Vincitori e vinti nella guerra in Ucraina, di Gianandrea Gaiani

Vincitori e vinti nella guerra in Ucraina

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In attesa di sviluppi militari e diplomatici che definiscano il possibile esito del conflitto tra russi e ucraini, è forse possibile evidenziare chi siano già oggi gli sconfitti e i vincitori nella guerra iniziata in Ucraina nel 2014 ma allargatasi a uno scontro convenzionale su vasta scala a partire dal 24 febbraio 2022.

Il tema verrà sviluppato presto in modo più analitico e organico ma pare evidente che gli sconfitti siano almeno tre:

  • l’Ucraina che uscirà in ogni caso devastata e probabilmente divisa dal conflitto, col rischio di subire pesanti condizioni di pace o perdite territoriali oltre ai gravi danni economici, umani e materiali.
  • la Russia che al di là dei possibili successi militari verrà forse a lungo emarginata dall’Occidente, tagliata fuori da quell’Europa a cui appartiene, sottoposta a sanzioni e costretta a guardare all’Asia dove l’attende il poco tranquillizzante abbraccio della Cina
  • l’Europa, costretta a fare i conti con la propria incapacità e irrilevanza geopolitica, con la pochezza della sua classe dirigente e con una disastrosa, devastante crisi economica ed energetica generata dalla sua stessa insipienza e dall’aver colpevolmente lasciato agli Stati Uniti (proprio come fece negli anni ’90 con la crisi in ex Jugoslavia) la gestione della sua sicurezza.

I vincitori assoluti di questa guerra sembrano quindi essere inevitabilmente Cina e Stati Uniti: i primi costituiscono una rilevante ancora di salvezza per la Russia non solo perché sono e saranno ancor di più grandi acquirenti del suo gas ma perché l’impoverimento e indebolimento russo aumenterà presumibilmente il peso di Pechino in Asia e nell’Indo-Pacifico.

Family photo - Extraordinary Summit of NATO Heads of State and Government

I secondi sono tornati a dominare un’Europa che, da tempo prima potenza economica del mondo in termini di PIL, sembrava voler trovare una propria dimensione strategica e militare indipendente da Washington.

Inoltre, l’impoverimento dell’Europa che a causa del caro-energia vedrà i suoi prodotti perdere competitività sui mercati globali, favorirà soprattutto Washington e Pechino, rispettivamente seconda e terza potenze economiche mondiali.

Sul piano militare è difficile non notare che se dall’estate scorsa la “difesa europea” era tornato in auge sull’onda dell’umiliante sconfitta in Afghanistan incentrata sull’indipendenza strategica dagli Stati Uniti, oggi si parla di “forze armate europee” complementari o addirittura integrate alla NATO.

Certo la paura (dei russi) “fa 90” in nazioni europee in cui il concetto di guerra era stato ormai rimosso e dimenticato ma è evidente che uno strumento militare della Ue, ammesso che possa un giorno concretizzarsi, avrà un senso solo se ci renderà autonomi dagli USA. Se le due guerre mondiali hanno fatto perdere all’Europa la predominanza strategica e coloniale sul mondo, la guerra in Ucraina rischia di togliere al Vecchio Continente anche la supremazia economica faticosamente riconquistata negli ultimi decenni.

La forte convergenza di vedute circa la guerra in Ucraina tra Stati Uniti ed Europa emersa nei recenti vertici di Bruxelles della NATO e del Consiglio d’Europa avrebbe dovuto far sorgere qualche interrogativo poiché gli interessi, a cominciare da quelli energetici e geopolitici, dell’Europa divergono in modo evidente da quelli di Washington.

A minare questa fittizia unità di intenti tra USA ed Europa hanno provveduto le ultime gaffes (ma saranno davvero tali?), del presidente statunitense Joe Biden.

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“Per l’amor di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere”, ha detto Biden in Polonia, poche ore dopo aver accusato il presidente russo di essere “un macellaio”.

Possibile ma improbabile che sia stato ispirato da quel ministro europeo che aveva definito Putin “l’animale più atroce” anche se le frasi di Biden hanno avuto un’ampia eco costringendo molti in Occidente a rettificare o prendere le distanze.

Un portavoce della Casa Bianca ha specificato che il presidente non si riferiva al potere di Putin in Russia ma al potere che il presidente russo vuole esercitare sui paesi vicini e il segretario di Stato Anthony Blinken ha precisato che Washington non ha un piano per il cambio di regime a Mosca.

Rettifiche poco efficaci che non sono riuscite a fugare la sensazione di una profonda inadeguatezza del presidente degli Stati Uniti che tratta Putin come si trattasse di un Saddam Hussein, un Muhammar Gheddafi o un Bashar Assad da togliere rapidamente di mezzo.

Samuel Charap, esperto di Russia presso la Rand Corporation ritiene che le dichiarazioni di Biden esasperino in Russia “la percezione delle minacce esistenti relativamente alle intenzioni americane. I russi potrebbero essere molto più inclini a compiere gesti ostili come risposta, anche più di quanto già non siano”.

Citando ex funzionari e analisti, il Washington Post ha sottolineato come le parole di Biden pongano gravi implicazioni sulla capacità degli USA di contribuire a mettere fine alla guerra o di impedirne l’ampliamento. Ma soprattutto occorre chiedersi se la fine delle ostilità il più presto possibile sia un obiettivo che Washington (e con lei Londra) intenda perseguire.

Sono infatti troppe le affermazioni fuori luogo di Biden nei confronti di Putin (definito nelle scorse settimane anche “un assassino” e “un criminale di guerra”) per considerarle semplici e frequenti cadute di stile, inopportune ma non intenzionali.

NATO Secretary General Jens Stoltenberg in Bardufoss, Norway, to visit Cold Response, a Norwegian-led exercise with participation from 27 NATO Allies and partners.

Impossibile non notare che tali dichiarazioni sembrano avere l’obiettivo di irrigidire Mosca allontanando l’avvio di negoziati concreti e rischiando di determinare un’accelerazione o un ampliamento di un conflitto che minaccia di travolgere l’Europa.

Difficile credere sia un caso, specie dopo le polemiche degli ultimi giorni scatenate dalle parole di Biden, che oggi è tornato a definire Vladimir Putin dal suo account Twitter personale “un dittatore deciso a ricostruire un impero”. Guarda caso l’esternazione è giunta poche ore dopo l’annuncio che i colloqui tra russi e ucraini in Turchia hanno fatto emergere uno schema di intesa su cui continuare le trattative ma che già prevede una riduzione delle operazioni militari russe nel settore di Kiev, dove le forze di Mosca hanno assunto già da alcuni giorni un assetto difensivo.

Poche ore prima del tweet, in una conferenza stampa, Biden aveva chiarito che i suoi commenti sul leader del Cremlino sono “personali”.

Affermazione forse ancor più imbarazzante degli insulti che Biden ha riservato a Putin ma del resto una guerra prolungata in Ucraina sembra essere negli interessi di Washington che vedrebbe logorarsi la Russia e indebolirsi rapidamente l’Europa, rivale economico e commerciale (a oggi l’angolo più ricco del mondo in termini di PIL) a cui già nel 2014, dopo il golpe del Maidan, Barack Obama (di cui Biden era vice) chiedeva di rinunciare al gas russo sicuro e a buon mercato per acquistare quello statunitense, da fornire liquefatto via nave, in misura insufficiente e a costi ben più alti.

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A Washington si parla ormai apertamente di un duello in atto nell’Amministrazione che vedrebbe da una parte Casa Bianca e Dipartimento di Stato puntare a rafforzare la sfida militare e le provocazioni a Mosca e dall’altro il Pentagono impegnato a smorzare i toni bellicosi, impedendo (finora) che alle armi antiaeree e anticarro fornite alle truppe di Kiev si aggiungessero aerei da combattimento, carri armati e artiglierie.

Negli Stati Uniti la guerra in Ucraina ha fatto precipitare ancora più basso la popolarità di Biden, che vede oggi appena il 40 per cento degli americani approvare il suo operato contro il 55 per cento che lo disapprova.

Un sondaggio pubblicato da NBC News registra come sette americani su 10 abbiano poca fiducia nella capacità del presidente di gestire il conflitto. Ed un numero ancora maggiore, otto su dieci, temono che la guerra provochi l’aumento dei prezzi energetici e addirittura possa portare ad un coinvolgimento delle armi nucleari. E il sondaggio è stato condotto tra il 18 ed il 22 marzo, quindi prima del viaggio di Biden in Europa e delle ultime dichiarazioni che tante polemiche hanno suscitato.

In Europa il primo a “tirare le orecchie” a Biden, affermando di non ritenere Putin un macellaio, è stato il presidente francese Emmanuel Macron, sempre più a disagio di fronte alle dichiarazioni aggressive che Washington dispensa pubblicamente ogni volta che sembra aprirsi la possibilità di negoziati concreti tra i belligeranti.

“Non è il momento di alimentare un’escalation ne’ di parole ne’ di azioni”, ha ammonito Macron che punta a un nuovo incontro con Putin per dare un ruolo alla Francia e all’Europa nelle trattative.

“Non stiamo cercando un cambio di regime, spetta ai cittadini russi decidere se lo vogliano o meno”, ha dichiarato l’Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Josep Borrell (nella foto sotto): “Quello che vogliamo è impedire che l’aggressione continui e fermare la guerra di Putin contro l’Ucraina”.

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Persino l’alleato NATO più fedele, la Gran Bretagna, ha preso le distanze da Biden con il ministro dell’Istruzione Nadhim Zahawi mentre il loquace Boris Johnson questa volta non ha speso una sola parola sulle affermazioni sopra le righe del presidente americano.

Ad Ankara anche Recep Tayyp Erdogan ha mostrato insofferenze per le parole di Biden. “Se tutti bruciano i ponti con la Russia, chi parlerà con loro alla fine?”.

Nonostante le critiche diffuse la politica della Casa Bianca difficilmente cambierà rotta a conferma della divergenza di interessi che separa ormai da tempo gli USA dall’Europa e della pochezza di una Ue che invece di assumere iniziative per risolvere la guerra in Ucraina (cominciata otto anni or sono non un mese fa), ha preferito lasciarsi “commissariare” dagli USA nella tutela dei suoi interessi strategici.

La presenza di Biden al Consiglio d’Europa (organismo da cui è stata appena estromessa la Russia) non è apparsa come la cortesia che una grande potenza accorda a un ospite di riguardo ma un omaggio a chi è venuto da oltreoceano per dettare termini e condizioni del nostro vassallaggio, con tutte le relative conseguenze sul piano politico, strategico, economico e energetico.

https://www.analisidifesa.it/2022/03/vincitori-e-vinti-nella-guerra-in-ucraina/

Stati Uniti, Ucraina e il punto di rottura_con Gianfranco Campa

Joe Biden e lo staff presidenziale, se non il momento di sintesi, avrebbero quantomeno dovuto essere il punto di mediazione del coacervo di interessi e di indirizzi politici in grado di sconfiggere con qualsiasi mezzo Trump ed imporre la conduzione di una linea politica che ristabilisse all’interno il pieno controllo del paese senza modificarne sostanzialmente gli equilibri, sarebbe meglio dire gli squilibri politico-sociali e all’esterno il predominio statunitense unipolare o tutt’al più bipolare, ma con una Cina appesa al processo di globalizzazione da essi disegnato. L’impresa era di per sè ardua ed improbabile; la vivacità e distruttività dello scontro politico interno ne hanno reso la conduzione talmente oscillante ed inaffidabile sino a suscitare la diffidenza e l’ostilità persino nel complicato sistema di alleanze in divenire contro la Cina e la Russia, riuscendo a rafforzare un asse sino-russo ed un loro timido avvicinamento ad una pletora di paesi altrimenti in aperto o sordo conflitto sino ad un decennio fa. L’unica miserabile eccezione a questa volatilità rimangono i centri decisori dei paesi europei aggrappati a qualsiasi prezzo ad una parte dei centri decisori statunitensi, anche a costo di vedersi trascinati in una guerra come vittime designate. Una postura suicida che condannerà al dissesto intere nazioni e ad una sopravvivenza precaria le loro classi dirigenti. La evidente mediocrità dello staff presidenziale e i limiti fisici stessi di Joe Biden hanno trasformato in pochi mesi l’intera compagine in un vaso di coccio strattonato e stritolato da tendenze contrapposte. Il punto in comune di esse sono la russofobia; quello che li divide è il livello di conflittualità nei confronti della Cina. Una situazione aperta a svariati punti di arrivo ma pericolosissima ed esposta a colpi di mano imprevedibili. In questi spazi il movimento di Trump, pur tra mille limiti ed esposto ad operazioni trasformistiche, potrebbe trovare enormi praterie da percorrere con esiti altrettanto imprevedibili per gli Stati Uniti e di riflesso nel mondo. Joe Biden sarà la prima vittima designata, per meglio dire il caproespiatorio da sacrificare; Kamala Harris, nella sua vacuità, lo seguirà a ruota. Riemergono in lizza vecchie cariatidi e nuove figure dal futuro incerto. Nel frattempo l’offensiva russa in Ucraina si consolida e consegue i primi significativi successi; il battaglione Azov ha perso ormai i 3/4 dei suoi effettivi e l’intero comando abbattuto questo pomeriggio; il resto delle compagini neonaziste si avvicinano alla stessa fine, sperando che il resto dell’esercito ucraino riesca a separare da esse il proprio destino; la minaccia nucleare somiglia sempre meno ad un videogame. Ascoltate Gianfranco Campa! E’ una voce unica nel panorama italiano. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vz7y9f-usa-e-il-punto-di-rottura-con-gianfranco-campa.html

Energia, guerra, pace e finanza_ di Davide Gionco

 

Energia, guerra, pace e finanza
di Davide Gionco
25.03.2022

L’energia come strumento di guerra e di pace

Tv e giornali non cessano di martellarci con le notizie sulla guerra in Ucraina, mentre famiglie ed imprese si trovano a fare i conti con dei costi per l’energia sempre più insostenibili.

