Geopolitica dell’acqua: verità controcorrente
di Aymeric Chauprade
Conferenza tenuta l’8 febbraio 2013 alla Webster University (USA) di Ginevra, come introduzione al Forum dedicato all’acqua come fattore nelle relazioni internazionali.
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Quando Alexandre Vautravers mi ha chiesto di introdurre questo colloquio sull’acqua e la sicurezza, confesso che sulle prime ho sentito una piccola reticenza ad accettare, non perché a chiedermelo era Alexandre (che è uno spirito libero, impossibile da incasellare), tutt’al contrario: ma perché con il passare degli anni, ho imparato a non mettere acqua nel mio vino, e dunque a non mettere acqua… nella mia geopolitica!
Come molti, ho cominciato con le idee dominanti e alla moda sul tema, quelle che si sentono dappertutto, nei dibattiti, nei media, e che è facile riassumere con semplicità: “nel pianeta mancherà l’acqua e per l’acqua gli uomini si faranno la guerra.” Ma voi lo sapete come funziona il mondo: quando non se ne sa un gran che, si seguono le idee dominanti, ma poi, quando si conduce uno studio personale sull’argomento, si scoprono cose che non vanno necessariamente nella stessa direzione. Tra i numerosi libri che ho letto, ce n’è uno che vi raccomando particolarmente: Pour en finir avec les histoires d’eau1 di Jean de Kervadoué e Henri Voron.
Stamattina nuoterò di nuovo controcorrente, e spero che il mio intervento sarà utile introduzione a un dibattito che si vuole esigente, alieno dalle mode, e libero nelle sue conclusioni. Il mio intento sarà quello di rammentare alcune verità idrogeologiche che bisognerà tenere ben presenti in questa giornata di lavori.
Mentre nelle opinioni pubbliche si alimenta l’idea che il problema sarà la rarefazione dell’acqua, dobbiamo cominciare a constatare che oggi, e senza dubbio ancor più domani, è l’eccesso d’acqua che uccide e ucciderà, ben più della sua scarsità.
La catastrofe ecologica che ha mietuto più vite umane negli ultimi tre anni non è stato lo tsunami di Fukushima, ma una inondazione in Pakistan che ha ucciso più di 20.000 persone, ha causato profughi a milioni e sommerso una superficie di 200.000 km2 , il 40% del territorio francese.
Prendete l’Indo, che da solo misura 1.081.000 km2 ed è lungo 3.180 km. La sua portata media annua alla foce è di 4.000 m3/s, cioè 120 miliardi di m3 l’anno. La precipitazione di 100 mm di pioggia sulla metà a monte del suo bacino (500.000 km2) genera un volume d’acqua pari a 50 miliardi di m3 in pochi giorni, cioè a dire la metà della portata lorda annuale media. Le inondazioni catastrofiche diventano inevitabili, e la portata della piena abituale nel mese d’agosto può moltiplicarsi fino a 10 volte, da 4.000 a 40.000m3/s. L’acqua può salire molto in alto, e inondare superfici considerevoli.
Nelle gole dello Yangzi Jiang, che un tempo si chiamava Fiume Azzurro, l’altezza delle acque ha avuto variazioni di più di 60 mt. Nel Douro inferiore, in Portogallo, nel dicembre 1990, le acque sono salite a più di due metri sopra gli argini. In Francia, i livelli record in rapporto allo zero delle scale ufficiali hanno raggiunto, per la Garonna 8,32 mt. a Tolosa e 11,70 ad Agens, per la Loira i 7,52 a Tours, per la Senna gli 8,60 al ponte d’Austerlitz a Parigi, per il Rodano gli 8,30 ad Avignone.
Ma non è nulla, a paragone del Mississippi, che a valle di Cairo, nel 1882 ha sommerso più di 9 milioni di ettari, cioè una superficie maggiore dei territori di Belgio e Olanda insieme.
Lo Yangzi Jiang ha allagato superfici paragonabili nel 1931 e 1954, e in quelle occasioni pare abbia distrutto le abitazioni di più di 20 milioni di persone. Per la sola alluvione del 1931, si sarebbe dovuta piangere la morte di più di 100.000 persone.
