ALLE RADICI SOVRAECONOMICHE DEL PROBLEMA ECONOMICO. Di Luigi Copertino

ALLE RADICI SOVRAECONOMICHE DEL PROBLEMA ECONOMICO. Di Luigi Copertino

Distributismo.

«La vita economica ha senz’altro bisogno del “contratto”, per regolare i rapporti di scambio tra valori equivalenti. Ma ha altresì bisogno di “leggi giuste” e di forme di ridistribuzione guidate dalla politica, e inoltre di opere che rechino impresso lo “spirito del dono”. L’economia … sembra privilegiare la prima logica, quella dello scambio contrattuale, ma direttamente o indirettamente dimostra di aver bisogno anche delle altre due, la logica politica e la logica del dono senza contropartita».

Così Papa Benedetto XVI nella sua Lettera Enciclica “Caritas in Veritate”, del 2009, (Libreria Editrice Vaticana, p. 59). Il Papa non ha introdotto nulla di nuovo nel magistero cattolico. Egli ha soltanto richiamato la Tradizione ebraico-romano-cristiana nei suoi conseguenziali riflessi politici e sociali. Alla Luce dell’Amore di Dio – sappiamo quanto purtroppo esso sia stato sovente disatteso e perfino tradito dall’uomo – la distribuzione della proprietà e dei beni, si tratta della cosiddetta “destinazione universale”, si impone contro l’accumulazione e la concentrazione della ricchezza. Accumulazione e concentrazione sono la diretta conseguenza della ferita originaria – ossia il ripiegamento autoreferenziale conseguente alla chiusura del cuore all’Amore di Dio – che l’uomo ha inferto alla propria natura inseguendo l’ingannevole promessa ofidica di auto-deificazione, secondo la gnosi spuria contrapposta all’autentica Gnosi Divina che è la Sapienza rivelata e, poi, incarnata.

Benedetto XVI, infatti, ha insegnato nel solco tracciato a partire dalla “Rerum Novarum” di Leone XIII (1891) la quale – secondo l’insegnamento risalente direttamente a Gesù Cristo – ha indicato nel “distributismo” la via della giustizia tra gli uomini. Il paragrafo 7 della Rerum Novarum recita: «la terra, sebbene divisa tra i privati, resta nondimeno a servizio e utilità di tutti». Più tardi due grandi scrittori inglesi cattolici, Gilbert K. Chesterton e Hilaire Belloc, avrebbero dato avvio ad una scuola di pensiero denominata non a caso “distributismo”, che ebbe anche realizzazioni concrete, interna al movimento “guildista”. Nell’Inghilterra della “catholic renaissance” – inaugurata dal santo cardinale John Henry Newman e giunta fino a John Reginald Ronald Tolkien – Chesterton, Belloc ed il guildismo si opposero polemicamente allo spirito di accumulazione anglosassone. Quest’ultimo si era formato all’epoca della svolta scismatica di Enrico VIII, quando emerse una nuova aristocrazia predatrice che accumulò enormi latifondi privatizzando le antiche terre comuni e sopprimendo i diritti comunitari delle popolazioni rurali sulle terre signorili ed ecclesiastiche oltre che reprimendo le arti cittadine. A questa storia di abusi e di crimini Chesterton e Belloc contrapposero il distributismo auspicato dal magistero di Leone XIII nella scia della Tradizione. La “proprietà per tutti” invocata da Papa Pecci può realizzarsi soltanto mediante la distribuzione e la comproprietà, ovvero l’istituto giuridico della “comunione” discendente dalla romana “communio”. La comproprietà non è affatto statualizzazione ma una forma di esercizio associato della proprietà privata. Il distributismo può realizzarsi solo favorendo nel modo più ampio possibile la diffusione della proprietà privata popolare. Cosa che implica, è evidente, politiche intese a rendere effettiva la partecipazione alla proprietà produttiva piuttosto che favorevoli all’accumulazione finanziaria e capitalista, nella forma delle grandi società anonime, o all’accentramento statualista, nella forma della nazionalizzazione integrale dei mezzi di produzione, al di là della sfera necessaria alle prestazioni sociali dello Stato ed all’indipendenza nazionale (come ad esempio l’energia, le infrastrutture, la moneta ed il credito).

Ma è mai possibile una applicazione vasta del distributismo oppure esso è solo una pia utopia? É evidente che, in quanto insegnamento etico desunto dalla Rivelazione, esso non può ridursi ad una strategia di politica economica da applicare esclusivamente mediante un sistema coerente di legislazione. Certamente serve anche questo, tuttavia la condizione imprescindibile per il distributismo è la metanoia ossia la conversione del cuore all’Amore di Dio.

Posta questa fondamentale premessa, che non può essere accantonata, vogliamo qui comparare la prospettiva distributista con la scienza economica nella varietà delle sue scuole.

Scuola classica: da Adam Smith a Karl Marx attraverso David Ricardo

Lungo i secoli della Cristianità l’economia non aveva una sua fisionomia scientifica autonoma confondendosi con l’etica e quindi con una branca della teologia. La scienza economica nacque in fin dei conti dall’etica. Una scuola teologica come quella di Salamanca, nel XVI secolo, ha formulato alcuni concetti economici che avrebbero fatto strada nella scienza economica moderna. Questa radice etico-teologica conferiva, almeno in linea teoretica, un orientamento sovra-economico all’agire economico. La convinzione era quella per la quale lavoro e produzione, come ogni altra attività umana, dovevano essere volti al destino eterno dell’uomo, irraggiungibile senza l’esercizio della giustizia e della carità. Nella prassi le cose andavano diversamente perché la realtà concreta delle dinamiche economiche imponeva la ricerca di un contemperamento tra principi etici ed esigenze pratiche: si pensi alle lunghe discussioni universitarie intorno alla legittimità o meno del prestito ad interesse che si accompagnavano a pratiche creditizie e commerciali intese ad aggirarne il divieto onde venire incontro alle necessità dell’emergente economia mercantile e cittadina (1).

A partire dal XV secolo, le borghesie cittadine, ossia “la gente nuova e i subiti guadagni” cui alludeva polemicamente Dante Alighieri già due secoli prima, iniziarono a scalpitare per emanciparsi dall’orientamento sovra-economico dell’attività economica, per tutta ridurla a mero strumento dell’avidità e dell’accaparramento mondano. Proprio dalla crisi umanista della Cristianità del quattrocento – nacque allora il frazionamento della Res Publica Christiana quale conseguenza dello scisma d’Occidente e, più tardi, della rottura luterana con la conseguente nazionalizzazione ecclesiale a supporto degli emergenti regni nazionali in opposizione al Sacro Romano Impero – prese avvio il processo di emancipazione, e quindi di secolarizzazione, dell’agire economico dal suo contesto teologico tradizionale, con la sostituzione all’etica cristiana della nuova etica umanitaria. Fu quello il primo passo verso l’obiettivo, conseguito soprattutto negli ultimi due secoli, della completa emancipazione della scienza economica da qualsiasi legame con ogni tipo di etica, anche quella umanitaria, in una pretesa di auto-referenzialità, rivelatasi alla fin dei conti dannosa per l’economia pratica.

Quel grande storico dell’economia che fu Amintore Fanfani ha dimostrato, sulla scia di Giuseppe Toniolo ma con una maggiore acutezza di analisi, che la nascita dello “spirito del capitalismo” deve essere retrodatata al XV secolo, ossia alla crisi della Cristianità medioevale. Le ricerche storiche di Fanfani hanno contribuito a confutare la nota tesi di Max Weber per la quale la radice dello spirito capitalistico andrebbe cercata nell’“ascetismo professionale” del calvinismo. Il protestantesimo, in particolare nella sua forma calvinista, ha soltanto amplificato gli effetti di una svolta già in atto da più di un secolo.

All’interno di questa dinamica storica, lo studio dei fenomeni economici assurse in modo pieno al rango di scienza autonoma nel XVIII secolo. La prima, vera e propria, scuola economica, nel senso moderno, fu quella dei fisiocrati. Subito dopo di loro prese forma la scuola classica di economia intorno al pensiero di Adam Smith. Questi era un moralista ma la sua morale, quella dell’anglicanesimo inglese, non era più nutrita dal flusso spirituale che solo l’appartenenza ad una legittima Tradizione può assicurare. La fisiocrazia e la scuola classica entrarono in scena sbandierando il principio della libertà e criticando la politica vincolista, dirigista e protezionista del “mercantilismo” ovvero la politica che nel secolo precedente, accompagnando ovunque la formazione delle monarchie assolute, aveva trionfato con Colbert in Francia.

Alla scuola classica va il merito di aver dato veste scientifica al problema, già intuito in precedenza, dell’equilibrio tra offerta e domanda e quindi del “giusto prezzo”, sforzandosi anche di individuare il metodo ritenuto migliore, nella prospettiva individualista di detta scuola, per garantire tale equilibrio. Quello del prezzo giusto era un problema antico e ben noto alla riflessione teologica sui fenomeni economici, sin dai tempi della Scolastica medioevale. Non si trattava quindi di una questione nuova. Innovativo fu, invece, l’approccio della scuola classica che individuò nel libero agire delle forze economiche, quindi nella capacità di regolazione spontanea del mercato, lo strumento migliore per assicurare l’equilibrio economico ed il giusto prezzo. La scelta per il libero mercato comportava la critica verso ogni inferenza sovra-economica, di tipo etico o di tipo vincolista. Era la nascita del cosiddetto “laissez faire”.