Qualcosa di simile era già successo negli anni 1970. Allora la Guerra del Kippur aveva spinto i paesi arabi produttori di petrolio, solidali con Siria ed Egitto in guerra contro Israele, ad aumentare unilateralmente il prezzo di vendita del petrolio, che al tempo era la principale fonte di energia in Europa e soprattutto in Italia, come fonte di ritorsione verso i paesi occidentali che sostenevano Israele. Il risultato fu la forte crisi energetica del 1973-1974, che portò il governo italiano ad assumere provvedimenti finalizzati al risparmio energetico ed alla diversificazione delle fonti energetiche. Fu allora che l’Italia decise di puntare sul gas metano come fonte primaria di energia in sostituzione del petrolio, cosa che divenne realtà una decina di anni dopo (vi ricordate la pubblicità “il metano ti dà una mano”?).
Dopo pochi anni, a partire dal 1979, ci fu una seconda crisi energetica, causata prima dalla rivoluzione iraniana e poi dalla conseguente guerra Iraq-Iran sostenuta dagli americani. La decisione di ridurre la dipendenza dell’Italia dal petrolio fu confermata da questi fatti.

La storia ci insegna che l’esportazione di energia è spesso o causa di guerre o strumento di pressione economica a seguito di guerre. Ma anche che accordi di fornitura stabile di energia sono uno strumento di pace, tramite accordi commerciali e di sviluppo economico fra nazioni, con convenienza reciproca.
Ricordiamo a titolo esemplificativo come l’occupazione del bacino della Ruhr (in Germania) da parte di Francia e Belgio negli anni 1923-1925 fu un modo per condurre una guerra economica contro i tedeschi, i quali si vendicarono di questo durante la seconda guerra mondiale. Nella Ruhr si produceva molto carbone, che al tempo era la principale fonte di energia per la Germania, ma anche per i paesi limitrofi. Con la fine della seconda guerra mondiale la costruzione della pace in Europa partì proprio dalla costituzione della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), tramite la quale il carbone veniva messo a disposizione di tutti i paesi aderenti, così come l’acciaio prodotto grazie all’uso del carbone insieme ai minerali ferrosi.
Nel bene o nel male l’energia è sempre un fattore determinante nelle relazioni di pace o di guerra fra le nazioni.

 

La strategia energetica dell’Italia per ridurre la dipendenza dal petrolio

La decisione di diversificare le forniture energetiche dell’Italia era finalizzata ad evitare di subire in modo eccessivo le continue variazioni del prezzo del petrolio.

Grafico 1


Fonte: https://theconversation.com/

Si può notare quanto il prezzo internazionale del petrolio vari in funzione di eventi geopolitici, ma anche di eventi di tipo finanziario.
Questo tipo di andamento è confermato dall’evoluzione del prezzo del petrolio negli ultimi anni. La finanza trova sempre delle ragioni per speculare sulle variazioni di prezzo del petrolio.

Grafico 2

La linea politica dell’Italia per ridurre la propria dipendenza dal petrolio fu da un lato investire sul risparmio energetico e dall’altro utilizzare una fonte di energia un po’ più costosa, ma dal prezzo molto più stabile: il gas naturale. A tale scopo furono stipulati dei contratti per forniture di grandi quantitativi e per una lunga durata con i governi di nazioni del Nord Africa, come la Libia, Algeria-

Grafico 3

Fonte: https://www.researchgate.net/

Ma soprattutto con il governo russo, anche se “sovietico”.

Grafico 4

Fonte: https://en.wikipedia.org/

La decisione dell’Italia fu certamente oculata, in quanto il prezzo del gas negli anni è risultato essere molto più stabile di quello del petrolio almeno fino al 2020, dopo di che nel 2021 è successo qualche di nuovo che ha fatto impennare anche il prezzo del gas. Ci ritorneremo più avanti.

Grafico 5

Fonte:
https://tradingeconomics.com

Negli ultimi anni la diversificazione è aumentata, aggiungendo una quota abbastanza rilevante di energia da fonti rinnovabili.

Grafico 6


Fonte: Dati: IEA 2019

 

 

La guerra in Ucraina e l’affrancamento dalla forniture russe di gas

Con la sciagurata guerra in Ucraina e l’aumento delle tensioni fra NATO e Russia, il potere politico propone nientemeno che rinunciare tutto di un colpo alle forniture di gas dalla Russia, come sanzione economica nei confronti di Putin colpevole di avere invaso l’Ucraina. Ma si tratta di una proposta realizzabile? A quale prezzo?
Quanto dipende l’Italia dall’energia russa?

Grafico 7


Fonte: https://oilgasnews.it/

Le importazioni di petrolio dalla Russia costituiscono circa l’11% del totale. Se dovessimo fare a meno del petrolio russo, non dovrebbe essere molto difficile sostituirlo con acquisti da altri produttori. Importare petrolio è semplice: si ordina la merce, la caricano su una petroliera e viene consegnato in uno dei nostri porti, dopo di che lo possiamo raffinare ed utilizzare.

Molto diverso, invece, è l’approvvigionamento di gas naturale, di cui l’Italia dipende addirittura per il 38% dalle importazioni russe.

Grafico 8


Fonte: Dati MISE 2021.

Per consegnare il gas serve realizzare gasdotti dalle sorgenti fino al paese di consegna. Dai pozzi di Jamal in Siberia settentrionale all’Italia ci sono 4’500 km di gasdotti, i quali hanno richiesto molti anni per essere costruiti, con cospicui investimenti. Per questo chi li ha costruiti ha interesse a stipulare contratti di lunga durata, cosa che l’Italia ha fatto da decenni con la Russia, con beneficio del sistema produttivo e delle famiglie italiane. Se venisse a cessare la fornitura dalla Russia, gli altri produttori di gas con i quali l’Italia è collegata non sarebbero in grado di sostituirla, sia per mancanza della stessa capacità produttiva, sia per la limitata capacità di trasporta dei gasdotti esistenti.
Qualcuno propone di utilizzare il gas naturale presente in Italia. Ma, a parte il fatto che solo per realizzare gli impianti servono diversi anni, le riserve di gas naturale dell’Italia, se usassimo solo quelle, si esaurirebbero nel giro di 10-12 mesi. Quindi disponiamo di una quantità largamente insufficiente per i nostri fabbisogni.

L’alternativa che viene proposta dagli “amici americani” è di acquistare del Gas Naturale Liquefatto (GNL) da grandi produttori internazionali come USA, Qatar, Arabia Saudita, Kuwait. Ma questo significherebbe passare dall’attuale 13,3% al (13,3 + 38,2 della Russia ) al 51,5% dell’approvvigionamento totale, quasi quadruplicando l’attuale disponibilità di rigassificatori (impianti in cui il gas liquefatto viene rievaporato per metterlo in rete), di navi metaniere. Ma significherebbe anche accettare strutturalmente di acquistare del gas più costoso, in quanto ai costi di estrazione di base si aggiungerebbero i costi di raffreddamento fino a -160 °C, i costi di trasporto con le navi metaniere (navi con enormi impianti frigoriferi per mantenere il gas liquefatto) e id i costi di rigassificazione in Italia.
E non dobbiamo trascurare il fatto che si passerebbe da una dipendenza dalla Russia alla dipendenza delle multinazionali dell’energia che controllano il mercato del GNL, società quotate in borsa e molto più legate alla speculazione finanziaria internazionale. Non è così scontato che la scelta sia conveniente.

La questione si complica ulteriormente se guardiamo i numeri a livello europeo. Il fabbisogno di gas dell’Unione Europea dipende molto fortemente dalle importazioni.

Grafico 9


Fonte: https://jancovici.com/ elaborazione di dati da BP Statistical Review

 

Le quali importazioni arrivano per oltre il 40% dalla Russia.

Grafico 10

Fonte: https://ilbolive.unipd.it/

 

Quindi si tratterebbe non solo di trovare un fornitore alternativo di gas per l’Italia, ma per tutta l’Europa, che si fornisce attualmente dalla Russia per oltre il 40% del proprio fabbisogno.
Osservando la capacità produttiva gasiera a livello mondiale possiamo notare come solamente gli USA avrebbero, in teoria, una capacità produttiva adeguata ai fabbisogni europei, in caso di arresto delle importazioni dalla Russia.

Grafico 11


Principali produttori di gas naturale nel mondo, in miliardi di metri cubi l’anno
Fonte https://www.researchgate.net/

Ma dobbiamo anche osservare che attualmente solo una piccola parte (quella evidenziata in blu scuro nel grafico che segue)della produzione statunitense è destinata all’esportazione.

Grafico 12

Fonte: https://www.eia.gov/

Questo significa che gli USA, nonostante i grandi proclami, non sono assolutamente in grado di assicurare all’Europa la sostituzione delle forniture di gas metano. Si noti come le esportazioni USA di gas siano dell’ordine di 5 miliardi di metri cubi l’anno, mentre la produzione russa è dell’ordine di 500 miliardi di metri cubi l’anno, 100 volte superiore.
Se gli USA non hanno la capacità produttiva per sostituire il gas russo in Europa, significa che nessun altro produttore al mondo può avere questa possibilità. Questo certamente nel breve e nel medio termine, in attesa che si scoprano nuovi giacimenti di gas chissà dove.

La conclusione è che l’Europa, e quindi a maggior ragione l’Italia, non ha alcuna possibilità di svincolarsi dalle forniture di gas russo, a meno di non ridurre nel giro di pochi i nostri consumi di gas, in modo da ridurre le importazioni di gas russo.
Di quanto?
Dal Grafico 6 deduciamo che il gas rappresenta il 41,8% del fabbisogno energetico nazionale. Dal Grafico 8 deduciamo che di questo gas il 38,2% arriva dalla Russia. La quantità di gas che verrebbe a mancare sarebbe quindi dell’ordine del 38,2% del 41,8%, che fa 16,0%.
Può sembrare “poco”, ma significa che, in media, le industrie dovrebbero ridurre del 16% la loro produzione annua o che le attività commerciali debbano ridurre del 16% i loro orari di apertura o che nelle nostre case dobbiamo interrompere l’energia elettrica per 4 ore al giorno. Come se non ci fossero bastate le chiusure imposte durante la pandemia del covid-19!
In modo molto semplificato potremmo attenderci un crollo del 16% del Prodotto Interno Lordo nazionale,
Le conseguenze economiche sarebbero catastrofiche per l’economia italiana. E qualcosa di simile ci si dovrebbe attendere, chi più chi meno, per il resto dell’Europa.
E non abbiamo preso in considerazione i rincari certi dei generi alimentari, causati dal blocco delle importazioni di cereali da Russia ed Ucraina.
Non possiamo escludere di riuscire a trovare, nel tempo, delle fonti energetiche alternative, ma tutto questo non potrebbe essere fatto in tempi brevi, per cui lo shock economico è inevitabile.
Dei “tempi” parleremo nel paragrafo successivo.

Quindi prima di lanciare proclami sulla interruzione delle forniture russe di gas, dovremmo prendere atto del fatto che il rapporto di fornitura di gas dalla Russia è una esigenza strutturale per l’Italia e per l’Unione Europea. E, aggiungerei, è anche una esigenza strutturale per la Russia, che dispone di un sistema produttivo arretrato e che ha assoluto bisogno dei proventi finanziari derivanti dalle esportazioni di energia in Europa, necessari per importare beni e servizi di qualità dall’Europa stessa.

Per fare un esempio facile da comprendere, è come se la Russia fosse l’unico fornitore d’acqua e noi fossimo l’unico produttore di cibo: per sopravvivere non potremmo fare a meno l’uno dell’altro, strutturalmente, senza possibilità di alternative, almeno nel breve e medio periodo.
Questa considerazione fondamentale dovrebbe portare la nostra classe politica a rivedere le proprie posizioni, molto basate sull’ideologia e per nulla fondate sui dati concreti sui rapporti energetici con la Russia. Se anche Putin fosse “cattivo” o “assassino”, sapendo che non abbiamo alternative al gas russo, le scelte politiche ne dovrebbero tenere conto.

 

Perché i prezzi dell’energia sono aumentati?

In televisione ci raccontano che i prezzi della benzina e del gas sono aumentati “a causa della guerra”.
Riproponiamo i grafici sopra esposti:

Grafico 1

Grafico 5

In realtà è sempre successo che il prezzo del petrolio sia variato fortemente a motivo di cambiamenti geopolitici o di azioni speculative dei mercati finanziari.
Ma questo non era mai successo per il gas, il cui prezzo era sì contrattualmente legato a quello del petrolio e solo indirettamente e in misura ridotta.

Se guardiamo in dettaglio l’andamento del prezzo del gas naturale negli ultimi mesi in Europa

Grafico 13


Fonte: https://tradingeconomics.com/

notiamo come gli aumenti dei prezzi siano iniziati già a partire da agosto-settembre 2021, mentre la guerra in Ucraina è iniziata a febbraio 2022. Quindi gli aumenti sono iniziati prima del conflitto, certamente per altre ragioni.

Aggiungiamo la considerazione del tutto evidente che in questo inverno nessuno di noi è rimasto senza gas per scaldarsi, anche se lo ha pagato l’ira di Dio.  Il gas richiesto è stato consegnato, non c’è stata una scarsità delle forniture che abbia giustificato l’aumento dei prezzi.

Che cosa ha dunque portato a questi aumenti? Che cosa ha modificato le dinamiche del prezzo del gas rendendole dello stesso tipo di quelle del prezzo del petrolio?

La risposta sta nei contratti di acquisto del gas, che dopo decenni di stabilità sono cambiati.

Il mercato internazionale del petrolio è nato, molti decenni fa, sulla base di contratti di vendita a breve termine. I produttori di petrolio cercavano clienti in giro per il mondo, vendendolo al miglior prezzo possibile. E gli acquirenti cercavano il miglior offerente possibile. C’era una certa libertà di scelta.
La possibilità di indirizzare le navi petroliere in tempi relativamente brevi a qualsiasi cliente nel mondo ha creato un mercato mondiale, da cui la nascita dell’OPEC, da cui la quotazione in borsa del petrolio.
La quotazione in borsa ha portato alla nascita di molti intermediari fra venditori ed acquirenti, i quali comperano opzioni di acquisto sul petrolio, che rivendono e riacquistano cercando di massimizzare i margini di profitto, come qualsiasi altro prodotto finanziario. Ovviamente spesso ci sono dei legami stretti fra la classe dirigente dei paesi produttori e queste società di intermediazione. E chi non sta al gioco (vedi Venezuela, vedi Iran, vedi Russia) viene messo sotto pressione politico-militare dagli Stati Uniti.
Il risultato è una continua fluttuazione dei prezzi, che favorisce la realizzazione di utili da parte degli investitori finanziari, ovviamente a spese di consumatori e imprese.

