Italia e il mondo

Macron-Merz: un duo perfettamente asservito agli Stati Uniti_di Edouard Husson

Macron-Merz: un duo perfettamente asservito agli Stati Uniti

Edouard Husson di Edouard Husson

 23 luglio 2025

in Filo conduttore del nomeLinee rette HussonA

Tempo di lettura: 8 minuti

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Macron-Merz: un duo parfaitement soumis aux Etats-Unis

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Emmanuel Macron e Friedrich Merz si incontreranno a Berlino la sera di mercoledì 23 luglio. I media hanno ancora il riflesso di interrogarsi sul futuro di un accordo che…. appartiene al passato. Soprattutto, i due uomini personificano, ciascuno a suo modo, la sottomissione dell’Unione Europea agli Stati Uniti. Per decenni, i leader francesi hanno giurato sul “modello tedesco”. Più passavano gli anni, più diventava un modello di sottomissione. I leader francesi non smisero mai di copiare la Germania, finendo per esaltare la sottomissione che essa incarnava.

Non lasciatevi ingannare dalla grande statura di Friedrich Merz: l’uomo è debole e sottomesso. Quando Angela Merkel lo ha ostacolato all’inizio degli anni 2000, ha lasciato la politica, per poi tornare quando il declino della “Lady di ferro” tedesca era ormai iniziato. E cosa ha fatto Merz quando non era più in politica? È andato a lavorare per BlackRock, consentendo al noto fondo di investimento di mettere sempre più le mani sul capitalismo industriale tedesco.

Se si vuole capire perché la Germania non è stata in grado di opporsi agli Stati Uniti e di evitare la guerra in Ucraina, si deve guardare alla penetrazione del capitalismo finanziario americano nelle principali aziende industriali tedesche. Era nell’interesse dell’industria tedesca che non ci fosse una frattura tra Germania e Russia. I grandi azionisti hanno deciso diversamente. Descriviamo in dettaglio ciò che è accaduto, con Ulrike Reisner, in un libro già pubblicato in inglese e tedesco e la cui versione francese apparirà alla fine di agosto.

La Germania come modello di sottomissione

Questa mattina Nicolas Bonnal mi ha inviato un corrosivo articolo di Constantin von Hoffmeister, che presenta la Germania come un modello di sottomissione.

Internet avrebbe dovuto liberare la parola, ma in Germania ha solo reso più sistematica la censura. L’articolo 130 del Codice penale – la disposizione principale sui “discorsi d’odio” – copre ora (…) ampie categorie di “discorsi incendiari”, spesso incentrati sull’immigrazione, sull’identità e sulla politica della memoria. Le cifre sono kafkiane: decine di migliaia di pubblicazioni segnalate ai sensi della legge relative ai social network (…)

I treni non sono più puntuali, se non del tutto. Il sistema ferroviario tedesco, un tempo simbolo dell’efficienza prussiana, è diventato una farsa di ritardi, infrastrutture fatiscenti e cattiva gestione dovuta a voli pindarici ideologici. Nel 2024, solo il 62,5% dei treni a lunga percorrenza è arrivato in orario (generosamente definito come entro sei minuti dalla tabella di marcia), mentre il 5% dei treni regionali è stato cancellato del tutto (…).

Le cause sono sistemiche: decenni di investimenti insufficienti (95 miliardi di euro di manutenzione arretrata), fantasie di elettrificazione motivate da considerazioni ecologiche (mentre i ponti crollano) e scioperi incessanti indetti dai sindacati del settore pubblico che chiedono aumenti salariali per compensare l’inflazione che le loro stesse politiche hanno contribuito a creare.

Il Deutschlandtakt, un piano generale per i collegamenti nazionali a cadenza oraria, esiste solo nelle diapositive di PowerPoint, mentre le stazioni rurali chiudono e gli hub urbani, mal gestiti, si sgretolano per il sovraffollamento. Eppure, il ministro dei Trasporti twitta su come “segnalare i servizi igienici di genere neutro” nelle stazioni, come se i pronomi potessero riattaccare i cavi aerei recisi. Una nazione che non riesce a riparare le proprie rotaie ha già perso la strada. I binari non portano da nessuna parte, e nemmeno il futuro della Germania.

La Germania si trova in uno stato di sovranità sospesa, un’anomalia geopolitica in cui le apparenze formali dello Stato mascherano catene di controllo più profonde. La vittoria alleata nel 1945 non ha stabilito solo un’occupazione militare, ma anche un riallineamento permanente della coscienza politica tedesca. Ciò che era iniziato come denazificazione si trasformò in qualcosa di molto più insidioso: la soppressione sistematica di qualsiasi desiderio di azione nazionale. La Repubblica Federale Tedesca, per tutta la sua potenza economica, ha sempre operato entro limiti stabiliti da altri.(…)

La continua presenza di basi militari statunitensi, l’integrazione dei servizi segreti tedeschi nelle strutture della NATO e l’allineamento della politica economica alle richieste di Washington indicano una semplice verità. L’occupazione non è mai finita. Ha semplicemente indossato un abito diverso. (…)

La chiusura definitiva delle centrali nucleari nel 2023, unita all’interruzione politica dei legami energetici con la Russia, ha lasciato l’industria tedesca con il fiato sospeso. I prezzi dell’elettricità rimangono del 30% superiori ai livelli precedenti al 2022, rendendo l’industria pesante sempre meno conveniente. Il trasferimento delle attività principali di BASF in Cina nel 2024 è stato solo il primo domino; Siemens e Volkswagen hanno poi accelerato la loro produzione offshore. La tanto decantata “transizione verde” non ha portato all’innovazione ma alla regressione: l’uso del carbone è salito al 25% della produzione totale di energia, una triste ironia per un’Europa che si proclama “leader climatico”.

Il tasso di fertilità, attualmente pari a 1,46, garantisce che ogni generazione successiva sarà più piccola della precedente, sollevando questioni fondamentali sulla sostenibilità demografica a lungo termine. (…)

La democrazia tedesca del 2025 è un teatro dell’assurdo, dove l’opposizione esiste solo entro limiti rigorosamente imposti. L’Alternativa per la Germania (AfD), con il 23% dei voti, funziona come una valvola di pressione controllata, una “minaccia” grande quanto basta per giustificare il consolidamento del potere, condiviso tra i partiti tradizionali. La svolta a sinistra dell’Unione cristiano-democratica sotto il cancelliere Friedrich Merz, l’abbraccio del Partito socialdemocratico alle frontiere aperte e le politiche energetiche dogmatiche dei Verdi hanno cancellato ogni distinzione significativa. Di conseguenza, oggi in Germania esistono solo due partiti: l’AfD e l’Uniparty  (tutti gli altri).

È di questo che Emmanuel Macron dovrebbe parlare con Friedrich Merz. O meglio, i presidenti francesi dovrebbero smettere di andare a trovare i cancellieri tedeschi. Dovrebbero riceverli quando vengono a Parigi. E, in caso contrario, quando si tratta di andare a Berlino, inviare i loro primi ministri.

Quando la Francia non sottomette la Germania alla sua volontà politica, si sottomette da sola”.

Il punto importante dell’articolo di Hoffmeister è l’identificazione dell’occupazione americana, che non è mai cessata. Nel libro che Ulrike Reisner ed io stiamo pubblicando, sottolineiamo la differenza fondamentale tra la Germania Ovest e la Germania Est, l’ex DDR: quest’ultima si è liberata dal comunismo. All’inizio degli anni ’90 le truppe sovietiche hanno lasciato la DDR. A tutt’oggi, ci sono 25 grandi basi militari statunitensi in Germania Ovest. Come risultato della sudditanza della Germania Ovest, la Repubblica Federale è il Paese con il maggior numero di basi americane al mondo!

Nel 1989-1990, François Mitterrand commise un errore dopo l’altro. Uno di questi fu quello di non lasciare le truppe di occupazione francesi in Germania. La storia ci insegna che la Germania è stata raramente un Paese sovrano. Il più delle volte è stata occupata da altre potenze. E quando le potenze iniziano a occupare la Germania, come sappiamo almeno dal cardinale de Richelieu (1585-1642), la Francia deve essere tra gli occupanti.

Per ragioni che ho descritto in un capitolo del mio libro Parigi-Berlino: la sopravvivenza dell’Europa, la Germania ha difficoltà a vedersi in una posizione di equilibrio con i suoi vicini. O è dominata, o tende a sottometterli. Attualmente, la Germania di Merkel Scholz e Merz si è completamente sottomessa agli Stati Uniti ma, per la miopia dei nostri leader a partire da Mitterrand, ha sottomesso la Francia. Così Friedrich Merz compra gli F35 per obbedire al suo padrone americano; ma proclama che costruirà “il primo esercito d’Europa ” per sminuire la Francia.

La Francia è una potenza nucleare, ha un seggio nel Consiglio di Sicurezza, aveva truppe di occupazione in Germania, era amica della Russia. Ma per ragioni incomprensibili, i nostri leader hanno deciso che dovevamo copiare la Germania dal punto di vista economico, in particolare la sua politica monetaria e il suo rifiuto delle preferenze commerciali europee (che Maurice allais aveva dimostrato essere necessarie nell’economia globalizzata già negli anni ’70). Il risultato: abbiamo rinunciato all’indipendenza economica e stiamo finalmente abbandonando i nostri strumenti militari e diplomatici.

Ossessionati dal “modello tedesco” di economia, i nostri leader non hanno capito che non si può prendere a modello un sottomesso, a meno che non ci si sottometta ancora peggio. È ora di uscire da questa spirale deleteria.

Olivier Marleix trovato morto: un patriota che mancherà, come Eric Denécé_di Edouard Husson

Olivier Marleix trovato morto: un patriota che mancherà, come Eric Denécé

Edouard Husson da Edouard Husson

 7 luglio 2025

in Filo conduttore del nomeLinee rette HussonA

Tempo di lettura: 4 minuti

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I decessi “strani” di quest’ultimo anno in Francia, cominciano ad essere un po’ troppi. Tutti di una determinata area politica, tutti legati e parte integrante della componente gaullista ben radicata negli apparati di sicurezza; buona parte di essi hanno indagato sulle modalità di cessione di settori strategici del complesso industriale militare-energetico, in particolare di ALSTOM. Sono, comunque, riusciti a mantenere una realtà politica che non ha ancora trovato un vero leader unificante, ma che ha dato parecchio filo da torcere all’attuale leadership politica. Zemmour è una sorta di ripiego, i Gilet Gialli sono stati parte relativamente efficace di questa dinamica. All’epoca Macron era, appunto, ministro dell’economia, sino a diventare “miracolosamente” presidente. Un gioco sempre più cinico e scoperto, forse disperato, che potrebbe alla fine costare caro agli artefici sempre meno occulti. Il contesto ha tutta l’aria di essere una resa dei conti di una leadership tanto proterva, quanto arroccata. Il climax propedeutico ad una fase di torbidi. Il probabile asse intorno al quale ruotano gli eventi in corso in Francia e in Europa riguarda il tentativo di ricostruzione del sodalizio franco-tedesco, interventista e totalmente integrato nelle strategie della NATO e, non a caso, osteggiato dalla componente gaullista. Il centro focale delle dinamiche politiche strategiche sarà probabilmente la Germania. Giuseppe Germinario

Olivier Marleix retrouvé mort: un patriote qui va nous manquer, comme Eric Denécé

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Olivier Marleix, nato nel 1971, deputato francese, è stato trovato morto nella sua casa il 7 luglio 2025. Membro della famiglia post-gollista, era deputato francese per la seconda circoscrizione di Eure-et-Loir dal 2012. È stato presidente del gruppo Les Républicains all’Assemblea tra il 2022 e il 2024. Era stato uno dei deputati più critici nei confronti della vendita di Alstom, chiamando direttamente in causa Emmanuel Macron nella decisione di vendere parte del fiore all’occhiello dell’industria francese a General Electric. Si parla di suicidio, come nel caso di Eric Denécé; e come nel caso di quest’ultimo, si diffondono dubbi sulla versione ufficiale. In ogni caso, dopo Denécé, questo è il secondo patriota francese che scompare nel giro di pochi giorni.

Olivier Marleix (1971-2025), qui nel 2019, quando ha affrontato la questione della vendita di Alstom dall’Assemblea Nazionale.

È la seconda morte di un patriota francese nel giro di pochi giorni. Dopo Eric Denécé, anche Olivier Marleix se ne va prematuramente. Il paragone è giustificato da diversi fattori. Non solo perché gli amici politici di Olivier Marleix sono scettici sulla teoria del suicidio, ma anche perché la famiglia di Eric Denécé è scettica sulla sua morte.

Soprattutto, entrambi gli uomini portavano alta la fiamma del patriottismo francese! Ed entrambi avevano trascorso diversi anni a indagare sul controverso tema della vendita di Alstom, in relazione al quale ritenevano dannoso il ruolo di Emmanuel Macron.

L’uomo che ha indagato sulla vendita di Alstom Energie dal Parlamento

Ricordiamo quanto scritto da Le Monde il 5 giugno 2019:

La magistratura aprirà un’inchiesta sull’affare Alstom-General Electric (GE)? Il deputato Olivier Marleix (Les Républicains), che a gennaio aveva chiesto alle autorità giudiziarie di indagare sulle circostanze della vendita della divisione energia di Alstom alla statunitense GE nel 2014, è stato ascoltato, come ci ha riferito una fonte giudiziaria mercoledì 5 giugno.

È stato interrogato dagli investigatori dell’Office central de lutte contre la corruption et les infractions financières et fiscales (OCLCIFF) della polizia giudiziaria su richiesta della procura di Parigi, che ” desiderava fargli chiarire i termini della sua denuncia “, secondo questa fonte, che ha confermato un rapporto de L’Obs” Il suo rapporto e le sue dichiarazioni sono ora al vaglio della Procura, che sta valutando quali azioni intraprendere “, ha aggiunto (…)

In una lettera di quattro pagine datata 14 gennaio e indirizzata al pubblico ministero – di cui Le Monde era a conoscenza – Olivier Marleix mette in discussione due punti. In primo luogo, l’assenza di procedimenti penali contro Alstom in Francia, nonostante l’azienda abbia ammesso atti di corruzione in diversi Paesi tra il 2000 e il 2011. Poi, nel contesto della vendita del ramo energia di Alstom a GE, ipotizza un possibile ” patto di corruzione “ (questo è il termine che usa), a vantaggio del ministro dell’Economia in carica quando il 4 novembre 2014 è stata apposta la firma finale dell’acquisizione, Emmanuel Macron.

” Dalla fine della commissione parlamentare d’inchiesta nell’aprile 2018, queste domande mi assillano. Devono trovare risposta ed è per questo che sto trasmettendo al pubblico ministero tutte le informazioni e i documenti in mio possesso “, aveva spiegato all’epoca Marleix.

Devo forse sottolineare che, nonostante il coraggio di Olivier Marleix, l’inchiesta non ha portato a nulla? Ma lui aveva fatto il suo dovere! Marleix era uno di quei deputati che davano alla vita parlamentare tutta la sua forza e nobiltà.

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Haiti e Madagascar: Emmanuel Macron o la patologia del pentimento_di Bernard Lugan

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In una sola settimana, in un atto di pentimento al limite della patologia masochistica, Emmanuel Macron ha calpestato per ben due volte la storia francese.

1) Per quanto riguarda Haiti, egli ha quindi completamente passato sotto silenzio gli orrori del genocidio del 1804, quando tutte le famiglie bianche della parte francese dell’isola di Saint-Domingue, vale a dire diverse migliaia di uomini, donne e bambini, furono atrocemente “liquidate”. Questa è una vera e propria pulizia razziale. Avendo deciso di svuotare il paese della sua popolazione bianca, Dessalines, per il quale il presidente Macron non ha un ditirambo sufficientemente forte, ha deciso di fatto di farli massacrare secondo un piano di genocidio noto in particolare per il decreto del 22 febbraio 1804 che ordinava l’eliminazione generale dei bianchi, comprese donne e bambini. Solo le poche donne bianche che accettarono di sposare uomini neri vennero risparmiate. Quanto agli altri, dopo essere stati violentati, è stata tagliata loro la testa prima di essere eviscerati… Un trattamento del genere merita senza dubbio che la Francia risarcisca Haiti, come ha deciso di fare Emmanuel Macron…

2) Nel corso del suo recente viaggio in Madagascar, spingendosi sempre più oltre nell’esercizio del pentimento, il Presidente Macron ha osato parlare di porre le “condizioni” del perdono per la colonizzazione.

Tuttavia, l’esempio del Madagascar è particolarmente inopportuno. Ma perché ciò accada è comunque necessario un minimo di cultura storica, cosa che evidentemente, salvo errori o omissioni, non sembra essere il caso dell’attuale Presidente della Repubblica.

In effetti, il Madagascar, che aveva molti punti di forza grazie agli immensi sforzi di sviluppo compiuti durante il periodo coloniale, fu rovinato da un catastrofico esperimento socialista durato dal 1975 al 1991. Nel 1960, al momento della sua indipendenza, il Madagascar era effettivamente un paese pieno di promesse, il cui livello di sviluppo poteva essere paragonato a quello della Corea del Sud o della Thailandia. Tali riferimenti risultano insoliti oggigiorno, poiché il Madagascar non è più classificato tra i “Paesi in via di sviluppo” (PVS), bensì tra i “Paesi meno sviluppati” (PMS).

Nei sessantacinque anni della sua presenza, dal 6 agosto 1896 al 26 giugno 1960, la Francia aveva infatti lasciato al Madagascar un’eredità eccezionale, che comprendeva l’unificazione territoriale e politica, la pace e l’eliminazione del banditismo, questa piaga endemica.

Nel campo sanitario, le grandi epidemie (peste, colera, vaiolo, febbre tifoide) erano state debellate e fu nel 1935, a Tananarive, che i medici Girard e Robic svilupparono il vaccino anti-peste. Gli effetti di questa politica sanitaria sulla demografia furono particolarmente evidenti: la popolazione passò da circa 2.500.000 abitanti nel 1900 a oltre 6.000.000 nel 1960. Nello stesso anno, il 50% dei bambini andava a scuola.

Nel 1960, la Francia lasciò in eredità al Madagascar 28.000 km di piste percorribili, 3.000 km di strade asfaltate o sterrate, centinaia di opere d’arte, linee ferroviarie, porti attrezzati e aeroporti. La priorità francese era stata l’agricoltura e i suoi derivati: caffè, vaniglia, chiodi di garofano, canna da zucchero e tabacco. Insieme al cotone, all’agave, agli alberi da frutto, alle viti e alle patate venne introdotta la coltivazione del pepe. Per quanto riguarda la coltivazione del riso, essa era già sviluppata e nel 1920 il Madagascar ne esportava 33.000 tonnellate. Gli ingegneri idrici e forestali avevano combattuto l’erosione rimboschindo gli altipiani elevati. Le dighe vennero costruite per creare riserve per l’irrigazione. Erano state create industrie per la trasformazione dei prodotti agricoli (oleifici, zuccherifici, concerie, fabbriche di carne in scatola, ecc.). Ciò significava che al momento dell’indipendenza l’autosufficienza alimentare era assicurata e le esportazioni di riso erano comuni e regolari. All’epoca il Madagascar era forse l’unico paese dell’Africa subsahariana in reale sviluppo. 

Un ricordo oggi…perché tutto fu rovinato dall’aprile 1971, quando iniziarono disordini sociali e politici che costrinsero il presidente Tsiranana ad affidare pieni poteri al generale Ramanantsoa il 18 maggio 1972. Quest’ultimo nominò Didier Ratsiraka ministro degli Affari Esteri. Il Madagascar cominciò quindi a cambiare la sua politica. La Francia cessò di essere il suo partner privilegiato e l’orientamento politico del regime si orientò sempre più verso il blocco socialista. Il Madagascar richiese rapidamente una revisione degli accordi di cooperazione con la Francia, abbandonò la zona franco e chiese alle ultime truppe francesi di evacuare l’isola.

Poi gli eventi si sono susseguiti rapidamente. Nel dicembre 1974 ebbe luogo un colpo di stato. Fallì, ma la sua principale conseguenza fu il trasferimento dei pieni poteri al colonnello Ratsimandrava, che fu assassinato il 12 febbraio 1975. Un direttorio militare prese quindi il potere e il 15 giugno 1975 Didier Ratsiraka fu da esso nominato capo del governo e capo dello Stato. La socializzazione del Madagascar stava per iniziare.

Il referendum del 21 dicembre 1975 sulla “carta della rivoluzione socialista malgascia” ne fu l’atto di nascita. Nel giro di pochi mesi, il Madagascar perse i benefici di mezzo secolo di colonizzazione seguiti da dieci anni di saggia ed efficiente gestione sotto la guida bonaria del presidente Tsiranana.

Imitando quanto stava accadendo nel mondo socialista in quel periodo, il regime di Ratsiraka pubblicò il suo “libretto rosso”, il Boky Mena. La Carta della Rivoluzione Socialista Malgascia fu l’erede dei progetti comunisti malgasci influenzati dal “Congresso di Tours” del 1920 e arricchiti di tutte le aspirazioni, le credenze, le chimere e le illusioni socialiste.

Il Madagascar, che allora aveva intrapreso con decisione la strada del suicidio economico, non si è mai ripreso da questo mortale “esperimento” socialista.

Ma cosa importa la verità storica se, riprendendo il discorso antifrancese dei decolonialisti, il presidente Macron attribuisce il naufragio del Madagascar alla colonizzazione francese…

Risoluzione dei cittadini sull’impegno militare e finanziario della Francia in Ucraina

Résolution citoyenne relative à l’engagement militaire et financier de la France en Ukraine

signifiée par huissier aux présidents des deux assemblées

le 17 avril 2025

Risoluzione dei cittadini sull’impegno militare e finanziario della Francia in Ucraina

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Una brevissima risoluzione popolare di decine di personalità militari e civili è stata inviata tramite ufficiale giudiziario ai presidenti delle due assemblee il 17 aprile 2025..

La risoluzione chiede la piena applicazione della Costituzione e il controllo parlamentare di tutte le decisioni dell’esecutivo riguardanti l’Ucraina.

Il testo di questa risoluzione può, ovviamente, essere reso pubblico con ogni mezzo, tanto più che i media tradizionali non si affretteranno a menzionarne l’esistenza e il contenuto.

E’ riportato l’elenco dei primi firmatari. Sarebbe stato molto più lungo se il testo elaborato in pochissimo tempo avesse potuto circolare, sia tra i militari che tra i civili.

Spetta a tutti farsi un’idea su questo testo.

Dominique Delawarde

Da molti mesi, la Francia sta mobilitando la sua diplomazia, le sue finanze e i suoi eserciti nel conflitto russo-ucraino. Il Presidente della Repubblica non ha mai ricevuto l’approvazione né del popolo né del Parlamento.

Fedele alla sua vocazione primaria e a immagine della prima e ormai famosa “tribuna dei generali”, la Place d’Armes si unisce e porta qui alla vostra attenzione una legittima iniziativa dei nostri compagni militari e civili per chiedere il rispetto della sovranità del popolo  sui temi altamente sensibili dell’impegno delle sue risorse e delle sue forze militari. Firmate insieme a noi questa risoluzione popolare!

*

Risoluzione dei cittadini relativa all’impegno militare e finanziario della Francia in Ucraina firmato dall’ufficiale giudiziario ai presidenti delle due assemblee il 17 aprile 2025.

L’articolo L 4111-1 del Codice della Difesa recita: “L’Esercito della Repubblica è al servizio della Nazione. La sua missione è preparare e assicurare, con la forza delle armi, la difesa della patria e degli interessi superiori della Nazione”.

Dall’inizio del 2022 sono circolate notizie insistenti, anche se non confermate ufficialmente, sulla presenza di truppe francesi in Ucraina. Se questi fatti fossero confermati, solleverebbero un serio problema di rispetto dell’articolo 35 della Costituzione, che impone al Governo di informare il Parlamento entro tre giorni di un intervento militare all’estero e di sottoporre a votazione qualsiasi proroga oltre i quattro mesi.

