Il partito Unico, di Michel Onfray

Ieri, mercoledì 20, Le Pen e Macron ci hanno deliziato per quasi tre ore del loro unico confronto diretto in vista delle elezioni presidenziali di domenica prossima. Un incontro finito più o meno alla pari, con Le Pen più in difficoltà iniziale e Macron nella fase finale, ma con qualche punzecchiatura efficace anche nel suo momento sfavorevole. Un duello il cui esito non riuscirà a ribaltare l’esito elettorale. Eppure lei ha avuto il tempo necessario a prepararsi e rimediare alla figuraccia di quattro anni fa. Marine Le Pen ha avuto almeno tre occasioni clamorose per affondare con durezza: sul ruolo mancato della Francia, quindi di Macron, come garante degli accordi di Minsk, il rispetto dei quali da parte del governo ucraino avrebbe certamente evitato l’attuale conflitto. Sul ruolo inesistente e controproducente della Unione Europea sulle due grandi crisi affrontate ultimamente, la crisi pandemica e la crisi ucraina e sul carattere messianico, autolesionistico e destabilizzante della sua politica di conversione energetica ed ecologica; sul ruolo della Francia come potenza mondiale piuttosto che prima donna europea senza specificare che tipo di rapporti intende instaurare con i propri vicini di casa. Solitamente l’assillo principale di ogni governo nazionale o classe dirigente che si rispetti. Nel dibattito, infatti, non a caso, è mancata una parola esplicita rispetto al convitato di pietra nello scacchiere europeo: gli Stati Uniti. Marine Le Pen, ancora una volta, ha rivelato il vizio d’origine che inficia le possibilità di successo di organizzazioni politiche radicate negli strati popolari, le quali rivendicano il diritto e la capacità di governare senza assumerne la postura e la autorevolezza: la capacità di dialogare, attrarre e conquistare parti essenziali di élites e classi dirigenti, indispensabili a far funzionare le cose e dare concretezza ai programmi di cambiamento e alle politiche alternative. Una confessione di sudditanza culturale e di subordinazione psicologica che si traduce in sterilità politica e nel ruolo di eterna oppositrice, così come egregiamente incarnata dalla Le Pen e non solo da essa, purtroppo. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Già il “partito unico” designato senza sparare un colpo a un regime dittatoriale, autoritario, tirannico. D’ora in poi è anche il segno del regime francese e questo poiché le varie consultazioni elettorali hanno sistematicamente portato alla validazione dello stesso programma da tre decenni: quello di Maastricht, di destra e di sinistra messe insieme.

Cinque anni fa era ancora possibile la scelta tra un emblematico maastrichtiano, Emmanuel Macron, e un affermato antimaastrichtiano, Marine Le Pen. Poiché quest’ultima ha affermato chiaramente di non toccare più l’euro, Schengen, i sistemi europei bancari, finanziari e giudiziari, Marine Le Pen la pensa più o meno come Emmanuel Macron. La vulgata mediatica può dire che lei è “estremamente giusta”, questa signora condivide con lui la stessa visione del mondo, il quadro , salvo, a margine, inezie su cui si eccitano gli antifascisti in pelle di pelle. l’ultimo degli studenti della Sorbona che sono più rumorosi del tema.

Tutti concordano sul fatto che i partiti politici siano ovviamente cambiati in mezzo secolo: il Partito socialista del Congresso di Épinay del 1974 propone, via Mitterrand, di rompere con il capitalismo: chi dirà che è ancora il progetto di Anne Hidalgo? Anche quella di Lionel Jospin o di François Hollande quando erano in affari? Se non quella di un François Mitterrand Presidente della Repubblica per due sette anni? Il pugno e la rosa sono scomparsi dal panorama politico francese molti anni fa.

Il Partito Comunista Francese stalinista, che fu collaborazionista con gli occupanti nazisti nell’ambito del patto tedesco-sovietico tra il 23 agosto 1939 e il 22 giugno 1941, che prese posizione contro la contraccezione, contro il divorzio, contro l’aborto, contro l’omosessualità negli anni ’50, contro il Manifesto del 121 all’epoca della guerra d’Algeria, o che, con Georges Marchais, rifiutò l’immigrazione perché procedeva dalla volontà dei datori di lavoro di impoverire i lavoratori, questo PCF n’ è di più. Da Maurice Thorez a Fabien Roussel, il cui responsabile della campagna Yann Brossat non nasconde la sua passione per l’ideologia sveglia. Lungi dalla costoletta innaffiata con vino rosso, l’acqua è passata sotto i ponti. La falce e il martello non hanno più posto tra i comunisti francesi.

La Lega Comunista Rivoluzionaria che, con Mitterrand, ha fornito molti attori del liberalismo maastrichtiano diventati devoti di Macron, non c’è più. Il progetto trotzkista di una rivoluzione proletaria internazionale viene accantonato. Il logo è cambiato. La falce del contadino e il martello dell’operaio lasciano il posto al megafono, che descrive chiaramente il progetto del Nuovo Partito Anticapitalista: un raduno di vocalist potenziati dal megafono. Il bolscevismo trotskista è fuori moda.

Il gollismo chiraquiano che espose nei suoi congressi un’immensa croce di Lorena e gigantesche foto del generale de Gaulle vendette la Francia firmando il Trattato di Maastricht che, nel 1992, gettò nella spazzatura la sovranità nazionale a favore di una nuova sovranità, quella di Jean Monnet Europa americana. Non più Croce di Lorena, non più ritratto del Generale, non più possibilità nemmeno di gollismo. Solo Valérie Pécresse rimane a dire durante la sua campagna che era tempo che una donna “gollista” (sic) arrivasse all’Eliseo. Pécresse gollista? Fammi ridere…

Allo stesso modo, Marine Le Pen non ha più molto a che fare con suo padre, di cui si possono leggere i programmi politici molto liberali degli anni ’70 e ’80 – Thatcher e Reagan erano i suoi modelli economici all’epoca. C’era nel padre una passione per il maresciallo Pétain e un odio per il generale de Gaulle che i due volumi delle sue Memorie confermano senza ambiguità.rispettivamente pubblicato nel 2018 e nel 2019, quindi era ieri. Con umorismo o ironia, cinismo o provocazione, Le Pen senior non ha mai smesso di giocare con l’Olocausto e la negazione dell’Olocausto – il dettaglio della Storia, l’Occupazione non così terribile, il “Crematorio Durafour”, recentemente la necessità di fare un “lotto” con Patrick Bruel, ecc. Questa passione maresciallista e vichy del padre non esiste più in Marine Le Pen che ha fatto dell’Olocausto il più grande crimine del XX secolo – si può immaginare che, per il suo capostipite, il crimine fondante sarebbe stato il gulag.

Ma se nessuno pensa più che il PS voglia rompere con il capitalismo, che il PCF sia contrario all’aborto e all’omosessualità, che i repubblicani difendano la nazione sovrana francese, la maggior parte crede, nonostante tutto ciò che ha detto per distinguersi dal padre, che Marine Le Pen è razzista, antisemita, xenofobo – perché non antibolscevico, sarebbe buono nello spirito! Basta confrontare le parole di Marine Le Pen con quelle di Charles Pasqua o Marie-France Garaud, Alexandre Sanguinetti e Pierre Juillet, tutti gollisti sfacciati, per concludere che il suo tropismo non è in alcun modo vichyst, maresciallista o petinista, ma neogollista .

Scrivo “neo-gollista” e non “gollista”, perché la sua recente svolta verso l’ Europa [1] la avvicina più a Chirac, il cinico attore di Maastricht, che al generale de Gaulle che passò la vita guidando i destini di una Francia sovrana nel mondo.

Un ottimo articolo di Thierry Breton [2] , che non è la mia tazza di tè politico liberale, ma che dice le cose giuste, mostra che Marine Le Pen non poteva portare a termine il suo programma rimanendo nell’Europa di Maastricht. Come Jacques Chirac ai suoi tempi, per elettoralismo, scelse di rimanere nel quadro di Maastricht, il che le avrebbe impedito di portare avanti la sua politica, tutta la sua politica, se per caso fosse stata eletta.

Ricordiamo l’avventura di Tsipras in Grecia: ecco cosa l’avrebbe aspettata se salisse al potere.

Bisogna dunque prendere in giro queste palinodie che saturano i media francesi tra le due torri e che oppongono il campo del Bene al campo del Male. La palma, nel campo dei buoni, va a Gérald Darmanin, ministro dell’Interno, comico nel tempo libero, che afferma, senza ridere: «Con Marine Le Pen forse moriranno i poveri» (sic) [3] . Serio ! Non sappiamo se è con il gas o con la ghigliottina…

Palme de l’hypocrisie a Lionel Jospin che, quattordici anni fa, nel programma Répliques de France-Culture , tornando al suo fallimento nel 2002 e alle manifestazioni che separavano le due torri con Chirac e Le Pen senior finalisti, affermò al microfono di Alain Finkielkraut che, in questa configurazione, “l’antifascismo era solo teatro” – ricordiamo che parlava allora del Fronte Nazionale di Jean-Marie Le Pen… È lo stesso che, oggi, nella configurazione del RN di Marine Le Pen, vuole assolutamente lasciare la sua casa per recitare la scena dell’antifascismo in pelle di coniglio invitando a sua volta a votare Macron per bloccare, tralala, tralalère.

Sono innumerevoli le persone del Camp du Bien che, in processione, provenienti dallo sport o dalla cultura, dallo spettacolo o dalla televisione, dall’università o dalla politica, dal giornalismo o dalla strada, associano Marine Le Pen al fascismo, quindi, sia chiaro, a Lucien Rebatet o Robert Brasillach, rischiando o di banalizzare il fascismo di questi due, di cui, ricordiamo, il secondo ci invitava a non dimenticare i bambini ebrei deportati nei campi di sterminio nazisti, oppure a lavorare per l’impossibilità di utilizzare questa parola quando dovrebbe essere per qualcuno che se la merita – Vladimir Putin per esempio. Questa forma di negazione dell’Olocausto a cui stiamo assistendo mi ripugna.

Questo negazionismo è il cemento del Partito Unico che, in questi giorni, chiede un voto per Macron: Roussel del PCF & Hervé Morin dei Centristi, la CGT di Martinez & il MEDEF di Roux de Bézieux, Liberation of Joffrin, Médiapart of Plenel e il mondochi volete, lo Yannick Jadot degli Écolos e il Jean-Luc Mélenchon degli islamo-sinistra, il François Hollande del PS e il Nicolas Sarkozy dei repubblicani, ancora una volta amici porci, e con loro il loro seguito giustamente sconfitto, Anne Hidalgo e Valérie Pécresse, l’indescrivibile Jack Lang, i media del servizio pubblico ovviamente, Lionel Jospin ma anche Édouard Philippe, François Fillon & Jean-Marc Ayrault e Bernard Cazeneuve, quattro Primi Ministri di Maastricht, non parlo di Castex ovviamente , ministri di Mitterrand, Élisabeth Guigou, Marisol Touraine o, più sbalorditivo, Jean-Pierre Chevènement… Se fossero ancora vissuti, avremmo avuto anche Chirac & Giscard, ovviamente Mitterrand… In altre parole:tutti coloro che hanno messo la Francia nello stato in cui si trova oggi ululano al fascismo mentre il pastore gridava ai lupi! Hanno battuto la loro colpa sul petto degli altri.

Nonostante i loro deplorevoli punteggi, il PS non è morto e nemmeno LR poiché le loro idee maastrichtiane sono quelle di Macron: sono quindi al potere! Erano quelli di Sarkozy & Hollande, di Chirac & Mitterrand del resto. Contiamo quelli che vengono da rue de Solferino e dal diritto di andare al presepe macroniano per cinque anni, e per altri cinque anni la lista è lunga! Allungherà il tempo delle ricompense che verranno. Il Traditore è una grande figura della politica francese – Emmanuel Macron come ammiraglia.

Anche se venisse eletta Marine Le Pen, il sistema di Maastricht si rinnoverebbe. Domanda di tempo: un round, due o tre? C’è la domanda. Ma l’esito della lotta è noto. Non sono uno di quelli che pensa “Tutto tranne Macron”. Non ho niente contro quest’uomo che non lascerà traccia nella storia, ma ho contro il mondo che difende in cui regna il denaro – questa è la mia definizione di liberalismo. E se questo mondo deve essere difeso da Marine Le Pen, le mie armi scolpite nel legno politico degli anni ’90 del secolo scorso sono pronte.

Per me è: “Tutto tranne Maastricht”. Il resto è letteratura.

Non più del solito, e insieme a un quarto dei francesi , non voterò, perché la sera del primo turno si chiuderà la trappola su un popolo trasformato ancora una volta in un ripieno di tacchino.

Siamo sotto il governo di un Partito Unico e, per quanto possa sembrare paradossale, coronando il successo del sistema, i due finalisti difendono questa stessa ideologia maastrichtiana. Uno è il suo dichiarato vassallo, l’altro lo diventerebbe per non essersi chiaramente data i mezzi per sfuggire a questa vassalizzazione che la priva della sovranità – e quindi delle possibilità di agire… Eletta, Marine Le Pen non sconfiggerebbe l’Europa maastrichtiana, ne sarebbe disfatto.

Non possiamo liberarci di questo tipo di sistema trentennale imposto dal Partito Unico con solo scrutinio…

[1] Vedi il mio testo Le Front National est mort pubblicato il 2 aprile 2021, più di un anno fa, sul sito del Front Populaire.
https://michelonfray.com/interventions-hebdomadaires/le-front-national-est-mort?mode=video

[2] Le Figaro , 15/04/2022, “Il progetto di Madame de Pen richiede un Frexit”.

[3] Le Parisien , 14 aprile 2022.

https://frontpopulaire.fr/o/Content/co10014277/le-parti-unique?utm_source=frontpopulaire&utm_medium=newsletter&utm_campaign=nl1904fp&utm_content=parti+unique+michel+onfray+macron+le+pen

Mario Draghi, la parabola di un funzionario_di Giuseppe Germinario

Per oltre un anno hanno invocato l’arrivo del redentore a rimedio dello sfacelo provocato con tanta buona volontà da Conte e dai suoi apostoli.

Il suo annuncio aveva sollevato gli animi dell’universo, o quasi, dei peccatori dal cuore fibrillante e penitente.

Il comun sentire suggeriva che il suo prestigio, le sue entrature nel ristretto mondo dei veri decisori avrebbero riportato all’istante il Bel Paese nel cerchio magico dei forgiatori dei destini del mondo; se non proprio tra i commensali, almeno nella stanza di servizio, quella adibita ai sussurri e alle suppliche con qualche fondata speranza di essere accolti.

Il suo avvento trionfale, la sua acclamazione simboleggiava la realizzazione sorprendente, quasi miracolistica, delle aspettative unanimi, ma sino all’attimo precedente discordanti. Un branco di animali rissosi ricondotti dal buon pastore docilmente all’ovile come pecorelle smarrite, pur con qualche bizza bonariamente tollerata per dar sfogo ad intemperanze e smarrimenti identitari. Persino le rade pecorelle rimaste fuori dal recinto a brucare in solitudine i cespugli selvatici non riescono a sfuggire all’attrazione, pronte a seguire sia pure a distanza l’itinerario tracciato dal guardiano.

Lo hanno ritenuto, ancora in parte lo ritengono, il Grande Timoniere in grado di riparare la nave e condurla nel porto più sicuro con tutti gli onori e qualche onere. Si sta rivelando rapidamente in realtà il timone dalla rotta rigidamente prestabilita dal timone automatico, guidato da un software nemmeno tanto sofisticato e flessibile; più prosaicamente una ruota da timone trafitta e bloccata nella direzione da una barra a prescindere dai flutti, dagli ostacoli e dalle correnti.

Sulle doti di coraggio ed intraprendenza del sedicente timoniere è sufficiente la narrazione espressa dalla immagine; non ci sarebbe molto altro di sostanziale da aggiungere.

Sul punto di arrivo della sua missione questa redazione non ha nutrito il minimo dubbio; altrettanto sulla rotta e gli strumenti che avrebbe utilizzato per raggiungerlo. Qualche spiraglio il sottoscritto, dimentico delle stilettate del buon Cossiga, aveva lasciato aperto sulla capacità e possibilità del capitano, o sedicente tale, di rappezzare la nave ed ammorbidire quantomeno le modalità di espressione della propria fedeltà.

Su questo al contrario Mario Draghi ha rivelato nei vari ambiti, piuttosto, i limiti e gli impacci propri di un grigio travèt piuttosto che la sagacia e l’intraprendenza di un condottiero.

Osserviamo nel più ampio spettro possibile le modalità, le finalità e gli strumenti di azione adottati dal nostro in questi quattordici mesi di governo.

Nelle dinamiche geopolitiche europee Mario Draghi è una delle pedine, nemmeno la più importante, certamente una delle più solerti, che deve assolvere al compito di neutralizzare e ricondurre al verbo atlantista le pulsioni autonome, per quanto timide e dettate dalla situazione politica interna piuttosto che dalle ambizioni del ceto politico al governo, di Francia e Germania; deve inoltre coordinare e guidare in questo senso l’azione dei paesi mediterranei, in particolare di Portogallo, Spagna e Grecia. La recente conferenza congiunta con questi paesi mediterranei e la fretta con la quale si vorrebbe giungere alla costituzione dell’esercito europeo, a prescindere dalla costruzione di un complesso industriale, logistico e di comunicazione militare adeguati sono l’indizio di questa intenzione. In questo Mario Draghi, di suo, ha contribuito ad accentuare lo straniamento dell’Italia dalle vicende della Libia, così cruciali per il nostro paese; ha azzerato ogni ruolo di possibile mediazione nel conflitto russo-ucraino esponendosi platealmente più di altri europei, in compagnia di paesi baltici, Svezia, Polonia e Gran Bretagna, il pieno e fattivo sostegno al governo dell’attore nel pieno delle sue funzioni, Zelensky. Analogo fervore e coerenza ha dimostrato nell’applicare la politica di sanzioni alla Russia, in questo superando nella solerzia addirittura Stati Uniti e Gran Bretagna in diversi ambiti; ha rivelato il proprio zelo rusticano, in questo assecondato egregiamente dal valletto Giggino e dal curiale Enrico, apostrofando fuori tempo massimo Erdogan e continuando nella fustigazione personale di Putin. Ha ricevuto in cambio il riconoscimento di Zelensky a che l’Italia sieda in buona compagnia con i peggiori fomentatori al tavolo come garante della futura neutralità ucraina. Un riconoscimento che sa di polpetta avvelenata in caso di accordo solo parziale con i russi sulle nuove frontiere e sullo status ucraino; comunque l’ennesimo impegno dell’Italia in uno scacchiere lontano dai suoi effettivi interessi strategici. Lo ha attraversato sorprendentemente un piccolo sussulto, chiedendo sommessamente ai propri superiori considerazione per la particolare dipendenza del paese dal gas e dal petrolio russi. Una preghiera durata il lasso di un respiro; giusto il tempo di un paio di articoli minatori di richiamo personale apparsi sulla stampa americana. Per il resto Supermario ci sta abituando soavemente e surrettiziamente, con gelida nonchalance, all’inevitabilità di un conflitto armato con la Russia o in alternativa di una politica sanzionatoria foriera di austerità e soprattutto di drammatico dissesto economico e sociale di un paese già colpito dalla furia catastrofista che ha pervaso la crisi pandemica e l’approccio ambientalista.

Ben inteso il nostro ha saputo servire il calice amaro con argomenti insolitamente “sovranisti” per un uomo nutrito di valori agli antipodi. Sulle scelte energetiche ha riesumato il termine di “indipendenza”, ma solo per specificare che trattasi di indipendenza dalla Russia ed omettere il fatto che si arriverebbe in realtà a dipendere ulteriormente da una cerchia più ristretta di fornitori altrettanto e più rapaci, a cominciare dagli Stati Uniti; ha ripescato il termine diversificazione, un ossimoro per un globalista di tal fatta, quando in realtà l’eliminazione di un fornitore così importante conduce sulla strada opposta e per di più pescando in aree geopolitiche particolarmente instabili nelle quali l’Italia per altro riveste un ruolo del tutto insignificante.

I recenti viaggi in Algeria e in altri due paesi africani sono poco più di una cortina fumogena tesa a nascondere l’inattendibilità delle quantità di forniture promesse, per altro ridotte rispetto al fabbisogno nazionale e la divaricazione dei tempi rispetto all’urgenza imposta dalla propria sudditanza geopolitica agli statunitensi. L’Algeria, come è noto, paese per altro instabile politicamente, dispone di riserve in via di esaurimento rispetto alle potenzialità di altri paesi e soprattutto contese da numerosi concorrenti altrettanto assetati e meglio bardati. Riguardo alle forniture di GLN è sufficiente lanciare uno sguardo distratto sui costi esorbitanti di estrazione e di gestione delle infrastrutture di trasporto ed immissione per farsi un idea del dissesto a cui stiamo andando rapidamente incontro. Se a questo si aggiunge il furore dogmatico con il quale si è puntato sulla produzione di energia da fonti rinnovabili con tecnologie ancora sperimentali, comunque in buona misura inquinanti e non in grado di garantire continuità di fornitura e sostituibilità significativa delle fonti fossili, ecco che la strada verso il dissesto e la decrescita infelice è ormai ripida ed inarrestabile ovviamente coperta dall’aura della fedeltà europeista e del miraggio di un mondo bucolico scevro da fonti fossili e da energia nucleare della quale l’Italia deteneva sino a pochi decenni fa ottime capacità tecnologiche. Non solo ripida ed inarrestabile, anche di fatto irreversibile, almeno per lunghi lustri, data la mole e i tempi di attuazione richiesti dagli investimenti per dirottare i flussi verso sbocchi alternativi.

Come al solito, per leggere correttamente i termini della questione posti in Italia, bisogna curiosare sulla stampa e negli ambienti diplomatici all’estero. Nella fattispecie ci ha pensato l’ineffabile Victoria Nuland, rediviva sottosegretaria di stato statunitense, da sempre impegnata a fomentare il bellicismo e a coltivare i propri affari in Ucraina, a mettere nero su bianco i puntini sulle “i”. Raccomandiamo i lettori di scrutare attentamente la sua recente intervista sul quotidiano greco ekathimerinhttp://italiaeilmondo.com/2022/04/17/victoria-nuland-in-k-si-al-gnl-no-agli-oleodotti-nel-mediterraneo/

disponibile su questo nostro link assieme ad altri articoli importanti sull’argomento, in particolare per quanto dice su “Eastmed”. Ne risulta in sintesi la assoluta irrilevanza e scontata accondiscendenza dell’Italia rispetto alle priorità statunitensi rivolte alla Turchia, alla Germania, all’Europa Orientale e Settentrionale, giunte sino all’estremo sacrificio economico e strutturale del nostro paese.

Lungi dal porgere il petto in nome dell’interesse nazionale, il nostro se l’è cavata con un laconico ed inquietante “se ne può discutere”.

Tutto sommato, però, visti gli antefatti e il suo passato, in questi ambiti non ci si sarebbe potuto aspettare niente di diverso da quest’uomo, se non qualche asprezza ed qualche impaccio di troppo.

La vera sorpresa, mi si perdoni l’enfasi, riguarda e riguarderà ancor più in futuro i due piani operativi per i quali il nostro è stato invocato ed accolto trionfalmente: la gestione della crisi pandemica e la realizzazione del PNRR.

Una sorpresa particolarmente amara per il nostro paese e promettente per lui.

Segno che i destini di successo, gloria e riconoscenza personali non coincidono necessariamente con quelli del paese al quale presuntivamente si appartiene. Nella fattispecie tutto lascia intendere che siano inversamente proporzionali.

LA CRISI PANDEMICA

La conferma di personaggi a dir poco così improbabili, come il ministro Speranza e il commissario Arcuri, figli prediletti del cerchio magico, ormai decadente, direi penoso di Massimo Dalema, non lasciava presagire nulla di buono. La nomina del Generale Figliuolo è stato il vero colpo d’ala nella gestione della pandemia; ne ha rivelato nel tempo i limiti circoscritti e nel contempo indiscriminati dell’azione antipandemica rispetto ad altre finalità inconfessabili di manipolazione e controllo della società emerse via via in maniera sempre più evidente. Un baraccone costruito in realtà su un unico e rischioso obbiettivo, proprio per la sua unilateralità e preclusione di alternative ed interventi complementari: la vaccinazione di massa. Un rimedio dagli effetti annunciati miracolosi, in realtà solo parzialmente efficace. Una costruzione che in qualche maniera ha retto mediaticamente; che continuerà a reggere, anche se in maniera sempre più precaria, almeno sino a quando non saranno disponibili ed effettivamente di pubblico dominio i risultati esposti nelle 55.000 (cinquantacinquemila) pagine del documento appositamente prodotto dalla apposita Commissione, istituita ovviamente dal Congresso Americano.

Sta di fatto che la campagna vaccinale è riuscita soprattutto a nascondere l’incapacità e la aleatoria volontà di Governo e pubblica amministrazione ad agire selettivamente secondo categorie ed aree diversificate di rischio, con uno spettro ben più ampio di interventi seguendo un approccio multirischio più flessibile ed articolato, ma decisamente meno invasivo.

Ne abbiamo parlato e scritto più volte in questo sito sin dai primi giorni della crisi pandemica.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti e lo sarà ancora di più nel futuro prossimo: il dissesto e la precarizzazione di interi settori economici e intere categorie sociali; la gestione inquietante, manipolatoria e totalitaria dell’informazione e dei provvedimenti, strumentale ad altri fini di potere e controllo, così lesta ad essere attribuita e additata a paesi come la Cina, ma negletta in casa propria.

Da qui la vergognosa caccia all’untore, sostenuta e alimentata dall’intero sistema mediatico, ai danni di qualsiasi voce critica, a prescindere dalla fondatezza degli argomenti, le aperte e protratte discriminazioni tese a nascondere e a sopperire alla inefficacia e controproducenza di provvedimenti generalizzati di chiusura e limitazione e al prevedibile saccheggio di risorse del quale si incomincia ad intravedere ormai la reale dimensione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, almeno per chi vuol vedere. La stessa diffusione e patogenicità, letalità del virus non ha subito limitazioni rispetto a paesi dalle politiche più lassiste e flessibili.

Il sospetto, più che fondato, è che la crisi pandemica sia stata nel tempo l’occasione e il pretesto per sperimentare ed introdurre modalità e tecniche di manipolazione proprie di una condizione conflittuale e bellicista più generale e complessa, propria di una fase multipolare della quale gli Stati Uniti faticano e non intendono prendere atto. In questo contesto si inserisce ancora una volta l’azione specie mediatica, particolarmente maldestra, del nostro Supermario entro un baraccone mediatico parossistico, costruito con lo strepitìo di affermazioni e controaffermazioni dallo scarso fondamento scientifico e logico.

IL PNRR

Anche del PNRR abbiamo scritto con dovizia, almeno sino ad un anno fa. L’argomento avrebbe meritato ben altra attenzione nel tempo sia perché è stato il principale cavallo di battaglia che ha consentito l’ingresso di Mario Draghi nell’agone politico, sia per le grandi aspettative di sviluppo e riorganizzazione socioeconomica create ad arte intorno ad esso, sia per le finalità reali, ma celate, per le quali in realtà è stato rifilato, agognato e varato. Anche noi, purtroppo, a causa soprattutto della scarsità di forze disponibili, siamo caduti nella trappola della univocità dei temi imposti in questi ultimi due anni, nella fattispecie la crisi pandemica, dal quale è scaturito per altro il PNRR e la crisi poi del conflitto in Ucraina.

Dubbi perniciosi sulla effettiva efficacia del piano, almeno rispetto agli obbiettivi conclamati, iniziano ad insinuarsi anche in settori cruciali dell’establishment e dei centri amministrativi.

Altrettanto preoccupati, iniziano ad emergere giudici sulla organicità del piano, sulla definizione delle priorità e delle finalità, sull’approccio unilaterale che ignora i fattori multirischio che ne potrebbero inficiare l’esito, sulla capacità di realizzazione dei progetti da parte della macchina amministrativa, specie degli enti locali e sulla effettiva consistenza aggiuntiva dei fondi rispetto ai programmi di spesa di investimento previsti e non attuati in questi ultimi decenni.

Sono nodi dai quali il nostro Supermario riuscirà probabilmente a sfuggire, non sappiamo ancora con quale eleganza, visti i tempi di realizzazione previsti dal PNRR e vista la fretta sempre più evidente del nostro nel cercare gratificazioni alternative, possibilmenteal di fuori di questo “pauvre pays”; così povero, ma così irriconoscenteverso i propri geni.

Non è possibile in questo articolo ritornare analiticamente sulle varie parti del PNRR, né sono in grado al momento di affrontare nei dettagli le caratteristiche del piano.

È possibile comunque ribadire alcuni giudizi di fondo, già espressi per altro con più autorevolezza, ma con eccessiva cautela, da fonti ben più accreditate.

https://www.radioradicale.it/scheda/660186/pnrr-e-fondi-strutturali-2021-2027-il-paese-alla-prova-dellintegrazione-per-evitare-lo

https://www.radioradicale.it/scheda/661208/pnrr-scelte-di-sistema-per-la-ripartenza-scenari-e-valutazioni-sugli-strumenti

  • I fondi sono in gran parte sostitutivi di altri finanziamenti giacenti da tempo ed inutilizzati; la gran parte dei finanziamenti sono prestiti da restituire con una pesante ipoteca nel caso ad essi non dovesse corrispondere un sufficiente livello di sviluppo e crescita economica

  • i progetti, specie quelli propri degli enti locali, in gran parte sono riesumati

  • l’insieme dei progetti si sta rivelando una sommatoria avulsa da priorità, gerarchie, coordinamento ed inserimento in un progetto e modello di organizzazione sociale coerente ed efficace

  • la macchina tecnico-amministrativa, pur con gli interventi ventilati, non sembra in grado di formulare e seguire adeguatamente i progetti

  • manca esplicitamente quantomeno l’ambizione, esplicitata al contrario da Francia e Germania, di acquisire una capacità tecnologica autonoma, necessaria alla garanzia di acquisizione, protezione e manipolazione di dati e comandi indispensabili a gestire con sicurezza la circolazione dei flussi informatici e digitali. L’unico impegno riguarda l’intervento nella Pubblica Amministrazione e nella trasformazione digitale delle imprese in un quadro di indirizzo e controllo delle filiere determinato da altri, soprattutto da altri paesi

  • mancano progetti concreti consistenti di formazione di piattaforme industriali che integrino le attività di ricerca pura, applicata e di finalizzazione del prodotto senza i quali l’attività di ricerca in Italia, pur asfittica, anche se in realtà più significativa nella realtà chiusa delle piccole aziende di quanto mostrino i dati ufficiali, tende assumersi più i rischi che le potenzialità di realizzazione di profitto e sviluppo

  • mancano consistenti risorse finanziarie nazionali indispensabili, tali da curare specifici ambiti produttivi ed organizzativi e da aggirare i vincoli e le limitazioni al varo di nuove iniziative imposti dalle normative europee in materia di concorrenza

Ci sarebbero altri aspetti importanti da segnalare.

Sta di fatto che l’inerzia del processo di attuazione del piano tenderà a realizzare soprattutto alcuni progetti di entità strategica come la logistica e la rete di dati a danno di altri, secondo una logica per così dire apparentemente neutra, la quale porterà ad accentuare in realtà, in assenza di pesanti correttivi, ulteriormente i processi di polarizzazione della struttura socioeconomica europea e di periferizzazione ulteriore della struttura industriale italiana piuttosto che ad un riequilibrio delle dinamiche. Non solo! Ancora più importante, ad assecondare quei progetti logistici più compatibili con le strategie di integrazione militare della NATO e americane.

