senza parole_a cura di Giuseppe Germinario

Il livello di considerazione ed autorevolezza di un presidente. Lo stesso cerchio magico che lo sostiene si sta sfaldando rovinosamente. Si contestualizza meglio anche l’improvviso ed impavido “atto di coraggio” dei leader europei in queste ore. A un ombra che si dilegua, potrebbe corrispondere una apparizione ancora più inquietante. Ne parleremo a breve con Gianfranco Campa_Giuseppe Germinario

Stati Uniti, Russia, Ucraina! Lapsus e verità_con Gianfranco Campa

Biden potrebbe essere il ventriloquo, la voce della verità in grado di rivelarci le reali intenzioni dei centri decisori statunitensi. Non nelle sue intenzioni ovviamente, piuttosto a causa delle sue condizioni. Nel frattempo il sistema mediatico statunitense sembra essere colto da un sussulto di serietà professionale. Ha ritrovato miracolosamente la memoria e rispolverato vecchie storie compromettenti ai danni del presidente. Amore per la verità, anche la più scomoda oppure protagonismo in un gioco di potere in grado di determinare la preminenza all’interno e le dinamiche geopolitiche all’esterno del paese in direzione di uno scontro sempre più aspro ed azzardato. Un avventurismo che al momento e riuscito a compattare il mondo occidentale al prezzo, però, di una ostilità crescente nel resto del mondo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti! Pretendenti vecchi e nuovi_con Gianfranco Campa

Pian piano comincia a delinearsi lo scenario dei pretendenti alla carica presidenziale in palio nel 2024. Il bersaglio principale da colpire e possibilmente da abbattere è Trump. Non tanto per il suo spessore politico, quanto per quello che rappresenta nel paese e soprattutto sta contribuendo a consolidare, non ostante tutto e tutti e soprattutto malgrado i suoi errori marchiani che hanno inficiato il percorso già di per sé impervio. La gamma degli ingredienti di questo scontro politico è quanto mai varia ed esaustiva: trovano posto l’esplicita, viscerale ostilità di alcuni, a cominciare dai Clinton, dai Cheney, dagli Obama, l’atteggiamento sordido di agenti interni al partito, tra i quali l’onnipresente Pence, i rivali interni dalla indole opportunistica e trasformista di troppo, come probabilmente de Santis. Questi ultimi i più perniciosi, perché in grado di appropriarsi di alcuni punti programmatici più popolari, ma più innocui del movimento, senza però intaccare la sostanza e gli assetti generali del potere statunitense; in particolare i suoi orientamenti geopolitici. L’epilogo di questo scontro non è però compromesso definitivamente: troppe le divisioni distruttive che lacerano lo schieramento restauratore; troppi i problemi e i nodi da sciogliere in un contesto geopolitico nel quale altri attori stanno acquisendo margini sempre più ampi di autonomia. L’unico obbiettivo che riesce a compattare questa pletora è il tentativo di estromettere giudiziariamente e fisicamente Donald Trump. Anche qui, però, il castello di menzogne sembra poggiare sempre più sulle sabbie mobili; pare destinato ad impantanarsi al netto di qualche errore clamoroso di Trump, paragonabile nella gravità alla defenestrazione improvvida del Generale Flynn dalla sua passata amministrazione. La parabola malinconica, clamorosamente discendente, di Biden ed Harris sono il segno tangibile di questa incertezza; la recente decisione della Corte Suprema in tema di vaccinazioni e legge lettorale e soprattutto l’affossamento della parte più cospicua del programma di spesa anticrisi, soprattutto quella assistenziale e simil-ecologica in grado di compattare il composito schieramento del Partito Democratico, sono le due ultime pietre cadute sulle teste dei restauratori. La riemersione cauta di vecchie cariatidi della politica americana sono il segno della penosa carenza di alternative di protagonisti politici sufficientemente presentabili. Un quadro di incertezza sempre più esposto a colpi di mano pericolosi ed incontrollabili. Buon ascolto, Giuseppe Germinario NB_Questo video costituisce completamento, aggiornamento ed integrazione del seguente link https://www.youtube.com/watch?v=ntYYK…

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BIDEN INCENDIARIO?_di Teodoro Klitsche de la Grange

BIDEN INCENDIARIO?

Ciò che mi ha sorpreso nel discorso di Biden in occasione dell’anniversario di Capitol Hill sono due circostanze.

