dei morti, un atto vile e inspiegabile che grida vendetta alla dignità e stravolge le basi della convivenza tra esseri umani, un VULNUS ANTROPOLOGICO incancellabile. Altre gravi criticità sono state e sono, indubbiamente, la solitudine e l’isolamento dei malati, la trascuratezza nei confronti dei malati cronici, in primis oncologici, con un conseguente aumento dei decessi e un ritardo nelle diagnosi e nelle cure. Per non parlare dell’isolamento degli anziani, rinchiusi per interminabili settimane nelle RSA o nei reparti di lunga degenza, proprio nei momenti in cui la presenza di una persona cara o di un familiare era necessaria come l’aria per respirare.

Ho una certa esperienza sia come psichiatra che come medico della Fondazione Pantellini e ho spesso a che fare con pazienti terminali o con i loro familiari, posso dire con certezza che l’isolamento forzato può far precipitare un quadro clinico di per sé precario”.

E poi ci sono le nuove generazioni: preoccupa molto l’aumento dei disturbi psichici, in particolare presso le fasce giovanili. Ci sono sintomi che per primi hanno esordio e che possono denunciare, con un minimo di anticipo, una condizione destinata ad aggravarsi e ai quali i genitori devono stare attenti? Con quali mezzi è possibile arginare la situazione?

“Ritengo che il danno maggiore sarà quello a carico dei bambini in età scolare che, costretti a folli rituali privi di ogni fondamento scientifico, introietteranno convinzioni e comportamenti dettati dalla paura e pian piano li crederanno ‘normali’. Si stanno verificando perfino casi di bambini che rifiutano di togliere la mascherina una volta rientrati a casa da scuola o che rimproverano un genitore se non la indossa correttamente. Non voglio poi entrare nel dibattito sui danni enormi creati dalla cosiddetta DAD, danni dal punto di vista formativo, cognitivo e psicologico.

Dalla permanenza forzata in casa un altro grave fenomeno tipico dell’età giovanile è l’accentuarsi della dipendenza dal cellulare, fino alla perdita di contatto con la realtà, assorbiti totalmente da dimensioni virtuali. Conseguenze di ciò, e anche del danno intrinseco da esposizione a inquinamento elettromagnetico, possono essere un aumento dell’irritabilità, dell’aggressività, una flessione nel rendimento scolastico per disturbo dell’attenzione, della concentrazione e, nei casi più gravi, apatia e anedonia fino agli estremi della sindrome Hikikomori.

Infine in età adolescenziale o giovanile uno stato di allarme e di ipervigilanza costante può slatentizzare, in soggetti predisposti, gravi patologie psichiatriche quali disturbo ossessivo compulsivo, paranoia, angoscia ipocondriaca, fobie, in particolare rupiofobia, e di ciò sono stato testimone nella mia attività professionale.

Suggerisco quindi ai genitori di essere molto attenti e alla comparsa delle prime anomalie di comportamento quali, ad esempio, una eccessiva ritualità nell’igiene, una improvvisa chiusura in sé con ritiro e apatia, una attenzione eccessiva allo stato di salute, di non sottovalutare questi sintomi onde evitare lo strutturarsi degli stessi in patologie”.

Infine c’è l’odio per chi è diverso, per chi si pone domande, per chi dissente, chi chiede chiarezza, chi ricorre alla legge per vedere tutelati i propri diritti. Quanto ciò è frutto della propria bolla di ansia, paura e psicosi e quanto invece è conseguenza della narrativa catastrofista alimentata da media, politici ed esperti di turno?

“Abbiamo già accennato all’ostracismo, ai limiti della dittatura, cui vengono sottoposte tutte le voci fuori dal coro, emarginate o nella migliore delle ipotesi dileggiate dai mass media, acritici megafoni del pensiero unico dominante. Medici radiati o censurati solo per aver espresso opinioni in piena libertà di coscienza e pronti al dibattito, ma sistematicamente inascoltati e sanzionati da un Ordine professionale che invece dovrebbe tutelarli.

Purtroppo ho dovuto constatare che la ‘costruzione della paura’, così pervicacemente alimentata dai mass media, ha inciso negativamente anche su menti o coscienze che reputavo refrattarie e ho visto sfumare amicizie storiche perché l’incomprensione, la radicale opposizione si erano frapposte tra di noi”.

E’ scientificamente provato che la paura, protratta nel tempo, può alterare il buon funzionamento del sistema immunitario che, invece, è proprio il nostro principale alleato contro le infezioni virali. Come vincere questa emozione se diventa tanto forte e distruttiva?

“Poco fa parlavo di ‘vulnus antropologico’, ebbene credo che questa pandemia prolungata abbia a tale punto deformato la mentalità del genere umano da trasformare la Paura in un valore intellettuale e il Panico come scelta intelligente, ‘vincente’ nei confronti di chi rifiuta questo ed è etichettato come complottista , negazionista, soggetto pericoloso. Si è ribaltato il cardine assiologico della nostra cultura occidentale: l’eroe di oggi non è più quello del Mito a noi noto, ma è chi abbraccia il panico, chi considera la paura come segno distintivo di superiorità e chi vi si oppone è un pericoloso incivile.

Sappiamo che il sistema immunitario, UNICA arma sicura contro qualsiasi infezione, oltre a necessitare di un microbiota intestinale in sufficiente equilibrio, risente anche di influenze dal sistema nervoso centrale, attraverso i meccanismi ben descritti dalla PNEI, psico-neuro-endocrino-immunologia. È evidente che uno stato di paura persistente, di ipervigilanza costante alteri questo delicato meccanismo con ricadute sul sistema immunitario.

Per concludere, però, vorrei tranquillizzare ricordando che la malattia da SARS-Cov19 è nel 95% dei casi ad andamento benigno e curabile a domicilio, nel 5% dei casi può dar luogo a complicazioni e necessità di cure ospedaliere e in una minima percentuale di casi ha esito infausto, in genere in pazienti molto anziani con grave comorbilità. Riguardo alle terapie domiciliari, invece, posso assicurare che esistono dei protocolli ormai consolidati e praticati da una rete di medici che fa capo a diversi comitati di cui io stesso faccio parte che naturalmente si affiancano o sopperiscono al lavoro dei medici di base: ippocrateorg.org e terapiadomiciliarecovid19.org sono i più attivi.

Esiste anche un protocollo di prevenzione che io suggerisco da tempo ai miei pazienti che consiste nell’uso delle Vitamine D, C, K2MK7, quercetina, lattoferrina, zinco e, più specificamente, anti-CD26 (prodotto omeopatico specifico in fiale). Per i dettagli sono disponibile ad essere contattato in privato (abolognesi9@gmail.com).

Infine, per vincere la paura, un semplice consiglio che già un anno fa avevo suggerito ai miei pazienti e che ribadisco volentieri è di NON guardare la televisione o meglio, se volete guardarla, dedicatevi a canali culturali, musicali, storici, film. Cercate di ascoltare musica, leggere più libri e state all’aria aperta rispettando le regole in modo da non creare conflitti con i vostri simili.

Infine vorrei dire che, a mio parere, questa pandemia finirà, come è sempre accaduto, quando il virus diventerà endemico e stagionale come tutti i virus con i quali, nel corso dei secoli e dei millenni, l’uomo ha sempre convissuto. Così avverrà anche per questo, e ancora più facilmente se non ci saranno troppe forzature. La fine della paura sarà invece legata a quando gli artefici di essa smetteranno di propinarla senza ritegno e ciò potrebbe essere legato, ad esempio, a praticare i tamponi diminuendo i cicli di amplificazione onde evitare i falsi positivi e al fatto che si curino tempestivamente i malati a domicilio liberando così gli ospedali e i reparti di terapia intensiva.

Non faccio alcun appello alla classe politica, vista la assoluta inettitudine dimostrata in questo anno”.

 

 

tutti i problemi cyber degli Usa, di Giuseppe Gagliano

In tempo di pace_Giuseppe Germinario

Da WannaCry a SolarWinds, tutti i problemi cyber degli Usa

di

SolarWinds

L’approfondimento di Giuseppe Gagliano

 

Nel marzo 2017, WikiLeaks ha fatto trapelare gli strumenti di hacking usati dalla Cia.