Il mercato del gas, invece, è sempre stato un mercato “locale”. La commercializzazione di gas liquefatto GNL è sempre rimasta minoritaria a causa degli alti costi. Per questo motivo la consegna degli ordinativi di gas si è sempre fatta quasi esclusivamente tramite tubature, che per essere realizzate richiedono grandi investimenti che necessitano molti anni prima di essere ammortizzati.
Per questo motivo i contratti di fornitura venivano stipulati non fra produttori e piccoli soggetti intermediatori, ma direttamente fra stati o dalle società energetiche nazionali.
Il primo contratto di fornitura europea su firmato nel 1969 da Eugenio Cefis, presidente dell’ENI, ed il presidente russo Leonid Breznev. L’anno successivo un contratto simile fu sottoscritto anche dalla Germania.
Erano contratti della durata di 20-30 anni, che assicuravano al fornitore la certezza di rientrare dei propri investimenti e nello stesso tempo garantivano all’acquirente la fornitura certa di energia ad un prezzo concordato per 20-30 anni. E’ il caso di notare che questa situazione era ideale anche per famiglie e imprese, consentendo loro di evitare eccessive fluttuazioni del prezzo del gas.
Per meglio ammortizzare gli investimenti iniziali, i contratti prevedevano anche che l’acquirente dovesse immagazzinare il gas nei gasometri durante l’estate (periodo di domanda minima), per non obbligare il fornitore ad aumentare la portata di gas in inverno. Maggiori portate, infatti, significano tubature più grandi e maggiori costi d’investimento, evitabili con lo stoccaggio estivo.

Questo sistema dei contratti a lungo termine è andato avanti fino al 2021, quando è successo che…
Ricordate che negli ultimi anni siamo stati tempestati di telefonate e di pubblicità per il passaggio dal “mercato tutelato” dell’energia al “mercato libero”?
Negli ultimi anni l’Unione Europea ha adottato una serie di provvedimenti finalizzati alla liberalizzazione del mercato dell’energia, in particolare relativamente all’energia elettrica ed il gas.
L’ideologia di fondo dell’UE è sempre la stessa: dobbiamo liberalizzare il mercato, in modo da conseguire una diminuzione dei prezzi. Ma il gioco funziona molto di rado.
La realtà è sempre la stessa: più libertà per gli speculatori e più costi per i consumatori. Soprattutto se le liberalizzazioni sono applicate ad un settore per sua natura monopolistico (con pochissimi produttori) come quello del gas.
Quello che è successo, e certamente chi ha voluto questa “riforma” lo sapeva, è che sono entrati in gioco nel mercato del gas i nuovi intermediari, quelli che già operavano nel mercato altalenante del petrolio, i quali hanno iniziato a comperare,  vendere, ricomperare e rivendere opzioni di acquisto sul gas, in modo da creare oscillazioni dei prezzi e trarne profitto.
Inoltre altri piccoli soggetti hanno iniziato a stipulare dei nuovi contratti di acquisto con i fornitori, ma di “tipo spot” ovvero per forniture di gas della durata di pochi mesi e per piccoli quantitativi. Questi investitori, per risparmiare, hanno evitato i costi di stoccaggio estivo, come avveniva da decenni.
In questo modo il fornitore sarà obbligato a vendere meno gas in estate, causa minori ordinativi per l’assenza di stoccaggio, e meno gas in inverno, non essendo le condotte dimensionate per il trasporto del fabbisogno di punta dei periodi più freddi dell’anno. Per il momento i fornitori sono riusciti a garantire le forniture, in quanto le tubature sono state sovradimensionate per tenere conto di margini di crescita degli ordinativi, ma la non realizzazione dello stoccaggio estivo andrà certamente a limitare le capacità di consegna futura del gas in caso di aumenti della domanda, ad esempio per una crescita economica. Il che porterà ad un ulteriore aumento dei costi, se non si ritorna al precedente tipo di contratti.
Aggiungiamo il fatto che il fornitore, di fronte a contratti di breve durata, senza garanzie per il futuro, con impianti costosi da ammortizzare e in assenza di concorrenti, avrà l’interesse ad aumentare i prezzi di vendita, cosa che non accadeva in passato.
Queste nuove dinamiche sono state innescate principalmente dalle decisioni dell’Unione Europea, naturalmente – come sempre – senza informarne i cittadini. Possiamo supporre che tali decisioni siano conseguenza all’azione delle solite lobbies che operano a Bruxelles, sia alle pressioni degli USA finalizzate a danneggiare economicamente la Russia, ma anche per favorire le maggiori vendite di gas liquefatto americano.
Non è stato il “cattivo” Putin ad aumentare il gas per farci dispetto, ma sono stati i “buoni” della Commissione Europea e della presidenza USA a portarci in wuesta situazione.
Personalmente ho il dubbio che l’escalation della guerra in Ucraina (aumento delle provocazioni che hanno spinto la Russia all’intervento militare) sia avvenuta solamente dopo l’attuazione di queste riforme del mercato energetico europeo proprio per massimizzare le rendite degli investitori in occasione dei perturbamenti causati dalla guerra.

 

La transizione ecologica

Certamente uno dei modi per ridurre la nostra dipendenza energetica da fornitori esteri è anche quello di riuscire a produrre più energia a casa nostra.
Riproponiamo il grafico precedente sul mix energetico usato in Italia per farne un’analisi.

Grafico 6

Le fonti “italiane” rinnovabili sono l’Idroelettrico, il Solare, l’Eolico ed il Biocombustibile, che tutti insieme rappresentano il 19,4% del totale. Negli anni 2020 e 2021 la quota totale di produzione da fonti rinnovabili in Italia è ulteriormente aumentata, non per un chissà quale aumento degli investimenti, ma soprattutto a causa della riduzione dei consumi energetici interni causata dalla limitazioni produttive delle misure anti-covid-19. E’ noto che l’energia da fonti rinnovabili richiede forti investimenti iniziali, ma poi l’energia si produce sostanzialmente “gratis”, o a basso costo. In caso di riduzione complessiva del fabbisogno energetico, di conseguenza, è naturale che venga ridotta la produzione da fonti non rinnovabili, per cui le fonti rinnovabili coprono una quota maggiore della produzione. Ma una volta normalizzata la situazione, si riprenderà a bruciare gasolio e metano, come prima.
Per questo motivo per la nostra analisi prendiamo in considerazione i dati del 2019, prima della pandemia.
Se il gas russo rappresenta il 16% del fabbisogno energetico nazionale annuo, per compensarlo dovremmo portare la quota da fonti rinnovabili dall’attuale 19,4% al 35,4%.
L’obiettivo è assolutamente auspicabile, perché al vantaggio di liberarci dai vincoli strutturali con la Russia e, in generale, dai condizionamenti derivanti dai fornitori di energia esteri, aggiungeremmo anche la riduzione delle emissioni di CO2 derivanti dalla minore combustione di gas naturale.
Considerando che la quota di idroelettrico ha pochissimi margini di ulteriore sviluppo, perché i bacini idroelettrici che potevamo realizzare li abbiamo già costruiti, dovremmo sostanzialmente raddoppiare l’energia prodotta tramite biocombustibile, tramite impianti solari ed impianti eolici.
A questo punto le domande sono due: con quanti investimenti e in quanto tempo?
Raddoppiare la capacità produttiva di energia rinnovabile significa fare enormi investimenti e significa attendere anni prima che questi nuovi impianti vengano costruiti e messi in funzione. Significa che chi ci governa dovrebbe quantificare questi investimenti, trovare i soldi e finanziare progetti di qualità, che garantiscano dei risultati effettivi dal punto di vista energetico.

Un’altra possibilità valida per l’Italia per ridurre la propria dipendenza energetica dall’estero è di investire seriamente sul risparmio energetico.
In effetti noi non abbiamo bisogno di energia in quanto tale, ma abbiamo bisogno di energia per riscaldarci in inverno, per la produzione di beni e servizi e per i trasporti.
Mettendo in atto opportuni interventi di risparmio e di razionalizzazione energetica degli impianti di climatizzazione, degli impianti produttivi e dei trasporti l’Italia potrebbe ridurre il proprio fabbisogno annuo di energia, diminuendo gradualmente la propria dipendenza estera ed evitando emissioni di CO2 in atmosfera. E’ realistico ritenere che il potenziale di riduzione rispetto ai fabbisogni attuali sia almeno del 30%.
Anche in questo caso, però, sono necessari cospicui investimenti ed è necessario attendere diversi anni prima di raggiungere gli obiettivi prefissati.

Politicamente parlando sarebbe opportuno investire sia sulla realizzazione di impianti per la produzione di energia verde in Italia, sia sul risparmio energetico. Ma si tratta di mettere in gioco grandi capitali e di realizzare degli interventi strutturali, che durino almeno 20-30, in modo da sviluppare solide competenze nel settore e le filiere produttive. Oggi, purtroppo, i nostri migliori ingegneri del settore emigrano all’estero, per la mancanza di opportunità serie in Italia. Siamo ben distanti dal seguire questi obiettivi.

C’è chi parla di ritornare al nucleare. L’argomento è complesso e meriterebbe almeno un articolo per essere approfondito. La mia opinione personale è che per il nucleare troppo spesso vengano sottostimati i costi di realizzazione, ma ancora di più i costi di smaltimento delle scorie, nonché i rischi derivanti da possibili incidenti, che possono essere sia di origine naturale (terremoti, maremoti, alluvioni), ma anche di origine umana (una guerra, un attentato). Questi rischi reali rendono l’energia nucleare molto meno sicura di quello che si creda.

 

La variabile “tempo”

La variabile “tempo” è fondamentale quando si parla di modificare gli assetti del settore energetico.
Servono anni per realizzare gli impianti che ci consentano di approvvigionarsi di gas da altri fornitori, ad esempio dal Medio Oriente o dai nuovi giacimenti situati fra Egitto e Cipro.
Servono anni per realizzare le necessarie navi metaniere e i necessari impianti di rigassificazione, volendo acquistare GN da paesi più distanti.
Servono anni per realizzare sufficienti impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e le necessarie reti di trasporto.
Servono anni per realizzare nuove centrali nucleari.
Servono anni per i molti interventi necessari per ridurre del 40% i consumi per il riscaldamento invernale degli edifici.
Servono anni per potenziare adeguatamente i trasporti pubblici, in modo da ridurre le esigenze di trasporto privato, che è più energivoro.

Se anche si trovano i finanziamenti per questi interventi, fino a che l’Italia non recupererà la propria sovranità monetaria sarà ben difficile trovarli, sarà comunque necessario disporre di molta forza lavoro qualificata, di cui attualmente non disponiamo. Sono necessari anni per formare dei bravi ingegneri e degli operai specializzati.
In generale servono molti anni per trasformare un obiettivo politico in progetti di opere e poi per realizzare tali opere.

Purtroppo constatiamo che i nostri politici dimostrano una volta di più di vivere sulle nuvole, non rendendosi minimamente conto del fattore tempo.
Non basta decidere oggi di interrompere gli acquisti di gas dalla Russia oggi per avere domani un altro fornitore sostitutivo o una produzione nazionale da fonti rinnovabili equivalente o essere capaci di ridurre il fabbisogno energetico nazionale del 16%. E’ folle anche solo parlare di ipotesi del genere, in quanto sono fuori dalla realtà. Se si decide che questa è la strada giusta da seguire, allora bisognava pensarci prima, almeno 15-20 anni fa.

Se vogliamo un esempio virtuoso da seguire per i nostri politici, possiamo guardare alla vicina Svizzera, che dimostra un approccio razionale alla questione.
Qui sotto abbiamo un grafico prodotto dall’Ufficio Federale dell’Energia svizzero (OFEN)

Grafico 14

Si noti come il fabbisogno energetico complessivo (linea verde scuro) sia in progressiva diminuzione negli ultimi 10 anni, nonostante l’aumento della popolazione residente (linea arancio) e nonostante l’aumento del prodotto interno lordo (PIB, verde chiaro). Dato che ogni persona consuma energia per vivere e dato che per produrre si consuma energia, la crescita di questi fattori porterebbe naturalmente ad un aumento dei consumi energetici.
Ma l’indice di consumo di energia per persona è in costante diminuzione, mentre l’indice del prodotto interno lordo in rapporto all’energia consumata è in costante crescita ovvero si produce di più consumando di meno.

La Svizzera raggiunge questi obiettivi con politiche strutturali di incentivi alle ristrutturazione energetiche, di incentivi al settore produttivo perché investa nella razionalizzazione nell’uso dell’energia, di incentivi per la realizzazione di impianto solari, eolici e a biomasse e con un progressivo aumento della tassazione delle emissioni di CO2, in quali vengono preannunciati anni prima, in modo che le imprese ed i cittadini possano indirizzare adeguatamente i loro investimenti.
In Italia, invece, la classe politica si lancia irresponsabilmente in iniziative di rottura con i nostri principali fornitori di energia a cui siamo strutturalmente vincolati, come la Russia (già nel 2011 avevamo supportato, a nostro danno, la guerra alla Libia, altro nostro fornitore storico di energia), senza avere mai pensato seriamente ad un “Piano B” ovvero ad interventi strutturali per ridurre la nostra dipendenza energetica dall’estero. In sostanza è come se decidessero di chiudere l’unico rubinetto che ci disseta, senza avere pensato a fonti alternative d’acqua. Il risultato inevitabile non potrà essere che la morte per sete.

