Stati Uniti, il prezzo della libertà e di una presidenza. Con Gianfranco Campa

Biden, un candidato presidente totalmente disconnesso dal mondo reale, comunque mantenuto in piedi a prescindere, non ostante i malumori crescenti all’interno del suo stesso schieramento. Evidentemente gli apparati, i nuclei dei centri decisori contano più, molto di più delle persone e delle coreografie propinateci. Evidente, comunque, il vuoto di alternative e la natura troppo composita di uno schieramento demo-neocon pronto a deflagrare in assenza del nemico. Trump, alla sua terza candidatura; la prima dal successo inaspettato, la seconda espropriata in malo modo, la terza osteggiata con tutti i mezzi, almeno sino ad ora. E’ apparso meno lucido nel recente dibattito. Sarà per la liquefazione del rivale e la mancanza di un interlocutore all’altezza; sarà perché spossato da dieci anni di pressioni inimmaginabili; sarà per l’età; sarà per i limiti intrinseci del personaggio, senza disconoscerne i meriti. Tra questi ultimi, aver preservato e consolidato un movimento ben radicato e molto più maturo, ma che ha ormai bisogno di trovare altri leader. Nelle more, la gradita sorpresa di una liberazione attesa e rivendicata, quella di Julian Assange, ma dagli aspetti oscuri che non tarderanno a manifestarsi o a dissolversi. A meno di qualche escamotage machiavellico, comunque la cessione al nemico della propria polizza di assicurazione: i dati non ancora resi pubblici del suo immenso archivio. Una puntata da ascoltare. Si ringrazia Cesare Semovigo per il montaggio e per la sigla da lui composta. Giuseppe Germinario

Aggiornamento! Cominciano a manifestarsi le pressioni dei servizi di intelligence per una rinuncia di Biden alla candidatura. L’argine posto dalla famiglia Biden consiste in garanzie e salvacondotti sulle inchieste giudiziarie che si stanno cumulando.

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Stella Assange: “combatteremo su questo”, di Joe Lauria

Il caso Assange è un raro condensato, un vero e proprio buco nero, di arbitrio, di tronfia arroganza, di ineluttabilità, di meschinità, di terribile esemplarità di esercizio di un potere politico. Assange non è cittadino statunitense, non vive nè risiede negli Stati Uniti; da buon giornalista ha raccolto informazioni riservate da militari statunitensi in servizio e le ha diffuse assieme ad uno staff raccolto intorno alla sua persona. Una valanga di centinaia di migliaia di documenti, mai contestati nella loro autenticità, che hanno consentito di smascherare, tra le tante miserie di tanti politici di rango nel mondo, la montatura pretestuosa tesa a giustificare la guerra in Iraq e il coinvolgimento dei Clinton nella montatura dello scandalo del Russiagate. La piovra statunitense è riuscita a coinvolgere la “civile” e “neutrale” Svezia, la fedele Gran Bretagna, il bananiero Equador pur di perseguitare e sequestrare chi ha il merito di aver messo a nudo le magagne e le porcherie dei centri decisori americani e dei tanti accoliti sparsi nel mondo. In attesa dell’agognato epilogo, hanno cercato di ridurlo ad una larva umana. Si è arrivati al paradosso apparente di aver graziato i militari, autori materiali delle “soffiate”, ma di condannare al supplizio e a morte certa chi le ha rese pubbliche. Una vera e propria porcheria, artatamente ostentata. I sistemi mediatici, ognuno a casa propria, avrebbero dovuto raccogliere come manna dal cielo tutte quelle informazioni e invece sono stati nella quasi totalità complici della macchinazione e della omertà. Per qualche tempo si era sperato, a suo tempo, nella grazia di Trump, risaputamente ben disposto nei suoi confronti. Non conosciamo i motivi della sua omissione, ma possiamo immaginarli. Forse è dipeso anche da una valutazione di inefficacia dell’eventuale provvedimento, vista l’azione giudiziaria ancora in corso. Non è detta, però, ancora l’ultima parola. E’ una di quelle battaglie che bisognerebbe condurre ad ogni costo anche oltre l’eventuale esito infausto. Una cosa è certa: la sua vicenda rivela a cosa si sono ridotti il sistema liberaldemocratico e i suoi simulacri di libertà, proprio nel momento in cui, in nome di essa si sta spingendo al disastro politico-militare e al dissesto socio-economico il proprio “mondo libero” per colpire il nemico, cosiddetto autocrate. Buona lettura, Giuseppe Germinario

“Utilizzeremo ogni via di appello”, ha detto Stella Assange in una conferenza stampa a Londra venerdì.