La scuola classica di economia avrebbe fatto molta strada. La sua impostazione oggettivista, tuttavia, come si dirà, ha avuto un esito inaspettato perché sulle sue basi teoretiche si sarebbe fondata la critica marxiana al capitalismo. La gnoseologia oggettivista che essa fece propria – il reale dotato di una autonoma consistenza rispetto al soggetto conoscente – la poneva ancora, in qualche residuale modo, nella scia dell’eredità “tomista”. Senza dubbio c’era di mezzo la svolta anglicano-protestante che allontanava Adam Smith da Tommaso d’Aquino – in quella svolta, d’altro canto, era già insita la possibilità della reinterpretazione soggettivista dei suoi presupposti che sarebbe intervenuta nella seconda metà del XIX secolo – e tuttavia, al netto di tale lontananza, sussisteva nel pensiero dei classici quel realismo gnoseologico che aveva contrassegnato la filosofia occidentale sulla scia aristotelico-tomista. La scuola classica di economia, infatti, trattava di cose reali, di valore di scambio inteso come valore insito nella materialità dei beni e quindi di equiparazione tra concretezze la cui stima economica non dipende dal soggetto che le utilizza ma è in re ipsa ossia nella loro stessa sostanza. Da qui poi l’idea, errata, che anche la moneta cartacea di origine bancaria, comparsa da appena un secolo ai tempi di Adam Smith, fosse una merce – come lo era stata un tempo quella aurea – il cui valore sarebbe una funzione della sua rarità, sicché il suo eccesso quantitativo finisce per deprezzarla, ingenerando inflazione, proprio come l’eccesso di una qualsiasi merce ne riduce il valore. Anche il lavoro umano era colto nella prospettiva quantitativa ossia di quanto lavoro è necessario per produrre un bene. In tale ottica Adam Smith definiva il lavoro come “merce” offerta dal lavoratore in cambio di un corrispettivo ossia il salario.

Dopo Adam Smith i postulati teoretici classici furono sviluppati e messi a punto, in chiave scientifica ed analitica, da David Ricardo. Il Karl Marx economista segue pedissequamente la scia di Ricardo portandone ad estremo esito i postulati per rivolgerli contro il capitalismo. Sotto questo profilo anche Marx opera in una qualche misura all’interno della gnoseologia aristotelica-tomista. Filosoficamente Marx dipende da Hegel, quindi dall’idealismo che da Kant in poi aveva criticato aspramente il realismo gnoseologico tradizionale. Tuttavia allo scopo di rovesciare l’idealismo in materialismo egli doveva inevitabilmente approdare sul terreno gnoseologico degli economisti classici, di Ricardo in particolare, assumendone, sub specie economica (altro è il Marx filosofo della storia), la prospettiva realista per portarla alle estreme conseguenze. Ossia da un lato, sulla base dell’idea appunto ricardiano-smithiana del “lavoro merce”, alla teoria del plus-valore per la quale il profitto del capitalista corrisponde al furto di una parte del valore di scambio del lavoro, come tale non adeguatamente retribuito nella stessa quantità impiegata nella produzione, quindi ad una quota salariale non debitamente riconosciuta al lavoratore, e dall’altro lato alla tesi per la quale la pacifica armonia, promessa dal mercato liberato, non sarebbe stata raggiunta fintantoché sussistevano la proprietà privata e l’accumulo capitalista. Soltanto l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione – in un primo momento sottoforma di statizzazione ed in un secondo momento nella forma autogestionaria della società comunista compiuta –, insieme alla contestuale abolizione dello Stato, avrebbe consegnato l’umanità alla prosperità di un mondo senza più conflitti e del tutto “umanizzabile” ossia manipolabile secondo la misura antropocentrica cui l’uomo, finalmente emancipato dalle alienanti sovrastrutture religiose e politiche nonché per questo diventato unico “datore di senso” quando non vero e proprio “creatore”, lo avrebbe costretto.

La Scuola neoclassica

Se in Marx c’è senza dubbio una matrice di titanismo soggettivista, di matrice idealista, il suo ragionar economico dipende, come si è visto, dal realismo della scuola classica di economia, sicché la critica marxiana al capitalismo era praticamente inconfutabile sulla base dei presupposti classici. I vecchi economisti della cattedra non ebbero serie argomentazioni da opporre a Marx fino a quando Carl Menger, nella seconda parte del XIX secolo – la sua opera “Principi di economia” è del 1871 –, non reinterpretò il pensiero dei classici in termini di “utilità marginale”. Il marginalismo mengeriano, infatti, sostiene che alla base dell’agire economico non vi è alcun valore in re ipsa delle cose ma l’apprezzamento soggettivo della loro utilità. É il soggetto agente che conferisce valore alle cose a seconda della utilità percepita, in un dato momento, e come tale suscettibile di variare nel corso del tempo. Se ho sete, un bicchiere d’acqua ha per me il massimo del valore ma man mano che bevo, e placo la mia sete, il valore di un secondo bicchiere d’acqua è molto inferiore al primo. L’impianto filosofico che sta dietro il mengerismo è evidentemente soggettivista e si riallaccia alla tradizione idealista tedesca. Con questo approccio era possibile rispondere al realismo marxiano ma al costo di una rimodulazione del pensiero classico, fuoriuscendo del tutto dalla gnoseologia tradizionale.

Menger è stato il fondatore della “scuola austriaca” altresì nota come “scuola psicologica” o “scuola viennese”. Essa è una delle versioni, la più nota, dell’indirizzo neoclassico di economia. I successivi rappresentanti della scuola viennese, più conosciuti del fondatore, rispondono al nome di Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises. Il soggettivismo neoclassico consentiva di riaffermare, ma su basi nuove, l’individualismo dei classici messo in crisi dall’uso che ne aveva fatto il marxismo per perorarne l’inevitabile esito collettivista. Ma su questa strada, quella soggettivista, è impossibile non imbattersi nello stesso Marx – il Marx coerentemente liberale che esclude la sussistenza dello Stato nella società comunista compiuta – benché per via anarchica. Murray Rothbard, il più brillante allievo di Mises, sviluppò le tesi austriache nel senso di un individualismo così estremo da sfociare nell’anarchismo libertarian – «Il capitalismo è la piena espressione dell’anarchismo e l’anarchismo è la piena espressione del capitalismo» egli ha sostenuto in una intervista (The New Banner: A Fortnightly Libertarian Journal on 25 February 1972) – dando vita al movimento anarco-capitalista o del “capitalismo libertario” espressione avanzata del libertarismo di destra.

Nell’impostazione anarco-capitalista lo Stato deve essere smantellato pezzo per pezzo giacché il mercato non ha alcun bisogno di etero-regolazione per funzionare. Rothbard ha una visione del mercato analoga a quella che della società comunista compiuta aveva Marx: nell’uno e nell’altro caso è l’azione di una mano invisibile o dell’autogestione sociale a rendere possibile la perfetta convivenza, armoniosa ed a-conflittuale, degli uomini. L’economista americano, che trova oggi facile credito tra i teo-conservatori cattolici, ha persino tentato di arruolare, nella sua prospettiva libertaria, la scuola teologica di Salamanca, del XVI secolo, per certi suoi sviluppi di pensiero etico favorevoli alla libertà nei contratti e negli scambi, ed ha provato, per tale via, a reclutare anche il tomismo tra gli antesignani del libertarismo. In realtà egli confondeva il lockismo con il tomismo ossia dava di quest’ultimo una esegesi post-scolastica trascurando che mentre per Locke il fondamento della vita sociale è nel contratto, quindi nella autodeterminazione volontaristica di soggetti, supposti titolari di una libertà assoluta, che ai fini di convivenza regolano sinallagmaticamente questa assoluta libertà, invece per l’Aquinate la comunità politica ha il suo fondamento nella natura sociale dell’uomo come creata da Dio.

Quale base comune?

Cosa, dunque, accomuna le diverse scuole economiche liberali, quella classica, quella austriaca, quella neoclassica, quella libertarian? L’elemento comune tra esse è l’approccio individualista al problema economico. Tutte queste scuole – con una parziale esclusione di quella classica che conosce categorie di “classe”, capitalisti, lavoratori, proprietari terrieri, ma soltanto per una mera necessità di inquadramento teorico dei differenti comportamenti individuali – non danno alcun rilievo alla dimensione sovra-individuale dell’economia né ammettono che l’economia possa subire inferenze dalla politica o dall’etica eteronoma (l’etica autonoma, sostanzialmente quella che ritiene bene tutto ciò che l’individuo sceglie per sé autodeterminandosi, è invece ampiamente ammessa dalle scuole liberali, dato che essa coincide sostanzialmente con l’opzione individualista). L’assunzione dell’individualismo a criterio metodologico dell’analisi economica comporta, di conseguenza, che tutte queste scuole hanno un approccio di tipo microeconomico, perché esse se non negano quantomeno sottovalutano l’inevitabile connessione dell’economia con i superiori ambiti del Politico e dell’Etica eteronoma. Affinché anche la scienza economica moderna scoprisse questa connessione, che poi si trattò di una riscoperta, è stato necessario aspettare la nascita, nel XX secolo, della “macroeconomia” affermatasi sull’onda del keynesismo. A seguito di questa (ri)scoperta le stesse scuole liberali sono state costrette a prendere in considerazione anche gli aspetti macroeconomici del funzionamento dell’economia moderna.