 

Energia e pace

Ritornando ai legami strutturali di interdipendenza fra Italia e Russia, che poi sono anche i legami fra la maggior parte dei paesi europei e la Russia, chiediamoci quale possa essere l’interesse “superiore” che potrebbe giustificare la rottura di questi rapporti.
La guerra in Ucraina rischi di complicare enormemente la situazione, portando alla rottura di equilibri nei rapporti internazionali che avevano dimostrato di funzionare bene, con vantaggi sia per l’Europa, sia per la Russia.
Si tratta di una questione estremamente importante che dovrebbe essere messa al centro delle trattative di pace fra Russia, Ucraina, con l’Europa come parte in causa.
Il non ingresso dell’Ucraina nella NATO richiesto dalla Russia o l’autonomia richiesta dalle regioni del Donbass valgono bene il prezzo del ripristino di rapporti di cooperazione energetica fra Russia ed UE. Lo valgono, perché non abbiamo alternative, al momento e almeno per i prossimi 15-20 anni.
Gli Stati Uniti, invece, perseguono dei propri obiettivi geopolitici di rilevanza di gran lunga inferiore, come l’isolamento della Russia dall’Europa (che è un danno per i paesi europei) o gli interessi di alcune loro multinazionali che intendono lucrare sul cambiamento degli equilibri del mercato energetico.
Nulla che possa valere il prezzo delle gravissime conseguenze della mancanza di energia in Europa, con una inevitabile aumento permanente dei prezzi nel settore energetico e con la necessità di ridurre strutturalmente la produzione di beni e servizi. L’Europa precipiterebbe nella povertà diffusa.

Se chi ci governa intende fare il bene del popolo, le scelte da fare sono alquanto evidenti. Se fanno altre scelte, chiediamoci se sono incompetenti o se agiscono per gli interessi di “altri”.
Ed anche la Russia ha tutti gli interessi a ripristinare dei sereni rapporti di collaborazione con l’Europa nel campo dell’energia.
Che si siedano seriamente tutti intorno al tavolo, discutendo di rapporti energetici e di pace in Ucraina. La soluzione che conviene a tutti, a parte gli USA, esiste. Basta solo avere uno sguardo lungimirante e volerlo.

Jacques Baud Come procedono le operazioni in Ucraina, a cura di Giuseppe Gagliano

Jacques Baud Come procedono le operazioni in Ucraina

A partire dal 25 marzo 2022, la nostra analisi della situazione conferma le osservazioni e le conclusioni fatte a metà marzo.

L’offensiva lanciata il 24 febbraio è strutturata in due linee , in conformità con la dottrina operativa russa:

– Uno sforzo principale diretto verso il sud del paese nella regione del Donbass e lungo la costa del Mar d’Azov. Come previsto dalla dottrina, gli obiettivi principali sono su questa linea: la neutralizzazione delle forze armate ucraine (obiettivo di “smilitarizzazione”) e la neutralizzazione delle milizie paramilitari ultranazionaliste nelle città di Kharkov e Mariupol (obiettivo di “denazificazione”). Questa spinta principale è guidata da una coalizione di forze: le forze russe del distretto militare meridionale attraverso Kharkov e la Crimea, con – al centro – le forze della milizia delle repubbliche di Donetsk e Luhansk, nonché un contributo della Guardia nazionale cecena per i combattimenti nell’area urbana di Mariupol;

– Uno sforzo secondario su Kiev, il cui obiettivo è quello di “aggiustare” le forze ucraine (e occidentali), in modo da impedirle di condurre operazioni contro la spinta principale, o addirittura di portare indietro le forze della coalizione russa.

Questa offensiva segue rigorosamente gli obiettivi fissati da Vladimir Putin il 24 febbraio. Ma, ascoltando solo i loro pregiudizi, di “esperti” e politici occidentali hanno sottolineato che l’obiettivo della Russia era impadronirsi dell’Ucraina e rovesciare il suo governo. Applicando una logica molto occidentale, vedevano Kiev come il “centro di gravità” (Schwerpunkt) delle forze ucraine. Secondo Clausewitz, il “centro di gravità” è l’elemento da cui un belligerante trae la sua forza e capacità di agire, quindi è l’obiettivo prioritario della strategia di un avversario. Questo è il motivo per cui gli occidentali hanno sistematicamente cercato di prendere il controllo delle capitali nelle guerre che hanno intrapreso. Addestrato e consigliato da esperti della NATO, lo Stato Maggiore ucraino ha, in modo abbastanza prevedibile, applicato la stessa logica per rafforzare la difesa di Kiev e dei suoi dintorni, lasciando le sue truppe povere nel Donbass, lungo il principale asse di sforzo russo.

Se avessimo ascoltato attentamente Vladimir Putin, ci saremmo resi conto che l’obiettivo strategico della coalizione russa non è impadronirsi dell’Ucraina, ma rimuovere qualsiasi minaccia per le popolazioni di lingua russa del Donbass. Sulla base di questo obiettivo generale, il “vero” centro di gravità che la coalizione russa sta cercando di colpire è la maggior parte delle forze armate ucraine ammassate nel sud-sud-est del paese dalla fine del 2021, non Kiev.

Convinti che l’offensiva russa stia prendendo di mira Kiev, gli esperti occidentali hanno logicamente concluso che 1) i russi stanno calpestando e 2) la loro offensiva è destinata al fallimento perché non saranno in grado di tenere il paese a lungo termine.

Detto questo, il discorso occidentale su un’offensiva russa impantanata e i cui successi sono scarsi fa anche parte della guerra di propaganda condotta da entrambe le parti. Pertanto, la sequenza delle mappe delle operazioni pubblicate da Libération dalla fine di febbraio non mostra praticamente alcuna differenza da un giorno all’altro fino al 18 marzo (quando i media hanno smesso di aggiornarsi). Così, il 23 febbraio, su France 5, la giornalista Élise Vincent valuta il territorio preso dalla coalizione russa come l’equivalente della Svizzera o dei Paesi Bassi. In realtà, siamo più sulla superficie della Gran Bretagna.

Inoltre, va notato che le forze ucraine non compaiono su nessuna mappa della situazione presentata dai nostri media. Pertanto, se la mappa del Ministero delle Forze armate fornisce un’immagine leggermente più onesta della realtà, evita accuratamente di menzionare le forze ucraine circondate nel calderone di Kramatorsk.

Le forze ucraine, infatti, non sono mai rappresentate sulle nostre mappe, perché ciò dimostrerebbe che non sono state schierate al confine russo nel febbraio 2022, ma che sono state raggruppate nel sud del Paese in preparazione all’offensiva di cui è iniziata la fase preparatoria il 16 febbraio. Ciò conferma che la Russia ha reagito solo a una situazione avviata dall’Occidente, attraverso l’Ucraina, come vedremo. Oggi, sono queste forze che sono accerchiate nel calderone di Kramatorsk e metodicamente frammentate e neutralizzate passo dopo passo in maniera incrementale dalla coalizione russa.

La vaghezza mantenuta sulla situazione delle forze ucraine in Occidente ha altri effetti. Innanzi tutto mantiene l’illusione di una possibile vittoria ucraina. Così, invece di incoraggiare un processo di negoziazione, l’Occidente cerca di prolungare la guerra. Per questo l’Unione Europea e alcuni dei suoi paesi membri hanno inviato armi e incoraggiano così la popolazione civile ei volontari di ogni tipo ad andare a combattere, spesso senza addestramento e senza una vera struttura di comando, con conseguenze omicide.

Sappiamo che in un conflitto ciascuna parte tende a informare in modo da dare un’immagine favorevole della propria azione. Nasconde le profonde carenze della condotta ucraina, nonostante sia stata addestrata e consigliata dai soldati della NATO.

Pertanto, la logica militare avrebbe imposto che le forze catturate nel calderone di Kramatorsk si sarebbero ritirate su una linea all’altezza del Dnepr, ad esempio, per riorganizzarsi ed effettuare una controffensiva; ma gli fu proibito di ritirarsi dal presidente Zelensky. Già nel 2014 e nel 2015, un attento esame delle operazioni ha mostrato che gli ucraini stavano applicando schemi “stile occidentale”, totalmente inadatti alle circostanze, di fronte a un avversario più fantasioso, più flessibile e con strutture di leadership più snelle. Oggi è lo stesso fenomeno.

Infine, la visione parziale del campo di battaglia che ci è stata data dai nostri media ci ha reso incapaci di aiutare lo stato maggiore ucraino a prendere le giuste decisioni. Ci ha portato a pensare che l’ovvio obiettivo strategico fosse Kiev, che la “smilitarizzazione” fosse mirata all’adesione dell’Ucraina alla NATO e che la “denazificazione” fosse mirata a rovesciare Zelensky. Questa leggenda è stata alimentata dall’appello di Vladimir Putin alla disobbedienza all’esercito ucraino, interpretato (con grande immaginazione e pregiudizio) come un appello a rovesciare il governo. Tuttavia, questa chiamata era rivolta alle forze ucraine schierate nel Donbass in modo che si arrendessero senza combattere. L’interpretazione occidentale ha indotto il governo ucraino a giudicare male gli obiettivi russi e ad abusare del suo potenziale di vittoria.

Non vinci una guerra con il pregiudizio: la perdi, ed è quello che sta succedendo. Pertanto, la coalizione russa non è mai stata “fermata” o “fermata” da una resistenza eroica: semplicemente non ha attaccato dove previsto! Non volevamo ascoltare ciò che Vladimir Putin ci ha spiegato molto chiaramente. Per questo siamo così diventati – volens nolens – i principali artefici della sconfitta ucraina che sta prendendo forma. Paradossalmente, è probabilmente a causa dei nostri sedicenti “esperti” e strateghi occasionali sui nostri televisori che l’Ucraina si trova oggi in questa situazione!

Per quanto riguarda il corso delle operazioni, le analisi presentate dai nostri media provengono il più delle volte da politici o cosiddetti esperti militari, che trasmettono propaganda ucraina.

Sia chiaro: qualsiasi guerra è una tragedia. Il problema qui è che i nostri strateghi del pareggio stanno chiaramente cercando di drammatizzare eccessivamente la situazione per escludere qualsiasi soluzione negoziata. Questa evoluzione, tuttavia, spinge alcuni soldati occidentali a parlare ea dare un giudizio più sfumato. Così, su Newsweek, un analista della Defense Intelligence Agency (DIA), l’equivalente americano del a Direction du Renseignement Militaire (DRM) in Francia, osserva che “in 24 giorni di conflitto, la Russia ha effettuato circa 1.400 attacchi e lanciato quasi 1.000 missili (in confronto, gli Stati Uniti hanno effettuato più di attacchi e lanciato più missili sul primo giorno della guerra in Iraq nel 2003)”.

Mentre gli occidentali “preparano” il campo di battaglia con attacchi intensi e prolungati prima di inviare le loro truppe sul campo, i russi preferiscono un approccio meno distruttivo, ma più ad alta intensità di truppe. Su France 5, la giornalista Mélanie Tarvant presenta la morte dei generali sul campo di battaglia come prova della destabilizzazione dell’esercito russo. Ma è una profonda incomprensione delle tradizioni e delle modalità di funzionamento di questa. Mentre in Occidente i comandanti tendono a guidare da dietro, le loro controparti russe tendono a guidare dalla parte anteriore dei loro uomini: in Occidente diciamo “Avanti!” in Russia dicono “Seguimi!” “. Questo spiega le elevate perdite ai vertici del comando, già osservate in Afghanistan, ma anche una selezione dei quadri molto più rigorosa che in Occidente.

Inoltre, l’analista della DIA osserva che “la stragrande maggioranza degli attacchi aerei ha luogo sul campo di battaglia, con aerei russi che forniscono ‘supporto aereo ravvicinato’ alle forze di terra. Il resto – meno del 20%, secondo gli esperti statunitensi – prende di mira aeroporti militari, caserme e depositi di supporto”. Così, la frase “bombardamento indiscriminato [che] devasta la città e uccide tutti” ripresa dai media occidentali sembra contraddire l’esperto dell’intelligence americana che afferma “se solo ci convinciamo che la Russia sta bombardando indiscriminatamente, o non infligge più danni perché il suo personale non è all’altezza o perché tecnicamente inetto, quindi non vediamo il conflitto per quello che è”.

In effetti, le operazioni russe differiscono fondamentalmente dal concetto occidentale. L’ossessione degli occidentali di non avere vittime nelle proprie forze li porta a operazioni che risultano essenzialmente in attacchi aerei molto mortali. Le truppe di terra intervengono solo quando tutto è stato distrutto. Ecco perché, in Afghanistan o nel Sahel, gli occidentali uccidono più civili che terroristi. Questo è il motivo per cui i paesi occidentali impegnati in Afghanistan, Medio Oriente e Nord Africa non pubblicano più il bilancio delle vittime civili causate dai loro attacchi . Perché, infatti, gli europei impegnati in regioni che incidono solo marginalmente sulla loro sicurezza nazionale, come gli estoni nel Sahel, si recano lì per “sporcarsi le mani”.

In Ucraina la situazione è molto diversa. Basta guardare una mappa delle zone linguistiche per vedere che la coalizione russa opera quasi esclusivamente nella zona di lingua russa, quindi in mezzo a popolazioni generalmente favorevoli. Il che spiega anche le dichiarazioni di un ufficiale dell’aeronautica americana: “So che i media continuano a dire che Putin prende di mira i civili, ma non ci sono prove che la Russia lo faccia intenzionalmente”.

Al contrario, è per lo stesso motivo – ma implicitamente – che l’Ucraina ha schierato i suoi combattenti paramilitari ultranazionalisti in grandi città come Mariupol o Kharkov: senza legami affettivi o culturali con le popolazioni locali, queste milizie possono combattere anche a costo di pesanti vittime civili. Le atrocità che stiamo scoprendo sono ancora nascoste dai media francofoni, per paura di perdere il sostegno all’Ucraina, come riportato dai media vicini ai repubblicani negli Stati Uniti.

Dopo gli scioperi di “decapitazione” nei primi minuti dell’offensiva, la strategia operativa russa è stata quella di aggirare i centri urbani per avvolgere l’esercito ucraino “fissato” dalle forze delle repubbliche del Donbas. È importante ricordare che la “decapitazione” non ha lo scopo di annientare lo stato maggiore o il governo (come tendono a capire i nostri “esperti”), ma di tagliare le strutture di comando in modo da impedire la manovra coordinata delle forze. Cerchiamo, al contrario, di preservare gli organi di gestione per poter negoziare una via d’uscita dalla crisi.