Ad oggi, però, nessuna comunicazione chiara è stata fatta alle assemblee, lasciando i cittadini all’oscuro e privati del loro diritto al controllo democratico sull’uso dell’esercito.

Inoltre, gli accordi di sicurezza franco-ucraini firmati il 16 febbraio 2024, che prevedono un sostegno militare e finanziario di 3 miliardi di euro per il 2024 e un impegno militare pluriennale, avrebbero dovuto essere ratificati dal Parlamento in applicazione dell’articolo 53 della Costituzione, che richiede la ratifica parlamentare dei trattati internazionali con implicazioni finanziarie significative per le finanze pubbliche.

A titolo di esempio, il 7 febbraio 2024, l’accordo di cooperazione in materia di difesa tra Francia e Papua Nuova Guinea, pur avendo un impatto molto minore sulle finanze pubbliche rispetto all’accordo con l’Ucraina, è stato sottoposto a ratifica parlamentare ai sensi dell’articolo 531.

Ad oggi, tuttavia, il Parlamento non ha ratificato gli accordi di sicurezza franco-ucraini, il che mette in discussione la loro legalità e applicabilità, sia per la nazione che per i cittadini francesi, chiamati a contribuire finanziariamente al sostegno militare dell’Ucraina.

Inoltre, poiché l’articolo 55 della Costituzione stabilisce che “i trattati o gli accordi debitamente ratificati o approvati hanno, dal momento della loro pubblicazione, un’autorità superiore a quella delle leggi, fatta salva, per ogni accordo o trattato, la sua applicazione da parte dell’altra parte”, l’assenza di una regolare ratifica da parte del Parlamento solleva la questione della legalità delle consegne di armi dalle scorte dell’esercito francese all’Ucraina per l’uso contro la Federazione Russa, contro la quale il nostro Paese non è in guerra.

L’articolo 411-3 del Codice penale francese recita: “L’atto di consegnare a una potenza straniera, a una società o a un’organizzazione straniera o controllata da stranieri, o ai loro agenti, materiali, costruzioni, attrezzature, installazioni o apparecchiature destinate alla difesa nazionale è punibile con trent’anni di reclusione e una multa di 450.000 euro“.

Infine, le recenti dichiarazioni del Presidente della Repubblica, che fanno riferimento al possibile dispiegamento di truppe francesi nel maggio 2025 e alla messa in comune dell’uso di armi nucleari, richiedono un dibattito parlamentare preventivo per garantire la legittimità di tali scelte a nome della nazione. Questa è la conditio sine qua non per la legalità dell’intervento dell’esercito. Un esercito che agisce senza un chiaro mandato del Parlamento non sarebbe più al servizio della Nazione, ma di un potere esecutivo isolato, in contraddizione con lo spirito della nostra Costituzione e con l’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, che sancisce la separazione dei poteri come garante dei diritti: “Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione“.

Per questo motivo noi, cittadini ed ex militari, riteniamo che il Parlamento debba essere consultato sulla prosecuzione dell’intervento militare francese e/o del suo coinvolgimento in Ucraina, ai sensi dell’articolo 35 della Costituzione, e che debba anche essere chiamato a ratificare gli accordi di sicurezza franco-ucraini del 16 febbraio 2024, in conformità con l’articolo 53.

Proposta di risoluzione:

Noi, cittadini ed ex militari, chiediamo ai deputati e ai senatori:

1. Pubblicare nella Gazzetta Ufficiale tutte le informazioni sulla presenza delle truppe francesi in Ucraina dal 2022, come previsto dall’articolo 35;

2. Tenere un dibattito, seguito da una votazione, sul proseguimento di questo intervento, ai sensi dell’articolo 35;

3. Decidere sulla ratifica degli accordi di sicurezza franco-ucraini del 16 febbraio 2024, in conformità con l’articolo 53;

4. Inserire la presente risoluzione all’ordine del giorno entro 15 giorni dalla sua presentazione, al fine di garantire il pieno esercizio del controllo parlamentare.

I primi firmatari…

Generali dell’esercito Bertrand de LAPRESLE, Generale dell’esercito (2S), Esercito

Jean-Marie FAUGERE, Generale (2S), Esercito francese

Tenenti generali 

Maurice LE PAGE, Tenente Generale (2S), Esercito Francese

Maggiori Generali 

Philippe CHATENOUD, Maggiore Generale (2S) dell’Esercito

Philippe GALLINEAU, Maggiore Generale, Esercito Francese

Generali di brigata 

Dominique DELAWARDE, Generale di Brigata (2S), Esercito francese

Alexandre LALANNE-BERDOUTICQ, Generale di Brigata (2S), Esercito francese

Marc JEANNEAU, Generale (2S), Esercito

Paul PELLIZZARI, Generale di brigata (2S), Esercito francese

Marc PAITIER, Generale di Brigata (2S), Esercito francese

Antoine MARTINEZ, Generale di brigata aerea (2S), Forza aerea e spaziale francese

Claude GAUCHERAND, Contrammiraglio (2S), Marina francese, 

Hubert de GEVIGNEY, Contrammiraglio (2S), Marina francese,

Jean-Marie PARAHY, generale (2S), Artiglieria,

Michel DE CET, Generale (2S), Gendarmeria,

Laurent AUBIGNY, Generale di Brigata Aérienne (2S), Armée de l’Air et de l’Espace,

Jean-François BOIRAUD, Generale di Brigata (2S), Artiglieria,

DANIELSCHAEFFER, Generale di Brigata (2S), Quadro Speciale,

Michel Georges CHOUX, Generale di Brigata (2S), Esercito,

Colonnelli 

Yves BRÉART de BOISANGER, Colonnello (er), Esercito TDM

Alain CORVEZ, Colonnello (er) INF, Esercito

Paul BUSQUET de CAUMONT, Colonnello

Bernard DUFOUR, colonnello (er) TDM, Armée de terre Inf

Daniel BADIN, colonnello (er) ART, Armée de terre

Jacques PELLABEUF, colonnello (er) INF, esercito francese

Hubert de GOËSBRIAND, Colonnello (er), Esercito, ABC

Éric GAUTIER, Colonnello (er), Esercito

Didier FOURCADE, colonnello (er), esercito, ABC

Pierre BRIÈRE, Colonnello (er), Esercito INF

Pascal BEGUE, colonnello commissario, esercito francese

Jacques de FOUCAULT, Colonnello (er) INF, Esercito francese

Philippe RIDEAU, colonnello dell’esercito francese.

Jacques HOGARD, Colonnello (er) INF-LE, Esercito

Frédéric PINCE, Colonnello (ER) TDM, Esercito

François RICHARD, Colonnello (ER) – Esercito

Erwan CHARLES, Colonnello (Er), Esercito, ABC

Frédéric SENE, Colonnello (H), Forze aeree e spaziali francesi

Régis CHAMAGNE, colonnello, Armée de l’air et de l’espace, 

Philippe de MASSON d’AUTUME, Capitano (H), Marina francese

Christophe ASSEMAT, ufficiale superiore (er), esercito francese

Olivier FROT, colonnello commissario, esercito francese

Denis KREMER, Ufficiale medico capo (er), Servizio sanitario dell’esercito

Bruno WEIBEL, Ufficiale medico superiore, Corpo sanitario delle forze armate francesi

Jean-Pierre RAYNAUD, Ufficiale medico capo, Servizio sanitario delle forze armate

Marc HUMBERT, Cadre spécial, Armée de Terre 

Tenente Colonnello 

Vincent TUCCI, Tenente Colonnello (er) ABC-LE, Esercito

Alain de CHANTERAC, Tenente Colonnello (er) TDM, Esercito

Bernard DUFOUR, colonnello (er) INF, Armée de terre 

Pierre RINGLER, tenente colonnello (er) ART de Montagne, Esercito francese

Gérald LACOSTE, tenente colonnello (er)INF, esercito, consigliere comunale di Antibes

Benoit de RAMBURES, tenente colonnello (er) TDM, esercito francese

Louis ACACIO ROIG, tenente colonnello (er) INF, esercito francese

Bertrand de SAINT ANDRE, Tenente Colonnello (er) INF, Esercito francese

Franck HIRIGOYEN, tenente colonnello, esercito francese

Thierry LEDUCQ, tenente colonnello (er), GEN, esercito, 

Rémi BEVILLARD, tenente colonnello (er) INF-LE

Laurent CAZAUMAYOU, Tenente Colonnello, Esercito, 

Franck PUGET, tenente colonnello (er) ABC, Esercito

Pierre LAMY, Tenente Colonnello (er) TDM, Esercito francese

Denis CARTON, Tenente Colonnello (er) ART, Esercito francese

Jean-Luc CHAZOTTES, Capitano (R) di Fregata, Marina francese

Frédéric TENAIRI, tenente colonnello (er), Gendarmeria Nazionale

Comandanti

Gilbert SANDMAYER, Capo Battaglione (er) INF TDM, Esercito

Fabrice SAINT-POL, Capitaine de corvette H

Capitani 

Xavier MOREAU, Capitano (er) INF, Esercito

Antonius STREICHENBERGER, Capitano, Esercito

Tenenti

Jean-Paul PAGES, Guardiamarina di 1a classe (R), Marina francese

Maggiori

Dominique PERRIN, Maggiore (h), Esercito GSEM

Roger PETRY, Maggiore (er) INF, Esercito

Ufficiale di garanzia capo

Marc-André ANGLES, Ufficiale capo di gara (er), Esercito

Antoine NIETO, Ufficiale capo di TDM (er), Esercito

Claude ZIELINSKI, ufficiale capo di gara, Esercito 

Jacques KERIBIN, Ufficiale di gara, Ispettore DRSD, Aeronautica Militare Francese

Sergenti capo

Alain PIALAT, maréchal des logis-chef (er) Gendarmerie Nationale 

CIVILI 

Pierre BREUIL, Prefetto onorario

Gilles de FONT-RÉAULX, Saint-Cyrien

Malko45

 2 ore

poco dopo il generale Delawarde ha aggiunto quanto segue, che ha inoltrato via e-mail ad alcuni ” contatti:
” re – Buongiorno a tutti,

visto lo tsunami di reazioni positive alla risoluzione dei cittadini inviata questa mattina, devo darvi alcune informazioni aggiuntive che dovreste tenere in considerazione.

1 – Non sono l’autore di questo testo e non ho nemmeno partecipato alla sua stesura. Sono solo un firmatario e non merito alcun elogio.

2 – Questa risoluzione popolare è stata diffusa sul sito web di Place d’Armes, che continua a raccogliere firme. In poche ore sono state raccolte diverse migliaia di firme.
https://www.place-armes.fr/r%C3%A9solution-citoyenne?utm_campaign=746f0991-c554-49b0-bc8e-1befe8c7e982&utm_source=so&utm_medium=mail&cid=7753db3c-f961-41cd-afcd-bee66f9f4f48

3 – Uno dei miei corrispondenti mi ha fatto notare un’imprecisione su uno dei punti del testo, che indubbiamente indebolisce, ma solo in parte, l’argomentazione del testo. Il voto di approvazione dell’accordo di sostegno all’Ucraina del 16 febbraio 2024, che impegna la Francia per dieci anni, sembra aver avuto luogo il 12 marzo 2024, all’Assemblea Nazionale, ben prima delle ultime elezioni europee e legislative, 

La RN si è astenuta… e per questo è stata accusata dal primo ministro sayan dell’epoca, ATTAL, di essere “pro-Putin “. Questa è ovviamente l’accusa che è in agguato per tutti coloro che rifiutano il guerrafondaio fino alla boutiste propugnato dai nostri politici neoconservatori che ancora tengono banco con l’appoggio incondizionato dei media sovvenzionati.

https://www.lemonde.fr/politique/article/2024/03/13/l-accord-bilateral-de-securite-avec-l-ukraine-approuve-a-l-assemblee-nationale-malgre-les-dissensions-persistantes_6221716_823448.htm

Rimane ovviamente il problema della messa in comune degli armamenti nucleari francesi e dell’invio di truppe di terra in Ucraina, questioni che non sono ancora state risolte da un dibattito in parlamento, e quello della fornitura a una potenza straniera di armi ed equipaggiamenti assegnati alla difesa nazionale  che contravviene ;a una potenza straniera di armi ed equipaggiamenti assegnati alla difesa nazionale  che viola  l’articolo 411-3 del Codice penale..

Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli che, ancora oggi, un voto in parlamento su tutte queste questioni sarebbe a favore della guerra, o meglio del sostegno all’Ucraina fino in fondo.

                              
La rappresentanza nazionale è pietrificata dal timore di essere accusata di essere favorevole a Putin. Teme anche lo sfogo mediatico della stampa sovvenzionata che farebbe pagare caro al suo autore ogni voto che rifiutasse di sostenere fino in fondo l’Ucraina. A troppi parlamentari non importa nulla degli interessi del Paese, cercano solo di essere rieletti con il necessario supporto mediatico.

La RN? Si sarebbe astenuto, come sempre su tutte le questioni importanti ”   

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La miniserie del Gabon, di Chima

LA MINISERIE DEL GABON
Pagina unica per tutti i miei articoli sul Gabon, che sta attualmente passando dal regime militare al governo civile, mantenendo intatta la dinastia regnante Bongo.
Chima11 aprile LEGGI NELL’APP 
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NOTA IMPORTANTE: Questo articolo è destinato principalmente ai nuovi lettori del mio Substack. I lettori più anziani, che hanno già familiarità con i miei scritti sul Gabon, possono usarlo per rinfrescare la propria conoscenza degli eventi politici nel Paese centroafricano ricco di petrolio, in attesa del mio quarto articolo sull’argomento.Pubblicherò il nuovo articolo sopra menzionato poco dopo le elezioni presidenziali gabonesi previste per il 12 aprile 2025. Tali elezioni sono destinate a trasformare il generale di brigata Brice Nguema da leader di una giunta militare a presidente civile eletto, ripristinando così il corretto modello di governo civile della famiglia regnante Bongo.
I. PREMESSA
Ho seguito da vicino la situazione politica in Gabon fin dalla morte, nel giugno 2009, del presidente Omar Bongo Ondimba, patriarca della dinastia regnante Bongo.Omar Bongo (nato Albert-Bernard Bongo) era un capitano di volo dell’aeronautica militare francese quando il colosso francese Charles de Gaulle lo scelse personalmente per diventare vicepresidente dell’allora nominalmente indipendente Repubblica del Gabon, alla quale era stata concessa la “sovranità” come parte del più ampio programma di decolonizzazione imposto a una Francia riluttante dalle Nazioni Unite.Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i paesi europei subirono pressioni da parte delle Nazioni Unite (ONU) affinché concedessero l’indipendenza alle loro colonie. Gli inglesi, in bancarotta finanziaria, accettarono di smantellare il loro impero coloniale e iniziarono a concedere l’indipendenza, a partire da India (1947), Pakistan (1947), Ceylon (1947), Birmania (1948), Ghana (1957), Malesia (1957), Singapore (1958), Nigeria (1960), ecc.In risposta alle pressioni delle Nazioni Unite (ONU) affinché avviassero il processo di decolonizzazione, la Spagna e il Portogallo recalcitranti modificarono le loro costituzioni per integrare pienamente le colonie nei loro territori sovrani come “province d’oltremare inseparabili” .Le truppe portoghesi iniziarono una guerra serrata con le guerriglie indipendentiste nelle colonie africane. Il Portogallo resistette anche all’invasione indiana del Goa portoghese nel dicembre 1961, finché non fu inutile continuare dopo che gli inglesi si rifiutarono di fornire qualsiasi aiuto, come stabilito dai termini del Trattato anglo-portoghese del 1373 e dell’Alleanza anglo-portoghese del 1386 , entrambi i quali costituiscono la più antica alleanza bilaterale continuativa di tutti i tempi.Dopo aver perso gli ultimi possedimenti coloniali nell’Asia meridionale, fino al 1975 le forze armate portoghesi si concentrarono sulle operazioni di controinsurrezione nelle colonie africane.Ufficiali dell’esercito indiano negoziano con le loro controparti portoghesi sconfitte in seguito alla vittoriosa invasione del Goa portoghese, risalente a 451 anni fa. In due giorni di combattimenti, 30 soldati portoghesi e 22 soldati indiani furono uccisi.Anche francesi e olandesi cercarono di aggrapparsi alle colonie nonostante i tempi cambiassero.Schernindo la raccomandazione delle Nazioni Unite di rinunciare alle sue colonie asiatiche e africane, la Francia si mosse rapidamente per consolidare il suo controllo sulle colonie di Cambogia e Laos, riconquistate dal Giappone imperiale dopo la Seconda Guerra Mondiale. Le truppe francesi furono inviate a combattere la guerriglia di Ho Chi Minh, che aveva sfidato il controllo francese sul Vietnam.Mentre la Francia lottava per mantenere il controllo dell’Indocina francese (1887-1954) , i Paesi Bassi erano impegnati a combattere i ribelli indonesiani per mantenere la colonia olandese delle Indie Orientali (1800-1949) . Entrambi i paesi europei alla fine persero la battaglia per mantenere i loro possedimenti coloniali nel Sud-est asiatico.Charles De Gaulle faticava a mantenere la calma mentre il leader guineano Ahmed Touré pronunciava il suo fatidico discorso nell’agosto del 1958, dichiarando che la Guinea avrebbe cercato la totale indipendenza dalla Francia. Un Charles De Gaulle furioso avrebbe poi abbandonato la riunione nella città portuale di Conakry , dimenticando il suo caratteristico kepi sul tavolo della conferenza.Verso la fine degli anni ’50, la Francia era pronta a scendere a compromessi con l’ONU sulla questione della decolonizzazione in Africa. ( L’Algeria francese era, ovviamente, un’eccezione che non sarebbe stata risolta finché un’insurrezione della guerriglia locale non costrinse la Francia a rinunciare a quella colonia nel 1962 ).Il piano della Francia era di concedere un’indipendenza nominale alle sue colonie africane attraverso lo strumento del referendum costituzionale francese del 1958 , che offriva alla popolazione delle colonie tre opzioni:Indipendenza assoluta con la rottura di tutti i legami con la FranciaPiena incorporazione nella Francia metropolitana come provincia d’oltremareIndipendenza nominale tramite l’appartenenza a un’entità sovranazionale controllata dalla Francia , la Communauté Française (un’entità che alla fine si rivelò inadatta al sistema di controllo neocoloniale francese, altamente informale, meglio noto con il soprannome di La Francafrique ).Il presidente Charles de Gaulle visitò personalmente le colonie subsahariane per promuovere la terza opzione. Riuscì a convincere la maggior parte di quelle colonie a votare per un’indipendenza nominale. Ma c’erano due importanti eccezioni che non erano di gradimento a de Gaulle.La Guinea sfidò il leader francese e votò per la prima opzione: la piena indipendenza e la rottura di ogni legame con la Francia. Il Gabon andò nella direzione opposta.Essendo insolitamente francofila , la popolazione coloniale gabonese era propensa a votare per diventare parte integrante della Francia scegliendo la seconda opzione, con grande preoccupazione di de Gaulle, che desiderava mantenere il controllo sul Gabon senza l’onere finanziario associato alla supervisione di una provincia d’oltremare. A quel tempo, il Gabon non era un produttore petrolifero commerciale, ma forniva l’uranio che contribuì ai test nucleari francesi nella parte algerina del deserto del Sahara nel 1960.In risposta a quei test nucleari, la Federazione Nigeriana, da poco indipendente, espulse l’ambasciatore francese nel gennaio del 1961 e chiuse tutti i porti e gli aeroporti nigeriani alle navi e agli aerei francesi, impedendo così l’accesso agli stati francofoni senza sbocco sul mare del Ciad e della Repubblica del Niger. All’ambasciatore espulso non fu permesso di tornare in Nigeria fino al 1965. Ma sto divagando.Tornando al referendum costituzionale francese del 1958, Charles de Gaulle, per sua stessa ammissione, ebbe difficoltà a convincere i leader politici locali della colonia del Gabon a persuadere la popolazione ad abbandonare l’idea di diventare una provincia francese d’oltremare e a votare invece per un’indipendenza nominale.Albert-Bernard Bongo (a sinistra) incontra il suo capo, Charles de Gaulle (a destra), a Parigi il 5 gennaio 1968, poco dopo che quest’ultimo aveva assunto la presidenza del Gabon. Albert-Bernard era ancora ufficiale dell’aeronautica militare francese quando entrò a far parte del governo inaugurale gabonese di Léon M’ba come funzionario di grado inferiore.Dopo che il Gabon ottenne la sua “indipendenza” , Charles de Gaulle ebbe un ruolo significativo nella selezione dei funzionari di gabinetto, alti e bassi, per il governo inaugurale del presidente Léon M’ba. Uno di questi funzionari fu il Capitano di Volo Albert-Bernard Bongo, che si congedò dall’Aeronautica Militare francese per prestare servizio nel governo gabonese. In seguito si sarebbe ritirato dal servizio militare per ricoprire incarichi di gabinetto più alti all’interno del governo.Il 12 novembre 1966 fu nominato vicepresidente del Gabon, carica che assunse in seguito alla pressione esercitata da de Gaulle sul presidente Léon M’ba, malato di cancro. Durante la fase finale della malattia di Léon, Albert-Bernard fu di fatto il leader del Gabon.Poco dopo la morte di Léon M’ba nel 1967, Albert-Bernard divenne formalmente Presidente del Gabon, inaugurando 42 anni di governo autocratico temperato da un insolito livello di benevolenza. La presidenza di Bongo fu caratterizzata da massiccia corruzione, nepotismo, miglioramenti del tenore di vita gabonese dovuti al petrolio, corruzione di dissidenti politici gabonesi e ricorso alla violenza solo come ultima risorsa, impiegando il maggior numero possibile di cittadini gabonesi nella satura amministrazione pubblica per garantirne la lealtà e minimizzare il rischio di ira o rivolte popolari.Durante il suo lungo regno, Alberto Bernardo sfruttò la ricchezza petrolifera del Gabon per ottenere autonomia dai suoi manipolatori francesi, contribuendo con ingenti somme di denaro illecito alle campagne politiche di potenti politici francesi. Il suo denaro gli permise anche di influenzare la politica estera francese nella subregione dell’Africa centrale.Dopo la conversione all’Islam nel 1973, Albert-Bernard Bongo si trasformò in Omar Bongo Ondimba e ottenne l’ambita amicizia dei monarchi arabi del Golfo. Il numero di musulmani nel Gabon, a maggioranza cattolica, aumentò in seguito alla sua conversione ; tuttavia, l’Islam continuò a essere una religione minoritaria.Ma, cosa ancora più importante, i nuovi amici arabi del Golfo di Omar Bongo aiutarono il Gabon a entrare nell’OPEC nel 1975.Il lungo governo di Omar Bongo fu caratterizzato da un’insolita stabilità. Non ci furono colpi di stato e i disordini civili furono eventi passeggeri. I dissidenti politici venivano solitamente corrotti. L’unico grave disordine civile furono le rivolte del maggio 1990, seguite all’avvelenamento fatale del politico dell’opposizione Joseph Rendjambe, che si rifiutò di essere corrotto. Nel marzo 2025, la giunta militare gabonese intitolò un aeroporto locale al signor Rendjambe e ne svelò la foto, come mostrato sopra.Dopo la morte del presidente Omar Bongo, avvenuta nel giugno 2009 per un cancro all’intestino, si verificò una breve lotta di potere tra la sua potente figlia Pascaline Bongo e il suo figlio, Ali Bongo Ondimba (nato Alain-Bernard Bongo), un esponente dello spettacolo.Ali Bongo ha vinto la lotta per il controllo del Partito Democratico Gabonese (PGD), il partito al governo. Si è candidato come candidato del PGD alle elezioni presidenziali dell’agosto 2009, vincendo con il 41,8% dei voti totali. La frammentata opposizione politica aveva permesso a Bongo Jr. di ottenere la maggioranza necessaria per la presidenza.Il presidente Ali Bongo si dimostrò un amministratore della repubblica gabonese molto più inadeguato rispetto al suo defunto padre. Sotto i suoi 14 anni di presidenza, il Gabon passò dal quarto standard di vita più alto dell’intero continente (54 nazioni) al settimo. Il tasso di disoccupazione giovanile non scese mai oltre la soglia del 30%. I servizi sanitari diminuirono e si fecero sentire i problemi di fornitura elettrica continua.Dopo 55 anni di stabilità politica, il 7 gennaio 2019 il Gabon è stato teatro di un colpo di stato militare. Il colpo di stato è stato rapidamente sventato grazie alle azioni decisive del generale di brigata Brice Nguema, capo dell’intelligence.Dopo il fallito colpo di stato del 2019, il presidente Ali Bongo ringraziò la sua buona stella per la sua fatidica decisione dell’ottobre 2018 di sostituire il suo incompetente fratellastro, il colonnello Frédéric Bongo, come capo dell’intelligence, con il suo più affidabile cugino. Tuttavia, in un drammatico colpo di stato, Ali Bongo fu estromesso dal potere quattro anni dopo da un altro colpo di stato militare, questa volta guidato dallo stesso cugino che aveva stroncato il precedente.II. LA MINISERIE DEL GABONAll’indomani del colpo di stato, sia i media tradizionali che quelli alternativi iniziarono a gioire per la fine dell’influenza francese in Gabon. Opinionisti disinformati di entrambi i tipi di media continuarono a paragonare le nazioni dell’Africa occidentale di Mali, Niger e Burkina Faso al Gabon, nonostante le evidenti differenze nelle loro storie e culture politiche.Il presupposto che le nazioni africane siano identiche tra loro è un punto cieco comune sia ai media alternativi sia a quelli tradizionali.Analoga superficialità si riscontra anche nel modo in cui viene riportato il conflitto in corso in Sudan. I media mainstream, disonesti e autorevoli, sostengono che sia la Russia a fomentare il conflitto, mentre i media alternativi, sprovveduti, sostengono che l’istigatore siano gli Stati Uniti. In realtà, il conflitto sudanese è una questione politica interna, che ha covato per oltre un decennio prima di esplodere definitivamente, come ho spiegato in dettaglio nel mio primo e secondo articolo sull’argomento.Ho iniziato la miniserie sul Gabon per spiegare che il colpo di stato del 2023 non aveva assolutamente nulla a che fare con la geopolitica. Non aveva nulla a che fare con l’amicizia con la Russia o con l’ostilità verso la Francia. Al contrario, il Gabon è sempre stato un caso isolato nell’Africa francofona per le sue insolite inclinazioni francofile.Contrariamente a quanto riportato dai media tradizionali e alternativi, la dinastia Bongo al potere non è stata rovesciata. Al contrario, la sua composizione è stata semplicemente riconfigurata.Ali Bongo è stato rimosso dal potere per far posto a membri più competenti della dinastia Bongo al potere. Come già affermato, il leader della giunta militare, il generale di brigata Brice Nguema, è parte integrante della famiglia Bongo al potere.Brice è riuscito a guadagnarsi la popolarità tra la popolazione sacrificando alcuni membri noti della famiglia Bongo: arrestando Sylvia Bongo (la moglie di Ali Bongo) e Noureddine Bongo (il figlio maggiore di Ali Bongo) con l’accusa di corruzione; e licenziando il colonnello Frédéric Bongo (fratellastro di Ali Bongo) dall’esercito per indisciplina.In mezzo alla raffica di arresti e licenziamenti, Brice ha costantemente protetto il suo cugino malato, l’ex presidente Ali Bongo, da ulteriori problemi dopo la sua rimozione forzata dall’incarico. Il capo militare ha dichiarato che suo cugino è libero di recarsi all’estero per cercare assistenza medica per i suoi problemi di salute.Ma questo non sembra preoccupare più di tanto la gente comune del Gabon. La detenzione di Sylvia, Noureddine e di diverse figure un tempo potenti con l’accusa di corruzione è sufficiente a mantenere le masse soddisfatte, dimenticando opportunamente che la giunta militare include altri membri della famiglia Bongo in uniforme militare.Brice Nguema ha molte probabilità di vincere le prossime elezioni senza dover sprecare energie in brogli elettorali. È l’unico candidato serio in lizza. Politici veterani dell’opposizione, come il 72enne Pierre Claver Maganga Moussavou del Partito Socialdemocratico (PSD) e il 70enne professore di economia Albert Ondo Ossa dell’Università Omar Bongo , sono costituzionalmente esclusi dalla corsa per via della loro età avanzata.Come riportato nel mio terzo articolo, pubblicato nel dicembre 2023, Albert Ondo Ossa ha criticato il colpo di stato militare del 2023, denunciandolo come una farsa, un affare interno alla famiglia Bongo, orchestrato da Pascaline.Non ho visto prove concrete che Pascaline abbia orchestrato il colpo di stato, ma si è detta felice che il suo fratello minore (Ali Bongo), dal quale era separato, sia stato spodestato dal potere dal cugino (Brice Nguema).Molti gabonesi sembrano condividere l’opinione di Pascaline. Pertanto, il 12 aprile 2025, è molto probabile che un numero schiacciante di elettori esprima il proprio voto per il generale di brigata Nguema, che lascerà poi l’esercito per assumere il potere come presidente civile, ripristinando così l’ ancien régime nella sua forma di governo civile.La famiglia Bongo durante il funerale della dottoressa Edith Lucie Bongo, il 19 marzo 2009. La defunta dottoressa era la terza moglie del presidente Omar Bongo (nella foto in primo piano). Brice Nguema, in uniforme militare rossa, è in lutto con altri membri della sua famiglia allargata. Suo zio, Omar Bongo, malato di cancro, è morto 3 mesi dopo lo scatto di questa foto.Per evitare ai nuovi lettori di perdere tempo a cercare nei miei archivi di Substack, ho creato questa pagina omnibus per ospitare i link a tutti gli articoli pubblicati sul Gabon. Ogni volta che verrà pubblicato un nuovo articolo sul Gabon, aggiornerò questa pagina con i link pertinenti.Per coloro interessati ad acquisire una conoscenza dettagliata degli eventi in corso nel paese ricco di petrolio, vi invito a leggere gli articoli sottostanti nel seguente ordine:
PRIMO ARTICOLO:Il mio necrologio del luglio 2009 che descriveva Omar Bongo, i suoi 42 anni di governo in Gabon e i suoi rapporti con potenti politici francesi. Clicca sull’immagine per leggere l’articolo.Omar Bongo Ondimba: la morte di un presidente a vitaChima·15 maggio 2023Omar Bongo Ondimba: la morte di un presidente a vita**Nota importante: questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su una rivista studentesca nel luglio 2009**Leggi la storia completa
Omar Bongo Ondimba: La morte di un presidente a vita