La moglie di Julian Assange e uno dei suoi avvocati venerdì hanno promesso di contrastare la decisione del ministro dell’Interno britannico Priti Patel di firmare un ordine di estradizione all’inizio della giornata inviando l’ editore di WikiLeaks incarcerato Julian Assange negli Stati Uniti per essere processato con l’accusa di spionaggio e intrusione di computer .

“Questo è il risultato di cui ci siamo preoccupati nell’ultimo decennio”, ha detto l’avvocato di Assange Jennifer Robinson in una conferenza stampa a Londra. “Questa decisione è una grave minaccia alla libertà di parola, non solo per Julian, ma per ogni giornalista, editore e lavoratore dei media”.

Ha detto che ha rischiato fino a 175 anni in una prigione degli Stati Uniti per aver pubblicato materiale per il quale ha vinto numerosi premi della stampa e una nomination per il Premio Nobel per la pace. “Questo dovrebbe scioccare tutti”, ha detto.

“Non siamo alla fine della strada, lo combatteremo”, ha detto in conferenza stampa Stella Assange, la moglie dell’editore. “Passeremo ogni ora di veglia a combattere per Julian finché non sarà libero, finché non sarà fatta giustizia”.

Ha detto alla stampa: “Sono sicura che capisci le implicazioni estremamente gravi che questo ha per tutti voi e per i diritti umani”.

Tim Dawson dell’Unione nazionale dei giornalisti ha dichiarato alla conferenza stampa: “Vale la pena pensare a quale sia questa minaccia dalla posizione di un singolo giornalista. Qualsiasi giornalista in questa stanza” che ha pubblicato materiale riservato “correrà lo stesso rischio”. Ha detto che i giornalisti ora devono chiedersi “vale la pena rischiare di andare in prigione per il resto della mia vita?”

Stella Assange ha detto di aver parlato con suo marito subito dopo che questi aveva appreso della decisione di Patel. “È molto difficile per lui vedere terze parti prendere decisioni di vita o di morte su di lui in base alla politica”, ha detto.

Assange è detenuto nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh a Londra dal suo arresto nell’aprile 2019. È stato accusato ai sensi dell’Espionage Act per aver pubblicato informazioni veritiere sulla condotta del governo degli Stati Uniti. Stella Assange ha affermato che l’appello presentato all’Alta Corte “sta creando un precedente legale sulla portata della libertà di stampa in questo paese”.

Ha aggiunto: “Ciò che viene deciso all’Alta Corte sull’equivalenza tra l’Espionage Act e l’Official Secrets Act come opera in questo momento, riguarda tutti voi e i vostri colleghi. È uno di voi, che vi piaccia o no, perché è perseguito come uno di voi».

La decisione di Patel

Il ministro dell’Interno ha firmato l’ordinanza di estradizione venerdì mattina. Un portavoce del Ministero dell’Interno ha dichiarato:

“Il 17 giugno, a seguito dell’esame sia della magistratura che dell’alta corte, è stata ordinata l’estradizione del sig. Julian Assange negli Stati Uniti. Il sig. Assange conserva il normale diritto di 14 giorni di ricorso.

In questo caso, i tribunali del Regno Unito non hanno ritenuto che sarebbe oppressivo, ingiusto o un abuso di processo estradare il signor Assange.

Né hanno ritenuto che l’estradizione sarebbe incompatibile con i suoi diritti umani, compreso il suo diritto a un processo equo e alla libertà di espressione, e che mentre si trova negli Stati Uniti sarà trattato in modo appropriato, anche in relazione alla sua salute”.

“Era in potere di Priti Patel fare la cosa giusta. Invece sarà ricordata per sempre come complice degli Stati Uniti nella loro agenda per trasformare il giornalismo investigativo in un’impresa criminale”, ha detto WikiLeaks in reazione.

 

Prossimo processo di appello

Jen Robinson, l., e Stella Assange alla conferenza stampa di venerdì. (Schermata DEA)

Robinson ha detto che il team legale di Assange ha due settimane per presentare ricorso all’Alta Corte e gli Stati Uniti hanno 10 giorni per rispondere.

“Abbiamo ancora i nostri punti di appello incrociati, che includono l’argomento della libertà di parola, la sua incapacità di ottenere un processo equo negli Stati Uniti, la natura politica del reato …, l’abuso di processo in questo caso, incluso lo spionaggio su Julian e noi come suo team legale e una serie di altri punti che verranno sollevati “, ha detto Robinson. L’articolo 4 del trattato di estradizione USA-Regno Unito vieta l’estradizione per reati politici.

“Solleveremo i punti emersi dall’udienza di estradizione originale nel 2020 e, in modo cruciale, uno degli sviluppi più importanti è la rivelazione che la CIA ha complottato per assassinare Julian mentre era nell’ambasciata ecuadoriana, rapirlo e consegnarlo”, ha aggiunto Stella Assange. “Questo è noto alla segretaria degli interni, ma ha comunque firmato”.