Il 25 marzo 2022, dopo aver chiuso a chiave il calderone di Kramatorsk, chiuso ogni possibilità di ritirata agli ucraini e preso la maggior parte delle città di Kharkov e Mariupol, la Russia ha quasi raggiunto i suoi obiettivi: non resta che concentrare i suoi sforzi per ridurre sacche di resistenza. Quindi, contrariamente a quanto sostenuto dalla stampa occidentale, non si tratta di un riorientamento o di un ridimensionamento della sua offensiva, ma di metodica attuazione degli obiettivi. La forza lavoro ha annunciato il 24 febbraio.

Un aspetto particolarmente preoccupante di questo conflitto è l’atteggiamento dei governi europei che consentono o incoraggiano l’impegno dei loro cittadini ad andare a combattere in Ucraina. L’appello di Volodymyr Zelensky a unirsi alla Legione Internazionale per la Difesa Territoriale dell’Ucraina da lui appena creata è stato accolto con entusiasmo dai paesi europei.

Incoraggiati dai media che ritraggono un esercito russo in rotta, molti di questi giovani se ne vanno immaginando di andare – letteralmente – a una battuta di caccia. Tuttavia, una volta lì, la disillusione è grande. Le testimonianze mostrano che questi “dilettanti” finiscono spesso come “carne da cannone” senza avere alcun impatto reale sull’esito del conflitto. L’esperienza dei recenti conflitti mostra che l’arrivo di combattenti stranieri non aggiunge nulla a un conflitto se non aumentarne la durata e la letalità.

Inoltre, dovrebbe destare preoccupazione l’arrivo di diverse centinaia di combattenti islamici dalla regione di Idlib, regione sotto il controllo e la protezione della coalizione occidentale in Siria (e in cui due leader dello Stato islamico sono stati uccisi dagli americani). In effetti, le armi che forniamo in modo molto generoso all’Ucraina sono già in parte nelle mani di persone e organizzazioni criminali e stanno già cominciando a porre un problema di sicurezza per le stesse autorità di Kiev. Per non parlare del fatto che le armi la cui efficacia è elogiata contro gli aerei russi potrebbero alla fine minacciare i nostri aerei militari e civili…

Il volontario presentato con orgoglio da RTBF al telegiornale delle 19:30 dell’8 marzo 2022 era un ammiratore del “Corps Franc Wallonie” dei volontari belgi impegnati con il Terzo Reich, e illustra il tipo di pubblico attratto dall’Ucraina. Alla fine, dovrai chiederti chi ha vinto di più dal Belgio o dall’Ucraina…

La distribuzione indiscriminata di armi potrebbe benissimo rendere – volens nolens – l’UE un sostegno all’estremismo, o addirittura al terrorismo internazionale. Risultato: aggiungiamo sventura a sventura, per soddisfare le élite europee più della stessa Ucraina.

*

In conclusione, vale la pena sottolineare tre punti.

– L’intelligence occidentale ignorata dai responsabili politici

I documenti militari rinvenuti presso il quartier generale ucraino nel sud del Paese confermano che l’Ucraina si stava preparando ad attaccare il Donbass e che gli spari osservati dagli osservatori dell’OSCE dal 16 febbraio annunciavano un’imminente focolaio.

Qui una riflessione è d’obbligo per gli occidentali: o i loro servizi di intelligence non hanno visto cosa stava succedendo e sono molto cattivi, oppure i politici hanno scelto di non ascoltarli. Sappiamo che i servizi di intelligence russi hanno capacità analitiche di gran lunga superiori rispetto ai servizi occidentali. Sappiamo anche che i servizi di intelligence americani e tedeschi avevano compreso molto bene la situazione dalla fine del 2021 e sapevano che l’Ucraina si stava preparando ad attaccare il Donbass.

Questo ci permette di dedurre che i leader politici americani ed europei hanno deliberatamente spinto l’Ucraina in un conflitto che sapevano sarebbe andato perduto, al solo scopo di infliggere un colpo politico alla Russia.

Il motivo per cui Zelensky non dispiegò le sue forze al confine russo e affermò ripetutamente che il suo grande vicino non lo avrebbe attaccato era presumibilmente che pensava di fare affidamento sulla deterrenza occidentale. Ha detto alla CNN il 20 marzo che gli era stato chiaramente detto che l’Ucraina non avrebbe fatto parte della NATO, ma pubblicamente sembra il contrario! Quindi l’Ucraina è stata sfruttata per colpire la Russia. Obiettivo la chiusura del gasdotto North Stream 2, annunciata l’8 febbraio da Joe Biden durante la visita di Olaf Scholz a cui è seguita una pioggia di sanzioni.

– Una diplomazia rotta

Ovviamente, dalla fine del 2021, l’Occidente non ha fatto alcuno sforzo per riattivare gli accordi di Minsk, come dimostrano i resoconti di visite e conversazioni telefoniche, in particolare tra Emmanuel Macron e Vladimir Putin. Tuttavia, la Francia, in quanto garante degli Accordi di Minsk e come membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, non ha rispettato i propri impegni, il che ha così portato alla situazione che l’Ucraina sta vivendo oggi. Abbiamo persino la sensazione che gli occidentali abbiano cercato di aggiungere benzina sul fuoco dal 2014.

Pertanto, la messa in allerta delle forze nucleari da parte di Vladimir Putin il 27 febbraio è stata presentata dai nostri media e dai nostri politici come un atto di irrazionalità o di ricatto. Ciò che si dimentica è che ha fatto seguito alla minaccia appena velata lanciata da Jean-Yves Le Drian, tre giorni prima, che aveva indicato che la NATO avrebbe potuto utilizzare l’arma nucleare. aria. È molto probabile che Putin non abbia preso sul serio questa “minaccia”, ma abbia voluto spingere i paesi occidentali – e la Francia in particolare – ad abbandonare il linguaggio eccessivo.

– La vulnerabilità degli europei alla manipolazione è in aumento

Oggi, la percezione diffusa dai nostri media che l’offensiva russa si sia arenata, che Vladimir Putin sia pazzo, irrazionale e quindi pronto a tutto pur di uscire dall’impasse in cui si troverebbe. In questo sfondo totalmente emotivo, la strana domanda posta dal senatore repubblicano Marco Rubio durante l’audizione di Victoria Nuland davanti al Congresso: “Se c’è un incidente o un attacco in Ucraina con armi biologiche o chimiche, c’è qualche dubbio nella tua mente che ci sia un 100 % di possibilità che i russi siano responsabili? Naturalmente lei risponde che non ci sono dubbi. Eppure non c’è assolutamente alcuna indicazione che i russi stiano usando tali armi. Inoltre, i russi hanno finito di distruggere le loro scorte nel 2017, mentre gli americani non le hanno ancora distrutte…

Forse questo non significa niente. Ma nello stato d’animo attuale, tutte le condizioni sono soddisfatte perché si verifichi un incidente, che potrebbe spingere gli occidentali a impegnarsi maggiormente, in una forma o nell’altra, nel conflitto ucraino (incidente “sotto falsa bandiera”).

https://centrostudistrategicicarlodecristoforis.wordpress.com/2022/03/30/jacques-baud-come-procedono-le-operazioni-in-ucraina/?fbclid=IwAR0FfLnjq3cwbEGDZsGC8f3Go_v9Sm077Mkk-nWp72NWXv3j_-pSouVkv8E

La Grande Post Guerra Fredda AmericanThinkers sulle relazioni internazionali di gilbert doctorow

La Grande Post Guerra Fredda AmericanThinkers sulle relazioni internazionali

di gilbertdoctorow

I grandi pensatori americani del dopoguerra sulle relazioni internazionali è il titolo del mio primo libro di saggi. Pubblicato nel 2010, ha una notevole utilità per capire dove siamo oggi nelle relazioni con la Russia, come e perché un Nuovo Ordine Mondiale si sta formando davanti ai nostri occhi e dove siamo diretti.

In quanto storico di formazione, ero stato a lungo scontento del modo in cui i politologi americani cercavano nella storia delle “lezioni” a sostegno delle loro ultime proposte per la politica estera del paese. Questa pratica era tanto più in vista durante gli anni ’90, nel periodo immediatamente successivo al crollo dei regimi comunisti in tutta l’Europa centrale e orientale, arrivando infine all’URSS. Gli accademici più conosciuti d’America, e anche alcuni aspiranti accademici meno conosciuti, hanno prodotto opere che avevano lo scopo di informare un pubblico confuso e anche di guidare i responsabili politici nelle più alte cariche del paese. Fornivano mappe stradali per il nuovo mondo che ora non era più diviso fino al midollo da una frattura ideologica e che non era più bipolare, ma sembrava invece unipolare, con gli Stati Uniti come unica superpotenza globale ed egemone rimasta.

Ho letto alcuni dei loro lavori, sono rimasto scandalizzato dalla lavorazione scadente e ho deciso di agire come storico chiamando all’ordine colleghi professionisti in una disciplina correlata.

Considerando i risultati della mia dissezione degli scritti degli anni ’90 e dell’inizio del nuovo millennio dei nomi affermati nel campo, alcuni lettori del mio libro hanno deciso che non ero sincero nel designarli come “grandi”. Tuttavia, il mio parametro non era il valore intrinseco dei loro scritti, ma il grado di influenza che esercitavano sulla professione e nella comunità della politica estera in generale. C’era poco da cavillare sulle mie scelte. Francis Fukuyama, Samuel Huntington, Zbigniew Brzezinski, Henry Kissinger e Noam Chomsky erano tutti ben noti al pubblico per diversi scaffali di opere che hanno avuto un interesse duraturo fino ad oggi. I nomi meno conosciuti nel mio “big ten” erano Joseph Nye, Stanley Hoffmann, G. John Ikenberry e Robert Kagan. Erano riempitivi per dare al mio volume abbastanza volume. Non mi scuso per averli inclusi perché erano ancora ineludibili nel 2010 anche se il loro valore residuo oggi è spesso trascurabile. Con un’eccezione, ovviamente, Kagan. Sarei negligente non menzionare che è il marito di Victoria Nuland, con la quale ha condiviso una visione del mondo neoconservatrice che ha contribuito a definire.

Il più forte degli autori nella mia lista erano pensatori complessi, e ci sono voluti tutti i miei sforzi per ottenere la mia mente intorno a loro per produrre un’analisi critica, incluso da dove hanno “preso in prestito” molte delle loro idee, cosa c’era di sbagliato nelle fonti e cosa è rimasto sbagliato nelle loro rielaborazioni.

Il più originale del lotto era Francis Fukuyama. Il suo Fine della storia (1992) è stato seminale, nel senso che gli altri “grandi” hanno scritto in risposta alla sua sfida, anche se non hanno mai riconosciuto il suo lavoro per nome. Il libro di Fukuyama stabiliva i principi che erano incorporati nel movimento neoconservatore. Ha sostenuto che con la sconfitta del comunismo, l’intera umanità era ora diretta nella stessa direzione verso la democrazia liberale e il libero mercato. Era un unico binario lungo il quale si stendevano tutte le nazioni della terra, chi davanti alla locomotiva, chi dietro. Con la direzione della storia chiaramente delineata da Fukuyama, è stato un piccolo passo per i Neoconservatori esortare il governo degli Stati Uniti ad accelerare i processi storici con un intervento diretto. Quando questo finì con la sfortunata invasione dell’Iraq, Fukuyama abbandonò la nave e lasciò il movimento. Ma non è mai andato molto lontano, ed è chiamato ancora oggi come esperto di affari internazionali a commentare il disastro che attende Putin dalla sua guerra all’Ucraina. Questo è stato l’argomento principale della sua intervista la scorsa settimana al programma Hard Talk della BBC. Persone molto intelligenti come Fukuyama si allontanano indenni dai relitti del treno.

Zbigniew Brezinski è ormai morto da tempo (2017) ma la sua voce si sente ancora. Nelle ultime settimane molti dei nostri commentatori citano il passaggio del libro più venduto di Brzezinski, Grand Chessboard (1997), in cui spiega l’importanza decisiva dell’Ucraina nel mantenimento o nella perdita della posizione della Russia come impero europeo. Naturalmente, c’è molto di più in quel libro delle due righe citate oggi. Racchiudeva un’intera visione del mondo che era profondamente anti-russa, proprio come lo era stata la carriera di Brzezinski quando si trasferì dalla sua cattedra universitaria per diventare consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter.

Brzezinski è stato l’autore del piano per attirare l’Unione Sovietica in un’invasione dell’Afghanistan nel dicembre 1979 e poi per fornire supporto statunitense ai guerrieri islamici che combattono l’URSS, che, a lungo termine, ha logorato lo stato sovietico e ha contribuito alla sua scomparsa. Ci sono molti a Washington che sperano in risultati simili dal sostegno americano agli ucraini nella loro guerra con la Russia, un’altra guerra che gli Stati Uniti hanno in gran parte pianificato.

Il nome di Brzezinski non è stato menzionato nei numerosi necrologi dell’ex segretario di Stato Madeleine Albright, morta la scorsa settimana. Tuttavia, era stato il suo mentore durante i suoi studi universitari e sono rimasti in stretto contatto quando è salita alle alte cariche. Brzezinski ha accettato un incarico da Albright per assistere i piani per la costruzione di oleodotti e gasdotti dall’Asia centrale all’Europa, costeggiando il territorio della Federazione Russa, con l’intento di ridurre le entrate russe e il controllo sugli idrocarburi globali.

Non sarebbe esagerato dire che le opinioni anti-russe di Brzezinski sono state assorbite dal latte di sua madre. Sebbene sia considerato una cattiva forma nella vita politica americana attirare l’attenzione su nascita, etnia e simili, al momento della sua nomina a consigliere per la sicurezza nazionale c’erano un certo numero di seri professionisti che mettevano in dubbio la saggezza di nominare un patriota polacco, figlio di un diplomatico polacco, a partecipare al processo decisionale ad alto livello che coinvolge la politica nei confronti della Russia, visti i diversi secoli di cattivo sangue tra questi paesi e popoli.

Gli scritti di Henry Kissinger erano sicuramente i più difficili da padroneggiare. Si è laureato ad Harvard una summa cum laude e lo senti. Quando stavo scrivendo la mia analisi del suo capolavoro Diplomacy (1994) sono andato alla pagina amazon.com per il libro e ho esaminato i commenti dei lettori, cercando di catturare il vox populi . Un commento spiccava: “Scrive molto bene per un criminale di guerra”.