Quando nel 1891, vent’anni dopo la pubblicazione del libro di Carl Menger, Leone XIII, con la “Rerum Novarum”, ammonì che “il lavoro non è merce”, spiegando che la rivendicazione del “giusto salario” aveva un ineccepibile fondamento etico, ad essere messi sotto accusa non furono soltanto i classici – e con essi il marxismo che ragionava come questi circa l’essenza ed il valore del lavoro – ma anche i marginalisti neoclassici giacché l’ammonimento pontificio, in favore della dignità del lavoro inteso come espressione spirituale dell’uomo e non come merce, entrò in rotta di collisione anche con l’approccio, ad esso, in termini di utilità marginale. Infatti, secondo la prospettiva neoclassica l’imprenditore valorizza il lavoro dei dipendenti in funzione dell’utilità marginale del processo produttivo, per cui laddove la tecnica consente di impiegare meno lavoro questo si riduce in termini di valore soggettivo per il datore di lavoro reso così irresponsabile della sorte dei lavoratori in eccesso. Leone XIII opponeva al marginalismo il superiore principio sovra-economico della dignità del lavoratore, imprescindibile anche sotto il mero profilo del calcolo economico che diventa miope e di corto respiro, quindi distruttivo nel lungo periodo, se non tiene conto della “costante etica”. Quel grande Pontefice rivendicava la dimensione ontologica del lavoro umano inteso come espressione della spiritualità della persona “imago Dei” e quindi rigettava, come eticamente inammissibile, qualsiasi teoria economica che guardasse al lavoro dell’uomo – qualunque lavoro, intellettuale o manuale – nei termini di una merce ma anche in quelli di utilità marginale.

Offerta e domanda: da Jean-Baptiste Say a John Maynard Keynes

C’è, però, un altro elemento che accomuna le diverse scuole economiche liberali. Esse, nessuna esclusa, hanno elaborato i loro paradigmi esclusivamente dal punto di vista di chi guarda dal lato dell’offerta, del tutto trascurando il lato della domanda. Questo sostanziale strabismo, oltre a presentare non pochi problemi etici, porta, contrariamente alle attese di ampliamento della prosperità generale, al fallimento del mercato.

L’approccio “offertista” delle scuole liberali deriva dalla legge fondamentale dello schema economico classico, non superata neanche dalla successiva riformulazione neoclassica, nota come “Legge del Say”. Tale legge, conosciuta anche come legge degli sbocchi, fu formulata tra XVIII e XIX secolo da Jean-Baptiste Say (1767-1832). Nel Capitolo XV del Libro I del suo “Trattato di economia politica”, del 1803, egli la formulò nei seguenti termini:

«Un prodotto terminato offre da quell’istante uno sbocco ad altri prodotti per tutta la somma del suo valore. Difatti, quando l’ultimo produttore ha terminato un prodotto, il suo desiderio più grande è quello di venderlo, perché il valore di quel prodotto non resti morto nelle sue mani. Ma non è meno sollecito di liberarsi del denaro che la sua vendita gli procura, perché nemmeno il denaro resti morto. Ora non ci si può liberare del proprio denaro se non cercando di comperare un prodotto qualunque. Si vede dunque che il fatto solo della formazione di un prodotto apre all’istante stesso uno sbocco ad altri prodotti».

Dunque per il Say il denaro ricavato dalla vendita sarebbe destinato immediatamente alla spesa, sicché il venditore è sempre anche un compratore e questo offre uno sbocco alla produzione altrui. La prospettiva scelta dal Say è orizzontale, perché immagina il mercato come un sistema di agenti economici nella stessa condizione che interagiscono in una relazione di scambio, do ut des, con tutti gli altri. Uno scenario mai realmente esistito nella storia, neanche nei tempi medioevali allorché la produzione era questione di liberi artigiani riuniti in gilde. Infatti anche nel medioevo esistevano gerarchie interne alle stesse gilde, che già conoscevano pertanto la realtà del lavoro salariato, e, soprattutto, la produzione artigiana era dipendente dall’egemonia finanziaria e creditizia dei mercanti-banchieri, tanto che ben presto quello artigiano si trasformò in lavoro a cottimo nel quale veniva già prefigurato il lavoro salariato su ampia scala del capitalismo futuro. Sulla base della sua concezione a-storica ed astratta della produzione e del mercato, Say sosteneva che in regime di libero scambio non sarebbero possibili crisi prolungate, poiché «l’offerta crea la domanda». Secondo questa prospettiva “offertista” in una economia di libero mercato ciascuno, ai prezzi correnti in un dato momento, sceglie di essere compratore o venditore. Sicché se si verifica un eccesso di offerta, i prezzi tenderanno a scendere e la discesa dei prezzi renderà conveniente nuova domanda. Ecco perché, secondo Say, l’offerta sarebbe sempre in grado di creare la propria domanda. Pertanto, in caso di crisi da sovrapproduzione, il rimedio non deve essere cercato in un intervento dello Stato ma nella presunta capacità auto-regolatoria del mercato, il quale in regime di libero scambio fungerebbe di per sé da rimedio, portando di necessità alla formazione di un nuovo equilibrio economico. Il Say – ecco il punto – nel suo approccio orizzontale, incapace di vedere che nel mercato sussistono gerarchie e verticalità di reddito ossia di ceto, non riusciva a comprendere che proprio il postulato del laissez faire, la ricerca individualistica del massimo profitto al minor costo, oltre una certa misura apriva la via al fallimento del mercato giacché tra i costi da ridurre, affinché l’imprenditore possa conseguire il massimo profitto, c’è anche il costo del lavoro. Il quale, anzi, senza le opportune tutele, è il più facile da comprimere. Ma comprimere il costo del lavoro, ossia i salari, significa deprimere la domanda e quindi impedire lo sbocco che, stando alla legge dal Say postulata e che porta il suo nome, avrebbe dovuto essere automaticamente garantito per il solo fatto dell’offerta sul mercato del prodotto finale. La “profezia” marxiana sul crollo del sistema capitalistico faceva leva su aporie come questa. E se è vero che il capitalismo non è crollato, come pensava Marx, esso ha comunque dimostrato tutta la sua non eticità, causa principale delle ricorrenti crisi che lo affliggono. In altri termini, Say non comprese che l’egoismo non funziona, neanche in economia, perché danneggia il funzionamento del mercato anziché favorirlo. La “mano invisibile” è eticamente cieca e, per questo, alla lunga, anche economicamente inefficace.

L’importanza storica della Legge del Say sta nel fatto che essa fu assunta quale principio fondamentale della scuola classica e tale restò anche nella riformulazione neoclassica. Tutte le politiche dei governi occidentali, fino agli anni ’30 del XX secolo, furono guidate da tale principio e di fronte alle crisi si reagiva con provvedimenti atti, presuntamente, a favorire l’offerta senza porsi minimamente il problema della domanda. Tanto, sulla base della visione classica e neoclassica, la domanda sarebbe tornata a livelli ottimali automaticamente per la dinamica stessa del mercato. Uno dei principali provvedimenti che le politiche economiche offertiste utilizzavano – ed utilizzano ancor oggi – è la riduzione dei salari onde consentire al produttore offerente di abbassare i costi del prodotto ed ingenerare così il nuovo equilibrio di mercato. In realtà, si tratta di un suicidio economico paragonabile al salasso praticato ad un anemico.

La scienza economica iniziò a rendersi conto dell’infondatezza del postulato del Say soltanto negli anni ’30 del secolo scorso per opera, in particolare, di John Maynard Keynes. L’economista inglese ebbe il merito di conferire dignità scientifica al pensiero di diversi economisti dilettanti, come il maggiore Charles Douglas e Silvio Gesell teorico della cosiddetta “moneta prescrittibile”, i quali, benché confusamente, avevano già individuato le origini delle crisi di mercato, delle recessioni e delle depressioni, nella insufficienza della domanda. Questi dilettanti dell’economia, pur senza riuscire a dare alle loro intuizioni quella veste scientifica necessaria a non essere snobbati dall’accademia, avevano messo in discussione il postulato classico e neoclassico: l’offerta non genera automaticamente domanda. La sovraproduzione è soltanto il sottoconsumo visto dal lato dell’offerta sicché se ci poniamo, invece, dal lato della domanda emerge che è la flessione di questa ad impedire alla produzione di trovare mercato, con la conseguenza che le merci restano invendute nei magazzini innescando il crollo dei profitti. In qualche modo, dunque, è piuttosto l’offerta a dipendere dal livello della domanda, ossia – questo è il punto – dal livello del reddito dei produttori che sono anche i consumatori.