Il rapporto interno dell’agenzia di intelligence, ottenuto lo scorso anno dal Washington Post, ha accusato gli hacker della Cia di impegnarsi troppo nella “costruzione di armi cibernetiche a scapito della protezione dei propri sistemi”.

Un mese dopo la fuga della notizia sugli strumenti della Cia, un gruppo chiamato Shadow Brokers si è appropriato di un potente strumento di hacking riuscendo a sottrarlo ad un gruppo d’élite della Nsa chiamato “Tailored Access Operations”. Questi strumenti sono stati utilizzati da attori stranieri per eseguire attacchi informatici su larga scala, inclusi i famigerati attacchi WannaCry, i cui obiettivi includevano aziende statunitensi e agenzie governative.

Più recentemente, un attacco hacker di origine russa ha posto in essere un attacco a Solarwinds e il tentativo degli hacker di avvelenare l’approvvigionamento idrico di una città in Florida hanno dimostrato quanto sia vulnerabile l’America agli attacchi informatici sul proprio territorio.

Per decenni, gli Stati Uniti hanno avuto l’arsenale di armi cibernetiche più sofisticato al mondo. Ma la mancanza di attenzione alle misure difensive è uno dei suoi maggiori punti deboli, afferma la giornalista del New York Times Nicole Perlroth.

In “This Is How They Tell Me the World Ends: The Cyberweapons Arms Race” (Bloomsbury Publishing, febbraio 2021), Nicole Perlroth, che si occupa di notizie sulla sicurezza informatica da oltre un decennio, afferma che più stati-nazione e criminali informatici prendono di mira gli Stati Uniti con attacchi informatici rispetto a qualsiasi altra nazione, e gli Usa sono i più vulnerabili perché sono il paese più connesso.

Non è sempre stato così, aggiunge, suggerendo che gli Stati Uniti sono in gran parte responsabili del diluvio di attacchi.

Nel 2010, gli Stati Uniti e Israele hanno utilizzato un worm informatico noto come Stuxnet per sabotare una parte significativa del programma di arricchimento nucleare iraniano, in quello che è ampiamente considerato il primo “uso cibernetico della forza” ad aver causato danni nel mondo fisico. Il codice alla base dell’attacco è finito per trapelare online e gli hacker di tutto il mondo, incluso l’Iran, sono stati in grado di decodificarlo e ridistribuirlo per i propri scopi.

Questo ha scatenato una corsa agli armamenti informatici che da allora non si è mai fermata.

Da allora, quasi tutti i governi del pianeta, con la possibile eccezione dell’Antartide, hanno continuato questi programmi. E qualsiasi funzionario del governo ammetterà prontamente che l’obiettivo di questo attacco — l’Iran — ha raggiunto una grande efficacia in termini di capacità di attacco informatico in un periodo di tempo molto più breve di quello che si poteva prevedere.

Paesi come Iran, Russia, Cina e Corea del Nord hanno dedicato enormi risorse alle loro capacità cibernetiche e hanno raggiunto con successo obiettivi americani utilizzando strumenti originariamente progettati dagli americani e dai loro alleati, nonché strumenti sviluppati internamente. E poiché è così difficile attribuire definitivamente un attacco informatico a un paese specifico, la possibilità che gli Stati Uniti risponderanno con un forte attacco offensivo non costituisce un deterrente come con le armi convenzionali.

Gli Usa sono vulnerabili ad attacchi informatici poiché a lungo hanno trascurato la sicurezza delle infrastrutture critiche come le centrali elettriche, gli ospedali e gli aeroporti che un attacco sarebbe in grado di devastare.

Queste minacce sono amplificate dal fatto che sono le aziende private ​​come Solarwinds, che possiedono e gestiscono la stragrande maggioranza delle infrastrutture statunitensi, aziende che si concentrano sul profitto e non sulla sicurezza nazionale delle strutture critiche.

Proprio per questo, sottolinea la giornalista americana, sarebbe necessaria una migliore sinergia sulle informazioni tra il governo americano e il settore privato in relazione proprio alle minacce informatiche che sono in continua evoluzione.

https://www.startmag.it/innovazione/da-wannacry-a-solarwinds-tutti-i-problemi-cyber-degli-usa/?fbclid=IwAR39hIqv_CVzvHo6WaxPqOFkAp9im_TOMsNIuwnBn-58ORVm3MNdZJ4aPO0

BREXIT, AFFRONTO O REGALO PER L’EUROPA?_di Hajnalka Vincze

BREXIT, AFFRONTO O REGALO PER L’EUROPA?

Portfolio – 28 gennaio 2021
Nota di notizie

Dietro le infinite lamentele sulla “perdita” del Regno Unito, in realtà molti si rallegrano, chi per un motivo, chi per un altro. I sostenitori dell’Europa federale ritengono che la strada sia chiara ora che il nemico giurato di qualsiasi idea di pooling (approfondimento dell’integrazione) è definitivamente fuori gioco. I campioni di un’Europa indipendente – che dipenderebbe meno dall’America – sorridono alla partenza del “cavallo di Troia” degli Stati Uniti, credendo che il loro momento sia finalmente arrivato: senza Londra, l’eterna torpediniera di qualsiasi iniziativa politica dell’Unione, l’Europa potrebbe anche diventare uno dei poli del potere nel mondo. Tale ragionamento non è del tutto infondato, ma non tiene conto dei malumori interni dei restanti Ventisette.

Sempre presente nelle teste

La Gran Bretagna ha sempre avuto una visione molto particolare della costruzione europea. Ha preferito stare lontano dal suo lancio; non solo, ha creato un’area di libero scambio che dovrebbe competere con esso e renderlo obsoleto sin dal suo inizio. Rendendosi conto del loro fallimento, gli inglesi cambiarono strategia: entrarono per meglio silurare, questa volta dall’interno, tutto ciò che prometteva di diventare più di un semplice mercato aperto. Che si trattasse di tariffe protettive, diritti sociali, autonomia strategica o politica industriale, Londra è stata un freno. Di conseguenza, le lotte più dure e frequenti l’hanno opposta alla Francia, paladina di un’Europa politica e indipendente. Quindici anni fa Jean-Claude Juncker, l’allora primo ministro lussemburghese, ha giustamente osservato, dopo una battaglia franco-britannica particolarmente dura nell’UE: “Qui si confrontano due filosofie. Ho sempre saputo che un giorno o l’altro sarebbe venuto a galla ”.

(Credito fotografico: Reuters)

Non è un caso che ciò sia avvenuto proprio in questo momento. Londra è stata rafforzata dall’adesione, nel 2004, del primo gruppo di paesi dell’Europa centrale e orientale. Nel dilemma “allargare o approfondire” che ha definito i dibattiti per tutti gli anni ’90, la Gran Bretagna spingeva per l’allargamento dell’UE più rapido e più ampio possibile nella speranza di abbattere l’inclinazione politica diluendo il progetto in un gigantesco supermercato. Di fronte a ciò, i francesi – e di tanto in tanto i tedeschi – cercavano di salvare, se necessario sotto forma di un’Europa a più velocità, l’essenza politico-strategica del progetto. Un tentativo coronato da scarso successo. Dopo l’ingresso dei nuovi Stati membri, seguaci della visione britannica, tutto suggeriva che lo scenario di un’Europa dei supermercati addormentata nell’inesistenza geopolitica sotto l’ala protettrice della NATO avrebbe prevalso per sempre.

È vero che lo spirito dei tempi ha lavorato a favore di Londra. Durante i quindici anni trascorsi dal crollo dell’ordine bipolare, il modello globalista-neoliberista controllato a distanza da Washington ha innestato una marcia in più, mentre la NATO, invece di scomparire con la Guerra Fredda, si è adattata, rinvigorita e ha persino effettuato una vera mutazione. In queste circostanze, Londra non ha avuto troppe difficoltà a promuovere, nelle parole dell’ambasciatore Usa, “la posizione comune anglo-americano all’interno dell’UE”. In vista del referendum sulla Brexit, il presidente Obama ha messo in guardia gli elettori britannici: la presenza di Londra è la garanzia che l’UE rimanga economicamente aperta e militarmente attaccata all’America. Sarà interessante osservare, dopo la Brexit, come si comporteranno i paesi membri che fino ad ora, su questi due temi, si nascondevano comodamente dietro Londra.