La prima: riporto un passaggio del discorso così come tradotto nel sito Rai-News “Il 6 gennaio fu un insurrezione armata e il mio predecessore cercò di rovesciare elezioni libere, di sovvertire la costituzione e di fermare un trasferimento pacifico dei poteri attraverso un gruppo di balordi, tutto il mondo ha visto con i suoi occhi”. Ora il Presidente USA parla d’insurrezione armata eseguita da un gruppo di balordi, per sovvertire la costituzione come voluto dal “predecessore”: cioè Trump.

Scrissi nell’occasione che di armi (dalla pistola in su) in mano ai dimostranti non “ne abbiamo viste con i nostri occhi”; ma ancor di più che l’aspetto, il comportamento, la (dis)organizzazione dei facinorosi provava che di colpo di stato, di sovversione della costituzione era umoristico parlarne. Perché – concordo nel mio piccolo con Biden – quello degli invasori di Capitol Hill era, come correttamente ha detto il Presidente “un gruppo di balordi”. Ma proprio per questo rendeva di una improbabilità totale che possa parlarsi di colpo di Stato. Nei colpi di Stato – riusciti o falliti – limitandosi al XX secolo -abbiamo sempre visto un’organizzazione di uomini armati che vinceva un’altra organizzazione armata (Stato o governo). Spesso mirando – in primo luogo – a disorganizzarla, come scrisse in un notissimo saggio Malaparte, sostenendo che i bolscevichi – Trocxkij soprattutto- avevano battuto il governo Kerensky proprio perché avevano cambiato il modello insurrezionale non basandolo su folle pletoriche e disorganizzate ma su militanti determinati, competenti e disciplinati. Comunque in grado di esercitare violenza; perciò armati e “inquadrati”. Anche quando i golpe fallivano, come quello del colonnello Tejero (e soci) nella Spagna post-franchista, i requisiti minimi dell’ordinamento e della organizzazione (militare) restavano invariati. Per cui l’assalto a Capitol Hill, con un pittoresco italo-americano vestito da scudiero di Conan appare il più incredibile colpo di stato della storia.

Per cui – e qua passiamo al secondo aspetto – appare facile declassarlo a folklore politico (come in effetti era). Tuttavia rivelava, proprio nella sua ingenuità, due elementi fondamentali: il rigetto di circa la metà degli americani verso le èlite e l’ascesa del sentimento ostile all’interno della comunità. Disponibile ad azioni avventate e rischiose. Anche per questo la politica di Biden – nel bene e nel male – è risultata assai meno lontana da quella di Trump di quanto si attendevano molti commentatori e opinionisti italiani (e non solo). Non si fa solo questione degli “interessi dello Stato” che non cambiano, mutano assai meno e assai più lentamente dei Presidenti, ma ancor di più di coesione nazionale, fattore determinante della “pace” interna allo Stato.

La pace esterna comporta, scriveva Kant, una “clausola d’amnistia”. Lo stesso può dirsi – fatte le debite proporzioni – per gli atti d’insurrezione.

Quando il consenso agli insorgenti è – potenzialmente – così diffuso, è meglio, smorzare l’ostilità, derogare alla prassi ordinaria, compresa l’applicazione rigorosa del diritto.

Parlare di d’insurrezione armata, di sovvertire la costituzione, va in senso contrario. Non so se ciò porterà a coltivare una repressione legale, ma penso che interesse degli USA e degli amici degli USA è che il Presidente faccia il lavoro del pompiere e non attizzi il fuoco.