**Nota importante:Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta in una rivista studentesca nel luglio 2009 **.

L’8 giugno 2009, uno dei governanti più longevi del mondo, il presidente della Repubblica del Gabon Omar Bongo Ondimba, è morto di cancro all’intestino in un ospedale di Barcellona, in Spagna. Al momento della sua morte, aveva governato la nazione centrafricana del Gabon per 42 anni ed era accusato di aver rubato miliardi di dollari appartenenti alla sua nazione ricca di petrolio.



Secondo i media, Bongo possedeva 33 proprietà a Parigi e Nizza per un valore complessivo superiore a 125 milioni di sterline. Un’indagine del 1999 del Senato degli Stati Uniti ha portato alla luce 130 milioni di dollari nei conti bancari di Bongo presso la Citibank; denaro che, secondo i senatori, sarebbe stato rubato dalle casse nazionali del Gabon.
Nonostante la corruzione, Bongo è stato in grado di governare la sua nazione per quattro decenni senza i disordini politici che hanno afflitto alcune nazioni africane vicine ed è stato piuttosto popolare tra la gente comune del Gabon, proprio quella di cui aveva sottratto il patrimonio.



Il defunto presidente Omar Bongo Ondimba (1935-2009)
Il defunto Presidente nacque Albert-Bernard Bongo nel 1935. Dopo aver perso il padre all’età di sette anni, fu mandato a vivere con dei parenti nella città di Brazzaville, nell’attuale Repubblica del Congo [da non confondere con la Repubblica Democratica del Congo, devastata dalla guerra]. Dopo gli studi primari e secondari, abbracciò una delle poche possibilità di carriera aperte agli africani sotto il regime coloniale francese le forze armate francesi e il servizio civile coloniale. Lavorò brevemente per il servizio postale coloniale prima di entrare nell’aeronautica militare francese nel 1958. Era tenente dell’aeronautica quando il Gabon ottenne l’indipendenza nel 1960. .
Mentre era ancora in servizio nell’aeronautica francese, la carriera politica di Bongo decollò quando gli occhi attenti di Charles De Gaulle si posarono su di lui. Bongo fu presto trasferito al ministero degli Affari Esteri della Repubblica del Gabon, nominalmente indipendente, e successivamente fu inviato a lavorare nell’ufficio privato del primo Presidente del Gabon, Léon M’ba. Poco dopo, Bongo fu promosso capitano dell’aeronautica e poi congedato con onore dall’esercito francese.
Un colpo di Stato militare nel 1964, in cui lui e il Presidente M’ba furono presi in ostaggio, pose le basi per un ulteriore legame tra i due uomini e per un avanzamento di carriera per Bongo. Dopo che i paracadutisti francesi, giunti nel Paese, hanno sedato il colpo di Stato, Bongo è stato incaricato della difesa nazionale e, tre anni dopo, è diventato Vicepresidente quando il Presidente Léon M’ba è stato rieletto.
Otto mesi dopo il suo secondo mandato, Léon M’ba morì di cancro e Bongo gli succedette alla presidenza. L’anno successivo, nel marzo 1968, il Gabon fu dichiarato Stato a partito unico.



Omar Bongo con il presidente francese di sinistra Francois Mitterrand in visita nel 1983.
A differenza della maggior parte dei leader africani, Bongo fu un forte sostenitore del neocolonialismo francese nelle sue ex colonie e per tutto il suo regno il Gabon fu effettivamente governato come uno Stato-cliente della Francia. Egli giustificò questa situazione dichiarando notoriamente che:
“L’Africa senza la Francia è come una macchina senza autista. Ma la Francia senza l’Africa è come un’auto senza benzina”.
Charles de Gaulle, che aveva avuto un ruolo nella rapida ascesa al potere di Bongo, fu fin troppo contento di creare una base dell’esercito francese nel Paese per ostacolare eventuali colpi di stato o rivolte future, mantenendo così il suo francofilo preferito al potere a tempo indeterminato. In cambio, Bongo fece tutto ciò che il governo francese gli ordinò di fare, compreso il conferimento alla compagnia petrolifera francese Elf-Aquitaine dei diritti privilegiati per lo sfruttamento delle riserve petrolifere del Gabon.
Ma l’influenza e il controllo non andavano sempre in un’unica direzione: se è indubbiamente vero che Bongo obbediva alle istruzioni di Parigi, aveva anche influenza in Francia, usando la ricchezza petrolifera come leva. Ha finanziato i partiti politici francesi sia dell’ala liberale che di quella conservatrice dello spettro politico. È stato uno dei più grandi amici di leader francesi come il defunto Francois Mitterrand, Valery Giscard d’Estaing e Jacques Chirac.



Bongo che fa visitare al presidente francese di destra Jacque Chirac la capitale gabonese Libreville nel 1996.
Le indagini sui torbidi rapporti con Elf, politici e uomini d’affari francesi negli anni ’90 hanno portato alla luce quello che è stato descritto dal Financial Times come “il più grande scandalo di frode in Europa dalla seconda guerra mondiale”. Gli investigatori di Parigi hanno coinvolto diversi politici francesi di primo piano, tra cui il presidente Mitterrand, nello scandalo di corruzione in cui l’allora Elf-Aquitaine, di proprietà del governo francese, utilizzò i proventi petroliferi delle sue attività in Africa per corrompere politici in Francia e governanti di ex colonie ricche di petrolio come Camerun, Gabon e Repubblica del Congo. .
Nel Gabon, che a volte ha fornito il 75% dei proventi petroliferi di Elf in Africa, lo scandalo è stato unico perché la Francia non solo ha fornito il solito reggimento di paracadutisti dell’esercito, ma ha anche usato la nazione centroafricana come base per le attività di spionaggio e per la “diplomazia” basata sul denaro nell’adiacente regione dell’Africa occidentale.
Benché estremamente corrotto, Omar Bongo non corrispondeva allo stereotipo mediatico occidentale del dittatore africano brutale e privo di senso dell’umorismo che uccide gli oppositori politici alla minima provocazione. Pur non fidandosi di nessuno, tranne che del governo francese e dei membri della sua stessa famiglia, ha fatto del suo meglio per accogliere ogni potenziale sfidante al suo governo.
Mentre era attento a nominare suo figlio, sua figlia e i suoi suoceri in posizioni chiave nei ministeri degli Esteri e della Difesa, Bongo si assicurò che anche i politici gabonesi di nazionalità diverse dalla sua minoritaria etnia Bateke occupassero posizioni di governo. Piuttosto che reprimere brutalmente il dissenso, Bongo perseguì quella che i nigeriani chiameranno la “politica dell’insediamento”. Ha “sistemato” tutti gli avversari politici offrendo loro posizioni di governo o semplicemente mantenendoli sul libro paga.
Per evitare disordini civili, fu attento a far sì che i proventi del petrolio arrivassero agli 1,4 milioni di abitanti del Gabon attraverso la costruzione di scuole, ospedali, università e nuove città. Queste opere pubbliche finanziate dal governo finirono inevitabilmente per essere intitolate a lui Università di BongoStadio di Bongo, diversi ospedali di Bongo, ecc. .



Un uomo in bicicletta nella città gabonese di Libreville.
La sua città natale, Lewai, fu ricostruita e prontamente ribattezzata Bongoville. Queste opere pubbliche mantennero la popolarità di Bongo, nel senso che anche i poveri gabonesi, osservando le lotte e il caos in alcune altre nazioni africane, poterono dire “almeno noi siamo in grado di sfamarci e qui non c’è la guerra civile”. .
In linea con la sua politica di“insediamento”, ha risposto a una nascente protesta universitaria guidata dagli studenti fornendo circa 1,35 milioni di dollari per l’acquisto dei computer e dei libri che chiedevano, cosa che riteneva molto più facile da attuare rispetto all’invio di truppe e carri armati per mantenere l’ordine.
Ma la politica di insediamento non ha sempre impedito il conflitto. Nel 1990, dopo proteste di massa, Bongo fece marcia indietro e dichiarò che il Gabon era aperto alla democrazia multipartitica. Altri partiti politici poterono nascere e prosperare. Ma le accuse di massicci brogli elettorali portarono a nuove manifestazioni di piazza contro di lui e la polizia dovette intervenire per gestire i manifestanti.
Le manifestazioni terminarono improvvisamente quando i politici dell’opposizione, dopo una serie di incontri con Bongo, dichiararono di credere nella “democrazia conviviale” e ricevettero incarichi di governo. .



Una strada del Gabon che espone un cartellone con l’immagine di Omar Bongo.
Quando uno dei principali politici dell’opposizione, Pierre Maboundou della Unione del Popolo Gabonese, si è rifiutato di assumere incarichi di governo e ha continuato a criticare Bongo, non è stato arrestato o perseguitato. Bongo si è limitato a dichiarare di aver “perdonato” il focoso leader dell’opposizione. Tuttavia, nel 2006, i media hanno riferito che Maboundou aveva posto fine alle sue critiche feroci e ininterrotte nei confronti di Bongo. Parlando con i giornalisti, Maboundou ha giustificato la sua azione dicendo che il Presidente si era impegnato a dargli 21,5 milioni di dollari per lo sviluppo del suo collegio elettorale.
Sulla scena internazionale, Bongo ha coltivato l’immagine di uomo compassionevole e di pacificatore. Durante la guerra Nigeria-Biafra del 1967-1970, il Gabon fu una delle cinque nazioni che diedero un riconoscimento esplicito alla secessionista Repubblica del Biafrala cui popolazione civile veniva ridotta alla fame e sottoposta a spietati bombardamenti aerei dalla giunta militare sostenuta dagli inglesi che governava la Nigeria all’epoca. I bambini biafrani affamati che morivano di malnutrizione a causa del blocco terrestre e navale delle forze armate nigeriane furono portati in salvo in Gabon. .
Quando la Croce Rossa Internazionale smise di trasportare cibo in Biafra perché le forze militari nigeriane abbattevano i loro aerei, il Gabon divenne il principale mezzo di trasporto di cibo per la popolazione assediata, fino a quando la guerra si concluse a favore della Nigeria il 15 gennaio 1970.
Bongo ha anche svolto un ruolo centrale nei tentativi di risolvere le crisi nella Repubblica Centrafricana, nella Repubblica del Congo, nel Burundi e nella Repubblica Democratica del Congo.
Con l’avvento di Nicolas Sarkozy al potere in Francia, molti esperti internazionali si aspettavano che le relazioni tra il Gabon e il governo francese cambiassero. Ma tali aspettative sono state deluse quando il presidente Sarkozy ha degradato Jean-Marie Bockel, il ministro francese incaricato di trattare con le ex-colonie, nel 2008. Sarkozy aveva preso provvedimenti perché Bockel aveva irritato Bongo criticando pubblicamente lo “sperpero di fondi pubblici da parte di alcuni regimi africani”. .
Ma Sarkozy è stato meno protettivo nei confronti dei governanti africani clienti della Francia di quanto lo siano stati i precedenti leader francesi, come Jacques Chirac e Francois Mitterrand. Sarkozy si rifiutò di intervenire quando nel 2007 due ONG francesi avviarono un’azione legale contro Bongo e altri due governanti, Denis Sassou-Nguesso della Repubblica del Congo e Teodoro Obiang della Guinea Equatoriale per “abuso di fondi pubblici”. Un furioso Omar Bongo avrebbe in seguito mostrato la sua rabbia recandosi in Spagna piuttosto che in Francia per un trattamento medico.
Il 14 marzo 2009, Bongo è stato devastato quando ha perso la sua seconda moglie, Edith, a causa di una malattia sconosciuta in Marocco. Edith non era solo una pediatra di formazione, nota per il suo impegno nella lotta all’AIDS, ma era anche la figlia di Denis Sassou-Nguesso della Repubblica del Congo.
Mesi dopo, Bongo partì per la Spagna per quello che, secondo il governo gabonese, era “qualche giorno di riposo per riprendersi dall’intenso shock emotivo della morte della moglie”. Le notizie diffuse dai media internazionali, secondo le quali era gravemente malato di cancro in un ospedale di Barcellona, sono state fermamente smentite dai governi spagnolo e gabonese. .
In seguito, anche i media francesi hanno smentito la notizia della morte di Bongo. Ma ben presto queste notizie sono state confermate dal primo ministro gabonese Jean Eyeghe Ndong. Bongo è morto per un attacco cardiaco poco prima delle 12:30 GMT dell’8 giugno 2009.





Militari che portano la bara di Bongo
Il lutto per il governante corrotto da parte della gente comune del Gabon ha probabilmente scioccato i giornalisti occidentali che si aspettavano che la popolazione facesse il contrario. Naturalmente, questi giornalisti non hanno tenuto conto del fatto che Bongo era visto come un governante relativamente benigno, spiritoso, carismatico e diretto, che era “sensibile” al popolo pur essendo impegnato in un ampio saccheggio del tesoro nazionale.
Una delle sue eredità di “politica di insediamento” è un servizio civile gonfio e inefficiente il cui scopo principale era quello di mantenere il maggior numero possibile di cittadini gabonesi ordinari al soldo del governo per assicurarsi la loro lealtà e ridurre al minimo il rischio di rabbia o rivolte pubbliche. .
Un’altra importante eredità che la maggior parte dei gabonesi apprezza è la pace e la stabilità della sua dittatura. Per non parlare del fatto che sotto il suo governo, il Gabon si è classificato al quarto posto nell’Indice di Sviluppo Umano di tutta la regione dell’Africa sub-sahariana, dopo Mauritius, Seychelles e Sudafrica.
La relativa stabilità politica del regime di Omar Bongo ha attirato molti investimenti diretti esteri (IDE) nel corso dei decenni. La combinazione di investimenti esteri, risorse petrolifere e una popolazione ridotta ha fatto del Gabon il Paese con il 5° PIL pro capite dell’intero continente africano dopo Seychelles, Mauritius, Guinea Equatoriale e Botswana.
Durante i funerali di Stato del 16 giugno 2009, la gente comune si è riversata per le strade della capitale del Gabon, Libreville, per dare l’addio al defunto sovrano. Ai funerali hanno partecipato quasi due dozzine di capi di Stato africani e solo due leader occidentali, Nicolas Sarkozy e Jacques Chirac. Secondo quanto riportato dal Daily Telegraph, Chirac, che era un amico intimo di Bongo, è stato acclamato dalla folla al funerale di Stato, mentre Sarkozy, che Bongo aveva trattato con disprezzo, è stato fischiato.





I cittadini gabonesi ordinari si sono schierati per le strade per rendere omaggio al defunto dittatore che ha governato il Paese per 42 anni.
Nel frattempo, il Gabon è ora governato dalla signora Rose Francine Rogombe, ex presidente del Senato, che dovrebbe organizzare le elezioni entro 45 giorni. Gli esperti prevedono che Ali Bongo, ministro della Difesa e figlio del defunto sovrano, diventerà il prossimo leader del Gabon. L’opposizione politica ha chiesto che ad Ali-Bongo venga impedito di concorrere alla carica. Finora il governo provvisorio ha ignorato l’appello e ha fatto appello all’unità nazionale. Al momento, il Paese è stabile e gli esperti africani concordano sul fatto che la situazione non cambierà. Solo il tempo potrà dire con certezza come se la caverà il Gabon in futuro senza il suo colosso di presidente che ha dominato la scena politica per oltre quattro decenni.
**AGGIORNAMENTO: Nei 14 anni trascorsi dalla pubblicazione di questo articolo, la popolazione del Gabon è cresciuta fino agli attuali 2,4 milioni di abitanti. Il figlio del defunto Omar Bongo, Ali Bongo Ondimba, ha assunto la presidenza del Gabon dopo controverse elezioni presidenziali. I sentimenti antifrancesi che stanno attraversando i Paesi africani francofoni non hanno in gran parte colpito il Gabon. Infatti, la piccola nazione dell’Africa centrale continua a godere di buone relazioni con la Francia e ospita ancora un’enorme base militare francese. Storicamente, il Gabon è sempre stato il più francofilo delle ex colonie francesi. **
THE END





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Da Chima – Lanciato 2 anni fa
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SECONDO ARTICOLO:L’articolo spiega che non vi sono implicazioni ideologiche o geopolitiche nel colpo di stato del 2023. Né la popolazione gabonese in generale né la nuova giunta militare hanno espresso alcuna ostilità nei confronti della Francia, nonostante la tiepida condanna del colpo di stato da parte del governo Macron.
IL COLPO DI STATO IN GABON NON È IDEOLOGICOChima·3 settembre 2023IL COLPO DI STATO IN GABON NON È IDEOLOGICOL’antico regime del Gabon continua sotto le spoglie di una giunta militare guidata da un generale dell’esercito direttamente imparentato con il presidente civile deposto.Leggi la storia completa
IL COLPO DI STATO IN GABON NON È IDEOLOGICO


Chima
03 settembre 2023



L’antico regime del Gabon continua sotto le vesti di una giunta militare guidata da un generale dell’esercito direttamente legato al presidente civile spodestato.
I. PREAMBOLO:

Ancora una volta, mi muoverò controcorrente rispetto agli opinionisti dello spazio dei media alternativi. Lo faccio perché ho un’ottima conoscenza del continente africano e della sua storia. Pertanto, sono in grado di analizzare le informazioni in modo molto sfumato e senza iniettarvi ideologie e sentimenti inutili.
Ho scritto in precedenza sul Gabon e ho tracciato il profilo dell’uomo scelto personalmente dal generale Charles De Gaulle per guidare lo Stato africano francofono. Invito caldamente gli interessati a leggere questo articolo del 2009, che ho aggiornato e ripubblicato su Substack pochi mesi fa.
II. GABON VERSO LA GUINEA: LA STORIA

Nel mio quarto aggiornamento sulla crisi del Niger, mi sono dilungato sulla storia del un paese che si è liberato dal giogo neocoloniale della Francia. Quel Paese era la Guinea, che dichiarò unilateralmente la sua totale indipendenza dalla Francia il 2 ottobre 1958 e si spostò immediatamente nell’orbita filosovietica. .
Ebbene, il Gabon era l’opposto della coraggiosa Guinea. Il Gabon voleva avvicinarsi alla Francia, che all’epoca era sotto pressione da parte delle Nazioni Unite per concedere l’indipendenza alle sue colonie in Africa e in Asia, soprattutto dopo che i britannici si erano resi conto della fine dell’era dei grandi imperie avevano iniziato a concedere l’indipendenza alle loro colonie, a partire da India (1947), Pakistan (1947), Birmania (1948), Ghana (1957), Malaya (1957), Singapore (1958), Nigeria (1960), ecc..
Inizialmente, la Francia non voleva avere nulla a che fare con qualsiasi discorso di decolonizzazione e inviò le sue truppe a combattere gli insorti in Vietnam e in Algeria per preservare il suo impero coloniale. Creò l’entità politica sovranazionale, Union Française, per integrare meglio tutte le sue colonie che andavano dal Vietnam, Laos e Cambogia in Asia al Gabon, Guinea, Senegal e Madagascar in Africa.