In effetti, in passato era opinione diffusa che Kissinger avesse trascorso la seconda metà della sua vita a espiare i peccati della prima metà. Il suo ruolo nel perseguire la brutta guerra criminale in Vietnam è stato il principale peccato del passato. Dagli anni ’90 in poi, si presumeva che Kissinger agisse come uno degli “uomini saggi” dando prospettiva e intuizioni a coloro che facevano politica estera, compresi i presidenti. E quando viene citato oggi, è comune indicare le sue dichiarazioni dopo il 2008 in cui sconsigliava di estendere l’adesione alla NATO all’Ucraina. Tuttavia, questo per ignorare ciò che ha fatto e detto negli anni ’90. Kissinger e Brzezinski hanno entrambi testimoniato a Capitol Hill nel periodo 1994-1996, quando l’America ha preso una decisione sull’espansione della NATO e sulle relazioni con la Federazione Russa in futuro. All’epoca Kissinger si era opposto fermamente all’inclusione della Russia nella NATO, addirittura contrario all’inclusione della Russia nel programma molto diluito del Partenariato per la Pace. La NATO doveva essere sacrosanta.

Nel 2008, quando Stati Uniti e Russia si avviarono verso la guerra per l’incursione russa in Georgia ad agosto, Kissinger era un attore di primo piano nel gruppo di alti uomini di stato che misero insieme un documento su come riavviare le relazioni con Mosca. Il documento è stato consegnato al team della campagna di Barack Obama ed è stato implementato all’inizio del 2009 come “Re-set”. Tuttavia, quel piano in realtà non metteva in dubbio i dati dell’egemonia globale degli Stati Uniti e richiedeva solo una migliore retorica quando si trattava del Cremlino. Questo qualifica a malapena Kissinger per crediti per compensare i suoi peccati passati.

Kissinger è stato benedetto dalla longevità. Il mese prossimo sarà un relatore in primo piano in un grande evento pubblico ospitato dal Financial Times . Possiamo aspettarci che resista alla crisi ucraina. Per i lettori dei miei grandi pensatori americani del dopoguerra fredda , sarà difficile trattenere gli scherni.

Infine, vorrei citare qui Samuel Huntington, un politologo che oggi è meno ricordato dei primi tre precedenti, ma la cui visione del presente e del futuro esposta nel suo Clash of Civilizations ( 1996) ha avuto una grande influenza sul pensiero sul mondo in un’intera generazione di americani e altri in tutto il mondo.

Il libro di Huntington è diventato un best seller dopo l’ attentato dell’11 settembre al World Trade Center. L’autore sembrava prevedere la lotta titanica tra l’Occidente e il terrore islamico, e tutti erano ansiosi di leggerlo. Ma il libro non si limitava al conflitto con l’Islam. Huntington aveva una serie completa di “civiltà” che presumibilmente stavano lottando per la posizione. Tra questi troviamo l’Ortodossia orientale, di cui la Russia è il caso eccezionale. A questo proposito, il lavoro rimane attuale fino ad oggi.

Detto questo, Clash of Civilizations era un’opera piuttosto scadente che doveva molto allo Study of History di Arnold Toynbee per il concetto generale e ai giovani assistenti di ricerca di Huntington per i numerosi scenari che costituiscono la maggior parte del libro.

Ho ricordato le idee semicotte di quei giovani ricercatori che non avevano alcuna esperienza mondana quando ho scambiato e-mail questa mattina con il mio buon amico Ray McGovern e ha chiesto i miei pensieri su una recente intervista rilasciata dal professore emerito del MIT Ted Postol. Postol rimproverava i giovani “punk” che sembrano popolare i ranghi dei consiglieri di Joe Biden. Quello che mancava a Postol è che esattamente ragazzi come questi facevano sempre il lavoro sporco nelle scienze politiche. Tanta creatività, zero competenza. Erano sicuramente il tipo di persone che nel 2008 hanno detto di lasciar andare Lehman, perché avrebbe avuto un effetto salutare sull’assunzione di rischi da parte degli speculatori. Ignoravano i disastri che li attendevano allora, proprio come coloro che oggi formulano la politica delle sanzioni contro la Russia ignorano il contraccolpo a venire.

Naturalmente, nessuna nazione ha il monopolio della stupidità e dell’ignoranza dell’economia. La “leadership” dell’Unione europea sta facendo del suo meglio per mantenere la sua posizione in questo senso. Se tra tre giorni gli Stati membri dell’UE seguiranno le severe istruzioni di Gauleiter von Leyen e rifiutano la richiesta russa di pagare il loro gas in rubli acquistati sul mercato interno russo, ne seguirà il caos economico. Quel dannato sciocco, ginecologo di formazione, sta dicendo a tutta l’UE cosa fare in un settore vitale del commercio. La sua posizione equivale a un’incredibile usurpazione di poteri da parte di un guerrafondaio.

L’Occidente è puntato verso il basso, come quel Boeing 737 precipitato in Cina la scorsa settimana. Dritto e accelerando.

©Gilbert Doctorow, 2022

PUPAZZI E PUPARI_di Pierluigi Fagan

PUPAZZI E PUPARI.

Alla sua elezione nel 2019, Zelensky ricevette un caldo benvenuto da parte di una organizzazione che si chiama: UKRAINE KRISIS M.C. Questi, pubblicarono una lunga lista di “linee rosse” che il nuovo presidente non avrebbe dovuto oltrepassare, pena la perdita di consenso internazionale occidentale che vale a due livelli: il grande pubblico, il piccolo vertice dei “portatori di interesse” ovvero governi e loro diramazioni, tra cui i finanziatori, protettori, armatori della giovane democrazia ucraina. Il documento era sottoscritto da una lunga lista di organizzazioni ucraine e non che troverete in fondo al testo. Il movente era dato dal fatto che su quel primo mese di governo del neo-presidente, eletto su una piattaforma anti-corruzione e di relativa pacificazione con la Russia, l’organizzazione aveva da ridire allarmata. Tanto da scrivergli non dei ragionamenti politici o punti di vista legittimi, ma una chiara lista della spesa di “linee rosse”, da non superare in alcun modo, un diktat insomma, l’oggetto di un contratto.

1. CHI FINANZIA L’UKRAINE KRISIS? L’elenco completo è nell’allegato. Segnaliamo con distinzione: International Renaissance Foundation (IRF membro del network Open Society Foundation di George Soros); il National Endowment for Democracy (una stella di primaria grandezza della galassia di fondazioni ed ONG americane tese a “promuovere” con ogni mezzo la democrazia ed il mercato, non l’una o l’altro ma l’abbinata perché controllando il mercato si controlla la democrazia); la NATO; istituzioni della Lega del Nord Europeo-Anglosassoni (olandesi, svedesi, norvegesi, finlandesi, polacchi, canadesi, estoni, cechi, tedeschi ed americani a capo di tutto).

2. QUALI ERANO LE LINEE ROSSE DA NON OLTREPASSARE SEGNALATE A ZELENSKY? Una selezione delle tante cose che il neo-Presidente NON avrebbe dovuto fare pena a perdita di finanziamenti e protezione comprendeva:

– Consultare il popolo con appositi referendum per decidere come negoziare con la Russia.

– Fare negoziati diretti con la Russia senza i partner occidentali

– Cedere qualsivoglia punto nei negoziati con la Russia sulle varie questioni (NATO, Donbass, Crimea, allineamento internazionale etc.) non cedere neanche un millimetro di territorio, non riconoscere a Mosca alcun punto per il quale l’Occidente ha elevato sanzioni alla Russia (Crimea).

– Ritardare, sabotare o rifiutare il corso strategico per l’adesione all’UE e alla NATO

– Ripensare la legge sulla lingua, l’ostracismo a media e social media russi, dialogare coi partiti di opposizione filo-russi (poi di recente messi direttamente fuori legge, sono 11), venire a patti politici con precedenti figure coinvolte nel governo Janukovich (democraticamente eletto e rovesciato col colpo di Stato del 2014), lanciare operazioni giudiziarie contro il governo precedente di Poroshenko (appoggiato dagli stessi firmatari) contro il quale Zelensky vinse le elezioni con il 30%.

Il documento è regolarmente on line. Datato 23 maggio 2019 (il secondo turno delle elezioni ucraine che elessero a sorpresa Zelensky era il 21 aprile, un mese prima). L’ho trovato seguendo un semplice link della pagina Wiki del IRF di Soros. Tempo di ricerca 2 minuti.

Si noterà in tutta evidenza che pur essendo del 2019, tocca gli stessi punti a base oggi del conflitto e relative, impossibili, trattative di pace. Se ne volgete il testo dal negativo al positivo, è in pratica buona parte della piattaforma 3+2 avanzata dai russi per risolvere il conflitto.

Io non sono un giornalista ma come studioso faccio certo ricerche per comprendere gli eventi. Ma evidentemente “fare ricerche” per inquadrare fenomeni non è giudicato necessario nel regime democratico di mercato, viepiù dalla sua “libera stampa”. Ma io non sono un “democratico di mercato”, sono un democratico radicale cioè uno che pensa che la democrazia dovrebbe essere l’ultima istanza di decisione politica di una comunità.

La giovane “democrazia” ucraina è sovrana o condizionata? Condizionata da chi ed a quali fini geopolitici? Da quanto tempo? Nell’interesse ucraino deciso da ucraini o nell’interesse di chi altro, deciso da chi altro, veicolato con quali modalità “democratiche”? Cosa sanno gli ucraini nei vasti numeri del perché sono stati invasi da una forza armata del temuto vicino con il quale avevano un longevo e complicato contenzioso, stante che va ripetuto che -per quanto per noi ovvio- non c’è “diritto” formale che giustifichi che uno Stato invada l’altro armato? Ma l’elenco delle linee rosse non era poi, per buona parte, il contenuto dei vaghi “Accordi di Minsk II”? Ed a Francia e Germania che sovraintendevano quegli accordi, ciò era ed è noto o no? E cosa succede nei fatti bruti e non sul piano del diritto formale, quando si crea una situazione di questo tipo? Le migliaia di morti e milioni di profughi che fuggono dalla propria precedente vita ora in macerie, vedono migliorata la propria posizione esistenziale dal fatto che il piano del diritto formale condanna senza appello questi eventi che tanto si producono lo stesso sul piano del realismo concreto? E converrebbe oggi agli ucraini basarsi sul diritto formale o sul realismo concreto per tentare risolvere la situazione? E siamo sicuri che la giovane democrazia ucraina possa, se lo volesse, agire sul piano del realismo concreto quando i suoi sponsor necessari (ricordo che l’Ucraina, prima della guerre era al 133° posto per Pil pro capite, mentre oggi è sostanzialmente uno stato fallito tenuto in vita dai finanziamenti americani ed europei) vogliono solo che rimanga l’eterno testimonial dell’infrazione russa del diritto formale? Per cui non c’è alcuna “pace” possibile, perché non è questa nell’interesse degli sponsor? E come giudichiamo questi sponsor che per proprie mire geopolitiche sacrificano uomini, donne e bambini ancorché questi vittime in prima battuta dei russi? E come agiscono questi sponsor della democrazia di mercato in Italia e non solo nei recenti “tempi speciali”, ma nei tempi normali dei decenni della nostra vita democratica post-bellica? Ed in Francia? Ed in Germania?

E’ quando i più sembrano avere incrollabili certezze di giudizio che conducono all’azione, che occorre farsi qualche domanda.

https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/03/29/pupazzi-e-pupari/

Stati Uniti Russia! Stillicidio o scontro frontale_con Antonio de Martini

I momenti di attrito suscitano solitamente livelli di allarme tali da paventare l’arrivo di eventi estremi. Il sistema mediatico è solitamente il grande veicolo di queste dinamiche e di tali rappresentazioni della realtà. Con il conflitto russo-ucraino, parte ormai di un confronto russo-sino-statunitense sempre più acceso, si è aperta una nuova e più dirompente tappa nelle dinamiche geopolitiche. Una accelerazione che richederà, però, ulteriori passaggi prima che possa passare eventualmente ad uno scontro aperto e distruttivo, fermo restando il ruolo soggettivo degli attori in grado di imprimere e forzare il corso degli eventi. Spesso si confondono i proclami e le intenzioni con la realtà e le concrete possibilità. E’ il caso della fondatezza delle aspirazioni di autonomia ed indipendenza politica delle classi dirigenti dei paesi europei. Un equivoco ed una illusione che la sempre maggior durezza dei fatti cui si andrà incontro renderà un sapore amaro alla vita di gran parte dei popoli europei. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vyugm9-stillicidio-o-scontro-frontale-con-antonio-de-martini.html

REALTA’ PARALLELA E REALTA’ DELLA GUERRA II parte, di Roberto Buffagni

REALTA’ PARALLELA E REALTA’ DELLA GUERRA

Seconda parte

 

Nella prima parte[1],  ho sintetizzato i punti essenziali dall’operazione di guerra psicologica condotta dall’Occidente nell’ambito delle ostilità tra Russia e Ucraina, volta alla creazione di una vera e propria Realtà Parallela.

In questa seconda parte, delineo – anche qui, sintetizzando con la massima brevità – i fondamenti culturali e ideologici sui quali la campagna di guerra psicologica fa leva, e aggiungo alcune considerazioni. Ho già anticipato alcuni dei temi che qui toccherò[2].