Minare, dall’esterno

Allo stesso modo, saranno intriganti da osservare gli sforzi che gli inglesi dispiegheranno, d’ora in poi dall’esterno, per indebolire qualsiasi dimensione politica e strategica dell’Unione. Un esempio molto divertente è il caos intorno al sistema di navigazione satellitare, Galileo (“GPS europeo”). Londra è sconvolta dalla perdita, a seguito della Brexit, del suo accesso automatico al “servizio pubblico regolamentato” (PRS) crittografato e ultra sicuro, controllato dai governi e dalle istituzioni dell’UE e in gran parte dedicato agli usi militari. La Gran Bretagna ha giurato il giorno dopo il referendum sulla Brexit che avrebbe messo in atto un proprio sistema simile, dicendo: “la sicurezza dei nostri soldati non può dipendere da un sistema esterno, che non dipende da esso”. Curioso argomento del Paese che, al lancio del programma Galileo, aveva lottato con le unghie e con i denti per impedire ogni uso militare. Con il pretesto del GPS e della NATO, non aveva trovato nulla di imbarazzante nell’essere, insieme a tutti gli altri europei, dipendente da un sistema sotto il controllo esclusivo americano.

Risultato della contesa: oggi l’Europa ha un proprio sistema di navigazione satellitare globale, mentre Londra può solo sperare in una costellazione regionale attaccata al GPS. Per una volta, l’Europa non ha ceduto ai tentativi britannici di sbrogliare. Perché Londra aveva chiesto, al di là dell’accesso diretto, un posto e una voce nel corpo di “governo” e controllo di Galileo. Esattamente come chiede un accesso privilegiato al Fondo europeo per la difesa (FES) destinato ai programmi europei di armamento, dal bilancio dell’UE. Questo gli avrebbe permesso di prendere due piccioni con una fava. Perché la Gran Bretagna ha sempre fatto di tutto per rendere le istituzioni della politica di difesa dell’UE più “flessibili”, cioè permeabili agli alleati della NATO che non sono membri dell’Unione. Da ora in poi, proverà a continuare lo stesso lavoro di affondamento, ma questa volta dall’altra parte dell’uscio.

Faccia a faccia franco-tedesco

Il successo dei tentativi britannici dipende dal fatto che i restanti Stati membri vi cedano o meno. Innanzitutto la Germania, caratterizzata da un’eterna ambiguità ma che generalmente si trova (sulla questione del grande mercato transatlantico di libero scambio o sul primato dell’Alleanza atlantica) piuttosto vicina agli inglesi. Charles Grant, il direttore del Centre for European Reform con sede a Londra, ha avvertito i parlamentari di Sua Maestà all’inizio degli anni 2010: la Gran Bretagna non può permettersi di essere passiva all’interno dell’UE, perché la sua emarginazione rischierebbe di avvicinare le posizioni di Berlino su queste questioni a quelle francesi. Non è un caso che oggi, a seguito della Brexit, la meccanica interna del motore franco-tedesco sia sotto i riflettori.

Con la partenza di Londra, Parigi e Berlino hanno perso un forte alleato all’interno dell’UE, ovviamente su argomenti diversi. Per la Francia, la Gran Bretagna è stata utile nella misura in cui – a differenza della maggior parte dei paesi membri, Germania inclusa – comprendeva l’importanza cruciale di costruire capacità militari (anche se Londra lo considerava piuttosto all’interno della struttura della NATO) e che era ferocemente desiderosa di preservare il carattere intergovernativo delle politiche estere, di sicurezza e di difesa europee. Per i tedeschi, gli inglesi sono stati un prezioso freno, sempre pronti a bloccare qualsiasi iniziativa francese che mirasse ad emarginare la NATO o mettere in discussione i principi del libero scambio deregolamentato. A seguito della Brexit, questo comodo scudo scompare su entrambi i lati; Francia e Germania si trovano ora faccia a faccia.

È sempre più difficile negare che, dietro i grandi discorsi europeisti, i due cerchino di posizionarsi nel modo più vantaggioso possibile l’uno sull’altro. Parigi vorrebbe correggere la sopraffazione economica tedesca proponendo meccanismi di solidarietà finanziaria europea, sempre più collettivizzanti. Berlino, da parte sua, si sta sforzando di neutralizzare le risorse diplomatiche e militari francesi (come il seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o la superiorità nella tecnologia delle armi) spingendo, nell’UE, per una sempre maggiore integrazione in queste aree e sostenendo un passaggio delle decisioni a maggioranza qualificata. I due cercano di raccogliere intorno a loro quanti più alleati politici possibili, consapevoli delle rispettive debolezze.

La fine, ma la fine di cosa?

Chris Patten, ex commissario europeo per le relazioni esterne e rettore dell’Università di Oxford, ha prontamente ricordato un disegno della Chained Duck degli anni ’70 che mostrava un minuscolo Primo Ministro britannico, a letto, tra le braccia di una voluttuosa regina, Europa. Quest’ultimo, ovviamente seccato, gli disse: “Entra o esci, mio ​​caro Wilson. Ma smettila con questo ridicolo andirivieni ”. Con la Brexit, gli inglesi finalmente hanno obbedito e se ne sono andati, ma solo dopo più di quarant’anni. Inoltre, nel frattempo avevano in gran parte ridisegnato l’Europa striminzita. Come efficaci portatori dell’ideologia dominante degli ultimi decenni, sono riusciti a diluire il progetto al punto che, oggi, la stragrande maggioranza dei restanti Stati membri perseguirà la linea atlantista-neoliberista. O piuttosto lo avrebbero perseguito … se gli eventi non fossero stati di ostacolo.

Perché in questo periodo di cose ne stanno accadendo a livello internazionale. La pandemia del nuovo coronavirus ha inferto un colpo grave, persino fatale agli occhi di molti, a un dogma globalista-neoliberista che vacilla già da dieci anni. Chi meglio  nell’illustrarlo se non il prestigioso Financial Times di Londra, la Bibbia dei decisori europei, il cui giornale stesso nel suo editoriale dell’aprile 2020 ha sostenuto una rottura con gli orientamenti degli ultimi quattro decenni e ha chiesto un maggiore interventismo da parte dei governi, più ridistribuzione, più spesa statale a favore dei servizi pubblici. Sul fronte transatlantico, la presidenza di Donald Trump ha avuto un effetto rivelatore simile. Dietro i grandi consessi occidentali programmati a intervalli regolari, la realtà è sempre più evidente: alleanza o no, le relazioni sono principalmente determinate dai rapporti di forza tra gli Stati Uniti e l’Europa.

Ciò è generalmente vero anche per lo stato attuale delle relazioni internazionali. La riconfigurazione dei centri di gravità ha dissipato le illusioni sul trionfo universale, inevitabile, del modello liberale occidentale; ha riproposto il confronto tra grandi potenze. Ciò rivaluta, nell’Ue, “la dimensione politica” e “l’autonomia strategica”, le stesse caratteristiche che la concezione britannica avrebbe voluto scacciare una volta per tutte. È questa combinazione di sviluppi esterni (e non la Brexit) che probabilmente rimescolerà le carte in Europa. L’ex primo ministro britannico Harold Macmillan è stato intervistato da un giornalista alla fine degli anni ’50 su ciò che più influenza la politica del governo. La sua risposta: “Gli eventi, mio ​​caro ragazzo, gli eventi! “. Il dilemma dei 27 paesi dell’UE in questi giorni è se rispondere all’accelerazione degli eventi secondo il punto di vista dell’impasse britannico o preferire rilanciare il progetto dell’Europa politica. Ovviamente stanno facendo quello che sanno fare meglio: esitano.