Il re Norodom Sihanouk non sopportava il “cinquanta per cento di indipendenza” concesso alla Cambogia all’interno dell’Unione Francese. Nonostante le minacce francesi di rovesciarlo, si batté per la piena indipendenza dalla Francia. La secessione della Cambogia dall’Union Française nel 1955 fu l’inizio della fine dell’entità sovranazionale.
Dopo che la Francia aveva subito un’umiliante sconfitta in Vietnam e aveva visto l’Union Française diventare moribonda dopo la secessione di Cambogia e Laos, il colosso francese, il generale Charles De Gaulle, ebbe un’idea brillante che avrebbe offerto una nominale “indipendenza di bandiera” alle restanti colonie africane, mantenendo comunque lo Stato gallico al comando..
Il Generale propose un referendum che dava a ciascuna colonia tre opzioni:
Votare “no” al referendum, diventare completamente indipendenti ed essere tagliati fuori da tutti gli aiuti francesi allo sviluppo.
votare “sì” e diventare una provincia d’oltremare della Francia metropolitana .
votare “sì” ed entrare a far parte della Communauté Française, una nuovissima entità sovranazionale progettata per trasformare le colonie in stati clienti nominalmente indipendenti della Francia.
Charles de Gaulle visitò le colonie per fare personalmente campagna elettorale per l’adesione alla Communauté Française. Nella colonia di Guinea, il Generale dimenticò notoriamente il suo caratteristico berretto kepi su un tavolo da conferenza nella capitale Conakry mentre usciva furioso da un incontro con il leader guineano, Ahmed Sékou Touré, il quale aveva detto che i guineani avrebbero preferito morire di fame piuttosto che accettare di trasformare la loro patria da colonia a Stato satellite della Francia.





Charles De Gaulle con Ahmed Sekou Touré durante la sua sfortunata visita alla Colonia di Guinea nell’agosto 1958. Il Presidente francese vi si era recato per fare campagna elettorale affinché i guineani votassero “sì” al referendum per l’adesione alla Communauté Française. Il leader guineano, Ahmed Touré, ha detto “no”.
La Guinea finirà per essere l’unica colonia francese nell’Africa subsahariana a votare nel referendum contro l’adesione alla Communauté Française il 28 settembre 1958. La Francia si sarebbe vendicata distruggendo la maggior parte delle infrastrutture costruite in territorio guineano prima di ritirare i suoi amministratori coloniali, i tecnocrati e le truppe militari. In seguito, il 2 ottobre 1958 la colonia abbandonata si è dichiarata nazione sovrana, diventando la prima nazione africana francofona a farlo. Fu anche la prima ad abbandonare il franco CFA come valuta dopo l’indipendenza e uno dei pochi Paesi africani francofoni senza truppe francesi sul proprio territorio.





Studioso e politico francese, Alain Peyrefitte
Il Gabon era l’esatto contrario della Guinea. Charles de Gaulle era allarmato dall’eccessiva francofilia che attanagliava il Gabon. Con suo grande stupore, i politici gabonesi della colonia stavano istruendo la popolazione a votare per diventare una provincia d’oltremare della Francia. Il generale passò un po’ di tempo a spiegare ai politici locali del Gabon che era nell’interesse della colonia ottenere una pseudo-indipendenza e poi aderire alla Communauté Française, che avrebbe permesso alla Francia di mantenere la “supervisione di tutto”.
Come disse in seguito Carlo al suo confidente Alain Peyrefitte, era giusto assumersi gli oneri finanziari e gestionali dell’amministrazione delle piccole colonie francofone dei Caraibi che sceglievano di diventare dipartimenti (cioè province) d’oltremare della Francia, ma era un anatema permettere a una colonia africana relativamente grande come il Gabon di diventare parte integrante della Francia attraverso il referendum.
“I gabonesi rimarrebbero attaccati a noi come pietre al collo“, ha dichiarato il leader francese. “Ho fatto molta fatica a dissuaderli [i gabonesi] dall’optare per l’opzione di una provincia d’oltremare”.
Alla fine, un Gabon persuaso votò nel referendum del settembre 1958 – insieme ad altre colonie africane francofone (eccetto la Guinea) – per aderire alla Communauté Française come nazione nominalmente indipendente.
Nonostante l’abbandono del franco CFA, l’assenza di basi militari francesi e l’interruzione dei rapporti diplomatici con la Francia per un certo periodo, la Guinea rimane un caso disperato.
Ironia della sorte, il Gabon, rimasto sotto il controllo francese, ha finito per avere un tenore di vita molto più alto della Guinea e di molti altri Paesi africani, come la Liberia, la Sierra Leone e l’Etiopia, che non sono mai stati sotto il giogo del neocolonialismo francese.
I dati linkati qui non mentono né indossano abiti ideologici. Il Gabon è tra i primi dieci paesi africani con indici di sviluppo umano relativamente decenti. È infatti al settimo posto tra le 54 nazioni africane, mentre la Guinea è al 45° posto.








Che ne dici di questa sfumatura?
Così, ci troviamo di fronte al freddo fatto che la Guinea – il cui leader nazionale giustamente ha sfidato la Francia per ottenere l’indipendenza totale – è finita in un disastro totale a causa del flusso di instabilità politica, generato dal ciclo ininterrotto di colpi di stato militari. (Clicca qui per i dettagli).
La maggior parte delle persone pensa ai coup d’états come alla rimozione del capo di Stato e basta. No, i colpi di Statosono rivoluzioni che spazzano via il capo dello Stato e le istituzioni esistenti. Il primo atto di tutti i putschisti di successo è quello di revocare la Costituzionesospendere i diritti individualiabolire il Parlamento; abolire la magistratura o renderla superfluasciogliere la maggior parte o tutte le agenzie governative create per fornire servizi. In sostanza, i leader del colpo di Stato riportano il Paese all’anno zero.
In contrasto con la Guinea, abbiamo il Gabon governato da un uomo corrotto scelto personalmente da Charles De Gaulle. Quest’uomo, Omar Bongo, non si è mai vergognato di giustificare lo status di cliente della sua nazione ripetendo più volte:
“L’Africa senza la Francia è come una macchina senza autista. Ma la Francia senza l’Africa è come una macchina senza benzina”.
Eppure, a differenza di altri Paesi africani ricchi di risorse naturali sotto lo stesso giogo del neocolonialismo francese, il Gabon è riuscito a costruire un tenore di vita più elevato per la sua popolazione, nonostante gli alti livelli di corruzione.
Come è stato possibile? Nel corso del tempo, Omar Bongo è riuscito a ottenere un livello di controllo e di influenza sui suoi referenti francesi utilizzando la ricchezza petrolifera della sua nazione come leva. Ha finanziato i partiti politici francesi sia dell’ala liberale che di quella conservatrice dello spettro politico. È stato uno dei più grandi amici di leader francesi come il defunto Francois Mitterrand, Valery Giscard d’Estaing e Jacques Chirac.






Dopo la morte di Bongo per cancro nel 2009, l’ex presidente francese Valery Giscard d’ Estaing raccontò ai media di come il sovrano gabonese avesse finanziato la campagna elettorale del suo principale rivale, Jacques Chirac. Come previsto, Jacques Chirac, allora al centro di uno scandalo di corruzione, negò le accuse.

Ogni leader francese che offendeva il sovrano gabonese, anche solo leggermente, veniva punito con il dirottamento del flusso di denaro verso i suoi rivali politici. Ad esempio, l’ex Presidente Valery Giscard d’Estaing ha dichiarato pubblicamente nel 2009 che Omar Bongo ha trasferito i contributi per la campagna elettorale da lui al suo rivale, Jacques Chirac, nel periodo precedente alle elezioni presidenziali francesi del 1981. Chirac, che all’epoca stava affrontando uno scandalo di corruzione, negò le accuse di Valery. .
Chirac sarebbe stato alla fine processato per appropriazione indebita, per aver creato falsi posti di lavoro nella pubblica amministrazione per gli amici, e avrebbe ricevuto una condanna a due anni di sospensione nel 2011.
In ogni caso, l’abile uso di uomini d’affari francesi come intermediari nella distribuzione occulta di valigette piene di contanti a potenti politici francesi ha permesso a Omar Bongo di ottenere un certo livello di indipendenza per perseguire le politiche interne che desiderava. Queste politiche includevano la concessione di una quantità limitata di ricchezze petrolifere, quanto basta per evitare disordini civili.
Bongo ha raggiunto questo obiettivo attraverso la costruzione di scuole, ospedali, università e nuove città, tutte intitolate al suo nomeUniversità di BongoBongo Stadiumla città di Bongoville, diversi ospedali di Bongo, ecc. .





Un uomo in bicicletta nella città gabonese di Libreville.
Egli impiegò il maggior numero possibile di gabonesi comuni nel gonfio servizio civile per mantenerli sul libro paga del governo, per assicurarsi la loro lealtà e per ridurre al minimo il rischio di rabbia pubblica o di rivolte. A differenza di molti governanti autoritari del continente, spesso preferiva comprare gli avversari politici e ricorreva alla violenza solo se tutto il resto falliva.
L’effetto dello stile di pacificazione di Omar Bongo è stato che il Gabon è rimasto politicamente stabile per 42 anni, a differenza di altre nazioni della subregione dell’Africa centrale. Questa stabilità, nonostante la corruzione, ha permesso l’iniezione di investimenti diretti esteri nel Paese ricco di petrolio e la creazione di posti di lavoro.
Con il 33% della popolazione povera, il Gabon ha ancora molta strada da fare. Ma il Gabon è un “paradiso” rispetto ad altri Paesi dell’Africa centrale con il 90%-95% della popolazione impantanata nella povertà e nei conflitti civili. .
Anche il Gabon è un “paradiso” rispetto alla Guinea, ricca di bauxite, che ha interrotto tutti i legami con la Francia dopo essere diventata pienamente indipendente nel 1958. Anche in questo caso, la differenza tra i due Paesi è la stabilità politica.

Inoltre, se siete interessati a saperne di più sul Gabon sotto il governo del defunto presidente Omar Bongo, vi incoraggio a leggere questo:
Omar Bongo Ondimba: La morte di un presidente a vitaChima

15 maggio 2023


**Nota importante: questo articolo è stato pubblicato originariamente nel luglio 2009 ** L’8 giugno 2009, uno dei governanti più longevi del mondo, il presidente della Repubblica del Gabon Omar Bongo Ondimba, è morto di cancro all’intestino in un ospedale di Barcellona, in Spagna. Al momento della sua morte, aveva governato la nazione centrafricana del Gabon per 42 anni ed era accusato …
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Andare avanti…
III. ALI BONGO ONDIMBA COME LEADER DEL GABON

Gli Stati costruiti da uomini forti raramente sopravvivono al governo dei loro progenitori più deboli. Lo Stato repubblicano di Oliver Cromwell, Commonwealth d’Inghilterra, Scozia e Irlandasopravvisse a stento al governo del suo incompetente e debole figlio, Richard Cromwell. Entro un anno dalle dimissioni forzate di Richard, lo Stato repubblicano costruito da suo padre cessò di esistere.





Rose Francine Rogombe è stata Presidente ad interim del Gabon dal giugno 2009 all’ottobre 2009, dopo la morte di Omar Bongo. È tornata al suo incarico principale di capo del Senato gabonese dopo che il figlio di Bongo è diventato presidente in seguito a un’elezione controversa.
Il Gabon è sopravvissuto alla morte di Omar Bongo, avvenuta l’8 giugno 2009, ma da allora è in declino sotto il governo del figlio, Ali Bongo Ondimba, che in precedenza aveva avuto una vita movimentata come musicista funk alla fine degli anni Settanta e come principale organizzatore della visita di Michael Jackson in Gabon nel 1992.

Nel 1977, Ali Bongo, allora diciottenne, produsse questa canzone funk, A Brand New Man:


Ali Bongo è diventato il candidato presidenziale del partito politico al potere Parti Démocratique Gabonais (PGD) dopo aver sconfitto la sorella maggiore, Pascaline Bongo, nella lotta interna al potere scoppiata dopo la morte del padre. .
Pascaline aveva servito nel governo del suo defunto padre come Consigliere personale del Presidente del Gabon (1987-1991), Ministro degli Affari Esteri (1991-1994) e Direttore del Gabinetto del Presidente (1994-2009).





Mentre studiava negli Stati Uniti, la ventitreenne Pascaline Bongo conobbe il famoso cantante reggae giamaicano Bob Marley, con il quale ebbe una relazione dal 1980 alla sua morte nel 1981.
In conformità con la Costituzione del Gabon, il governo ad interim del Presidente ad interim Rose Francine Rogombe– che era succeduto al defunto Omar Bongo – ha organizzato un’elezione presidenziale il 30 agosto 2009.
Ali Bongo ha vinto di stretta misura con il 41,8% dei voti totali espressi ed è diventato Presidente del Gabon, mentre Rose Francine Rogombe è tornata al suo ruolo sostanziale di Presidente del Senato gabonese.
I sostenitori dell’opposizione politica frammentata si sono ribellati per le strade, ma la rivolta è stata sedata dalle forze dell’ordine.





Il leader dell’opposizione politica Andre Mba Obame si è dichiarato Presidente del Gabon il 25 gennaio 2011. Aveva perso le controverse elezioni presidenziali gabonesi del 2009 contro Ali Bongo Ondimba. Lo Stato gabonese aveva reagito alle buffonate di Andre mettendo al bando il suo partito politico.
Una volta che Ali Bongo si è insediato nel ruolo di Presidente nazionale, è apparso chiaro alla maggior parte degli osservatori che l’uomo non era all’altezza del padre, e così il potere e l’autorità hanno cominciato a perdere colpi.
Sotto il governo di Bongo Jr. i servizi sanitari sono diminuiti e sono emersi i problemi di fornitura costante di elettricità. Il tasso di disoccupazione giovanile non si è mosso dalla soglia del 30%. Questi problemi cominciarono a causare episodi di intense manifestazioni, che Bongo risolse crudamente con la polizia antisommossa che brandiva manganelli e bombole di gas lacrimogeno.
Poiché Ali Bongo era un uomo che aveva trascorso la sua prima vita adulta nel mondo dello spettacolo, decise che il modo migliore per distrarre le masse arrabbiate dai suoi fallimenti era semplicemente quello di portare nel suo Paese personaggi famosi. A tal fine, portò in Gabon Pele nel 2012 e Lionel Messi nel 2015. .





Pele in piedi accanto al presidente Ali Bongo all’inaugurazione della sua statua in Gabon il 10 febbraio 2012.





Lionel Messi sarebbe stato pagato 2,4 milioni di sterline (pari a 3,02 milioni di dollari) in contanti per visitare il Gabon e posare la prima pietra di uno stadio in costruzione nella città costiera di Port-Gentil.
Oltre a invitare celebrità famose, il presidente Ali Bongo è tornato brevemente alle sue radici musicali per intrattenere i suoi cittadini disaffezionati. Di seguito, un video che lo ritrae mentre si cimenta con l’hip-hop in lingua francese, un genere popolare tra i giovani del Gabon:

Nonostante il clamore generato dalle visite di celebrità e dalla sua breve incursione nella musica, sporadici scoppi di proteste di massa da parte di cittadini scontenti sono rimasti una caratteristica della vita in Gabon.
Nel 2016, Ali Bongo “ha vinto” un’altra controversa elezione presidenziale, scatenando un’altra serie di violente proteste. .
In quelle elezioni presidenziali, Bongo Jr. corse contro Jean Ping, che era stato alleato del padre ed ex amante di Pascaline Bongo. Mentre era ancora sposato con un’altra persona, Jean aveva avuto due figli dalla sorella di Ali Bongo.





Il politico d’opposizione gabonese Jean Ping, alleato di Omar Bongo, è stato presidente della Commissione dell’Unione Africana dal 2008 al 2012. È la prima persona di parziale ascendenza cinese a guidare un’organizzazione panafricana.
Jean Ping, che ha una parziale ascendenza cinese, ha lavorato per la maggior parte della sua vita adulta come diplomatico per il Gabon in varie agenzie delle Nazioni Unite prima di servire nel governo del defunto Omar Bongo come ministro di gabinetto. Dal 2008 al 2012 è stato presidente della Commissione dell’Unione Africana.
Durante la guerra civile in Libia sponsorizzata dalla NATO, Jean Ping ha cercato ripetutamente di organizzare colloqui di pace tra il governo di Gheddafi e i ribelli jihadisti. Quando Sarkozy, Obama e Cameron hanno bloccato i suoi sforzi, li ha denunciati come “neocolonialisti che distruggono la Libia e destabilizzano la regione sotto la copertura della bandiera delle Nazioni Unite”.





Ali Bongo con l’allora presidente statunitense Obama e sua moglie nel 2014.
Nell’ottobre 2018 Ali Bongo è scomparso dalla circolazione. Era stato colpito da un ictus che lo aveva costretto a farsi curare in Arabia Saudita e successivamente in Marocco.
Quando alla fine è riemerso in pubblico il 1° gennaio 2019, era su una sedia a rotelle. La sua debolezza e paralisi erano sotto gli occhi di tutti. Poco dopo la sua ricomparsa, le cose hanno preso rapidamente una piega pericolosa.
Per la prima volta in 55 anni, il 7 gennaio 2019 il Gabon, relativamente stabile politicamente, ha assistito a un colpo di Stato militare. Il colpo di Stato è fallito e il governo del Presidente, parzialmente paralizzato, ha rapidamente riaffermato il controllo del Paese. Ma era ovvio che in futuro ci sarebbero stati altri tentativi di colpo di Stato.
IV. IL COUP D’ETAT DEL 30 AGOSTO 2023

Come ho spiegato in precedenza, il Gabon è stato un paese relativamente stabile, con un tenore di vita molto più elevato rispetto ai vicini paesi dell’Africa centrale, la maggior parte dei quali ha subito colpi di stato su colpi di stato su colpi di stato intervallati da guerre civili (ad esempio Burundi e Repubblica Centrafricana).
Ebbene, il colpo di Stato del gennaio 2019 è stato il primo segnale che la dinastia al potere dei Bongo potrebbe perdere il controllo dello Stato che il suo capostipite, Omar Bongo, aveva costruito con il sostegno della Francia.
Per fare una piccola digressione, vorrei far notare ai miei lettori che non tutti i colpi di Stato in un Paese africano sono ideologici. Infatti, per la maggior parte della storia dell’Africa, i colpi di Stato sono stati in gran parte motivati dalle ambizioni personali di ufficiali militari che pretendevano di essere “salvatori del popolo”.
Dato questo contesto, è sbagliato assumere automaticamente che ogni colpo di Stato che si verifica in un Paese africano francofono sia “antifrancese”. .
Mali e Burkina Faso in Africa occidentale sono radicalmente diversi dal Gabon in Africa centrale. .
In un precedente articolo, con la relativa sottosezione linkata qui, ho fornito una spiegazione dettagliata del perché i sentimenti antifrancesi siano viscerali in Burkina Faso. La vicenda risale al periodo successivo all’assassinio, nell’ottobre 1987, del popolarissimo leader burkinabé Thomas Sankara.
Quando parlo di colpi di Stato non ideologici, mi riferisco al rovesciamento del presidente civile Ange-Félix Patassé da parte del generale dell’esercito François Bozizé nella Repubblica Centrafricana nel marzo 2003. .
Parlo anche del rovesciamento, nel settembre 2022, del regime militare virulentemente anti-francese del colonnello Henri- Paul Damibia da parte del regime militare virulentemente anti-francese del capitano Ibrahim.Paul Damibia dal regime militare virulentemente anti-francese del capitano Ibrahim Traore in Burkina Faso. Anche il governo civile eletto di Roch Marc Christian Kabore ha avuto rapporti difficili con il governo francese prima di essere rovesciato dai putschisti guidati dal colonnello Damibia. .
Il riuscito colpo di Stato in Gabon del 30 agosto 2023 è stato provocato da un’altra controversa elezione presidenziale, che Ali Bongo avrebbe vinto. Tuttavia, il colpo di Stato non è in alcun modo rivolto alla Francia o ai suoi interessi in Gabon – almeno per ora.
I putschisti hanno insediato il generale di brigata Brice Nguema come capo militare, il che è semplicemente un altro modo per dire che i soldati ammutinati non sono realmente intenzionati a realizzare il cambiamento. .
Il generale a una stella che hanno messo a capo del Gabon era uno stretto collaboratore del semi-invalido Ali Bongo ed è stato coinvolto nella corruzione della dinastia al potere di Bongo.





Il 3 agosto 1979, il Maggiore Generale Teodoro Obiang Nguema (a sinistra) rovesciò lo zio psicopatico, il Presidente Francisco Macias Nguema (a destra) in Guinea Equatoriale. Il presidente civile spodestato è stato processato e giustiziato per l’omicidio di massa degli oppositori politici, di alcuni alleati e persino di membri della sua stessa famiglia, tra cui il fratello di Teodoro.
La cosa ancora più esilarante di questa vicenda è che il nuovo governante militare gabonese, il generale di brigata Brice Nguema, ha lo stesso cognome del governante della vicina Guinea Equatoriale, il presidente Teodoro Obiang Nguema. Ma questa non è l’unica somiglianza.
Il nuovo governante militare gabonese è in realtà il cugino di primo grado di Ali Bongo, il che rende il colpo di Stato dell’agosto 2023 un affare di famiglia non dissimile dal colpo di Stato dell’agosto 1979 in Guinea Equatoriale, che vide il Maggiore Generale Teodoro Obiang Nguema rovesciare e poi giustiziare il suo stesso zio, il Presidente Francisco Macías Nguema. .
Teodoro Obiang Nguema ha guidato la Guinea Equatoriale come governante militare dal 1979 al 1982. Poi si è ritirato dalle forze armate, ha scritto una nuova costituzione e ha organizzato le elezioni generali. Successivamente si è trasformato in un Presidente civile e da allora guida il suo “democratico” Paese.
Avremo la stessa cosa dal nuovo governante militare del Gabon che, guarda caso, condivide lo stesso cognome del suo omologo della vicina Guinea Equatoriale? Il tempo ce lo dirà.