Una tematica ben presente da sempre in numerose sedi europee, ma quasi del tutto assente ancora in Italia. In perfetta linea purtroppo con la retorica ed il lirismo legato al tema del mancato utilizzo dei fondi strutturali piuttosto che ad un esame disincantato della loro funzione.

Non è il solo aspetto critico del piano.

Ne rimane un altro a segnare la continuità storica di ogni ambizione di riforma dello Stato e dei suoi apparati con precedenti nefasti.

La logica emergenziale, insita anche nel PNRR, che ha portato regolarmente alla creazione di apparati e centri di potere, inizialmente destinati a trasformare, coordinare e sostituire i precedenti e che in realtà si sono sovrapposti e sono entrati in competizione con essi sino ad arrivare e probabilmente a peggiorare in futuro il disordine istituzionale ed amministrativo e la competizione distruttiva e paralizzante tra centri di potere, sempre più spesso dipendenti e diretti da centri esterni.

Un disordine al quale la fede tecnocratica e positivista sulle magnifiche sorti e progressive delle nuove tecnologie difficilmente riuscirà a porre rimedio. Di esempi ne abbiamo ormai visti a iosa.

Il PNRR rappresenta solo l’ultimo strumento, l’occasione giusta al momento giusto, per rafforzare ulteriormente il processo di integrazione e subordinazione della formazione sociale ed economica italiana attraverso vincoli e dinamiche naturali e difficilmente reversibili al quale si sono prestate di buon grado quasi tutte le forze politiche e i gruppi di interessi ansiosi di partecipare ai frutti tanto attraenti nell’immediato, quanto tossici per la società nel futuro, di quel banchetto.

Frutti, per altro, già messi in forse dalle conseguenze destabilizzanti dell’attuale crisi geopolitica.

Attribuire a Mario Draghi la responsabilità esclusiva di tutto questo sarebbe fuorviante e ingeneroso. Una sopravvalutazione, soprattutto, del valore della persona.

Sono processi innescati ormai da oltre quarant’anni e culminati, nella prima fase, con Tangentopoli, la dismissione di un apparato pubblico industriale per altro in netta decadenza nella sua gran parte e un degrado e la letterale sparizione delle capacità tecnico-amministrative legate alla soppressione repentina di agenzie ed apparati pubblici negli anni ‘90.

EPILOGO

Mario Draghi ha seguito questa onda, ne è stato tra i tanti, l’artefice importante sin dagli albori; ci ha costruito sopra una brillante carriera.

Non ha evidentemente concluso la sua opera.

Quello che sta succedendo alla Tim-Telecom, con la possibile conciliazione e spartizione tra americani e francesi, alle Alleanze Generali, nella strategica industria di base italiana, a cominciare dall’acciaio, sono il compimento di questo processo drammatico e nefasto per il paese.

La legge sulla concorrenza dovrebbe essere infine la cornice adeguata per assecondare organicamente queste scelte e il compimento dell’opera.

A guardare gli ultimi documenti significativi prodotti dal Governo, in particolare il DEF e le note al DEF, colpisce l’assordante silenzio in materia di intervento e politiche attive di intervento nell’industria, di obbiettivi di ricostruzione consapevole delle filiere interrotte ed incrinate dalla crisi della globalizzazione, almeno nelle forme sin qui conosciute, di gestione in prima persona almeno di parte delle dinamiche fondamentali.

Una sequela di incentivi generali e di interventi assistenziali dal carattere meramente redistributivo, teso ad accontentare questuanti e ceto politico di bassa lega, ma che dissangueranno ulteriormente il paese e lo distoglieranno dalle questioni cruciali che si stanno affrontando in modo succedaneo e truffaldino.

La stessa protrazione di provvedimenti, quali l’agevolazione del 110% negli interventi di edilizia residenziale rappresentano una distorsione gigantesca in un settore complementare, ma cruciale, tale da saturare e distorcere l’offerta lavorativa ed imprenditoriale, determinare una levitazione enorme dei prezzi di fatto a carico dello Stato per il momento e dei privati nel futuro prossimo e distorcere l’attività dell’intero settore, specie quello legato all’edilizia industriale.

La possibilità di un contraccolpo, quindi, molto difficilmente riassorbibile. Specie se concomitante con la crisi pandemica e con i riflessi della crisi geopolitica in atto.

Su questo si è inserito da par suo, ancora una volta, il contributofattivo e subdolo di Mario Draghi.

Tirando fuori il solito tema, fondato per la verità, ma creato dalla farraginosità e superficialità dei sistemi di controllo, della corruzione ha soppresso il fattore più significativo e positivo di quel provvedimento, assecondando presumibilmente le sollecitazioni discrete ma efficaci della Commissione Europea o di lobby particolari in essa presenti: la circolarità di quei titoli, di fatto una moneta locale.

Mario Draghi ha trovato una strada spianata davanti a sé, grazie anche alla complicità del sistema associazionistico e lobbistico.

Alcune, come Confindustria, istituzionalmente incapaci per la loro composizione, di affrontare e proporre indirizzi di sviluppo, conversione ed aquisizione di potenza di una formazione socio-politica. Altre, come le confederazioni sindacali, incapaci di affermare e confermare appunto il proprio ruolo confederale ed una visione politica di insieme, quantomeno tentata in tempi lontani, che potesse prospettare una forma di sviluppo e di coesione sociale tale da offrire alle rivendicazioni la forma di diritti e doveri compatibili con un determinato assetto produttivo e sociale coeso e dinamico piuttosto che la caratteristica di una difesa distributiva di tipo sempre più difensivo e corporativo del tutto sterile. Un aspettativa evidentemente illusoria con un gruppo dirigente sindacale sin troppo legato alla matrice progressista ed europeista dell’attuale ceto politico e ad una visione sterilmente movimentista abbagliata dalla suggestione compassionevole di masse informi, per altro politicamente inesistenti quanto facilmente manipolabili, piuttosto che dalla partecipazione cosciente dei settori più professionalizzati, antico reale nocciolo duro del passato glorioso dei sindacati e dei partiti di massa organizzati.

Non sappiamo se la piega presa dal paese abbia assunto una direzione definitiva; lo temiamo. In qualche maniera sappiamo cosa servirebbe, ma non siamo in grado, almeno per ora, di contribuire a produrne le condizioni.

Sarebbe già tanto far comprendere che la fortuna personale di un personaggio con un tale passato e di tal fatta non coincide con quella di un paese e della sua popolazione; ne è agli antipodi, ma è quello che vogliono farci credere.

Con le dovute cautele, prima se ne andrà, meglio sarà per la nazione.

NON NEUTRALIZZARE L’ITALIA, MA L’INTERA EUROPA E ARMARLA BENE_di Antonio de Martini

LA PROPOSTA VIENE ….DALLA PRESIDENZA ( FEMMINILE) DELLA SVIZZERA E DEL CONSIGLIO D’EUROPA E SI BASA SULLA CONVENZIONE DELL’AIA DEL 1907.

Cominciamo col definire e distinguere, dopo un pò di storia.

COME E’ NATA L’IDEA

La neutralità svizzera – più correttamente l’estraniarsi dalle rivalità e beghe successorie tra i Borbone e gli Asburgo- nasce all’indomani della battaglia di Marignano ( 13/14 settembre 1515) in cui gli svizzeri persero 5.500 uomini su venticinquemila impiegati in combattimento.

Gli svizzeri decisero che del Ducato di Milano potevano fare a meno, ma che non avrebbero potuto permettersi il lusso di un altro salasso di quelle dimensioni senza scomparire dalla carta geografica.

Lo straniamento divenne neutralità, violata solo duecentottanta anni più tardi dalle truppe francesi del Direttorio nel 1798.

Il trattato di Parigi del 20 novembre 1815, offriva ” formalmente e autenticamente la neutralità perpetua della Svizzera” e da allora divenne un articolo di fede.

Identica formula ” stato indipendente e neutrale in perpetuo“fu applicata a proposito del Belgio nei trattati di Londra del 1831 e del 1839. Anche il Belgio ottenne grazie a questi trattati, ottanta anni di pace e scapolò la guerra franco prussiana del 1870.

Era nata un’abitudine ancora non codificata dal diritto internazionale, ma attrattiva per i cosiddetti ” stati cuscinetto” compressi tra due stati più potenti e rivali.

L’inquadramento giuridico prese forma con la Convenzione dell’Aia del 18 ottobre 1907.

https://avalon.law.yale.edu/20th_century/hague05.asp

Meno fortunato il Belgio che nel 1914 fu travolto dal nipote di Von Moltke il vecchio – il brillante vincitore del 1870- inverando ante litteram il detto churchilliano che “i discendenti degli uomini illustri sono come le patate: la parte migliore si trova sottoterra”. L’idiota ( Helmuth Johan Ludwig) non trovò di meglio che la brutale scorciatoia di travolgere il piccolo paese che si era affidato alla sola neutralità e disattendere la raccomandazione del suo predecessore e autore del piano ( Alfred Graf von Schieffen capo di S M) che, morente, raccomandò ” rafforzate l’ala destra”. Lui la indebolì e sappiamo come é finita.

Il feldmaresciallo Alfred Graf von Schlieffen autore dell’omonimo piano che il nipote del maresciallo von Moltke, Ludwig, nominato capo di Stato Maggiore, rovinò apportandovi modifiche che ne vanificarono i risultati e produssero una valanga di morti. Al termine della ” inutile strage”, si giurò che non sarebbe accaduto ” Mai più”. Vent anni dopo, il giuramento fu dimenticato e il numero dei morti passò da trenta milioni a sessanta. Per un residuo di pudore, a Churchill fu dato il premio Nobel per la letteratura. Adesso a Obama, Sharon, Begin, Saadat e qualche altro generale, hanno dato il Nobel ” per la pace”.

IL PROBLEMA SI RISOLVE AL LIVELLO CUI SI PONE:L’EUROPA. VIGILE, ARMATA E NEUTRALE.

Di qui la lezione numero uno : non basta dichiararsi neutrali, ci si deve armare fino ai denti.

La lezione numero due é che un paese neutrale deve disporre della profondità strategica necessaria ad assorbire il primo urto di sorpresa e reagire. La Svezia, che ha entrambe queste caratteristiche, nessuno l’ha mai importunata. La Svizzera supplisce all’esiguità territoriale con l’orografia montagnosa, armamenti di tutto rispetto e la milizia territoriale: ogni soldato si porta l’equipaggiamento a casa pronto per l’uso. La mobilitazione e il raggruppamento é questione di un lampo. Il reclutamento cantonale e la conoscenza del territorio completano i vantaggi di cui usufruire su un ipotetico avversario.

Accecato dal patriottismo inteso come reazione irritata al globalismo provinciale imperante ( glocal…), ho ripetutamente indicato la neutralità come via d’uscita, ma non ho tenuto conto dei due requisiti geopolitici necessari per la riuscita del progetto. L’Italia da sola, anche se governata da leoni – e non lo é- non saprebbe difendersi adeguatamente e l’alleanza con una tripletta di stati cuscinetto ( che improvvidamente abbiamo attirato nella NATO) potrebbe solo ritardare di un paio di giorni l’affacciarsi di un avversario alle porte di Trieste.

A riportarmi sulla via del realismo geopolitico, L’ex presidente della Confederazione svizzera e del Consiglio d’Europa Micheline Calmy-Rey con il suo libro “ Pour une neutralité active” ed Savoir Lausanne 2021.

Per essere all’altezza dei valori che proclama di difendere e raggiungere l’autonomia strategica, L’Unione Europea dovrebbe diventare una potenza ” neutrale e non allineata”” ” indipendente e non aggressiva” tra i due blocchi.

Ottenere la stessa convergenza di interessi tra gli stati membri – come fu il caso dei cantoni svizzeri- ” e divenire una potenza politica e militare, gli (alla UE ndt)permetterebbe di non sottomettersi a uno qualsiasi dei blocchi, di resistere meglio alle pressioni anziché subirle, a non annegare tra camomille unicamente lessicali e a non essere messa da parte in una posizione immobilismo e passività.”

LA NEUTRALITÀ HA RIGIDI CONTENUTI MILITARI, E AMPIA FLESSIBILITÀ POLITICA.

La Svezia, l’Austria e la Finlandia pur essendo dichiaratamente e ufficialmente neutrali, appartengono politicamente alla Unione Europea e hanno partecipato a esercitazioni militari NATO, ma senza far parte del dispositivo militare coFinlandia, Nicholas Sarkozy, Sauli Ninme del resto scelse di fare la Francia di De Gaulle, opzione rinnegata dal noto e indegno successore Nicholas Sarkozy, inquisito e già due volte condannato per aver inalato 50 milioni di dollari di finanziamento occulto da Muammar Gheddafi. Tre dei testimoni a carico sono nel frattempo deceduti di una malattia da piombo chiamata raffica di mitra.

In qualche caso, si esagera: la Bielorussia, oltre a dichiararsi ufficialmente neutrale, ha aderito anche all’OTSC ( Organizzazione del trattato di Sicurezza collettiva) così come la Serbia, Russia, Kazakistan, Turkmenistan.

Sul fronte opposto, ai tentativi di provocare un’ondata emotiva a favore di una adesione alla NATO, I il Presidente finlandese Sauli Niinisto, ha invitato i compatrioti a tenere ” i nervi a posto” e la premier svedese ( socialdemocratica) Magdalena Andersson, mentre la Svezia ha ripristinato il servizio militare obbligatorio, ha dichiarato che una adesione alla NATO ” accrescerebbe le tensioni internazionali e destabilizzerebbe ancor più la regione”.

Insomma, é un tiro alla fune da cui dobbiamo sottrarci se non vogliamo sperimentare le follie dello Stranamore di turno.

Svizzera, Austria, Irlanda, Croazia e Serbia sono già, in grado diverso, neutrali. Spagna Portogallo e Turchia lo sono dal 1939 ( gli iberici in realtà dal 1914). La lezione Ucraina ha fatto certamente molti adepti e , più dura, più adepti raccoglierà.

Purtroppo, gli Stati Uniti non sono in grado di comprendere le culture altrui, posto che ne abbiano una loro. Lo lascio dire all’ex capo del Mossad che lo ha scritto su queste colonne undici anni fa e di cui vi allego il link.

Le liturgie e i meccanismi della Unione Europea_con Francesca Donato

Le tre emergenze imposte in questi ultimi tre anni, l’emergenza ambientale e la conversione energetica, la crisi pandemica, la crisi bellica in Ucraina ha messo a nudo le peculiarità fondative di questa Unione Europea le quali, più che valorizzare, tendono ad inibire le pulsioni e le aspirazioni di autonomia politica e pregiudicare le potenzialità di sviluppo dei paesi della comunità. Le liturgie ed il lirismo che ammantano le iniziative più importanti delle istituzioni europee riescono ad imporre con sempre maggiore difficoltà la propria narrazione. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vyczbb-liturgie-e-meccanismi-della-unione-europea-con-francesca-donato.html

Ucraina e il peggio dell’Europa_con Augusto Sinagra

Ancora una volta l’Unione Europea si sta rivelando un recinto in grado di impedire che le pecorelle possano acquisire una reale autonomia di azione e di scelta soprattutto riguardo alle relazioni da perseguire in primo luogo con i vicini di casa. Una pura appendice della NATO destinata ad esistere solo sino a quando il buon pastore la riterrà utile. Un fattore di freno, piuttosto che di sviluppo. Più la Unione Europea procederà ad allargarsi, più accentuerà tale debolezza e tale precarietà. Lo abbiamo visto con le emergenze ambientali-energetiche e con quella pandemica; l’ulteriore emergenza del conflitto russo-ucraino ne ha suggellato alla luce del sole la simbiosi ed il legame indissolubile. Classi dirigenti abituate ormai a liquidare ambizioni e dignità per un piatto di lenticchie ormai sempre più magro. Un ribaltamento della situazione potrà ormai arrivare solo da una crisi aperta e distruttiva interna al centro dell’impero della quale ormai da anni si possono osservare i prodromi. La passività e l’accondiscendenza si pagheranno a caro prezzo in un futuro sempre meno lontano. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vy4ml5-ucraina-e-il-peggio-delleuropa-con-augusto-sinagra.html

 

La Russia e il multipolarismo in Europa_con Gianfranco La Grassa

Il multipolarismo sta sbarcando in Europa. I paesi europei più che parteciparvi, lo stanno subendo. La narrazione dominante addita la Russia come artefice della minaccia. In realtà sono i centri decisori al momento prevalenti negli Stati Uniti a cercare di stringere il giogo al collo. Le sue pressioni sono enormi ed assillanti. Un atto di forza che potrebbe trasformarsi in una manifestazione di fragilità. Tanto dipenderà dall’esito del conflitto in Ucraina. L’intervento russo assume ancora, proprio per il carattere estremo dell’iniziativa, una postura difensiva. Riuscire ad arrestare comunque il processo di allargamento della NATO ad est rappresenterebbe una prima significativa vittoria ed una ripresa dell’iniziativa già manifestatasi nei suoi prodromi in Libia, in Siria e in Africa. L’intesa con la Cina ne rappresenterebbe il suggello. I circoli dirigenti europei hanno ancora una volta scelto di appiattirsi totalmente sulla linea avventurista americana, definendo così l’Europa, il proprio continente, come il terreno di contesa e di battaglia di interessi altrui. Lo stanno facendo in nome della pace e dell’unità europea. Avrebbero avuto la possibilità di giocare sulle contraddizioni e sul conflitto che sta imperversando nei centri politici statunitensi; stanno al contrario alimentando le condizioni per una polverizzazione della realtà politica continentale foriera di lotte intestine ben manipolate e rinfocolate dall’esterno. E’ una classe dirigente che deve la propria esistenza sulla delega e sulla dipendenza ormai settantennale dalle scelte di oltreatlantico, condannando così l’Europa, in primis l’Italia, ad una condizione prossima di pauroso dissesto e degrado. Qualche segnale di reazione comunque appare all’orizzonte; più strutturato in Francia, con la candidatura di Zemmour all’Eliseo, più sottotraccia in Germania, in Ungheria. In Italia i sussulti di un paio di anni fa si sono rivelati un fuoco fatuo; forse ancora meno. Acrobazie parodistiche di saltimbanchi improvvisati, incapaci di destare un qualche timore nei centri che contano. L’epilogo lo abbiamo visto con l’allineamento tempestivo ed esibito, ammantato di anelito patriottico, di quelli che avrebbero aspirato a rappresentare una opposizione seria a questo sfacelo e a questa postura così meschina ed autolesionista. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vxuk3p-la-russia-e-il-multipolarismo-in-europa-con-gianfranco-la-grassa.html

L’EUROPA TRA LE VIE DELLA NATO, LE VIE DELLA SETA E LE VIE DELL’ENERGIA. SECONDA PARTE _ di Luigi Longo

L’EUROPA TRA LE VIE DELLA NATO, LE VIE DELLA SETA E LE VIE

DELL’ENERGIA. SECONDA PARTE.

di Luigi Longo

Ai miei nipotini Ethan e Francesco affinchè non si adattino nella loro vita ai sentimenti e alle idee della infamia della realtà sociale storicamente data.

È né più né meno che un inganno sobillare il popolo senza offrirgli nessun fondamento solido e meditato per la sua azione. Risvegliare speranze fantastiche […] lungi dal favorire salvezza di coloro che soffrono, porterebbe inevitabilmente alla loro rovina: rivolgersi ai lavoratori senza possedere idee rigorosamente scientifiche e teorie ben concrete significa giocare in modo vuoto e incosciente con la propaganda, creando una situazione in cui da un lato un apostolo predica, dall’altro un gregge di somari lo sta a sentire a bocca aperta: apostoli assurdi e assurdi discepoli.

In un paese civilizzato non si può realizzare nulla senza teorie ben solide e concrete; e finora, infatti, nulla è stato realizzato se non fracasso ed esplosioni improvvise e dannose, se non iniziative che condurranno alla completa rovina la causa per la quale ci battiamo.

L’ignoranza non ha mai giovato a nessuno!

Karl Marx*

Se è vero che ciò che è storico è sempre mutevole,

anche il sistema attuale è destinato prima o poi a declinare lasciando il posto, se sapremo impegnarci razionalmente ed eticamente, a un mondo migliore. Una prospettiva che congiunge in una linea ideale la filosofia politica di Platone e di Marx, entrambi impegnati, non soltanto a conoscere, ma a cambiare il corso della storia.

Silvia Vegetti Finzi**

1.La sintesi della prima parte

Nella prima parte del presente scritto evidenziavo alcune questioni:

a) la situazione oggettiva di una Europa servile in totale sbando e decadenza e una potenza imperiale (USA) di coordinamento mondiale, in irreversibile declino, non propensa ad un ordine mondiale condiviso con altre potenze. In questa fase storica data, l’Europa si trova ad un bivio: o proseguire la servitù volontaria verso gli Stati Uniti d’America scegliendo le vie della NATO, oppure divenire un soggetto politico confederato (1), iniziare un cammino di liberazione dalla servitù e scegliere un nuovo orientamento verso l’Oriente attraverso le vie della seta e le vie dell’energia. Un cammino che non può prescindere dal << […] “saltare il passaggio” della piena restaurazione della sovranità politica e monetaria degli stati nazionali >> (2);

b) le vie della Nato, ovverosia degli Stati Uniti, sono vie che preparano scenari di guerra ma l’Europa per la prima volta nella storia sarà teatro passivo di future guerre. La Nato è sempre stata strumento dei momenti storici di svolta, così fu nel secondo dopoguerra, nella fase monocentrica con coordinamento USA, così è nell’attuale fase multicentrica, con gli USA in chiaro declino come potenza egemonica e con le nuove potenze mondiali in chiara ascesa (3);

c) la Nuova Via della Seta della Cina è una Via che recupera un nuovo senso e un nuovo dialogo tra Oriente e Occidente e ha come obiettivo l’equilibrio dinamico tra le potenze dominanti della fase multicentrica.

2.La guerra biologica

Leggo la pandemia da Covid-19 (4) come una guerra biologica nella fase multicentrica (5) che avanza anche con l’affilamento delle armi batteriologiche di distruzione di massa delle potenze mondiali (6).

Pochi autori leggono la questione coronavirus come una guerra batteriologica nel conflitto tra la potenza mondiale egemonica USA (in declino) e la Cina (potenza in ascesa) nella fase multicentrica (7).

La Cina è sotto attacco perché è ritenuta dagli Stati Uniti (8) la nazione in grado di essere il motore della messa in discussione della sua egemonia attraverso l’alleanza con la Russia (altra potenza in ascesa) e la creazione di coordinamenti con altre nazioni [l’Aggregato geoeconomico Bric (Brasile, Russia, India, Cina), l’Organizzazione di cooperazione di Shanghai (SCO), la Belt and Road Initiative (BRI, la Nuova Via della Seta)]. L’esperta di studi asiatici Claudia Astarita afferma che << […] Mosca, che si ritrova nell’incapacità di rispondere (alla politica cinese nell’Asia Centrale, mia precisazione), in virtù di una sempre più accentuata inferiorità politica e strategica rispetto a Pechino. […] la Cina sta ridisegnando gli equilibri storici dell’Asia Centrale: “un tempo tutte le strade portavano a Mosca. Ora portano tutte a Pechino” […] come è stato messo in evidenza nel rapporto dell’Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano (ISPI) “Russia and China. Anatomy of a Partnership”, il blocco russo-cinese, a prescindere dalla sua natura pragmatica, asimmetrica, e potenzialmente conflittuale, non è destinato a scomparire, quindi sarebbe opportuno iniziare a riflettere su come evitare che finisca col trasformarsi in un aggregatore di dissenso anti-occidentale […] Se è vero, come ha sottolineato l’accademico americano Jeremi Suri, che è stata la necessità di sfidare l’ordine americano ad avvicinare Mosca e Pechino, è evidente che fino a quando gli Stati Uniti continueranno ad essere percepiti come un nemico comune l’asimmetria di questo blocco continuerà ad essere considerata un problema secondario per il Cremlino. Paradossalmente, quindi, per offrire alla Russia un’alternativa, l’Occidente in generale e l’Unione Europea in particolare dovrebbero ricominciare a confrontarsi per trovare un modo per evitare che l’isolamento cui hanno scelto di relegare Mosca (su precise strategie statunitense, mia precisazione) si trasformi in un’arma a doppio taglio in grado di renderla un nemico ancora più imprevedibile e pericoloso.>> (9). Ricordo, en passant, che gli USA temono una alleanza Cina-Russia soprattutto per la capacità cinese di avanzare con la Nuova Via della Seta una grande progettualità di respiro mondiale basata sullo sviluppo economico, politico, culturale tra le nazioni coinvolte nell’idea di scambio tra Oriente e Occidente che ricalca il senso e gli obiettivi delle antiche Vie della Seta (10).

Il virus Sars Cov-2 (11) parte apparentemente (12) da Wuhan (una metropoli di 11 milioni di abitanti, capoluogo della provincia centro-meridionale dell’Hubei, è uno dei cuori economici della Cina in cui si intersecano un grandissimo numero di linee ferroviarie, stradali e aree che collegano il Paese al suo interno e col resto del mondo. Wuhan è dunque un hub economico, industriale, finanziario e logistico, ma anche meta turistica e importante città universitaria) (13), probabilmente dal laboratorio BLS-4 come sostiene il Dr. Boyle che precisa “Tutti questi laboratori BSL-4 di Stati Uniti, Europa, Russia, Cina, Israele sono stati fatti per ricercare, sviluppare, testare agenti per la guerra biologica. In verità, non vi è alcun motivo scientifico legittimo per avere laboratori BSL-4.” (14). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha approvato “molti di questi laboratori BSL-4 (…) Non potete fidarvi di ciò che dice l’OMS perché sono tutti comprati e pagati da Big Pharma e lavorano in combutta con il CDC [Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie], che è il governo degli Stati Uniti e lavorano in combutta con Fort Detrick.” Fort Detrick, oggi, è un laboratorio all’avanguardia per la guerra biologica, in precedenza era un noto centro di ricerca della CIA per gli esperimenti sul controllo mentale” (15).

Ora, sia ipotizzando che il virus sia sfuggito di mano (l’imprevedibilità) nel laboratorio BLS-4, sia ipotizzando che gli USA abbiano manovrato affinchè ciò accadesse (16) non cogliamo il punto della situazione, quello, cioè, che nel conflitto strategico gli agenti dominanti usano la guerra biologica così come è sempre stato a partire dalla notte dei tempi fino ad oggi. Nel conflitto per il dominio tutti si attrezzano con tutti i tipi di armi convenzionali e non convenzionali ma il ruolo degli USA (maestri di guerre batteriologiche con oltre 400 laboratori segreti sparsi nel mondo), che per la loro storia sono la potenza mondiale più pericolosa, è nefasto: “La guerra biologica di un tempo fatta di batteri e richettsie (piccoli microrganismi simil batterici, mia precisazione) era vantaggiosa ma indiscriminata, con alto rischio boomerang ed epidemie fuori controllo, soprattutto per l’alto rischio che colpisse solo la popolazione civile lasciata senza protezione. Per questo era stata ufficialmente bandita o destinata soltanto agli animali. Ora, con la capacità di modificare o riprogrammare i virus con l’ingegneria genetica la guerra biologica si affianca come potenza e rango alle guerre terrorizzanti o deterrenti, come la guerra nucleare e il terrorismo” (17). Ricordo, come già evidenziato nei miei precedenti scritti, che la potenza più aggressiva e spregiudicata è quella degli Stati Uniti d’America: perché è nella loro storia, perché sono per un dominio unilaterale, perché sono in chiara fase di inizio declino insieme a tutto l’Occidente (che si butta sul postumano in nome delle magnifiche sorti e progressive dell’umanità invece di dare senso alla vita individuale e sociale), perché hanno un conflitto interno tra gli agenti strategici irreversibile, perché non riescono a fare sintesi nazionale capace di rilanciarsi come grande potenza, perché sono leader mondiali della ricerca, produzione e uso di armi batteriologiche. Già nel 2017-2018 si era verificato negli USA uno dei più gravi focolai di influenza della storia recente. Fu una catastrofica influenza almeno tre volte più letale dell’attuale crisi sanitaria legata alla malattia Covid-19. Allora l’OMS ritenne non necessario (sic) allertare il mondo o arrestare tutte le attività commerciali planetarie come ha fatto con il covid-19. Stranamente l’OMS non si era nemmeno preoccupata di etichettare l’epidemia americana come un’epidemia o una pandemia. Si era trattato solo di una “normale influenza” nonostante l’entità dei decessi, l’enorme numero di ricoveri e l’alto tasso di infezione (18).

La malattia Covid-19, ritenuta una influenza particolare (19) la cui particolarità è data dalla sua artificiosità, viene dichiarata pandemica innescando, in una logica sistemica, interventi di politica sanitaria che hanno fatto da testa di ariete per riorganizzare la vita sociale, rimodellare il legame sociale, ristrutturare tutte le sfere sociali, ripensare l’uso della città e del territorio dei singoli Paesi che hanno dato risposte diverse in termini di soluzione, di ripresa e di rilancio del proprio sviluppo storicamente dato.(20). L’intervento di politica sanitaria per bloccare la pseudo pandemia tramite i soli vaccini prodotti in maniera superficiale, rozza e antiscientifica è la prova provata dell’utilizzo della malattia covid-19 per altri fini (politici, economici, sociali, istituzionali, geopolitici) e non certamente per tutelare la salute delle popolazioni. Parlo di sieri genici, non vaccini, avallati oltre che dalle interessate Big Pharma, soprattutto da tutte le istituzioni mondiali scientifiche e non: si pensi, per esempio, alla formazione dei protocolli secretati della produzione dei cosiddetti vaccini, al non controllo pubblico degli effetti sulla popolazione, all’assurdità antiscientifica di vaccinare una popolazione in piena pandemia, al divieto di curare con farmaci efficaci (comuni antivirali, antibiotici, anti-infiammatori e immunostimolanti/modulanti, eccetera) la malattia, salvando vite umane così come hanno dimostrato, nella pratica e scientificamente, i medici italiani che hanno rifiutato le indicazioni del Ministero della Sanità (quale decisore servile risponderà di questo genocidio?!), fino alla durata della produzione dei vaccini: occorrono mediamente 10 anni per produrre seriamente e scientificamente un vaccino! (21).

E’ triste osservare che i critici di derivazione marxiana più intelligenti, del sistema cosiddetto capitalistico, si affidano alle magnifiche sorti e progressive della scienza e della tecnica e non vedono lo strumento della Covid-19 come frattura (con conseguente salto) di una nuova organizzazione sociale ovviamente sistemica che marcia verso il post-umano distruggendo sensatezza e costruendo nichilismo (la crisi di civiltà dell’Occidente!) (22). Eppure c’è tutta una letteratura e una pratica vissuta che ha prodotto ottime riflessioni sulla non neutralità della scienza e della tecnica! Si vive di intelligenza pratica sempre più povera, staccata dalla intelligenza del pensiero sempre più confuso. E’ il segno dei tempi!

Il virus Sars Cov-2 è lo strumento per ridisegnare, nella fase multicentrica, una nuova architettura economica (conflitto nelle sfere economica e finanziaria), sociale, politica, istituzionale (conflitto nelle sfere istituzionale, politica, lavoro, giuridica) e territoriale dei singoli Paesi (conflitto nelle sfere geopolitica, geoeconomica e geoideologica) e per rideterminare le aggregazioni di Paesi e di aree intorno ai centri-potenza (USA in relativo declino, Cina e Russia in ascesa) in conflitto per l’egemonia mondiale (dominio assoluto per gli USA, dominio condiviso per la Cina e per la Russia).