Il testo completo, in ungherese, è disponibile sul sito Portfolio, cliccando qui .

https://hajnalka-vincze.com/list/notes_dactualite/591-le_brexit_camouflet_ou_cadeau_pour_leurope

USA news: chi il gatto e chi il topo_con Gianfranco Campa

Gli Stati Uniti somigliano ad un naviglio dalle troppe falle. Quando si è pensato di aver cancellato l’anomalia di Trump e di aver rattoppato lo scafo, una nuova falla si apre ad imbarcare altra acqua. Si chiude al centro, ma si riapre la ferita nella periferia. Intanto si cerca di risolvere alle mancanze di un sistema elettorale a dir poco creativo nello spoglio e nella certificazione dei dati istituzionalizzando le procedure discutibili ormai emerse alla luce del sole_ Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/veddbl-usa-news-chi-il-gatto-chi-il-topo-con-gianfranco-campa.html

 

 

fra  sprazzi di  strategia, nuovo Erostrato, vecchie ( e deleterie) fedeltà, di Massimo Morigi

 Governo Draghi e  lotta alla pandemia fra  sprazzi di  strategia, nuovo Erostrato, vecchie ( e deleterie) fedeltà e sottomissioni  e povertà dell’attuale sovranismo

 

Di Massimo Morigi

 

 

In data 15 marzo 2020 sul nostro blog veniva pubblicato  Emergenza Coronavirus. Un appello (https://italiaeilmondo.com/2020/03/15/emergenza-coronavirus_un-appello/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210109122918/https://italiaeilmondo.com/2020/03/15/emergenza-coronavirus_un-appello/), un manifesto programmatico rivolto alle migliori e più consapevoli forze del paese, inteso non solo ad individuare le contromisure specifiche per uscire dall’attuale emergenza pandemica ma anche a precisare quelle contromosse strategiche per eliminare gli atavici problemi strutturali del nostro paese e che la pandemia non aveva fatto altro che acuire. Così concludeva l’ Appello: «Il coronavirus stesso è diventato un veicolo ed uno strumento di confronto e conflitto geopolitico. Gli aiuti sono estemporanei, limitati al momento al contributo della sola Cina, per altro in apparenza responsabile della diffusione del virus, interessati e soprattutto del tutto inadeguati alla necessità. Occorrono una autorità decisionale, una gerarchia, un coordinamento di sforzi che possano garantire non solo l’assistenza sanitaria, la limitazione della diffusione di un virus ancora di fatto sconosciuto, l’ordine pubblico. Non basta. Devono provvedere a rappresentare realisticamente la situazione, a ricostruire un tessuto economico con promozioni, sollecitazioni, incentivi ed interventi diretti a ricostruire le filiere produttive necessarie a garantire nel miglior modo possibile le forniture di sussistenza e i materiali sanitari minimi necessari ad affrontare l’emergenza. La nazione è ancora ricca delle capacità e competenze professionali ed imprenditoriali necessarie; sono da motivare, incentivare e coordinare. Il Governo e buona parte dei vertici istituzionali purtroppo stanno rivelando, pur in una condizione di straordinaria emergenza, la loro inadeguatezza e la loro scarsa autonomia decisionale, la loro permeabilità alle pressioni esterne. Una incertezza deleteria solo in parte comprensibile in una condizione di emergenza inusuale. Una condizione suscettibile di sviluppi e tentazioni inquietanti e dirompenti se non corretta da una attribuzione chiara di responsabilità ed obbiettivi ad organismi direttamente preposti alla gestione della crisi e sotto la diretta responsabilità politica della massima autorità dello Stato. Ai giuristi il compito di definire l’ambito di intervento compatibile e alla massima istituzione di porre in atto le decisioni e le strutture organizzative.». Ora le prime mosse del governo Draghi che è subentrato  al governo degli scappati di casa nel combattere la pandemia sembrano prendere la direzione indicata un anno fa dal nostro appello. Vediamo succintamente di articolare il giudizio che allo stato non può che rimanere sospeso e che disegna uno scenario illuminato da sprazzi di strategia ma ottenebrato dalle ombre  di vecchie e deleterie fedeltà e sudditanze. Ovviamente ottimo che si voglia far intraprendere alla campagna vaccinale un radicale cambio di passo irrorando col più micidiale diserbante le ridicole e truffaldine primule e  affidando il compito a chi professionalmente è formato a gestire le emergenze (protezione civile ed esercito), e ancor meglio che  si abbia avuto il coraggio di licenziare anche brutalmente chi, nelle migliori delle ipotesi, si è dimostrato incapace, pasticcione ed arrogante (non si fa il nome non tanto per paura di querele ma perché il magliaro in questione, fosse solo per la sua incredibile pasticcioneria e supponenza,  meriterebbe la pena di Erostrato, che noi, in mancanza di meglio, siamo i primi ad irrogare). Bene anche che, contro il parere dei vari virologi da pollaio e/o da salotto televiso, si sia presa la decisione di guerra di “sparare” nell’immediato, un immediato che ha tutte le terribili potenzialità di un annichilimento totale delle residue capacità economico-sociali della nazione, tutti i vaccini Pfizer disponibili per riservarsi poi solo in un secondo tempo ancora da definire ma, vista la scarsità delle scorte di questo vaccino, non i tempi indicati nel protocollo di somministrazione, la seconda dose. Insomma, la guerra si fa con i soldati che si hanno a disposizione e che devono essere tutti impiegati in una mobilitazione totale nella presente situazione di incombente disastro e non con quelli sognati nei propri deliri di onnipotenza (o di supponenza o di vera e propria cialtrona e predatoria malafede) e l’irrorazione col diserbante agente arancio dei virtuali campi di primule non è altro che, come si sta vedendo, l’inizio di una vera e propria campagna militare che mobilita tutte le forze dello Stato e della società contro l’agente patogeno. Bene anche che si minacci le case farmaceutiche di produrre in proprio i vaccini, anche se queste minacce di per sé non rimediano nell’immediato alla carenza di vaccini (nell’immediato, perché in una tempistica appena un po’ più dilatata è evidente che la faccenda potrà essere risolta solo con una produzione vaccinale nazionale dei vaccini  e quindi in questa dimensione temporale la minaccia è tutt’altro che insensata) ma male che non si affermi espressamente che in questo caso, come per altro in tutti i casi dove è implicata la sicurezza nazionale, i diritti sui brevetti devono valere meno di niente  (lo ha detto  invece la Chiesa cattolica, vedi Avvenire all’URL https://www.avvenire.it/mondo/pagine/vaccini-e-brevetti, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210227080751/https://www.avvenire.it/mondo/pagine/vaccini-e-brevetti, qualche volta la Chiesa cattolica, anche perché negli ultimi anni vilmente attaccata dalle massime organizzazioni internazionali che la vorrebbero annullare politicamente e spiritualmente in nome di un degradato dirittoumanismo e criminale e geneticamente modificato multiculturalismo da laboratorio, sembra trovare, anche se solo reattivamente e rapsodicamente,  il vecchio smalto temporalista…). Ma, infine, male, anzi malissimo, che non si voglia ricorrere a vaccini, come il russo Sputnik in primo luogo ed anche il Sinovac cinese, che possano anche dare solo l’impressione che l’Italia abbia anche seppur timidamente  intrapreso una nuova politica estera informata alla consapevolezza che la realtà  dello scenario internazionale è improntata ad un sempre maggiore (e conflittuale) multipolarismo e che quindi le vecchie appartenenze  ed alleanze se interpretate meccanicamente e non tenendo presente la nuova dinamica multipolare sono la sicura ricetta verso il disastro. E se da questo punto di vista, il nuovo governo non dà proprio alcuna rassicurazione (meglio non irritare il buon zio Biden …), basti vedere non solo il discorso alla Camera del nuovo presidente del Consiglio di una così stretta ortodossia europeista e filoatlantica da denotare una sorta di vera e propria volontaria rimozione dal suo orizzonte di senso degli scenari post ’89 ma anche tutto il suo curriculum che proprio su questa rimozione è stato con successo costruito, danno ancor meno fiducia le c.d. forze sovraniste italiane, le quali quelle rappresentate in Parlamento o hanno de facto abbonato i vecchi scenografici furori o non riescono, pur mantenendoli, di animarli con contenuti adeguati mentre quelle non rappresentate in Parlamento, pur non avendo formalmente retoricamente abbandonato la loro causa, in quanto a mancanza di concrete linee operative alla luce del nuovo governo e della rinnovata lotta antipandemica non hanno ugualmente saputo elaborare una adeguata strategia di risposta  e a livello politico e a livello tecnico-operativo sul fronte delle realistiche e militarmente conformate proposte per combattere il virus. Insomma si è sentita da parte di costoro, dentro o fuori dal Palazzo, esalare la pur minima idea in merito alla necessità di sospendere l’efficacia dei brevetti e/o della dotazione e/o formazione di un nuovo complesso  politico-militare-industrale autonomo e veramente sovranista, ci si passi il termine tutt’altro in sé spregevole ma molto meno apprezzabile nella versione dei suoi aedi,  per combattere non solo la presente pandemia e anche le future, ma anche tutte le terribili sfide che ci presenta il presente mondo multipolare, un mondo dove le vecchie appartenenze e soggezioni rischiano di essere letali per il nostro paese? Il nuovo governo ci dischiude, quindi, inediti e dinamici scenari, caratterizzati dall’inizio di nuovi ed efficaci approcci strategici che convivono con la riconferma, rese semmai ancora più dure e tetragone visto il curriculum e le alte capacità del nuovo presidente del Consiglio, delle vecchie fedeltà e sottomissioni. Un quadro altamente contraddittorio dove, purtroppo, il morente e già vecchio sovranismo italiano non ha più assolutamente nulla da dire. E se per ora la tesi e l’antitesi sembrano politicamente  affidate solo all’abile e capace  (ma anche pericolosissimo, in ultima istanza) nuovo venuto alla politique politicienne (ovviamente non alla politica intesa nel senso del vero e reale esercizio del potere, a meno che non si sia tanto babbei da ritenere che un protagonista per tanti anni delle maggiori istituzioni finanziarie italiane ed internazionali possa essere definito con la ridicola parola di tecnico), per l’antitesi dobbiamo ritornare al nostro Emergenza Coronavirus. Un appello  di cui si è detto  all’inizio. Forse non è molto, forse dal punto di vista di una coerente filosofia della prassi, ai bei concetti e alle giuste parole manca la carne  viva di quelle che un tempo si sarebbero dette le masse. Ma vogliamo solo ricordare che nella politica le cose vanno un po’ come in biologia. In entrambi i casi si tratta di dialettiche dai tempi molto lunghi e similmente alla dialettica pandemica (che fra l’altro una ingenua mentalità vorrebbe  ora risolta in pochi mesi dagli iniziali giusti provvedimenti del governo mentre si tratterà di una vicenda di ben più lunga pezza e ci auguriamo di tutto  cuore che il nuovo presidente del Consiglio sia perfettamente consapevole di questa elementare verità, anzi ne siamo sicuri: anche  da qui l’efficacia ed anche la pericolosità del nuovo capace inquilino di Palazzo Chigi) anche quella politica, ora rinnovata e resa ancor più tumultuosa e contraddittoria dalla prima, dispiegherà le sue evoluzioni su tempi molto lunghi e del tutto imprevedibili nei loro drammatici frutti. E noi in tutte queste future evoluzioni contiamo di esserci e non solo da spettatori e proprio per questo rinnoviamo con ancor maggior forza e determinazione  l’appello già fatto un anno or sono.