L’acqua è una risorsa minacciosa, e in realtà, è più facile lottare contro la siccità che contro le inondazioni. Le piene sono improvvise, mentre la siccità è lenta e progressiva. Le piene distruggono abitazioni, riserve di grano e di fieno, uomini e bestiame, quando la siccità al massimo li costringe a spostarsi.
Ora che ho ricordato questa realtà, che secondo gli idrologi rischia addirittura d’aggravarsi, vorrei dare qualche cifra, anche in questo caso per smentire dei miti troppo diffusi.
Esistono tre grandi serbatoi d’acqua sulla Terra: il mare, la terra e l’aria (l’atmosfera).
Il Mare è il serbatoio di gran lunga più voluminoso, 1.338 milioni di miliardi di m3 (o tonnellate d’acqua): il mare, che è la principale fonte di evaporazione, e dunque delle piogge.
Poi c’è la Terra, che rappresenta 48 milioni di miliardi di m3, cioè il 3,5% della massa di acqua marina.
E qui, facciamola finita con i miti a proposito di certi ghiacciai in fusione.
Sulla Terra, ci sono 33 milioni di miliardi di m3 d’acqua immobilizzata sotto forma di ghiaccio; e tenete presente che su questi 33, ce ne sono già 32,6 che costituiscono l’Antartico e la Groenlandia, che non sono ghiaccio, ma che si possono considerare una forma di roccia fissa sul posto da 15 milioni di anni, la temperatura media della quale è di – 70°, e che è diversissima dal ghiaccio dei ghiacciai alpini e dell’Himalaya, i quali rappresentano soltanto 600.000 miliardi di m3.
E’ vero che secondo alcuni questi ghiacciai continentali si ritirano, a causa del riscaldamento climatico osservato a partire dal 1850; ciononostante, l’errore del grande pubblico è credere che a causa del ritiro di certi ghiacciai, diminuisca il volume d’acqua disponibile nei fiumi a valle di essi. E’ falso. Nel caso del Rodano, ad esempio, da 150 anni non si osserva alcuna riduzione della portata media.
E’ importante tenere presente che l’immagazzinamento provvisorio d’acqua, in un lago o sotto forma di ghiaccio, non cambia per nulla il ciclo dell’acqua.
Con o senza ghiacciai, le montagne del mondo sono dei castelli d’acqua. Anche senza ghiacciai, tutte le montagne immagazzinano acqua nei periodi umidi per restituirla nei periodi secchi. Nessun ghiacciaio alimenta il Rio delle Amazzoni, il fiume più possente al mondo, o l’Orinoco, o il Rio de la Plata in Argentina; lo stesso vale per il Nilo, il fiume più lungo del mondo, il Congo, lo Zambesi, i grandi fiumi siberiani, il Mississippi o il San Lorenzo.
Ritorniamo dunque ai nostri 48 milioni di miliardi di m3 d’acqua dolce, dai quali toglieremo i 33 di ghiacci; ci resteranno 15 veri milioni di miliardi di acqua dolce (laghi, fiumi, falde freatiche, zone umide) ciò che risulta, per 7 miliardi di esseri umani, in uno stock di acqua dolce personale di 2 milioni di m3; sapendo che ogni francese consuma in media 100 m3 d’acqua all’anno, se anche vivesse 100 anni, il suo consumo sarebbe di 10.000 m3 su un potenziale di 2 milioni: vale a dire, lo 0,5%.
E’ importante ricordare queste cifre, perché anche se sappiamo che le cose sono più complicate, questo ci porta a relativizzare il peso relativo della presenza umana nel ciclo dell’acqua a livello planetario, e soprattutto a distinguere bene il cosiddetto problema globale dell’acqua dai problemi locali legati all’acqua, problemi che non voglio affatto sottovalutare.
Per riassumere la mia filosofia sul problema dell’acqua: i problemi sono locali, ma la menzogna è globale.
Proseguo sui serbatoi. Ho parlato del mare, della terra, ma non dimentichiamo il terzo serbatoio, l’atmosfera, che è il meno ricco dei tre, 1700 miliardi di m3 sotto forma di vapore, di goccioline d’acqua e ghiaccio che formano le nubi.