Il complotto della CIA contro Assange è stato corroborato da funzionari statunitensi in un messaggio di Yahoo! Rapporto di notizie . Quindi il direttore della CIA Mike Pompeo non ha smentito il rapporto e ha invitato coloro che lo avevano fatto trapelare a essere perseguiti. Altri punti di appello potrebbero essere che un testimone chiave degli Stati Uniti sulle accuse di computer contro Assange ha ritrattato la sua testimonianza. E la salute di Assange è ulteriormente peggiorata quando ha subito un mini-ictus lo scorso ottobre.

Robinson ha affermato che il processo di appello in futuro potrebbe richiedere da sei mesi a un anno. “Se necessario, faremo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo”, ha affermato.

In un caso separato, martedì la corte europea ha bloccato l’ordine del ministro dell’Interno di far decollare un aereo a Londra con i richiedenti asilo ruandesi a causa dei pericoli che hanno dovuto affrontare al ritorno nel loro Paese. Consortium News ha chiesto a Stella Assange e Robinson se si sono sentiti incoraggiati dalla sfida della corte al ministro dell’Interno in quanto potrebbe prefigurare il blocco della Corte europea di un aereo che trasporta Assange negli Stati Uniti

“Il governo sta valutando la possibilità di ritirarsi dalla corte europea”, ha risposto Assange. In effetti, la Gran Bretagna ha affermato che potrebbe ritirarsi dal sistema della CEDU sulla scia della decisione sul Ruanda, una minaccia che ha già fatto.

“Sarebbe uno sviluppo incredibilmente preoccupante se il Regno Unito si ritirasse dalla Corte europea dei diritti umani”, ha affermato Robinson. “E ovviamente speriamo che se dobbiamo arrivare così lontano, alla corte europea, che prenda la decisione giusta, ovvero impedire la sua estradizione. Se il Regno Unito si ritirasse dal tribunale, sarebbe incredibilmente pericoloso per ogni cittadino di questo paese”.

Appelli ai governi degli Stati Uniti e dell’Australia

“Continuiamo a chiedere all’amministrazione Biden di abbandonare questo caso a causa della grave minaccia che rappresenta per la libertà di parola ovunque”, ha affermato Robinson. “E continuiamo a chiedere al governo australiano di agire per proteggere i suoi cittadini”.

Il governo australiano recentemente eletto ha rilasciato una dichiarazione venerdì in cui afferma che il caso di Assange si è “trascinato troppo a lungo e che dovrebbe essere portato a termine”.

“Continueremo ad esprimere questo punto di vista ai governi del Regno Unito e degli Stati Uniti”, hanno affermato il ministro degli Esteri Penny Wong e il procuratore generale Mark Dreyfus nella dichiarazione. Non ci sono state ancora reazioni da parte di Washington.

“Chi è Mike Pompeo?”

Stella Assange si prepara per l’intervista dopo la conferenza stampa. (Gio Lauria)

“È molto difficile descrivere com’è per una famiglia”, ha detto Stella Assange. “La nostra determinazione è raddoppiata per ogni decisione presa, il che è una farsa”, ha detto ai media. “Voglio dire, non ho parole per esprimere com’è vedere il processo nel Regno Unito utilizzato come un modo per prolungare la sofferenza di Julian”.

Ha aggiunto: “Ho molto supporto da milioni di persone che vedono che questo è sbagliato e siamo stati offesi come famiglia”.

A Stella Assange è stato chiesto come farà a dire ai loro due figli che il padre non tornerà a casa presto. “Non vedo che senso abbia dirglielo”, ha risposto.

“Mi avvicino a questa situazione come se Julian fosse nel braccio della morte e risparmierò loro quella conoscenza”. Ha detto che “ne traggono il massimo” durante le visite di famiglia a Belmarsh. “Voglio che i loro ricordi del padre, di cui potrebbero avere solo pochi mesi rimasti, siano positivi e felici”.

Ha detto “l’altro giorno, il nostro figlio maggiore, che ha cinque anni, mi ha chiesto chi fosse Mike Pompeo perché mi aveva sentito dire qualcosa sul fatto che Mike Pompeo fosse una persona cattiva. Disse: ‘Chi è Mike Pompeo e dov’è?’ Come faccio a dire di non preoccuparti per Mike Pompeo?”