Tutte le alleanze dell’Egitto contro la Turchia su gas e difesa, di Giuseppe Gagliano

Sino ad ora l’Egitto è stato un gigante dipendente sostanzialmente dalle forniture di grano americano e dai finanziamenti sauditi. Con lo sfruttamento dei propri giacimenti gasiferi molte cose potranno cambiare in quella regione. Il ruolo dell’Italia potrebbe essere determinante, ma non riesce a liberarsi dalle manipolazioni ben architettate, ma tutto sommato avulse, del tipo “caso Regeni” sufficienti a metterla in difficoltà._Giuseppe Germinario

Come si muove, con chi e contro chi l’Egitto su gas e difesa. L’analisi di Giuseppe Gagliano

 

Dal colpo di stato del luglio 2013 e soprattutto dopo la sua elezione alla presidenza nel maggio 2014, una delle priorità di Abdel Fattah al-Sisi è stata riportare l’Egitto al suo posto sulla scena regionale, ma soprattutto ricostruire l’economia dopo la gestione disastrosa di Mohamed Morsi e dei Fratelli Musulmani, al potere dal 2012 al 2013. Infatti dal 2013 Sisi ha intrapreso una serie di riforme strutturali importanti e di vasta portata in campo socioeconomico.

Ebbene, nonostante queste misure di austerità siano accolte molto male dalla popolazione e nonostante la performance economica dell’Egitto sia elogiata da istituzioni internazionali come il Fondo monetario internazionale (Fmi), resta il fatto che l’Egitto deve ancora affrontare la povertà endemica. Proprio per questa ragione le scoperte egiziane dei giacimenti di gas costituiscono una svolta fondamentale nell’economia egiziana.

Anche se il paese ha la sesta più grande riserva di petrolio in Africa ed è al ventesimo posto per le riserve di gas naturale al mondo nell’agosto 2015, Il Cairo fa la sua più importante scoperta in un contesto energetico delicato per il Paese.

Infatti, gli egiziani hanno lottato per diversi anni per soddisfare la loro domanda locale nonostante le riserve molto grandi (2.200 miliardi di metri cubi a gennaio 2015). I motivi sono stati i consumi elevati (il gas rappresenta il 53% del consumo di energia primaria) e una politica di esportazione troppo ambiziosa verso i paesi vicini.

Scoperto dalla compagnia petrolifera italiana Eni, il mega giacimento di gas in acque profonde di Zohr — con 850 miliardi di metri cubi di gas recuperabile — è il più grande giacimento del Mediterraneo orientale. Si trova in mare, a circa 170 km dalla costa egiziana. L’estensione dei giacimenti di gas è tale che la sua area è di 100 km².

Eni lo gestisce e possiede la maggioranza delle azioni (60%). Ha venduto il resto a Rosneft (30%), una società russa, e BP (10%). Gli interessi dell’azienda Eni sono numerosi in Egitto. Dal 2010 sono stati firmati diversi accordi tra Eni e la statale Egpc (Egyptian General Petroleum Corporation) riguardanti progetti nel Golfo di Suez, nel deserto, nel delta del Nilo e nell’offshore del Mediterraneo, in cambio del coinvolgimento del gruppo Egpc nei suoi permessi in Iraq e Gabon.

Il 31 gennaio 2018, il presidente al-Sisi ha inaugurato il giacimento di gas di Zohr. Tuttavia, la produzione è iniziata a un ritmo più lento — 350 milioni di piedi cubi — ben al di sotto degli importi annunciati nel 2015, producendo un miliardo di piedi cubi al giorno.

Nella primavera del 2019, la società Eni ha annunciato la scoperta di un nuovo giacimento di gas naturale al largo del Paese, nel pozzo Noor-1 nell’area esplorativa di Noor. Fonti vicine all’azienda ritengono che il potenziale coinvolto possa essere paragonato allo Zohr.

Queste scoperte sono ovviamente un vantaggio per l’Egitto poiché il Cairo sarà in grado di produrre più gas per soddisfare la sua domanda locale ed esportare di più, il che genererà ulteriori profitti, mentre nel 2015 il governo egiziano si era rassegnato a importare gas naturale da Russia, Algeria e Israele per far fronte alle carenze di produzione.

Oggi, in attesa del pieno sfruttamento dei propri giacimenti di gas, l’Egitto sta rivedendo questi accordi come quello fatto con Gerusalemme. Quindi, più o meno a lungo termine, israeliani ed egiziani dovrebbero porre in essere importanti modifiche sull’esportazione di gas naturale firmato il 19 febbraio 2018.

Al livello di politica interna il presidente egiziano sta naturalmente sfruttando a suo vantaggio queste rilevantissime scoperte allo scopo di consolidare il suo potere politico e la sua leadership.

Negli anni 2000, il presidente Hosni Mubarak ha sperperato i proventi di un precedente boom del gas in sussidi, mentre assegnava contratti lucrativi ad amici e parenti. Un errore che l’attuale presidente non sembra voler ripetere.

Affinché questo nuovo afflusso di “oro blu” avvantaggi direttamente il maggior numero di persone, il governo vuole sfruttare questa opportunità per rifornire le casse, soddisfare pienamente la domanda interna, sviluppare un’industria locale, ma anche garantire una transizione energetica in flessibilità. In particolare, fornisce un incentivo finanziario per gli automobilisti ad abbandonare la benzina e il diesel a favore del gas.