E’ ragionevole ipotizzare, quindi, che gli Stati Uniti sono i responsabili della diffusione, tramite il virus Covid-Sars2, della pandemia da Covid-19 per colpire la Cina ritenuta da loro il Paese-potenza che, come già detto, in alleanza con la Russia, è in grado di mettere in discussione la loro egemonia mondiale.

3.La guerra russo-ucraina

Perché oggi è esplosa la guerra tra la Russia e l’Ucraina, un paese pedina nelle strategie aggressive degli USA, tramite la NATO, verso l’Oriente? Ricordo, con Guy Mettan, che << il “perno geopolitico” ucraino è oggetto di una approfondita analisi: dal 1994 Washington accorda priorità ai rapporti con l’Ucraina. Tra il 2005 e il 2010 l’Ucraina potrebbe a sua volta trovarsi nella situazione di imbastire delle trattative in vista di un suo ingresso nell’UE e nella Nato. Vent’anni dopo possiamo dire che il programma di Brzezinski è stato realizzato quasi integralmente. I suoi lettori lo hanno applicato alla lettera: l’Ucraina, con l’aiuto dei polacchi e dei baltici, è entrata nell’orbita occidentale. L’unica cosa che non aveva previsto era che gli abitanti dell’Est dell’Ucraina non avrebbero accettato questo stato di cose e si sarebbero ribellati, preferendo ricongiungersi alla Russia o rivendicare la propria indipendenza piuttosto che abbracciare l’Occidente.>> (23). Perché Vladimir Putin è costretto ad intervenire per la difesa legittima dei confini russi dopo anni di allargamento della Nato (24), (strumento degli USA è bene ribadirlo) ad Est con la collaborazione della servitù volontaria dell’Unione europea (una UE frutto di un progetto politico messo su dagli Stati Uniti nel dopoguerra il cui utilizzo è arrivato a termine)? (25). Rammento il verbale desecretato nel 2017 in cui si dà conto in modo dettagliato dei colloqui avvenuti tra il 1990 e il 1991 tra i direttori politici dei ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania, sull’unificazione delle due Germanie, dopo il crollo di quella dell’Est del 1989. Il colloquio decisivo, riporta Der Spiegel, si è svolto il 6 marzo 1991 ed era centrato sui temi della sicurezza nell’Europa centrale e orientale, oltre che sui rapporti con la Russia, guidata allora da Michail Gorbaciov. I leader dei maggiori paesi della Nato avevano promesso a Mosca che l’Alleanza atlantica non sarebbe avanzata verso Est “neppure di un centimetro”. Una promessa smentita dai fatti, visto che da allora ben 14 paesi sono passati dall’ex impero sovietico all’alleanza militare atlantica. Da qui le contromosse di Wladimir Putin: la guerra in Georgia (il fallito tentativo nel 2008 del presidente George W. Bush di includere nella Nato Ucraina e Georgia), l’occupazione della Crimea, l’appoggio ai separatisti del Donbass, lo schieramento di oltre centomila soldati al confine con l’Ucraina, la dura linea diplomatica con cui ha ribattuto alle minacce di sanzioni da parte USA ed UE: “Mosca è stata imbrogliata e palesemente ingannata”, infine la guerra all’Ucraina. (26). Perché sono state rifiutate sia le proposte ragionevoli e legittime della Russia a partire dagli accordi disattesi di Minsk (Minsk I e Minsk II, accordi che oggi non esistono più dopo il riconoscimento della Russia della costituzione delle repubbliche popolari separatiste del Donetsk e Lugansk), con regia degli USA (via Nato e UE, Germania e Francia), sia le ultime proposte russe del 15 dicembre 2021 con cui la Russia ha consegnato agli Stati Uniti un progetto di trattato per cessare la suddetta situazione e difendere le popolazioni russofone che da otto anni l’Ucraina bombarda nella regione del Donbass provocando la morte di 14 mila persone? (27).

La crisi tra la Russia e l’Ucraina è datata con la dichiarazione dell’indipendenza dell’Ucraina il 1 dicembre 1991 da parte del primo presidente ucraino Leonid Kravchuk. La guerra è iniziata nel 2014 con il non rispetto degli accodi di Minsk da parte Ucraina con regia degli USA-Nato, ha avuto un punto di svolta con la pandemia da Covid-19 nel 2019, ed è esplosa il 24 febbraio scorso. Riporto la brillante sintesi di Manlio Dinucci << Nel febbraio 2014 la Nato, che dal 1991 si era impadronita di posti chiave in Ucraina, effettuava tramite formazioni neonaziste appositamente addestrate e armate, il colpo di stato che rovesciava il presidente dell’Ucraina regolarmente eletto. Esso era orchestrato in base a una precisa strategia: attaccare le popolazioni russe di Ucraina per provocare la risposta della Russia e aprire così una profonda frattura in Europa. Quando i russi di Crimea decidevano con il referendum di rientrare nella Russia di cui prima facevano parte, e i russi del Donbass (bombardati da Kiev anche col fosforo bianco) si trinceravano nelle due repubbliche, iniziava contro la Russia la escalation bellica della Nato. La sosteneva la Ue, in cui 21 dei 27 paesi membri appartengono alla Nato sotto comando Usa.

In questi otto anni, forze e basi Usa-Nato con capacità di attacco nucleare sono state dislocate in Europa ancora più a ridosso della Russia, ignorando i ripetuti avvertimenti di Mosca. Il 15 dicembre 2021 la Federazione Russa ha consegnato agli Stati Uniti d’America un articolato progetto di Trattato per disinnescare questa esplosiva situazione […] Non solo è stato anch’esso respinto ma, contemporaneamente, è cominciato lo schieramento di forze ucraine, di fatto sotto comando Usa-Nato, per un attacco su larga scala ai russi del Donbass.

Da qui la decisione di Mosca di porre un alt alla escalation aggressiva Usa-Nato con l’operazione militare in Ucraina. Manifestare contro la guerra cancellando la storia, significa contribuire consapevolmente o no alla frenetica campagna Usa-Nato-Ue che bolla la Russia quale pericoloso nemico, che spacca l’Europa per disegni imperiali di potere, trascinandoci alla catastrofe >> (28).

Nel momento in cui gli USA dimostrano il proprio declino, con l’ascesa di potenze che mettono in discussione l’equilibrio tra legittimità e potere mondiale statunitense, tale equilibrio per dirla con Henry Kissinger, << […] viene distrutto, le limitazioni scompaiono, e il campo è aperto a pretese […]; ne segue il caos fino al ristabilimento di un nuovo sistema di ordine >> (29).

La guerra scatenata di fatto dagli USA-Nato in Ucraina ha come obiettivo quello di ostacolare l’alleanza sempre più consolidata tra Cina e Russia, che rappresenta un potenziale polo (una Grande Eurasia ad egemonia russa e una Grande Asia orientale ad egemonia cinese, per dirla con Federico Dezzani), con la sua visione multicentrica del dominio mondiale e con la sua idea di sviluppo basata su nuove relazioni internazionali e nel rispetto reciproco dei Paesi (organizzati o meno in macroregioni o grandi spazi o grandi aree con un proprio ordine e una propria peculiarità territoriale, culturale, sociale, politica e storica) dell’Occidente e dell’Oriente; un potenziale polo capace di mettere in discussione la pretesa egemonica monocentrica degli Stati Uniti. Per dirla con Sergey Karaganov (un consigliere di rilievo della politica estera russa) con << L’ultimatum che la Russia ha emesso agli Stati Uniti e alla NATO alla fine del 2021, chiedendo loro di interrompere lo sviluppo di infrastrutture militari vicino ai confini russi e l’espansione a est, ha segnato l’inizio della “distruzione costruttiva”. L’obiettivo non è semplicemente fermare la debole, seppur pericolosissima inerzia della spinta geostrategica dell’Occidente, ma anche iniziare a gettare le basi per un nuovo tipo di relazioni tra Russia e Occidente […] Il percorso più promettente per la Russia è lo sviluppo e il rafforzamento dei legami con la Cina. Una partnership con Pechino moltiplicherà molte volte il potenziale di entrambi i paesi. Se l’Occidente continua con le sue politiche amaramente ostili, non sarebbe irragionevole considerare un’alleanza temporanea di difesa di cinque anni con la Cina. Naturalmente bisogna anche stare attenti a non avere le ‘vertigini di successo’ sulla pista cinese, per non tornare al modello medievale del Regno di Mezzo della Cina, cresciuto trasformando i suoi vicini in vassalli. Dovremmo aiutare Pechino in ogni modo possibile per evitare che subisca una sconfitta anche momentanea nella nuova Guerra Fredda scatenata dall’Occidente […] Chiaramente, una politica orientata all’Est non deve concentrarsi esclusivamente sulla Cina. Sia l’Est che il Sud sono sempre più rilevanti nella politica, nell’economia e nella cultura globali, il che è in parte dovuto al nostro indebolimento della superiorità militare dell’Occidente, la fonte primaria dei suoi 500 anni di egemonia.

Quando arriverà il momento di stabilire un nuovo sistema di sicurezza europeo che sostituisca quello esistente pericolosamente obsoleto, lo si dovrà fare nel quadro di un più grande progetto eurasiatico. Nulla di utile può nascere dal vecchio sistema euro-atlantico >> (30).

Gli USA-Nato indeboliscono la Russia per colpire il costituendo polo eurasiatico, di cui temono, soprattutto, il progetto di respiro mondiale della via della seta che vede come attore principale la Cina. Fabio Massimo Parenti così afferma << La BRI ha prospettive sia geopolitiche che geo-economiche. Ha lo scopo di cambiare la relazione tra Cina e le altre grandi potenze, come USA, Russia ed Europa. Perciò, essa avrà un impatto sullo sviluppo economico e sulla cooperazione tra molte regioni: Asia centrale, Asia meridionale, Medio Oriente, Nord Africa ed Europa.>> (31).

Pasquale Cicalese così osserva << Nei siti cinesi durante l’ultimo anno e mezzo si dava conto dell’esplosione dei transiti ferroviari, anche a seguito del boom dei prezzi dei noli marittimi, tra la Cina e l’Europa. Il mercato era arrivato a valere il 14% dell’intero interscambio Cina Europa. Il transito passava per la Russia, la Bielorussia e l’Ucraina, per poi arrivare a Duisburg, Germania, dove c’è uno snodo merci fondamentale per l’intera Europa. La stessa Italia era arrivata a programmare transiti ferroviari con la Cina, attraverso lo snodo di Melzo, in Lombardia. Il transito ferroviario suggellava l’asse Germania Russia Cina, un asse commerciale ma che aveva ricadute politiche visto che era criticato dagli Stati Uniti. Non solo gli Usa, inglobando l’Ue nella guerra con la Russia, hanno bloccato North Stream, non solo ci saranno sanzioni che colpiranno la Russia e come un boomerang l’Ue, ma lo stesso interscambio ferroviario con la Cina si bloccherà con conseguenze gravi per gli esportatori europei. Certo, c’è il mare, ma il costo dei noli marittimi è esplosivo da due anni e molti piccoli operatori non se li possono permettere. Viene dunque bloccato il fronte Est. Gli Usa avevano già bloccato il Fronte Sud (Italia) con i repentini cambi di politica governativa ed estera nel nostro Paese, che nel giro di tre anni passava dall’accordo sulla Via della Seta e ostracismi diplomatici fomentati dagli americani. Ai cinesi rimane il Pireo, ma non ha linee autostradali e ferroviarie. La Cina dunque perde una parte dei commerci con l’Ue. Gli Usa a questo punto si rivolgeranno al Mar cinese meridionale per bloccare i traffici marittimi cinesi e fomenteranno rivolte in Egitto per bloccare il canale di Suez. Alla Cina rimane l’Asia e l’asse Cina, Russia, Pakistan e Iran, un blocco unico capace di compensare le perdite europee. Di fondamentale importanza il “Corridoio Pakistano” che la Cina ha ultimato e che arriva al porto di Gwdar. Se questo blocco regge e si sviluppa, assieme al Rcep, la storia dei commerci internazionali potrebbe dopo secoli cambiare, con perdita di centralità europea. Tre di questi paesi sono potenze atomiche, la Cina da anni contribuisce alla loro industrializzazione in cambio di sbocchi al mare e/o materie prime. […] il fronte est commerciale è perduto. Si tratta di vedere quali altri verranno aperti. Di certo, l’Europa ci perderà. Aver rinunciato ad una propria autonomia strategica (Pasquale Cicalese dimentica che l’UE non è un soggetto politico e come tale non può avere una strategia, mia precisazione) e aver seguito gli americani, che altro non volevano che la rottura dell’asse Germania Russia Cina sarà nei prossimi decenni fatale >> (32).

Una Russia che continua ad essere un gigante militare con i piedi di argilla con uno sviluppo economico squilibrato basato sull’esportazione delle materie prime soprattutto energetiche di sostegno all’egemonico settore militare-industriale (che gli permette un dinamismo geopolitico) le cui differenze con l’economia cinese in termini di PIL, sviluppo industriale, occupazione, inflazione, bilancio, riserve e debito pubblico sono rilevanti. La studiosa Eugenia Baroncelli, utilizzando macro indicatori sistemici, sostiene che << […] l’economia russa, che, nonostante un tasso di crescita del PILpc (prodotto interno lordo pro capite, mia precisazione) superiore all’8,5% nel 2007, ha subito una caduta alla fine del decennio, senza in effetti riprendersi in modo stabile. Nella seconda parte del 2014, il paese è entrato in recessione, a seguito della caduta dei prezzi del greggio e degli effetti delle sanzioni UE e USA del luglio 2014. La ripresa si è avuta solo nel 2016, anche grazie ai tagli nella spesa reale, a una maggior flessibilità del rublo e alle politiche di ricapitalizzazione bancaria. La traiettoria compiuta dal sistema economico russo è compatibile con quella di un paese a reddito medio-alto che tenta di raggiungere lo status di economia ad alto reddito tipica dei sistemi OCSE a economia industrializzata. Tuttavia, la sua elevata dipendenza dalle esportazioni di petrolio, gas naturale e derivati allontana notevolmente la chiusura del divario che separa l’economia russa dalle maggiori economie avanzate. >> (33).

4.Le vie dell’energia

Ripropongo una piccola premessa, che avanzai nel 2011, perché la ritengo ancora attuale, sulle questioni dell’imbroglio delle fonti energetiche rinnovabili (FER) e della sostenibilità territoriale (apparsa sui siti www.conflittiestrategie.it e www.italiaeilmondo.com) come cornice di ragionamento sulle riflessioni delle vie dell’energia dell’Europa che svilupperò subito dopo.

Il problema dell’energia è sempre stato fondamentale nella storia del genere umano sessuato per accendere il motore dello sviluppo attraverso i suoi modi di produzione e riproduzione della vita sociale e individuale storicamente data. Si è passato dalla fase dell’Homo sapiens, in cui venivano usati i convertitori biologici di energia come gli animali e i vegetali, alla fase attuale della società capitalistica in cui vengono usati convertitori inanimati di energia da fonti fossili ( petrolio, carbone, gas naturale, altro) e da fonti rinnovabili ( sole, vento, acqua, altro) passando per la rivoluzione agricola e la rivoluzione industriale: << Se la Rivoluzione Agricola è il processo mediante il quale l’uomo pervenne a controllare e ad aumentare la disponibilità di convertitori biologici ( piante ed animali), la Rivoluzione Industriale può essere considerata come il processo che permise di intraprendere lo sfruttamento su vasta scala di nuove fonti di energia per mezzo di convertitori inanimati >>.

Oggi viviamo in una società in cui lo sviluppo è acceso da una energia prodotta da fonti inanimate esauribili e da fonti inanimate inesauribili fino a quando il sole avrà vita (i lunghi << tempi biologici >>: nel 2009 il consumo mondiale di energia prodotta da fonti fossili è pari al 80% contro il 20% prodotta da fonti energetiche rinnovabili (FER) (soprattutto idrica), nucleare e altre fonti (non aggiorno i dati perchè la sostanza del ragionamento non cambia). << La parte del leone nella fornitura di energia nel mondo spetta alle sorgenti fossili, in particolare agli idrocarburi in virtù della disponibilità di infrastrutture in grado di estrarre, raffinare 1.000 barili al secondo di grezzo e di distribuire convenienti vettori energetici, che hanno reso disponibile l’energia in ogni luogo, in qualunque momento e alla potenza desiderata (corsivo mio) >>.

Quindi l’energia prodotta da fonti fossili esauribili è un elemento fondamentale dello sviluppo della società capitalistica e diventa indispensabile l’appropriazione e la disponibilità delle risorse energetiche da fonti fossili che non sono sparse in maniera omogenea sulla terra ma sono concentrate in alcune aree [ per esempio, la maggior parte delle riserve di petrolio si trova in Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait;( in una ristretta zona del Medio Oriente chiamata << ellissi strategica >>); la maggior parte delle riserve di gas naturale in Russia, Iran, Qatar; la maggior parte delle riserve di carbone in Stati Uniti, Russia, Cina ]. La loro appropriazione segue la logica dello sviluppo ineguale e del conflitto tra potenze nazionali per l’egemonia mondiale. La loro produzione, la loro distribuzione e la loro valorizzazione seguono la logica delle merci del sistema cosiddetto capitalistico, cioè, esse saranno utilizzate fino a quando saranno risorse competitive per lo sviluppo. La transizione ecologica europea e italiana nel breve-medio periodo è ideologica, nel lungo periodo forse sarà in grado di sostituire le risorse da fonti fossili che comunque comporterà una diversa organizzazione sociale di luogo e di tempo con un modello di sviluppo altro che potrà essere sistemico oppure alternativo (cioè basato su diversi rapporti sociali). E’ compito della storia scoprire i molteplici modi d’uso delle cose. Come è compito della storia definire i termini e i modi di quantificazione di questi oggetti, nonché la durata conveniente economicamente dell’uso delle cose. Le fasi di transizione sono sempre apparentemente caotiche e degradanti, ma è attraverso il caos che nasce il nuovo ordine. La storia questo insegna dalla fase di transizione della comunità naturale alla nuova società incivilita, per usare una terminologia di Friedrich Engels (L’origine della famiglia, della proprietà privata dello stato, Editori Riuniti, Roma, 1971).

Oggi, con la guerra, apparentemente tra Russia e Ucraina, due cose sono chiare e confermate storicamente: la prima: l’uso delle fonti fossili e delle fonti rinnovabili seguono la logica dello sviluppo ineguale e del conflitto tra potenze per l’egemonia mondiale (34); la seconda: l’ Unione Europea (UE), che dipende dal gas russo per il 41% (l’Italia importa oltre il 40%) (cfr la carta sotto riprodotta), non è un soggetto politico e, quindi, non solo non può avere nessuna strategia per quanto concerne l’approvvigionamento delle risorse energetiche, ma è sottomessa alle strategie USA contro i suoi stessi interessi (intendo la maggioranza delle popolazioni dei Paesi europei) aderendo alle assurde, stupide e devastanti sanzioni economiche (provvedimenti di alto profilo su banche e finanza, energia e tecnologia) ispirate dagli agenti strategici statunitensi nella convinzione di minare la base fondante dell’economia russa (sottolineo le conseguenze sulla maggioranza della popolazione) (35). La strategia avanzata per sostituire il gas russo da parte dell’UE (la REPowerEU) (che ricordo non ha nessun piano strategico sull’energia e ogni Paese si muove in maniera autonoma) è irrealizzabile nel breve-medio periodo (36) e comunque si muove sempre, sia nel solco strategico statunitense sia nella transizione ecologica, nella logica di contrastare le due potenze in ascesa, la cui alleanza può aprire a un mondo

multicentrico, cioè la Russia (una delle maggiori nazioni produttrici di gas naturale e petrolio) e la Cina (una delle più grandi importatrici di idrocarburi) (37).

Fonte: AGI, 2022

Gli interventi di politica energetica della UE (e dell’Italia), nel breve periodo, non saranno sufficienti a colmare sia il divieto di importazione del gas e petrolio russo da parte degli USA e della UE sia la eventuale chiusura dei gasdotti da parte della Russia (come ritorsione all’inasprimento delle suddette sanzioni) che ha tutto il diritto di usarla come strumento del conflitto. E fa pensare l’arroganza di Faith Briol (il numero uno dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE)) quando critica il comportamento della Russia sulla gestione del gas usato per ragioni geopolitiche contro la UE e indirettamente contro gli USA, tacendo l’uso degli strumenti di conflitto degli USA (sanzioni economiche, finanziarie, tecnologiche, boicottaggio del gasdotto stream2, eccetera) come azioni geopolitiche per ridimensionare la Russia (38).

L’Europa se fosse stata autonoma ed autodeterminata avrebbe potuto svolgere un ruolo fondamentale nella costruzione di nuove relazioni tra l’Occidente e l’Oriente scegliendo la via della seta e la via dell’energia, per costruire un mondo multicentrico intrecciando, nel rispetto reciproco della storia dei Paesi, i diversi modelli di sviluppo.

5.La via della NATO e la fine della UE.

L’UE, uno spazio istituzionale sovranazionale dove sono egemoniche le sfere economica, finanziaria, ideologica e culturale, occupata da agenti strategici esecutori servili statunitensi (i cotonieri lagrassiani), è obbligata a scegliere la via della Nato perché è espressione di un progetto degli Stati Uniti iniziato nel dopoguerra e ormai concluso (39).

Ritengo che il progetto NATO della UE abbia lo stesso insegnamento politico enunciato da Niccolò Machiavelli nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio e così sintetizzato da Andrea Guidi << La prevalenza degli Stati Uniti d’America nel contesto della NATO che ha caratterizzato il dopoguerra in Europa, può infatti, per certi casi, ricordare il pensiero macchiavelliano in materia di alleanze sovrastatali al tempo in cui Roma era ancora una delle nazioni che caratterizzavano la penisola italica. Un modello che secondo la teoria formulata nei Discorsi […] era fondata su paci e alleanze politicamente e militarmente sperequato proprio a favore di Roma, eppure basato su condizioni formalmente paritarie e su di un quadro favorevole alla concessione di diritti alle popolazioni destinatarie; ovvero era capace di assicurare l’inclusione giuridica, sociale ed economica delle nazioni e dei popoli confinanti. Le vicende storiche che hanno seguito la fine della Seconda guerra mondiale in ambito europeo occidentale, infatti, sono state caratterizzate-con alcune similitudini rispetto a quanto suggerito nei Discorsi-da un evidente predominio politico degli stessi Stati Uniti. In particolare, ciò è accaduto per la evidente superiorità di questi ultimi in termini di forza militare, ovvero in un modo che ricorda appunto i predicamenti del Segretario fiorentino riassumibili nel pragmatico metodo di mantenere per se “il quadro del comandare, la sedia dello imperio ed il titolo delle imprese” >> (40).

Così Henry Kissinger << L’equilibrio europeo, storicamente promosso dagli Stati dell’Europa, si era trasformato in un aspetto della strategia di potenze esterne. La NATO istituì una cornice permanente per le consultazioni tra gli Stati Uniti e l’Europa e introdusse un certo grado di coerenza nella condotta della politica estera. Ma in sostanza l’equilibrio di potere europeo si spostò dagli accordi interni al continente al contenimento dell’Unione Sovietica a livello globale, in gran parte mediante il potenziale nucleare degli Stati Uniti. Dopo lo shock di due guerre devastanti, i paesi dell’Europa occidentale dovettero affrontare un mutamento di prospettiva geopolitica che metteva in discussione il loro senso di identità storica.

L’ordine internazionale durante la prima fase della guerra fredda fu in effetti bipolare, con l’azione dell’alleanza occidentale diretta sostanzialmente dall’America come partner principale e guida. Per “alleanza” gli Stati Uniti intendevano non tanto paesi che agiscono in modo concordato per mantenere l’equilibrio quanto l’America come direttore generale di un’impresa comune. (corsivo mio, LL) >> (41).

La via della NATO è lo strumento di svolta storica delle strategie USA basate su accordi con alleati e paesi sottomessi, cioè << […] L’alleanza atlantica, in realtà, è un’alleanza non paritaria. E’ uno strumento coercitivo nei confronti dell’Europa per impedire alla stessa di essere indipendente, realmente unita, e per impedirle di volgersi verso Oriente. Non a caso, secondo Brzezinski, l’espansione della Nato verso Est avrebbe allargato l’area di influenza statunitense in Europa e creato un’unione europea tanto vasta quanto poco unita e, di conseguenza, facilmente controllabile dalla potenza egemone >> (42).

Le crescenti tensioni in Europa orientale, Medio Oriente, Asia centrale, Sud-Est asiatico e Africa, vale a dire lungo le linee di attrito tra le sfere di influenza dei tre poli di potere-dominio, cioè USA, Cina e Russia, rivelano il conflitto già in essere nella fase multicentrica dove la via della seta e la via dell’energia entrano nel grande gioco geopolitico tra le citate potenze (43).

La globalizzazione della NATO e gli accordi degli USA fuori la NATO (44) stanno a dimostrare la necessità di coordinamento delle azioni intraprese dagli USA nei riguardi della Cina e della Russia. Cioè si ha una sorta di moltiplicazione del modello NATO da utilizzare nelle diverse aree sensibili del conflitto strategico tra le potenze mondiali dall’Atlantico al Pacifico passando per il Mediterraneo. Così Mahdi Darius Nazemroaya << Gli Stati Uniti stanno creando un anello di alleanze militari che mira a isolare e accerchiare l’Heartland eurasiatico. Non si sta facendo altro che applicare una seconda volta la dottrina già lanciata a suo tempo dal presidente americano Nixon secondo cui gli alleati degli USA devono diventare i bracci armati in ogni regione del globo. L’Alleanza atlantica ha la funzione di proiettare la potenza a stelle e strisce in Europa e nel Mar Mediterraneo; Australia e Giappone sono i gendarmi di Washington nell’Estremo Oriente e nella zona dell’Asia-Pacifico; Israele è l’alleato speciale degli USA nel Medio Oriente assieme al Consiglio di Cooperazione del Golfo e alla Turchia, che stanno venendo usati per gli interessi altrui. Esiste anche un livello più basso in cui la dottrina di Richard Nixon viene applicata in Africa e America Latina a terminati Paesi (rispettivamente Etiopia e Colombia) con compiti più ridotti a scala locale. Quel che è diverso dai tempi di Richard Nixon è che oggi si assiste a un’intensa opera volta a favorire l’integrazione di tutte queste realtà all’interno delle istituzioni ufficiali di sicurezza e difesa legate agli Stati Uniti. Ciascuna di queste ramificazioni locali dell’egemonia statunitense risulta inoltre appoggiata e integrata con i comandi militari locali di combattimento degli USA con cui il mondo viene letteralmente suddiviso in zone geografiche di responsabilità per i generali e gli ammiragli del Pentagono. Ciò che gli Stati Uniti hanno fatto non è altro che consolidare sempre più un’opera di accerchiamento ai danni di Russia, Iran e Cina, con un occhio di riguardo anche per l’India. Tutti questi grandi Stati eurasiatici, nelle loro veste di potenze regionali, portano delle vere e proprie sfide ai piani egemonici di Washington nel continente: la Federazione russa è la nazione di riferimento nell’Europa orientale e nello spazio postsovietico; l’Iran è attore di spicco nel Golfo Persico e in Medio Oriente; l’India è il Paese più importante nella parte meridionale dell’Asia, mentre la Cina recita la parte del leone in Estremo Oriente. Per far fronte a tutto questo gli atlantisti stanno lavorando per dar vita a tre fronti in Eurasia: uno che copre le popolose aree di confini orientali e meridionali della Repubblica Popolare Cinese, un altro che cinge l’Iran e i suoi alleati in Medio Oriente e per concludere un terzo in Europa orientale proprio di fronte alle frontiere occidentali della Russia >> (45).

Ci vuole il coraggio de “I musicanti di Brema” che si ribellano ai loro padroni che, dopo averli usati e sfruttati, li vogliono eliminare perché non servono più. Essi conquistano con la lotta la libertà e l’autodeterminazione sociale della vita (46).

Per una Europa libera e autodeterminata bisogna mandare a casa gli agenti strategici esecutori delle strategie statunitensi che occupano dei luoghi sovranazionali che nulla hanno a che fare con gli interessi della maggioranza dei popoli. C’è la necessità di avere un moderno principe sessuato che spazzi via la servitù volontaria verso gli Stati Uniti e pensi ad un progetto di una Europa come crocevia di relazioni sensate tra Occidente e Oriente.

Se è vero, come ci ricorda Silvia Vegetti Finzi, che ciò che è storico è sempre mutevole, anche il sistema attuale è destinato prima o poi a declinare lasciando il posto, se sapremo impegnarci razionalmente ed eticamente, a un mondo migliore. Una prospettiva che congiunge in una linea ideale la filosofia politica di Platone e di Marx, entrambi impegnati, non soltanto a conoscere, ma a cambiare il corso della storia. Allora occorre ripartire dalla grande lezione di Karl Marx quando afferma è né più né meno che un inganno sobillare il popolo senza offrirgli nessun fondamento solido e meditato per la sua azione. Risvegliare speranze fantastiche […] lungi dal favorire salvezza di coloro che soffrono, porterebbe inevitabilmente alla loro rovina: rivolgersi ai lavoratori senza possedere idee rigorosamente scientifiche e teorie ben concrete significa giocare in modo vuoto e incosciente con la propaganda, creando una situazione in cui da un lato un apostolo predica, dall’altro un gregge di somari lo sta a sentire a bocca aperta: apostoli assurdi e assurdi discepoli. In un paese civilizzato non si può realizzare nulla senza teorie ben solide e concrete; e finora, infatti, nulla è stato realizzato se non fracasso ed esplosioni improvvise e dannose, se non iniziative che condurranno alla completa rovina la causa per la quale ci battiamo. L’ignoranza non ha mai giovato a nessuno!

Le citazioni che ho scelto come epigrafe sono tratte da:

* Hans Magnus Enzensberger, a cura di, Colloqui con Marx e Engels, Einaudi, Torino, 1977, pag. 53.

**Silvia Vegetti Finzi, Introduzione in Luca Grecchi, Dolcezza, Mursia, Milano, 2021, pag.10.

NOTE

  1. Franco Cardini, I sovranisti distratti, www.ariannaeditrice.it, 7/7/2021; Alain de Benoist, Che cosa dovrebbe essere l’Europa? www.ariannaeditrice.it, 28/6/2020.

  2. Costanzo Preve-Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul nuovo ordine mondiale, Casa Editrice “il Prato”, Saonara (Padova), 2016, pag.153.

  3. Si legga Charles A. Kupchan, Nessuno controlla il mondo. L’Occidente e l’ascesa del resto del mondo. La prossima svolta globale, il Saggiatore, Milano, 2013; Paul Craig Roberts, La guerra è a Washington (cosa sta facendo Donald Trump?), www.crepanelmuro.blogspot.com, 27/3/2020; Alain de Benoist, Gli Stati Uniti sono già in guerra con la Cina. L’Europa si sottragga, www.ariannaeditrice.it, 14/6/2020. Per una ulteriore conferma del nuovo progetto della Nato che sostituisce il ruolo della UE nelle strategie USA in funzione anti Cina e Russia e contro una alleanza Cina-Russia e “per il recupero della Russia, prima che questa possa ritrovarsi impaniata senza remissione nell’abbraccio cinese”, si veda Giuseppe Cucchi, La Nato è viva ma ora deve recuperare la Russia in Limes n.4/2020; Manlio Dinucci, Che cos’è e perché è pericoloso l’allargamento a Est della Nato, www.ilmanifesto.it, 21/2/2022; Alberto Negri, Putin e gli europei uniti nel paradosso, www.ilmanifesto.it, 23/2/2022.