Sorvolo sui dettagli, ma negli scambi tra questi tre serbatoi consiste quel che si chiama il ciclo dell’acqua, che, naturalmente, è equilibrato: ecco perché il livello dei mari è costante.
Fatti tutti i calcoli, tenendo conto dell’acqua che cade, di quella che evapora, di quella che torna al mare con i fiumi, si arriva a quella che chiamo l’abbondanza lorda mondiale, cioè a dire la quantità disponibile per l’Umanità nel suo insieme: 47.000 miliardi di m3 all’anno, cioè a dire 6700 m3 per ciascuno dei 7 miliardi di esseri umani. Questi 6700 m3 sono una media, perché per un francese, la disponibilità è di 2800 m3 per abitante; e di questi 2800 m3 a testa, il francese medio (non solo lui, ma anche le sue industrie, i suoi servizi, etc.) ne consuma solo 100 m3 all’anno.
E qui, di nuovo torniamo alla realtà, e tiriamo il collo alle false idee veicolate dall’ideologia mediatica.
Bisogna tenere presente che le famiglie, le industrie, i servizi, le città di tutte le dimensioni restituiscono all’ambiente naturale praticamente il 100% dell’acqua che usano. L’acqua non fa che scorrervi, per essere poi sottoposta a nuovo trattamento: dunque, ad essere consumato non è l’acqua, ma un servizio di distribuzione dell’acqua potabile. Non bisogna confondere l’acqua e il servizio di fornitura dell’acqua: non sono la stessa cosa.
Il solo vero consumo d’acqua, quella che non torna al mare, è l’irrigazione, perché in questo caso l’acqua evapora, e non torna più allo stato liquido nel suo bacino. Ora, tutti sanno che oggi, l’irrigazione ha soltanto un piccolo ruolo nell’agricoltura mondiale.
Eppure, vengono continuamente spacciate delle falsità. Prendiamo questa affermazione di Claude Allègre: “Se tutti gli uomini del pianeta consumassero tanta acqua di fiume quanta ne consumano gli europei, questo prelievo costituirebbe la metà della portata media dei fiumi. Se poi la popolazione mondiale aumentasse del 50%, passando a 9 miliardi, e il livello di vita si elevasse dappertutto al livello di vita europeo, allora l’uomo preleverebbe l’80% della portata dei fiumi.”
Da queste affermazioni traspaiono, oltre alla sempiterna colpevolizzazione dell’europeo, e all’ideologia malthusiana conforme alla quale la crescita demografica è necessariamente un flagello, parecchi errori scientifici. Si lascia credere, anzitutto, che i fiumi siano l’unica risorsa idrica, ciò ch’è inesatto, poiché il 60% delle acque continentali viene dalle falde freatiche. Poi, queste affermazioni lasciano credere che tutta l’agricoltura sia irrigata, che l’allevamento non esiste, che un miglioramento dei livelli di vita comporti necessariamente un aumento proporzionale dei consumi d’acqua. Ora, il consumo dei fiumi francesi è modesto rispetto alla loro portata (3%), e il prelievo non aumenterà, perché l’irrigazione non si svilupperà che in misura molto marginale. D’altronde, da una ventina d’anni i consumi domestici di acqua in Francia diminuiscono, mentre il tenore di vita è raddoppiato. Anche qui vi rimando alle notevoli analisi di Jean de Kervasdoué e Henri Voron.
E’ assolutamente impossibile che l’umanità consumi l’80% dell’acqua dei fiumi e faccia evaporare 47.000 miliardi di m3 all’anno. Per riuscirci, si dovrebbero irrigare 4 miliardi di ettari supplementari, cioè a dire 80 volte la superficie della Francia, per una media di consumo d’acqua per ettaro di 10.000 m3. Ne conseguirebbero raccolti supplementari per 20 miliardi di tonnellate di cereali, quando oggi l’umanità ne produce e consuma soltanto 2,5 miliardi. D’altronde, ad oggi le terre arabili coprono solo 1,4 miliardi di ettari, cioè il 10% delle terre emerse. Non si vede come si potrebbero moltiplicare per 2,5.