Teodoro Klitsche de la Grange

Stati Uniti, il ritorno dei naufraghi_con Gianfranco Campa

Negli Stati Uniti stiamo assistendo ai primi segnali di un ribaltamento della narrazione che ha giustificato sino ad ora la gestione della pandemia da parte dell’establishment dominante. Di fronte alla evidenza stridente della realtà, alle nubi che si affacciano all’orizzonte circa il dissesto economico provocato e le probabili implicazioni di lunga durata delle scelte farmacologiche adottate in grande fretta diventa sempre più arduo proseguire sulla stessa strada non ostante il sostegno monolitico della gran cassa mediatica. Rappresenta il tentativo, probabilmente estremo, di consentire ai naufraghi dell’attuale panorama politico non solo di riemergere dalla crisi di consenso, di autorità e di autorevolezza in cui sono sprofondati, ma di riprendere saldamente in mano il controllo della situazione, riuscendo nel capolavoro di coinvolgere pesantemente nella responsabilità di una gestione fallimentare e cinica Donald Trump. E’, infatti, il primo reale momento di rottura, probabilmente non ancora irreparabile, del profondo legame dell’ex presidente con lo zoccolo duro del suo elettorato, grazie anche ad una clamorosa ingenuità. Non sappiamo se fatale. Siamo ancora agli inizi e il finale dello spartito non è ancora stato scritto. Richiederà il sacrificio di alcuni capri espiatori in campo democratico e neocon. Le incognite però sono ancora troppe: il caso Epstein, di fatto oscurato, ma non ancora chiuso; il dilemma dei rapporti con la Cina e soprattutto con la Russia non più eludibile, grazie ai passi intrapresi da Putin e Lavrov; l’immigrazione sempre più incontrollata e la situazione economica a dir poco incerta; gli stati federati che sempre più intraprendono iniziative contrastanti con gli indirizzi del governo centrale; la polarizzazione drammatica all’interno del Partito Democratico; le possibili alternative che stanno emergendo nella leadership trumpiana. Tutti fattori che rischiano di risucchiare la ciurma dei naufraghi proprio nel momento in cui riescono ad aggrapparsi a qualche relitto per rimanere a galla, rendendo improcrastinabile l’avvento di nuovi timonieri. Sempre che ci siano. In Italia i sintomi di una crisi quantomeno di autorevolezza non mancano; come al solito la classe dirigente tarderà a cambiare lo spartito, scritto da altri e riprodotto malamente dai nostri epigoni. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

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Stati Uniti! Percorsi paralleli…per ora_Con Gianfranco Campa

Qualsiasi formazione sociale, prima o poi, è costretta ad affrontare una situazione di crisi della propria classe dirigente e del corrispondente ceto politico. La dinamica di queste crisi è una particolare cartina di tornasole utile a definire queste fasi di transizione come un percorso di declino oppure di trasformazione attiva e rigeneratrice. Un indizio significativo è la capacità di ricambio e rinnovamento di soggetti promotori e protagonisti. Negli Stati Uniti stiamo assistendo a due tendenze apparentemente contraddittorie. Da una parte, nel campo democratico e neoconservatore, alla parziale riproposizione di personaggi in grado di proporre spartiti ormai ripetitivi e desueti; maschere consunte ormai in grado di incantare, con la loro narrazione e in un quadro di degrado morale e di corruzione di costumi sterili, fasce sempre più ristrette di pubblico; dall’altra ad una dinamica del confronto politico tra due forze che, impossibilitate a comunicare e incapaci di definire un terreno comune di gioco, ormai procedono lungo percorsi paralleli sino a creare luoghi propri e separati di comunicazione, di organizzazione sociale, propri canali di finanziamento. Una situazione che non potrà protrarsi ancora per troppo tempo, pena il disfacimento dell’attuale formazione socio-politica statunitense. Una situazione che potrà trovare una soluzione di continuità quando una delle parti avrà saputo completare la propria fase di rinnovamento e di formazione di una classe dirigente e di un ceto politico presentabile e convincente. Al momento è il movimento legato a Donald Trump ad avere più prospettive di successo e a offrire una qualche prospettiva realistica a quel paese. Il fatto che una parte dell’establishment sempre più significativa abbia preso atto di questa dicotomia e stia scegliendo, a differenza di quattro anni fa, quest’ultima componente rivela il carattere ormai strutturato del movimento. Si vedrà se a questa maggiore solidità corrisponderà altrettanta coerenza e saldezza politica. L’oggetto del contendere sono l’accettazione o meno della coesistenza in un mondo multipolare ormai consolidato e le modalità costitutive di una formazione sociale sufficientemente coesa e dinamica. Due temi sempre più presenti in quella nazione e sempre più evanescenti nel nostro amato e decadente Bel Paese. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

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Concorrenza globale: la supremazia americana con un altro nome, di Alastair Crooke

Casa

11 dicembre 2021 // Le crisi

Concorrenza globale: la supremazia americana con un altro nome

L’equilibrio globale è cambiato qualitativamente, e non solo quantitativamente, scrive Alastair Crooke

Fonte: Strategic Culture Foundation, Alastair Crooke
Tradotto dai lettori del sito Les-Crises

© Foto: REUTERS / Kevin Lamarque

Parlando all’Aspen Security Forum due settimane fa, il generale Milley ha ammesso che il secolo americano è finito, una consapevolezza che avrebbe dovuto essere presa molto tempo fa, si potrebbe dire. Eppure, che sia tardi o meno, questa dichiarazione sembra segnalare un importante cambiamento strategico: “Stiamo entrando in un mondo tripolare, con Stati Uniti, Russia e Cina come grandi potenze. [e] Solo mettendo tre su due aumenta la complessità “, ha detto Milley.