“Combatto ogni giorno per la vita di mio marito”, ha detto Stella Assange, aggiungendo:

“Dovrebbe essere libero e lo sanno tutti. Il processo viene utilizzato per nascondere le atrocità dalla storia. … Devono legarsi a nodi per consentire questa oltraggiosa estradizione. Penso che probabilmente sia stato estremamente difficile per loro elaborare una sorta di argomento semi-coerente. …

Il Regno Unito non dovrebbe essere perseguitato per conto di una potenza straniera in cerca di vendetta. Quella potenza straniera… ha commesso crimini che Julian ha messo alla luce del sole. Julian non ha fatto niente di male. Ha fatto tutto ciò che ogni giornalista che si rispetti dovrebbe fare quando gli viene data la prova di uno stato che commette crimini: lo pubblicano perché il loro dovere è verso il pubblico. E il dovere di Julian verso il pubblico lo ha portato in prigione.

L’ordine di estradizione è arrivato sulla scrivania di Patel dopo che la Corte Suprema del Regno Unito ha rifiutato di ascoltare l’appello di Assange contro una vittoria dell’Alta Corte per gli Stati Uniti.

Nel gennaio dello scorso anno, gli Stati Uniti avevano presentato ricorso contro la decisione di una magistratura di non estradare Assange perché sarebbe stato opprimente farlo in base alla salute di Assange e alle terribili condizioni di isolamento negli Stati Uniti. L’Alta Corte ha deciso a favore degli Stati Uniti basandosi esclusivamente sulle “assicurazioni” diplomatiche condizionate di Washington che avrebbero trattato Assange con umanità.

Robinson ha detto venerdì che quelle assicurazioni sarebbero state appellate alla corte europea dopo che la Corte Suprema si era rifiutata di esaminare il caso.

Joe Lauria è redattore capo di Consortium News ed ex corrispondente delle Nazioni Unite per il Wall Street Journal, il Boston Globe e numerosi altri giornali, tra cui The Montreal Gazette e The Star of Johannesburg. E’ stato un giornalista investigativo per il Sunday Times di Londra, un giornalista finanziario per Bloomberg News e ha iniziato il suo lavoro professionale come 19enne stringer per il New York Times.  Può essere raggiunto a joelauria@consortiumnews.com e seguire su Twitter @unjoe  

https://consortiumnews.com/2022/06/17/stella-assange-we-are-going-to-fight-this/

Julian Assange e il silenziamento di Wikileaks! La pista scandinava, di Max Bonelli

Il Governo Britannico con atto vile e proditorio si accinge a concedere l’estradizione del giornalista Julian Assange, cittadino australiano. Qui sotto alcuni antefatti_Giuseppe Germinario

Julian Assange e il silenziamento di Wikileaks! La pista scandinava, di Max Bonelli

Quando Julian Assange decise di provare a trasferirsi in Svezia era già sulla lista nera della Cia. In quell’estate del 2010, la Svezia non doveva sembrare cosi fredda come  l’avevano descritta e poi c’era tanta gente non solo li ma in tutto il nord Europa che lo ammirava, collaborava con lui. Uno di questi era  Ola Bini, un programmatore di fama mondiale, uno degli artefici del sistema Tor Browser che permette di navigare in incognito,  ma non era il solo nord europeo a dargli una mano nel cercare di creare “Internet- pirate bay “ in scandinavia. Arjen Kamphuis olandese suo associato di wikileaks ed anche lui programmatore di alto livello era li a dargli manforte e con esso una miriade di attivisti pseudo anarcoidi della rete che avevano messo in piedi “Pirat partiet “ che due anni prima aveva conquistato il 7,1% dei voti alle europee in Svezia.

Julian avrà pensato che era il posto ideale per dare scacco alla Cia e così il 18 agosto del 2010 fa richiesta di soggiorno in Svezia. Non fanno in tempo a trascorrere 13 giorni che il 1 settembre parte una indagine per violenza carnale a suo carico. Il ragazzone australiano non riesce a contenere i suoi istinti primordiali? No anzi in pochi giorni come si dice a Roma “non sa a chi dare i resti”. Una donna lo invita ad usare il suo appartamento che tanto va fuori per un viaggio, poi ci ripensa ritorna e scatta un flirt, lei che è coscienziosa chiede l’uso del profilattico ma nella foga il simpatico ragazzo australiano  lo prende ma maldestro nel metterlo lo rompe e quindi hanno un rapporto non protetto, lei è tanto turbata che da una festa in suo onore dove un’altra sua amica lo scippa alle sue grinfie. Questo è il sunto della prima violenza. La seconda accade alla scippatrice che una volta portato a casa e consumato  il bello australiano nel sonno scopre che Julian  è un ragazzo generoso ma poco educato da per scontato che dopo la prima non serva chiedere il permesso della seconda e lei annichilita non protesta ed anche li si consuma un altro caso di conturbante violenza. Durante il mese di settembre Julian capisce che essere accusato di violenza carnale nel paese dal “femminismo talebano” come lui lo definì successivamente era cosa non da poco conto anche quando le accuse sono palesemente inconsistenti, si crea un vuoto pneumatico intorno a lui e chiede di poter lasciare la Svezia tramite il suo avvocato, permesso prima accordato e poi nell’arco di una giornata rimangiato dal procuratore svedese e trasformato in un ordine di arresto. Assange è gia in Inghilterra. Nei mesi successivi si hanno una serie di passi giuridici che portano i giudici inglesi a decidere per l’estradizione ed Assange a richiedere invano l’assicurazione alle autorità svedesi di non essere estradato negli USA dove è ricercato per collaborazione  al reato di alto tradimento avendo  permesso a cittadini americani di pubblicare materiale compromettente la sicurezza.