  4. Sulla pseudo pandemia si veda Massimo Cascone, intervista a Stefano Dumontet, Morti, vaccini e speculazioni economiche, parte 1 e 2, www.comedonchisciotte.org, del 20/1/2022 e 21/1/2022;

  5. E’ un’ipotesi che considera sia quanto è accaduto e accade, sia tenendo conto della letteratura prodotta, sia pensando alla marginalità della ricerca sull’ipotesi della guerra batteriologica tra potenze mondiali.

  6. Con arma biologica si intende l’utilizzo di microrganismi patogeni per il ferimento e/o l’uccisione degli eserciti e dei civili durante una guerra, una guerriglia o una rappresaglia. Come ogni arma, ha sia evidenti vantaggi che svantaggi altrettanto evidenti; i vantaggi sono l’enorme efficienza letale e il basso costo (secondo alcune stime colpire 1 Km2 costerebbe 2000$ con le armi convenzionali, 800$ usando armi nucleari, 600$ usando agenti chimici e soltanto 1$ con gli agenti biologici), mentre tra gli svantaggi si annoverano l’imprevedibilità nell’uso (prevalentemente dovuto alle condizioni atmosferiche) e la reazione d’orrore che un loro impiego causerebbe a livello globale” in Andrea Borsa, Le armi biologiche attraverso i secoli, www.microbiologiaitalia.it, 29/11/2017. Per una ricostruzione storica rimando a Francesco Santoianni, L’ultima epidemia: le armi batteriologiche. Dalla peste all’AIDS, Edizioni Cultura della Pace, Firenze,1991.

  7. Pepe Escobar, Mai sprecare un’arma: la guerra ibrida degli Stati Uniti contro la Cina, www.comedonchisciotte.org, 23/2/2020; Federico Dezzani, Coronavirus e guerra senza limiti, www.federicodezzani.altervista.org, 1/2/2020; Federico Dezzani, Coronavirus e quarantena: l’Italia sotto i cannoneggiamenti, www.federicodezzani.altervista.org, 24/2/2020; Federico Dezzani, Guerre batteriologiche e guerre di greggio, www.federicodezzani.altervista.org, 19/3/2020; Marco Della Luna, Il virus contro le stelle, www.marcodellaluna.info, 23/2/2020; Paul Craig Roberts, Sta nascendo un nuovo mondo: come sarà?, www.comedonchisciotte.org, 16/4/2020; Luigi Tedeschi, a cura di, Intervista a Enrica Perucchietti coautrice con Luca D’Auria del libro “Coronavirus, il nemico invisibile”, Uno Editori 2020, www.ariannaeditrice.it, 9/5/2020; Fabio Mini, L’Epidemia di metafore nasconde che la guerra al virus è lotta fratricida in Limes n.4/2020.

  8. Su questo punto si veda Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino. Genealogie del ventesimo secolo, Feltrinelli, Milano, 2008; Fabio Massimo Parenti, La via cinese. Sfida per un futuro condiviso, Meltemi, Milano, 2021.

  9. Sulla dialettica del rapporto Cina-Russia nelle diverse fasi storiche si rimanda alla sintesi di Claudia Astarita, Asia Meridionale e Orientale in Osservatorio Strategico n.4/2019, pp 52-56

(www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/DocumentiVis/Osservatorio_Strategico_2019/OS_04_2019.pdf). Per una storia di una amicizia discontinua in Peter Frankopan, Le vie della seta. Una nuova storia del mondo, Mondadori, Milano, 2017, pp.581-596. Per una analisi sulle questioni di sviluppo, di politica regionale e mondiale della Cina e della Russia e delle loro strategie nella fase multicentrica si rimanda a Stefano Bianchini e Antonio Fiori, a cura di, Russia e Cina nel mondo globale. Due potenze fra dinamiche interne e internazionali, Carocci editore, Roma, 2018, in particolare, ai fini del presente scritto, si vedano i capitoli 9 (Nicolò Fasola e Sonia Lucarelli, I rapporti tra Alleanza atlantica e Russia dalla fine della guerra fredda) e 10 (Eugenia Baroncelli, Cina e Russia nel nuovo contesto globale: sostenibilità interna, vincoli relazionali e implicazioni sistemiche); Pepe Escobar, Volete una guerra tra Russia e Nato?, www.ariannaeditrice.it, 12/02/2022; Alberto Bradanini, Le relazioni tra Cina e Russia, www.lafionda.org, 14/02/2022; Alexey Muraviev, La “quasi alleanza” tra Cina e Russia sull’Ucraina, intervista al quotidiano francese Le Point, sintesi riportata in www.agi.it, 25/2/2022; Giulia Belardelli, La nuova Nato di Biden spinge Putin tra le braccia di Xi, www.huffigtonpost.it, 23/3/2021.

  1. Sulla nuova via della seta si rimanda a Luigi Longo, L’Europa tra le vie della Nato, le vie della seta e le vie dell’energia, prima parte, www.italiaeilmondo.com, 19/11/2019; Peter Frankopan, Le vie della seta. Una nuova storia del mondo, op.cit.; Fabio Massimo Parenti, La via cinese. Sfida per un futuro condiviso, op.cit., capitolo terzo, pp. 61-83.

  2. L’11 marzo 2020 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) annuncia la “pandemia Covid-19”. A livello ufficiale tutto comincia quando il 31 dicembre 2019 la Cina notifica a livello internazionale l’esistenza di un focolaio di polmonite a eziologia non nota nella città di Wuhan, provincia di Hubei. Per una ricostruzione della pandemia a livello mondiale si rimanda a Marinella Correggia, Covid e le saggezze nascoste, Libri dei Consumatori, Mestre (VE), 2021.

  3. Molti autori sostengono che il coronavirus (Covid-19) sia partito con alte probabilità dagli USA, si veda la ricostruzione di Fabio Mini, L’Epidemia…op.cit., paragrafo n.8; Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Il colpevole silenzio degli Stati Uniti sulla vera origine del coronavirus, www.marx21.it, 3/6/2021; Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto, Il covid è nato negli USA? La città del Sole, Napoli, 2021. Sull’èlite delle forze armate USA che svolge ricerche e test su virus e batteri e concorre alla produzione di vaccini e farmaci antivirali a Sigonella (e in diverse aree del mondo) si rimanda a Antonio Mazzeo, A Sigonella i militari USA che manipolano virus e brevettano antivirali, www.antoniomazzeoblog.blogspot.com, 17/03/2020; Piero Messina, Il laboratorio militare Usa trasferito a Sigonella aveva scoperto il coronavirus del 2012, www.limesonline.com, 31/3/2020. Per un’analisi sui biolaboratori del Pentagono posizionati intorno alla Russia si veda Leonid Savin, Sui laboratori biologici del Pentagono in Ucraina, www.comedonchisciotte.org, 2/3/2022; Vladimir Platov, La Russia ha impedito a Washington di scatenare una guerra biologica, www.comedonchisciotte.org, 6/3/2022.

  4. Fabio Massimo Parenti, La via cinese. Sfida per un futuro condiviso, op.cit., pag.119.

  5. Pepe Escobar, Mai sprecare un’arma…op.cit. Si veda anche Joseph Mercola, Il vaiolo sarà la prossima “fuga da laboratorio”? www.comedonchisciotte.org, 4/12/2021. Sulla artificialità del virus e sui laboratori nel mondo che usano la branca della scienza mefitica della Gain of Function che producono virus chimerici, cioè manipolati geneticamente, per inventare una malattia nell’eventualità che un giorno esista davvero (è una totale perversione espressione di una crisi di civiltà soprattutto occidentale) rimando a Paolo Barnard con Steven Quay e Angus Dalgleish, L’origine del virus. Le verità tenute nascoste che hanno ucciso milioni di persone, Chiarelettere editore, Milano, 2021.

  6. Pepe Escobar, Mai sprecare un’arma…op.cit.

  7. Si rimanda alla ricostruzione di Fabio Mini, L’Epidemia…op.cit., in particolare il paragrafo 9, e di Pepe Escobar, La Cina è impegnata in una guerra ibrida con gli USA, www.comedonchisciotte.org, 18/3/2020. Sulla conoscenza dei servizi segreti statunitensi e del Pentagono del Covid-19 un mese prima della scoperta cinese si rimanda a Pepe Escobar, Che cosa sapeva l’intelligence USA del virus cinese? www.comedonchisciotte.org, 23/4/2020.

  8. Fabio Mini, L’Epidemia…op.cit., pag.243; sul cinismo USA nelle sperimentazioni si veda John Pilger, E’ in arrivo un’altra Hiroshima…Se non la fermiamo in tempo, www.comedonchisciotte.org, 6/8/2020.

  9. Gilad Atzmon, L’amnesia è un sintomo del Covid-19?, in www.comedonchisciotte.com, 21/4/2020.

  10. Giulio Tarro, Emergenza Covid. Dal Lockdown alla vaccinazione di massa: Cosa, invece, si sarebbe potuto- e si può-fare, l’AD Edizioni, 2021.

  11. Alessandro Colombo e Paolo Magri, a cura di, Il mondo al tempo del Covid. L’ora dell’Europa? Rapporto ISPI 2021, www.ledizioni.it, 2021; Marinella Correggia, Covid e le saggezze nascoste,op.cit.; Marco Della Luna, Adattamento socio-economico nella pandemia, www.marcodellaluna.info, 16/3/2021. Per la costruzione di istituzioni multilaterali più forti (con una nuova legislazione internazionale) per prevenire ed affrontare le future pandemie in modo da superare le lacune nella gestione da Covid-19 dell’ONU, OMS e UE si veda Kit Knightly, L’OMS sta pianificando un nuovo “Trattato pandemico” per il 2024, www.comedonchisciotte.org, 1/3/2022.

  12. Sulle lacune degli indici epidemiologici si veda Costantino Ceoldo, intervista Mariano Bizzarri, Un nuovo indice epidemiologico per la pandemia da Covid-19, www.comedonchisciotte.org, 17/8/2021. Per una sintesi delle storture nella produzione dei cosiddetti vaccini in Alberto Conti, L’immaginario collettivo privatizzato, www.comedonchisciotte.org ,8/11/2021. Sulla cattiva e antiscientifica gestione dell’emergenza Covid-19 si rimanda a Giulio Tarro, Emergenza Covid. Dal Lockdown alla vaccinazione di massa: Cosa, invece, si sarebbe potuto- e si può-fare, op.cit.; Mike Whitney, Operazione sterminio. Il piano per distruggere il sistema immunitario con un agente patogeno sintetizzato in laboratorio, www.comedonchischiotte, 11/12/2021; Gianandrea Gaiani, Tra maccartismo vaccinale e deriva illiberale chi valuta il rischio strategico, www.analisidifesa.it, 8/1/2022. Sull’uso del comando diretto e sul limite della democrazia nella fase multicentrica si legga Paul Craig Roberts, Oggi la Russia è più libera del “mondo libero”, www.geopolitica.ru, 18/11/2021; Manlio Dinucci, La tragica farsa del Summit per la democrazia, www.ilmanifesto.it, 6/12/2021; Marco Della Luna, L’emergenza è l’eversione!, www.marcodellaluna.info, 12/7/2020. Sull’uso anticostituzionale del decreto legge nella pandemia Covid-19 in Giorgio Agamben-Massimo Cacciari-Giuliano Scarselli, Per una critica politico-giuridica del green pass, www.iisf.it, 3/11/2021; Marco Della Luna, Interpretare le mosse del Drago, www.marcodellaluna.info, 23/11/2021; Comidad, Col pretesto dell’obbligo vaccinale l’agenzia delle entrate gestisce il green pass, www.comidad.org, 12/1/2022. Sull’uso della Covid-19 come utilizzo dei finanziamenti del PEPP (il piano straordinario di acquisti di titoli pubblici e privati) per altri fini che nulla hanno a che fare con la salute in Comidad, La bolla finanziaria della BCE ha gonfiato la bolla emergenziale, www.comidad.org, 20/1/2022.

  13. Spyros Manouselis, Biosicurezza: la nascita della società zombie, www.comedonchisciotte.com, 15/8/2020; Giorgio Agamben, La vera posta in gioco, www.ariannaeditrice.it, 5/8/2021; Marco Della Luna, Big Pharma e governo fantoccio, www.marcodellaluna.info, 10/8/2021; Comidad, L’attuale biopotere a lezione di nazismo da IBM, www.comidad.org, 5/8/2021; Cathy O’Neil, Armi di distruzione matematica. Come i Big Data aumentano la disuguaglianza e minacciano la democrazia, Bompiani, Milano, 2017; Bernard Stiegler, La società automatica, Meltemi, Milano, 2019.

  14. Guy Mettan, Russofobia. Mille anni di diffidenza, Sandro Teti Editore, Roma, 2016, pp. 288-289. E’ interessante leggere l’intero capitolo de La russofobia americana. Ovvero la dittatura della libertà, pp.272-312.

  15. Sull’accerchiamento della Russia e della sua area di influenza da parte degli USA-Nato si rimanda a Manlio Dinucci, La strategia del caos guidato, www.ilmanifesto.it, 16/4/2019; Manlio Dinucci, Che cos’è e perché è pericoloso l’allargamento a Este della Nato, www.ilmanifesto.it, 22/2/2022; Manlio Dinucci, Ucraina: l’attacco lo lanciò la Nato otto anni fa, www.ilmanifesto.it, 1/3/2022; Pepe Escobar, USA e Nato contro Russia e Cina: una guerra ibrida permanente, www.comedonchisciotte.com, 4/4/2021; Thomas Fazi, Da Kennan a Sergio Romano: tutti coloro che avevano avvisato l’Occidente delle conseguenze di accerchiare la Russia, www.lantidiplomatico.it, 1/3/2022.

  16. Luigi Longo, Il Progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 26/11/2018.

  17. Tino Oldani, Lo scoop di Der Spiegel sull’impegno Nato di non espandersi a Est si basa su un verbale desecretato, che dà ragione a Putin, www.italiaoggi.it, 22/2/2022. Si veda anche Stefano Bianchini, Tra occidente ed Eurasia: il pendolo russo nelle relazioni internazionali in Stefano Bianchini e Antonio Fiori, a cura di, Russia e Cina nel mondo globale. Due potenze fra dinamiche interne e internazionali, op.cit., pp.169-184.

  18. Per una buona sintesi delle ragioni storiche del rapporto tra Russia e Ucraina dopo la fine dell’URSS e dell’importanza della relazione Russia-Ucraina per comprendere la crisi attuale si rinvia a Francesco Privitera, Dalla disgregazione dell’URSS alla crisi Ucraina: autodeterminazione e sovranità nello spazio post-sovietico in Stefano Bianchini e Antonio Fiori, a cura di, Russia e Cina nel mondo globale. Due potenze fra dinamiche interne e internazionali, op.cit., pp.15-28; si veda anche Giacomo Gabellini, Ucraina: una guerra per procura, Arianna editrice, Bologna, 2016; Guy Mettan, Ucraina 2014, un’agghiacciante acriticità in Guy Mettan, Russofobia…, op.cit., pp.82-118.

  19. Manlio Dinucci, Ucraina: l’attacco lo lanciò la Nato otto anni fa, op.cit.; Manlio Dinucci, Ucraina, era tutto scritto nel piano della Rand Corp, www.ilmanifesto.it, 8/3/2022. Si legga anche Franco Cardini, Sull’orlo dell’abisso, www.sollevazione.it, 1/3/2022 e Mons. Carlo Maria Viganò, Dichiarazione sulla crisi Russo-Ucraina, www.comedonchisciotte.org, 8/3/2022; Fabio Mini, Guerra in Ucraina, invio di armi e propagande, www.lantidiplomatico.it, 11/3/2022; Fabio Falchi, Le due facce della guerra russo-ucraina, www.ariannaeditrice.it, 12/3/2022.

  20. Henry Kissinger, Ordine mondiale, Mondadori, Milano, 2015, pag.67.

  21. Sergev Karaganov, La dottrina di Putin in www.federicodezzani.altervista.org, 28/2/2022.

  22. Fabio Massimo Parenti, La via cinese. Sfida per un futuro condiviso, op. cit., pag 66; Pepe Escobar, Uno squarcio nella nebbia rivela “una nuova pagina nell’arte della guerra” www.comedonchisciotte.org, 13/3/2022.

  23. Pasquale Cicalese, Gli USA dopo il fronte sud, bloccano il fronte Est della via della seta, www.pianocontromercato.it , 27/2/2022.

  24. Eugenia Baroncelli, Cina e Russia nel nuovo contesto globale: sostenibilità interna, vincoli relazionali e implicazioni sistemiche in Stefano Bianchini e Antonio Fiori, a cura di, Russia e Cina nel mondo globale. Due potenze fra dinamiche interne e internazionali, op.cit., pp.151-152.

  25. Si veda la funzione che ha l’investimento strategico USA della base militare ad Alessandropoli in Grecia che mira a contrastare sia l’uso dell’energia per la malefica influenza russa sia la via della seta cinese in Manlio Dinucci, Grecia, svendita di basi militari agli Stati Uniti, www.ilmanifesto.it, 11/2/2020.

  26. Sulla questione delle sanzioni alla Russia e la loro relativa efficacia si rimanda Beatrice Nencha, Il lato oscuro delle misure imposte alla Russia dalla Comunità internazionale, www.sinistrainrete.info, 7/3/2022; Michael Roberts, Russia: dalle sanzioni al crollo? www.sinistrainrete.info, 2/3/2022; Mario Scopece, Ecco gli effetti delle sanzioni alla Russia per l’Italia. Dossier Sace, www.startmag.it, 2/3/2022; Elena Rossi Espagnet, Giuseppe De Arcangelis, Rama Dasi Mariani, Le sanzioni alla Russia: effetto economico e scopo politico, www.eticaeconomia.it, 2/2/2020; Fabio Falchi, L’Occidente e la questione Ucraina, www.ariannaeditrice.it, 9/3/2022; Federico Dezzani, Considerazioni sulla prima settimana di guerra russo-ucraina, www.federicodezzani.altervista.org, 2/3/2022; Federico Dezzani, La Russia verso l’autarchia, www.federicodezzani.altervista.org., 7/3/2022; Marco Valsania, Stati Uniti, perchè l’arma delle sanzioni alla Russia funziona solo a metà, www.ilsole24ore.com, 22/2/2022; David C. Hendrickson, Armi di distruzione finanziaria: il nuovo disordine mondiale, www.comedonchisciotte.com, 12/3/2022.

  27. Si veda Giuseppina Perlasca, La UE prevede di tagliare il gas russo in un anno, riempiendo di parole i gasdotti, www.scenarieconomici.it, 10/3/2022.

  28. Sulle problematiche connesse alla transizione ecologica si rimanda a Giulio Sapelli, La crisi energetica è un colossale fallimento manageriale e del green “forzato” della UE, www.italiaeilmondo.com, 12/11/2021; Luigi Tedeschi, Crisi energetica: l’Europa alla canna del gas, www.centroitalicum.com, 12/2/2022.

  29. Mauro del Corno, Gas, l’Agenzia Internazionale dell’Energia accusa Mosca: riduce le forniture all’Europa per ragioni geopolitiche, www.ilfattoquotidiano.it, 13/1/2022. Sull’ordine liberale propugnato dagli Stati Uniti con i teatri di guerra che ostacolano, boicottano, distruggono le vie dell’energia di coordinamento tra Oriente e Occidente si veda Alberto Negri, Stavolta l’atlantismo è nudo. Come il re, www.ilmanifesto.it, 13/2/2022.

  30. L’UE è finita non perché può dissolversi attraverso il conflitto interno tra le diverse anime territoriali come suggerisce Luigi Tedeschi (La UE si dissolve? www.centroitalicum.com, 29/3/2020) o per le sue debolezze come osserva Alain de Benoist (Ucraina: la fine della guerra fredda non è mai avvenuta, www.ariannaeditrice.it, 16/2/2022), ma perché il progetto statunitense nella fase multicentrica prevede la fine dell’UE da sostituire con la Nato, come coordinamento europeo, per le strategie contro le potenze mondiali in ascesa dell’Oriente (Cina e Russia). Per approfondimenti si rimanda al mio scritto Il Progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica, op.cit.

  31. Andrea Guidi, Una bussola per una vera politica dei popoli: leggere Macchiavelli nel terzo millennio (con una Exhortatio per l’Europa), www.micromega.net, 29/5/2020.

  32. Henry Kissinger, Ordine mondiale, op. cit., pag. 90.

  33. Daniele Perra, Il nemico dell’Europa, www.eurasia-rivista.com, 8/2/2022.

  34. Mehdi Taje, Giochi di guerra in una Libia caotica: prospettiva geopolitica, www.italiaeilmondo.com, 11/2/2020.

  35. Per gli accordi a latere della NATO, quello degli USA con Gran Bretagna e Australia (Aukus, la NATO del pacifico) in Alberto Negri, Dal patto Aukus il via al più grande Bazar degli armamenti, www.ilmanifesto.it, 25/9/2021 e Wolfgang Munchau, Dopo Aukus cosa l’Europa (non) farà, www.maurizioblondet.it, 22/9/2021.

  36. Mahdi Darius Nazemroaya, La globalizzazione della NATO. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate, Arianna Editrice, Bologna, 2014, pag. 248.

  37. J e W. Grinn, I musicanti di Brema, Edizioni EL, San Dorlingo della Valle (Trieste), 2020.

Due posizioni dei centri decisori e una analisi di esperti americani_a cura di Giuseppe Germinario

Pubblichiamo questo scritto per presentare quattro importanti documenti che rivelano l’esistenza negli Stati Uniti di un dibattito aperto ed esplicito sulle diverse opzioni e strategie, di fatto in netto contrasto tra di esse, che dovrebbero informare la politica estera americana, specie nei confronti dei due principali competitori geopolitici: la Russia e la Cina. A differenza di quanto avviene in Europa, colpisce la trasparenza del dibattito in corso, alimentato dalla presenza di una vasta opinione pubblica e di un radicato movimento politico a sostegno di ciascuna delle tesi. Tesi che, comunque, non ostante la presenza di componenti iperoltranziste, le quali nel peggiore dei casi , comunque, come rivelato dai due articoli di Defense One, propugnano un atteggiamento più “attivo” certamente, ma che tengano in considerazione ed accettino, almeno momentaneamente, le posizioni acquisite da Putin sul terreno. Niente del genere in Europa, con una classe dirigente comunitaria e degli stati nazionali pressoché del tutto allineata alle posizioni più oltranziste e cieche.  Segno che le loro ragioni di esistenza e sopravvivenza dipendono soprattutto dai loro legami di dipendenza e dall’assenza congenita di una qualsiasi organica capacità autonoma di movimento. 

Il primo documento, pubblicato qui sotto, è importante certamente per la radicalità del suo contenuto, ma soprattutto per la qualità dei sottoscrittori. Tutti direttamente implicati delle dinamiche politiche e geopolitiche in Europa; espressioni di settori e centri decisori potentissimi, di apparati la cui inerzia è in grado di forzare pesantemente le linee di condotta della gestione dell’amministrazione centrale americana. La vicenda della possibile cessione dei Mig29 polacchi all’Ucraina, per interposizione della NATO, è particolarmente illuminante. Non è solo il segnale di una cautela dei polacchi rispetto all’avventurismo statunitense; è il segno della capacità di azione di questi centri nell’orchestrare provocazioni e determinare le linee di condotta. E’ chiaro che il contrasto proviene da interessi anche personali ben radicati, ma anche da due punti di vista ben radicati nell’amministrazione americana; una ritiene la condotta russa fondata su un bluff, le cui carte andrebbero scoperte; l’altra la ritiene una condotta irreversibile da affrontare diplomaticamente senza rischiare ulteriormente un disastroso confronto militare generalizzato. Molto dipenderà dalla saldezza e dalla coerenza della leadership russa e dalla solidità del sodalizio sino-russo; altrettanto dipenderà dal sorgere quantomeno di un movimento di opinione europeo contrario a questo oltranzismo da avanspettacolo offerto dalle classi dirigenti europee. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Lettera aperta per la No-Fly Zone limitata.

Esprime una posizione interna alla dirigenza americana secondo la quale i russi stanno bluffando e non sono disposti ad arrivare sino ad un conflitto diretto con la NATO. Bisogna, quindi, andare a vedere il loro bluff e provocarli con una “no-fly zone”. I russi cederanno

Noi sottoscritti esortiamo l’amministrazione Biden, insieme agli alleati della NATO, a imporre una No-Fly Zone limitata sull’Ucraina a partire dalla protezione per gli aiuti umanitari corridoi concordati nei colloqui tra funzionari russi e ucraini giovedi. I leader della NATO dovrebbero comunicare ai funzionari russi che non cercano direttamente il confronto con le forze russe, ma devono anche chiarire che non tollereranno gli attacchi russi su aree civili.
La decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina ha causato enormi devastazioni e perdite di vita per gli ucraini. La sua guerra di aggressione premeditata, non provocata e ingiustificata ha creato la più grande crisi nel continente europeo dalla fine della seconda guerra mondiale.
Nonostante gli sforzi davvero eroici dei soldati ucraini e dei cittadini medi per resistere al
saccheggio delle forze russe, l’esercito di Putin è pronto per ulteriori attacchi alle principali città, compresa la capitale Kiev. Mirare a edifici residenziali, ospedali e governo complessi, così come le centrali nucleari, le forze russe saranno responsabili di un bilancio delle vittime ancora più alto.
La comunità internazionale ha risposto rapidamente attraverso una serie senza precedenti di sanzioni e un aumento significativo dell’assistenza militare letale per aiutare l’Ucraina a difendersi. Ma è necessario fare di più per prevenire vittime e potenziali vittime su larga scala e un bagno di sangue.
Il presidente Biden e il segretario generale della NATO Stoltenberg hanno affermato che né gli Stati Uniti né la NATO ingaggeranno le forze russe sul terreno in Ucraina. Cosa noi
cerchiamo è il dispiegamento di aerei americani e della NATO non in cerca di confronto
con la Russia ma per scongiurare e scoraggiare i bombardamenti russi che si tradurrebbero in massicce perdite di vite ucraine. Questo si aggiunge alla richiesta dei leader ucraini per A-10 e MIG-29 per aiutare gli ucraini a difendersi, cosa che anche noi fortemente sosteniamo.
Già più di un milione di ucraini sono fuggiti dal loro paese per sfuggire alla brutalità scatenata da Putin. Le stime suggeriscono che quel numero potrebbe raggiungere i 5 milioni, più del 10 per cento della popolazione. Diverse migliaia di ucraini sono già morti
L’ultima aggressione di Putin, in aggiunta agli oltre 14.000 uccisi dopo la prima invasione di Putin dell’Ucraina a partire dal 2014. L’Ucraina sta affrontando un grave disastro umanitario; gli effetti si fanno sentire in tutto il continente europeo e oltre.
Il ritornello “mai più” è emerso sulla scia dell’Olocausto, e gli ucraini lo sono chiedendosi se tale impegno si applica a loro. È tempo per gli Stati Uniti e la NATO di intensificare il proprio aiuto agli ucraini prima che altri civili innocenti ne cadano vittime.
La follia omicida di Putin. Gli ucraini stanno difendendo coraggiosamente il loro paese e
loro libertà, ma hanno bisogno di più aiuto da parte della comunità internazionale. Stati Uniti- La NATO devono imporre la No-Fly Zone per proteggere i corridoi umanitari e militari aggiuntivi i mezzi per l’autodifesa ucraina sono disperatamente necessari e necessari ora.
(Nota: le affiliazioni sono solo a scopo identificativo; gli individui firmano per loro responsabilità personale.)

1. Anders Aslund, Senior Fellow, Stockholm Free World Forum
2. Stephen Blank, Senior Fellow/Foreign Policy Research Institute
3. Gen. (Ret.) Philip Breedlove, Former Supreme Allied Commander Europe
4. Paula Dobriansky, Former Under Secretary of State for Global Affairs
5. Eric S. Edelman, Former Under Secretary of Defense
6. Evelyn Farkas, Former Deputy Assistant Secretary of Defense for Russia,
Ukraine, Eurasia
7. Daniel Fried, Former Assistant Secretary of State and U.S. Ambassador to
Poland
8. Andrew J. Futey, President, Ukrainian Congress Committee of America
9. Melinda Haring, Deputy Director, Atlantic Council Eurasia Center
10. John Herbst, Former U.S. Ambassador to Ukraine
11. LtG (Ret.) Ben Hodges, Former Commanding General, United States Army
Europe
12. Glen Howard, President, Jamestown Foundation
13. Donald Jensen, Johns Hopkins University
14. Ian Kelly, Former U.S. Ambassador to Georgia and OSCE
15. John Kornblum, Former Assistant Secretary of State and U.S. Ambassador to
Germany
16. Shelby Magid, Associate Director, Atlantic Council Eurasia Center
17. Robert McConnell, Co-Founder, U.S.-Ukraine Foundation
18. Claire Sechler Merkel, Senior Director, McCain Institute for International
Leadership
19. David A. Merkel, Former Deputy Assistant Secretary of State and
Director, National Security Council
20.Barry Pavel, Senior Vice President and Director, Atlantic Council Scowcroft
Center for Strategy and Security
21. Herman Pirchner, President, American Foreign Policy Council
22. Michael Sawkiw, Jr., Director, Ukrainian National Information Service
23. Leah Scheunemann, Deputy Director, Atlantic Council Transatlantic Security
Initiative
24. Benjamin L. Schmitt, Former European Energy Security Advisor, U.S.
Department of State
25. William Taylor, Former U.S. Ambassador to Ukraine
26. Alexander Vershbow, Former U.S. Ambassador to Russia and NATO
4. Ian Brzezinski, Former Deputy Assistant Secretary of Defense
5. Orest Deychakiwsky, Former Policy Adviser, U.S. Helsinki Commission
6. Larry Diamond, Senior Fellow, Hoover Institution and Freeman Spogli
Institute for International Studies, Stanford University

27. Kurt Volker, Former U.S. Ambassador to NATO and Special Representative for
Ukraine Negotiations

https://www.politico.com/f/?id=0000017f-6668-ddc5-a17f-f66d48630000&nname=playbook&nid=0000014f-1646-d88f-a1cf-5f46b7bd0000&nrid=0000015d-a357-df20-adff-b3ff37130000&nlid=630318&fbclid=IwAR1lVN3VlvDwG5uDkvkRizkO_Aao0Kvuh2CzegNZCJ3VpiuuaicCJLTPLmg

Qui sotto invece un dibattito tra quattro importanti accademici, analisti e personaggi politici che manifestano tutt’altre posizioni, ben presenti, sia pure in posizione minoritaria, nei centri decisori americani e ben recepiti da una parte sempre più larga di opinione pubblica ed di elettorato. Per chi non avesse particolare dimestichezza con l’inglese è possibile digitare il comando dei sottotitoli. La posizione analizza lo sviluppo della crisi, ne attribuisce la responsabilità agli Stati Uniti e argomenta perché i russi andranno sino in fondo nella difesa di questo interesse per loro vitale.