L’Egitto sta attualmente registrando un aumento del 110% delle sue riserve di gas e si sta posizionando come hub commerciale del gas per la regione del Mediterraneo. Inoltre, oltre all’italiana Eni, già molto attiva, questa notizia sta attirando nel Paese anche altre grandi compagnie petrolifere internazionali come Shell, BP, Petronas, Total o compagnie russe come Gazprom e soprattutto Rosneft.

Da quando è salito al potere nel luglio 2013, con la ripresa economica del suo Paese, l’altra priorità di al-Sisi è stata quella di riportare l’Egitto al suo posto sulla scena regionale.

Così, il rais egiziano è riuscito a preservare la sua partnership con gli americani. Ha anche preso parte, almeno sulla carta, alla coalizione che sta conducendo la guerra in Yemen e guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (che sono i principali finanziatori del Cairo).

I rapporti con gli israeliani, in particolare nel Sinai, sono senza precedenti. Inoltre, ha concluso importanti e storici accordi militari e commerciali con i russi, si è avvicinato alla Cina ed è anche in trattative con Damasco e Teheran.

Tutto ciò sta significare che il presidente al-Sisi sembra aver permesso al suo Paese di riprendere il suo ruolo di attore centrale nel panorama regionale.

Inoltre, anche se il suo ruolo è poco noto ai profani ed è eclissato dalla forte visibilità internazionale di Mohammed Ben Salman e Mohammed Ben Zayed, si deve riconoscere che al-Sisi è molto coinvolto in tutte le questioni delicate della regione come il conflitto israelo-palestinese, il conflitto libico e anche nei negoziati in Siria.

Nella feroce lotta per la leadership politica nel mondo sunnita che è attualmente condotta dal blocco Turchia/Qatar e dall’asse composto da Egitto, Arabia Saudita, Stati Uniti Emirati Arabi (Eau), uniti da Israele (accordi di Abraham tra Israele, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Sudan) e discretamente sostenuti dalla Russia, non si può trascurare il ruolo politico del presidente egiziano. Al-Sisi ha infatti avviato una repressione senza precedenti contro i Fratelli Musulmani, di cui l’Egitto era la base storica della confraternita.

Da questa prospettiva, l’Egitto si trova in prima linea di fronte alle aggressive politiche neo-ottomane e panislamiste di Erdogan a Gaza (Hamas), in Libia (che sostiene il governo a Tripoli mentre il Cairo sostiene il maresciallo Haftar) e anche nel Mediterraneo orientale. Questo è il motivo per cui negli ultimi mesi c’è stato il sostegno del Cairo alla Grecia, a Cipro e persino alla Francia di fronte alla politica di proiezione di potenza turca.

Infatti la Turchia intende pienamente ottenere la sua parte della torta e cerca di competere con l’Egitto nella sua posizione di leader energetico nell’area. Da quel momento in poi, un riavvicinamento politico-energetico tra Egitto, Grecia e Cipro divenne inevitabile.

Già nel 2014 Atene e Il Cairo hanno firmato un memorandum di cooperazione in difesa, volto a rafforzare i loro legami militari e fornire addestramento ed esercitazioni militari congiunti. Quindi, nell’agosto 2020, la Grecia ha ratificato un accordo con l’Egitto sulla condivisione delle aree marittime, in risposta all’accordo turco-libico firmato a fine 2019 che consente alla Turchia di accedere a una vasta area marittima nel Mediterraneo orientale.

La cooperazione militare trilaterale tra Grecia, Israele e Cipro, avviata nel novembre 2017, si è intensificata negli ultimi mesi. Allo stesso modo, nel novembre 2020, lo sceicco Mohammed Bin Zayed, principe ereditario di Abu Dhabi e vice comandante supremo delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti, ha ricevuto Kyriákos Mitsotákis, il primo ministro della Grecia, per discutere le relazioni tra gli Emirati e la Grecia e i mezzi per rafforzare i legami reciproci e lo sviluppo degli interessi comuni delle due nazioni come investimenti, commercio, politica, cultura e soprattutto difesa. Questo autentico accordo di difesa è inequivocabilmente orientato a contenere l’espansionismo turco nel Mediterraneo orientale e nel Medio Oriente.

Nel settembre 2020, il Cairo e Atene hanno finalmente firmato un trattato ufficiale che rende il Forum del gas del Mediterraneo orientale un’organizzazione internazionale con sede nella capitale egiziana. Oltre all’Egitto e alla Grecia, il Forum conta altri cinque membri fondatori: Italia, Cipro, Giordania, Israele e Palestina. L’obiettivo è quello di creare un mercato regionale del gas che serva gli interessi dei paesi membri. In concreto, si tratta di modernizzare le infrastrutture, coordinare le normative sui gasdotti e sul commercio, puntando a migliorare la competitività dei prezzi e, soprattutto, a salvaguardare i loro diritti sul gas naturale.

Per quanto concerne i rapporti con Israele occorre in primo luogo sottolineare che le prime scoperte israeliane di gas offshore sono iniziate nel gennaio 2009 con il giacimento Tamar (260 miliardi di metri cubi). Da allora, gli annunci si sono moltiplicati: Dalit, Leviathan (650 miliardi), Dolphine (2,3 miliardi), Sara e Mira (180 miliardi), Tanin (31 miliardi), Karish (51 miliardi), Royee (91 miliardi) o ancora Shimshon ( 15 miliardi). Oggi, le riserve totali di Israele, provate o potenziali, sono stimate in circa 1.5 trilioni di metri cubi di gas naturale.

Nel dicembre 2019, guidata da un consorzio israelo-americano, è iniziata la produzione del mega-deposito Leviathan dopo anni di lavoro e miliardi di investimenti. Questo progetto dovrebbe essere in grado di soddisfare le esigenze israeliane, ottenere l’indipendenza energetica per lo stato ebraico e consentire a quest’ultimo di esportare gas naturale verso i suoi vicini, o addirittura di posizionarsi come il principale paese esportatore di gas verso il Medio Oriente e l’ Europa, in particolare grazie al progetto del gasdotto del Mediterraneo orientale attraverso Cipro e la Grecia.

Ebbene proprio di fronte alla minaccia turca e alla normalizzazione dei rapporti tra gli Stati del Golfo (alleati dell’Egitto) e lo Stato ebraico, è evidente che allo stato attuale sia legittimo che Israele hanno bisogno di una forte partnership soprattutto in termini diplomatici e di sicurezza. Gli interessi geopolitici comuni potrebbero avere la precedenza sulla possibile concorrenza commerciale.

In definitiva il presidente al-Sisi aspira a stabilire una vera “diplomazia del gas” e ciò consentirebbe quindi all’Egitto di rafforzare la sua influenza, sia economica che strategica nel Mediterraneo orientale. Anche per questa ragione l’Egitto rimane un partner fondamentale per l’Italia.

http://Tutte le alleanze dell’Egitto contro la Turchia su gas e difesa di Giuseppe Gagliano

Conosci il tuo nemico, di George Friedman

Conosci il tuo nemico

Pensieri dentro e intorno alla geopolitica.

Di: George Friedman

La cosa più importante nel poker è sapere contro chi stai giocando. Devi conoscere la sua

debolezza – non tutte, intendiamoci, ma una debitamente fatale. Perché il poker è un gioco

complesso, richiede una vastità di talenti umani che devi presumere che i punti di forza del

tuo avversario siano molti. Con una debolezza puoi possedere il tuo avversario, e forse la notte.

Lo stesso vale per il gioco delle nazioni. C’è una tendenza tra le persone e le nazioni ad essere

genuinamente consapevoli delle proprie mancanze e ad ignorare le debolezze altrui.

Gli Stati Uniti vivono un momento particolarmente difficile per arrivare a una valutazione

globale delle altre nazioni, in particolare delle loro debolezze. Ciò è in parte dovuto all’enorme

numero di nazioni con le quali una grande potenza deve confrontarsi, in parte perché i suoi

cittadini tendono ad essere ipercritici nei confronti della propria nazione e quindi sovrastimano

le altre nazioni. Altrettanto spesso scambiano i punti di forza per punti deboli o viceversa.