Bisogna capire anche il governo USA che si sbatte da un centinaio di anni per farsi una reputazione da liberatore del mondo e poi arriva un sito dove tutti possono scaricare film di elicotteri dello zio Tom che fanno a pezzi civili con il calibro 30mm, e che diamine un po di privacy, no?

Julian capita la mala parata si rifugia nell’ambasciata ecuadoregna, è giugno 2012, anche lì si vede che Julian sarà un genio dell’informatica ma a geopolitica è un po’ scarso. I paesi dell’America latina non sono il massimo d’indipendenza e sono altalenanti nella loro politica anti americana. Fino a quando il presidente è Rafael Correa, tutto procede per il meglio. Riesce persino a pubblicare le email che la Clinton si scambiava con i suoi collaboratori ed non era proprio il meglio del “politically correct”. La Clinton gli diede la colpa di aver perso le elezioni contro Trump, d’altronde a qualcuno devi dare la colpa se perdi una corsa dove ti danno favorito 10 ad 1.

Nel 2017 a Correa succede Lenin Moreno che è tutto meno che comunista ed una certa propensione alla prostituzione politica e non si fa scappare l’occasione di vendere Julian che nonostante sia stato nominato cittadino ecuadoregno da Correa viene venduto non per 30 denari ma per 3 miliardi di dollari di un prestito del FMI. Questo dicono le malelingue ed a vedere le scene filmate da Russian Today della polizia inglese invitata ad entrare dall’ambasciatore equadoregno ed arrestare Assange 11 aprile del 2019 verrebbe anche da dargli ragione. In questi anni di esilio in una stanza dell’ambasciata Julian era riuscito a far cadere in prescrizione  tre dei capi d’imputazione delle violenze carnali mentre l’ultimo sarebbe caduto in prescrizione alla fine del 2020. Ma Julian non aveva fatto i conti con la costanza anglo-nordeuropea. La giustizia inglese per direttissima lo condanna a 50 settimane di carcere duro nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh per essere fuggito alla sentenza di estradizione. Il carcere duro significa isolamento per 23 ore ed 1 ora di aria. Nessuna possibilità di comunicazione con l’esterno e impossibilità a ricevere visite. I nostri mafiosi pluri omicidi al 41 bis se la passano meglio. La Svezia il 13 maggio ha riaperto i casi delle violenze carnali e si mette in concorrenza con gli USA per la richiesta di estradizione. Qualcuno potrebbe disquisire meglio un brutto processo a Stoccolma che uno pessimo a Washington.

Si e no, un processo in Stati Uniti santificherebbe la sua immagine di eroe anti sistema quello in Svezia sarebbe un atto inquisitorio indirizzato a distruggere il mito ed una volta calpestato questo nella polvere potrebbe il povero Julian essere estradato negli USA.

Il lettore potrebbe pensare “ma Wikileaks, il suo sito giornalistico continua a funzionare a vivere oltre il suo artefice”. Vorrei dire di sì ma vi mentirei, vi ricordate i suoi collaboratori nord europei citati all’inizio dell’articolo?

Ola Bini il programmatore è stato arrestato il 12 aprile 2019 in Ecuador stava per partire per il Giappone per seguire la sua seconda passione dopo l’informatica, lo Ju Jutsu. La motivazione dell’arresto preventivo è che viene ritenuto a capo di una squadra di hacker che stavano tramando di trafugare email riservate del presidente Lenin Moreno ma l’accusa non è ufficialmente formalizzata. Esperto a livello mondiale di  sicurezza informatica era certo una minaccia per chi aveva la coscienza sporca. Inoltre aveva visitato molte volte Assange in ambasciata e risulta che il personale dell’ambasciata ha sequestrato tutti gli strumenti informatici di Assange. Il suo destino è segnato, un coraggioso che si è buttato nelle fauci del lupo ed infatti è stato estradato per interrogatori negli USA e potete scommetterci sopra una bella somma che rimarrà lì a marcire nelle galere del paese che ha come icona la statua della libertà.

Vi chiederete la fine dell’altro collaboratore, l’olandese Arjen Kamphuis?