I continenti non sono abbastanza grandi per accogliere più di 5,4 miliardi di ettari di terre arabili!
Dunque, se vogliamo affrontare il problema geopolitico dell’acqua, del quale non mi sogno di negare l’esistenza, bisogna cominciare a non massacrare la verità scientifica (idrologica, in questo caso), e anche a diffidare di questo pensiero globalizzante che ha il solo scopo di ficcare in testa alla gente che “per i problemi globali ci vuole un governo globale”.
Globalmente, l’accesso all’acqua non è un problema e non lo sarà, anche con la tensione demografica. Lo ripeto: il problema futuro saranno piuttosto le alluvioni che le siccità. Quanto alla fusione di certi ghiacciai, essa non minaccia in alcun modo il ciclo dell’acqua. Il BRGM2 ci dice che il volume delle falde freatiche mondiali è di 10 milioni di miliardi di m3, cioè a dire 1,5 milioni di m3per abitante nelle sole falde freatiche. Queste acque sotterranee costituiscono il 60% delle acque continentali; e le falde più profonde, a debole capacità di rinnovo, restano dove sono da più di 70.000 anni.
Un’altra impostura nel modo di trattare il problema dell’acqua è che si presenta la diga come un problema, una fonte di conflitti fra gli Stati a monte e gli Stati a valle. Anche qui, il peso dell’ideologia: la diga è come la frontiera, è un muro, e ai nostri giorni i muri non piacciono; l’ideologia dominante ama solo la circolazione senza vincoli, la circolazione degli uomini, la circolazione delle merci, la circolazione delle acque, anche quando sono alluvioni… Il sogno preferito dell’ideologia dominante, subito dopo il meticciato, è proprio la circolazione.
Ora, al contrario di quel che si afferma di solito, le dighe per la produzione di energia idroelettrica non consumano acqua. La diga viene attraversata dal volume totale d’acqua, che transita sia attraverso le turbine, sia attraverso il canale di scarico delle piene. Le perdite per evaporazione, in dighe di questo tipo, sono modestissime o nulle, perché a quelle altitudini fa freddo, anche nelle zone tropicali.
Non solo le dighe non consumano acqua, ma recuperano la sua energia e lottano contro l’erosione. Contribuiscono al contenimento delle piene. La diga non sbarra la via all’acqua, la trattiene provvisoriamente.
Ciononostante, gli Stati a valle non tollerano che gli Stati a monte facciano delle dighe, come l’Egitto e il Sudan che vogliono impedire all’Etiopia di costruire dighe sul Nilo Azzurro, come il Laos, la Cambogia e la Tailandia che si preoccupano dei progetti cinesi sul Mekong. O come l’Uzbekistan che si irrita contro il Tagikistan.
Il vero oggetto di questi conflitti non è l’acqua, è l’elettricità, perché lo Stato a valle non vuole vedere lo Stato a monte produrre la sua propria elettricità, che poi dovrà pagargli a prezzo di mercato. E’ una classica gelosia tra vicini.
Allora fa fine saltare addosso alla Cina e criticarla per la sua diga delle Tre Gole3.
Si dimentica che le Tre Gole sono sul fiume Yangzi Jiang, il più lungo fiume dell’Asia, e senz’altro il più pericoloso del mondo. La verità è che la diga delle Tre Gole ha migliorato la situazione, pur senza annullare il rischio di piene catastrofiche. La capacità della diga, disgraziatamente, è insufficiente a un’efficacia preventiva del 100%. Raccoglie soltanto 34 miliardi di m3, cioè meno del 4% dell’acqua convogliata alla sua imboccatura ogni anno. Gli sversamenti possono ancora superare i 100.000 m3/s, e raggiungere, a valle, i 17 metri di altezza dal livello del suolo. Nel settembre 1998, prima della costruzione della diga, al centro di Wuhan l’onda di piena ha raggiunto i 29 metri, causando la morte di migliaia di persone. Ma la diga regola le piene medie, il che è già molto, e produce 85 miliardi di kWh, l’equivalente di 20 centrali nucleari o di 50 milioni di tonnellate di carbone all’anno.