  1. I fondamenti culturali su cui fa leva la Realtà Parallela e che la rendono persuasiva per la maggioranza degli occidentali sono: a) il liberal-progressismo b) l’universalismo politico.
  2. Liberal-progressismo. Il liberalismo si fonda sui “diritti inalienabili dell’individuo”. Postula dunque che l’intera umanità è composta da individui, tutti eguali in quanto dotati dei medesimi “diritti inalienabili”. La relazione di interdipendenza tra l’individuo e gli altri individui, tra l’individuo e la comunità politica, tra l’individuo e la dimensione trascendente viene omessa o, nel linguaggio lacaniano, forclusa: anche perché famiglia, comunità politica, Dio sono le ragioni e le bandiere del primo avversario storico del liberalismo classico, l’alleanza Trono-Altare ossia la Cristianità europea.
  3. Il liberalismo classico si propone di difendere i “diritti inalienabili dell’individuo” dall’intromissione dell’autorità statale ed ecclesiastica, e dunque intende limitare al massimo i poteri dello Stato, che idealmente deve divenire lo Stato “guardiano notturno”, il cui solo compito è la difesa della vita e della proprietà dei cittadini.
  4. Dopo la vittoria contro i suoi avversari storici premoderni, il liberalismo si propone di realizzare nell’effettualità storica i “diritti inalienabili dell’individuo”, e ne affida il compito allo Stato, l’unico agente che disponga delle capacità tecniche e della forza coercitiva necessarie. Gli Stati liberali dunque imprendono grandi campagne di ingegneria sociale, volte a realizzare nell’effettualità storica i “diritti inalienabili dell’individuo”. Questa opera di ingegneria sociale viene identificata con la promozione del “progresso dell’umanità”. La prima formulazione teorica coerente del progetto si deve al grande sociologo positivista francese Auguste Comte.[3] Nasce il “liberal-progressismo”.
  5. Dopo l’ancien régime, il liberalismo classico prima, il liberal-progressismo poi, incontrano un nuovo avversario storico: il movimento operaio, nelle sue varie manifestazioni politiche, dal socialismo democratico al comunismo marxista e poi leninista. Le differenze di contenuto ideale tra liberalismo classico, liberal-progressismo, socialismo e comunismo sono profonde e note. Liberal-progressismo, socialismo e comunismo, però, concordano su tre punti: il ruolo dello Stato come primo agente della trasformazione sociale, il “progresso” come fine, e l’ampiezza globale del progetto ideale, storico e politico, che può e quindi deve interessare tutto il mondo e l’intera umanità.
  6. Liberal-progressismo, socialismo e comunismo hanno infatti, nonostante le profonde differenze e l’asperrimo conflitto che li divide, un minimo comun denominatore: l’universalismo politico.
  7. Universalismo politico. L’universalismo è una cosa sul piano delle idee, dei valori, della spiritualità. Il cristianesimo, per esempio, è universalista al 100%: “«Non c’è più giudeo né greco; non c’è piùschiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal.3,28). L’universale, eguale dignità di tutti i singoli uomini in quanto imagines Dei, però, non implica necessariamente la realizzazione nell’effettualità storica di questa eguaglianza, che è anzi un fine escatologico, non storico. Le differenze tra i singoli, le culture, le lingue, i costumi permangono sino alla fine del mondo, come illustrato dal racconto biblico della Torre di Babele. In termini filosofico-teologici, la giustificazione del permanere delle differenze in tutto il tempo storico viene brillantemente articolata dal Dottore della Chiesa Nicola Cusano[4] nel suo De docta ignorantia (1440): “La verità non ha né gradi, né in più né in meno, e consiste in qualcosa di indivisibile. Perciò l’intelletto, che non è la verità, non riesce mai a comprenderla in maniera tanto precisa da non poterla comprendere in modo più preciso, all’infinito, ed ha con la verità un rapporto simile a quello del poligono col circolo: il poligono inscritto, quanti più angoli avrà, tanto più risulterà simile al circolo, ma non si renderà mai uguale ad esso, anche se moltiplicherà all’infinito i propri angoli, a meno che non si risolva in identità col circolo.”
  8. Se tradotto sul piano politico, l’universalismo non può che incarnarsi in forze inevitabilmente particolaristiche: perché esistono solo quelle, nella realtà storica. Al tempo della Cristianità europea, si incarna nelle potenze cristiane che sconfiggono, conquistano e convertono a forza popolazioni non cristiane.
  9. L’azione politica, infatti, implica sempre il conflitto con un avversario o un nemico (l’endiadi amico/nemico è l’essenza del Politico, secondo Schmitt[5] e Freund[6]).
  10. Senza conflitto, senza nemico/avversario non c’è alcun bisogno di politica, basta l’amministrazione: “la casalinga” può dirigere lo Stato, come Lenin diceva sarebbe accaduto nell’utopia comunista.
  11. A questa contraddizione insolubile si può (credere di) sfuggire solo postulando come certo e autoevidente l’accordo universale, se non presente almeno futuro, di tutta l’umanità.
  12. Il progetto del liberal-progressismo è la realizzazione nell’effettualità storica dei “diritti inalienabili dell’individuo”. Esso ritiene che l’intera umanità sia composta da individui, tutti eguali tra di loro in quanto dotati dei medesimi “diritti inalienabili”. La relazione di interdipendenza tra l’individuo e gli altri individui, tra l’individuo e la comunità politica, tra l’individuo e la dimensione trascendente viene omessa. La logica interna del progetto liberal-progressista conduce dunque alla graduale affermazione di un “governo mondiale” liberal-progressista che garantisca e realizzi nell’effettualità storica i “diritti inalienabili” di tutti gli individui, in quanto tali componenti l’universale umanità.
  13. Su questo progetto di “governo mondiale” il liberal-progressismo postula l’accordo, se non presente, almeno futuro, dell’intera umanità. Che altro potrebbero volere se non questo, gli individui, non appena gli venga fatto intendere quali sono i diritti inalienabili che gli appartengono, e il loro interesse a che siano realizzati storicamente per tutti loro?
  14. La realizzazione storica di un “governo mondiale” porrebbe termine alla logica di potenza. La logica di potenza, infatti, ossia l’incessante conflitto tra entità politiche che, per garantire la propria sicurezza, inseguono la potenza e la supremazia, scaturisce dall’anarchia del sistema-mondo. Sinora, nel mondo non è mai esistito un giudice terzo dotato della legittimazione e della forza di coercizione necessarie a comporre le controversie tra le potenze e garantire l’applicazione universale della giustizia. Le potenze devono risolvere da sé, con la forza e l’astuzia – come “leoni” o “volpi” nella classificazione machiavelliana – le controversie che le contrappongono e generano i conflitti.
  15. Il “giudice terzo” che pone termine alla logica di potenza e garantisce la giustizia universale può essere solo un “governo mondiale”.
  16. In questa immagine utopica di fine della logica di potenza e realizzazione della concordia universalis si vede chiaro che l’universalismo politico è il minimo comun denominatore tra liberal-progressismo, socialismo e comunismo. Il futuro “governo mondiale” liberal-progressista, che pone termine alla logica di potenza, è analogo alla “uscita dalla preistoria dell’umanità” marxista e alla “casalinga che dirige lo Stato” leninista. Come recita l’inno del movimento operaio otto e novecentesco, “Su, lottiamo! l’ideale/ nostro alfine sarà/l’Internazionale/ futura umanità!“. Si tratta insomma di progetti utopistici, che trasferiscono sul piano storico fini escatologici; o casi di gnosticismo politico, nell’interpretazione del filosofo della politica Eric Voegelin[7].
  17. Le correnti di pensiero e le culture politiche che risalgono vuoi al liberal-progressismo, vuoi al socialismo e al comunismo, le ideologie insomma genericamente definite “di sinistra” e “democratiche”, che sono largamente egemoni nell’Occidente, si incontrano dunque su questi punti fondamentali: a) progressismo b) diritti inalienabili dell’individuo identici per tutta l’umanità c) disvalore etico della logica di potenza d) valore etico positivo della concordia universalis, e sua realizzabilità o a mezzo “governo mondiale” (liberal-progressismo) o a mezzo “uscita dalla preistoria dell’umanità” (comunismo).
  18. Quanto esposto al punto precedente costituisce la condizione necessaria, anche se non sufficiente, perché risulti persuasiva l’operazione di guerra psicologica volta alla creazione di una Realtà Parallela di cui stiamo parlando. (Noto per inciso che la creazione di “realtà seconde” o, nella mia formulazione, “parallele”, è caratteristica di tutti gli gnosticismi politici, nell’interpretazione di Eric Voegelin; come illustrato plasticamente nel romanzo di Heimito von Doderer I demoni. Dalla cronaca del caposezione Geyrenhoff[8])
  19. Dopo la vittoria sui fascismi prima, sul comunismo poi, il liberal-progressismo americano può fondare un ordine internazionale unipolare liberal-progressista, che, per sua logica interna, tende alla creazione di un governo mondiale a guida statunitense (“globalizzazione”) e si propone come obiettivi strategici il progresso dell’umanità, la realizzazione storica dei diritti inalienabili degli individui, la concordia universalis. Gli ostacoli a questo progetto strategico – le differenze culturali ed etiche, i residui particolaristici e oscurantisti di precedenti e/o diverse culture, le sovranità statuali che vi si contrappongano, possono e dunque devono essere rimosse, con la persuasione (il “soft power”) o con la forza (lo “hard power”). A giustificazione di questa azione uniformante e universalizzante e dei suoi costi umani, l’estrema, autoevidente, decisiva importanza del fine strategico ultimo: la realizzazione nell’effettualità storica della pace, della concordia universalis.
  20. Gli Stati Uniti d’America, dunque, in quanto egemoni mondiali privi di competitori pari grado, e in quanto guide di questo maestoso progetto storico-ideale, rivestono anticipatamente, sin d’ora, il ruolo che sono destinati ad assumere in futuro, una volta compiuta l’opera: il ruolo di giudice terzo del mondo, garante della fine dei conflitti politici e della concordia universalis.
  21. Ne consegue logicamente che chiunque, persona o Stato, si opponga agli Stati Uniti d’America, non è semplicemente un loro avversario o nemico politico, ma si rende responsabile di un gravissimo crimine contro l’umanità. Egli viola infatti la sola legge – legge non ancora scritta, ma che un giorno destinato a sorgere sarà scritta nel diritto positivo e applicata nell’ effettualità storica – che possa por termine ai conflitti devastanti che per millenni hanno insanguinato il mondo, e inaugurare la pace, il progresso senza limiti dell’umanità, la concordia universalis.
  22. In attesa di rivestire effettualmente il ruolo di “giudice terzo del mondo”, gli Stati Uniti ne sono il “benign hegemon”. Queste persuasioni non sono, o non sono soltanto, banali travestimenti cinici della logica di potenza. Gli Stati Uniti hanno creduto sinceramente in questo loro ruolo destinale e nella realizzabilità del grande progetto liberal-progressista. Lo dimostrano scelte strategiche quali la politica di “engagement” nei confronti della Cina. La ratio della politica di engagement USA con la Cina è il seguente: favorendo lo sviluppo economico cinese, trasformeremo la Cina in un paese liberal-progressista, dunque in un pacifico partner degli USA che collaborerà alla globalizzazione e pacificazione del mondo. Secondo logica di potenza, invece, con la disgregazione dell’URSS cessava ogni interesse statunitense all’alleanza con la Cina, che il presidente Nixon stipulò negli anni Settanta in funzione antisovietica. La scelta di favorire lo sviluppo economico della Cina è una scelta autolesionista, un errore strategico di prima grandezza perché la potenza economica è “potenza latente” destinata a trasformarsi in “potenza manifesta” ossia potenza militare: come è in effetti avvenuto.
  23. Il sorgere di due grandi potenze, Cina e Russia, mette oggettivamente fine, nell’effettualità storica, all’ordine internazionale unipolare a guida statunitense. Non mette però fine alla volontà statunitense di preservarlo e riaffermarlo; riaffermando, con esso, il proprio ruolo destinale di “giudice terzo del mondo” e il grande progetto ideologico e utopico che vi si collega.
  24. Non è la logica di potenza a rendere intollerabile per gli Stati Uniti l’intervento militare russo in Ucraina. L’Ucraina è un interesse vitale russo, ma non lo è per gli Stati Uniti. La Russia non può usare l’Ucraina come “cancello” per espansioni imperiali ai danni degli alleati europei degli USA, perché entrerebbe in conflitto con la NATO e non dispone dei requisiti di potenza sufficienti per espansioni imperiali in Europa; dunque la Russia non minaccia l’egemonia statunitense sull’Europa.
  25. L’intervento militare russo in Ucraina è assolutamente intollerabile per gli Stati Uniti perché manifesta la fine dell’ordine internazionale unipolare, e smentisce la pretesa statunitense di esser già, in nome del destino che incarnano, i giudici terzi del mondo.
  26. Infatti, che giudice del mondo è mai, un giudice che non dispone della forza coercitiva necessaria per applicare le sue sentenze? È un “profeta disarmato”, come Machiavelli definì Gerolamo Savonarola. E gli Stati Uniti effettivamente non dispongono della forza coercitiva per applicare la loro sentenza di condanna della Russia, per l’unico motivo che la Russia dispone di seimila testate nucleari e, se attaccata dagli Stati Uniti, li può incenerire. Fiat iustitia, et pereat mundus?
  27. La logica di potenza – l’antica, premoderna, oscurantista logica di potenza – incompatibile con il progresso dell’umanità, e con gli Stati uniti d’America suoi rappresentanti nel mondo, si mette di traverso, come pietra di scandalo, al grande progetto storico-ideologico di realizzazione della pace e della concordia universalis.
  28. Perché l’intervento militare russo in Ucraina risponde esclusivamente alla logica di potenza. La Russia attacca l’Ucraina per difendersi da una potente alleanza militare straniera e impedire che essa si insedi ulteriormente ai suoi confini, al fine di garantire la propria sicurezza: e basta. L’azione russa è conforme alla logica di potenza perenne, come si esprime, ad esempio, nella dottrina Monroe[9]. Attaccando l’Ucraina, la Russia non “ha ragione” e non afferma i “principi universali” che difendono gli Stati Uniti[10]. La Russia si limita ad avere “le sue ragioni” e i suoi interessi: interessi e ragioni particolari, parziali, propri, russi, ossia la difesa della sicurezza e dell’integrità statuale della Russia; e ovviamente, anche della differenza culturale del suo popolo. Queste ragioni e questi interessi russi confliggono con le ragioni e gli interessi ucraini (difesa della propria sovranità, indipendenza, integrità territoriale, differenza culturale) e l’esito del conflitto verrà deciso dalla forza e dall’astuzia, dalle “volpi” e dai “leoni” di Machiavelli.
  29. Nella prima parte di questo scritto, distinguevo così la Realtà Parallela dalla realtà: “La Realtà Parallelaè dove muoiono solo gli altri. La realtà è dove muori anche tu, dove muoio anche io.” Nella realtà, gli Stati Uniti, giudice terzo del mondo incaricato dal destino di realizzarvi la concordia universalis, non possono applicare la sentenza di condanna che hanno emesso contro la Russia, perché morirebbero anch’essi. Creano dunque una Realtà Parallela in cui questa condanna viene applicata, e dove muoiono solo gli altri: per esempio, gli ucraini; e forse anche gli europei.
  30. Per concludere. Per non lasciarsi catturare dalla Realtà Parallela bisogna rendersi conto che il maestoso progetto utopico di governo mondiale e realizzazione storica della concordia universalis è errato in radice, chiunque lo promuova e voglia incarnarlo. Esso è una traslazione sul piano storico di un fine escatologico, la Città di Dio: ma la realizzazione della Città di Dio risponde a un’altra logica, la logica della Croce. In essa, il confine tra il bene e il male non passa lungo le frontiere politiche, ma nel cuore di ogni uomo. In attesa della Città di Dio, compito della politica non è redimere il mondo ma “antivedere il peggio, e sventarlo” (Julien Freund): ossia, porre limiti all’ingiustizia e al male. Per farlo, è indispensabile comprendere la logica di potenza, che continua a operare fino alla fine del mondo. Può anche essere utile la paura, l’umile paura di morire che provò anche Gesù Cristo nel Getsemani e sulla croce. Quando abbiamo paura di morire, possiamo star certi che siamo al cospetto della realtà.