Più recentemente, in un’intervista alla CNN, Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza di Biden, ha affermato che è stato un errore cercare di cambiare la Cina: “L’America non sta cercando di contenere la Cina: non è una nuova guerra fredda. Le osservazioni di Sullivan arrivano una settimana dopo che il presidente Biden ha affermato che gli Stati Uniti non stavano cercando un “conflitto fisico” con la Cina, nonostante le crescenti tensioni. “Questa è una competizione”, ha detto Biden.

Questo in effetti sembrava segnalare qualcosa di importante. Ma è davvero così? L’uso della parola “competizione” è una terminologia un po’ strana e richiede un po’ di decrittazione.

L’intervistatore della CNN Fareed Zakaria ha chiesto a Sullivan: cosa è stato ottenuto dalla Cina dopo tutto il tuo duro discorso, cosa è stato negoziato? Si potrebbe immaginare una risposta che descriva come Biden pensa di gestire al meglio questi interessi in competizione in un complesso mondo tripolare. Beh, quella non era la linea di Sullivan. “Brutta domanda”, ha detto senza mezzi termini: non chiedere informazioni sugli accordi bilaterali, chiedi cos’altro abbiamo.

Il modo corretto di guardare a questo, ha detto Sullivan, è: “Abbiamo stabilito i termini per una concorrenza effettiva in cui gli Stati Uniti siano in grado di difendere i propri valori e promuovere i propri interessi, non solo nella regione indo-pacifica, ma anche Intorno al mondo. Quando si tratta dei nostri alleati in tutto il mondo, gli Stati Uniti e l’Europa sono allineati su questioni commerciali e tecnologiche per garantire che la Cina non possa “abusare dei nostri mercati”; e poi sul fronte indo-pacifico, siamo andati avanti in modo da poter ritenere la Cina responsabile delle sue azioni. “

“Vogliamo creare la situazione in cui due grandi potenze opereranno all’interno di un sistema internazionale per il prossimo futuro – e vogliamo che i termini di quel sistema siano favorevoli agli interessi e ai valori americani: è più di una disposizione favorevole in cui il Gli Stati Uniti e i suoi alleati possono modellare le regole di condotta internazionali sui tipi di questioni che saranno fondamentalmente importanti per il popolo del nostro paese [America] e per i popoli del mondo “, ha affermato. -aggiunge.

L’obiettivo dell’amministrazione Biden non era cercare una trasformazione politica in Cina, ha detto Sullivan, ma modellare l’ordine internazionale in un modo che servisse i suoi interessi e quelli di altre democrazie che la pensano allo stesso modo: “Vogliamo le condizioni per questa coesistenza in il sistema internazionale favorevole agli interessi e ai valori americani. Vogliamo che le regole del gioco riflettano una regione indo-pacifica aperta, equa e libera, un sistema economico internazionale aperto e il rispetto dei valori e degli standard fondamentali sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani nelle istituzioni internazionali, ha dichiarato. . Sarà una competizione mentre andiamo avanti. “

Sullivan propone molto chiaramente un ordine mondiale basato su “regole di condotta internazionali” che si svilupperebbe attorno ad un interesse strategico centrale (quello dell’America), senza preoccuparsi delle conseguenze che potrebbero derivarne per gli altri. Questo “sistema internazionale aperto, equo e libero” è solo uno strumento per la globalizzazione del sistema neoliberista occidentale finanziarizzato. Josh Rogin ha scritto questa settimana: “L’internazionalismo a guida americana, nonostante i suoi difetti e i suoi passi falsi, rimane l’ultima, la migliore speranza per l’umanità. “

E per intenderci, quando sentiamo parlare di un sistema economico aperto e libero favorevole agli interessi americani, non sono gli “interessi del 99%” a essere sanciti nel sistema, ma quelli della classe finanziaria dell’1%. , che pretendono il diritto di spostare denaro e beni ovunque, in qualsiasi momento, senza restrizioni.