Anche lui aveva una seconda passione dopo l’informatica, il trecking lo hanno visto l’ultima volta al check in di un albergo a Bodo una ridente cittadina della Norvegia artica famosa per la pesca del salmone e per la natura incontaminata. Ci si mangia un buon pesce e forse per questo ci hanno aperto una base Nato di intelligence cibernetica, il fosforo fa bene al cervello non dimentichiamolo. Sicuramente la base Nato non ha fatto bene ad Arjen, il 20 agosto del 2018 lo hanno trovato a flottare a pancia in giù nelle fresche acque artiche di Bodo. Era scomparso da due settimane, avrebbe dovuto prendere il treno che da Bodo porta a Trondheim e da lì l’aereo  per l’Olanda. “A pensare male si fa peccato ma spesso ci si azzecca” lo diceva spesso Andreotti che sui peccati la sapeva lunga.

 

Max Bonelli

 

 

 

Julian Assange e le colonne (i colonnisti) infami, di Giuseppe Germinario

È sicuramente presto per stilare una graduatoria, ma di sicuro l’arresto di Julian Assange sarà in ottima posizione per conquistare il primato dell’evento più infame dell’anno. Si spera in qualche copertina alternativa al Time o al Financial Time. Anche il lato oscuro deve meritare almeno una lama di luce caravaggesca.

È la conferma di una amara constatazione. Il potere consolidato solitamente sa e può aspettare meglio di chi gli si oppone nel decidere tempi e modi di azione.

Perché tanto accanimento su Julian Assange?

In fondo, in questi dieci anni, è stato solo il punto terminale, dedito alla diffusione imparziale di un flusso immane e sorprendente di informazioni riservate e segrete rilasciate da ambienti specifici dei servizi di “intelligence” americani.

La Ragion di Stato del resto aveva individuato e neutralizzato i trafugatori e messaggeri di quel tesoro: Edward Snowden, rifugiato in Russia e Chelsea Manning, condannata, graziata da Obama e reincriminata recentemente con Trump. I pesci in realtà, a prima vista, paiono troppo piccoli per gestire da soli una simile impresa.

Pare che il destino, piuttosto che la Giustizia o la faida interna, abbia sentenziato provvidenzialmente la sorte di Rich Seth, il probabile vero responsabile di quelle fughe. Morto di una morte violenta, rimasta oscura nella dinamica e negli autori soprattutto per la frettolosità e il disinteresse con i quali sono state archiviate le indagini.

Perché, quindi, continuare nella persecuzione?

Le divergenze di strategie tra i diversi centri decisionali statunitensi si stanno rivelando inconciliabili sino a ridurre la lotta politica sullo scenario istituzionale ad una guerriglia pretestuosa e senza regole con una fazione disposta a prediligere, in mancanza di argomenti, l’arma giudiziaria e la diffamazione come strumento di eliminazione dell’avversario; le conseguenze distruttive sulla credibilità, la autorevolezza e la capacità di sintesi degli apparati e delle istituzioni sono disastrose. La traduzione operativa degli indirizzi da parte degli apparati si è trasformata in una lotta di potere senza esclusione di colpi sempre più ostentata e sempre meno propensa alla riservatezza necessaria a rendere l’esercizio del potere presentabile ed accettabile. Siamo alla parziale emersione dello stato profondo e della disarmonia della sua azione tipica delle crisi di sistema.

Da qui le crisi di coscienza di alcuni e l’ostentata arroganza e sicumera di altri. Uno dei motivi di tanta protervia nasce quindi dalla consapevolezza che le schegge impazzite e i grilli parlanti sono destinati a proliferare e diventare sempre più incontrollabili. Non rimane quindi che tentare di stringere ulteriormente la morsa sul sistema mediatico e di eliminare le voci dissenzienti, specie quelle non schierate, almeno apertamente e quindi più esposte.

Il grande merito di Julian Assange e della sua squadra è di aver creato un sistema di acquisizione e diffusione delle informazioni schermato in modo tale da rendere difficoltosa l’individuazione delle gole profonde.

Inizialmente la sua attività di divulgazione sembrava orientata ai danni della componente neocon repubblicana e delle sue avventure militari in Afghanistan e Iraq. Da qui la tolleranza e la popolarità negli ambienti democratici americani e progressisti in Europa. La condizione di Assange da paladino della libertà e della democrazia a strumento di potere e burattino nelle mani di Putin e dei suoi utili idioti si è ribaltata con la divulgazione delle malefatte del clan dei Clinton ai danni degli avversari interni al Partito Democratico e dei presunti suoi avversari repubblicani in grado di minacciare le sue ambizioni presidenziali. Trump non era tra questi ultimi; era ritenuto, anzi, l’avversario più debole e di comodo. Alle malefatte di piccolo cabotaggio si è aggiunta la pubblicità su quelle di calibro più pesante legate al suo ruolo di segretario di stato, in particolare durante l’intervento in Libia e nell’intreccio di relazioni con i sauditi.