GUARDA: Mearsheimer e McGovern sull’Ucraina

Il Prof. John Mearsheimer e l’ex specialista della CIA Russia Ray McGovern discutono del conflitto ucraino e della politica degli Stati Uniti nei confronti di Mosca, presentati dal Comitato per la Repubblica a Washington.

 

Qui sotto ancora due articoli della rivista Defense One, prossima agli ambienti militari che traccia le possibili modalità di intervento diretto in Ucraina delle forze della NATO. Questa è un’ulteriore linea interna alla dirigenza americana che non vuole correre il rischio di un confronto diretto della NATO con la Russia; vuole, però, interporre una forza ONU a guida Usa nel conflitto per ottenere il massimo e concedere il minimo nella trattativa tra Russia ed Ucraina.

Metti gli stivali americani in Ucraina per difendere una zona di sicurezza approvata dalle Nazioni Unite

Ha funzionato in Siria.

Il discorso del presidente Biden sullo stato dell’Unione, che ha chiesto al resto del mondo di uscire più forte della Russia dalla crisi ucraina, coglie bene una vera strategia americana. L’esito della crisi rimane sconosciuto, ma l’ordine di sicurezza collettiva internazionale basato su regole, sotto la guida americana, ha finora risposto abbastanza bene. Eppure, lo straordinario isolamento economico e diplomatico di Mosca, e il rafforzamentodelle difese orientali della NATO, non può garantire che la Russia alla fine non invaderà l’Ucraina e creerà, con milioni di rifugiati ucraini, un’enorme crisi finanziaria per gli Stati Uniti e gli stati europei. Quasi sicuramente gli ucraini organizzeranno un’insurrezione, ma mentre ciò farà aumentare i costi di Mosca, è improbabile che costringa la Russia a ritirarsi presto.

Così anche una Russia indebolita dall’azione internazionale e dall’insurrezione potrebbe ancora essere la vincitrice, se l’ordine internazionale emergesse da questa crisi ancora più debole geograficamente, economicamente e psicologicamente. Il compito uno per quell’ordine internazionale è quindi garantire che ciò non accada, e ciò richiederà più azioni con maggiori rischi e costi. Una di queste azioni che è stata sollevata , anche dal presidente Zelenskyy, è una no-fly zone sul territorio ucraino. Questo è stato rapidamente abbattuto per molte buone ragioni . Ma il germe dell’idea ha merito, se affrontato diversamente. Qui il conflitto in Siria può essere istruttivo, in particolare, l’efficacia delle zone di sicurezza, per ridurre il conflitto, consentire l’assistenza umanitaria e, infine, produrre cessate il fuoco.

Una zona sicura umanitaria

Il governo ucraino dovrebbe essere incoraggiato a fare appello al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite affinché approvi una risoluzione ai sensi del capitolo VI , che istituisca una zona di sicurezza umanitaria con un regime di cessate il fuoco nei territori ucraini confinanti con i suoi vicini occidentali. (Una risoluzione ai sensi del Capitolo VII , che consentirebbe l’applicazione legale con le truppe sotto il controllo delle Nazioni Unite, sarebbe migliore ma senza dubbio impossibile.) Un modello di questo tipo di dispiegamento di peacekeeper alle frontiere è la risoluzione 1701 , che pose fine all’incursione israeliana in Libano nel 2006.

Ci si può aspettare che la Russia ponga il veto a tale risoluzione nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, sulla quale l’amministrazione e gli alleati dovrebbero tentare il suo passaggio all’Assemblea Generale, come si è visto con la Risoluzione Uniting for Peace , che autorizzò l’intervento del 1950 in Corea. La scorsa settimana, una risoluzione simile dell’Assemblea Generale che condanna la Russia in Ucraina ha ottenuto la stragrande maggioranza .

Tale zona consentirebbe al governo ucraino e alle organizzazioni non governative, in collaborazione con la comunità internazionale, di allestire campi per gli sfollati interni in fuga dai combattimenti senza lasciare l’Ucraina, riducendo drasticamente i costi di sostegno e reinsediamento dei rifugiati nei paesi terzi. La posizione e la profondità della Zona dipenderebbero dalla posizione delle forze russe al momento della sua istituzione, nonché da vari fattori economici, etnici, di trasporto e geografici e dalla posizione dei paesi vicini alla Zona. Ma dovrebbe includere almeno la città strategica di Leopoli.

Il governo ucraino dovrebbe rinunciare alle operazioni militari lanciate dalla zona, ma in caso contrario la sovranità ucraina e le normali operazioni del governo continuerebbero nella zona. Una zona consentirebbe al governo ucraino in extremis di trasferirsi verso ovest sul proprio territorio piuttosto che fuggire all’estero. Ciò è fondamentale per qualsiasi tipo di “vincere” di compromesso per l’Ucraina poiché eviterebbe, se in esilio, di competere con un regime fantoccio di Mosca con una presenza nel paese. E per essere chiari, l’obiettivo finale non è una groppa di Ucraina, ma il ritorno del legittimo controllo del governo ucraino su tutto il paese.

Un ruolo militare statunitense

Quali paesi risponderanno all’appello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di inviare truppe per monitorare i confini della Zona e difenderla in caso di attacco? (Date le paure russe, la NATO come istituzione deve starne fuori.) La nostra esperienza con i conflitti passati indica che i governi schiereranno forze solo se lo stesso Consiglio di sicurezza avrà approvato una risoluzione (di nuovo, improbabile a causa del veto della Russia), o se il Gli Stati Uniti inviano le proprie truppe. Affinché questa idea abbia successo, quindi, il Presidente dovrebbe invertire, in misura limitata, la sua posizione ” no US boots-in-Ucraina “, ma per buone ragioni.

L’impegno sarebbe limitato e non sfiderebbe direttamente le forze russe. Per rassicurare i russi di nessun intento offensivo, le forze americane e altre forze esterne sarebbero limitate nel numero e nelle armi. Gli Stati Uniti potrebbero fornire monitoraggio aereo “oltre l’orizzonte” e rinforzi a terra per scoraggiare o rispondere agli attacchi contro queste forze. Nessun conflitto sarebbe iniziato se non con una decisione russa di attaccare le forze invitate in Ucraina dal suo governo legale e con un mandato dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e una missione umanitaria.

L’esperienza siriana

In Siria, la Russia non ha agito contro le zone di sicurezza nel nord o nel sud-est contenenti truppe turche o statunitensi, anche se poche, con un’eccezione , contro le forze turche nel 2020. I russi hanno spesso minacciato ritorsioni contro le truppe statunitensi e turche e i loro siriani partner (e occasionalmente attacchi aerei israeliani) ma con quell’unica eccezione non ha intrapreso azioni letali.

Uno dei motivi per cui la zona di sicurezza ha funzionato in Siria è che ciascuna parte conosceva le linee rosse degli altri e non aveva alcun bisogno impellente di attraversarle. La Russia aveva ottenuto una vittoria disordinata e limitata in Siria sostenendo un governo amico e preservando le sue basi militari. Scacciare definitivamente gli americani, i turchi e gli israeliani, lì per le loro pressanti ragioni di sicurezza e umanitarie, sarebbe stato gradito ma non avrebbe generato un beneficio aggiuntivo sufficiente per bilanciare i rischi significativi. Supponendo che la zona di sicurezza ucraina sia relativamente piccola, potrebbe applicarsi una dinamica simile. Nessuna offensiva militare potrebbe o vorrebbe essere lanciata da esso, quindi non crea alcun motivo convincente per la Russia per rischiare di iniziare un conflitto con gli Stati Uniti.

A dire il vero, una zona di sicurezza non porrà fine alla guerra con una vittoria. Piuttosto, dovrebbe essere visto come una di una serie di mosse per negare il successo della Russia, insieme a sanzioni, disaccoppiamento economico e invio di armi all’Ucraina. Apre la porta a un compromesso diplomatico. L’amministrazione Biden ha segnalato la sua apertura a tale risultato nella sua lettera di gennaio alla Russia e dovrebbe dare seguito anche mentre i combattimenti continuano.

Ovviamente, l’approccio della zona di sicurezza comporta rischi, sia per le truppe coinvolte che per l’escalation russo-americana, in particolare perché il conflitto ucraino è esistenziale per la Russia in un modo in cui non lo era la Siria. Ma il mondo, e gli Stati Uniti, si trovano già in una situazione molto rischiosa. Inoltre, il successo americano nella creazione di una coalizione globale si basa sul presupposto che tutti condivideranno il sacrificio e i rischi. Ciò include non solo quegli stati spinti a vendere più petrolio con meno profitti, o accettare ondate di rifugiati, o nel caso della Germania, rinunciare a Nordstream 2, ma anche gli Stati Uniti, che finora sono stati poco esposti a costi e rischi. In fondo, la lotta dell’Ucraina non riguarda la forza e le risorse, perché la coalizione che gli Stati Uniti hanno messo insieme è enormemente più forte e più ricca della Russia. Piuttosto, è tutta una questione di coraggio e volontà politica.

James Jeffrey è presidente del programma per il Medio Oriente presso il Wilson Center; un ex ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia, Iraq e Albania; ed ex inviato speciale presso la coalizione globale per sconfiggere l’ISIS e capo missione in Siria.

https://www.defenseone.com/ideas/2022/03/put-us-boots-ukraine-defend-un-approved-security-zone/362978/

Istituire una zona di pace nell’Ucraina occidentale

L’invio di truppe straniere per difendere un territorio finora incontrastato è l’unico modo per preservare un’Ucraina libera e prevenire il prossimo attacco di Putin.

Nessuno sa fino a che punto Vladimir Putin della Russia spingerà il suo brutale attacco all’Ucraina. I commentatori occidentali inizialmente presumevano che Putin avrebbe consentito l’esistenza di uno stato ucraino, meno il Donbas, sotto un governo fantoccio una volta conquistate Kiev, Kharkiv e Mariupol; Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy è stato giustiziato; e istituito un ampio corridoio costiero tra la Crimea e la regione del Donbas. Ma dopo una telefonata del 3 marzo con Putin, il presidente francese Emmanuel Macron ha avvertito che “il peggio deve ancora venire” e che l’ obiettivo di Putin è prendere tutta l’Ucraina e cancellare la nazione. Pochi giorni dopo, Putin ha  minacciato di porre fine allo stato ucraino a meno che la resistenza non si fermasse.

Finora, la risposta principale del mondo sono state le sanzioni. È uno sforzo significativo e ha dimostrato l’unità degli Stati democratici. Tuttavia, le sanzioni funzionano solo contro i governi che sono effettivamente preoccupati per il benessere economico a lungo termine della loro gente. È del tutto evidente che Putin sacrificherà tale benessere per obiettivi immediati e il prestigio della potenza militare. Gli sforzi per fornire all’Ucraina armi aggiuntive sono tatticamente importanti, ma le forze ucraine sono semplicemente troppo piccole per sostenere una guerra convenzionale contro la Russia.

Se deve esserci un futuro per la nazione ucraina, l’Occidente deve agire immediatamente per stabilire una zona di mantenimento della pace e di soccorso umanitario nell’Ucraina occidentale non occupata. Questa “Zona di pace” sarebbe mantenuta da truppe completamente armate, della NATO, delle ” Forze di difesa dell’Unione europea ” dell’UE o, sebbene sia un’aspirazione difficile, una coalizione di stati non europei apparentemente sotto l’autorità dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite . La zona avrebbe lo scopo sia di proteggere i civili che di preservare una parvenza di indipendenza per il popolo ucraino. Se richiesto dal presidente Zelenskyy, tale azione sarebbe pienamente conforme al diritto internazionale. Come ha ripetutamente affermato Zelenskyy—più recentemente sulla scia del bombardamento russo di una centrale nucleare — “solo un’azione urgente da parte dell’Europa può fermare le truppe russe”.

Invece di affrontare le forze russe nelle loro attuali operazioni, queste forze di pace, completamente attrezzate per il combattimento, potrebbero stabilire posizioni difensive in quelle aree dell’Ucraina che i soldati di Putin non hanno ancora raggiunto, comprese le oblast di Lviv, Volyn, Zakarpattia, Rivne, Ternopil, Khmeinytski , Ivano-Frankivsk, Chernivitsi, Zhytornyr, Vinnytsia e le sezioni settentrionale e costiera di Odessa non ancora contestate. Ovviamente, la città centrale sarebbe Leopoli, dove si sono già trasferite la maggior parte delle ambasciate e molti profughi e che The Economist ha già soprannominato “ il luogo del piano Bs.” L’obiettivo sarebbe quello di creare una barriera protettiva attorno a ciò che può essere salvato di un’Ucraina sovrana che sopravviverà all’evento quasi inevitabile della caduta di Kiev e delle regioni orientali. E, sì, includerebbe una no-fly zone, ma esclusivamente al di sopra dell’area protetta.

Una volta stabilite in posizione, queste forze di pace non intraprenderebbero alcuna azione offensiva contro le forze russe che operano nel resto dell’Ucraina, ma rimarrebbero completamente preparate a difendere se stesse e il territorio che proteggono. Questi non sarebbero i “peacekeeper” leggermente armati che si sono dimostrati ampiamente inefficaci nelle passate operazioni delle Nazioni Unite. Queste forze eviteranno di avviare ostilità, ma agiranno come un potente deterrente per altre ostilità. D’ora in poi sarà una scelta di Putin se vuole combattere l’Europa, e forse il mondo, una guerra che sa che la Russia non può vincere. È probabile che una guerra del genere lo rovescerebbe, l’esito che più teme.

Escalation per de-escalation

Ironia della sorte, ciò applicherebbe una logica strategica che è stata attribuita, forse in modo alquanto impreciso, all’attuale strategia militare russa: escalation per de-escalation o escalation del controllo. In questo caso, l’escalation è la presenza di truppe occidentali nell’Ucraina non conquistata. La riduzione dell’escalation è che costringerà Putin a limitare la sua azione a ciò che afferma di fare : “liberare” il Donbas e sostituire il regime ucraino, che senza un’azione occidentale diretta è impossibile da fermare. La presenza della forza di mantenimento della pace stabilirebbe una linea rossa deterrente e ferma che consentirebbe, anzi, attirerebbe Putin a dichiarare vittoria e indietreggiare. In breve, la minaccia di un’ulteriore guerra è ciò che reprimerebbe la guerra in corso, che è una definizione efficace di deterrenza.

Il concetto reale è derivato dall’interpretazione degli scritti russi sull’uso delle armi nucleari che implicavano che l’escalation dell’uso della forza, usando piccole armi nucleari tattiche contro una forza avversaria, potrebbe indurre l’avversario a rinunciare a qualsiasi ulteriore sforzo per portare un potere ancora maggiore ( una forza convenzionale più grande o persino armi nucleari strategiche) nel conflitto. L’escalation per deescalation è stata descritta come “l’escalation di un conflitto da un livello di conflitto a un livello di violenza che fa cessare le operazioni militari da parte dell’avversario [che] sarebbe solo un esempio di come la Russia potrebbe cercare di controllare l’escalation di un conflitto. ” Come si applica alle forze nucleari statunitensi, il concetto è stato respintonella testimonianza al Congresso della leadership militare congiunta degli Stati Uniti. Ma al di fuori della posizione nucleare, corrisponde bene agli elementi della convenzionale “deterrenza per negazione”. Una forza forte, ben equipaggiata e ben addestrata (come i contingenti NATO) posta in posizioni protette ma in grado di manovrare è un deterrente che le risposte iterative non possono eguagliare.

Le prove di operazioni inette in Ucraina potrebbero non riflettere la vera competenza delle forze armate russe complessive. Ma suggerisce che spingere contro una forza di mantenimento della pace pronta al combattimento, alla fine sostenuta dalla NATO, non è una sfida che i comandanti militari russi vorrebbero affrontare.

Quali forze sono necessarie?

La fanteria leggera di tipo forza di reazione rapida formerebbe il bordo d’attacco o confine della Zona di Pace, con armature, artiglieria e forze armate combinate mantenute a distanza. Queste forze più pesanti non sarebbero una singola riserva centralizzata; sarebbero stabiliti in tutta la zona, ma in posizioni che non segnalano un’offensiva in avanti.

Preferibilmente la barriera di fanteria leggera non includerebbe truppe statunitensi (per evitare di entrare nella narrativa di Putin), ma sarebbe composta da nazioni europee della NATO e/o dell’UE, o altri membri volontari delle Nazioni Unite. Ci sono, infatti, un certo numero di nazioni che potrebbero essere disposte a fornire truppe se sovvenzionate e sostenute dall’Occidente. Le forze più pesanti sarebbero costruite attorno ad almeno tre divisioni dell’esercito americano o del corpo dei marines degli Stati Uniti (o equivalenti). Il messaggio chiaro: non intendiamo avanzare per creare una guerra generale, ma non ci ritireremo.

Le forze ucraine non farebbero parte della forza di mantenimento della pace/difensiva, ma sarebbero autorizzate a ritirarsi negli accampamenti all’interno della zona se accettassero di cessare le operazioni all’interno delle aree contese dell’Ucraina. Gli attacchi delle forze ucraine dalla Zona di Pace non sarebbero stati consentiti.

Il movimento delle forze della zona di pace avverrebbe principalmente con il trasporto via terra attraverso la Polonia, la Slovacchia, l’Ungheria o la Romania, e preferibilmente tutti questi. L’inserimento dell’elicottero è una possibilità, ma sarebbe meglio ridurre al minimo fino a quando la Zona di Pace non sarà inizialmente istituita e dichiarata. Se Odessa rimane non occupata, le forze potrebbero essere spostate su nave o moto d’acqua dalla Romania, dalla Bulgaria o dalla Turchia.

La potenza aerea di copertura sarebbe basata al di fuori dell’Ucraina, ma potrebbe essere presente sopra la Zona di Pace, se necessario, una volta stabilita la zona. Lo scopo è proteggere la zona, non recuperare ciò che è perduto. Predominano i caccia e gli aerei di supporto aereo ravvicinato; a meno che non ne seguisse una guerra generale, non ci sarebbe alcun ruolo per i bombardieri a lungo raggio.

Una tale posizione operativa sarebbe conforme all’esercito americano, all’aeronautica americana o alla dottrina congiunta? Affatto. Le operazioni di combattimento statunitensi si basano sul portare la battaglia al nemico nel territorio controllato dal nemico. Tuttavia, le circostanze uniche e tragiche della situazione richiedono un approccio creativo che trascenda la dottrina. L’obiettivo è preservare la sovranità ucraina in quelle aree non ancora sotto l’occupazione russa, al fine di fornire supporto umanitario al popolo ucraino e mantenere vivo un futuro indipendente per loro evitando una guerra generale con la Russia. Questo non è realizzabile attraverso semplici sanzioni. Né può essere raggiunto attraverso la guerra informatica.

Causerebbe una guerra nucleare?

L’ovvia paura che rende le nazioni occidentali diffidenti nei confronti di un intervento aperto in un conflitto ingiusto che potrebbe distruggere il presunto “ordine mondiale liberale” è la paura della guerra nucleare. La mia tesi è che questa possibilità può essere gestita limitando lo sforzo militare per preservare il territorio ancora sotto il controllo del governo ucraino. Per quanto terrificanti possano essere le prospettive di uno scambio nucleare, la deterrenza dovrebbe reggere, anche nella mente di Putin, se si evita il conflitto sul territorio russo o con le forze russe.

Le operazioni offensive che spingono i russi fuori del tutto dall’Ucraina sarebbero l’esito ideale per il conflitto, ma anche questo rispecchia la narrativa di Putin e potrebbe provocare una risposta incerta. Tali operazioni rimarrebbero di competenza delle forze militari (e civili) ucraine. La difesa dell’Ucraina non occupata è del tutto diversa.

Sostenere che una Zona di Pace istituita richiederebbe l’uso di armi nucleari russe significa sostenere che una guerra nucleare è inevitabile durante la vita di Vladimir Putin. Se questo è vero, allora il mondo non ha altra scelta che arrendersi alle sue crescenti richieste.

L’invasione dell’Ucraina non riguarda semplicemente il futuro dell’Ucraina. Riguarda il futuro globale in cui le invasioni dell’Ucraina diventano la norma. Forse è necessaria una piccola quantità di rischio riguardo a un esito nucleare. Ci siamo già stati durante la Guerra Fredda e la deterrenza ha prevalso. Putin è una creatura della Guerra Fredda.

Ha senso una difesa statica? Quale sarà il risultato?

I pianificatori operativi sosterranno che la difesa statica inerente a tale operazione nella Zona di Pace non ha un buon senso militare. E, dal punto di vista di un conflitto totale, hanno ragione. Tale linea d’azione limita la manovra operativa che è vista come la chiave della guerra moderna e forse l’attributo più desiderabile per qualsiasi forza militare. Consentirebbe una manovra tattica, ma rinuncerebbe al vantaggio dell’attacco multiasse e dell’inganno operativo.

Tuttavia, gli obiettivi, ancora una volta, non includono la distruzione delle forze nemiche, ma il mantenimento dell’attuale status quo in un territorio specifico. È per controllare il re del nemico, non per uccidere le sue pedine. I confronti con gli sforzi difensivi falliti nella storia possono essere inevitabili, ma ciò che va ricordato è che le difese forti falliscono solo quando il nemico ha forze sostanzialmente superiori, o quando le difese sono fiancheggiate; la linea Maginot è l’esempio classico. Le forze russe sono inferiori a una NATO combinata e non stanno dimostrando bene le loro capacità potenziali in Ucraina. Il potenziale per una svolta o un fiancheggiamento di una difesa ben preparata della Zona di Pace è relativamente modesto.

Quale effetto sulla narrazione?

Un’ulteriore preoccupazione sarebbe il potenziale effetto sulla “narrativa” riguardo a quale parte è l’aggressore. Putin potrebbe affermare che l’istituzione della forza di mantenimento della pace costituisce un “attacco” della NATO?

Il presidente russo a vita ha definito le sanzioni ” simili a un atto di guerra” e ha minacciato che la Russia sarà in guerra con qualsiasi nazione che fornisca o ospiti aerei ucraini. Indubbiamente, cercherà di schierare qualsiasi forza di mantenimento della pace come attacco.

Tuttavia, non è riuscito a cogliere la narrazione. Numerose nazioni hanno imposto sanzioni e fornito all’Ucraina sofisticate armi anticarro e antiaeree e Putin non è stato in grado di fermare queste azioni e non ha dichiarato loro guerra. Né è stato in grado di far girare queste azioni a sostegno delle sue argomentazioni. La chiave per i governi occidentali nel continuare a dominare la narrativa sarà usare il termine “peacekeeper” in ogni affermazione, forse come ogni seconda parola.

La messa in sicurezza immediata delle centrali nucleari ucraine di Rivne e Khmeinytski – un’azione che la forza di pace dovrebbe intraprendere in ogni caso – manterrebbe anche il predominio occidentale della narrativa date le preoccupazioni espresse in tutta Europa sugli attacchi russi alle centrali nucleari a est. Una chiara giustificazione per la forza di pace è prevenire un disastro di tipo Chernobyl causato dagli attacchi russi alle centrali nucleari.

Non ripetiamo la storia

La possibilità di istituire una Zona di Pace protetta è già in discussione in Europa. Il primo ministro portoghese Antonio Costa ha lasciato intendere che il suo governo era disposto a mettere in campo le sue (certamente piccole) forze in Ucraina. Questa discussione non è ancora penetrata nella consapevolezza degli americani e non vi è alcuna indicazione che l’amministrazione del presidente Biden stia prendendo in considerazione l’opzione. Ma dovrebbe essere discusso apertamente e ampiamente qui e considerato ora mentre può ancora essere implementato.

Alcuni esperti hanno sostenuto che gli obiettivi di Putin sono limitati. Cioè, come spesso si dice, speranza non strategia. Alcuni sostengono che non ci siano parallelismi storici poiché “il mondo è così diverso ora” a causa della tecnologia o della disponibilità di informazioni (soft power), ma questa potrebbe essere una citazione del 1939. Fonti russe affermano che Putin si considera il nuovo Stalin. Questo è stato a lungo suggerito . Tuttavia, i parallelismi con il 1939 sono ancora maggiori; Il Donbas è in gran parte i Sudeti di Putin, “l’ultima richiesta d’Europa” di Hitler. L’Ucraina è pronta a diventare la Cecoslovacchia di Putin: il resto del Paese che Hitler ha annesso mentre un mondo indifferente non ha reagito. Fortunatamente, questa volta il mondo ha reagito, ma non ha ancora reagito abbastanza.

Evitare gli errori del passato è più che una questione pratica; è anche una questione morale.

La protezione di ciò che resta dell’Ucraina è un obbligo morale. Salverebbe molte vite ucraine (e forse quelle dei coscritti russi). La decisione del popolo ucraino di muoversi verso il governo democratico e l’integrazione nella società europea è stata ispirata e incoraggiata dall’Europa occidentale e dagli Stati Uniti. Rinunciare ad agire al di là dell’imposizione di sanzioni economiche è un tradimento della fiducia e sarebbe una grave battuta d’arresto per la democrazia ovunque. Perché una nazione dovrebbe rivolgersi alla democrazia se il risultato sarà l’invasione, la morte e la sottomissione da parte di uno stato autoritario più potente?

La vera “ trappola di Tucidide ” non è il timore di nascere potenze rivali, ma di permettere che il futuro sistema internazionale venga definito dal principio che gli antichi ateniesi insegnarono con violenza ai Meliani: “i forti fanno quello che vogliono, i deboli soffrono quello che dovere.” Melos non è stato semplicemente catturato; i suoi uomini furono massacrati e le donne ridotte in schiavitù. Melos è stato ripopolato dai russi, correzioni, voglio dire, coloni ateniesi.

Questo è il futuro che Vladimir Putin (e Xi Jinping) vogliono realizzare . Soggiogare l’Ucraina sarebbe il passo più significativo per trasformare quel futuro in realtà. Per impedirlo, per preservare un mondo che lotta costantemente per la legge e la giustizia, è necessario preservare il territorio finora incontrastato dell’Ucraina istituendo e imponendo una Zona di Pace.

Sì, il risultato più probabile sarebbe un’Ucraina orientale (controllata dalla Russia) e un’Ucraina occidentale (indipendente e sovrana). Ma ciò conserverebbe la speranza che, come la Germania orientale e occidentale, l’Ucraina sarà di nuovo unita in un futuro al di là di Putin. Le sanzioni non lo faranno. Il cyber non lo farà. La guerra offensiva comporta grandi rischi. Una zona di pace forzata è l’opzione che vale la pena prendere.

Sam J. Tangredi è titolare della cattedra Leidos di Future Warfare Studies presso l’US Naval War College. È l’autore, più recentemente, di Anti-Access Warfare: Countering A2/AD Strategies. Le opinioni espresse sono completamente sue e non riflettono necessariamente le opinioni ufficiali dell’US Naval War College, del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti o di qualsiasi altra agenzia del governo degli Stati Uniti. 

https://www.defenseone.com/ideas/2022/03/establish-zone-peace-western-ukraine/362939/

Escalation tra Russia e Ucraina di Mirko Molteni

Escalation tra Russia e Ucraina: Putin riconosce i secessionisti di Donetsk e Lugansk

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Dopo mesi di tensione crescente sui confini fra Russia, Bielorussia e Ucraina, l’annuncio il 15 febbraio 2022 di un parziale ritiro dell’imponente schieramento russo, che avrebbe toccato, fino a quel momento, una punta massima di 147.000 soldati in posizioni avanzate (entro 300 chilometri dai confini ucraini), sembrava aver aperto la prima concreta possibilità di calo della tensione, almeno nel breve periodo.

Ma la sera del 21 febbraio il presidente russo Vladimir Putin ha infine rotto gli indugi, dopo essersi consultato col Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, decidendo di riconoscere le due repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk.

Il discorso di Putin si è caratterizzato anzitutto per l’attacco frontale all’intera classe dirigente ucraina, rea ai suoi occhi di aver fatto diventare il paese una sorta di colonia della NATO: “Gli ucraini” sono dominati da oligarchi interessati solo ai loro soldi e alle loro aziende, nonché a dividere l’Ucraina dalla Russia. Hanno sfruttato lo sconforto dei cittadini e sono arrivati a un colpo di stato, col sostegno da parte degli Stati Uniti, grazie a milioni di dollari al giorno. C’è stata una corruzione dilagante e gli ucraini si sono trovati a essere marionette”.

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Il pericolo strategico per la Russia è enorme e Putin ha ricordato una presenza militare della NATO in Ucraina sotto traccia, ma probabilmente non sfuggita all’intelligence dell’FSB e dell’SVR.

“In Ucraina le armi occidentali sono arrivate con un flusso continuo, ci sono esercitazioni militari regolari nell’ovest dell’Ucraina, l’obiettivo è colpire la Russia. Le truppe della NATO stanno prendendo parte a queste esercitazioni, almeno 10 sono in corso, e i contingenti NATO in Ucraina potrebbero crescere rapidamente. I sistemi di comando delle truppe ucraine sono già integrati con la Nato e l’Alleanza ha iniziato a sfruttare il territorio ucraino con infrastrutture missilistiche”.

Teme che anche in Ucraina sorgano basi come quella di Deveselu in Romania e quella di Redzikowo in Polonia, da cui gli americani possano lanciare a sorpresa missili Tomahawk o anche di nuovo tipo, come i Lockheed PRSM a medio raggio: “L’installazione di missili balistici in Ucraina sarebbe una minaccia contro la Russia europea e gli Urali. I missili Tomahawk possono raggiungere Mosca in 35 minuti, i missili balistici in 7 minuti ed i missili ipersonici in 4 minuti. E’ un coltello alla gola della Russia.

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Hanno cercato di tranquillizzarci dicendo che ci vorrà tempo. Sono stati condotti negoziati ma è scritto in molti documenti ufficiali che la Russia è il nemico numero uno dell’Alleanza Atlantica”.

Così ha parlato chiaro l’uomo del Cremlino, dopo che per settimane ha visto gli Stati Uniti e gli alleati europei della NATO glissare, in sostanza, su precise richieste di sicurezza a cui Mosca vorrebbe dare forma scritta per assicurare una stabilità di lungo periodo che l’Occidente vuole soltanto alle sue condizioni, negando parità negoziale alla controparte.

E ponendo così semi di discordia. Le questioni principali sono rimaste sul tappeto, poiché Stati Uniti e alleati non hanno di fatto tenuto conto finora di nessuna delle preoccupazioni della Russia per la propria sicurezza, per le quali il Cremlino aspira ad arrivare a un trattato scritto. Inoltre, il presidente americano Joe Biden, ha più volte ripetuto che “i russi potrebbero invadere l’Ucraina in ogni momento nei prossimi giorni”, sebbene, curiosamente, lo stesso ministro della Difesa ucraino, Oleksiy Reznikov, abbia detto che “la Russia non ha ancora organizzato formazioni d’attacco tra le sue forze schierate vicino ai confini”.

Il 20 febbraio una telefonata del presidente francese Emmanuel Macron al collegar russo Vladimir Putin avrebbe propiziato la possibilità di un vertice Putin-Biden. Ma non promette nulla di buono la ripresa di scontri locali nel Donbass, l’area orientale dell’Ucraina in cui dal 2014 le repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk, abitate da russofoni, si oppongono all’autorità di Kiev con l’appoggio di Mosca.

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Lo scambio di cannonate e granate di mortaio avrebbe già provocato, fra il 17 e il 21 febbraio, almeno due morti militari fra gli ucraini e due morti civili e uno militare fra i russofoni del Donbass. Le due parti si rimpallano accuse reciproche di provocazione. D’altro canto, il presidente americano Joe Biden per primo non si è fidato dell’annuncio russo di parziale ritiro e di fine delle esercitazioni, convincendo poi a cascata il segretario della NATO Jens Stoltenberg e i governi alleati a ripetere, fra il 16 e il 21 febbraio, che “non si osservano segnali di de-escalation”.