Il riferimento di Sullivan ai diritti umani riflette lo “spirito” dell’UE, dove la dottrina dello stato di diritto europeo è servita come dispositivo pratico per estendere l’autorità centrale dell’Unione senza riscrivere i trattati. O, in questo caso simile, che gli Stati Uniti espandano la propria autorità e procedano senza dover concludere accordi bilaterali con la Cina (o la Russia) o chiunque altro. Sullivan è stato molto chiaro su questo punto: gli accordi negoziati con la Cina non erano il “parametro di riferimento” giusto per giudicare il successo della politica statunitense.

Inizialmente, nessuno in Europa si è preoccupato molto quando la Corte europea ha “scoperto” che nei trattati dell’UE era nascosta una supremazia generale dei valori e del diritto dell’UE (sebbene a prima vista non fosse così evidente). Questa tranquilla reazione, tuttavia, è in gran parte dovuta al fatto che la competenza dell’UE era ancora piuttosto limitata all’epoca.

Successivamente, il trasferimento graduale della sovranità nazionale a un interesse strategico centralizzato (Bruxelles) divenne il principale motore di quella che è stata definita “integrazione attraverso il diritto”. Nel tempo, una lettura approfondita dei trattati (per i trattati europei, leggi la “consacrazione” di Sullivan della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) ha offerto nuove ragioni per sottoporre le politiche nazionali democratiche a una lettura sovranazionale. “

Allo stesso modo, la Dichiarazione universale dei diritti umani offrirà probabilmente a Sullivan nuove ragioni e possibilità per armare il testo e piegare alleati e “avversari” alla disciplina di interesse strategico centrale (altrimenti nota come Washington).

Quindi, quello che sembrava segnalare un cambiamento significativo nel pensiero americano, dopo un po’ di decrittazione, si è rivelato nulla del genere. La competizione tra le grandi potenze non è altro che l’ordine globale globalista, incentrato sugli Stati Uniti e basato su regole. Gli Stati Uniti si astengono dal “trasformare” (cioè fomentare una rivoluzione colorata) il Partito Comunista Cinese, perché non possono; questo strumento si applica ancora ai piccoli pesci (es. Nicaragua).

Da un lato, abbiamo visto le conseguenze di questo approccio centralizzato alle “regole” – praticato a Bruxelles oa Washington: ne deriva una sorta di torpore soporifero. Tutte le energie sono dedicate a mantenere a galla il fragile sistema (che si tratti delle regole del gioco dell’UE o degli Stati Uniti), piuttosto che trovare soluzioni reali. Si aprono divisioni che politicamente è impossibile contenere; il risentimento aumenta; le crisi sono gestite e non risolte; giochiamo con il tempo; le riforme sono graduali e poi improvvisamente unilaterali; e, alla fine, regna l’immobilità. In Europa si chiama Merkelismo (dal nome del Cancelliere tedesco).

Dopo il tranquillo vertice del G20 a Roma e la COP26 a Glasgow, sembra che stiamo iniziando a vedere la Merkelizzazione del mondo. La sensazione che rimane è quella di un meccanismo (due in realtà se includiamo l’UE), che produce suoni convincenti di macchine ruggenti e che fa sperare in qualche risultato, ma che non porta alla fine a poco o nulla – ad eccezione di un crescente deficit democratico, con il trasferimento a una tecnocrazia sovranazionale di decisioni che prima erano di competenza dei parlamenti.

D’altra parte, per quanto grave sia (date le crisi economiche che affrontiamo), il suo più grande ” peccato ” (come ha detto Sullivan) è la sua richiesta di ” regole ” globali, il cui fondamento è semplicemente “Gli interessi e i valori degli Stati Uniti e dei suoi alleati e partner”. Sullivan sostiene che gli Stati Uniti non cercano più di trasformare il sistema cinese (il che è positivo), ma insiste sul fatto che la Cina operi all’interno di un “ordine” costruito attorno agli interessi e ai valori degli Stati Uniti – in breve[in francese nel testo, ndr]. E come ha sottolineato Sullivan, lo sforzo diplomatico americano deve mirare a costringere la Cina a conformarsi a questo sistema. Da nessuna parte si parla dei costi per gli alleati, che dovrebbero rinunciare ai rapporti con la Cina o la Russia, per compiacere Biden.