Il Gesell, che fu anche ministro della Repubblica socialista bavarese del primo dopoguerra, proponeva, onde far circolare il denaro e sostenere la domanda, la moneta prescrittibile, ossia una moneta che perdeva valore se non fosse stata periodicamente bollinata dall’Autorità. In tal modo egli non fece altro che proporre un espediente affinché fosse impedita la tesaurizzazione monetaria e favorita, pena la perdita di valore, la spesa dei consumatori e, quindi, per tale via, stimolata la domanda. La moneta geselliana ebbe pratica applicazione, tra le due guerre mondiali, in alcuni villaggi austriaci, con ottimi risultati, finché non intervenne la Banca centrale ad impedirne l’uso. Molti anni dopo, nel 2000, un esperimento simile fu tentato nella cittadina abruzzese di Guardiagrele, in provincia di Chieti, in base alle idee sulla “proprietà popolare della moneta” del giurista Giacinto Auriti, professore ordinario di diritto internazionale e di teoria generale del diritto. Anche in tal caso con ottimi risultanti di stimolo della stagnante domanda, fino a che non arrivò, puntuale, l’intervento repressivo della Banca d’Italia attuato attraverso la magistratura.

John Maynard Keynes, nella sua “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” (1936), facendo tesoro delle intuizioni dei citati dilettanti, in particolare di quelle di Gesell, ha smontato il postulato portante dell’economia classica, ossia la Legge di Say, dimostrando che l’assunto sulla base del quale essa fu formulata, ossia l’automatica generazione di domanda provocata dall’immissione di un prodotto sul mercato, è falso in quanto il detentore di moneta può essere motivato a tesaurizzarla invece che spenderla (2). La tesaurizzazione consiste nella fuoriuscita di parte del reddito, ricevuto sotto forma di salari, profitto o interesse, dal circuito economico definito dalla circolazione monetaria. Keynes, in altri termini, portò il discorso dall’ambito microeconomico, all’interno del quale ragionava l’economia classica, a quello macroeconomico. In tale ambito, infatti, piuttosto che la domanda sic et simpliciter è necessario prendere in considerazione la “domanda aggregata (o effettiva)”, ossia la domanda nella sua dimensione sovra-individuale e pertanto “politica”. La domanda aggregata può flettere verso il basso per una serie di cause una delle quali, tra le principali, è l’eccessiva diseguaglianza reddituale tra i fattori della produzione, ossia capitale, tecnica e lavoro.

In sostanza Keynes indicava tra le cause che sono all’origine delle ricorrenti crisi del mercato capitalistico anche l’ingiusto trattamento salariale e suggeriva una maggiore equità sociale quale rimedio alle recessioni, in controtendenza con quanto fino a quel momento si era fatto per affrontare le crisi ossia ridurre i salari. Keynes, il cui pensiero può essere ascritto ad un socialismo democratico non marxista benché egli non abbia negato di essere anche un “conservatore riformista” (3), poneva all’attenzione degli imprenditori la cecità delle politiche economiche intese al contenimento salariale che, oltretutto, favoriscono il conflitto anziché la pace sociale. I suoi contraddittori gli rimproveravano di non tener conto del fatto che gli aumenti salariali si traducono in aumento dei costi di produzione e quindi del prezzo di mercato dei prodotti, in altri termini in inflazione. Keynes rispondeva, a questo genere di critiche, che l’inflazione da costo del lavoro – perché altro discorso è quello da farsi per l’inflazione da costo delle materie prime, come quella oggi riapparsa a seguito della pandemia, o per l’inflazione da domanda quando si inceppa l’offerta – si verifica solo quando l’economia raggiunge la sua piena capacità produttiva. Prima di allora, l’aumento della domanda richiede un aumento dell’offerta: se un numero maggiore di lavoratori viene assunto per produrre quantità maggiori di beni e servizi, allora la domanda e l’offerta crescono congiuntamente.

Negli stessi anni nei quali Keynes sviluppava le sue innovative idee, lo stesso problema, ossia la centralità della domanda, fu intuito, nei termini etici tipici della Dottrina Sociale della Chiesa, che è per l’appunto una branca della teologia morale, da un grande pontefice, Pio XI, il quale nell’enciclica “Quadragesimo Anno”, del 1931, indicò, come causa dell’ingiustizia e della crisi, il fatto che «il capitale troppo ha preteso di aggiudicare a sé stesso». Pio XI e Keynes convergevano, per strade diverse, nell’individuazione della radice sovra-economica del problema economico. Lo squilibrio economico e sociale, generatore del conflitto e delle crisi, ha cause innanzitutto etiche che afferiscono alla tendenza umana all’egoismo. Non è, dunque, vero che dal libero agire degli egoismi individuali sortisce il migliore dei mondi possibili, come ritengono le scuole liberiste. Tuttavia, mentre il Pontefice, senza trascurare le soluzioni politiche, perorava innanzitutto la “metanoia”, ossia la “conversione del cuore”, per rimediare efficacemente al “peccato sociale”, Keynes, senza affatto trascurare il fattore decisivo della persuasione intellettuale, guardava essenzialmente proprio alle soluzioni di politica economica. La distanza tra i due approcci si assottiglia laddove si consideri che la scelta per politiche di indirizzo sociale abbisogna in qualche modo, se non di una vera e proprio metanoia in senso teologico, comunque di una apertura ad una dimensione umana che non può prescindere da una sensibilità etica. Non era dunque un caso se l’economista inglese riteneva necessario un alto standard morale per l’azione politica e, quindi, che persone di alta statura morale, dotate di senso dello Stato e di senso del bene comune, fossero poste a capo delle Istituzioni pubbliche affinché queste, con saggi interventi di politica economica, potessero rendere più efficace e giusto il funzionamento del mercato.

Come ha rilevato Maria Cristina Marcuzzo, in “Moneta e credito” vol. 70, n. 277, marzo 2017: «Lasciare che gli individui perseguano il proprio interesse personale – come nella parabola di A. Smith dove il benessere sociale è il risultato del perseguimento del profitto individuale, come fa “il macellaio, il birraio e il panettiere”, è un’idea che non ha validità generale, perché non ci sono sempre forze in grado di armonizzare gli interessi individuali e in secondo luogo perché l’esito aggregato del comportamento economico non è lo stesso di quello individuale. Se l’obiettivo è di cambiare il contesto in cui gli individui agiscono e ottenere cambiamenti di atteggiamento bisogna prioritariamente modificare il modo in cui viene visto il problema economico. A questo risultato Keynes ritiene si possa arrivare usando il potere della persuasione. In una lettera a Thomas S. Eliot del 5 aprile 1945, scrive: “il compito principale è suscitare la convinzione intellettuale e poi intellettualmente trovare i mezzi. Il problema è la mancanza di intelligenza, non di bontà […]. Quindi la politica della piena occupazione è solo una applicazione particolare di un teorema intellettuale” (Keynes, 1980b, p. 384)».

Persuasione diceva Keynes, metanoia sosteneva, in una visione più alta, Pio XI. Ma entrambi indicavano nella dimensione sovra-economica la radice di una economia più giusta.

Il moltiplicatore keynesiano e la critica monetarista

Per Keynes, tuttavia, una politica salariale “giusta” non è in grado da sola di risolvere il problema del sostegno alla domanda aggregata. Infatti la tendenza alla tesaurizzazione, soprattutto nei periodi di crisi quando la gente ha paura del futuro, può manifestarsi anche tra i lavoratori salariati, che così non spendono il loro reddito direttamente o tramite il conferimento del risparmio al sistema bancario il quale, per la stessa tendenza a tesaurizzare, che nel suo caso si identifica con il timore del rischio nell’incertezza della stabilità economica, non spinge adeguatamente le possibilità di investimento fino al limite massimo consentito in un dato momento. Un ruolo fondamentale, nel sostegno della domanda, lo gioca, secondo Keynes, la spesa pubblica.