Fra le stime degli ultimi giorni, il 17 febbraio l’ambasciatore americano presso l’OSCE, Michael Carpenter, ha sostenuto che la Russia avrebbe “fra 169.000 e 190.000 soldati” sui confini, poi il 20 febbraio la tv statunitense CNN ha parlato di “120 gruppi tattici a livello di battaglione schierati a 60 chilometri dal confine con l’Ucraina”, oltre a “35 battaglioni da difesa aerea, 500 aerei da caccia e 50 bombardieri medio-pesanti”.

La CBS dal canto suo, cita fonti CIA secondo cui “ai comandanti dell’esercito russo sono già stati consegnati gli ordini di attacco”. Arduo chiaramente discernere quanto si tratti di indiscrezioni plausibili e quanto di “guerra d’informazioni” per favorire una successiva ricostruzione che addossi solo sui russi la colpa di un conflitto.

Stesso discorso per le scaramucce in Donbass, dove l’atteggiamento offensivo che i miliziani filorussi attribuiscono alle forze di prima linea ucraine potrebbe rendere credibile l’ipotesi che Kiev, sentendosi spalleggiata dalla NATO, tenga alta la tensione nella speranza di recuperare quel territorio.

Ma i russi, a loro volta, hanno ribattuto in quei giorni, sia per bocca del presidente Vladimir Putin sia del suo ministro degli Esteri Sergei Lavrov, che “gli Stati Uniti non hanno dato risposte soddisfacenti alle nostre precise richieste in fatto di sicurezza”. In sostanza, l’assicurazione scritta che l’Ucraina non entrerà mai nella NATO, il ritiro delle forze dell’Alleanza Atlantica dai territori degli stati membri dell’Est ammessi nell’ultimo ventennio e il conseguente divieto di basi missilistiche e nucleari sui suddetti territori.

Mosca non ha certo interesse a scatenare di sua iniziativa una guerra che, anche se rimanesse limitata al territorio ucraino, sarebbe dannosa per la sua economia, compromettendo ancor di più i rapporti commerciali con l’Europa Occidentale, già azzoppati dalle sanzioni varate dopo l’annessione della Crimea nel 2014.

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Se infatti i russi hanno il coltello dalla parte del manico per quanto riguarda la dipendenza dell’Unione Europea dal gas russo, che non potrà essere sostituito in tempi brevi da quello di altri fornitori come il Qatar, essi stessi, di riflesso, non possono sperare di recuperare altrettanto in fretta mancati introiti rivolgendosi ad altri compratori, come la Cina, dato che il commercio del gas si basa su investimenti infrastrutturali di lungo periodo. Ovviamente, comunque, la propensione russa a non iniziare un vero conflitto ad alta intensità va considerata al netto di possibili provocazioni sul territorio del Donbass, a cui stiamo purtroppo già assistendo.

In tutto questo, il 19 febbraio Putin ha lanciato alle potenze occidentali un importante messaggio non verbale dirigendo personalmente esercitazioni delle forze missilistiche nucleari russe, in modo da ribadire la propria capacità di deterrenza strategica, e il 20 febbraio ha dichiarato il prolungamento delle esercitazioni congiunte con la Bielorussia, che sarebbero dovute terminare quel giorno “a causa della situazione critica nel Donbass”.

 

Altolà per la NATO

Pur non nutrendo, probabilmente, una reale intenzione di guerra, il presidente Vladimir Putin doveva in qualche modo mostrare i muscoli, come mai aveva fatto prima d’ora, per dare un chiaro segnale alla NATO, pericolosamente arrivata sui suoi confini nell’arco di un ventennio, fino a rendere prevedibile un’adesione dell’Ucraina.

La situazione è poi parsa anche più grave al Cremlino dopo che nel 2021 le stesse autorità ucraine hanno iniziato a parlare con sempre maggiore insistenza di un possibile “recupero della Crimea”. E’ palese che le tensioni perduranti fra Kiev e Mosca rendano troppo pericoloso l’eventuale ingresso dell’Ucraina nell’alleanza atlantica, poiché un conflitto fra le due parti, magari scaturito da incidenti orchestrati, obbligherebbe anche l’Italia a una guerra globale contro la Russia in virtù dell’articolo 5 dell’Alleanza.

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Una guerra che, a differenza degli interventi militari oltremare, lontano dalle nostre frontiere, a cui ci siamo abituati negli ultimi decenni, toccherebbe in modo più o meno diretto il territorio nazionale italiano, anche solo per la presenza di basi americane come quelle di Aviano o Sigonella, con la relativa presenza di ordigni nucleari lanciabili da aerei, nella fattispecie le bombe a caduta libera B61 con potenza massima di 340 chilotoni, come anche a Ghedi, dove essi possono esser utilizzati da equipaggi dell’Aeronautica Militare Italiana in regime di “nuclear sharing” su ordine statunitense.

Ecco perchè, se davvero la crisi dovesse a fatica disinnescarsi in questi giorni a patto di promesse, anche dietro le quinte, di un mantenimento dell’Ucraina in uno status tecnicamente neutrale senza farla aderire alla NATO, si può dire che Putin, “tirando la corda” fino a ottenere almeno questo risultato, abbia fatto, sotto sotto, un favore anche all’Italia.

Su questo non sembrano esserci dubbi e, fra l’altro, riteniamo che gli eventi a cui stiamo assistendo dovrebbero insegnare qualcosa a Washington e a Bruxelles, portando a un generale ripensamento del concetto stesso di allargamento indiscriminato della NATO e, teoricamente, di qualsiasi alleanza.

Un patto solidale per la reciproca difesa militare e che presuppone l’automatismo dell’intervento a protezione di un membro attaccato produce davvero sicurezza solo se limitato a un certo numero di paesi le cui politiche estere e strategiche siano abbastanza coordinate fra loro da poter parlare di comunanza di interessi geopolitici.

Se un’alleanza finisce con l’allargarsi a paesi sempre più lontani, come distanza geografica e interessi, dai suoi primi membri storici ciò aumenta esponenzialmente il rischio che l’alleanza in questione venga a trovarsi a contatto con un numero crescente di aree di confine e di potenziali crisi aggiuntive che complichino il quadro, specialmente se uno dei membri risultasse in qualche modo aggredito da un attore esterno a causa di sue avventatezze o “fughe in avanti”.

In buona sostanza, più alleati, più possibilità che uno, o più, di essi si trovi in frizione, lungo i confini esterni dell’alleanza, con un possibile avversario, trascinando in blocco gli altri alleati in un conflitto non voluto e contrario ai loro reali interessi.

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Anche per le alleanze, quindi, si potrebbe ben parlare di una sorta di “punto culminante”, per usare un’espressione che due secoli fa Karl von Clausewitz, uno dei padri della strategia, applicava alle vittorie campali. Un punto, o meglio un apice, oltrepassato il quale, l’aumento del numero dei membri di una coalizione porta più svantaggi che vantaggi, poiché fa moltiplicare i rischi per la sicurezza, anziché diminuirli, spingendo a ritenere vitali scacchieri e situazioni addizionali che in precedenza non erano percepiti tali.

Grandi alleanze possono quindi portare, per il numero stesso delle nazioni impegolatevisi, più facilmente anche a guerre generali, estese su fronti di migliaia di chilometri. Senza contare che, nello specifico caso Russia-NATO, è stata la stessa espansione a Est a far crescere le preoccupazioni di Mosca che si traducono a loro volta nell’aumento di insicurezza sul versante orientale.

Si giunge quindi al paradosso che, se dal 1999 al 2020 ben 14 paesi dell’Europa Centro-Orientale si sono aggiunti ai 16 membri “storici”, cioè i 12 fondatori dell’alleanza nel 1949, fra cui l’Italia, e i 4 aggregatisi dal 1952 al 1982, che contava l’alleanza fino alla fine del XX secolo, tale processo è stato giustificato dalla necessità presunta di proteggere quelle nazioni dal risorgere della potenza russa, la quale però è stata spronata, e indispettita, proprio dal suddetto allargamento, in un tragicomico scambio fra causa ed effetto.

Se a ciò aggiungiamo che i neo-membri dell’ultimo ventennio sono per la maggior parte nazioni medio-piccole, che di fatto hanno aggiunto poco o nulla alla forza militare complessiva della coalizione, si può dire che l’alleanza si sia sobbarcata spese aggiuntive per la difesa di paesi tendenzialmente molto deboli per soli scopi ideologico-politici, ottenendone in cambio l’aumento dei rischi.

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A tal proposito, va ricordato che lo scorso 17 gennaio 2022 perfino sulla prestigiosa rivista americana di politica estera Foreign Affairs si è dato spazio a simili dubbi, con un articolo di Michael Kimmage secondo cui “è tempo per la NATO di chiudere le sue porte”.

“La NATO soffre di un grave difetto di progettazione: l’estensione profonda nel calderone della geopolitica dell’Europa Orientale è troppo grande, troppo mal definita e troppo provocatoria per il suo stesso bene”. E inoltre: “Mettere fine all’espansione della NATO sarebbe un atto di autodifesa per l’alleanza stessa, dandole i doni che conferiscono una più grande limitazione e una più grande chiarezza”.

Se l’Alleanza Atlantica s’è infilata in una simile trappola è stato in sostanza per cercare di perpetuare i risultati del post-Guerra Fredda, emarginando, per quanto possibile, la Russia dall’Europa. Ciò conferma che la NATO, fondata nel 1949 per arginare l’espansionismo di una Unione Sovietica che contava sulla forza sovversiva del comunismo, si è trasformata dopo la fine della Guerra Fredda in uno strumento di contrasto della Russia in quanto tale.

In sostanza, gli Stati Uniti, la potenza leader dell’Alleanza Atlantica, e il loro principale alleato, cioè la Gran Bretagna, hanno continuato a diffidare di Mosca anche dopo la caduta del comunismo, mentre la maggior parte dei paesi continentali tendevano a espandere i loro rapporti commerciali con i russi.

Per gli americani e la dirigenza NATO da essi influenzata, è la Russia in sè, indipendentemente dai colori politici dominanti al Cremlino o alla Duma, che va trattata da perenne sorvegliato speciale. Visto dall’ottica anglosassone, l’espansione della NATO e la sua pressione geopolitico-militare per contenere la Russia, servono per impedire un duraturo sodalizio fra una Mosca più democratica, o comunque meno autoritaria rispetto ai tempi del regime comunista, e un’Europa continentale che a quel punto non avrebbe più bisogno della protezione americana, togliendo significato all’esistenza stessa della NATO, per come è stata concepita finora. In qualche modo, la persistenza del “nemico” è necessaria alla continuazione dell’alleanza.

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Anche i russi se ne rendono conto e certo il braccio di ferro è diventato decisivo negli ultimi mesi, essendo ormai Mosca conscia di avere recuperato una forza militare sufficiente a difendere i propri interessi vitali in Europa. Ecco il perchè delle ripetute esercitazioni di massa russe, ineccepibili dal punto di vista del diritto internazionale perchè svolte sul proprio territorio, o su quello dell’alleata consenziente Bielorussia, ma che allarmando Kiev, Washington e Bruxelles, hanno lo scopo di portare finalmente al “dunque” una questione irrisolta da un ventennio e che ha toccato la classica “goccia che fa traboccare il vaso” con l’avvicinarsi di una ventilata ammissione dell’Ucraina nell’alleanza.

 

Biden incoraggia Kiev

La crisi attualmente in corso si è snodata gradualmente a partire dal novembre 2021, ma è il risultato finale di una contrapposizione montata di mese in mese fin dall’insediamento del presidente Joe Biden alla Casa Bianca, il 20 gennaio 2021, tanto che si può parlare per lo scorso anno di un “primo round” del confronto che potrebbe essere servito a entrambi per “prendere le misure” dell’avversario.

Dopo l’ascesa di Biden, le autorità ucraine devono aver pensato di poter contare su un’amministrazione americana assai più favorevole a Kiev, anche per i passati rapporti d’affari del figlio del presidente, Hunter Biden, con la società ucraino-cipriota Burisma.

Mentre si accrescevano già allora le tensioni in Donbass, fra l’esercito ucraino e le milizie filorusse delle repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk, una stretta contro politici ucraini ritenuti filorussi, aveva spinto già in febbraio Mosca a mobilitare un primo gruppo di 3000 paracadutisti non lontano dalla frontiera.

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Ad aggravare le cose è arrivata il 24 marzo 2021 da parte del presidente ucraino Volodymir Zelensky la firma di un decreto volto a sviluppare “strategie di recupero e de-occupazione delle aree del paese temporaneamente occupate”. Ciò ha fatto temere ai russi la possibile organizzazione di azioni militari da parte di Kiev, appoggiate dagli USA, per recuperare il Donbass e/o la Crimea.

La dirigenza ucraina si è sentita a maggior ragione sostenuta dalla nuova amministrazione della Casa Bianca dopo che, il 2 aprile 2021, si è avuto il primo colloquio telefonico fra Zelensky e Biden, il quale ha parlato di “protratta aggressione russa in Crimea”, senza tener conto che la penisola è ormai annessa alla Russia dal 2014 e che la maggioranza della sua popolazione è russa o pro-russa.

Sempre il 2 aprile è stato visto atterrare a Kiev un aereo da trasporto militare americano C-130J partito dalla base NATO di Ramstein (Germania) per missione ignota. Frattanto, i russi portavano il loro schieramento a 40.000 uomini, secondo l’Ucraina, mentre le milizie del Donbass segnalavano azioni di droni, per ricognizione e anche attacco, sulle loro posizioni. Entro il 6 aprile arrivavano a Kiev senza dichiarazione alcuna su scopi e carico, ancora un grosso aereo C-17 proveniente direttamente dagli Stati Uniti, poi un C-130J e un altro C-17 decollati da Ramstein in Germania. Intanto un aereo spia americano strategico RQ-4 Global Hawk ha sorvolato per molte ore la fascia di confine Ucraina-Russia monitorando tutto coi suoi sensori dalla portata di 250 chilometri.

Il 9 aprile gli Stati Uniti si dicevano “pronti a inviare navi nel Mar Nero per la nuova crisi ucraina”, dopo che la Casa Bianca ha comunicato che “lo spiegamento di forze russe sul confine è il maggiore dal 2014”. E il 13 aprile atterravano a Kiev ancora due C-130 USA, uno proveniente da Riga, in Lettonia, l’altro da Stoccarda.

Nel corso di aprile la tensione era aumentata fino a sfociare nelle espulsioni incrociate di 10 diplomatici russi e 10 americani dalle rispettive nazioni. Il 14 aprile s’è verificato un incidente fra unità navali russe del servizio costiero dell’FSB e ucraine della Guardia Costiera nello stretto di Kerc, unico passaggio nello sbarramento geografico che la Crimea russa pone alla costa ucraina sul Mar d’Azov. Al che il 24 aprile i russi hanno decretato fino al 31 ottobre il blocco dello stretto. Intanto, sempre a fine aprile terminavano le esercitazioni russe, pur mantenendosi cospicui depositi avanzati di mezzi pesanti e munizioni, come quello di Pogonovo, in previsione di nuove manovre.

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Nelle settimane seguenti, gli Stati Uniti sono tornati ad adombrare un possibile ingresso dell’Ucraina nella NATO e a parole si sono detti “disponibili alla trattativa sul disarmo”, pur, di fatto, non tenendo conto dei perduranti timori russi originati dal ritiro unilaterale degli USA, fin dal 2019, dal trattato INF che vietava missili a medio raggio in Europa, nonché dal sospetto che la base antimissile americana di Deveselu, in Romania, operativa dal 2016, e quella in fase di completamento, previsto in questo 2022, di Redzikowo, in Polonia, possano occultare missili offensivi Tomahawk, o di futuro tipo a medio raggio, come lo sperimentale PRSM (Precision Strike Missile), che Lockheed Martin ha collaudato più volte nel 2021 e la cui gittata massima, non dichiarata sarebbe “superiore a 499 km”.

I russi notano che il modulo di lancio verticale Mk.41 dei missili intercettori SM-3 del sistema imbarcato Aegis, e di quello terrestre Aegis Ashore, nel caso delle suddette basi, è utilizzato anche per i Tomahawk, che così potrebbero essere schierati di nascosto troppo vicini alle frontiere russe. Il 28 maggio 2022, ad aggravare la tensione, Washington affermava che “gli Stati Uniti non torneranno nel trattato Open Skies”, sui “cieli aperti”, che garantiva la sorveglianza aerea reciproca, ma da cui già l’amministrazione precedente, quella di Donald Trump, era uscita nel 2020.

Il Cremlino ha risposto ribadendo che “gli USA hanno perso l’occasione di migliorare la situazione della sicurezza in Europa”. Fra il 10 e il 13 giugno, il viaggio di Biden in Europa, in particolare con l’incontro bilaterale col premier britannico Boris Johnson e poi col G7 in Cornovaglia, nonché il summit NATO del 14 giugno, hanno preparato il terreno a una sorta di “chiamata delle democrazie”, in contrasto con l’asse Russia-Cina.

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Tanto per cambiare, negli stessi giorni la US Navy inviava nel Mar Nero l’incrociatore Laboon, con i suoi 56 Tomahawk, come simbolico messaggio verso Mosca. Già il 12 giugno, prima di incontrare il presidente americano a Ginevra 4 giorni dopo, Putin, intervistato dalla NBC, notava: “Le relazioni con gli USA sono al punto più basso degli ultimi anni. Trump era un uomo straordinario, un uomo di talento, Biden invece è un carrierista”.

Biden, dal canto suo, contribuiva senza rendersene conto a preparare i successivi rialzi di tensione, dichiarando: “La Russia non dovrà superare certe linee rosse. Non vogliamo un conflitto, ma reagiremo ad atti ostili. Per l’adesione dell’Ucraina alla NATO, la presenza di truppe russe su parte del territorio ucraino non costituisce un ostacolo. Ma prima di poter entrare nell’alleanza, Kiev dovrà ripulirsi dalla corruzione e soddisfare una serie di requisiti”. Il 16 giugno a Ginevra, al di là delle cortesie diplomatiche, nel summit Biden-Putin permaneva la frattura sui principali punti chiave.

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Come se non bastasse, la pressione navale della NATO nel Mar Nero tornava ad aumentare dal 23 giugno, quando il cacciatorpediniere britannico Defender sfiorava le coste della Crimea e la base russa di Sebastopoli, suscitando cannonate d’avvertimento da unità navali dell’FSB e anche il sorvolo di un bombardiere Sukhoi Su-24M che ha sganciato in mare bombe pure ammonitrici.

La presenza nell’area di due aerei americani da pattugliamento, un EP-3E Aries e un P-8 Poseidon, ha fatto pensare ai russi che l’incidente fosse organizzato per saggiare la loro reazione difensiva. E il 27 giugno la BBC rivelava documenti segreti, misteriosamente “smarriti” presso una fermata d’autobus, da cui s’arguiva che l’incursione della nave inglese era stata volutamente organizzata per provocare Mosca. Il giorno dopo, 28 giugno, iniziava una grossa esercitazione aeronavale nel Mar Nero, la Sea Breeze, attuata da ben 32 nazioni, fra membri della NATO e altri alleati degli Stati Uniti, con 32 navi, 40 aerei e 5.000 militari.

 

Si riaccende la miccia

Fra agosto e settembre del 2021 gli Stati Uniti e gli alleati europei (Italia compresa) sono stati letteralmente scioccati dalla palese sconfitta subita in Afghanistan dal governo di Kabul, favorita dal troppo rapido ritiro delle truppe straniere, che ha buttato alle ortiche vent’anni di impegno (con morti e feriti) occidentale contro i talebani. La storica disfatta delle nazioni NATO ha fatto sì che i governi atlantici e la grande stampa si lasciassero sfuggire l’occasione immediata di additare la Russia per le sue colossali esercitazioni Zapad 2021, tenutesi dal 10 al 16 settembre con dispiegamento di ben 200.000 uomini, con 80 aerei e 760 mezzi di terra, fra carri armati e altri veicoli.

Partecipavano anche contingenti di varie nazioni come la stessa Bielorussia, sul cui territorio si svolgeva il grosso delle manovre, ma anche rappresentanze di Armenia, India, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Mongolia, Pakistan e Sri Lanka. Pur monitorate dalla NATO, queste manovre non hanno suscitato così tanta preoccupazione come quelle tenutesi tra fine 2021 e inizio 2022, sebbene coinvolgessero un numero superiore di truppe, senza contare che tre anni prima, l’edizione 2018 della Zapad aveva impegnato, pare, addirittura 300.000 uomini.

Alle soglie dell’autunno 2021 la tensione Est-Ovest è risultata incentivata dal blocco del North Stream 2, la seconda tratta del gasdotto russo-tedesco che corre sul fondo del Mar Baltico evitando il territorio ucraino.

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Per la Germania, una notevole risorsa da 55 miliardi di metri cubi all’anno (per tratta) ma di cui gli stessi tedeschi sono stati costretti a privarsi sotto la spinta politica degli Stati Uniti. Il nuovo gasdotto era ormai pronto, in settembre, quando l’agenzia tedesca per le reti, la Bundesnetzagentur, o BnetzA, ha vietato il passaggio del gas con il pretesto della “posizione di monopolio” di Gazprom.

E da allora il North Stream 2 è ancora tutt’oggi a secco. Superato intanto, a fatica, lo smacco da parte dei talebani, la NATO tornava a guardare a Mosca ed espelleva per presunto spionaggio 8 membri della delegazione diplomatica russa presso la sede dell’alleanza a Bruxelles, decretando inoltre il taglio da 20 a 10 del numero dei componenti della suddetta rappresentanza. Il 20 ottobre il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha quindi annunciato la “rottura dei rapporti diplomatici con la NATO a partire dal 1° novembre”, spiegando: “Non ci sono più le condizioni di base per lavorare insieme: la Russia sospenderà la sua missione presso l’Alleanza Atlantica, che non è più interessata a un rapporto equo”.

E’ stato ai primi di novembre che sono iniziate a rimbalzare sulla stampa americana e occidentale in genere, le prime notizie sul fatto che la gran parte delle truppe mobilitate per l’esercitazione Zapad 2021 erano rimaste dislocate a poche centinaia di chilometri dalle frontiere ucraine, con stime iniziali variabili fra 70.000 e 80.000.

Ciò ha fatto sì che il 2 novembre Biden inviasse a Mosca nientemeno che il capo della CIA, William Burns, che peraltro era stato ambasciatore statunitense in Russia dal 2005 al 2008, per ammonire direttamente Putin, del resto in qualche modo suo ex-collega dato il suo passato di ufficiale del KGB. L’impiego di un capo dell’intelligence per una missione diplomatica non è inusuale e già nel 2018 Trump si era avvalso dell’allora capo della CIA Mike Pompeo per preparare le aperture con la Corea del Nord, promuovendolo poi a segretario di Stato.

Ma fra Burns e Putin è probabile che il colloquio riservato sia avvenuto con scambio di reciproche minacce. Nel frattempo, il 12 novembre si apprendeva che “funzionari USA hanno avvisato l’Unione Europea del rischio di invasione russa dell’Ucraina”, esplicitando ormai l’inizio del “secondo round” tuttora in atto. Mosca rispondeva protestando per la partecipazione di bombardieri strategici americani Rockwell B-1B Lancer a esercitazioni nel Mar Nero e inviando a sua volta un paio di Tupolev Tu-160 a volare vicino alla Scozia, sollecitando il decollo su allarme di intercettori Eurofighter Typhoon della Royal Air Force.

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Gli ucraini, intanto, aumentavano a 90.000 soldati la stima delle forze russe schierate, cifra subito ripresa dai media americani. Poco dopo, il 15 novembre, i russi lanciavano un loro messaggio non verbale dimostrando le loro capacità di guerra spaziale con il primo test balistico reale del missile antimissile e antisatellite A-235 Nudol, che dal poligono di Plesetsk ha raggiunto una quota superiore ai 400 chilometri centrando in pieno un vecchio satellite in disuso in orbita polare, l’ex-sovietico Cosmos 1408.

Monito terribile per le forze americane che, in virtù della loro estrema sofisticazione sono anche le più dipendenti al mondo dai satelliti da ricognizione, comunicazione e geoposizionamento. Tutto ciò avveniva nel quadro di tensioni anche fra Stati Uniti e Cina, alleata del Cremlino, motivata dalla questione di Taiwan e anche dalla stipula dell’alleanza AUKUS fra USA, Gran Bretagna e Australia in funzione anticinese.

Il 24 novembre il ministro della Difesa Segei Shoigu si è consultato col collega cinese Wei Fenghe in videoconferenza, lamentando l’esecuzione da parte americana dell’esercitazione Global Thunder con cui le forze aeree strategiche americane si sono addestrate all’attacco atomico contro la Russia: “Questo mese almeno 10 bombardieri pesanti americani si sono addestrati alla specifica ipotesi del lancio di ordigni nucleari sulla Russia, durante le esercitazioni Global Thunder, con voli di avvicinamento sia Est che da Ovest”.

Il 29 novembre, presiedendo a Riga, in Lettonia, una riunione dei ministri degli Esteri della NATO, il segretario Lens Stoltenberg invitava la Russia “alla de-escalation”. Al vertice l’alleanza concordava sul fatto di “affrontare la maggior espansione della sua difesa collettiva dopo la fine della Guerra Fredda”, menzionando “l’assistenza alla Polonia e alle repubbliche baltiche sui confini con Russia e Bielorussia” e l’aumento a 40.000 uomini della Forza di reazione rapida.

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Proprio in Lettonia si svolgevano in quegli stessi giorni le esercitazioni NATO Winter Shield 2021, fino al 4 dicembre. Da Kiev si alimentavano voci di un possibile “colpo di stato” orchestrato da Mosca “attorno all’1-2 dicembre”, poi mai verificatosi.

D’altronde, all’allarme sui 90.000 soldati russi schierati “a 300 km dal confine ucraino”, il Cremlino rispondeva sostenendo che “l’Ucraina ha dislocato metà di tutte le sue forze armate, 125.000 uomini con armi pesante, nel Donbass, aggravando deliberatamente la crisi”.

E il 2 dicembre, nel giorno in cui secondo gli ucraini i russi avrebbero dovuto organizzare un golpe a Kiev, era invece l’FSB ad arrestare in Crimea tre agenti segreti ucraini che avrebbero dovuto far saltare in aria installazioni importanti, come una grande antenna radio per le comunicazioni della Flotta Russa del Mar Nero. Si trattava di Zynovy e Igor Koval (padre e figlio), secondo i russi membri del servizio di sicurezza ucraino SBU, e di Oleksandr Tsylyk, presunto uomo del Direttorato Intelligence del Ministero della Difesa di Kiev.

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Il 4 dicembre 2021 il Washington Post iniziava a diffondere voci di provenienza della CIA e da foto satellitari, secondo cui gli Stati Uniti stimavano possibile “l’invasione dell’Ucraina per l’inizio del 2022 e su più fronti”, vagheggiando il raggiungimento di una forza di 175.000 uomini scaglionati in “100 gruppi tattici” con carri da battaglia e artiglieria.

Il clima in quei giorni iniziava a farsi pesante, col freddo colloquio in videoconferenza fra Putin e Biden il 7 dicembre e la contemporanea (non a caso) attivazione in Alaska del primo esemplare di Long-Range Discrimination Radar (LRDR) alla base aerea Clear. Un nuovo sistema a lunghissimo raggio asservito alla difesa antimissile degli USA e che sarebbe in grado di distinguere le vere testate dalle esche, evitando errori ai missili antimissile di Fort Greely, deputati a fermare gli ordigni provenienti da Russia o Asia.

Non aiutava il “summit delle democrazie” organizzato da Biden il 9-10 dicembre come paravento per riaffermare l’egemonia statunitense sul “mondo libero” emarginando Russia e Cina e cercando di far dimenticare la figuraccia in Afghanistan. A rinfocolare la tensione nel Donbass, frattanto, il 12 dicembre, fonti della repubblica do Donetsk hanno denunciato un attacco ucraino a mezzo di droni, che ha ucciso due miliziani filorussi.

 

Le richieste russe

Il 15 dicembre 2021 il Ministero degli Esteri russo ha consegnato alla vicesegretaria di Stato americana Karen Donfried, in visita a Mosca, le richieste scritte per una duratura stabilizzazione dell’Europa Orientale. Mosca chiedeva, e chiede tuttora, che venga messo nero su bianco il divieto all’Ucraina di entrare nella NATO, mantenendola stato-cuscinetto, oltre al “ritiro delle forze nucleari” sui rispettivi territori nazionali, “perchè le due potenze non usino i territori di paesi terzi per organizzare attacchi contro l’altra parte” e alla proibizione di missili a medio raggio.

Riferimenti, questi, al citato sospetto russo di utilizzo di Deveselu e Redzikowo come basi per Tomahawk o futuri missili a medio raggio più veloci, come il Lockheed PRSM. I russi dicono di puntare a “evitare un confronto militare con l’America, poichè in una guerra nucleare non ci sono né vincitori né vinti”. Fra i dettagli, le richieste comprendono il “mantenere la distanza massima fra le navi e gli aerei delle due parti” e vietare “esercitazioni sopra il livello di brigata vicino ai confini fra Russia e NATO”. Il 18 dicembre il Dipartimento di Stato di Washington cassava le proposte del Cremlino, riassumendo nella formula: “Sì al dialogo con Mosca, ma proposte inaccettabili”.

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Non solo, l’indomani il giornale tedesco Der Spiegel rivelava che il comandante militare della NATO, generale Tod Wolters aveva annunciato in un briefing riservato l’esatto contrario di ciò che chiedeva Mosca, cioè l’aumento delle forze interalleate in Bulgaria e Romania, con la creazione in ognuno dei due paesi di una brigata di 1.500 soldati inquadrata nella Enhanced Forward Presence.

Vedendo che passavano i giorni, ma non giungeva risposta alle proprie richieste, i russi hanno alzato i toni. Il 21 dicembre il viceministro degli Esteri Alexander Grushko ammoniva: “La Russia reagirà in modo proporzionato. Se la NATO installerà sui territori dei suoi membri armi offensive in grado di raggiungere i nostri centri di comando in pochi minuti, noi faremo lo stesso”.

Da Mosca, già in quei giorni si lanciava l’allarme su possibili “provocazioni nel Donbass con mercenari americani”, stimando in “120 i mercenari già presenti in Ucraina per l’addestramento delle forze speciali di Kiev”. Alla fine di dicembre si susseguivano, un primo annuncio russo di “ritiro di 10.000 uomini per la fine delle manovre”, sebbene USA e NATO ribattessero che erano ancora schierati oltre 100.000 uomini, e, fra il 16 e il 31 dicembre 2021, lanci ripetuti di missili ipersonici Zircon da unità navali come dimostrazione di forza russa nel settore degli ipersonici, condita dalla pittoresca decorazione da parte di Putin del capo progettista del missile, Boris Obnosov, col titolo di “Eroe della Russia”, corrispettivo odierno dell’antico “Eroe dell’Unione Sovietica”.

Dopo un’infruttuosa telefonata fra Biden e Putin, il presidente americano ha sentito il 3 gennaio 2022 l’omologo ucraino Zelensky, parlandogli di “reazione risoluta” USA in caso di invasione del suo paese, ma nelle stesse ore il portavoce dei ribelli filorussi del Donbass, Ivan Filiponenko, parlava di concentramenti di truppe ucraine a Valuyskoye, lungo la linea di contatto, “per organizzare un punto di designazione bersagli per l’artiglieria, in previsione di un’offensiva”.