Il peccato più grande , molto semplicemente, è che il tempo di queste ambizioni arroganti sia passato. L’equilibrio globale è cambiato qualitativamente, e non solo quantitativamente. Cina e Russia – le altre due componenti del mondo tripartito del generale Milley – lo hanno detto abbastanza chiaramente: rifiutano le lezioni dell’Occidente.

Fonte: Strategic Culture Foundation, Alastair Crooke, 15-11-2021

Stati Uniti! Vittorie di Pirro_con Gianfranco Campa

Non sarebbe la prima volta che una vittoria, oscurata per altro da sospetti giustificati, si può trasformare rapidamente in una sconfitta, addirittura in una rotta catastrofica. Ne sta prendendo atto la classe dirigente statunitense. Il gruppo dirigente democratico considera ormai la presidenza Biden-Harris una parentesi da chiudere e da contenere con il minor danno possibile. Confermata la pochezza disarmante di Kamala Harris, ormai il gruppo dirigente democratico sta pensando alle possibili alternative senza provocare ulteriori conflitti distruttivi. Nell’altro versante i neocon sembrano prendere atto della loro sconfitta e del loro drammatico isolamento. Considerano Trump non più un nemico, ma una risposta inadeguata a problemi reali. Stanno quindi pensando ad una tattica di condizionamento ed infiltrazione. Dal loro cappello iniziano a spuntare conigli e personaggi di varia umanità, medici dalla propensione istrionica, personaggi costruiti sulle scene televisive, proprio quando il movimento trumpiano sta superando brillantemente la propria dipendenza dal personaggio pubblico e si sta trasformando in una corrente strutturata, memore delle esperienze e delle debolezze della sua fase originaria legata ai Tea Party. Tattiche e strategie che tengono in poco conto l’accavallarsi di problemi, dalle caratteristiche a volte disgustose, perverse e di crisi che stringe drammaticamente i margini di azione e rivela i limiti di indirizzo politico di una classe dirigente ormai priva di autorevolezza e credibilità ma ancora con un enorme potere. La combinazione perversa di ambizioni smisurate e drammatica inadeguatezza è una miscela esplosiva. La tentazione di colpi di mano dalle conseguenze drammatiche si insinua pericolosamente, sia all’interno che all’esterno del paese. Il focolaio dell’Ucraina potrebbe essere la prima miccia disponibile. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

NB_ Abbiamo il fondato sospetto, quasi la certezza, che You Tube, in buona compagnia con piattaforme dello stesso orientamento, manipolano pesantemente i dati di accesso e la condivisione di testi e video. Suggeriamo, quindi, di digitare in maniera preferenziale la piattaforma di rumble, indicata con il link dedicato. Quando disporremo di altri mezzi attingeremo ad una fonte del tutto autonoma

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Stati Uniti! Papaveri e papere_con Gianfranco Campa

Un ceto politico chiaramente impresentabile, incapace di un pensiero autonomo e preda dei giochi di potere e di colpi di mano. Il tempo stringe e con esso diventa stringente la necessità di un ricambio politico interno alla componente democratica e neoconservatrice in grado di sostenere il confronto con Donald Trump e soprattutto il trumpismo. Si tratta però di una ricerca quasi disperata, ridotta al lumicino di pochi uomini, scarsamente rappresentativi. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti, il rattoppo peggio dello sbrego_con Gianfranco Campa

Il declino di un paese e la degenerazione di un conflitto politico si notano spesso più dal carattere grottesco di episodi secondari che dalla drammaticità dei grandi eventi. E’ lo spettacolo che ci sta offrendo la campagna elettorale in Virginia. Sino a poche settimane fa l’esito appariva scontato, del tutto a favore del candidato democratico. Non è più così. E alla pochezza e goffaggine del candidato si è aggiunto la scarsa influenza dei big della politica, a cominciare da Obama, nel condizionare il giudizio degli elettori; l’azione di uno di essi, niente meno che il presidente Biden, appare addirittura controproducente. L’esito delle elezioni in Virginia rischia di condizionare pesantemente il comportamento di tutti i rappresentanti del Congresso i quali, schierati nel partito democratico, devono però tener conto della importante quota di elettorato fedele a Trump che li ha votati. Un domino che rischia di trasformare un presidente smarrito in un’anatra zoppa già all’inizio del suo mandato. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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