Laddove gli economisti classici e neoclassici denunciavano la rigidità salariale imposta dalla contrattazione sindacale come causa di impedimento della flessibilità di cui necessita il mercato, Keynes rispondeva che non è la rigidità salariale a spiegare l’inefficacia del mercato ma il basso livello della domanda aggregata. La differenza maggiore tra Keynes e gli economisti di scuola liberista sta però nel fatto che egli sottrae ai prezzi, quindi anche ai salari, che sono il prezzo di remunerazione del fattore lavoro, ed al tasso di interesse, che è il prezzo di remunerazione del prestito di investimento, il ruolo principale nell’aggiustare la domanda e l’offerta allo scopo di avviare il sistema verso un equilibrio di pieno impiego. Lo strumento più sicuro nel sostegno alla domanda aggregata, senza usare il quale questo sostegno non si concretizza nella misura necessaria, è, per Keynes, la spesa pubblica in deficit. Probabilmente è qui uno dei punti focali della querelle tra neokeynesiani e postkeynesiani, di cui si è fatto cenno nella nota n. 3, perché, in effetti, il pensiero di Keynes, come emerge dalla sua “Teoria generale”, sembra dar adito sia ad una visione moderata dell’intervento dello Stato sia ad una visione più radicale. Ci sono parti della sua opera nelle quali sembra che l’economista di Cambridge non sia affatto favorevole ad un indiscriminato uso di investimenti pubblici, finanziati in deficit di bilancio. Il suo appello, come espresso nella “Teoria generale”, alla necessità dell’intervento dello Stato viene sovente da lui inteso nel senso che allo Stato basta soltanto il controllo del livello totale degli investimenti, attraverso una azione diretta o indiretta, ma guardando sempre all’incentivo di mercato, ossia all’iniziativa privata, che non deve essere soppressa. Lo Stato deve creare un clima di fiducia per gli imprenditori ed investitori e questo è possibile in considerazione della tendenza degli investimenti privati a seguire quelli pubblici, giacché questi ultimi, aumentando il livello di domanda aggregata, attirano i primi con la prospettiva di un alto livello di domanda pubblica e privata e quindi con la possibilità di trovare sbocchi alla produzione. Nella “Teoria generale” questo è detto esplicitamente sicché l’immagine di un Keynes “statalista” o “assistenzialista” è discutibile. Secondo dunque questa interpretazione, che è quella preferita dai neokeynesiani, l’economista inglese non assegna allo Stato altre funzioni che non siano quelle di una politica di sostegno attivo della domanda aggregata tale, però, da non risolversi in una spesa pubblica improduttiva o in una “burocratizzazione” dell’economia. D’altro canto, nelle stesse pagine della “Teoria generale” ci sono altri passaggi dai quali può desumersi che, in fondo, Keynes pensasse ad una azione dello Stato più radicale, intesa ad un graduale superamento del capitalismo ed alla trasformazione dell’economia di mercato in una “economia socializzata di mercato” nella quale lo Stato avrebbe assunto funzioni molto più vaste fino a gradualmente identificarsi con la società, diventando ad essa immanente in una sorta socializzazione non solo del mercato ma anche dello Stato (probabilmente Keynes non sospettava che una filosofia sociale simile era perorata, negli stessi anni nei quali egli scriveva, da Giovanni Gentile, in particolare quello della sua ultima opera, postuma, “Genesi e struttura del società”). Secondo questa interpretazione più radicale del pensiero di Keynes, lo Stato dovrebbe diventare “Datore di lavoro di ultima istanza” in quanto chiamato a dare lavoro non solo attraverso il sostegno alla domanda con il deficit spending ma anche, in particolare, attraverso una programmazione democratica, attuata per via partecipativa dal basso, che stabilisca ex ante cosa produrre – non solo come produrre –, in quale misura importare ed in quale misura proteggere la domanda interna – da preferire, contro un eccessivo liberoscambismo, a quella esterna –, il livello di controllo anti-speculativo sul sistema bancario e sui movimenti di capitale, il controllo della politica monetaria per evitare la formazione di cambi monetari rigidi o poco flessibili ossia il formarsi di “vincoli esterni” che, con le loro costrizioni ad aggiustamenti deflazionistici, favoriscono le spinte capitalistiche alla internazionalizzazione e impongono la “disciplina del lavoro” ovvero il contenimento o la riduzione salariale – in altri termini avvantaggiano i capitalisti a danno dei lavoratori – , nonché la misura, alquanto ampia, dell’offerta di occupazione pubblica per lavori socialmente utili.

L’interpretazione postkeynesiana del pensiero di Keynes, a ben rifletterci, si presenta come il paradigma economico di quello che oggi potremmo chiamare Sovranismo di Sinistra, il quale, proprio per questo, non può non richiamare in causa le idee di Comunità, di Patria, di Identità, di Appartenenza, di Tradizione proprie al pensiero della Destra antimoderna – antimoderna non per nostalgia delle forme sociopolitiche del passato ma in quanto rigetta, in una visione organicista del vivere associato, il fondamento intrinseco della modernità ossia l’individualismo –  come appunto avviene, giocoforza, nel pensiero di studiosi di sinistra di certa notorietà i quali si oppongono innanzitutto alla deriva radical-chic, cosmopolita, “arcobaleno”, individualista (che asseconda in particolare la pseudo-religione dei “diritti civili” e la morale liquida postmoderna)  della sinistra neoliberale. Facciamo qui gli esempi di Stefano Fassina, fondatore dell’associazione “Patria e Costituzione” e rivalutatore del pensiero cattolica personalista e della Dottrina Sociale della Chiesa, e di Sahra Wagenknecht, già leader di Die Linke, partito di estrema sinistra tedesco, che nel suo ultimo libro (4) recupera a sinistra il pensiero tradizionalista e conservatore di Edmund Burke proprio perché questo genere di conservatorismo offre quell’approccio organicista ed anti-individualista che la sinistra ha completamente perduto (a causa, aggiungiamo noi, dell’intrinseca essenza antropocentrica, quindi individualista e liberale, del pensiero di Karl Marx, il quale non mirava a liberare il proletariato – liberazione che nel suo intento era soltanto il motivo storicamente occasionale del vero e più ampio obiettivo – quanto a emancipare l’uomo da quelle che lui reputava, erroneamente, le sovrastrutture tradizionali del Sacro e della Comunità, per restituire all’umanità la sua “onnipotenza” alienata nell’immagine di Dio e dello Stato, considerati l’Uno e l’altro, sulla scia della filosofia di Feuerbach, di Fichte e di Hegel, proiezioni  esteriorizzate dell’io da ricondurre nel completo dominio umano) .

Un elemento fondamentale della teoria keynesiana è il cosiddetto “moltiplicatore”. Si tratta della formula per la quale ad ogni aumento della spesa autonoma (ad esempio investimenti o esportazioni) corrisponde – attraverso la spesa indotta (consumi, al netto delle imposte e delle importazioni) – un aumento di reddito maggiore della spesa iniziale se esistono contestualmente capacità produttiva inutilizzata e disoccupazione. Da qui il nome di moltiplicatore dato agli effetti della spesa in deficit di bilancio, cioè la spesa pubblica maggiore del gettito fiscale (resa possibile dal fatto che, analogicamente alla quasi moneta bancaria e creditizia, anche le promesse di pagamento dello Stato circolano come fossero moneta nonché dal fatto che lo Stato, attraverso la Banca centrale, crea moneta dal nulla). Nella teoria keynesiana il moltiplicatore è capace di generare reddito e, quindi, il risparmio ed il gettito (in funzione del reddito creato) necessari a finanziare l’investimento iniziale.

La critica monetarista di Milton Friedman, negli anni sessanta del secolo scorso, si appuntò proprio sugli effetti del moltiplicatore keynesiano, fino ad allora incontestati. Milton Friedman dimostrò che il valore del moltiplicatore è molto più basso di quanto si era ritenuto per trent’anni perché il consumo non risponde in modo proporzionale all’aumento del reddito dei lavoratori, mentre quest’ultimo veniva indicato come responsabile delle impennate inflattive. L’alta inflazione degli anni settanta – che tuttavia non era inflazione monetaria ma inflazione da costi conseguente all’aumento del prezzo greggio, a causa del blocco dell’offerta di petrolio da parte dei Paesi arabi come ritorsione all’aggressività bellica di Israele – sembrò dare ragione a Milton Friedman inaugurando in tal modo la stagione neoconservatrice di Reagan e della Thatcher con un ampio ritorno alle politiche neoliberiste di contrazione dei salari e di accumulazione del capitale, in una prospettiva transnazionale di liberalizzazione finanziaria che avrebbe preparato la globalizzazione dell’ultimo decennio del secolo e del primo del nuovo millennio. La critica monetarista aprì una stagione di nuova sfiducia sull’efficacia della politica fiscale, ossia della politica di spesa statale. A tale critica – che coagulò intorno ad essa la formazione della cosiddetta “Nuova Scuola Classica” egemone per tutti gli anni ottanta e novanta ossia quelli dell’affermarsi del neoliberismo – i neokeynesiani opposero una difesa, teoricamente debole, perché relegarono l’efficacia del moltiplicatore al breve periodo senza più pretese di affermarla nel lungo periodo. In questo, in qualche modo, confortati dallo stesso Keynes che ai suoi critici liberisti, secondo i quali lasciato ad esso il tempo necessario l’automatismo del mercato rimette tutto a posto, soleva rispondere che nel lungo periodo saremo tutti morti.

Ma la storia è soprattutto storia dell’imprevedibilità che contrassegna la dinamica della lotta tra paradigmi e le conseguenti, sempre illusorie, egemonie scolastiche: «Fino alla crisi del 2007-2008 – scrive ancora Maria Cristina Marcuzzo nel suo contributo già citato – la maggior parte degli economisti in università prestigiose, in istituzioni come la World Bank e il FMI, in autorevoli giornali e riviste come il Financial Times e l’Economist accettò le stime di un basso valore del moltiplicatore come prova dello scarso o addirittura nullo impatto della spesa pubblica. Gli argomenti tradizionali contro gli interventi congiunturali – ritardi nei meccanismi decisionali e d’implementazione – uniti all’ipotesi di aspettative razionali di agenti che anticipano e neutralizzano l’azione dell’autorità pubblica, facevano apparire impossibile utilizzare al momento giusto la politica fiscale come strumento per rilanciare l’economia. Tuttavia il moltiplicatore è ritornato sulla scena dopo la crisi [del 2008]. Negli anni cinquanta e sessanta, all’apice del Keynesismo, si stimava che il valore del moltiplicatore fosse approssimativamente pari a due. Negli anni novanta e duemila le stime econometriche mostravano valori molto bassi, assestandosi intorno a 0,5-0,7. Nel 2009 il FMI e la UE portano le stime del moltiplicatore all’interno di una forchetta tra 0,9 e 1,7 (Marcuzzo, 2014). Finalmente abbiamo di nuovo un moltiplicatore che moltiplica, perché questo non si può non vedere – come nel caso dell’Europa dell’austerità – quando la spesa autonoma si riduce».