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Lo stesso giorno, a riconferma del clima incerto anche nelle alte sfere, le cinque potenze nucleari del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ossia Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, si premuravano di firmare un memorandum comune che recitava: “Dichiariamo che non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare, che non dovrebbe mai essere scatenata”. Il gennaio del 2022 era anche caratterizzato dalla rivolta in Kazakhstan contro il presidente Qasim Jomart Tokayev, fomentata secondo i russi da “forze esterne infiltrate nel paese”.

Da molti considerata una possibile azione di disturbo per “prendere Putin alle spalle” sottraendo il Kazakhstan alla sfera d’influenza del Cremlino, la rivolta veniva in pochi giorni debellata anche grazie a truppe russe e di altri paesi della CSTO, l’Organizzazione di Sicurezza che comprende, oltre alla Russia, anche Armenia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan.

L’8 gennaio, sulla scia della rivelazione da parte inglese di un incidente segreto avvenuto “nel tardo 2020” a 320 km al largo della Scozia, dove la fregata Northumberland della Royal Navy sarebbe entrata in collisione con “sottomarino d’attacco russo captato dai sonar”, il nuovo capo di stato maggiore delle forze britanniche, ammiraglio Sir Tony Radakin, ha minacciato che “se i russi taglieranno i nostri cavi di comunicazione sottomarina, sarà considerato un atto di guerra”.

Pochi giorni dopo, fallivano i colloqui del 10 e 12 gennaio, in bilaterale a Ginevra e in ambito Russia-NATO a Bruxelles, fra i capi delegazione americano e russo, la vicesegretaria di Stato Wendy Sherman e il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov. Così come il summit Russia-OSCE del 13 gennaio. Intanto la stampa russa dava risalto con foto e video al primissimo volo dalla pista di Kazan, il 12 gennaio, del primo bombardiere strategico Tupolev Tu-160M interamente di nuova costruzione.

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La stampa americana, intanto, ha seguitato a evocare scenari di totale rottura con Mosca, come quando il 17 gennaio il New York Times ha rilanciato sull’ipotesi di armi nucleari russe dispiegate “vicino alle coste americane”, non solo perchè basate in futuro a Cuba o Venezuela, ma anche per l’avvicinamento dei sottomarini SLBM e in particolare dei misteriosi e colossali siluri-droni Status-6 Poseidon, con testata da 100 megatoni accreditata della capacità di creare maremoti sulla costa USA.

E mentre il 21 gennaio Blinken e Lavrov si incontravano inutilmente a Ginevra, dall’America il Bulletin of the Atomic Scientists, rendeva noto che “anche nel 2022 manterremo il simbolico orologio dell’Apocalisse (Doomsday Clock) alle ore 23.58.20, solo 100 secondi prima della mezzanotte”. E’ dal 2020 che l’associazione scientifica mantiene la lancetta così vicina all’ipotetico scoccare della guerra nucleare, il peggior livello di sempre, anche peggio che nei momenti più cupi della Guerra Fredda.

Quasi a corroborare i timori degli scienziati atomici, e sempre come messaggio verso il Cremlino, alla fine di gennaio l’US Strategic Command, che dalla sede nella base aerea Offutt di Omaha, in Nebraska, comanda la “triade” atomica intercontinentale (missili da rampe terrestri, ordigni sganciati da bombardieri e missili lanciati da sottomarini) ha tenuto le esercitazioni Global Lightning per provare la catena di comando e le comunicazioni fra basi e reparti, nonché la prontezza operativa per prepararsi, su ordine tempestivo, a pigiare i bottoni dell’Apocalisse.

Gli statunitensi hanno collaudato i nuovi terminali di comunicazione detti FAB-T, in grado di collegarsi ai satelliti Milstar anche in condizioni di estesa guerra nucleare e di distruzione di ogni altra telecomunicazione.

Ciò garantisce alle forze nucleari il contatto coi generali e col presidente degli Stati Uniti. Secondo Newsweek, a gennaio 2022 i terminali FAB-T installati erano 37 in basi terrestri e 50 su aeroplani d’attacco nucleare o da ricognizione. Altri sistemi testati sono l’MMPU, il sistema di comunicazioni delle basi dei missili Minuteman III, e il Common Very Low Frequency, a bassa frequenza, imbarcato sui bombardieri invisibili B-2 Spirit. E’ stato provato anche il Presidential and National Voice Conferencing System, con cui il presidente USA può parlare in videoconferenza, a viva voce, coi reparti atomici.

 

Manovre pericolose

Verso la fine di gennaio 2022, è emersa la posizione più moderata della Germania in ambito NATO, dato il suo bisogno di gas russo e il suo interscambio con Mosca. Gli USA hanno dovuto spedire a Berlino il capo della CIA Burns per spronare personalmente il cancelliere Olaf Scholz a tenere ancora bloccato il gasdotto North Stream 2, avviando nel contempo trattative con altri paesi produttori di gas, come il Qatar, per trovare metano alternativo a quello russo a beneficio degli alleati europei, ma sperando anche di poter aumentare le loro quote di esportazioni verso l’Unione Europea del gas liquefatto americano trasportato via nave.

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Ma da subito emergeva la sostanziale insufficienza delle alternative, dato che il Qatar e altri estrattori devono servire primariamente nazioni molto “energivore” come il Giappone o la Corea del Sud e che aumentare l’estrazione e il trasporto si può fare in tempi lunghi, non nell’immediato. Biden ha poi annunciato il rafforzamento del dispositivo militare nei paesi NATO dell’Est, dapprima con “un massimo di 8.500 soldati”, fra cui 2.500 uomini in Polonia e 1.000 di un battaglione di veicoli da combattimento ruotati Stryker in Romania.

Il 30 gennaio, a una seduta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU dedicata alla crisi, volavano parole grosse fra l’ambasciatrice statunitense Linda Thomas-Greenfield e l’ambasciatore russo Vasily Nebenzya, il quale le ha rinfacciato il precedente del 2003, quando l’allora segretario alla Difesa Colin Powell mentì sulle armi biochimiche di Saddam Hussein per giustificare l’invasione americana dell’Iraq.

Nelle stesse ore passavano dal Canale di Sicilia, dopo essere entrate in Mediterraneo dallo Stretto di Gibilterra 6 navi da sbarco russe, cinque della classe Ropucha e una della nuova classe Ivan Gren. Le unità Ropucha (Olenegorsky Gorniak, Kaliningrad, Minsk, Georgi Pobedonosets e Kondopoga) sono vecchie, ma rimodernate. Lunghe 112 metri, dislocano 4080 tonnellate e possono portare 10 carri armati pesanti e 340 soldati ciascuna, o in alternativa 3 carri pesanti, 8 carri leggeri e 12 autoblindo anfibie BTR.

La nave classe Gren, la Pyotr Morgunov, è invece nuovissima, operativa dal 2018, lunga 135 metri e dislocante 6.600 tonnellate. Può far sbarcare 13 carri pesanti, o 40 blindo BTR, e 300 soldati. In totale, la flottiglia porterebbe forse 1.500 soldati e 60 carri.

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Sono state sorvegliate da aerei americani, come i pattugliatori P-8 Poseidon di base a Sigonella o i caccia F-18 Hornet imbarcati sulla portaerei Harry Truman, affiancata dal sottomarino nucleare Georgia, dalla portaerei italiana Cavour e dalla fregata tedesca Schleswig-Holstein. La squadra russa si è poi congiunta con altre navi russe provenienti dal Mar Rosso, via canale di Suez.

Sono l’incrociatore Varyag, il cacciatorpediniere Admiral Tributs e il rifornitore Boris Butoma, reduci da un’esercitazione nell’Oceano Indiano insieme a navi di Cina e Iran. Insieme ad altre unità, per un totale di 15 navi e 40 aerei, i russi hanno poi condotto dal 16 febbraio un’ampia esercitazione, a cui ha presenziato perfino il ministro della Difesa Sergei Shoigu, durante la quale alcuni caccia russi Su-35 hanno intercettato e sfiorato con passaggi ravvicinati un ricognitore statunitense P-8 Poseidon, che evidentemente spiava i movimenti delle navi russe.

Fra gennaio e febbraio, del resto, la flotta russa ha mobilitato 140 navi e sottomarini di tutte le sue flotte, per manovre in alto mare. E mentre unità russe s’allenavano al largo dell’Irlanda, il 1° febbraio ben 4 bombardieri strategici nucleari russi Tupolev Tu-95 hanno volato vicino alla Scozia e sono stati intercettati e allontanati da caccia britannici Eurofighter Typhoon decollati dalla base della RAF di Lossiemouth. Anche sul fronte del Pacifico fervono le manovre russe. Nelle acque delle isole Curili la flotta di Mosca ha scoperto il 12 febbraio “un sottomarino americano”, si dice classe Virginia, che forse spiava le manovre.

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Stando al Ministero della Difesa russo, l’unità subacquea USA avrebbe ignorato gli appelli radio che le intimavano di “emergere immediatamente”. E’ intervenuto il cacciatorpediniere Marshal Shaposhnikov, unità classe Udaloy da 7.000 tonnellate e lunga 163 metri. Per Mosca, la nave “ha usato i relativi mezzi e il sottomarino ha lasciato le acque russe alla massima velocità”. Forse, per “relativi mezzi” i russi intendevano una bomba di profondità intimidatoria?

A Kiev, intanto, sono giunte forniture di armi anglo-americane, specie i missili anticarro Javelin, dotati di doppia carica cava in tandem per poter perforare, in due rapidissime fasi, sia le piastrelle di corazza reattiva aggiuntiva applicate sui carri armati russi, sia la vera e propria corazza dello scafo. Ma non mancano droni turchi Bayraktar TB-2, in parte già acquisiti dall’esercito ucraino, in parte promessi il 3 febbraio dal premier turco Recep Erdogan e dal suo ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu nel corso di una visita a Kiev.

Erdogan in questa crisi sta tentando di condurre un gioco tutto suo, avendo buoni rapporti sia con i russi, da cui compra i missili antiaerei S-400 in barba agli strali della NATO, sia con gli ucraini, e ancora il 16 febbraio ha reso noto di aspirare a fare da mediatore tra le due nazioni slave. Il 4 febbraio Putin, volato a Pechino ospite del presidente cinese Xi Jinping per la cerimonia d’apertura delle Olimpiadi Invernali, firmava con lui nuovi contratti strategico-economici, rinsaldando l’asse Russia-Cina che, a detta di molti commentatori è stato, nell’arco dell’ultimo ventennio, il risultato finale della politica di emarginazione del colosso russo dall’Europa, voluta primariamente da Stati Uniti e Gran Bretagna.

La tensione era così alta che il 5 febbraio l’agenzia Bloomberg lanciava su internet per errore il flash “la Russia invade l’Ucraina”, ritirandolo poco dopo imbarazzata. Proprio l’inizio delle Olimpiadi Invernali ha contribuito a diffondere l’opinione che la Russia non avrebbe mai attaccato l’Ucraina prima della fine dei giochi, il 20 febbraio, per non violare la consuetudine della “tregua olimpica” auspicabile per tutti i conflitti, e soprattutto per non fare uno sgarro all’amico Xi.

Mentre si aprivano i Giochi di Pechino, atterravano a Jasionka, in Polonia, i primi dei 1.700 soldati americani dell’82a Divisione “Airborne” inviati da Washington di rinforzo a Est, unitamente a 1.000 d’un battaglione di Stryker attesi in Romania e 300 destinati alla Germania.

I militari ucraini, intanto, attuavano esercitazioni perfino nella “zona morta” dell’area radioattiva attorno a Chernobyl, per la precisione presso la città fantasma di Pripjat. L’esercito ucraino ha potuto così compiere esercitazioni in zona urbana con munizioni vere. E il ministro della Difesa Oleksiy Reznikov sosteneva che “la zona radioattiva dovrebbe fare da scudo” a una vasta parte del confine con la Bielorussia: “E’ una zona difficile da attraversare, con foreste, paludi e fiumi ed è ancora radioattiva”.

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I russi stavano in quel momento rafforzando il loro schieramento in Bielorussia per ulteriori manovre previste dal 10 al 20 febbraio, il che portava ormai la NATO a valutare, su tutta la fascia di confine russo e bielorusso con l’Ucraina, almeno 130.000 uomini.

Dal canto loro, i russi hanno risposto che, su 250.000 componenti totali dell’esercito ucraino, almeno metà sarebbero schierati sulla sola linea di contatto col Donbass “con appostamento offensivo. Il 10 febbraio sono iniziate le manovre russe in Bielorussia, che dovevano terminare il 20 febbraio, ma sono poi proseguite per vari giorni, con dispiegamento di 30.000 soldati, aerei da caccia Sukhoi e missili antiaerei S-400.

Al loro avvio presenziava il capo di stato maggiore delle forze armate russe, quel generale Valery Gerasimov, a cui la NATO ha attribuito la presunta (ma non confermata) “dottrina Gerasimov” sulla guerra asimmetrica e l’infiltrazione, secondo una tendenza propagandistica occidentale a presentare come tipiche solo degli avversari delle democrazie, “malvagi” per definizione, tattiche d’inganno e mascheramento in verità comuni in ogni guerra e in ogni paese.

Una telefonata fra Biden e Putin il 12 febbraio si è arenata sulle rispettive posizioni, mentre atterravano alla base britannica di Fairford 4 bombardieri pesanti americani Boeing B-52, provenienti dalla base di Minot, in North Dakota, come parte della deterrenza verso il Cremlino.

La rete statunitense NBC diffondeva presunte rivelazioni della CIA sui piani russi: “Sono 9 le direttrici che l’esercito russo imboccherebbe in Ucraina. E’ la stima di US Army e CIA secondo cui carri armati di Mosca potrebbero raggiungere Kiev in 48 ore.

La Russia ha schierato ai confini quasi 100 su 168 gruppi tattici a livello battaglione, composti da 800 a 900 soldati ciascuno, mentre altri reparti affluiscono ogni giorno. Sarebbero dispiegate anche 6 unità speciali Spetsnaz: ogni unità è composta da 250 a 300 combattenti d’élite”. Una tale precisione potrebbe non essere dovuta alle sole foto satellitari, pur prodotte e diffuse in gran copia nelle ultime settimane, ma farebbe ipotizzare spie della CIA fra i russi perfino a livelli di comandi o di stati maggiori! A meno che non sia parte della guerra di propaganda.

 

Stretta finale?

Alcuni membri della NATO, come Ungheria e Croazia, si sono sfilati dalle parole d’ordine antirusse, criticando l’alleanza, e la stessa Turchia, che pure è il pilastro del settore Sud Est, di fatto si mantiene in posizione intermedia. All’inizio di febbraio, la CIA stimava che l’offensiva russa potesse scattare già il 16 febbraio, ma prima di tale scadenza, Shoigu ha preannunciato la “fine di alcune manovre” e l’inizio di un parziale ritiro. Il 14 febbraio il Center for Defense Strategies stimava le forze russe schierate su posizioni avanzate in “147.000 soldati su 87 gruppi tattici”.

Il 16 febbraio Biden, dopo aver inviato in Polonia caccia F-15 dell’USAF, ha messo in dubbio il ritiro russo parlando di “assenza di verifiche” e mostrando foto satellitari di “nuovi elicotteri e aerei in arrivo vicino al confine con l’Ucraina”, segnatamente elicotteri da trasporto truppe Mil Mi-8 e da combattimento Mil Mi-24, Mi-35 e Kamov Ka-52 presso il lago Donuzlav, in Crimea, e aerei da caccia Sukhoi Su-34 sulla pista di Primorsko-Akhtarsk, sulla sponda russa del Mar d’Azov.

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Mentre l’intelligence americana rilanciava una nuova data ipotetica d’attacco per il 21 febbraio, dopo la fine delle Olimpiadi Invernali di Pechino, Putin ha ribadito più volte negli ultimi giorni che “se le richieste russe non verranno accettate, prenderemo misure tecnico-militari”. Il 16 febbraio i russi reiteravano comunicati sul ritiro di vari loro reparti: “Le unità carriste del Distretto Militare Occidentale sono state riportate alle loro basi permanenti dopo essere state trasportate per mille chilometri su ferrovia”. Il tutto accompagnato da immagini e video postati su internet.

Poi, il 17 febbraio, il New York Times sembrava per la prima volta ammettere i timori russi relativi alle basi americane di Redzikowo e Deveselu, e il 18 febbraio da Mosca si davano altri esempi del ritiro come “il ridislocamento in altri aeroporti della Russia di 10 bombardieri Sukhoi Su-24 spostati dalla Crimea” e la notifica che “un altro treno militare con personale e attrezzature delle unità di carri armati del Distretto Militare Occidentale è tornato alla sua base permanente di Nizhny Novgorod”. In Occidente, invece, si continuato a pensare a un bluff russo.

Il 18 febbraio l’ambasciatore americano presso l’OSCE, Michael Carpenter, ha azzardato che la Russia avrebbe schierati in posizione minacciosa contro l’Ucraina, “fra 169.000 e 190.000 soldati”, desunti da rapporti CIA su cui non si può dire dove finisca la realtà e inizi la stima a scopo intimidatorio. Già il giorno prima, il segretario alla Difesa USA Lloyd Austin sosteneva che “la Russia si prepara a combattere perchè stanno facendo scorte di sangue”, per trasfusioni ai feriti.

Spiega: “Ero un soldato. So in prima persona che non fai ciò senza motivo”. Vero è che prepararsi per ogni evenienza non è un delitto, specialmente se si teme che incidenti possano essere fabbricati dall’altra parte. Austin s’è recato poi il 18 febbraio in visita in Polonia e, proprio approfittando della tensione, ha propiziato per l’America un affare da 6 miliardi di dollari concordando la vendita all’esercito polacco di ben 250 carri armati pesanti M1 Abrams.

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Frattanto, dal 17 febbraio si è ricominciato anche a sparare nel Donbass. La milizia di Donetsk per prima ha denunciato quel giorno che “gli ucraini hanno sparato sul villaggio di Mandrykino cinque granate da 82 mm”. I filorussi hanno reagito colpendo un asilo nido a Stanytsia Luhanska, col ferimento di due insegnanti.

Si sono susseguiti scambi di granate su molte località anche nei giorni seguenti e, in particolare, il 18 febbraio a Donetsk sono risuonate le sirene d’allarme, mentre presso il palazzo del governo locale un attentato ha fatto deflagrare l’automobile, una jeep UAZ verde oliva del comandante della Milizia Popolare di Donetsk, Denis Sinenkov, che però si è salvato. La milizia dichiarava inoltre di “aver sventato una infiltrazione di sabotatori ucraini”.

Nelle ore seguenti, i presidenti di Donetsk e Lugansk, Denis Pushilin e Leonid Pasechnik, ordinavano l’evacuazione di donne, vecchi e bambini in Russia, nella zona di Rostov, mobilitando invece tutti gli uomini validi dai 18 ai 55 anni a difesa del territorio. Alla mattina del 21 febbraio, risultavano già 61.000 i civili russofoni che avevano passato il confine, e le autorità del Donbass stimavano che l’obbiettivo era porne in salvo fino a 500.000.

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Sarebbe in atto un gioco di provocazioni reciproche per far precipitare la situazione. Si sa che gli ucraini denunciano la presenza in Donbass di mercenari/contractors russi della compagnia Wagner, ma secondo Mosca e i secessionisti le stesse forze di Kiev si avvarrebbero di mercenari/contractors occidentali delle compagnie Lancaster-6 e Academy (ex Blackwater). Inoltre, il 18 febbraio Lavrov ha detto: “Abbiamo informazioni secondo cui mercenari da Kosovo, Albania e Bosnia-Erzogovina (filoamericani in contrasto con la vicina Serbia filorussa) stanno per essere inviati nel Donbass”.

I miliziani di Donetsk, che conterebbero su una loro rete di spie abbastanza ramificata in tutta l’Ucraina Orientale, ritengono che “l’esercito di Kiev prepara uno sbarco sulla costa del Mar D’Azov, fra i villaggi di Sartana e Kominternovo, a Est di Mariupol” e che “gli ucraini sono già pronti a trasferire presidenza e parlamento da Kiev a Lvov all’inizio delle ostilità”. D’altro canto, il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha elencato possibili incidenti orchestrabili dai russi per accusare gli ucraini: “Un attacco terroristico inventato dentro la Russia, la scoperta di una fossa comune, un finto attacco con droni contro civili o un attacco finto o addirittura uno reale usando armi chimiche”.

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Il 19 febbraio le autorità di Donetsk hanno accusato l’agente segreto ucraino Anton Matsanyuk, tuttora detenuto, per l’attentato con autobomba del giorno prima al capomilizia Sinenkov. Inoltre, i militi di Lugansk hanno disinnescato un ordigno esplosivo nascosto da sabotatori sotto il ponte stradale fra Malogvardeysk e il valico di frontiera di Izvarino, su cui transitano gli autobus dei profughi.

La sventata strage avrebbe creato una provocazione anche più grave delle attuali. Le milizie di Lugansk hanno anche dichiarato, il 20 febbraio, d’aver respinto un tentativo di sfondamento del fronte attuato dalla 79° Brigata di paracadutisti di Kiev, che “avrebbe cercato di passare il fiume Seversky Donets ritirandosi con gravi perdite”.

Basta insomma una scintilla per dar fuoco alla prateria, e lo stesso Putin è parso alquanto scettico sulla volontà avversaria di un’intesa: “L’Occidente troverebbe comunque il pretesto per appiopparci nuove sanzioni”.

Il 19 febbraio 2022, insieme all’alleato bielorusso Alksandr Lukashenko, ha assistito di persona, dalla sala comando del Cremlino, a esercitazioni delle forze missilistiche strategiche russe, le RVSN, o Raketnye Vojska Strategičeskogo Naznačenija, ossia “Truppe dei Razzi Strategici da Guerra”, nonché delle forze nucleari dell’Aeronautica e della Marina, che hanno eseguito lanci di missili balistici e da crociera per dimostrare all’Occidente la prontezza operativa del deterrente nucleare russo.

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Le RVSN, guidate dal generale Sergei Karakayev, schierano 320 missili intercontinentali lanciabili da silos sotterranei o da rampe mobili autocarrate. Molti di essi hanno testate multiple MIRV, perciò la RVSN è forte di 1200 testate nucleari.

Nel corso delle manovre, un missile Yars, che porta 4 testate, dal poligono di Plesetsk ha centrato un bersaglio in Kamchatka, distante 5800 km. Nei cieli artici della Novaja Zemlja, caccia Mig-31 hanno sparato gli ordigni ipersonici Khinzal (“pugnale”), mentre navi e sottomarini hanno testato missili da crociera Zircon e Kalibr.

Peraltro, nella continua gara mediatica volta a diffondere inquietudini, la stampa britannica, e soprattutto il Mirror, ha diffuso il 20 febbraio la voce secondo cui i russi penserebbero di impiegare, contro le forze corazzate ucraine, e anche come mezzo per abbattere il morale del nemico, un’arma convenzionale dagli effetti simili a quelli di una bomba atomica miniaturizzata.

Sarebbe la nota bomba termobarica FOAB, dall’inglese per Father of All Bombs, “Padre di tutte le bombe”, che in russo si dice PVB, Pàpa Vseh Bomb, ma il cui acronimo ufficiale è AVBLM, cioè Aviazionnaja Vakuumnaja Bomba Povishennoi Moshnosti, che tradotto letteralmente suonerebbe “bomba a vuoto (“vacuum”) ad alta potenza per aerei”.

Le Forze aerospaziali di Mosca l’hanno sviluppata fin dal 2007 e, dato l’ingombro, può essere portata da un bombardiere Tupolev Tu-160. E’ lunga 7 metri e pesa 7 tonnellate, ma la sua forza equivale a quella di 44 tonnellate di tritolo, grazie a esplosivi segreti in grado di sviluppare altissime pressioni e temperature. Sembra che l’ordigno sia stato impiegato nel 2017 in Siria durante incursioni russe contro l’ISIS e distruggerebbe tutto nel raggio di 300 metri. Sarebbe dunque più potente della bomba termobarica americana MOAB (Madre di tutte le bombe), alias GBU-43/B Massive Ordnance Air Blast, lunga 9 metri per 9800 kg di peso, che gli USA hanno in servizio dal 2003 e hanno usato in Afghanistan. L’ordigno statunitense avrebbe una forza pari a “sole” 11 tonnellate di tritolo per un raggio letale di 150 metri.

 

Terra e mare

Il braccio di ferro, dunque continua ed è difficile vedere per ora la luce in fondo al tunnel. Quando il 15 febbraio 2022 Putin aveva ricevuto al Cremlino il cancelliere tedesco Scholz per uno dei tanti tentativi di trattativa delle ultime settimane, all’ipotesi di una moratoria limitata, per esempio a 10 anni, sull’entrata dell’Ucraina nella NATO, lo “zar” aveva risposto deciso che “la questione va risolta adesso una volta per tutte”.

Si ha l’impressione che la Russia sia pronta a giocare il tutto per tutto, “ora o mai più”, per porre degli stabili paletti al fronte NATO, magari sperando in cuor suo che lo sbattere contro un muro possa rappresentare il prodromo di una sorta di ricaduta all’indietro dell’intero schieramento occidentale. La partita potrebbe quindi essere epocale, anche perchè ha radici molto antiche.

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L’asse delle potenze marittime anglosassoni, non tollera, storicamente, una potenza terrestre egemone nel Vecchio Continente. Non è un caso che nell’attuale crisi siano stati americani e britannici, anche più degli ucraini, a soffiare sul fuoco paventando l’imminenza di una invasione russa e mostrando inflessibilità sul presunto destino occidentale di Kiev.

E’ la più recente espressione di un timore atavico del mondo inglese, proiettato sugli oceani e le colonie esterne, verso un continente europeo unificato che poteva invaderlo o affamarlo. Già nel XVI secolo era guerra aperta fra l’Inghilterra della regina Elisabetta e la Spagna degli Asburgo, che sotto Carlo V, e ancor più sotto Filippo II la minacciava, anche per motivi religiosi data la recente spaccatura fra cattolici e protestanti. Come sappiamo agli spagnoli andò male il tentativo di sconfiggere gli inglesi con l’Invincibile Armada, la grande flotta cattolica che nel 1588 fu logorata e battuta dai galeoni capitanati da abili corsari ed esploratori del calibro di Sir Francis Drake.

A quel tempo la Russia dello zar Ivan il Terribile era lontana e remota, al di là dei mari ghiacciati boreali, e solo un piccolo nucleo di “merchants adventurers” britannici faceva la spola fra Londra e il porto di Arcangelo, nel Mar Bianco, facendo perfino balenare a Ivan il sogno di proporsi come sposo di Elisabetta e realizzare una “unione personale” (a quell’epoca abbastanza in voga fra le monarchie europee) fra Russia e Inghilterra che avrebbe letteralmente ribaltato il corso successivo della storia.

Così non fu, ma la Russia risultò due secoli dopo un utile alleato dell’Inghilterra contro la Francia di Napoleone Bonaparte, il nuovo nemico che cercava all’inizio del XIX secolo d’unificare l’Europa. Per punire gli inglesi, che col loro denaro finanziavano regolarmente tutte le coalizioni antifrancesi, Napoleone decretò il 21 novembre 1806 il “blocco continentale”, vietando in pratica a tutti gli stati europei di commerciare con l’Inghilterra o di comprare merci britanniche. Alcuni mesi dopo, il 25 giugno 1807, egli saldò all’Impero francese quello russo, stipulando un patto con lo zar Alessandro I incontrandolo su una sontuosa zattera a Tilsit sul fiume Niemen.

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L’incubo di un blocco eurasiatico si era materializzato per gli inglesi, ma fu relativamente breve. L’alleanza franco-russa cominciò a vacillare già nel 1810, poiché i russi cominciarono a violare il blocco continentale e a riavvicinarsi agli inglesi, temendo che Napoleone si stesse accordando con gli Asburgo d’Austria a loro detrimento. Ne scaturì la guerra del 1812, seguita dalla nota invasione della Russia che fu la tomba della Grande Armeè e prologo della definitiva sconfitta del Còrso.

Nonostante i russi le fossero stati utili per abbattere Napoleone, gli inglesi presero durante tutto l’Ottocento a reputarli dei nemici sempre più insidiosi, soprattutto per la loro spinta geopolitica verso i mari caldi.

Così, la Gran Bretagna, con gli alleati Francia e Piemonte, intervenne a fianco della Turchia nella guerra di Crimea del 1853-1856, proprio per impedire che la pressione russa sull’Impero Ottomano li portasse oltre i Dardanelli e giù fino al Mediterraneo, a insidiare la via delle Indie.

Più tardi fu la volta del “Grande Gioco” in Asia Centrale, che ebbe uno dei suoi punti culminanti nell’annessione della regione turkmena di Merv da parte dell’Impero Russo nel 1884, che associata a un collegamento ferroviario la regione del Caspio avrebbe consentito ai russi, secondo il rapporto d’intelligence “The Defence of India”, di spostare almeno 95.000 soldati e calare sull’Afghanistan e poi sull’India.

All’inizio del XX secolo, con l’alba della geopolitica come dottrina, il geografo scozzese Sir John Halford Mackinder formulò per la prima volta nel 1904 una dottrina coerente che, nelle sue linee essenziali, è ancora seguita dall’asse Londra-Washington.

Egli notò che l’immensa area centrale dell’Eurasia, soprattutto fra la regione della Moscovia, degli Urali e della Siberia, che chiamò Heartland (Terra Cuore) era praticamente invulnerabile all’azione delle potenze navali perchè lontana dalle coste e protetta dalle vastissime estensioni delle steppe, dei deserti e della taiga, mentre perfino sul versante

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Nord le difficili acque dell’Oceano Glaciale Artico e le desolate coste della tundra non offrivano comunque appoggi sufficienti per grandi sbarchi. L’Heartland coincideva per la maggior parte col territorio occupato dalla Russia. E con la modernizzazione di quell’impero, favorita dalla costruzione di ferrovie strategiche come la Transiberiana e dall’industrializzazione, l’Heartland poteva mobilitare le sue enormi risorse, spostandole a Est o a Ovest per linee interne, senza che l’Impero Britannico potesse attaccarlo in patria.

Nella Prima Guerra Mondiale, Gran Bretagna e Russia furono alleate grazie alla mediazione della Francia e al fatto che avevano come nemico comune la Germania, ma dopo la rivoluzione bolscevica si temette sempre più che la Russia potesse in qualche modo coalizzarsi con la Germania e le sue capacità tecnologiche, arrivando a egemonizzare insieme a essa l’Europa e a guadagnare mari caldi da cui minacciare Londra.

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Alla conferenza di Versailles del 1919 Mackinder fu tra i sostenitori della politica atta a dividere la Russia dalla Germania frapponendo fra di esse una barriera di nuovi stati originati dal crollo dell’Impero Zarista e di quello Austroungarico, come la Polonia, la Cecoslovacchia o l’Ungheria.

Tenendo conto del sorgere degli Stati Uniti d’America come nuova potenza mondiale, erede dell’Impero Britannico anche in fatto di potenza marittima, e più tardi aeronautica, lo studioso scozzese perfezionò la sua teoria sostenendo che l’Heartland avrebbe teso a controllare la cosiddetta Inner Crescent, o Mezzaluna interna, cioè le regioni peninsulari e insulari dell’Eurasia come l’Europa Occidentale, il Vicino Oriente, l’India, la Cina, la Corea e il Giappone, emarginando la Outer Crescent, la Mezzaluna Esterna da lui identificata con l’arco che dalle Americhe piegava verso Africa e Australia.