Il nuovo capo dell’esercito gabonese, il generale di brigata Brice Nguema, è il cugino di primo grado del presidente spodestato Ali Bongo. Il generale a una stella ha spiegato di aver rovesciato Ali Bongo a causa del malcontento cresciuto nel Paese dopo l’ictus del cugino nel 2018.





Il sudcoreano Maitre Park ritratto nella sua casa gabonese con un enorme baule pieno di contanti.
Nel frattempo, pile e pile di denaro sottratto dal presidente deposto sono state trovate in tutta la capitale Libreville.
Ben 70 miliardi di franchi CFA (155 milioni di dollari) sono stati trovati nella casa di Maitre Park, un sudcoreano amico di Ali Bongo che vive da tempo in Gabon. Un sacco di contanti è stato recuperato anche a casa di Ian Ngoulou, un assistente personale di Noureddin Valentin Bongo, il figlio 31enne di Ali Bongo.
Tutte queste scoperte sono state mostrate dalla TV di Stato del Gabon, provocando l’indignazione della cittadinanza. Il nuovo governo militare si è mosso per pacificare la popolazione, promettendo che i funzionari pubblici che hanno sottratto denaro saranno perseguiti.
Guardate questo breve video clip del nuovo governante militare che parla alla stampa:

Immagino che il nuovo sovrano del Gabon si esimerebbe dal perseguire le proprie malefatte finanziarie mentre lavora come guardia del corpo personale del cugino che ha estromesso dal potere.
V. REAZIONE DELL’UNIONE AFRICANA AL COLPO DI STATO

Sebbene i singoli Paesi della subregione dell’Africa occidentale abbiano condannato il colpo di Stato militare che ha rovesciato Ali Bongo dal potere, l’organizzazione ECOWAS non ha alcun ruolo da svolgere in Gabon, poiché si trova in Africa centrale.
L’Unione Africana ha invece un ruolo da svolgere. L’organizzazione panafricana ha condannato il colpo di Stato militare in Gabon e ha sospeso la sua partecipazione all’organizzazione, come ha già fatto con la Guinea, il Mali, il Burkina Faso e la Repubblica del Niger governati dai militari.
Molti lettori che non conoscono la storia post-coloniale dell’Africa potrebbero non capire perché l’Unione Africana si opponga di riflesso ai colpi di Stato, alcuni dei quali sarebbero visti come “anti-imperialisti”.
La recente ondata di colpi di stato nel continente è in realtà un ritorno al passato. Se aveste visitato il continente nel 1990, avreste notato che quasi tutti i Paesi africani erano sotto il giogo di un governante militare e un numero significativo di essi era nel mezzo di una guerra civile.
A metà degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e Novanta, i colpi di Stato militari erano molto comuni nel continente e, in alcuni casi, hanno innescato una catena di eventi che hanno portato a guerre devastanti.
Il colpo di Stato militare del gennaio 1966 in Nigeria fu compiuto da giovani ufficiali idealisti che volevano porre fine alla corruzione in Nigeria. Purtroppo, quel colpo di Stato ha innescato una catena di eventi che ha portato alla guerra civile Nigeria-Biafra (1967-1970) che ha ucciso quasi tre milioni di persone.
Il colpo di Stato in Liberia dell’aprile 1980 ha posto le basi per due guerre civili (1989-1997 e 1999-2003). Il colpo di Stato militare del gennaio 1971 in Uganda ha portato direttamente alle espulsioni a sfondo razziale del 1972 e alla guerra Uganda-Tanzania (1978-1979). Quel colpo di Stato ha anche posto le basi per la guerra dei cespugli dell’Uganda (1980-1986).
L’insurrezione jihadista è diventata per la prima volta una seria questione regionale alla fine degli anni ’90, come conseguenza della guerra civile algerina (1992-2002), che fu scatenata da un colpo di Stato militare avvenuto l’11 gennaio 1992 per impedire al Fronte Islamico di Salvezza (FIS) di prendere il potere politico nello Stato nordafricano. Il popolarissimo FIS aveva vinto le elezioni parlamentari del dicembre 1991 ed era destinato a formare il governo nazionale quando i putschisti hanno colpito.
Gli insorti jihadisti cacciati dall’Algeria si sono semplicemente trasferiti nella parte settentrionale del Mali e vi hanno operato.





Il terrorista jihadista algerino Mokhtar Belmokhtar ha terrorizzato sia l’Algeria che il Mali. È stato uno dei tanti jihadisti che hanno indirettamente beneficiato della bonanza di armi che la NATO ha sganciato ai jihadisti libici che combattevano contro Gheddafi nel 2011.
La distruzione della Libia da parte della NATO nell’ottobre 2011 ha semplicemente aggravato il problema preesistente del terrorismo jihadista nella fascia del Sahel. Le origini sono da ricercare nella sanguinosa guerra civile durata un decennio in Algeria.
Il governo imperiale dell’Etiopia fu rovesciato da un colpo di Stato militare organizzato da soldati marxisti il 12 settembre 1974. Il colpo di Stato portò alla dissoluzione dell’Impero etiope, vecchio di 704 anni, e all’insediamento di uno Stato marxista-leninista al suo posto.
Nei giorni successivi al colpo di Stato, un gruppo di marxisti scontenti e contrari al nuovo regime comunista prese le armi, scatenando la Guerra civile etiope (1974-1991). La guerra civile tra i ribelli marxisti e i soldati dello Stato marxista-leninista ha provocato 1,4 milioni di vittime, la maggior parte delle quali è stata causata dalla carestia che si è verificata nel bel mezzo della guerra.
Il colpo di Stato militare del generale Mohammed Said Barre dell’ottobre 1969 fu accolto con favore da molti in Somalia. Tuttavia, la promozione da parte del leader del colpo di Stato del progetto della Grande Somalia – che cercava di annettere le aree etniche somale dell’Etiopia orientale e del Kenya nord-orientale – portò infine alla disastrosa guerra Etiopia-Somalia (1977-1978). .
La sconfitta della Somalia in quella guerra portò a disordini politici interni che alla fine degenerarono nella guerra civile somala (1981-presente)e la regione nord-occidentale del Paese si è dichiarata unilateralmente l’indipendente Repubblica del Somaliland il 18 maggio 1991. .
La tolleranza dei colpi di Stato è stata una delle ragioni per cui l’inefficace Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) è stata sciolta il 9 luglio 2002. Il suo sostituto, l’Unione Africana (UA), ha da allora stabilito che non avrebbe mai riconosciuto le giunte militari, in quanto erano state una delle cause della destabilizzazione del continente (al di là delle ingerenze esterne di USA e Francia)..
VI. REAZIONE FRANCESE ALLA COPPA

Sia i media tradizionali che quelli alternativi hanno gongolato per la fine dell’influenza francese in Gabon. Continuano a paragonare erroneamente il Mali e il Burkina Faso al Gabon, nonostante le evidenti differenze di storia e cultura politica.
Ecco un video di cittadini comuni che celebrano il colpo di Stato militare gabonese:

Cosa nota nei festeggiamenti dei civili che abbracciano i soldati che hanno partecipato al colpo di stato militare?
Ebbene, non ci sono né bandiere russe né denunce pubbliche del “neocolonialismo francese”.
Di seguito, ne abbiamo un altro. Questa volta si tratta di un video di soldati in uniforme mimetica e di alcuni civili che festeggiano il successo del colpo di stato militare. Stanno gridando: “non ci importa di Ali Ben, è maledetto”.

Ancora una volta, nessuno sventola bandiere russe o denuncia la Francia. Tutto il vetriolo è riservato ad Ali Ben Bongo.
Questo potrebbe sfuggire alle persone che postano su YouTube, Telegram e Twitter. Ma è importante capire che il Gabon non è affatto come il Burkina Faso o il Mali.
Per ragioni storiche, la stragrande maggioranza della popolazione gabonese è piuttostofrancofila. Da questo punto di vista, il Gabon è un’anomalia particolare nell’Africa francofona.
Naturalmente, il governo di Macron a Parigi ha rilasciato una dichiarazione di facciata per denunciare il colpo di stato militare contro Ali Bongo.
Il portavoce del governo francese Olivier Veran ha dichiarato:
“La Francia condanna il colpo di stato militare in corso in Gabon e segue da vicino gli sviluppi nel paese, e ribadisce il suo desiderio che il risultato delle elezioni, una volta conosciuto, venga rispettato.”
Ma la verità è che la Francia non è affatto preoccupata di questo colpo di Stato militare, dato che il tranquillo filofrancese Brigadiere Generale Brice Nguema è il nuovo governante militare del Gabon. .
Considerati i legami familiari diretti di Nguema con la dinastia al potere di Bongo, il governo francese non ritiene che i suoi stretti legami economici, diplomatici e militari con il Paese centrafricano siano in pericolo.
Nessuno ha chiesto l’espulsione dei 400 soldati francesi di stanza in Gabon, anche se la Francia ha sospeso la cooperazione militare con la nuova giunta in attesa di“chiarimenti sulla situazione politica”.
Cari lettori, c’è una buona ragione per cui il Presidente francese Emmanuel Macron non ha fatto un buco nell’acqua per il colpo di Stato in Gabon, come aveva fatto quando i putschisti avevano preso il potere nella Repubblica del Niger.
THE END





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TERZO ARTICOLO:Un articolo dettagliato che riporta le misure adottate dal generale di brigata Brice Nguema per trasformarsi in presidente eletto e ripristinare il governo civile della dinastia Bongo al potere. Brice Nguema contatta i funzionari del governo francese per assicurare loro che le relazioni tra Francia e Gabon rimangono buone come prima del colpo di stato del 2023.GABON: NGUEMA CONSOLIDA IL POTEREChima·8 dicembre 2023GABON: NGUEMA CONSOLIDA IL POTEREQuando avvenne il colpo di stato in Gabon, voci eccitate sia nei principali media aziendali che nei media alternativi iniziarono a gioire per l’ennesimo effetto domino che si stava schiantando nel fatiscente sistema neocoloniale francese noto colloquialmente come “La Francafrique”.Leggi la storia completa
GABON: NGUEMA CONSOLIDA IL POTERE
Il generale di brigata Brice Nguema si imbarca in una missione per consolidare l’antico regime del Gabon in formato riconfigurato…


Chima
08 dicembre 2023

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Quando si è verificato il colpo di Stato in Gabon, voci eccitate sia nei media aziendali mainstream che in quelli alternativi hanno iniziato a gongolare per l’ennesimo domino che si sarebbe schiantato nel fatiscente sistema neocoloniale francese, noto colloquialmente come “La Francafrique”. .
Dopo qualche settimana, alcuni media mainstream sembrano aver terminato le loro analisi vacue e studiato la situazione con maggiore attenzione. Questo li ha portati a giungere inevitabilmente alla stessa conclusione a cui sono giunto io subito dopo il colpo di Stato militare dell’agosto 2023. .
I putschisti che hanno rovesciato Ali Bongo non hanno abolito l’ancien régime del Gabon, ma si sono limitati a riconfigurarlo, rimuovendo membri estremamente noti della dinastia Bongo al potere, mentre hanno permesso ad altri membri meno noti di mantenere il controllo.
Alcuni media alternativi non l’hanno ancora capito e continuano a illudersi che una giunta militare rivoluzionaria, presumibilmente ostile alla Francia, sia attualmente a capo del Paese.“anti-imperialista”.
Il 3 settembre 2023 ho scritto l’articolo dettagliato postato qui sotto per spiegare cosa è realmente accaduto in Gabon. Invito caldamente tutti i nuovi visitatori di questo blog a leggere :

IL COLPO DI STATO IN GABON NON È IDEOLOGICOChima

3 settembre 2023


L’Ancien régime del Gabon prosegue sotto le sembianze di una giunta militare guidata da un generale dell’esercito direttamente imparentato con il presidente civile spodestato I. PREMESSA: Ancora una volta, mi muoverò controcorrente rispetto agli opinionisti dello spazio mediatico alternativo. Lo faccio perché ho un’ottima conoscenza del continente africano e della sua storia. T…
Leggi tutta la storia


Come ho ripetuto più volte, l’Africa è un continente complicato, con Paesi e sottoregioni con storie e culture politiche diverse. Sì, ci sono temi comuni di corruzione e povertà, ma è del tutto sbagliato supporre che il Mali o il Burkina Faso in Africa occidentale siano uguali al Gabon in Africa centrale.
Generalizzazione, semplificazione eccessiva e supposizioni insensate sono punti ciechi costanti per i media alternativi quando si tratta di coprire gli eventi in Africa.
Il colpo di Stato militare in Gabon non ha nulla a che fare con “sentimenti antifrancesi”. In realtà, chiunque conosca intimamente quel Paese sa che è insolitamente francofilo, il che lo pone in netto contrasto con altri Stati africani francofoni, come spiegato in tre precedenti articoli che ho scritto.
Quando Emmanuel Macron ha visitato il continente all’inizio di quest’anno, ha iniziato con il molto più amichevole Gabon, come ho riportato all’epoca. Durante il soggiorno in Gabon, incontrò i membri dell’opposizione politica locale, arrabbiati con la Francia per aver sostenuto la dinastia Bongo al potere. .
Ora, permettetemi di citare me stesso da questo rapporto:
I politici dell’opposizione non sono generalmente ostili all’influenza francese in Gabon. Si oppongono semplicemente a quello che interpretano come l’appoggio di Macron al presidente in carica Ali Bongo nelle prossime elezioni presidenziali del 2023.
Se si escludono i gruppi marginali, la maggior parte dei membri dell’opposizione politica in Gabon non è contraria all’influenza francese nel Paese, ma vuole semplicemente che il governo francese sposti il suo sostegno dalla dinastia Bongo a se stesso. Questo atteggiamento in Gabon è in netto contrasto con la situazione in Guinea, Burkina Faso e Mali, che non vogliono avere nulla a che fare con la Francia.
Ovviamente, le elezioni del Presidente del 2023 si sono tenute il 26 agosto 2023 e sono state polemicamente “vinte” da Ali Bongo, con grande disappunto della popolazione gabonese e con l’allarme dell’alto comando militare, che ha cercato silenziosamente – senza successo – di dissuadere Ali Bongo dal continuare ad essere al potere dopo un devastante ictus che lo ha lasciato parzialmente paralizzato nell’ottobre 2018..
Per la prima volta in 55 anni, il 7 gennaio 2019 il Gabon, stabile politicamente, ha assistito a un colpo di Stato militare. È fallito, ma era solo questione di tempo prima che il disabile Ali Bongo venisse accompagnato con la forza alla porta d’uscita.
Il riuscito colpo di Stato del 30 agosto 2023 aveva lo scopo di rimuovere un leader nazionale incapace, il presidente Ali Bongo Ondimba, che aveva fatto precipitare il tenore di vita del Gabon. .
Sotto il defunto padre di Ali, il presidente Omar Bongo, il Paese aveva il quarto più alto tenore di vita nell’intero continente di 54 nazioni africane. Durante il governo di Ali Bongo, il Gabon è scivolato in basso fino al settimo posto nell’Indice di Sviluppo Umano, come mostrato di seguito:






Per gli standard africani, lo scivolone nella classifica non è stato troppo grave. Dopo tutto, il Gabon è rimasto tra i primi dieci in Africa con indici di sviluppo umano relativamente decenti.
Ma i gabonesi non si sono accontentati, soprattutto quando la disoccupazione è salita al 33%, che non è nulla rispetto alla situazione di altri Paesi dell’Africa centrale, con il 90%-95% della popolazione in condizioni di povertà e conflitto civile.
Il colpo di stato non ha eliminato la famiglia Bongo al potere. Si è limitato a scambiare il presidente Ali Bongo con la sua ex guardia del corpo e cugino, il generale di brigata Brice Oligui Nguema, che è stato profondamente implicato in alcuni degli eccessi di corruzione della famiglia al potere.
L’opinione pubblica gabonese sapeva chi fosse in realtà il generale Nguema, eppure non ha protestato per la sua ascesa al rango di sovrano militare.
In netto contrasto, già nell’aprile 2019, il popolo sudanese in protesta ha respinto la sostituzione del capo di Stato Omar al-Bashir con un suo ex fedele sottoposto, il tenente generale Ahmed Awad Ibn Auf, che aveva messo in atto il golpe di stato che ha posto fine alla carriera del suo capo..
Nonostante si sia ribellato ad al-Bashir, il nuovo capo militare sudanese, Ahmed Awad Ibn Auf, non è riuscito a conquistare il sostegno dei manifestanti nelle strade di Khartoum. Le proteste di massa in Sudan sono continuate fino alle sue dimissioni in favore del generale Abdel Fattah al-Burhan, considerato più distante dal regime di al-Bashir rovesciato.
I manifestanti gabonesi nelle strade erano ben consapevoli che Nguema era un membro integrante della famiglia Bongo al potere, ma lo hanno comunque accettato senza lamentarsi. In altre parole, volevano semplicemente un amministratore più capace dell’incompetente Ali Bongo. E se questo amministratore capace fosse stato un parente stretto di Ali Bongo, ben venga.
Sebbene in passato ci siano stati occasionali episodi di protesta che hanno preso di mira specificamente il governo francese per il suo tenace sostegno ad Ali Bongo, i gabonesi non sono generalmente ostili alla Francia.
Questo spiega tutti quei video online che mostrano i manifestanti limitarsi a celebrare la destituzione di Ali Bongo. Non ci sono stati episodi di gabonesi che hanno bruciato bandiere francesi o cantato slogan antifrancesi o sventolato bandiere russe. Nessuno dei manifestanti ha chiesto la chiusura delle basi militari francesi nel Paese.
Ancora una volta, il Gabon non è come il Mali/Burkina Faso, dove la povertà è così profonda che è facile additare la Francia per tutti i misfatti e le élite locali, sia militari che civili, per nessuno.





Soldati gabonesi durante l’insediamento del generale di brigata Brice Nguema come sovrano militare del Gabon.
E prima che qualche individuo con problemi cognitivi dica che sto sminuendo “l’imperialismo”, permettetemi di aggiungere che la Francia è in parte responsabile dei problemi in Mali e Burkina Faso. Ma questo non spiega la Guinea, che nel 1958 ha dichiarato la totale indipendenza dalla Francia ed è entrata nell’orbita filosovietica.
La Guinea è in uno stato peggiore di quello di alcuni Paesi dell’Africa francofona che sono rimasti sotto il quasi-bondaggio francese. Ho già spiegato qui e qui in modo molto dettagliato come l’instabilità politica abbia rovinato la Guinea nonostante la sua tanto decantata indipendenza dal controllo francese. .
Non ho tempo per le persone che si rifiutano di leggere la vera storia dell’Africa e che cercano scuse per i fallimenti dei vari leader nazionali africani, siano essi leader civili eletti o i governanti militari infinitamente peggiori (tranne Capitano Thomas Sankara).
Cosa sta succedendo oggi in Gabon? Il generale Brice Nguema si prepara a imitare il presidente Teodoro Obiang Nguema della vicina Guinea Equatoriale. (Nonostante i cognomi identici, i due leader nazionali non hanno legami di parentela.)
Con la Francia che ha eliminato il più importante di tutti gli sfidanti generalmente deboli all’interno della famiglia Bongo al potere, annunciando il progetto di perseguire Pascaline Bongo, Il generale Brice Nguema è libero di organizzare le elezioni che lo trasformeranno in un presidente civile, proprio come il maggiore generale Teodoro Obiang Nguema della Guinea Equatoriale si trasformò in un presidente civile nel 1982 dopo “elezioni democratiche”..
Vorrei parlare un po’ di Pascaline Bongo, di formazione francese e americana. Un tempo era la donna più potente del Gabon, soprattutto quando suo padre, il presidente Omar Bongo, era ancora nella terra dei vivi. Nel governo di suo padre è stata consigliere personale del Presidente del Gabon (1987-1991), Ministro degli Affari Esteri (1991-1994) e Direttore del Gabinetto del Presidente (1994-2009).





Il politico dell’opposizione gabonese e professore di economia Albert Ondo Ossa ritiene che il colpo di Stato del 30 agosto 2023 sia stato orchestrato da Pascaline Bongo per portare al potere suo cugino, Brice Nguema.
Quando Omar Bongo morì in Spagna, dopo 42 anni di leadership nazionale gabonese, Pascaline era ancora una persona molto potente. Tuttavia, alla fine perse nella lotta intestina per il potere che scoppiò tra lei e il fratello minore, Ali Bongo.
Una volta che Ali Bongo prese il controllo del partito politico al potere, Parti Démocratique Gabonais (PGD), e successivamente è diventata Presidente del Gabon nell’ottobre 2009, Pascaline è stata gettata in una spirale discendente di potere e influenza. Suo fratello l’ha gradualmente privata di posizioni e privilegi. All’inizio del 2019, era ancora aggrappata al suo ultimo posto nazionaleAlto Rappresentante Personale del Presidente del Gabon..
Senza alcun preavviso, il 2 ottobre 2019, il consiglio dei ministri del gabinetto presieduto dal parzialmente paralizzato Ali Bongo ha emesso un succinto comunicato di una sola frase in cui dichiarava che Pascaline era stata licenziata dal suo ultimo incarico nazionale. Poco dopo, è stato annunciato che sarebbe stata sfrattata da una villa di proprietà del governo nell’elegante quartiere di Sablière della città di Libreville. Ci si chiedeva anche se le sarebbe stato permesso di mantenere il suo passaporto diplomatico gabonese.
Il rovesciamento di Ali Bongo non ha migliorato la posizione di Pascaline in Gabon, nonostante le affermazioni, non dimostrate, secondo cui sarebbe stata lei a orchestrare il colpo di Stato. Pascaline rimane impotente come lo era dall’ottobre 2009. Tuttavia, è ancora un membro di spicco della famiglia Bongo e quindi suo cugino, Brice, non correrà alcun rischio.
Come qualsiasi altra leadership politica che cerca di pacificare le masse per conservare il potere, il ancien regime del Gabon ha dovuto fare dei sacrifici. Se i cittadini gabonesi sono arrabbiati per la corruzione del governo, perché non proporre alcuni membri della famiglia Bongo come capro espiatorio? .
Perché non perseguire Ali Bongo, Noureddine BongoSylvia Bongo e pochi altri mentre il resto del clan Bongo al potere e gli alleati guidati dal generale Brice Nguema portano avanti il ancien regime travestito da giunta militare rivoluzionaria? Ovviamente, la Francia farebbe la sua parte con l’incriminazione di Pascaline Bongo.





Sylvia Bongo Ondimba, ex first lady e consorte di Ali Bongo, è in carcere dal colpo di Stato militare del 30 agosto 2023. Sarà processata per appropriazione indebita e riciclaggio di denaro.
Avendo consolidato il potere, il nuovo governante militare gabonese ha annunciato di voler organizzare elezioni generali nell’agosto 2025. In questo modo avrebbe due anni di tempo per vedere se è in grado di costruire una base personale di sostegno piuttosto che dipendere esclusivamente dal potere e dall’influenza dell’estesa famiglia Bongo, sia all’interno delle forze armate che nella politica civile.