Domanda aggregata e redistribuzione degli utili

Anche se Keynes affida all’effetto moltiplicatore della spesa pubblica il ruolo principale nel sostegno della domanda aggregata, non si deve credere, con troppa facilità, che egli considerasse del tutto secondario lo strumento della giusta politica salariale. Al contrario, egli guardava ad essa sia per motivi etici che per motivi economici. Non mancò infatti di indicare in un buon livello salariale un elemento comunque importante nelle politiche di sostegno della domanda effettiva.

Questo ci porta, ora, – nel contesto del presente contributo inteso a richiamare l’attenzione sulla dimensione sovra-economica del problema di una sana economia – ad esaminare la soluzione partecipativa del rapporto tra azienda e dipendenti nell’ottica del rafforzamento della domanda e del contemperamento di quest’ottica con una visuale non del tutto dimentica, sarebbe un errore anche questo, del lato dell’offerta.

Generalmente si parla del “salario di produttività” come di uno strumento per assicurare una dinamica salariale che, in quanto legata agli andamenti della produttività, venga incontro alle esigenze rivendicative dei lavoratori senza indurre spinte inflattive, da costo del lavoro, sul prezzo finale della produzione. Molti, tuttavia, confondono il “salario di produttività” con la “partecipazione agli utili” benché le due cose non coincidano in maniera perfetta, dato che il primo sembra piuttosto connettere i soli aumenti salariali al saggio di produttività mentre la seconda tende piuttosto alla redistribuzione di una quota dell’utile netto ai dipendenti.

La dinamica partecipativa del salario – qui sta la sua diversità – agisce sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda perché essa per un verso presuppone che sia conseguito un margine di profitto e per l’altro verso realizza la redistribuzione della ricchezza prodotta a sostegno della domanda. In un’ottica partecipativa il lavoro dei dipendenti da mero costo, nel calcolo economico dell’impresa, tende a diventare socio dell’imprenditore, apportatore di know-how professionale esecutivo al complesso patrimoniale aziendale. Senza, come si è già detto, provocare spinte inflattive ma adempiendo pienamente al sostegno della domanda.

Orbene, proprio perché per loro natura svolgono una funzione redistributiva della ricchezza, tali strumenti di politica sociale e aziendale non sono affatto indifferenti in una prospettiva keynesiana, che, come sappiamo, guarda prevalentemente dal lato della domanda. Infatti – sia nella forma del salario di produttività sia in quella della più piena partecipazione agli utili netti – siamo comunque di fronte ad una redistribuzione di reddito in favore del lavoro e, pertanto, a cospetto di uno strumento in controtendenza all’accentramento ed alla concentrazione al vertice della ricchezza prodotta. Partecipazione agli utili e salario di produttività possono assumere un significato etico, oltre che economico, rispondendo alla necessità di restituire l’economia ad una visione più sociale, onde rimediare alla frattura intervenuta, con la modernità, tra etica e dimensione economica e, quindi, ripristinare una corrispondenza tra l’una e l’altra pur nella reciproca autonomia che non deve per forza significare indifferenza o chiusura.

Se mediante la partecipazione agli utili e/o il salario di produttività si ottiene una redistribuzione del profitto per scivolamento di esso dal vertice verso la base – dove il vertice va inteso come lavoro direttivo all’interno dell’impresa, quindi come apporto intellettuale dell’imprenditoria ben diverso dal capitale finanziario che svolge soltanto funzione di apporto capitalistico e che in quanto tale non è lavoro – il problema dell’adeguato livello della domanda aggregata, la quale, al netto del moltiplicatore della spesa pubblica in deficit, è proporzionale al reddito dei lavoratori/consumatori, ossia al livello del salario, trova una efficace soluzione nella prospettiva di una dinamica salariale che finisce, in termini macroeconomici, per costituire una componente importante della domanda aggregata. Senza che possa obiettarsi che la partecipazione, non agendo direttamente sul livello di base del salario, quello contrattualmente stabilito ex ante al ciclo produttivo, ma soltanto sulla distribuzione ex post dell’utile, presupponga, per essere benefica all’aumento del reddito dei lavoratori, il conseguimento del profitto, perché, in fin dei conti, anche il salario di base presuppone una redditività attiva dell’impresa. Infatti, senza tale attivo, anche il salario di base verrebbe meno, non solo la distribuzione dell’utile o della maggior produttività.

Lo strumento partecipativo pertanto non può essere disgiunto, come pensano alcuni “offertisti”, dalla questione del livello della domanda aggregata che dipende essenzialmente dalla distribuzione del profitto, tanto in termini di livello salariale contrattato ex ante, all’avvio del ciclo produttivo, quanto in termini di conseguimento del margine di profitto a ciclo concluso. Infatti sia il salario contrattato sia l’utile, da redistribuire mediante partecipazione al suo netto o al quale il salario variabile in funzione della produttività consente di partecipare, altro non sono che quote del profitto d’impresa e quest’ultimo – ecco il punto keynesiano – non è mai riproducibile nel lungo periodo se prevalgono miope ed errate politiche di accentramento capitalistico e di contenimento salariale o di negazione della partecipazione agli utili. In altri termini, la partecipazione garantisce la domanda aggregata mediante una ampia diffusione ed aumento del reddito dei lavoratori. La redistribuzione in favore dei lavoratori di una quota del profitto aziendale, attraverso la partecipazione agli utili netti o il salario di produttività, sostiene il livello della domanda aggregata, apportando l’equilibrio benefico necessario all’efficace funzionamento del mercato.

Il cuore chiuso volge all’abisso

A chi gli rimproverava di non tener in debito conto il rischio dell’inflazione da costo del lavoro – che finisce per “mangiarsi” gli aumenti salariali nominali aggrediti dalla perdita di potere d’acquisto reale a causa dell’aumento conseguente dei prezzi finali – Keynes rispondeva che quel rischio si avvera soltanto quando l’economia raggiunge la sua piena capacità produttiva e quindi il pieno impiego. Ciononostante l’effettivo emergere di pur moderate spinte inflazioniste anche prima del raggiungimento della massima capacità produttiva e di impiego è stato il fattore che maggiormente ha creato difficoltà pratiche all’accettazione da parte imprenditoriale delle soluzioni keynesiane, in favore di alti salari, mentre la controparte sindacale spingeva alla loro implementazione.

Nella dinamica del capitalismo reale, quello nel quale in passato prevaleva l’elemento patrimoniale sul finanziario, l’imprenditoria si era convinta, dopo diverse sollecitazioni politiche e sindacali, della necessità di guardare anche dal lato della domanda. Un esempio di tale atteggiamento intelligente è quanto affermava, negli anni ’30, Henry Ford circa la necessità di politiche salariali tali da consentire ai suoi operai la possibilità di acquistare l’auto che essi contribuivano, con il loro lavoro manuale, a produrre. Altri industriali hanno avuto atteggiamenti di resistenza all’idea di assicurare livelli salariali adeguati al livello di domanda necessario per fornire sbocco di mercato alla produzione, in quanto, in una visuale microeconomica, essi guardavano, insensatamente, al profitto di breve periodo e perché, sotto il profilo macroeconomico, temevano l’inflazione da costo del lavoro. Tuttavia il percorso storico dell’Occidente, nel XX secolo, dimostra che, alla lunga, l’imprenditoria ha ceduto a prospettive di medio-lungo termine per favorire, nel breve, livelli salariali più equi. Pur senza andare fuori mercato, le imprese impararono a puntare al mantenimento tendenziale del saggio di profitto nel medio-lungo periodo attraverso il contenimento nel breve periodo del livello dei profitti medesimi, in modo da evitare l’automatico aumento del prezzo finale a fronte degli aumenti salariali necessari ad aggiustare la domanda. Vigeva la convinzione diffusa che in ogni fase storica, posto un certo livello tecnologico, vi sia un ottimale livello di domanda aggregata, quindi anche di salario, tale da consentire il maggior profitto possibile nelle circostanze date. In questo contesto, le esperienze di partecipazione agli utili e di salario di produttività hanno consentito, mediante la giusta redistribuzione di parte del profitto verso i lavoratori, il raggiungimento dell’obiettivo del sostegno alla domanda evitando il rischio di eccessive spinte inflattive da costo del lavoro, ossia da aumento salariale.