In realtà lo straordinario patrimonio di informazioni detenuto da Wikileaks, composto da centinaia di migliaia, se non da milioni di file, non copre il solo spazio prettamente politico ed istituzionale americano; ospita diversi ambiti di azione strategica nei più vari angoli del mondo, compresi quelli di altri stati e delle multinazionali, in particolare quelle impegnate nel campo della elaborazione e gestione dei dati, sempre più sorprese  a colludere e fare affari mettendo a disposizione i propri dati. Si deve dar atto ad Assange e Wikileaks della veridicità di tutte le informazioni sino ad ora diffuse e della trasparenza di accesso ad esse.

Si sa però che l’informazione non è mai neutra. È soggetta alle pratiche di divulgazione, di interpretazione rispetto ai contesti e di manipolazione. Il dato viene individuato è costruito all’interno di queste dinamiche.

L’ulteriore contributo di wikileaks è stato quello di distribuire in pacchetti le informazioni. Sono il sistema mediatico e i singoli organi di informazione ad interpretare, selezionare, contestualizzare e diffondere i vari contenuti di wikileaks. Il loro problema, però, è che da almeno dieci anni non dispongono più del monopolio dell’informazione grazie alla diffusione delle reti social, a cominciare da Facebook e Twitter. Se queste reti da una parte, assieme alle agenzie di stampa, liberano in gran parte dall’onere, dai rischi e dalla gratificazione del lavoro di inchiesta gli organi di informazione, dall’altra consentono la proliferazione di canali alternativi spesso alternativi ed in competizione con quelli classici, almeno sino a quando i furori censori e la manipolazione sapiente della disponibilità dei dati avrà preso compiutamente il sopravvento. Sono dinamiche che assieme al potere di formazione della opinione pubblica stanno erodendo irreversibilmente le basi economiche del sistema e svelando pericolosamente i cordoni ombelicali e i meccanismi che legano la stampa libera e i centri di potere. Un arretramento che produce il riflesso incondizionato della partigianeria tanto settaria quanto più avulsa e dell’ulteriore perdita di autorevolezza.

Queste strategie e dinamiche, nella loro individuazione oggettiva, sono comunque il frutto di scelte soggettive degli attori in campo; di uomini con la loro intelligenza e con la loro stupidità, con il loro senso di opportunità e con la loro incomprensione dei tempi, con i loro propositi e le loro rivalse, con la loro generosità e la loro cattiveria, con la loro schiettezza e infine la loro infamia.

Julian Assange è caduto purtroppo nella morsa costrittiva della rivalsa dei centri di potere più cinici e dei detrattori, i più meschini dei quali sono proprio quelli che hanno fruito sino ad un minuto prima delle sue informazioni.

Le schiere di avversari livorosi si sono infoltite paurosamente offrendo agli strateghi della persecuzione nuovi strumenti e coperture per procedere nel loro disegno di annichilimento fisico e psicologico. Tanto più la fetta di privilegio da difendere è risicata tanto più il gelido cinismo si trasforma in livorosa rivalsa ed infamia.

Appena un anno fa abbiamo apprezzato il ventriloquo Soros lamentare l’eccessiva libertà e il pericolo conseguente di manipolazione dei social network. Appena un mese dopo è scattata l’operazione di rigorosa normalizzazione  dell’azione di questi, i cosiddetti GAFA i quali ovviamente pretendono il necessario lucro dal mercimonio. Una pratica che ha messo però a nudo la superiorità strategica legata alla straordinaria capacità di controllo e manipolazione dei dati delle aziende statunitensi e la diretta connivenza con gli apparati di intelligence. Un mondo che Assange aveva iniziato a disvelare. Un mondo che non tollera scorribande, in grado di presentare la vendetta su un piatto freddo.

IL GELIDO CINISMO

Hanno atteso sette anni. Con le dovute pressioni sono riusciti a trasformare l’asilo politico nell’ambasciata equadoregna a Londra in una prigionia sempre più insostenibile e sofferente sino al tradimento della revoca dello status di rifugiato. Dal cinismo delle alte sfere si passa quindi all’infamia da kapò del Presidente Moreno. Un primo obbiettivo è stato raggiunto: consegnare Assange alla Gran Bretagna; un paese che consente l’estradizione di fatto per decisione politica e che permette al paese richiedente, nella fattispecie gli Stati Uniti, di ricalibrare nel tempo i capi di accusa. Il modo meno compromettente per prolungare a tempo indeterminato le detenzioni ritardando la chiusura dei processi dalle costruzioni probatorie improbabili e dall’esito incerto.