Il capo militare gabonese Brice Nguema visita la tomba dello zio, il defunto presidente Omar Bongo. Il generale Nguema era molto più vicino allo zio defunto che ai suoi cugini, Ali e Pascaline.
L’annuncio della transizione di due anni dal regime militare al governo democratico eletto è stato generalmente ben accolto dall’opinione pubblica gabonese.
Di seguito un breve video che riporta le reazioni dei cittadini della capitale Libreville al calendario di Nguema per le elezioni generali del 2025:

Una carta di “transizione alla democrazia” pubblicata dal regime militare stabilisce che ai membri della giunta al potere è vietato candidarsi a cariche politiche nel 2025. Naturalmente, la carta è abilmente redatta in modo da esentare il capo della giunta militare dal divieto, il che significa che il brigadiere generale Brice Nguema è libero di candidarsi alle presidenziali tra due anni, se lo desidera.
Anche se Brice non ha ancora manifestato interesse a candidarsi alle elezioni presidenziali del 2025, è molto probabile che lo farà per proteggere i propri interessi e quelli della famiglia allargata dei Bongo. E il popolo gabonese probabilmente tollererà la sua trasformazione in un Presidente civile, a condizione che sia in grado di mantenere la stabilità politica e di far fluire un filo di ricchezza petrolifera verso le masse come suo zio è riuscito a fare per 42 anni.
Alla Francia andrebbe bene anche che un membro della famiglia Bongo continuasse a ricoprire la carica di Presidente civile del Gabon dopo le elezioni previste per l’agosto 2025. Perché no?
Dopo tutto, il giorno dopo il colpo di Stato, Brice Nguema ha tranquillamente contattato il governo Macron per spiegare che le relazioni diplomatiche del Gabon con la Francia non sarebbero state in alcun modo intaccate dalla rimozione di Ali Bongo dal potere. .
Questo è stato molto importante perché i principali media aziendali, compresi quelli francesi, hanno continuato a sostenere idioticamente che il colpo di Stato gabonese era simile al putsch nella Repubblica del Niger. Nguema si è sentito in dovere di assicurare a Macron che quelle notizie dei media non erano vere.
Questa particolare rassicurazione è stata seguita da un discreto incontro faccia a faccia tra gli emissari di Nguema e i funzionari del governo francese a margine degli incontri internazionali annuali della Banca Mondiale/FMI ospitati nella città marocchina di Marrakech dal 9 al 15 ottobre 2023.
Ovviamente, nessuna di queste ultime rivelazioni sulle tranquille assicurazioni di Nguema alla Francia sorprenderebbe gli osservatori esperti della nazione gabonese, in gran parte francofila. Ma potrebbe essere una sorpresa per quei media alternativi che continuano a ritrarre i putschisti gabonesi come “rivoluzionari che hanno sconfitto l’imperialismo francese”.
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THE END
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Macron, terrorizzato dal popolo, sta tentando una mossa molto audace, di Laurent

Macron, terrorizzato dal popolo, sta tentando una mossa molto audace. Ecco la mia analisi: Le élite al potere dagli anni ’90 negli Stati Uniti e in Europa stanno perdendo la loro influenza con l’arrivo di Trump, che segna una transizione di potere. Trump ha due anni di tempo per affermarsi e cambiare la strategia americana, il che provocherà grandi sconvolgimenti in Europa, soprattutto in Francia. Le teste potrebbero rotolare, e quella di Macron è una di queste. Per decenni, la strategia di dominio imperialista degli Stati Uniti si è basata su guerre e colpi di stato in tutto il mondo. Quei giorni sono finiti. Il nuovo approccio consiste nel concentrarsi sul proprio continente – l’America del Nord e del Sud – e nell’entrare in competizione economica con la Cina per sfruttare i propri punti di forza sulla scena mondiale. La sfida consiste nel passare da egemone a nazione di peso in un mondo multipolare, una sfida che nessun egemone è mai riuscito a vincere. Come ho spiegato in un post appuntato sulla mia X, la strategia di Trump per salvare il dollaro prevede una massiccia riduzione della spesa militare. È un piano ambizioso: tagliare drasticamente la spesa pubblica, abbandonare un’economia di predazione internazionale e tornare a un’economia reale. In Europa, le nostre élite avevano una strategia abbastanza semplice: andare al potere, comprare la pace sociale con il socialismo, sperare di essere corrotti con somme colossali di denaro vendendo il nostro continente pezzo per pezzo. Da qui il nostro crollo. Con il suo arrivo al potere, l’amministrazione Trump proporrà accordi ai vecchi poteri negli Stati Uniti e in Europa per allinearli alla sua nuova strategia. Putin ha fatto qualcosa di simile in Russia: al suo arrivo, ha offerto agli oligarchi una scelta chiara: “I soldi che avete rubato potete tenerli, ma a due condizioni: rinunciate a ogni ambizione politica e d’ora in poi giocate per la nostra parte, la Russia”. (Alcuni hanno accettato, e la loro transizione è avvenuta senza problemi. Altri hanno resistito e sono stati schiacciati: esiliati, imprigionati o eliminati. In breve, hanno pagato per i loro crimini. Trump ha due anni, una finestra in cui avrà la massima libertà di azione. Questo periodo segna un cambio di regno negli Stati Uniti, e non tutti ne usciranno indenni. Emergeranno file compromettenti che offuscheranno le élite. Quello che abbiamo visto ieri in televisione è che Macron e i suoi alleati sono terrorizzati da questo cambiamento. Sanno che questo spostamento di potere negli Stati Uniti avrà probabilmente delle vittime collaterali, anche tra le stesse élite americane. Tra due anni, alcuni di loro cambieranno schieramento, come ha già fatto Zuckerberg. Altri, incapaci o non disposti ad adattarsi, finiranno in rovina, in prigione o in disgrazia. Macron, da parte sua, sembra aver scelto il confronto diretto con la nuova America di Trump. Rifiuta di sottomettersi e scommette sul fallimento di Trump nell’imporsi contro lo Stato profondo americano, sperando che quest’ultimo riprenda il sopravvento, come è successo durante il primo mandato di Trump. Per giustificare la sua posizione, sfrutta la narrativa della fine della protezione americana in Europa, un pretesto per accelerare il suo progetto europeo. Il suo progetto di riarmo è effettivamente necessario per la nostra sovranità, ma non ne ha né la volontà né i mezzi: è un cavallo di Troia. Il suo obiettivo? Mettere il turbo all’installazione di una tecnostruttura su scala continentale, una tirannia socialista. I segnali ci sono già: un canale televisivo chiuso, l’amministratore delegato di Telegram catturato per piegarlo alle loro richieste e attacchi crescenti alla libertà di espressione. L’idea è chiara: accelerare la fine della proprietà privata e mettere la museruola a qualsiasi opposizione facendola apparire come traditrice e pazza. In quest’ottica, Trump deve essere presentato agli europei come un pazzo pericoloso. Se emergono dossier compromettenti, questa narrazione servirà da scudo. Controllando la parola e la libertà di espressione, vogliono assicurarsi che questi dossier rimangano insabbiati o vengano distorti. A tal fine verranno utilizzate due leve. In primo luogo, per fomentare la minaccia russa: ci diranno che Parigi è a un tiro di pistola da Mosca, che Putin è una superpotenza da temere – senza considerare che, negli ultimi tre anni, ci hanno detto che la Russia è sull’orlo del collasso e che il suo esercito è in rovina. L’incoerenza non li preoccupa. In secondo luogo, questa paura verrà utilizzata per giustificare un bilancio militare europeo, un esercito comune e, infine, una nazione europea federale – gli “Stati Uniti d’Europa”. Macron sogna di esserne il presidente fin dall’inizio. Governa con la distrazione e la menzogna, e la Russia sarà il suo nuovo diversivo per far avanzare questa tecnostruttura tirannica. Per queste élite che hanno tradito il loro Paese, venduto le nostre aziende e rovinato la nostra economia, è una questione di sopravvivenza. Se falliscono e i file vengono fuori, la società non avrà altra scelta che portarli in tribunale e imprigionarli. Negli Stati Uniti, il ritiro militare globale è una necessità per la strategia di Trump – tranne forse in Asia, dove la guerra commerciale con la Cina rimane una priorità. Per il resto del mondo, possiamo aspettarci una drastica riduzione della loro presenza, imposta dai vincoli di bilancio. In Francia, siamo sull’orlo di un’esplosione economica. Macron ha accennato a un’altra conseguenza: vuole colpire i vostri risparmi. Non con una confisca diretta – troppo rischiosa – ma con un “patto col diavolo” che molti accetteranno. I vostri risparmi saranno probabilmente “remunerati” per finanziare la difesa europea, ma a un tasso ridicolo, come il libretto di risparmio Livret A, ben al di sotto dell’inflazione. I vostri soldi saranno investiti in armamenti, pagati in moneta scimmiesca, e il loro valore crollerà. Per riassumere: gli Stati Uniti sono il male, la Russia è pazza e pericolosa, e l’Europa deve unirsi sotto Macron, tecnocrate in capo degli Stati Uniti d’Europa.

qui sotto i link con i documenti finali del Consiglio Europeo del 6 marzo:

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Rapporti sul congelamento dei fondi per l’Ucraina: un destino funesto per l’allineamento tra Trump e la Russia, di Simplicius

Rapporti sul congelamento dei fondi per l’Ucraina: un destino funesto per l’allineamento tra Trump e la Russia

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Continua la settimana difficile per l’Ucraina, che continua a scivolare in un abisso senza speranza. Una serie di nuovi rapporti indicano un approccio così massimalista da parte di Trump, che è difficile non sensazionalizzare le cose con un entusiasmo prematuro.

Per molto tempo ci siamo chiesti quali fossero le vere intenzioni di Trump e della sua squadra nei confronti della guerra, e se forse il segmento dei falchi della guerra neocon avrebbe di nuovo fatto marcia indietro, guidando Trump nella stessa vecchia spirale di escalation contro la Russia. Finora, però, abbiamo assistito al dispiegarsi davanti a noi del percorso più ottimistico che si potesse immaginare.

Non solo tutte le nomine più critiche contro lo Stato profondo, come Tulsi Gabbard e ora Kash Patel, sono state confermate con successo – il che di per sé eliminerà la componente di “cattiva informazione” della classica morsa dei globalisti sul ramo esecutivo – ma tutti i segnali indicano che Trump punta non a una soluzione “a metà” della guerra, ma a una soluzione veramente decisiva, per annientare una volta per tutte il partito della guerra dello Stato profondo. E per loro è niente di meno che il peggior incubo immaginabile, come evoca l’ultimo numero dell’Economist, di proprietà della Rothschild:

Vediamo le ultime trasmissioni che indicano con tanta enfasi un’accelerazione degli eventi verso l’asse massimalista.

In primo luogo ci sono le notizie provenienti dall’Ucraina stessa, secondo cui la squadra di Trump ha effettivamente congelato i finanziamenti. Il capo del Comitato per la Difesa della Rada ucraina, Roman Kostenko, ha dato per primo la notizia:

❗️Gli Stati Uniti hanno smesso di vendere armi all’Ucraina, – il capo del Comitato per la Difesa della Rada Roman Kostenko.

Gli Stati Uniti hanno smesso di vendere armi all’Ucraina, ha dichiarato il capo della Commissione Difesa della Verkhovna Rada, Roman Kostenko.

“Secondo le mie informazioni, le armi che erano in vendita – le consegne si sono fermate. Le aziende che avrebbero dovuto trasferire queste armi ora stanno aspettando, perché non c’è alcuna decisione”, ha detto il deputato.

“E tutti aspettano di vedere se ci sarà una decisione di fornire armi qui almeno in cambio di denaro”, ha aggiunto Kostenko.

Dopo di che il collega Goncharenko, deputato della Rada, è apparso “confermare” la notizia da fonti americane da lui stesso dichiarate:

Ma secondo il Kiev Post, la deputata ucraina Oleksandra Ustinova ha contestato queste affermazioni, anche se si può vedere Goncharenko respingere la sua stessa contro-dichiarazione sopra:

Al CPAC Mike Johnson ha nuovamente dichiarato che “non c’è appetito” per nessun nuovo disegno di legge di finanziamento per l’Ucraina:

Quest’ultimo fatto ha portato a speculazioni sul fatto che l’Ucraina collasserà entro sei mesi se non verranno ripristinati gli aiuti. Le Monde ha scatenato una tempesta di fuoco con questo articolo:

Da quanto sopra:

Ma senza gli aiuti militari americani, “dureremo sei mesi”, ha spiegato il tenente generale Ihor Romanenko, ex primo vice dello Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine, ad Al-Jazeera il 17 febbraio, durante la Conferenza di Monaco.

Le attuali forniture statunitensi, se utilizzate con parsimonia, non possono durare oltre “la metà dell’estate” o “l’autunno”, ha aggiunto Nikolai Mitrokhin, ricercatore dell’Università di Brema (Germania), anch’egli citato dal canale qatariota.

Come si può vedere da quanto sopra, praticamente tutti i personaggi di rilievo convergono sulla tempistica dei “sei mesi”, che include Budanov nel suo precedente “discorso segreto” trapelato. Certo, questo non significa che l’AFU crollerà necessariamente in sei mesi: significa che i rifornimenti potrebbero esaurirsi, e a quel punto l’AFU potrebbe teoricamente ancora resistere a costo di perdite ancora più elevate, almeno per un certo periodo di tempo.

Alcuni di questi aspetti sono già stati notati: per esempio, negli attacchi dei droni Geran di ieri su Kiev, i commentatori hanno osservato una netta mancanza di difesa aerea, dato che i droni, che si muovevano lentamente, sono stati in grado di fluttuare tranquillamente verso i loro obiettivi senza essere disturbati. Ricordiamo che proprio nel precedente rapporto avevo postato un video di Zelensky che spiegava come l’Ucraina sia in condizioni critiche soprattutto per quanto riguarda gli intercettori Patriot. Ora la Reuters riporta addirittura che gli Stati Uniti hanno minacciato di tagliare del tutto il servizio Starlink dell’Ucraina, dopo che Musk ha lanciato una dura offensiva contro Zelensky su X.

Ricordiamo che le ostilità sul fronte sono state di intensità piuttosto bassa per un po’ di tempo a causa del tempo, ma una volta che questo inizierà a schiarirsi e la Russia aumenterà la pressione, l’Ucraina potrà fare ben poco se non ripiegare senza grandi aiuti.

E sta cominciando a sembrare proprio quello che Trump intende fare.

In primo luogo, l’indiscrezione bomba dell’europarlamentare finlandese Mika Aaltola, secondo cui gli Stati Uniti avrebbero segretamente dato all’Europa un ultimatum di tre settimane per “concordare la resa dell’Ucraina” o affrontare il ritiro totale degli Stati Uniti dall’Europa:

Va notato che, come è consuetudine degli istrionici euro-tecnocrati, egli è presumibilmente iperbolico nel definirla “la resa dell’Ucraina”. Piuttosto che Trump voglia effettivamente firmare una capitolazione, l’eurodeputato finlandese si riferisce probabilmente alle richieste degli Stati Uniti in merito a un accordo di pace – come quello sui minerali – che gli europei percepiscono semplicemente come equivalente alla resa, nonostante sia in realtà ben lontano dalla capitolazione che potrebbe verificarsi se non venisse firmato un accordo di pace.

La prossima notizia bomba afferma che una fonte vicina a Trump ha lasciato intendere che Zelensky deve lasciare immediatamente l’Ucraina per la Francia:

Una seconda fonte vicina a Trump concorda con la valutazione e suggerisce che “il caso migliore per [Zelensky] e per il mondo è che se ne vada in Francia immediatamente”.

Un analista russo commenta quanto sopra:

Le voci sul trasferimento di Zelensky in Francia non sono iniziate senza motivo. Questo è un indizio: Volodya, lo sappiamo tutti.

Ovviamente, il denaro della famiglia Zelensky è nascosto lì.

Nel 2023, Elena Zelenskaya ha aperto conti speciali di tesoreria in tre banche della holding Rothschild, nascosti ai controlli fiscali e antiriciclaggio.

Per ordine del capo di gabinetto di Macron, il movimento dei fondi in questi conti è nascosto alle ispezioni e alla supervisione, ed è anche inaccessibile al controllo a distanza da parte dei regolatori di Bruxelles.

È qui che possono essere nascosti i profitti delle transazioni in criptovaluta, dell’acquisto e della vendita di armi e di altri contanti.

Questo per non lasciare tracce nella giurisdizione statunitense.

Quelle stesse consegne di armi messicane e africane di cui ha parlato Tucker Carlson, così come la rivendita di UAV d’attacco alla Siria per la nuova leadership, che, su ordine segreto di Biden, sono stati prodotti per l’assemblaggio di cacciaviti per gli ucraini.

Durante il periodo di un’importante verifica, gli Stati Uniti stabiliranno facilmente tutte le transazioni su questi conti, soprattutto considerando tutte le criptovalute che sono state utilizzate e che sono sotto il controllo della CIA e del Tesoro americano.

L’offerta di andare in Francia è l’ultimo avvertimento cinese.

A proposito, se siete sospettosi del legame con i Rothschild che suona cospiratorio, non esserlo: è un fatto ben noto che molte figure dell’opposizione ucraina e russa hanno partecipazioni segrete con i Rothschild. Poroshenko è uno di questi:

E tutti ricordiamo il famoso video in cui lo stesso Khodorkovsky ammette di aver posto la sua società Yukos sotto la protezione segreta di Jacob Rothschild:

Collegati dalla loro affiliazione tribale, Khodorkovsky, Poroshenko, Zelensky e Rothschild erano destinati a raggruppare i loro soldi in una ristretta cerchia elitaria. A parte ciò, è interessante notare che gli stessi Rothschild hanno ammesso di non avere alcuna attività in Russia e di essere stati effettivamente cacciati dal Paese, in una telefonata trapelata con i famosi imitatori Vovan e Lexus.

Rothschild, che crede di parlare con ‘Zelensky’, afferma: “Dal 2017 siamo molto più coinvolti con il vostro Paese”.

Ma torniamo indietro. Zelensky sta chiaramente iniziando a non essere più il benvenuto, e nemmeno i Rothschild saranno in grado di proteggerlo dalle cose che verranno. Gli USA avrebbero abbandonato una risoluzione del G7 che chiedeva un linguaggio che citasse “l’aggressione russa” contro l’Ucraina, mentre allo stesso tempo si dice che Trump rinuncerà a “perseguire i crimini di guerra” russi:

Ci sono molte altre iniziative che si sono perse nel dimenticatoio, come la richiesta del senatore Josh Hawley di controllare gli aiuti all’Ucraina:

Si è arrivati al punto che persino Arestovich sta ora aumentando le sue buffonate, dichiarando in diverse interviste che, se dovesse diventare presidente dell’Ucraina, ordinerebbe l’arresto immediato e l’ergastolo di Zelensky, Turchinov e degli altri cattivi responsabili di questo pasticcio:

Il fronte di pressione che si è venuto a creare ha fatto sì che molti si chiedessero: per quanto tempo Zelensky potrà sopravvivere in un simile ambiente informativo?

Lo Spiegel, per esempio, esalta il martirio del narcofuhrer dichiarando in modo ridicolo che Zelensky è stato “tradito”:

Forse è una domanda retorica, ma lo Spiegel ha mai parlato di “tradimento” quando Zelensky ha impoverito decine di milioni di cittadini tedeschi con il più grande attacco terroristico alle imprese tedesche nella storia con il Nord Stream? Si presume di no…

Dall’articolo sopra citato:

“Credo che Zelensky non sia ancora psicologicamente pronto per una fine della guerra in cui non è il vincitore”, afferma il politologo Fessenko. Il presidente è davvero cresciuto nella guerra e lo dimostra con la sua barba, il suo abbigliamento paramilitare e i suoi discorsi serali. “Se improvvisamente smettesse di tenere discorsi e tornasse a indossare giacca e cravatta, sarebbe uno shock per gli ucraini”.

Per Selenskyj, essere Churchill significava camminare coraggiosamente attraverso la guerra come in un tunnel, con gli occhi puntati esclusivamente sulla luce in fondo, mobilitando le forze di una società stanca che non vede la luce.

Ora si scopre che il tunnel non ha una vera uscita, che alla sua fine inizia un nuovo tunnel, che si chiamerà pace ma non sarà una vera pace, e nel quale ci aspettano nuove difficoltà e delusioni. Come spiegare alla vostra gente che la luce promessa è stata ingannevole? Quali sono i ruoli storici per questo?

L’Europa ora arranca per trovare un modo per sostenere il regime di Zelensky che sta naufragando. Ma, come ha dichiarato la “fonte” in apertura, è improbabile che l’Europa sia in grado di sostituire gli aiuti statunitensi. Il fiasco europeo si è trasformato in una crisi politica senza precedenti, lasciando gli eurocrati a rincorrersi la coda nel disordine, mentre le opzioni si riducono. L’unica cosa che gli resta sono gli appelli frammentati a incrementare gli armamenti militari e altre retoriche bellicose che cadono come gocce d’acqua sulle orecchie sorde della popolazione disaffezionata ed esausta.

A sinistra: nuovi titoli di oggi, a destra: un titolo del 2022 come riferimento.

Ecco a cosa ammonta il “piano” europeo per salvare il regime di Zelensky, brillantemente riassunto da Alex Christoforou qui sotto:

Come nota interessante, in una nuova clip che fa riferimento all’accordo di pace, Trump afferma che pensa che Putin “voglia fare un accordo” ma che “non deve fare un accordo perché può avere [tutta l’Ucraina] se vuole”.

È affascinante perché rivela che Trump è più perspicace di quanto forse a volte gli abbiamo dato credito. La maggior parte dell’amministrazione statunitense ha creduto alla menzogna, basata su informazioni sbagliate, che la Russia sia debole e abbia un disperato bisogno di un cessate il fuoco. Ma in realtà Trump sembra pienamente consapevole che Putin non ha bisogno di questo accordo, e può continuare a ingoiare l’Ucraina. Questo è fondamentale, perché rivela molte implicazioni: ad esempio, il fatto che Trump probabilmente sa che l’incentivo deve essere estremamente forte perché la Russia scelga un accordo piuttosto che prendersi tutta l’Ucraina come parte del bottino di guerra. Di conseguenza, possiamo supporre che gli Stati Uniti debbano logicamente preparare importanti concessioni alle richieste di Putin per far funzionare realisticamente un “accordo di pace”.

E oggi abbiamo avuto una conferma di ciò, in quanto è stato riportato dal Financial Timesche il ritiro delle truppe americane dall’Europa orientale è stata una richiesta esplicita da parte russa a Riyadh, per qualsiasi normalizzazione.

Un nuovo rapporto del Financial Times ha rivelato che durante i colloqui USA-Russia di martedì in Arabia Saudita, Mosca ha richiesto il ritiro delle forze NATO e americane dall’Europa orientale come condizione per “normalizzare le relazioni”.

Sempre più segnali indicano che Trump sta cercando di invertire un secolo e mezzo di infruttuoso comportamento atlantista di avversione verso la Russia, in particolare con l’altra voce di oggi, attraverso la rivista francese Le Point, secondo cui Trump intende partecipare alla parata del Giorno della Vittoria di Mosca del 9 maggio. Trump avrebbe smentito questa notizia.

Per concludere, ecco un estratto del precedente pezzo dello Spiegel:

Non c’è più alcun ruolo per Selenskyj e l’Ucraina. Un oggetto di scena che viene spinto sul palcoscenico non ha una parte di parola. Come per l’invasione di tre anni fa, il suo obiettivo è quello di dimostrare ancora una volta di essere un soggetto attraverso le sue azioni, senza guardare alle conseguenze. Per dire, come fece allora, al suo popolo e al mondo intero, l’uomo al Cremlino e l’uomo alla Casa Bianca: Sono ancora qui anch’io.

Sì, sei ancora qui, ma non per molto.

Qualche ultima notizia:

Putin ha commentato gli anni di scienza segreta dei materiali che hanno preceduto la creazione del sistema missilistico Oreshnik:

La temperatura della sua superficie è quasi uguale a quella del sole. È interessante notare che le temperature di funzionamento del missile statunitense Sprint erano note:

Sprint accelerava a 100 g, raggiungendo una velocità di Mach 10 (12.000 km/h; 7.600 mph) in 5 secondi. Una velocità così elevata ad altitudini relativamente basse creava temperature della pelle fino a 6.200 °F (3.400 °C), richiedendo uno scudo ablativo per dissipare il calore. L’alta temperatura ha causato la formazione di un plasma intorno al missile, che ha richiesto segnali radio estremamente potenti per raggiungerlo per la guida. Il missile si è illuminato di un bianco brillante mentre volava.