Bisognerà che un bel giorno i radical-chic4 d’occidente, installati nei loro comfort dopo due secoli di domesticazione dei fiumi e di progressi in materia di trattamento delle acque, autorizzino finalmente i popoli di Asia, d’America Latina e persino d’Africa ad apportare gli stessi miglioramenti. Proprio gli stessi radical-chic d’Europa che si attestano su posizioni dogmatiche in quasi tutti i campi scientifici, che si tratti del gas di scisto, degli OGM o di tutte le altre possibilità che la scienza degli ingegneri ci offre, e che ha costruito la potenza dell’Occidente e la sua superiorità sulle altre civiltà dal XVI secolo in poi. Com’è come non è, gli unici progressi scientifici che si augura questa gente sono quelli che permetterebbero di distruggere lo statuto della famiglia come base della nostra civiltà.
Qualche anno fa, come molti studiosi di geopolitica, sono stato sensibile al tema dell’acqua. Come tutti, amo la Natura, e mi sono detto che forse, qui c’era un vero problema ecologico. Ma bisogna fare, anzi rifare dell’idrogeologia, prima di fare dell’idropolitica, come bisogna rifare la climatologia prima di impegnarsi a testa bassa nell’ideologia del riscaldamento globale di origine antropica. Nel 2009, alla frontiera che separa la repubblica Dominicana da Haiti, nelle piantagioni di banani inondate dal lago salato Enriquillo (che fa da frontiera tra i due paesi vicini) ho scoperto che non esistevano soltanto mari chiusi in via di prosciugamento come il mare d’Aral, del quale si parla sempre, ma che questo lago immenso, invece, si estendeva ogni giorno di più. Insomma, tale e quale ai ghiacciai. Certi si riducono, mentre altri si estendono. Eppure, ai miei figli si parla solo dei primi.
Il professor Aron Wolf, citato da Bjorn Lomborg, faceva notare, dopo aver analizzato le crisi mondiali del XX secolo, che su 412 conflitti catalogati tra il 1918 e il 1994, solo 7 avevano l’acqua come causa parziale, e che in 3 casi su quei 7 non è stato sparato un solo colpo. Un po’ pochino per annunciare la prossima “guerra dell’acqua”.
Insomma, l’acqua è certamente una fonte di conflitto geopolitico, e oggi bisognerà chiedersi che ruolo ha l’acqua nel conflitto israelo-palestinese, nelle relazioni Turchia/Siria/Iraq, interrogarsi sull’acqua in Asia centrale, sul Nilo Bianco, il Nilo Azzurro e tanti altri casi, ma appena cominciate a interessarvi seriamente dei problemi idrogeologici, comprenderete che praticamente tutti questi casi hanno soluzioni scientifiche, e che una guerra costerà sempre molto più cara di parecchi impianti di dissalazione.
Spingiamo più oltre la riflessione. Perché si fa credere alle opinioni pubbliche che qualcosa di essenziale alla loro vita (che cosa c’è di più essenziale dell’acqua?), d’insostituibile, che può suscitare violente reazioni dell’istinto di sopravvivenza, si sta rarefacendo, quando è falso?
Credo che proprio qui la questione dell’acqua in quanto “problema globale” coincida con quella del terrorismo come “problema globale”, e con tutti i “problemi globali”.
Da un canto si spingono alla guerra i popoli confinanti facendo loro credere che sono investiti da un problema geopolitico, quando invece obiettivamente (scientificamente) non è affatto così, dall’altra gli si spiega che la soluzione è globale, e che dunque ci vuole una potenza globale, un potere mondiale, per spegnere questo conflitto.
Da un canto si spinge verso la guerra, dall’altro si spinge verso l’estinzione della sovranità statale.
Chi ha interesse, insomma, a creare disordine per installare più facilmente il suo nuovo ordine globale? Chi ha interesse a destabilizzare i paesi emergenti, a sbarrare la via al multipolarismo che si sta costruendo, a mettere i bastoni fra le ruote a chi vuole incamminarsi sulla via del progresso scientifico e della domesticazione delle forze della Natura che l’Occidente ha imboccato tre secoli fa?