IL RISENTIMENTO RANCOROSO E IMPOTENTE

Il caleidoscopio dei cattivi sentimenti si arricchisce a questo punto di un altro elemento: il risentimento rancoroso. In prima linea Hillary Clinton; non ha ancora introiettato il fiele della sconfitta. Lungi dal giustificare e riconoscere le proprie malefatte, rivelatesi alla fine così disastrose per gli interessi stessi del suo paese, non riesce a far altro che riversare la propria collera isterica e impotente ai danni del malcapitato che le ha svelate. Una anziana puerile e capricciosa che non riesce a rassegnarsi all’oblio. Una manifestazione per altro tanto rumorosa ma tutto sommato la meno nociva

IL VILE TRADIMENTO

Scendendo di un gradino la scala delle gerarchie di influenza subentra la viltà del tradimento. Tocca ai tanti giornalisti fruitori a buon mercato dei servizi di WikiLeaks e lesti voltagabbana pronti a spalleggiare e sostenere al momento opportuno gli argomenti capziosi degli inquisitori. Si distinguono tra questi Luke Harding e David Leigh, giornalisti del Guardian i quali hanno costruito la propria fortuna e reputazione su un libro e su un film costruito sui file di Assange per poi non solo avallare la tesi infondata dei legami tra WikiLeaks e Putin, ma addirittura passare a Scotland Yard le crittografie con le quali Assange riusciva ad acquisire le informazioni e che incautamente aveva trasmesso ai due paladini dell’informazione.

LO SCIACALLAGGIO

Buon ultima per importanza, primeggia per meschinità la vigliaccheria degli sciacalli. Una qualità presente in quell’area estesa del giornalismo di periferia che ha certificato il proprio servilismo di passatori di veline, ignorando elegantemente la mole di informazioni compromettenti a carico dei politici e delle classi dirigenti del proprio paese offerta di WikiLeaks. Primeggiano su tutte la quasi totalità delle testate italiane, ormai in gran parte impegnate a riportare più che altro i titoli e le interpretazioni delle testate estere, con alcuni manutengoli di alto rango dell’informazione a fungere da maramaldi. Si passa dalla perfida compostezza di un editorialista della Stampa, transfuga dal Corriere, al commento saccente di un critico di regime del Corriere, all’attacco sbracato di firme del Giornale sempre pronti ad assecondare le badogliate del loro finanziatore. A ciascuno il proprio stile, ma concordi e solidali nella missione. Un discorso a parte meritano i giornalisti di Repubblica. Stranamente rinunciano alle filippiche, ma stigmatizzano la parabola discendente di Assange, in debito di autorevolezza e popolarità dal momento in cui ha scelto come bersagli Obama e Clinton. Un giudizio viziato dall’accecamento ideologico che induce all’identificazione della fazione democratico-progressista con quella di popolo.

Nell’affare Assange rimane comunque una zona grigia tutta da esplorare: il silenzio di Trump e dello staff a lui più vicino. Il Presidente americano avrebbe potuto prolungare, probabilmente con una semplice telefonata al presidente equadoregno, la segregazione nel rifugio dell’ambasciata.

Il costo politico con il Russiagate in dirittura d’arrivo ma non concluso avrebbe potuto essere pesante. Potrebbe essere in corso un tentativo di portare Assange negli Stati Uniti, ma di farlo uscire dalla condanna all’esilio senza fine con una condanna simbolica simile a quella subita dalla Manning. Un disegno reso impalpabile dall’incertezza e dalla ferocia dello scontro politico in corso negli States. Rimane l’altra ipotesi, la più inquietante: che il sacrificio di Assange sia l’obolo in cambio del sacrificio di qualche pesce minore tra gli artefici della macchinazione del Russiagate. Trump ha pagato un prezzo molto alto con il sacrificio di Flynn in avvio di presidenza. Buona parte della vecchia guardia che lo aveva portato alla vittoria si era defilata e solo di recente si era riconciliata. Le veementi proteste di quell’area per l’arresto di Assange lasciano intuire che un altro cedimento di Trump della stessa natura rischia di creare una frattura irreparabile nella propria compagine in cambio di una tregua del tutto improbabile con i nemici. Un dilemma  che si scioglierà probabilmente nei prossimi mesi.

Nelle more la posta in palio è particolarmente importante. Passa dalla pretesa di extraterritorialità della giurisdizione statunitense al tentativo di restringere drasticamente le possibilità di accesso alle fonti della stampa, all’arbitrarietà della costruzione giuridica necessaria all’estradizione. Una costruzione che sta suscitando qualche perplessità, non si sa quanto sincera, anche in quella stampa che negli ultimi tempi ha perso ogni ritegno nella faziosità della propria narrazione.