È uno dei pochi missili documentati ad aver effettivamente raggiunto velocità ipersoniche a bassa quota in condizioni di pressione atmosferica densa, a causa della sua rapida accelerazione; in quanto tale fornisce una linea di base approssimativa. Si dice che la temperatura della superficie del sole sia di poco inferiore ai 10.000 gradi centigradi. Se lo Sprint ha raggiunto i 6.200° a Mach 10, ciò sembrerebbe suggerire velocità interessanti per l’Oreshnik se, secondo Putin, raggiunge temperature superficiali molto più elevate.

Le forze ucraine hanno allestito dei percorsi ad ostacoli per i droni a fibra ottica russi, sperando di “impigliare” i loro cavi nelle zone critiche di trasporto:

Ma come si può vedere, gli operatori dei droni russi riescono a superare questi ostacoli.

Il governatore di Kherson Saldo minaccia che se Kiev non accetterà l’attuale serie di negoziati, la prossima serie includerà referendum in tutte le altre regioni ex-russe e dell’URSS oltre a quelle attualmente annesse:

I referendum per l’adesione alla Russia potrebbero essere indetti in tutte le regioni dell’Ucraina che facevano parte dell’Impero russo o dell’URSS se Kiev non accetterà le condizioni di Mosca, ha dichiarato il governatore della regione di Kherson Saldo. – FRWL

Il colonnello austriaco Reisner fornisce un interessante aggiornamento di mezz’ora sul campo di battaglia in inglese, per chi fosse interessato:

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AVANTI IL PROSSIMO_di Teodoro Klitsche de la Grange

AVANTI IL PROSSIMO

Ha ottenuto una risonanza planetaria il discorso da Monaco di J. D. Vance in cui ha rampognato le classi dirigenti europee. Le reazioni di quella italiana (di centrosinistra) e della stampa mainstream sono state le solite. Chi, riferendosi all’incontro di Vance con i leaders di AFD l’ha ricondotta alla consueta reductio ad hitlerum; i più a una interferenza (ovviamente inammissibile perché non sollecitata da loro); altri al tentativo di far dimenticare analoghi errori della politica USA, e qua siamo al focherello, perché prassi simili sono state poste in essere dalle amministrazioni di Biden ed Obama (salvo altri).

A me preme di notare che in quanto affermato da Vance siano enunciate idee che da millenni, o da secoli fanno parte del pensiero politico realista, quello parafrasando Machiavelli, che prende in considerazione la realtà dei fatti e non l’immaginazione degli stessi.

Due in particolare.

La prima è che l’Europa è in crisi, e che questa è per così dire endogena.

Dice Vance: “L’Europa deve affrontare molte sfide, ma la crisi che questo continente sta affrontando in questo momento, la crisi che credo stiamo affrontando tutti insieme, è una crisi che abbiamo creato noi stessi” Questa è dovuta a “come molti di voi in questa sala sapranno, la Guerra Fredda ha schierato i difensori della democrazia contro forze molto più tiranniche in questo continente. E considerate la parte in quella lotta che censurava i dissidenti, che chiudeva le chiese, che annullava le elezioni. Erano i buoni? Certamente no. E grazie a Dio hanno perso la Guerra Fredda. Hanno perso perché non hanno valorizzato né rispettato tutte le straordinarie benedizioni della libertà. La libertà di sorprendere, di sbagliare, di inventare, di costruire, poiché a quanto pare non si può imporre l’innovazione o la creatività, così come non si può costringere le persone a pensare, a sentire o a credere a qualcosa, e noi crediamo che queste cose siano certamente collegate. E purtroppo, quando guardo all’Europa di oggi, a volte non è così chiaro cosa sia successo ad alcuni dei vincitori della Guerra Fredda”. In altre parole l’Europa decade perché non crede essa stessa nei propri valori. A chiosare quanto affermato dal vice presidente USA, perché ha oscurato le radici giudaico-cristiane, cioè il fondamento della democrazia liberale, in particolare nella “variante” della dottrina del diritto divino provvidenziale. Nei due capisaldi fondamentali: il rispetto per le decisioni e convinzioni della comunità e la tutela dei diritti di ciascuno, comunque quello di manifestazione della libertà del pensiero. Per cui, sempre a leggere Vance, alla luce di Machiavelli, farebbero molto bene i governi europei a “ritornar al principio”, cioè ai fondamenti dell’ordine politico democratico-liberale e non all’(ipocrita) camuffamento del medesimo.

La seconda. Vance ha poi posto un problema di potenza politica. Infatti dice: “Se avete paura dei vostri stessi elettori, non c’è niente che l’America possa fare per voi, né, del resto, c’è niente che voi possiate fare per il popolo americano che ha eletto me e ha eletto il presidente Trump. Avete bisogno di mandati democratici per realizzare qualcosa di valore nei prossimi anni. Non abbiamo imparato nulla dal fatto che mandati deboli producono risultati instabili, ma c’è così tanto valore che può essere realizzato con il tipo di mandato democratico che penso verrà dall’essere più reattivi alle voci dei vostri cittadini.

 

Se volete godere di economie competitive, se volete godere di energia a prezzi accessibili e catene di approvvigionamento sicure, allora avete bisogno di mandati per governare perché dovete fare scelte difficili per godere di tutte queste cose e, ovviamente, lo sappiamo molto bene in America”.

E qua Vance ha posto un tema fondamentale del pensiero politico ossia, a sintetizzarlo al massimo, quello dell’obbedienza (del consenso, della legittimità) e del rapporto con la potenza dell’istituzione politica (o nelle “varianti” dei governanti, delle comunità). È intuitivo che un comando che non ottiene obbedienza non è comando reale; quello che la ottiene, ma soltanto con la coazione, dura poco (è instabile). Quindi l’ideale è che il comando sia sempre corrisposto da un certo grado di obbedienza (anche se non perinde ac cadaver). Meno intuitivo è che un governo, poco confortato dal consenso degli elettori (pour richiamandosi alla democrazia) è un governo debole.

Scriveva Spinoza: “Il diritto dello Stato, infatti, è determinato dalla potenza della massa, che si conduce come se avesse una sola mente. Ma questa unione degli animi non sarebbe in alcun modo concepibile, se lo Stato non avesse appunto soprattutto di mira ciò che la sana ragione insegna essere utile a tutti gli uomini”[1] e che “non è il modo di obbedire, ma l’obbedienza stessa, che fa per il suddito”; ciò, malgrado non ammettesse un dovere d’obbedienza assoluta, Anche se un monarca come Federico II di Prussia enunciava come fattori di potenza e di sicurezza di uno Stato: esercito, tesoro, fortezze, alleanze” (omettendo così il consenso/obbedienza) è sicuro che senza questa, il potere del governante è ridotto ai minimi termini. L’ordine e la coesione sociale e politica che ne consegue – al contrario – facilitano sia l’esecuzione delle obbligazioni, anche internazionali come, del pari, rendono vane – o limitano – la possibilità di speculare dall’esterno sulle rivalità e conflitti tra i governati e soprattutto sui gruppi in cui si dividono. E pluribus unum non è solo il motto degli USA: è il compito e lo scopo di ogni unità politica vitale.

Ma se, al contrario, tale unità degli animi non si realizza, anzi si sviluppano nuove contrapposizioni, a farne le spese è, in primo luogo, la potenza (in senso weberiano) dell’istituzione statale, che vede nullificata o radicalmente ridotta la possibilità che la propria volontà possa essere fatta valere. Il parametro sul quale giudicare la potenza dello Stato è esistenziale e non normativo. La scelta virtuosa, dice Vance, è abbracciare “ciò che il vostro popolo vi dice, anche quando è sorprendente, anche quando non siete d’accordo. E se lo fate, potete affrontare il futuro con certezza e fiducia, sapendo che la nazione è al fianco di ognuno di voi, e questa per me è la grande magia della democrazia… Credere nella democrazia significa capire che ogni cittadino ha la propria saggezza e la propria voce, e se ci rifiutiamo di ascoltare quella voce, anche le nostre battaglie più riuscite otterranno ben poco…. Non dovremmo avere paura del nostro popolo, anche quando esprime opinioni in disaccordo con la propria leadership”. Mentre nelle istituzioni europee a molti “non piace l’idea che qualcuno con un punto di vista alternativo possa esprimere un’opinione diversa o, Dio non voglia, votare in modo diverso o, peggio ancora, vincere un’elezione”.

E in ciò Vance non ha fatto altro che seguire non solo il pensiero politico realistico, ma anche la prassi del diritto internazionale (sia classico che post-vestfaliano) per cui soggetto di diritto internazionale, o comunque interlocutore è chi ha il potere, in una comunità; chi lo aveva, anche se titolare legale, ma non ce l’ha più, lo perde. Chi è in “lista di sbarco” come gran parte della classe dirigente europea, è un interlocutore debole e quindi inutile. Dato che, negli ultimi anni, la gran parte dei paesi dell’U.E. ha visto cambi di governo a favore di sovranisti (lato sensu) e, laddove non è successo, gli stessi sono cresciuti, di guisa che perfino la stabilissima quinta repubblica francese è diventata bastabile, è chiaro che i suddetti governanti non sono ritenuti interlocutori reali. A meno che – quanto meno improbabile – non recuperino il favore popolare. Ma se ciò non avviene non resta che aspettare le elezioni: avanti il prossimo.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Trattato politico, III, Torino 1958.

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La maledizione di Zhou Bai Den_di Aurelien

La maledizione di Zhou Bai Den.

Ovvero, il masochismo per divertimento e profitto.

Abbiamo recentemente superato gli 8500 abbonati, il che è molto gratificante. Molti nuovi abbonati sono arrivati grazie alle condivisioni dei lettori, e vorrei ringraziare tutti coloro che lo hanno fatto. .

Questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete sostenere il mio lavoro apprezzando e commentando, e soprattutto trasmettendo i saggi ad altri, e passando i link ad altri siti che frequentate. Se desiderate sottoscrivere un abbonamento a pagamento, non vi ostacolerò (anzi, ne sarei molto onorato), ma non posso promettervi nulla in cambio, se non una calda sensazione di virtù.

Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️

Come sempre, grazie a chi fornisce instancabilmente traduzioni in altre lingue. Maria José Tormo sta pubblicando le traduzioni in spagnolo sul suo sito qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni sta pubblicando le traduzioni italiane su un sito qui.Hubert Mulkens si è offerto di fare un’altra traduzione in francese, e ci lavoreremo, spero questa settimana. Sono sempre grato a coloro che pubblicano occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a condizione che si dia credito all’originale e che me lo si faccia sapere. E ora:

********************

Non vi sorprenderà sapere che i media francesi sono stati consumati, da circa un mese, dall’ascesa al potere di Donald Trump: evidentemente, questa ossessione ha fatto sì che sviluppi probabilmente più importanti, in Cina o in Ucraina o in Medio Oriente, per non parlare della Francia, abbiano ricevuto meno copertura di quanto meritassero. Ogni opinionista e scribacchino, alla radio, in TV e su Internet, sembra voler dire qualcosa, anche se non ha nulla da dire. Molti di loro hanno difficoltà a pronunciare i nomi anglosassoni e la prima volta che ho sentito un riferimento a quello che sembrava Zhou Bai Den, ho pensato che i cinesi si fossero finalmente decisi a comprare l’America.

Ci sono ovviamente ragioni oggettive per interessarsi alla presidenza degli Stati Uniti, anche se tra la gente comune in Francia (e, per quanto posso giudicare, altrove in Europa) il livello di interesse è piuttosto superficiale. Ma le classi intellettuali, mediatiche e politiche europee sono talmente ossessionate dalla politica e dalla cultura statunitensi, in patria e all’estero, che spesso sembrano non avere tempo sufficiente per occuparsi delle crisi politiche e sociali dei loro Paesi. Inoltre, molto spesso adottano, e per giunta in modo irriflessivo, l’immagine degli Stati Uniti come attore principale del mondo e parlano di molti dei problemi e delle crisi mondiali come se gli Stati Uniti fossero l’unico attore principale e le loro opinioni fossero sempre giuste. Persino (e forse soprattutto) i più acerrimi critici della politica statunitense assecondano il paese nelle sue illusioni di essere una strana potenza imperiale.

È strano che sia così e cercherò di spiegarne, almeno in parte, il motivo. In questo processo, parlerò molto della Gran Bretagna e della Francia, poiché sono i due Paesi che conosco meglio. I lettori di lunga data sapranno che raramente parlo direttamente degli Stati Uniti, perché non li conosco particolarmente bene, né ho una grande empatia con loro, ma dirò comunque qualche parola, perché il dominio intellettuale degli Stati Uniti sull’Europa, e l’attuale cedimento intellettuale degli europei di fronte agli Stati Uniti, è in realtà abbastanza recente, ed è essenzialmente un’interazione tra due culture e due storie. Ha ben poco a che fare con una cosa banale come la realtà.

Quindi, non è sempre stato così. Quando sono cresciuto negli anni ’60, l’immagine dell’America nel mondo era generalmente discutibile, se non addirittura negativa. Le tensioni razziali, le rivolte razziali, gli assassini dei Kennedy e di Martin Luther King, i Weathermen, la guerra del Vietnam, la Cambogia, le manifestazioni mondiali contro gli Stati Uniti, Nixon, il Watergate, Gerald Ford… tutto sembrava rafforzare l’idea di un Paese in profonda crisi. L’ignominioso fallimento della missione di salvataggio degli ostaggi statunitensi a Teheran nel 1980 sembrava riassumere una società che aveva perso la strada e non riusciva a fare nulla, e che non era un modello per il resto del mondo. Al contrario, questo avveniva alla fine dei “trent’anni gloriosi”, quando l’Europa aveva conosciuto una forte crescita, l’armonia e l’uguaglianza sociale e la pace internazionale, dando ai leader europei una fiducia che da allora hanno completamente perso.

Nell’immagine negativa degli Stati Uniti c’erano ovviamente punti più luminosi, soprattutto a livello culturale. La musica aveva Dylan, ovviamente, ma anche i Doors e i Jefferson Airplane. Hollywood sfornava film decenti, soprattutto negli anni Settanta, autori come Saul Bellow e John Updike erano in piena attività, Thomas Pynchon stava scrivendo il suo capolavoro Gravity’s Rainbow, e il poeta Robert Lowell era ancora vivo, anche se non scriveva nulla di interessante. Ma tutto ciò era molto in secondo piano. E naturalmente l’annientamento dei cinema nazionali da parte delle importazioni hollywoodiane a basso costo era già iniziato, e i programmi televisivi americani a basso costo avevano cominciato a infestare l’etere, quindi la transizione di cui parlo non avvenne da un giorno all’altro.

L’ironia è che il periodo che ho appena descritto è oggi considerato da molti americani come un’età dell’oro, quando il tenore di vita era più alto, l’economia era più forte, i livelli di salute e di istruzione erano migliori, la vita culturale era più ricca e anche la vita politica era meno squallida. Obiettivamente, oggi gli Stati Uniti dovrebbero avere un’influenza molto minore nel mondo, e soprattutto in Europa, rispetto a cinquant’anni fa. Eppure è evidente che non è così, anche se non è ovvio perché dovrebbe essere così. Chi, ad esempio, vorrebbe imitare le politiche economiche o le pratiche sanitarie statunitensi? Beh, un numero sorprendente di politici e opinionisti in Europa, compresi alcuni esponenti della sinistra nozionistica.

Le ragioni sono complesse e possono sembrare controintuitive, ma sono identificabili con un po’ di riflessione. E contribuiscono a spiegare lo stesso dominio intellettuale ad altri livelli: la distruzione totale della cultura popolare e alta britannica da parte delle importazioni americane a basso costo e l’americanizzazione del governo e del settore privato sono ormai così profondamente radicate che le nuove generazioni hanno difficoltà a immaginare che le cose siano mai state diverse. Ma lo stesso vale anche altrove: sono poche le aziende e le organizzazioni francesi senza i loro processi e il loro vocabolario gestionale di stampo anglosassone, i loro indicatori di performance e la loro ossessione per il risparmio finanziario a breve termine ad ogni costo. In effetti, sembra esserci una gara informale tra i giovani politici europei per importare il maggior numero di parole d’ordine inglesi nei loro discorsi.

Da tempo l’istruzione in Gran Bretagna segue le pratiche americane, che ora si sono diffuse anche nel resto d’Europa. Sebbene gli studenti di molti Paesi europei non paghino le tasse, le università hanno comunque scelto di trattarli come “consumatori” e di assecondare ogni loro capriccio, trattandoli come bambini. Molti studenti europei vanno anche in scambio negli Stati Uniti e portano con sé ogni sorta di strane idee. Le università francesi cercano ora di attrarre studenti stranieri che pagano tasse elevate e che non sono più tenuti a studiare in francese, né a conoscere la lingua. Questo porta a tentativi disperati e spesso infruttuosi di fornire l’insegnamento e l’amministrazione in inglese, e a un sistema accademico che è un compromesso malriuscito tra il francese e l’americano, quest’ultimo considerato uno standard internazionale.

Le conseguenze più ampie dell’americanizzazione dell’istruzione europea includono l’importazione su larga scala di norme e costumi sociali americani. La politica identitaria di stampo americano è ormai dilagante nelle università francesi e tra i neolaureati, che si appropriano del loro vocabolario e spesso adottano semplicemente termini inglesi all’ingrosso. Così, qualche anno fa è apparsa per breve tempo un’organizzazione chiamata Black Lives Matter France, che però non è stata in grado di indicare esempi paragonabili alla vicenda dei Floyd nel proprio Paese. E sono rari i discorsi pronunciati in questi giorni sui presunti “problemi razziali” in Francia che non invocano la loro risoluzione secondo gli insegnamenti di Martin Luther King, come se questo fosse in qualche modo rilevante. In effetti, si può dire che non c’è una sola svolta nello spazio delle lamentele degli Stati Uniti che non venga ripresa immediatamente in Europa.

La diffusione di queste idee ha contribuito a minare le tradizionali relazioni sofisticate e rilassate tra i sessi che facevano parte della cultura francese. Al giorno d’oggi, soprattutto nelle università, viene rigorosamente promulgata un’immagine spietata dell’aggressività maschile e del vittimismo passivo femminile, mentre i sessi vengono educati all’odio e alla paura reciproca. Gli studenti di sesso maschile e femminile si mescolano sempre meno e sono meno pronti a stringere relazioni, che ora sono viste come inaccettabilmente pericolose.

Potrei continuare a lungo, ma mi fermerò qui, perché sarà già evidente che nessuna delle idee e delle pratiche sociali, politiche, culturali ed economiche importate dagli Stati Uniti nell’ultima generazione funziona davvero, e molte non hanno alcun senso in Europa. Per esempio, ho visto per caso una parte di un programma su TF1, il principale canale commerciale francese, in cui le aspiranti pop star venivano preparate per il successo. (La maggior parte dei cantanti imparava, a pappagallo, a cantare canzoni in inglese, anche se né loro, né i loro istruttori, né il loro presunto pubblico in Francia, avrebbero necessariamente capito di cosa stavano cantando.

Ma se, come ho indicato, esiste un numero quasi infinito di esempi, la vera domanda è: perché? Cercherò di rispondere a questa domanda, ma credo che prima di iniziare si debba capire che il problema non è la forza americana, ma la debolezza europea. E mi riferisco alla debolezza culturale e sociale, che può essere ricondotta in modo abbastanza diretto alla recente esperienza storica dell’Europa. Dopotutto, nessuno sceglierebbe oggettivamente gli Stati Uniti come modello da seguire di fronte a delle alternative e, anche in termini di influenza grezza, gli Stati Uniti sono diminuiti come forza politica, militare ed economica, e continuano a farlo.

Vorrei offrire quattro spiegazioni parziali per questo stato di cose, non del tutto distinte tra loro. La prima è la semplice adorazione del potere. Gli Stati Uniti riescono a mettere in piedi l’immagine di una superpotenza militare ed economica con sufficiente convinzione da convincere molti creduloni e politici europei ad assecondare l’idea, nonostante le debolezze esaurientemente documentate dell’esercito e dell’economia statunitensi. La convinzione che la semplice minaccia di un intervento militare da parte degli Stati Uniti sarebbe stata sufficiente a porre fine alla guerra in Ucraina è stata comune in Europa per molto tempo e non è ancora del tutto scomparsa. In parte, ciò è dovuto al bisogno psicologico di rimandare a qualcuno più grande e più forte, anche a rischio di travisamento o di semplice invenzione di tale status. Dopo tutto, i leader politici e gli opinionisti europei non hanno prestato alcuna attenzione alle questioni militari o al mantenimento di una seria capacità di operazioni militari convenzionali da alcuni decenni a questa parte, e le forze armate europee non hanno effettivamente alcuna seria possibilità di giocare il tipo di giochi letali che si stanno svolgendo in Ucraina. In effetti, la classe politica europea e la Casta Professionale e Manageriale (PMC) hanno un approccio al conflitto talmente confuso e contraddittorio, che combina in qualche modo una compiaciuta superiorità morale con occasionali esplosioni di selvaggia aggressività, che cercare di fare piani per un uso sensato delle forze armate europee è impossibile.

Qualsiasi esperto vi dirà che le forze armate statunitensi non sono in condizioni migliori in generale, ma sulla carta, e filtrate attraverso le lenti di Hollywood e di una cultura politica di ottimismo acritico obbligatorio, sembrano grandi e potenti. E se non possiamo essere forti noi stessi, possiamo almeno prendere in prestito la forza riflessa dalla nostra associazione con qualcuno che sembra potente. Se non possiamo essere il bullo della scuola, possiamo almeno essere l’amico del bullo. Questo culto del potere non è, ovviamente, il risultato di un’analisi razionale: se lo fosse, le nostre élite si starebbero informando per imparare velocemente il mandarino, per essere ben posizionate tra dieci anni. (Il ruolo della pura abitudine e della tradizione, va aggiunto, è una componente poco studiata delle relazioni internazionali).

La seconda è la sottomissione e il masochismo, una tendenza che si riscontra in molte società, e in particolare tra le élite che dubitano di sé e odiano se stesse. C’è una sorta di perverso piacere masochistico nel vedere se stessi, o il proprio Paese, come deboli e indifesi di fronte a un potere schiacciante. (È un peccato che Foucault non abbia mai scritto di relazioni internazionali: la sua esperienza diretta dei club S e M sarebbe preziosa in questo caso). Negli articoli di politica internazionale, e ancor più nei commenti a tali articoli, si vedono parole come “vassallo” e “colonia” attribuite agli Stati europei nel loro rapporto con gli Stati Uniti, ed è chiaro che c’è chi trae una sorta di brivido masochistico dal presentare le cose in questo modo. Naturalmente significa anche non dover mai chiedere scusa: le proprie leadership non sono responsabili di nulla, perché sono completamente asservite a un altro Paese, ed è colpa del Big Boy, non vostra.

E ogni masochista o ogni sottomesso ha bisogno di una figura dominante a cui essere sottomesso (o almeno così mi dicono). Gli Stati Uniti, con il loro sbandierato, anche se fragile, senso di superiorità e onnipotenza, si adattano perfettamente alla metafora, anche se la realtà è più sfumata. Ora, in questa realtà, e come i funzionari statunitensi purtroppo confermeranno, gli Stati Uniti sono manipolati senza sosta in tutto il mondo da culture politiche più subdole e spietate di quelle che si trovano a Washington, e dove il politico americano medio sarebbe morto in quindici giorni. Non che sembri avere importanza.