Prima della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno sottovalutato ampiamente il

Giappone su tutto; dalla sua capacità di produrre aerei da combattimento di qualità superiore

alla sua incapacità di pensare attraverso un’astuta mossa d’apertura. Gli Stati Uniti

disconoscevano anche le loro debolezze; l’esercito e la marina erano tra loro nemici mortali.

In molti modi, non rispondevano a nessuno. Washington pensava che le forze navali giapponesi

avrebbero collaborato con il loro esercito, pianificando operazioni congiunte, condividendo

strutture e così via. Di conseguenza, le opportunità sono andate perdute.

Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti consideravano l’Unione Sovietica come un’immagine

speculare di se stessi. Contava i carri armati di Mosca ed era sbalordito dal loro numero, senza

rendersi conto che in molti casi erano in rovina o che avrebbero avuto grossi problemi a

mantenere l’erogazione del carburante durante l’offensiva. Gli Stati Uniti giunsero alla

conclusione che i sovietici avrebbero invaso la NATO in breve tempo, e quindi fecero piani

per l’uso di armi nucleari tattiche. I politici statunitensi non si sono mai preoccupati di

chiedersi: se i sovietici ci hanno inchiodati, perché non agiscono? Questa eccellente domanda

è stata discussa raramente. Il potere sovietico era un dato di fatto, tranne per il fatto che i

sovietici non attaccavano perché non potevano. In altre parole, gli Stati Uniti si preoccupavano

dei punti di forza dell’Unione Sovietica piuttosto che delle sue debolezze.

Quando gli Stati Uniti invasero l’Iraq, pensavano che la missione principale fosse la distruzione

dell’esercito di Saddam Hussein e che una volta ottenuto ciò avrebbero potuto imporre loro la

propria volontà. Non capiva che il regime si basava su una società armata, violenta e capace.

Né capiva il ruolo che avrebbero giocato gli sciiti. In questo caso, gli Stati Uniti hanno perso la

forza dietro l’apparente debolezza dell’Iraq. Il risultato fu una guerra prolungata che gli Stati

Uniti hanno perso non vincendola.

Da allora la Cina è diventata il principale avversario di Washington. Come con i sovietici, gli

Stati Uniti contano il materiale militare come se solo questo ci dicesse del potere della Cina.

La marina cinese non ha combattuto una battaglia tra flotte dal 1895, quando il Giappone le

ha schiacciate. In un confronto con gli Stati Uniti, né l’aviazione cinese né la marina hanno

abbastanza esperienza in battaglia. Né hanno la memoria istituzionale della guerra per

sostenerli. Tutte le esercitazioni e l’equipaggiamento più brillante del mondo non preparano

alla guerra ammiragli o sottufficiali inesperti.

Con il Giappone, gli Stati Uniti non sono riusciti a riconoscere quel profondo difetto nelle forze

armate. Nella Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno sopravvalutato il loro nemico. In Iraq, gli

Stati Uniti non sono riusciti a capire la struttura della resistenza che avrebbero incontrato.

E ora con la Cina, non riescono a riconoscere un nemico ben addestrato ma inesperto.

Nel poker, non capire le debolezze degli altri giocatori o, peggio, non vederne nessuna, è un

errore costoso. Ma sono solo soldi. Il fallimento degli Stati Uniti nel capire l’Iraq gli è costato

molto sangue e risorse. Non vedendo la principale debolezza militare della Cina, gli Stati Uniti

agiscono con una timidezza che non è del tutto giustificata e perdono l’opportunità di

ristrutturare forse pacificamente le loro relazioni con la Cina.

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Taiwan: la piattaforma dei semiconduttori, di Gavekal

Il controllo della tecnologia dei semiconduttori è uno degli oggetti principali della contesa geopolitica e geoeconomica, in particolare tra gli Stati Uniti e la Cina. Il contrasto tocca sia l’ambito militare che quello civile, anche se con l’andar del tempo, è sempre più problematico distinguere i due aspetti. Non ostante i proclami distensivi, su questo aspetto l’amministrazione Biden non sembra distinguersi particolarmente dal quella precedente di Trump. Non sarà il solo. Taiwan continuerà ad essere uno dei punti più caldi del pianeta. Il solito grande assente:l’Europa_Giuseppe Germinario

In Europa e negli Stati Uniti, le fabbriche di automobili vengono chiuse e i lavoratori licenziati, non a causa del Covid-19, ma a causa della carenza di microchip provenienti dall’Asia. Questa tempesta si concentra su Taiwan, che per decenni è stata un fornitore a contratto non riconosciuto di elettronica e prodotti chimici. Per coloro che non lo avessero notato, le sue aziende ora dominano la produzione globale di chip di fascia alta e le attuali dinamiche del settore significano che questa presa si intensificherà.

Articolo di Vincent Tsui, economista e analista finanziario.

Articolo originale pubblicato su Gavekal . Traduzione di conflitti.

 

Non c’è nulla di spiacevole in questa carenza poiché si è manifestata in piena vista. All’inizio della pandemia, le case automobilistiche hanno annullato gli ordini di chip, spingendo i produttori asiatici a riorganizzare le loro linee di produzione per realizzare microprocessori per dispositivi di rete 5G e smartphone. Inoltre, l’esplosione della domanda di gadget di tutti i tipi da parte dei consumatori occidentali bloccati ha reso difficile per i produttori di chip soddisfare gli ordini che le case automobilistiche hanno ripresentato nel corso dell’anno. Le sanzioni statunitensi contro il più grande produttore di chip cinese hanno anche limitato la fornitura di chip disponibili a livello globale.

 

Alla fine, questi colli di bottiglia verranno eliminati nei prossimi mesi e la produzione di auto dovrebbe riprendere subito dopo. Tuttavia, l’entità dell’interruzione mostra la vulnerabilità dei produttori avanzati a qualsiasi interruzione in una catena di fornitura di semiconduttori ora dominata da pochi attori giganti. Oltre ai fattori sopra menzionati, sono in gioco anche due fattori strutturali:

  1. Il costo della “migrazione dei nodi di processo” che riduce il divario tra i transistor per ottenere una maggiore densità logica è in costante aumento. Le nuove generazioni di chip richiedono enormi investimenti di capitale e la produzione di chip è un’attività a basso margine di profitto che richiede ai produttori un tasso di utilizzo molto alto. Attori di spicco come Taiwan Semiconductor Manufacturing Companyapprofittare delle economie di scala e investire somme considerevoli in ricerca e sviluppo per stare al passo. Le barriere all’ingresso sono dell’ordine della fortezza e il mercato è quindi pienamente consolidato. TSMC detiene più della metà del mercato globale delle fonderie di semiconduttori e, insieme alla società sudcoreana Samsung Electronics e alla società taiwanese UMC, i primi tre attori detengono una quota di mercato del 78%.

 

  1. Il processo di progettazione e produzione del chip viene diviso in due. Storicamente, aziende come Intel e Texas Instruments hanno gestito l’intera gamma di progettazione, produzione, assemblaggio e test di chip. Tuttavia, questi produttori integrati hanno gradualmente perso quote di mercato a favore di società di semiconduttori “prive di fabbrica” ​​che progettano microprocessori e affidano la loro produzione a produttori di “fonderia” come TSMC. I giocatori integrati non sono stati in grado di migliorare costantemente le fabbriche per essere alla pari con le grandi fonderie, e quindi si sono sforzati di produrre i chip più avanzati.

Padronanza tecnica della produzione di chip elettronici

 

Uno dei fattori chiave che ha incoraggiato un modello di sviluppo “separato” senza fabbrica è stata la difficoltà di Intel nel padroneggiare la tecnologia avanzata dei nodi a 7 nm. Sono passati quattro anni da Samsung e TSMC e, in una crisi umiliante, sta esternalizzando parte della sua produzione di chip alle fonderie asiatiche. Ciò ha costretto Intel ad abbandonare un modello integrato interno che aveva sostenuto per decenni e ha dato ancora più potere di mercato alle aziende taiwanesi e coreane.

 

Un’altra minaccia per i produttori integrati proviene da società di software e cloud computing come Microsoft, Amazon, Facebook e Google che stanno iniziando a progettare i propri microprocessori che saranno prodotti dalle fonderie asiatiche. I colossi americani del software lo fanno per ottimizzare le prestazioni dei loro sistemi eliminando le ridondanze insite nei chip generici. Queste società di software sono state alleate chiave per aziende come Intel per decenni (ricordate il duopolio Wintel!) E la rottura sta sconvolgendo il modello di produttore integrato.