Gli Stati Uniti sarebbero stati espulsi dal sistema di potere mondiale se confinati nel loro emisfero da un Heartland che avesse progressivamente preso il controllo, come impero o più plausibilmente come blocco di alleanze, di ciò che Mackinder chiamò Isola Mondo, o World Island, cioè i tre continenti classici del mondo antico: Europa, Asia, Africa.

 

Sfida secolare

Fu nel 1919 che Mackinder coniò il suo celebre sillogismo: “Chi controlla l’Europa dell’Est controlla (o comanda, nell’originale inglese, egli scrive “commands”) l’Heartland, chi controlla l’Heartland controlla l’Isola Mondo, chi controlla l’Isola Mondo controlla il Mondo”. Già nel 1922 il trattato di Rapallo fra Germania e Russia fece temere un sodalizio del genere, mentre Gran Bretagna e Stati Uniti, nonostante l’isolazionismo di questi ultimi, si considerarono già alleati di lungo periodo, come testimonia la conferenza navale di Washington che riservò solo al condominio anglosassone la parità delle flotte al vertice della classifica, tenendo il Giappone, e ancor più Francia e Italia, assai distanziati.

Il patto russo-tedesco di Rapallo fu utile per scambi tecnologici e anche per consentire ai militari tedeschi di addestrarsi in segreto nelle steppe russe coi mezzi proibiti dal trattato di Versailles, cioè gli aeroplani, a Lipetzk, i carri armati, a Kazan, e le armi chimiche, a Samara. Ma ancor più esplicito fu il patto Ribbentrop-Molotov (dai rispettivi ministri degli Esteri) del 23 agosto 1939, con cui in pratica Adolf Hitler e Josif Stalin si spartirono la Polonia.

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Se il patto Berlino-Mosca non fu duraturo, fu a causa delle differenze ideologiche, ma non è azzardato dire che la Seconda Guerra Mondiale avrebbe avuto tutt’altro esito se Hitler, durante la visita del ministro degli Esteri sovietico Molotov a Berlino, nel novembre 1940, fosse riuscito a convincerlo a far aderire l’URSS al Patto Tripartito che la Germania aveva appena stipulato con Italia e Germania. Il rifiuto sovietico di un blocco continentale a quattro potenze portò infine il Fuhrer alla disastrosa decisione di invadere la Russia il 22 giugno 1941 con l’Operazione Barbarossa.

Come fra Napoleone e Alessandro, anche fra Hitler e Stalin, la “luna di miele” durò poco e prevalsero i sospetti reciproci. E come la Grande Armeè, anche la Wehrmacht fu inghiottita da pianure gigantesche che annunciavano già il margine occidentale di un Heartland dalle cui profondità scaturivano legioni di carri armati T-34 che non finivano mai.

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Mackinder nel 1943 aggiornò la sua teoria sostenendo che anche lo sviluppo dell’aviazione contribuiva alla superiorità dell’Heartland come fortezza naturale inespugnabile, consentendo di bombardare da basi nell’entroterra le teste di ponte anfibie sulle coste dell’Inner Crescent. Nel dopoguerra la teoria di Mackinder, che intanto era morto nel 1947, fu alla base della dottrina del contenimento dell’Unione Sovietica, quando gli Stati Uniti, con la presidenza di Harry Truman, decisero di rimanere in forze in Europa, a differenza di quando nel 1918 se ne erano tornati in patria appena battuta la Germania del Kaiser.

Fondata la NATO nel 1949, per opporre un antemurale all’espansione del comunismo, gli americani allargarono poi la loro influenza a varie nazioni della “mezzaluna”, dal Pakistan al Giappone, per tentare di imprigionare l’URSS fra i suoi ghiacci. Grazie all’intuito di Henry Kissinger, nel 1972 gli USA riuscirono di fatto perfino ad allearsi con la Cina dell’anziano Mao Zedong, che pur comunista era in rotta con Mosca da anni, ponendo le basi per la successiva apertura agli investimenti occidentali che a partire dalle riforme di Deng Xiao Ping del 1979 avrebbero col tempo portato al boom produttivo cinese che ancora oggi spaventa il mondo.

Con la fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell’URSS nel dicembre 1991, sembrava a prima vista tramontata la minaccia, ma la NATO rimase, principalmente per assicurare agli Stati Uniti il controllo dell’Europa Occidentale. La Russia sembrava allora, con la presidenza di Boris Eltsin, condannata alla decadenza e Zbigniew Brezinski ne caldeggiava presso Bill Clinton il depauperamento delle risorse, ma l’attacco della NATO alla Serbia nel 1999 e l’inizio dell’allargamento a Est fecero capire a Mosca che era ora di ricostruire, pian piano, la potenza perduta.

Dal 2000 la leadership di Vladimir Putin e del suo entourage ha così lavorato per contendere agli Stati Uniti lo spazio europeo, peraltro iniziando già nel 2001 a riavvicinarsi alla Cina allora guidata da Jiang Zemin con la firma del trattato SCO, l’Organizzazione di Shanghai.

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Gli anni successivi sono stati caratterizzati dal continuo rafforzamento della NATO, in sostanza, per mantenere i destini strategici della Russia e dell’Europa divisi, sebbene in alcuni casi già Putin avesse mandato segnali forti, come con la guerra in Georgia del 2008, che infatti impedì alla fine l’adesione del paese caucasico all’alleanza. Poi, nel 2014, la rivolta di piazza Maidan a Kiev, appoggiata verosimilmente dalla CIA, e il rovesciamento del presidente filorusso Viktor Yanukovich aprirono la crisi del Donbass e portarono al primo grande scontro, sfociato con l’annessione della Crimea alla Russia e con sanzioni tuttora perduranti. E ora siamo arrivati alla fase successiva, forse decisiva.

Nelle intenzioni di Washington e Londra, qualsiasi rischio vale il tenere in piedi la compattezza della NATO e l’impedire che l’Europa si inserisca in un sistema continentale con Russia e Cina, forse prefigurabile, in parte, nei piani della Nuova Via della Seta, tale da rendere l’Eurasia nel suo complesso autosufficiente rispetto al mondo anglosassone. Sarebbe il compimento dell’Isola Mondo prefigurata da Mackinder.

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La potenza americana non potrebbe verosimilmente sopravvivere, ai livelli attuali, emarginata nel suo emisfero, coi soli mercati e risorse residui, tenuto conto anche del fatto che da ormai 50 anni il dollaro non è più convertibile in oro e se non è carta straccia è ancora per la reputazione da superpotenza degli USA e per lo status di unità di riferimento nel mercato petrolifero. Putin e il suo staff sanno bene tutto ciò e anche da parte loro c’è una propensione al rischio nella crisi attuale, allo scopo perlomeno di arrivare a patti che limitino l’alleanza e, forse, ne costituiscano una prima crepa che possa allargarsi col tempo.

Il Donbass, certo, è un obiettivo da difendere, ma è solo una piccola parte del dramma. Un effetto deleterio lo giocherà senz’altro la brutta abitudine delle democrazie moderne di demonizzare l’avversario ritenendolo “inferiore” e non degno di riconoscimento paritario diplomatico. Il che può solo essere foriero di sventure perchè un Occidente avvitato su sé stesso e vittima del proprio sciovinismo ideologico nei confronti del resto del mondo rischia di giudicare e muoversi in una realtà fittizia, “drogata” dall’ideologia.

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E di ideologia sono morte le dittature del passato compresa l’Unione Sovietica, anche in questo la storia dovrebbe rendere più cauti e flessibili i governi dei paesi NATO. Se, come sembra probabile, da ambo le parti non ci saranno cedimenti, resterà solo il dilemma fra una guerra “calda”, ancorchè regionalizzata, tipo “guerra di Spagna del 1936” per evitare disastri nucleari, con tutto ciò che ne consegue, e una più probabile Seconda Guerra Fredda che significherà anni e anni di nuovi stati d’assedio su scala planetaria.

Se il gioco delle sanzioni e contro-sanzioni si facesse troppo duro e si delineassero blocchi continentali contrapposti, ciò significherebbe l’affossamento, forse definitivo, della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta negli ultimi decenni, peraltro in un clima economico mondiale sorpreso dai venti di guerra a metà del guado, proprio mentre si stava riprendendo a fatica dalle perturbazioni della pandemia Covid-19.

Foto: Ministero Difesa Russo, Ministero Difesa Ucraino, Sukhoi, Russian Helicopters, NATO, TASS e Twitter

Mappe: Alamy, Stratfor e BBC

Vignetta: Alberto Scafella

https://www.analisidifesa.it/2022/02/escalation-tra-russia-e-ucraina-putin-riconosce-i-secessionisti-di-donetsk-e-lugansk/

La guerra in Ucraina. Una svolta per la difesa europea?_di  Nicolas Gros Verheyde

In questi giorni deve aver sorpreso l’improvvisa determinazione della Commissione Europea e della gran parte dei Capi di Governo, in particolare tedesco e francese, nel sostenere la resistenza del governo ucraino all’intervento militare russo e nell’avviare un imponente programma di riarmo, presumibilmente a prevalente beneficio del complesso militare-industriale americano. Dopo i tentennamenti e la cautela rispetto ai timori riguardanti le ricadute negative delle sanzioni, nel giro di ventiquattro ore ogni incertezza sembra svanita sino a raggiungere livelli parossistici di condanna dell’azione militare e di impegno a fornire assistenza militare ai resistenti. Hanno lasciato agli Stati Uniti il comodo ruolo del protagonista in ombra e offerto alla NATO una efficace cortina fumogena alle sue azioni certosine. Si tratta paradossalmente di una rivendicazione disperata di esistenza con atteggiamenti e comportamenti più realistici del re, ma che ne rivelano l’inconsistenza politica, la pericolosità e soprattutto la irresponsabilità rispetto alle sorti dei popoli europei. Siamo al perseguimento di una politica da stato di emergenza che ha trovato nella pandemia l’occasione, il pretesto e la pratica di assuefazione ad esso della popolazione. Con questi atti la UE ha rinunciato ad ogni ambizione ad un ruolo di mediazione tra i contendenti. Non poteva essere altrimenti, visto il peccato originale costitutivo della UE. Da qui a rivelarsi una misera e vanagloriosa mosca cocchiera di decisioni altrui c’è voluto un nulla. L’unico aspetto positivo è la caduta delle maschere: quella della UE come potenziale entità autonoma rispetto all’alleanza atlantica; quella dell’esercito comune europeo, ridotto a strumento di ulteriore integrazione, controllo e subordinazione alla NATO delle forze militari degli stati nazionali europei. La retorica europeista di personaggi come Macron in materia di difesa punta soltanto alla competizione sul ruolo di coprotagonista da assumere nell’agone europeo. Non gli bastano evidentemente i ripetuti ceffoni subiti in Africa e nel Pacifico. In settimana pubblicheremo la tabella di marcia che ha portato all’esplosione di questa crisi. Una tabella dettata molto più dagli Stati Uniti, che dalla Russia. Un tentativo di annichilire l’anello debole, o presunto tale, del sodalizio Russia-Cina e di ricondurre a più miti consigli il gigante asiatico, magari con la prospettiva di poter partecipare alla spartizione delle spoglie. Negli anni ’20 il progetto finì malamente per le decine di paesi che tentarono l’assalto all’Unione Sovietica appena nata; la lezione non è evidentemente bastata. Tanto meno agli utili idioti europei. Buona lettura, Giuseppe Germinario

(B2) Di fronte all’offensiva russa, i paesi europei hanno reagito, tardivamente, in modo alquanto irregolare . Ma hanno reagito . Se non possiamo dire che c’è una difesa europea, possiamo dire che c’è uno spirito di difesa europeo che si sta forgiando, sotto la pressione della crisi.

La reazione europea è eccezionale

È un fatto. Ma anche l’evento è eccezionale. Siamo di fronte a un evento che si verifica solo una volta ogni 30 o 40 anni. L’ultima è stata la guerra nei Balcani all’inizio degli anni ’90 con lo scioglimento della Jugoslavia. Ma la Russia non era direttamente coinvolta. L’altro precedente è più antico: lo schiacciamento della Primavera di Praga nel 1968 e prima ancora l’intervento militare per mettere a tacere la rivoluzione ungherese del 1956. Ma questi fatti risalgono a un’altra epoca, quella della Guerra Fredda. Dove tutti erano abituati, in fondo, a una guerra di blocchi.

Un cambiamento ideologico in atto

Di fronte a ciò, dopo un certo atteggiamento attendista (1), logico stupore per il susseguirsi degli eventi (2), l’Europa si è messa in moto, in maniera unita, concertata e decisa. Gli incontri si susseguono a ritmo frenetico (anche un po’ troppo, si potrebbe dire). E le decisioni si susseguono una dopo l’altra, senza sosta. Accanto agli strumenti classici (aiuti umanitari, assistenza finanziaria (3), sanzioni individuali ed economiche di settore), l’Europa sta innescando una più ampia batteria di sanzioni contro il cuore del Cremlino, gli oligarchi, Swift e la banca centrale (4) . Gli europei hanno compiuto un cambiamento ideologico accettando rapidamente di consegnare armi all’Ucraina (5). Una svolta operata insieme, in modo coordinato e con finanziamenti europei (vedi sotto). È importante sottolineare.

Un’unità rara

Gli europei sono uniti contro questa guerra. Come non lo sono mai stati. Naturalmente ci sono ancora alcune sfumature, dovute più alla storia di ogni paese. Ma non si può più parlare di dissenso. I blocchi e le parole dissonanti svaniscono di fronte allo scontro d’armi. Anche i paesi reputati amici di Mosca (Cipro, Bulgaria, Ungheria) stanno mettendo a tacere la loro opinione per passare sotto la bandiera comune (6).

L’uso di tutti gli strumenti

È una caratteristica di questa crisi. L’Unione Europea è determinata a utilizzare tutti gli strumenti. Tutti ! La pressione politica è reale, con un coordinamento molto stretto con tutti gli alleati (USA, Canada, Regno Unito… ma anche Svizzera). Lo strumento delle “sanzioni” è stato portato all’estremo in pochi giorni. Non importa il costo, come ha appena avvertito il capo della diplomazia europea Josep Borrell: “  Dobbiamo essere preparati a pagarne il prezzo ora, altrimenti il ​​prezzo sarà molto più alto in futuro. Ha inoltre deciso di mobilitare i suoi strumenti militari (come il centro di analisi satellitare dell’Unione) accanto a strumenti più tradizionali (aiuti umanitari, protezione civile, aiuti finanziari).

La mobilitazione del Fondo europeo per la pace: un cambiamento radicale

È soprattutto l’uso della struttura di pace europea per l’acquisto di attrezzature letali che è notevole. Quando conosciamo tutte le fitte che hanno preceduto la nascita di questa nuova capacità europea, destinata a porre rimedio a una lacuna europea, possiamo misurare il tempo percorso. Una decisione tanto più rara in quanto la cifra impegnata (mezzo miliardo di euro) non è trascurabile. Si tratta del 90% dell’importo annuo normalmente assegnato (7) allo strumento.

L’Unione Europea in prima linea

Certo, possiamo dire che l’Europa non impiega mezzi militari diretti. Ma nemmeno l’Alleanza Atlantica. Né nessun altro Stato membro. L’Europa non può fare di più dei propri Stati. Ciò che è straordinario, tuttavia, è il primo posto preso su tutti i fronti dall’Unione Europea. Di solito su un evento, soprattutto in termini di difesa, l’Alleanza Atlantica prende il suo posto non solo in termini militari, ma anche politici. Qui è il contrario. La NATO sembra essere in ritirata. Alla fine, si è riunito solo poche volte: una riunione (ordinaria) dei ministri e un vertice — mentre l’Unione europea si è già riunita quasi dieci volte secondo i nostri resoconti, tra cui due riunioni al vertice, quattro riunioni dei ministri degli Affari esteri, un riunione dei ministri della Difesa, una riunione dei ministri dell’Interno e dell’Energia. Concatenando decisione dopo decisione. Anche in termini di coordinamento militare (8).

Un’assenza: diplomazia e interposizione

L’unico rammarico è che, paradossalmente, nonostante tutti gli sforzi di ciascuno, l’Unione europea rimanga piuttosto assente da quella che è stata la sua forza: la diplomazia. Non è stato nominato alcun rappresentante speciale. Non è stata costituita alcuna squadra di negoziatori. Nessun ministro o capo di stato è stato chiaramente assegnato. E, soprattutto, non è stata formulata una posizione chiara per la composizione del conflitto, a parte i consueti appelli al cessate il fuoco e alla fine della missione sul campo. Ovviamente ci chiamiamo regolarmente. E la presidenza francese del Consiglio dell’Ue ha preso alcune iniziative, molto mediatiche, ma per il momento poco efficaci (vedi riquadro). Possiamo anche sorprenderci che l’Unione europea non abbia iniziato a offrire alle forze avversarie il suo intermediario, al fine di consentire un cessate il fuoco e squadre di osservatori. Probabilmente è troppo presto. Ma forse allora sarà troppo tardi…

(Nicolas Gros-Verheyde)

Una trattativa molto rumorosa e inefficace.Il presidente francese Emmanuel Macron sta facendo ogni sforzo per mantenere il dialogo con Vladimir Putin. È un fatto. E, soprattutto, lo fa sapere a gran voce. Così rumorosamente che viene da chiedersi se sia l'interesse del negoziato a controllare o l'interesse elettorale a predominare. Rimane un problema, il principale: finora questo non ha avuto ripercussioni da parte russa. Al contrario anche. Abbiamo l'impressione che ogni volta che il francese sia felicissimo di aver avuto al telefono la sua controparte russa e di aver ottenuto un microanticipo, il campo avversario si diverte a smentire le sue parole, sia a parole, sia in campo. La realtà è che una trattativa concreta ed efficace non avviene nella pubblica piazza. E soprattutto non da solo. Il presidente francese è automaticamente il più qualificato per negoziare? Non sono sicuro nemmeno se la Francia detiene attualmente la presidenza del Consiglio dell'Unione europea. Non ha mai mostrato talento in questo campo (cfr. Libia, Mali o Libano). Non è nella sua natura. Il principio, storicamente europeo, della coppia di negoziatori (franco-tedeschi), della troika negoziale (del tipo E3 o trio di presidenze), o di unala rinomata missi dominici è sempre stata, e sicuramente rimarrà, la migliore risorsa di una trattativa di stampo europeo. Nessun divertimento solitario. Oppure devi riuscire al primo tentativo (tipo Sarkozy nel 2008 con Georgia).
  1. Le prime reazioni sono state piuttosto morbide con pochi nomi aggiunti a una lista nera). Leggi: L’ Europa si appresta a passare alle sanzioni senza passione .
  2. Se ci basiamo sui vari scenari previsti internamente, dagli analisti della difesa dell’UE, ci troviamo nel peggiore dei peggiori scenari. Leggi: I russi a Mariupol, Odessa o la riva sinistra del Dnepr e Kiev?
  3. Gli aiuti macrofinanziari sotto forma di prestito di 1,2 miliardi di euro sono stati erogati in tempi record (pochi giorni).
  4. Leggi: Swift, Banca Centrale, Oligarchi. Europei e alleati concordano per una terza ondata di sanzioni .
  5. Leggi:  Guerra in Ucraina. Gli europei dimenticano i loro principi e forniscono armi. Un po.
  6. Leggi: European Peace Facility finanzierà attrezzature letali per le forze ucraine
  7. “ Non credo nei benefici delle sanzioni. [Ma] è in corso una guerra. Ora non è il momento di essere intelligenti, ma di essere uniti “, ha affermato lunedì (28 febbraio) il primo ministro ungherese Viktor Orban. Provenienti da un piantagrane europeo, queste parole sono d’oro.
  8. Leggi: Guerra in Ucraina. I ministri della difesa dell’UE mobilitano gli strumenti di difesa europei

File n. 92. L’Europa e la NATO affrontano l’intervento militare russo in Ucraina

(B2) La risposta di europei e alleati alla guerra russo-ucraina del febbraio 2022

La tensione sta crescendo

Martedì 15 febbraio 2022 . ” Più di 60 battaglioni ” di fucili e carri armati motorizzati, ” una decina ” battaglioni di missili Iskander e ” più di 30 battaglioni ” di artiglieria e lanciarazzi sono stati schierati negli ultimi mesi al confine ucraino dalla Russia, come conteggiato dall’estone Foreign Intelligence Service (Välisluureamet) nel suo rapporto sulla sicurezza 2022 pubblicato. Leggi: Il dispiegamento russo al confine ucraino dettagliato dai servizi estoni

mercoledì 16 febbraio 2022 . Plenaria del Parlamento Europeo (ordinaria) . A Strasburgo, i rappresentanti delle tre istituzioni (Consiglio europeo, Commissione europea, Alto rappresentante e Parlamento europeo) manifestano la loro unità .

mercoledì e giovedì 16 e 17 febbraio 2022 . Difesa ministeriale presso la NATO (ordinaria) . La NATO si sta preparando al peggio . La situazione è molto tesa vicino all’Ucraina. Nonostante la promessa della Russia di ritirare le sue truppe, non sta succedendo nulla. La Russia ha attualmente ” truppe sufficienti e capacità sufficienti per lanciare una vera invasione dell’Ucraina con un preavviso minimo o nullo “, avverte il segretario generale Jens Stoltenberg facendo il punto sull’incontro. Specifica: è “ la più grande concentrazione di forze in Europa dalla Guerra Fredda ”. Tutti gli altri soggetti sono eclissati. Leggi anche: La presenza in avanti rafforzata sul fianco orientale dell’Alleanza Atlantica. Stato di gioco e rinforzi annunciati (foglio di memoria)

Giovedì  17 febbraio 2022 . Eccezionale mini-vertice europeo . I 27 capi di Stato e di governo riuniti a Bruxelles si prendono un’ora del loro tempo prima del vertice UE-Africa per inviare un messaggio dissuasivo alla Russia: siamo uniti, non cercate di dividerci .

Sabato 19 febbraio 2022 . Il bombardamento di una scuola a Donetsk suscita una reazione europea. L’Alto Rappresentante, a nome dell’Unione Europea, denuncia in una dichiarazione al  vetriolo la pericolosa “escalation  portata avanti dalla Russia, esortando Mosca a ” degradare ” la situazione mediante ” un sostanziale ritiro ” delle forze militari dalla prossimità dei confini del Ucraina. Le ” violazioni del cessate il fuoco ” lungo la linea di contatto nell’Ucraina orientale, ” l’uso di armi pesanti e il bombardamento indiscriminato di aree civilicostituiscono una flagrante violazione degli accordi di Minsk e del diritto internazionale umanitario, aggiunge. Anche i paesi del G7 stanno reagendo  .

Il tuono di riconoscimento

lunedì 21 febbraio 2022 . Consiglio Affari Esteri (ordinario). Al termine dell’incontro, il presidente russo Vladimir Putin annuncia di voler riconoscere l’indipendenza delle autoproclamate repubbliche separatiste dell’Ucraina orientale Luhansk e Donetsk. L’idea di un dialogo Biden-Putin voluto da Emmanuel Macron (Francia) si è schiantata contro il muro della realtà. L’Europa sta per passare alle sanzioni senza passione .

I 27 approvano il principio del sostegno alle scuole militari ucraine nell’ambito del Fondo europeo per la pace (leggi: Verso il sostegno alle scuole militari in Ucraina. Il via libera è concesso )

I ministri approvano l’assistenza macrofinanziaria all’Ucraina (prestito di 1,2 miliardi di euro), annunciata dal presidente della Commissione europea a gennaio, senza dibattito.

Martedì 22 febbraio 2022 . Consiglio informale Affari esteri (eccezionale) . Gli ambasciatori dei 27 al Coreper II di Bruxelles iniziano a discutere del primo pacchetto di sanzioni. I ministri, a margine del Forum Indo-Pacifico, riuniti a Parigi nel pomeriggio, danno il via libera politico. Il Coreper 2 si riunisce di nuovo in serata per finalizzare un primo pacchetto di sanzioni che si sta mettendo in atto di fronte all’annessione dell’Ucraina orientale .

A Mosca , davanti ai media russi, Vladimir Putin spiega chiaramente la sua scelta e annuncia che il seguito – senza ambiguità – sarà militare. Gli accordi di Minsk sono morti. La Russia ha scelto: preferisce il lato oscuro della forza .

I rapporti interni analizzati dall’Intelligence Analysis Center (IntCen) dell’UE sono molto più pessimisti rispetto alle settimane precedenti. Stanno emergendo scenari, uno peggiore dell’altro. I russi fino a Mariupol, Odessa, o la riva sinistra del Dnepr e Kiev?

mercoledì 23 febbraio 2022 . Coreper . La seconda ondata viene convalidata dai rappresentanti permanenti dei 27, al termine di una procedura scritta accelerata avviata alle 15:00. Le misure sanzionatorie entrano in vigore poco dopo la mezzanotte. La pubblicazione nella Gazzetta ufficiale è stata ritardata. Un nome si è perso per strada. Chi è vicino a Putin e al settore della difesa nel mirino delle sanzioni europee.

1400 esplosioni. È il dato registrato dalla Missione di osservazione dell’OSCE (SMM) nelle province di Luhansk e Donetsk. comunicato stampa )

Inizia l’intervento militare russo in Ucraina

Giovedì 24 febbraio 2022 . Nelle prime ore del mattino, le truppe russe hanno attaccato l’Ucraina su più fronti, attaccando inizialmente le infrastrutture strategiche (basi militari, aeroporti, centrali idroelettriche, ecc.). Leggi:  Attacco russo su più fronti in una mappa .

Questa decisione suscita una risposta unitaria da parte degli alleati e degli europei che condannano con una sola voce, e in tutte le lingue, questa violazione dell’integrità dell’Ucraina e del diritto internazionale. Appelli alla ragione, condanne, sanzioni, citazioni di ambasciatori. Leggi: Europei e alleati condannano in coro l’intervento militare russo in Ucraina… e si incontrano per il futuro .

I parlamentari ucraini parlano con i loro omologhi europei. E chiedi il loro aiuto affinché l’Unione Europea prenda sanzioni molto forti. Leggi: La richiesta di aiuto dei parlamentari ucraini

(Editoriale) Il riferimento da tenere a mente non è la seconda guerra mondiale come alcuni sostengono. Ma l’intervento militare in Ungheria nel 1956. Le somiglianze sono importanti. Ma è anche importante pensare alla prossima mossa. Le forze russe potrebbero non prevalere facilmente in Ucraina. Ma a un certo punto dovremo fare la pace. La Russia attacca violentemente l’Ucraina. Cosa fare: niente, sanzionare o riflettere?

Riunione degli ambasciatori della NATO (NAC) . Gli alleati stanno tenendo consultazioni ai sensi dell’articolo 4 del Trattato di Washington su richiesta degli Stati baltici e della Polonia. Inizio incontro: 8:30Si stanno compiendo ulteriori passi per rafforzare la deterrenza e la difesa in tutta l’Alleanza, insiste la dichiarazione della NATO . Gli  alleati condannano all’unanimità l’intervento militare .

Vertice europeo, straordinario . I leader dei 27 si sono incontrati nuovamente a Bruxelles alle 20 (gli ambasciatori si sono incontrati al mattino e poco prima del vertice). Obiettivo: proclamare Solidarietà con l’Ucraina e condanna della Russia . Ma soprattutto ascolta quello che ha da dire il presidente ucraino. Parole commoventi per ammissione di tutti. Tra serietà ed emozione. Il presidente ucraino Zelensky da solo contro i 27. E dà il via libera al secondo pacchetto di sanzioni predisposto dalla Commissione europea e dall’Alto rappresentante dell’Ue. Russia. Un secondo pacchetto di sanzioni in via di adozione. Tutti i dettagli! Obiettivo: ferire .

Forze russe (e bielorusse) avanzano verso Kiev

I combattimenti infuriano. Decretata la mobilitazione generale in Ucraina. I bombardamenti su Kiev raddoppiarono di intensità.

venerdì 25 febbraio 2022 . Vertice NATO, straordinario, a VTC (15-18) . Gli alleati si stanno nuovamente consultando in videoconferenza ai sensi dell’articolo 4 del Trattato di Washington. Questa volta a livello di Capi di Stato e di Governo. La NATO entra in stato di allerta. Gli Alleati rafforzano la loro presenza sul fianco orientale. Si evidenzia l’articolo 5 (Vertice) .

Consiglio Affari esteri, straordinario, a Bruxelles (15-19) . I ministri convalidano formalmente il secondo pacchetto di sanzioni, ma esitano su una terza ondata . Si evidenzia un punto: congelati i beni di Putin e Lavrov. Swift continua.

Il secondo pacchetto di sanzioni è in vigore  con la pubblicazione dei testi in Gazzetta ufficiale poco dopo la mezzanotte.

La riserva EUFOR Althea (circa 500 uomini) viene chiamata come rinforzo in Bosnia-Erzegovina. Necessaria misura precauzionale. “ Stiamo assistendo a provocazioni nei Balcani, in particolare in Bosnia-Erzegovina ”, non esita ad allertare l’Alto Rappresentante Josep Borrell. La riserva EUFOR Althea ha chiamato come rinforzo in Bosnia ed Erzegovina. La paura del contagio russo.

Sabato 26 febbraio 2022 . Molti paesi annunciano la chiusura del loro spazio aereo alle compagnie aeree russe. Europei e Alleati annunciano una serie di misure. Swift, Banca Centrale, Oligarchi. Europei e alleati concordano per una terza ondata di sanzioni .

Gli europei e gli alleati concatenano le decisioni di consegnare armi all’Ucraina. Guerra in Ucraina. Gli europei dimenticano i loro principi e forniscono armi. Un po.

Sul terreno, 198 ucraini sono morti e 1115 persone sono rimaste ferite, riferisce il governo ucraino.

domenica 27 febbraio 2022 . 15:00 I ministri dell’Interno si riuniscono, in videoconferenza, sotto la Presidenza francese dell’Ue. Convengono di attivare la protezione temporanea per i rifugiati ucraini che arrivano in Europa e di coordinare la risposta agli attacchi informatici. La protezione temporanea potrebbe essere attivata per accogliere i civili in fuga dalla guerra in Ucraina. Per la prima volta

18:00 Il Consiglio (straordinario) Affari esteri si riunisce in videoconferenza. Dà il suo accordo politico per la terza ondata di sanzioni, comprese le sanzioni finanziarie annunciate sabato sera, il divieto dei cieli europei agli aerei russi, nonché la sanzione dei bielorussi . Danno il loro sostegno politico a una decisione senza precedenti: il finanziamento  tramite il Fondo europeo per la pace che finanzierà attrezzature letali per le forze ucraine .

I rappresentanti permanenti dei 27 del Coreper 2 plasmano le decisioni assunte politicamente dai ministri.

Lunedì 28 febbraio 2022 , i Ministri della Difesa dei 27 si incontrano (in videoconferenza) per vedere come convertire il finanziamento del Fondo europeo per la pace in sostegno concreto, ha annunciato domenica sera l’Alto Rappresentante. Guerra in Ucraina. I ministri della difesa dell’UE mobilitano gli strumenti di difesa europei

— La Gazzetta ufficiale inizia a pubblicare tutte le decisioni decise durante il fine settimana.

— Il presidente ucraino firma una lettera ufficiale in cui si chiede l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea. Leggi Diario 01.03.2022

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