Spesso, l’apparente gerarchia del dominio si inverte: un buon esempio storico è il Vietnam del Sud, dove Washington finì per essere, negli anni successivi, poco più che un apologeta di un regime corrotto e brutale, perché aveva investito troppo in esso per potersi ritirare. Un analogo recente è l’Afghanistan, dove il regime installato dagli Stati Uniti se l’è cavata con un vero e proprio omicidio, senza ritorsioni o critiche serie. Mentre scrivo, sembra che le truppe ruandesi – i prussiani d’Africa – stiano entrando apertamente nella RDC orientale per conquistare la città di Goma e controllare definitivamente le ricchezze minerarie della regione, nonostante i ripetuti e infruttuosi appelli degli Stati Uniti (e di Gran Bretagna e Francia) a non farlo. Ma l’emprise dello spietato regime di Kigali è così completo, e così esperto nello sfruttare i terribili eventi del 1994, che è riuscito ad attorcigliare l’Occidente intorno alle proprie dita. (In effetti, il fatto che il Presidente Clinton abbia implorato il perdono di una brutale dittatura militare per eventi in cui gli Stati Uniti non erano coinvolti, all’inizio del fantomatico periodo di egemonia statunitense, è stato di per sé istruttivo). E chiaramente non siamo alla fine della tragica farsa di un manipolo di fanatici sionisti che controllano il futuro politico di Netanyahu e che controllano anche la politica statunitense nella regione.

Ma in un certo senso non importa, perché è l’apparenza che conta, come spesso accade in politica. C’è una felice(?) coincidenza tra il desiderio delle élite statunitensi di fare la dominatrice e quello delle élite europee di fare le sottomesse. Naturalmente, questo significa che la gente comune da entrambe le parti viene esclusa, ma questa è la politica per voi.

Il terzo, su un piano molto più pratico, è una questione di economie e vantaggi di scala. Nonostante il fatto che l’attuale classe politica europea sia prodotta all’ingrosso in una fabbrica da qualche parte nel sottosuolo della Transilvania, i Paesi che rappresentano rimangono molto diversi tra loro e persino molto diversi all’interno di ciascuno di essi, nel caso di alcuni degli Stati più grandi. Il problema perenne dell’Europa non è la mancanza di coordinamento, per quanto da Bruxelles possano uscire irritanti rapporti su questo tema, ma piuttosto la mancanza di identità e di interessi comuni. Il tentativo di creare un'”Europa” derattizzata, de-culturizzata e globalizzante, che è stato il progetto di Bruxelles negli ultimi trent’anni, in realtà peggiora le cose, anziché migliorarle, perché cerca deliberatamente di seppellire queste differenze. Un’unica nazione, con un unico interesse nazionale, è sempre destinata a dominare il confronto, e più grande è questa nazione, più facile è il compito. Inoltre, non mancheranno occasioni in cui le singole nazioni europee riterranno nel loro interesse schierarsi dalla parte degli Stati Uniti: per decenni, la NATO e gli Stati Uniti hanno funzionato da contrapposizione al potere di Francia e Germania per le nazioni europee più piccole.

Lo stesso vale a livello culturale. La globalizzazione ha avuto l’effetto di eliminare qualsiasi regola, cioè il più grande e il più forte domineranno. Le dimensioni del mercato culturale statunitense sono sempre state tali da rendere i suoi prodotti poco costosi e facili da vendere. Ma questo non sarebbe stato un problema senza la liberalizzazione della televisione in Europa negli anni ’80, che ha prodotto orde di nuovi canali affamati e avidi che cercavano i programmi più economici possibili per riempire gli spazi vuoti tra le pubblicità. L’economia del cinema è stata simile: se il cinema francese sta vivendo una sorta di rinascita in questo momento, a giudicare dal numero di nuovi film che appaiono, questo non è vero per molti altri Paesi, i cui mercati nazionali semplicemente non sono abbastanza grandi per competere. Inoltre, naturalmente, l’inglese, che significa americano, è spesso l’unica lingua che le élite europee hanno in comune.

Ma se ci sono ragioni pragmatiche ed economiche per il dominio culturale, ce ne sono anche di più tenui. In molte culture europee, le importazioni culturali americane di alto livello sono associate a una visione del mondo più ampia, più internazionale e più sofisticata. Naturalmente la spazzatura popolare americana è divorata dai proletari, come in ogni paese, ma il prestigio deriva dall’abbonamento a più canali televisivi americani a pagamento che la gente comune spesso non può permettersi. Di conseguenza, le conversazioni a pranzo tra i PMC europei sono spesso dominate dal numero di canali a cui sono abbonati e da ciò che hanno visto di recente su Netflix, o più probabilmente da ciò che sperano di guardare se mai ne avranno il tempo.

Tutto ciò è strano, perché la migliore cultura statunitense è sempre stata popolare in Europa. Molti registi americani sono trattati con più riverenza in Europa che nel loro Paese: non c’è da stupirsi se si considera che nella maggior parte dei Paesi europei il cinema è ancora considerato una forma d’arte. Anche in Francia si organizzano spesso retrospettive di grandi film americani, e ogni anno si tiene a Deauville il Festival del Cinema Americano: ogni anno una decina di attori e registi vengono premiati per il loro contributo alla carriera. Ma si tratta di un rapporto culturale sano, non di un rapporto basato su un’irrisione preventiva.

Il quarto, che spiega in parte almeno i primi due, è l’abisso culturale e storico che separa gli Stati Uniti dall’Europa. Se è fuorviante parlare di “Europa”, anche in un senso geografico troppo preciso, è sostanzialmente inutile parlare di “Occidente” come se fosse un’entità culturale e storica. Anche in “Europa” esistono differenze fondamentali nelle esperienze nazionali: Polonia e Paesi Bassi, o Svezia e Spagna, non hanno quasi nessuna esperienza formativa storica e culturale in comune, una volta che si va oltre i ritagli di cartone della PMC europea. E semmai il divario culturale transatlantico si è ampliato (sempre escludendo la PMC) nelle ultime generazioni. Dopo tutto, la letteratura classica americana si è ispirata alla tradizione biblica protestante importata dall’Europa (Whitman, Melville) e successivamente è stata pesantemente influenzata dagli sviluppi artistici europei (Eliot e Pound su tutti). Il cinema americano è stato notoriamente creato da immigrati europei, per lo più ebrei, così come la musica popolare americana, da Gershwin e Berlin, fino ai loro discendenti come Paul Simon e Bob Dylan. La scienza, la tecnologia e l’ingegneria negli Stati Uniti devono i loro punti di forza agli immigrati, spesso rifugiati, provenienti dall’Europa.

Al giorno d’oggi sembra esserci un vuoto enorme. La maggior parte della cultura americana di questi tempi sembra essere rivolta agli adolescenti di tutte le età. Ciò che in passato poteva essere caratterizzato da un genuino ottimismo, dal “saper fare” e dallo “spirito pionieristico” sembra essere stato sostituito, almeno agli occhi di un osservatore esterno, da una sorta di conformismo felice e sdolcinato con un sorriso da riccio, una negazione organizzata di tutta una serie di gravi problemi e una fede infantile obbligatoria che le difficoltà saranno risolte, solo perché. Al contrario, le voci che sottolineano l’esistenza di problemi reali e forse terminali vengono spesso respinte. Questo ha prodotto a sua volta una cultura politica sempre più adolescenziale, che ha diverse manifestazioni.

Una è il tipo di solipsismo in cui gli adolescenti sono soliti ritirarsi: solo io conto, tutto riguarda me. Un altro è costituito da inutili atti di ribellione e dalla speranza di scioccare i propri genitori o la loro generazione. La politica americana assomiglia quindi a una tradizionale cricca scolastica o, al giorno d’oggi, a un gruppo adolescenziale sui social media, dove l’obiettivo è essere il ragazzo più figo, o avere le opinioni più estreme e provocatorie e insultare e prendere in giro chiunque non sia d’accordo con te. L’adolescenza è un periodo in cui nulla conta e non ci sono conseguenze: I politici americani possono dire e fare qualsiasi cosa, perché parlano solo tra di loro, e non è certo che pensino agli effetti sul resto del mondo. In un sistema politico così narcisistico, ingenuo e adolescenziale, riflettevo, il resto del mondo è solo un gruppo di pressione, dietro l’industria farmaceutica per importanza.

Sarebbe quindi logico fare quello che fanno molti Paesi del mondo: lasciare che gli americani facciano i loro capricci, fare un po’ di rumore e continuare a fare quello che stavate facendo comunque. È anche vero, d’altra parte, che alcuni Paesi vedono un valore effettivo nella cooperazione: se vivete in un’area instabile, ad esempio, una base militare americana nel vostro Paese può essere un buon deterrente contro i vostri vicini. In molti Paesi i militari statunitensi sono involontariamente impiegati come scudi umani. E naturalmente è possibile essere più proattivi, soprattutto se si dispone di denaro o si può esercitare pressione in altro modo: ho citato Israele e il Ruanda, ma anche i sauditi si sono dati molto da fare e hanno avuto successo. (In effetti, mi sono spesso chiesto perché gli europei, magari insieme ai giapponesi, non comprino il sistema politico americano e se ne facciano una ragione: un centinaio di milioni di dollari all’anno sarebbero sufficienti, no?)

Ciononostante, di fronte a questa incapacità psico-rigida di ammettere la debolezza e l’errore, e nonostante i molteplici e documentati problemi del Paese e del sistema, gli Stati europei continuano a indulgere in un cedimento preventivo di fronte agli Stati Uniti che non deriva tanto dalla “debolezza” in senso facile, quanto piuttosto da un senso di esaurimento storico e culturale. L’Europa ha sempre prodotto più storia e politica di quanta ne possa consumare, e questa politica è stata fondamentalmente diversa dall’esempio statunitense. Dopo tutto, quanti romanzieri americani sono stati sul punto di essere giustiziati per attivismo politico, come Dostoevskij, per poi essere salvati all’ultimo momento da un sovrano assoluto? E quanti lettori americani di Ulisse di Joyce avrebbero capito il lamento di Stephen Daedalus secondo cui “la storia è un incubo da cui sto cercando di svegliarmi”. Anche molti altri europei lo pensavano: molti lo pensano ancora.

Se prendiamo come punto di partenza la fine della guerra civile americana nel 1865, in cosa consiste la storia europea da allora in poi? Beh, un elenco molto selettivo della generazione successiva includerebbe la guerra franco-prussiana e la sanguinosa soppressione della Comune, la breve Prima Repubblica in Spagna, la guerra russo-turca, la violenta lotta tra Chiesa e Stato in Francia, l’affare Dreyfus, la guerra greco-turca, l’ondata di omicidi politici e attentati da parte degli anarchici e, soprattutto, infinite lotte violente tra capitale e lavoro, tra nazionalisti e imperi, tra nazionalisti e nazionalisti, tra autocrati e forze democratiche. Il XX secolo, naturalmente, è stato peggiore: non solo per la terribile carneficina delle guerre infinite, ma per la repressione politica, la polizia segreta, la paura pervasiva, le prigioni, i campi, gli sfollati, le milizie di partito, i processi, le sparizioni, le crisi politiche, la violenza nelle strade, le famiglie divise dalla religione e dalla politica.

Quando scrisse il suo libro Shakespeare nostro contemporaneo (1964)il grande critico polacco Jan Kott dava per scontato che la Storia e le opere romane di Shakespeare descrivessero un mondo di violenza e insicurezza non dissimile dal nostro, e che tutti i suoi lettori sapessero cosa significasse essere svegliati dalla polizia segreta nel cuore della notte. I recensori anglosassoni contemporanei lo derisero gentilmente per l’esagerazione, ma ovviamente tali esperienze erano nella memoria di quasi tutti gli europei dell’epoca, e in effetti erano ancora vissute quotidianamente nell’Europa dell’Est e in Spagna e Portogallo. Il divario tra queste esperienze storiche e quelle degli Stati Uniti è incolmabile, e ho sempre pensato che parte dei problemi che i britannici avevano con l’Europa fosse che in realtà erano stati risparmiati dal peggio della storia europea moderna. (Per completezza, va sottolineato che le società di molte parti del mondo hanno storie politiche più vicine all’Europa che agli Stati Uniti: allo stesso modo, la Nuova Zelanda e il Nicaragua non possono essere trattati allo stesso modo).

C’è un’argomentazione molto forte secondo cui le due guerre mondiali in Europa e le loro immediate conseguenze hanno messo fuori gioco le élite europee e la loro fiducia, e questi effetti sono visibili ancora oggi. La Prima guerra mondiale è stata un cataclisma che va oltre ogni immaginazione: una macchina inarrestabile che ha divorato la gioventù dell’Occidente. Ha prodotto non solo crisi e devastazione per gli anni successivi, ma anche uno shock psichico traumatico da cui ci è voluto un decennio per cominciare a riprendersi: la “letteratura di guerra” – Sassoon, Graves, Remarque, persino Hemingway – risale alla fine degli anni Venti. E si pensava cupamente che fosse solo un’ouverture di un’altra guerra, che sarebbe stata la fine della civiltà stessa. Il seguito fu ancora più psicologicamente devastante, non solo per l’impressionante livello di distruzione fisica, ma soprattutto per la rivelazione degli abissi a cui gli esseri umani potevano realmente scendere. Per quanto gli Alleati avessero a lungo considerato di combattere il Male assoluto, fu comunque uno shock rendersi conto che per il regime nazista le vite dei non ariani non valevano nulla: erano beni di consumo, lavorati fino alla morte se potevano lavorare, uccisi sommariamente se non potevano, o semplicemente lasciati morire di freddo e di fame come milioni di prigionieri di guerra sovietici. Questa constatazione, insieme ai resoconti della barbarie quasi incredibile della guerra nei Balcani, in Polonia e altrove, fu uno shock esistenziale per un continente, e per un’élite, che si era considerata civilizzata.

L’osservazione di Adorno, spesso citata, secondo cui l’Europa si trovava “di fronte all’ultimo stadio della dialettica tra cultura e barbarie: scrivere una poesia dopo Auschwitz è una barbarie, e questo corrode anche la conoscenza che esprime il motivo per cui oggi è diventato impossibile scrivere poesie”, era forse estrema, ma rappresentava una corrente molto potente di reazione delle élite alla presa di coscienza di ciò che esseri umani come loro erano effettivamente capaci di fare. La caduta in una nuova era di barbarie poteva essere in qualche modo evitata dalle nascenti istituzioni europee, rendendo così la guerra “praticamente impossibile”, come auspicava Robert Schuman, ma ciò non era sufficiente. I motori culturali e politici del conflitto, così come li vedevano le élite europee – nazionalismo, culture nazionali, storia e persino lingua – dovevano essere soppressi nell’interesse della pace, per essere sostituiti da un euroconformismo senza caratteristiche, da cui tutto ciò che era controverso era stato chirurgicamente eliminato. Con il passare delle generazioni e il progressivo affievolirsi della fiducia politica degli anni gloriosi, agli studenti europei è stato insegnato a vergognarsi della propria storia e della propria cultura e a chiedere perdono per il passato. La forma più popolare di scrittura storica oggi è il debunking, in cui le care storie nazionali vengono messe in ridicolo. Inutile dire che questo non soddisfa nessuno e ha portato all’ascesa di quella stessa tendenza politica di “estrema destra” (cioè sovversiva) che aveva cercato di sconfiggere.

È questa l’origine della curiosa situazione in cui l’Europa cerca di interferire negli affari dei Paesi del mondo senza attingere ai suoi numerosi punti di forza e alla sua storia particolare. Invece di proclamare il suo status di unico continente che non ha mai avuto la schiavitù e che si è attivamente adoperato per porvi fine altrove, invece di parlare del trionfo di uno Stato laico sulla religione, del diritto universale al voto, dell’introduzione di una moderna legislazione sociale e del lavoro, della creazione di partiti politici secondo linee di classe piuttosto che etniche, dell’introduzione dell’istruzione universale, dell’invenzione dei diritti umani, della crescita della tolleranza religiosa e di una dozzina di altre cose, gli interventi europei sono in termini di prescrizioni normative atemporali incruente, completamente avulse da qualsiasi contesto storico, tranne occasionalmente quello della vergogna.

In una situazione del genere, la propria storia e la propria cultura sono un fardello troppo grande e troppo controverso per essere discusso liberamente. È molto più facile, quindi, adottare quella di qualcun altro, che non ha subito il trauma che l’Europa ha conosciuto. A differenza della storia europea, quella degli Stati Uniti è tenera e provinciale. Così le pagine dei commenti dei siti Internet sono piene di dotte discussioni sulla politica e la cultura statunitense tra persone che sono andate in vacanza a Disneyland, ma che guardano molto la TV statunitense e i siti YouTube.

La combinazione di un’élite europea colpevole, dubbiosa e sempre più insicura, cresciuta senza una solida base culturale e storica, e di un’élite statunitense solipsistica, narcisistica e attenta a se stessa, che raramente tiene conto del resto del mondo, pronta a seppellire i fallimenti e programmata per un eterno e facile ottimismo, crea una situazione estremamente strana: di fatto, le élite statunitensi fingono di governare il mondo e quelle europee fingono di crederci. In questo modo tutti, dominanti e sottomessi, sono soddisfatti.

Naturalmente, ciò crea problemi pratici, poiché la capacità effettiva degli Stati Uniti di gestire il mondo, invece di fingere di farlo, è limitata, e quindi le masochistiche élite europee e la PMC devono ricorrere a razionalizzazioni sempre più bizzarre per rendere possibile tale convinzione. Così all’inizio, a quanto pare, il Grande Piano di sempre era quello di intrappolare la Russia in una guerra con l’Ucraina che avrebbe perso rapidamente, consentendo alle imprese statunitensi di saccheggiare la Russia. Quando questo non ha funzionato, si è ipotizzato che l’altro Grande Piano fosse quello di far cadere rapidamente Putin con sanzioni, dopo di che ecc. Quando questo non ha funzionato, l’altro Grande Piano è stato quello di ricostruire le forze armate ucraine con equipaggiamenti in eccedenza del Patto di Varsavia e così via. Poi l’altro grande piano fu quello di ricostruire le forze armate ucraine con equipaggiamenti occidentali e così via. E così si è andati avanti, razionalizzando le fasi successive della sconfitta con la convinzione che ci fosse stato un Grande Piano (sempre diverso) per tutto il tempo. Che ne dite di una bonanza per l’industria degli armamenti statunitense? Purtroppo no, perché la maggior parte delle attrezzature inviate era obsoleta e già sostituita, e comunque la maggior parte di esse era prodotta in Europa. Ma anche in questo caso, il desiderio masochistico della PMC europea di essere dominata e di adorare il potere è rafforzato dal terrore esistenzialista di vivere in un mondo in cui nessuno ha il controllo e dalla disperata speranza che qualcuno, chiunque, lo abbia.

Infine, vale la pena di aggiungere che il senso masochistico di fallimento e l’impressione di dominio non sono peculiari delle élite PMC europee. È infatti tipico dei Paesi con sistemi politici falliti e problemi enormi per i quali non sono disposti ad assumersi la responsabilità. (Esiste anche una variante minore, specifica degli Stati Uniti, che attribuisce la colpa dei mali del mondo all’Impero britannico: in generale, infatti, gli americani tendono a essere molto più ossessionati dall’Impero di quanto lo siano, o lo siano mai stati, gli inglesi). È qualcosa che si trova spesso negli Stati post-coloniali, dove i loro sistemi politici sono falliti e i loro leader sono odiati, e dove gli intellettuali, gli operatori delle ONG e i giornalisti passeranno ore a spiegarvi amorevolmente quanto siano deboli e indifesi i loro Paesi, e come tutti i loro politici siano nelle tasche di potenze straniere. (Al contrario, non si trovano gli stessi discorsi in Paesi post-coloniali piccoli ma di successo come Singapore).

È un po’ una sorpresa trovare la stessa cosa in Europa, ma credo che, al di là dei fattori citati prima, la spiegazione risieda in parte nell’alienazione quasi totale della gente comune dai sistemi politici europei, e nella consapevolezza che sia i sistemi che coloro che li gestiscono hanno fallito, quasi come in alcune ex colonie. In effetti, come ho suggerito più volte, stiamo assistendo a un tipo di politica precedentemente associata solo ai regimi estrattivi degli Stati post-coloniali che sta rapidamente diventando la norma in Occidente. A un certo livello, le élite europee se ne rendono conto e, a differenza dei loro analoghi statunitensi, non hanno la fiducia necessaria per sfacciarsene. Non potendo contare su nulla per avere fiducia in se stesse, cercano di prenderla in prestito da qualcun altro. In definitiva, per questa generazione di politici incapaci e per i loro parassiti, è più accettabile essere considerati creature di una potenza straniera piuttosto che alzarsi e assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Un ragazzone l’ha fatto e se l’è data a gambe.

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” Gli schiavi non combattono “: l’inquietante intervista del co-presidente dell’AfD a un media trumpista

La chiosa all’intervista è opera del giornalista del “le courrier des stratèges”. Sia dalla chiosa che dall’intervista a Alice Weidel emerge un elemento inquietante che induce a rievocare i vecchi fantasmi novecenteschi che hanno ridotto alla sudditanza di un intero continente. A un atteggiamento fondamentalmente conservativo dell’attuale status europeo corrisponde invece, nell’intervista, una alternativa che ambisce o almeno esprime di voler raggiungere una piena autonomia politica fondata sulla coltivazione dell’interesse nazionale. Sin qui tutto bene. C’è, però, il particolare della rimozione del ruolo attivo delle leadership tedesche nel determinare gli attuali assetti europei, a cominciare dalla funzione attiva svolta da essa, pur subordinata a quella statunitense, nella disgregazione della Jugoslavia e proseguita in Europa Orientale, nei paesi baltici e in Ucraina; come pure il vittimismo di una nazione tedesca, ricorrente nelle fasi di transizione, questa volta vittima della Unione Europea, non in quanto subordinata agli Stati Uniti, quanto piuttosto oberata dal fardello degli altri stati europei. I vantaggi relativi tratti dalla Germania, nel ruolo di intermediario e di maggiordomo degli Stati Uniti, sono del tutto rimossi dalla narrazione di Alice Weidel. L’eventualità che, dovesse saltare l’attuale modalità di controllo, nuove forme di manipolazione e predazione potrebbero emergere attraverso la coltivazione della conflittualità tra stati europei non è quindi così astratta. Non è un caso, probabilmente, che ci sia un assoluto silenzio sul futuro delle relazioni con la Russia. D’altro canto la riproposizione dello schema di contrapposizione destra (nazistoide)/sinistra da parte della Sahra Wagenknecht, presidente della BSW, non fa, probabilmente, che spingere ulteriormente verso una deriva della AfP. In sostanza si intravede come una opportunità, determinata dall’avvento della nuova amministrazione statunitense, possa trasformarsi in un incubo per l’assenza o i grossi limiti di una leadership, vecchia e nuova, incapace di coglierla nel modo appropriato. Il combinato disposto della particolare visione multilaterale di Trump e della rassegnata constatazione del russo Karaganov di lasciar cuocere l’Europa nel proprio brodo senza impigliarvisi è una dinamica probabilmente inarrestabile che apre all’inquietudine più che alla speranza. Detto questo, rimangono le due ragionevoli considerazioni, espresse dalla Weidel, che difficilmente da una condizione di servaggio si sviluppi lo spirito guerriero, specie quello specifico richiesto dall’attuale contingenza e che dalla dotazione dei mezzi e dalla pretesa di procurarseli possa altresì sorgere questo spirito accompagnato a quello dell’autonomia decisionale. La Weidel, a scanso di equivoci, dovrebbe spiegare sin da subito in cosa, però, consista questo spirito e, soprattutto, verso chi debba essere rivolto. Staremo a vedere se le sue dichiarazioni sono dettate dal tatticismo, legato al momento o qualcosa di più profondo_ Buona lettura, Giuseppe Germinario

” Gli schiavi non combattono “: l’inquietante intervista del co-presidente dell’AfD a un media trumpista

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