 

[1] https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-ucraina_guerra_psicologica_delloccidente_e_le_realt_parallele_prima_parte/39602_45756/

https://italiaeilmondo.com/2022/03/27/realta-parallela-e-realta-della-guerra-i-parte_di-roberto-buffagni/

[2] https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-guerra_in_ucraina_quale__la_posta_in_gioco_culturale/39602_45639/

https://italiaeilmondo.com/2022/03/17/guerra-in-ucraina-qual-e-la-posta-in-gioco-culturale_di-roberto-buffagni/

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Auguste_Comte

[4] https://it.cathopedia.org/wiki/Nicola_Cusano

[5] https://www.filosofico.net/schmitt.htm

[6] https://fr.wikipedia.org/wiki/Julien_Freund

[7] https://www.filosofico.net/voegelin.htm

[8] Die Dämonen: Nach der Chronik des Sektionsrates Geyrenhoff (1956) https://en.wikipedia.org/wiki/Heimito_von_Doderer

[9] https://www.treccani.it/enciclopedia/james-monroe_%28Enciclopedia-Italiana%29/#:~:text=La%20dottrina%20di%20Monroe.,politica%20estera%20del%20suo%20paese.

[10] https://www.state.gov/briefings/department-press-briefing-march-21-2022/?fbclid=IwAR081ZMwV3Hkpqiu3er3_vyMrj6U5pE4RWVqx5Kyaq_vdOofsn_aJKDcrT0

Stati Uniti, Russia, Ucraina! Lapsus e verità_con Gianfranco Campa

Biden potrebbe essere il ventriloquo, la voce della verità in grado di rivelarci le reali intenzioni dei centri decisori statunitensi. Non nelle sue intenzioni ovviamente, piuttosto a causa delle sue condizioni. Nel frattempo il sistema mediatico statunitense sembra essere colto da un sussulto di serietà professionale. Ha ritrovato miracolosamente la memoria e rispolverato vecchie storie compromettenti ai danni del presidente. Amore per la verità, anche la più scomoda oppure protagonismo in un gioco di potere in grado di determinare la preminenza all’interno e le dinamiche geopolitiche all’esterno del paese in direzione di uno scontro sempre più aspro ed azzardato. Un avventurismo che al momento e riuscito a compattare il mondo occidentale al prezzo, però, di una ostilità crescente nel resto del mondo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vyquct-stati-uniti-russia-lapsus-e-verit-con-gianfranco-campa.html

UN MESE DOPO, di Pierluigi Fagan

situazione in Ucraina al 26 marzo secondo il Ministero della difesa francese
Intanto l’Azerbaijan ha attaccato nuovamente il Nagorno-Karabakh. Sarà uno stillicidio_Giuseppe Germinario
UN MESE DOPO. Dopo il primo mese di guerra, oggi siamo forse in grado di fare ipotesi (che comunque tali rimarranno) su come andrà a “finire” il conflitto.
I conflitti dentro il conflitto sono tre. C’è il conflitto “aggressore-aggredito” provocato dall’invasione russa in Ucraina, c’è il conflitto “provocatore-provocato” tra Stati Uniti e Russia che fino ad oggi sono stati i due pari competitor planetari militari avendo più o meno la stessa dotazione nucleare, c’è il conflitto a guida americana “democrazie vs autocrazie” che era il programma di politica estera di Biden alle elezioni, con cui gli americani tentano di bipolarizzare il mondo giocandosi così la loro partita per ritardare l’avvento di un ordine multipolare che ne relativizzerebbero la potenza, la ricchezza, l’influenza.
I tre conflitti non possono intendersi slegati, sono intrecciati assieme e questo ne determina la complessità d’analisi. Ma al contempo, ne facilita la lettura strategica. Sebbene la strategia di comunicazione americana faccia terra bruciata intorno a tutto ciò che non si riferisce all’Ucraina propriamente detta, con questa reiterazione ossessiva del format “aggressore-aggredito”, è proprio fuori del semplice conflitto ucraino che va trovata la chiave strategica.
Ieri terminava il primo mese di guerra e non a caso è terminato con un discorso planetario del presidente americano. Biden ci ha fatto sapere che questo conflitto non terminerà non per mesi ma per anni. Perché?
Ovviamente perché il conflitto basato sul format “democrazie vs autarchie” è su sfondo geopolitico-storico. La battaglia tra mondo uni-bi-polare e mondo multipolare è di fase di transizione storica, non è certo cosa che si svolge in breve tempo. Ed è proprio per comprare tempo che gli USA hanno lanciato questa sfida non appena i russi gli hanno dato l’occasione.
Ma anche il conflitto tra le due superpotenze atomiche, che a sua volta è un conflitto compreso in quello della transizione multipolare ove per gli americani è necessario depotenziare il nemico più temibile sulla scala militare, ha la stessa necessità strategica temporale. Come detto poco tempo fa, c’è chi ha letto l’intera guerra fredda come una lunga pressione tra l’enorme capacità di spesa americana vs le limitate capacità sovietiche. Obbligare l’URSS ad usare sostanze per la chiave militare portava a fallimento economico, sociale e quindi infine, politico e così in effetti è andata.
Oggi, di nuovo, tenere la Russia in conflitto semi-permanente, per anni, ed oltretutto sotto pesanti sanzioni, punta allo stesso effetto. Inclusa la speranza che qualche Elstin, prima o poi sopravvenga a Putin, come ha chiaramente detto ieri Biden, creando un clamoroso incidente diplomatico. Altri conflitti satellite come nel Caucaso, nel centro-Asia, rivolte in Bielorussia, ripresa in Siria, Libia o magari nuovi impegni nei mari polari o di Barents con qualche nave giapponese ed ogni altro teatro strategico in cui è impegnata la Russia, aggraveranno il dilemma tra “risorse sempre più scarse e possibili impeghi alternativi”. Essendo potenza aggressiva ed in guerra, la Russia verrà sospesa dal consesso internazionale e questo depotenzierà l’intero schieramento avversario nel confronto multipolare.
Questi due conflitti si basano su un ancora presente vantaggio di risorse, viepiù oggi che gli USA diventano USA + Resto dell’Occidente + Area larga di influenza occidentale e con un vantaggio di risorse ed un conflitto permanente, c’è solo da far lavorare il tempo a proprio favore, non troppo ma abbastanza.
Naturalmente, tutto ciò non funzionerebbe se non ci fosse l’Ucraina e la sua disponibilità ad immolarsi per la causa. Dal loro punto di vista non è una strategia sbagliata, anzi. Poter esser di fatto la punta di lancia dell’ambiente NATO, anche senza le garanzie protettive dell’art. 5 è la migliore posizione militare possibile per restare vivi nel confronto coi russi, anche se ovviamente tutto ciò al prezzo di migliaia di vittime e distruzione materiale. Sempre meglio che capitolare però. E non si svalutino i vantaggi di esser finanziato ed armato gratuitamente per anni per il duro lavoro che si compirà.
Quindi c’è un aggredito disponibile a continuare il suo ruolo per anni senza arrendersi, su questo il sistema a guida americana investirà per far fallire i russi se non provocare il fatale “regime change”, il tutto imporrà direttamente ed indirettamente la riduzione della transizione di complessità al multipolare in un comodo bipolare dalle mille frizioni periferiche su tanti tavoli (commerciali, economici, finanziari, sanzionatori, giuridici, multilateriali, di scambio scientifico e tecnologico etc.). Non ci sarà un confronto diretto tra Occidente e Multipolari ma uno scontro prolungato in via indiretta in cui i primi faranno pagare prezzi salati a tutti coloro che insistono nelle loro mire di contro-potenza. Tra l’altro, da una parte c’è un sistema con un chiaro leader forte e potente (USA), dall’altra un sistema vago con molti leader tra loro anche in competizione reciproca in altri confronti regionali. Così va letto l’incontro sino-indiano di cui parlammo ieri. Il “divide et impera” è tutto a favore dei primi, o quasi.
A questo punto, molte sono le conseguenze in analisi sui vari formati del triplice conflitto e di più le possibili previsioni sugli sviluppi futuri. Per ridurre l’incertezza derivata dalle troppe variabili e reciproche non lineari interrelazioni, sarebbe utile capire la strategia russa. Ma in questa guerra non sappiamo davvero quale essa sia. Su questo ha giocato l’esercito dei commentatori il cui ruolo è quello di razionalizzare gli eventi dando ai grandi pubblici la propria visione dei fatti, stante che pure i fatti non li conosce davvero nessuno visto che non c’è alcuna terza parte sul campo a testimoniarli. Ma su questo ha giocato anche Mosca. Solo quando Mosca dirà “per noi va bene così” congelando il conflitto allo stato delle cose che saranno sul campo a quel momento, si capirà come intendono giocarsi questa partita che è ormai chiara a tutti, loro compresi, anzi forse a loro chiara prima ancora di iniziarla.
Il c.d. “conflitto congelato” che ormai pare l’unica prossima possibile tappa di ciò che vediamo e sentiamo ruotare intorno agli eventi, che caratteristiche avrà? Qui, per la prima volta da quando è iniziata questa storia, tentiamo l’ipotesi in quanto abbiamo un mese di fatti, dichiarazioni, azioni alle spalle, sebbene ancora molta nebbia davanti. L’Ucraina rimarrà a tutti gli effetti uno stato legittimo e sovrano, ma in guerra. Come tale non potrà comunque esser accettato nella NATO a meno che gli europei non vogliano firmare la loro nuclearizzazione, cosa da escludere con sicurezza. Da parte russa, quindi, per “congelare” operativamente il conflitto sul campo, occorrerà trovare la migliore posizione logistica. Infatti, se i russi avranno interesse a portare il conflitto a bassa intensità per lungo tempo visto che non potranno far altro perché gli è imposto dal vero nemico che è a Washington e non certo a Kiev, debbono mettersi un una postura difendibile al minimo prezzo visto che gli ucraini super-armati ed i loro interessati sponsor, non desisteranno mai.
Non potendo mai avere un impegno da parte di Kiev sull’obiettivo no-NATO anche se è impedito di fatto, un riconoscimento delle due repubbliche e del dato di fatto della Crimea, avendo sostanzialmente degradato la forza militare avversaria a livello infrastrutturale ed avendo probabilmente eliminato le punte più belliche e ideologiche (di cui non conoscevamo l’anima nazi-kantiana) che hanno condotto il lungo conflitto del Donbass in questi anni, Mosca dovrà attestarsi alla posizione più difendibile.
Questa è ovviamente il Dnepr. A destra del Dnepr c’è l’Ucraina gradatamente più industriale, russofona ed in parte russofila, a sinistra del Dnepr il contrario. In più a sinistra del Dnepr, il territorio si farebbe sempre più infido per i russi, i prezzi di vite umane, militari e civili, insostenibili, la vicinanza all’area NATO da evitare. Un chiaro “over streetching”. Quanto al Dnepr, basterà far saltare tutti ponti non tra i principali e presidiare questi per abbassare di molto l’impegno bellico prolungato. Si chiama “geo-politica” perché la geografia conta ed i fiumi sono una componente fondamentale come già avvenne da queste parti nella IIWW con la “linea Stalin”. Quanto alle coste, inglobato il Mar d’Azov come lago interno lo spazio russo, consolidato il collegamento con la Crimea, guadagnato molti chilometri di confine verso ovest, rimarrà in questione Odessa. Odessa ed il suo antistante, sarà forse il fronte più attivo nella lunga guerra di posizione e logoramento futura. Vitale tenerla per gli ucraini, vitale per i russi impedirglielo quanto più possibile, anche isolandola di fatto via mare.
Infine, se il tempo sostiene la strategia americana nei due altri livelli di conflitto, su questo livello base su cui gli altri due si poggiano, c’è un punto a sfavore del fronte occidentale. Per quanto stressati, punzecchiati in altri teatri, sanzionati ed in parte isolati, i russi hanno più riserva degli ucraini, qui conta la semplice demografia. Va bene i dollari e le armi, ma alla fine il collo di bottiglia sono gli uomini che possono combattere. Come mostrano i recenti bombardamenti logistici a Ivano-Frankivsi’k e Leopoli, per quanto “congelato” al fronte, il conflitto potrebbe prevedere comunque un continuo sabotaggio russo del flusso logistico di rifornimento ucraino.
Ma non è affatto detto che andrà così. Come detto, i russi si sono tenuti coperta la variabile “intenzioni” aggiungendo già dai primi giorni, l’avvertenza che se la strategia generale era fissa, la sua applicazione sul campo sarebbe stata variabile visto che le guerre si fanno in due. Quindi, l’ipotesi (che per altro non è mia, ma fatta da altri ed anche tempo fa e sulla quale, per la verità, avevo espresso errate perplessità) è plausibile, ma solo gli eventi ci diranno se diventerà fatto o meno ed a che condizioni, prezzi, ripercussioni dirette ed indirette, anche per noi italiani ed europei.
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