Questo tipo di capitalismo era di segno produttivista, afferiva all’economia reale, e, bene o male, aveva una qualche forma di etica sociale perché non era ancora ossessionato dall’avidità finanziaria che, nella übris del profitto immediato ed a tutti i costi, impone, oggi, il conseguimento della subitanea e massima reddittività sciolta da qualsiasi considerazione sovra-economica. Con il passaggio dalla modernità solida alla postmodernità liquida, il capitalismo si è trasformato diventando volatile, finanziario, speculativo. Il nuovo capitalismo high tech non aspetta, pazientemente, i tempi di sviluppo di un progetto industriale ma vuole profitti subitanei ed immediati, secondo fixing semestrali, trimestrali, quotidiani. Esso non è più mosso dall’inventiva, dalla creatività, dall’investimento a lungo termine, dalla laboriosità intellettuale e manuale, in altri termini dall’etica del lavoro. Il suo motore, oggi, è la finanza che pretende di estrarre denaro dal denaro senza alcuna considerazione per la produzione reale che viene in considerazione soltanto in quanto strumentale alla speculazione e non in quanto progettualità benefica per l’intera comunità aziendale, territoriale, politica. Figuriamoci allora se questo tipo di capitalismo possa avere una qualche considerazione per il lavoro, che anzi, nella sua visione è soltanto un costo da abbattere quanto prima mediante la sostituzione tecnologica del fattore umano. La cecità di tale visione è, però, evidente a chi sa ancora guardare dal lato della domanda. Infatti, non a caso, onde evitare l’implosione del sistema nella prospettiva della sua totale robotizzazione e digitalizzazione, gli alfieri del capitalismo finanziario, quelli del Word Economic Forum che ogni anno si riuniscono a Davos come anche quelli del “Gruppo dei Trenta”, al quale appartiene Mario Draghi, puntano a forme di reddito senza lavoro, come il “reddito di cittadinanza”, non legate ad obblighi di formazione professionale per il reinserimento nel ciclo produttivo, ed alla riduzione malthusiana della popolazione, in modo da continuare a garantire una domanda alla produzione automatizzata ma al prezzo della disumanizzazione del lavoro e della mortificazione della creatività umana sostituita dagli automi.

É proprio qui, in questa liquefazione postmoderna del reale in virtuale e del patrimoniale nel finanziario, che emerge il lato oscuro, ambiguo, preoccupante del percorso storico in atto e delle trasformazioni nella struttura stessa del capitalismo. È antica la discussione tra gli economisti sulla sussistenza o meno di un “ordine naturale” dell’economia contrassegnato da leggi come quelle fisiche o biologiche, oggetto di studio scientifico. I classici, ritenendo che tali leggi esistano e che l’economia sia una scienza paragonabile alla fisica, alla chimica ed alla biologia, sono assertori di un ordine naturale anche nell’economia. I keynesiani al contrario negano un ordine naturale dell’economia e disincantano la pretesa dei classici come mascheratura, favorevole ai capitalisti, di rapporti sociali egemonici. In realtà, essendo l’economia una dimensione umana e non cosmologica, l’“ordine naturale” non deve essere cercato nel mercato o nello Stato, che sono a loro volta espressioni della natura sociale dell’essere umano, ma nel cuore dell’uomo ovvero nell’etica che presiede, o dovrebbe presiedere, alle sue scelte. Gli antichi parlavano della “legge naturale” inscritta nel cuore dell’uomo seconda quanto è stato rivelato «Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore» (Geremia 31,33). Una legge interiore, infusa dall’Alto, per la quale abbiamo ricevuto un chiaro ammonimento: «Praticate il diritto e la giustizia, liberate l’oppresso dalle mani dell’oppressore, non fate violenza e non opprimete il forestiero, l’orfano e la vedova, e non spargete sangue innocente in questo luogo» (Geremia 22,3). Se, come abbiamo visto, un sano sistema economico che sia anche un sistema economico di giustizia sociale, dipende da meccanismi di equilibrio della domanda aggregata con l’offerta aggregata, che tengano conto della priorità della prima senza trascurare la seconda, alla fin fine tutto dipende, nell’economia reale, prima ancora che dalle opportune politiche e dalle giuste soluzioni tecniche, dalla disponibilità del cuore umano verso un approccio etico, il quale per alcuni è un approccio spirituale secondo prospettive di tipo confessionale. Un approccio la cui tragica assenza si va oggi manifestando nel passaggio ad una economia egemonizzata dall’avidità della finanza apolide ed asociale. Un’economia contrassegnata da una nuova forma di totalitarismo cibernetico che nella liquidità individualista volge verso il transumanesimo fino al miraggio della cosiddetta intelligenza artificiale, che poi intelligenza non è, e della ibridazione uomo-macchina attualmente consentita dalla biotecnologia invasiva. Lo scenario in fieri richiama immancabilmente antiche avvertenze escatologiche, dimenticate dai più. Infatti, anziché cercare la metanoia, sembra proprio che l’uomo di questa epoca volga il suo cuore verso l’abisso del “mistero di iniquità”. Il quale, tra i tanti volti con cui si manifesta, predilige quello an-etico, anonimo, presuntivamente senza limiti, della potenza finanziaria e tecnologica.

 

Il cuore dell’uomo, quando è chiuso alla Luce, è esso stesso un abisso, ammoniva Agostino di Ippona.

 

Luigi Copertino

 