 

Leggi anche:  5G: geopolitica di una grande tecnologia

 

Queste tendenze hanno accelerato la fine del modello integrato di progettazione e produzione di chip da parte delle aziende “fai tutto”. Di conseguenza, la produzione di chip è destinata a diventare ancora più concentrata in Asia, il che avrà un impatto positivo sulla competitività e sulle prospettive di crescita della regione. Solo TSMC e Samsung Electronicspuò fabbricare semiconduttori avanzati con spaziatura inferiore a 10mn. Ma anche all’interno di questo duopolio, TSMC domina nonostante il fatto che il suo rivale coreano abbia speso ingenti somme cercando di raggiungerlo entro il 2022. Taiwan oggi guadagna circa il 75% del totale delle entrate globali della fonderia ed è il più grande vincitore nella tendenza dell’outsourcing. Nel quarto trimestre del 2020, Taiwan ha registrato la sua più forte crescita economica in un decennio e la situazione dovrebbe rimanere positiva.

 

Il dominio di Taiwan

 

Eppure, nonostante questo predominio taiwanese, i paesi con fonderie di medie dimensioni possono anche trarre vantaggio dall’acquisizione di ordini per chip meno avanzati, come quelli che le case automobilistiche cercano oggi. Inoltre, l’attuale carenza di chip spingerà gli acquirenti industriali a diversificare le loro reti di fornitori al di fuori di Taiwan. Si prevede quindi che le fonderie di secondo livello in Corea del Sud e Cina riceveranno ordini, sebbene le società cinesi rischiano sanzioni statunitensi se producono chip utilizzando modelli o apparecchiature statunitensi. La Corea dovrebbe quindi essere un grande vincitore secondario nel passaggio alla produzione senza fabbrica, che ha il vantaggio di ridurre la sua dipendenza dall’industria dei chip di memoria a basso margine e altamente ciclica.

 

Poiché i produttori integrati perdono terreno in questo cambio di settore, anche i paesi che ospitano i loro impianti possono soffrirne. Le fabbriche di produttori integrati a Singapore, Malesia e Filippine sono minacciate, mentre quelle negli Stati Uniti e in Cina dovrebbero essere mantenute, poiché i loro grandi mercati interni garantiranno la sostenibilità dell’ecosistema. A livello macroeconomico, questa riorganizzazione dell’industria dei semiconduttori rafforzerà la performance divergente delle esportazioni del Nord e del Sud-est asiatico, poiché esiste un forte legame tra il commercio e il ciclo degli investimenti.

 

La dimensione geopolitica

 

L’emergere di Taiwan come vincitore di un’industria dei semiconduttori riorganizzata sta concentrando l’attenzione dei responsabili politici di tutto il mondo sulle loro vulnerabilità se le relazioni attraverso lo Stretto dovessero deteriorarsi. Louis ha sostenuto che il dominio di Taiwan in quest’area potrebbe renderla geopoliticamente cruciale come lo era l’Arabia Saudita durante l’era del petrolio (vedi The New Geostrategic Pressure Point). Un assaggio potrebbe essere stato dato dalla cassaforma della produzione automobilistica. Tuttavia, la vera preoccupazione sarebbe una situazione di stallo tra Taiwan, Cina e Stati Uniti che interrompe la produzione di chip, il che potrebbe portare a una negazione permanente dell’offerta.

Da leggere anche:  Geopolitica del Fantastico: Corea del Sud

Una tale interruzione delle relazioni potrebbe verificarsi se il governo di Taiwan cominciasse a considerare il suo primato nella catena di approvvigionamento elettronica come una merce di scambio quando verifica le linee rosse della sovranità. Tuttavia, la stessa criticità dell’industria dei chip di Taiwan significa più probabilmente che tutte le parti interessate nelle relazioni attraverso lo Stretto hanno interesse a promuovere la stabilità. In questo caso, Taiwan potrebbe continuare a capitalizzare la sua posizione dominante nel campo dei semiconduttori, ma vedere questo flusso di cassa scontato con un premio di rischio inferiore (vedi Il punto luminoso post-elettorale per Taiwan). Ciò fa ben sperare per le prospettive di crescita del Paese e per la performance delle sue attività di rischio.

https://www.revueconflits.com/taiwan-covid-19-puces-gavekal-vincent-tsui/

LA CARNASCIALATA E L’IMPEACHMENT DI TRUMP, di Teodoro Klitsche de la Grange

LA CARNASCIALATA E L’IMPEACHMENT DI TRUMP

Le vicende successive all’irruzione a Capitol Hill ci hanno indotto a tornare ad intervistare Machiavelli, sempre così premuroso e disponibile.

Ecco cosa ci ha detto.

Cosa pensa dell’irruzione dei sostenitori di Trump al Congresso?

Che è stata una gran carnascialata. Ai tempi miei per fare un golpe s’usavano pugnale e veleno. Nel secolo scorso fucili e carri armati. A parlare, come fa la vostra stampa, di colpo di stato, Cile e così via si entra nella comicità. Ma tant’è: vi vogliono prendere tutti per grulli.

Ma è stato violato il tempio della democrazia… Ai tempi nostri si ammazzava in quello di Dominenostro, dove i Pazzi assalirono i Medici in una delle più belle chiese del mondo, e spensero Iuliano. A pugnalate e non in costume e con le corna.

Ma è stato violato qualcosa di sacro…

Voi il senso del sacro lo celate così bene che l’avete perso. A forza di negarlo non sapete più dove sta. Il che non vuol dire che non ci sia. Solo che lo tirano fuori solo quando serve ad abbindolare il popolo. Utile a legittimare il potere nell’occasione opportuna, e dimenticato in tutte le altre. Guardate come rispettano, a casa vostra, la volontà del popolo: negli ultimi dieci anni avete cambiato sette governi, uno solo dei quali poteva vantare di avere la maggioranza dei suffragi popolari espressi nelle elezioni. Spesso i capi del governo non erano stati eletti neppure in un’assemblea di condominio, e poco o punto conosciuti al popolo. Anche perché, visti i risultati, a conoscerli li avrebbe accuratamente evitati.

A cosa è dovuta, secondo Lei, quest’abitudine a prendere per grandi e decisivi eventi di scarsa rilevanza. E così a promuoverli da carnascialate a eventi storici?

Gli è che voi non volete vivere nella storia né studiarla, ma ne avete una nostalgia nascosta, che spesso vi sollecita non la ragione, ma la fantasia. Così credete di vivere eventi epocali, mentre invece state assistendo, appunto, a carnascialate. D’altra parte vivete rischiando poco, assai meglio che in qualsiasi altra epoca, ma vi annoiate parecchio. Compensate così la piattezza del reale con l’eccitazione del fantastico. Noi avevamo a che fare con le picche svizzere e le spade spagnole, e dovevamo stare ben attenti a guardarci da entrambe. Voi spade e picche le dovete creare e così vi limitate ai giochi da computer.

E che ne pensa del processo a Trump per, come dice lei, la carnascialata?

Che tutti sapevano come sarebbe andata, mancando al Senato i numeri per la condanna ed essendo evidente che la carnascialata non era nulla di preoccupante, oggi.

Ma è un sintomo per il futuro. Scriveva Lenin che non si combattono le battaglie che si sanno perse in partenza. Ed è vero come regola, ma talvolta posso esserci delle eccezioni.

Solo che le cause profonde della carnascialata non si eliminano con i processi: né quelli che si vincono e ancor più se si sanno persi.

Lei ha scritto che i processi politici sono utili alla Repubblica.

Purché si concludano con una giusta valutazione dei fatti per cui si accusa “le accuse giovano alle repubbliche quanto le calunnie nuocono”.

Il buon senso ha fatto sì, che, seguendo gli ordini, sia stato conseguito il risultato meno dannoso. Hanno dato sfogo agli omori senza attizzarne altri, contrapposti.

Allora meritano la sua approvazione?

Per ora si. Per il futuro, vedremo.

Teodoro Klitsche de la Grange

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