NOTE

  • In proposito va sottolineato che la tesi di Jacques Le Goff per la quale la credenza nel Purgatorio sia direttamente legata a questo tentativo di aggiustamento dottrinale per venire incontro alle esigenze economiche dell’emergente borghesia – per cui si ammetteva uno stato post mortem intermedio di purificazione dai peccati accumulati in vita – cozza con la realtà di una conoscenza atavica dello stato intermedio, più o meno delineato, corrispondente alla dimensione “sottile” della costituzione cosmici ed antropologica, in tutte le tradizioni spirituali dell’umanità, non solo quella ebraico-cristiana. La letteratura mistica è piena di riferimenti a questa condizione di purificazione post mortem anche prima, molto prima, della comparsa sulla scena storica e sociale della borghesia mercantile dei comuni medioevali. Gli esempi potrebbero essere innumerevoli, anche di età precristiana (si pensi al racconto del soldato Era nella “Repubblica” di Platone), ma qui ci limitiamo a citarne tre ossia i viaggi nell’aldilà risalenti a cronache del VII e del IX secolo che hanno per protagonisti, rispettivamente, Wetti, in monaco, Drythelm, un devoto laico, e l’imperatore Carlo il Grosso. In questi, ed altri racconti similari, appare già chiaramente l’esistenza di diversi stati del post mortem, orrifici o beatifici, e tra essi alcuni che consentono all’anima del defunto la possibilità di purgarsi, con l’aiuto dei sacrifici e di sante Messe offerte dai viventi, attraverso una sofferenza, talvolta intesa come perdurante fino alla fine dei tempi. In proposito cfr. Jean Verdon “La note nel Medioevo”, parte Terza, pp. 241- 261, Baldini & Castoldi 2000, Mondadori, Milano.
  • Keynes, nella sua critica dei postulati dell’economia classica, si è richiamato anche ad alcune osservazioni critiche che a Ricardo erano già state mosse da Thomas Robert Malthus, il quale avversava l’impostazione ricardiana, fondata sulla legge di Say, evidenziando che, al contrario di quanto ritenuto dall’economista britannico, i possessori di denaro tendono a tesaurizzarlo anziché spenderlo. Malthus, in sostanza pose, inascoltato, già nel XIX secolo il problema della domanda benché lo fece nell’ambito della sua visione pessimista ed antiumana intesa ad affermare la rarità delle risorse messe a disposizione dalla “natura matrigna” e quindi a giustificare un ferreo controllo, anche attraverso la castrazione obbligatoria, delle nascite tra i ceti poveri ed i popoli “arretrati” onde tenere non aumentare il numero dei commensali  e quindi difendendo le posizioni acquisite dei ceti abbienti e dei popoli ricchi e colonizzatori.
  • C’è una pagina del “Trattato” nella quale Keynes dichiara che la filosofia sociale di lungo periodo del suo pensiero è intesa a far funzionare meglio il sistema economico e sociale correggendone i difetti – consistenti soprattutto nell’incapacità di assicurare la piena occupazione e nella maldistribuzione del reddito e della ricchezza prodotta – attraverso misure di politica fiscale redistributive e politiche di tassi di interesse bassi in modo da attuare la “eutanasia del rentier”, ovvero di quei ceti che vivono della rendita, un tempo quella della terra ed oggi quella dell’interesse monetario ossia la finanza speculativa, onde assegnare la preferenza delle politiche economiche al primato dei “produttori”, una categoria che già ai suoi tempi ricomprendeva insieme imprenditori e lavoratori ovvero coloro che sono dediti all’economia reale e considerano gli strumenti monetari e finanziari solo in quanto funzionali alla produzione e non anche come mezzi di generazione di denaro dal denaro avulso dal lavoro e dalla produzione. In tale contesto Keynes auspica una socializzazione di una certa consistenza degli investimenti onde garantire che essi siano volti in misura sufficiente all’economia reale, anziché alla speculazione finanziaria, ma senza alcune necessità di realizzare il “socialismo di Stato”, ovvero il comunismo. Keynes, in questa pagina, è molto chiaro perché, riferendosi alla sua teoria, scrive: «In certi aspetti la teoria precedente è moderatamente conservatrice nelle conseguenze che implica. Infatti, mentre indica l’importanza vitale di stabilire verti controlli centrali in materie sostanzialmente lasciate all’iniziativa individuale, essa non tocca molti altri campi di attività. Lo Stato dovrà esercitare un’influenza direttiva circa la propensione al consumo, in parte mediante il sistema di imposizione fiscale, in parte fissando il tasso di interesse e in parte, forse, in altri modi. Per di più, sembra impossibile che l’influenza della politica finanziaria sul tasso di interesse sarà sufficiente da sola a determinare un livello ottimo di investimento. Ritengo perciò che una socializzazione di una certa ampiezza dell’investimento si dimostrerà l’unico mezzo per farci avvicinare alla piena occupazione; sebbene ciò non escluda necessariamente ogni sorta di espedienti e di compromessi coi quali la pubblica autorità collabori con l’iniziativa privata. Ma oltre a questo non si vede nessun’altra necessità di un sistema di socialismo di Stato che abbracci la maggior parte della vita economica della collettività. Non è importante che lo Stato si assuma la proprietà dei mezzi di produzione. Se lo Stato è in grado di determinare l’ammontare complessivo delle risorse destinate ad accrescere i mezzi di produzione e il tasso base di remunerazione per coloro che le posseggono, esso avrà compiuto tutto quanto è necessario. Inoltre le necessarie misure di socializzazione possono essere applicate gradualmente e senza provocare una soluzione di continuità nelle tradizioni generali della società. (…). Quindi, salva la necessità di controlli centrali allo scopo di perseguire l’equilibrio fra la propensione a consumare e l’incentivo ad investire, non vi è maggior ragione di socializzare la vita economica di quanto ve ne fosse prima. (…). Sono quindi d’accordo con Gesell che il risultato di colmare le manchevolezze della teoria classica non è di gettar via “il sistema di Manchester”, bensì di indicare la natura dell’ambiente richiesto dal libero gioco delle forze economiche, affinché questo libero gioco possa realizzare le sue intere capacità produttive. I controlli centrali necessari ad assicurare la piena occupazione richiederanno naturalmente una vasta estensione delle funzioni tradizionali di governo. Inoltre la teoria classica moderna ha essa stessa richiamato l’attenzione sulle diverse condizioni nelle quali il libero gioco delle forze economiche deve venir moderato e guidato. Ma rimarrà ancora largo campo all’esercizio dell’iniziativa e della responsabilità individuale (…) la cui perdita è la massima fra tutte le perdite dello Stato omogeneo o totalitario. (…). Mentre quindi l’allargamento delle funzioni di governo, richiesto dal compito di equilibrare l’una all’altro la propensione a consumare e l’incentivo ad investire, sarebbe sembrato ad un pubblicista del diciannovesimo secolo o ad un finanziere americano contemporaneo una terribile usurpazione ai danni dell’individualismo, io lo difendo, al contrario, sia come l’unico mezzo attuabile per evitare la distruzione completa delle forze economiche esistenti, sia come la condizione di un funzionamento soddisfacente dell’iniziativa individuale. Se infatti la domanda effettiva è insufficiente, non soltanto vi è l’intollerabile scandalo pubblico delle risorse sprecate, ma il singolo imprenditore che cerca di mettere in azione queste risorse opera con tutte le possibilità sfavorevoli contro di lui. (…). I moderni sistemi di Stato autoritario sembrano risolvere il problema della disoccupazione a scapito dell’efficienza e della libertà. È certo che il mondo non tollererà ancora per molto tempo la disoccupazione che … è associata – e, a mio parere, inevitabilmente associata – con l’individualismo capitalistico d’oggigiorno. Ma può essere possibile, mediante una corretta analisi del problema, guarire la malattia pur conservando l’efficienza e la libertà». Cfr. John Maynard Keynes “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, libro VI, pp. 571-575, Utet, De Agostini, Novara, 2013. Significativo il riferimento finale alle esperienze totalitarie o autoritarie, che non sono la stessa cosa, in corso nell’epoca nella quale Keynes vergava tali considerazioni perché tali esperienze, quelle di marca “fascista”, tentavano di risolvere i difetti della teoria classica liberista, additati dall’economista inglese, ma al prezzo di una riduzione – tra l’altro con forte consenso popolare- delle libertà personali. Benché non a scapito dell’efficienza come riteneva Keynes, il quale del resto, pur rimanendo sempre un convinto democratico, in altre occasioni, come quando ad esempio simpatizzò con la politica monetaria di Hjamal Schacht, il banchiere centrale tedesco che rese possibile il miracolo della piena occupazione nella Germania nazista, riconobbe gli effetti positivi sotto il profilo dell’efficienza sociale ed occupazionale di quelle esperienze. Qui, al di là di queste osservazioni storiche, va segnalato che la pagina keynesiana sopra descritta è una di quelle sulle quali hanno costruito la loro esegesi del pensiero di Keynes i cosiddetti “neokeynesiani” i quali hanno elaborato la cosiddetta “sintesi neoclassica” – egemone negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso che più tardi, negli anni ’80, si sviluppò nella “nuova macroeconomia keynesiana” – nella quale viene recuperato il keynesismo benché limitato ad alcuni aspetti della teoria, in particolare il primato della domanda e la politica interventista dello Stato in funzione anticiclica, come integrazioni necessarie e quasi sviluppi della teoria neoclassica. Tra i neokeynesiani ritroviamo alcuni insigniti del Nobel come Paul Samuelson, Robert Solow e Franco Modigliani. Ma esiste anche un’altra interpretazione del pensiero di Keynes la quale ne rivendica una lettura più a sinistra, tale da farne il paradigma economico del socialismo democratico, e che affida allo Stato una azione molto più incisiva, di trasformazione e graduale superamento del capitalismo, non quindi limitata soltanto al deficit spending anticiclico. Questa diversa esegesi è stata portata avanti dai cosiddetti “keynesiani della prima generazione”, come l’inglese Joan Robinson, che fu allieva dello stesso Keynes, l’ungherese Nicholas Kaldor, il britannico Paul Davidson, lo statunitense Hyman Minsky, che ha dimostrato l’intrinseca fragilità dei mercati finanziari, e gli italiani Piero Sraffa e Federico Caffè. Quest’ultimo è stato un nostro illustre economista, misteriosamente scomparso nel 1987, nonché uomo di alto senso etico e civile – per cui si è parlato a proposito del suo pensiero di “cristianesimo laico” – oltre che di grande sapienza e competenza nella scienza economica. L’interpretazione della prima generazione di keynesiani, chiamata “economia post-keynesiana” e considerata dal biografo di Keynes, Lord Skidelsky, la più vicina allo spirito originario del suo pensiero, riflette il clima laburista e fabiano, non escluso un certo “teosofismo millenaristico” insito in diversi passaggi dell’opera di Keynes, nel quale andarono formandosi le elaborazioni scientifiche dell’economista inglese. I capisaldi dell’economia postkeynesiana sono: il realismo, nel senso che deve essere la realtà storica ed economica dell’effettivo funzionamento dei sistemi economici a dettare le conclusioni all’economista sicché non si deve partire da concezioni astratte come fanno i neoclassici (strumentalismo); l’olismo (contrapposto all’individualismo) in quanto il tutto è più della somma delle parti (un rilievo che, probabilmente ad insaputa dei postkeynesiani li pone sulla scia della Tradizione spirituale e filosofica europea, da Platone ed Aristotile fino a Tommaso d’Aquino) sicché il singolo non è un atomo ma appartiene ad un contesto comunitario del quale le istituzioni costituiscono realtà specifiche; la consapevolezza delle capacità molto limitata degli agenti economici di fare scelte razionali per mancanza di informazioni sufficienti (contro il paradigma neoclassico del comportamento razionale e sostanzialmente “onnisciente” del singolo operatore); contrariamente all’assunto neoclassico della scarsità delle risorse bisogna invece valorizzare il grado di utilizzazione delle stesse ai fini dell’aumento dell’occupazione; inefficienza, incapacità di autoregolazione e non equità del mercato che richiedono come insostituibili ed indispensabili l’intervento, diretto o indiretto, dello Stato; primato della domanda perché la produzione è trainata dalla domanda e non dall’offerta anche nel lungo periodo e non solo in quello breve come sostengono i neoclassici; importanza del tempo storico contro ogni astrattismo logico. La scuola post-keynesiana ha prodotto importanti risultati nell’ambito della politica monetaria avendo evidenziato che in un sistema monetario moderno la moneta è endogena – e non esogena come ritengono i neoclassici – in quanto è l’offerta di moneta a rispondere alla domanda della stessa. Ciò attesta che le Banche centrali non possono sostenere la domanda di moneta che proviene dal mercato attraverso il filtro delle banche e quindi non fornire alle stesse la quantità di moneta richiesta in un dato periodo, anche considerando che le stesse banche creano moneta ex nihilo in forma di credito (quasi moneta bancaria). In tal modo le banche centrali hanno un solo mezzo per tentare di controllare la domanda di moneta, quando è ritenuta troppa e quindi foriera di spinte inflazionistiche, ossia il tasso di interesse da esse applicato alle banche che si riflette sul tasso di interesse applicato dalle banche al pubblico. Più esso è alto e più la domanda di moneta viene contenuta. Tale acquisizione – che, in particolare per l’opera di Nicholas Kaldor, ha messo in crisi il monetarismo di Milton Friedman il quale prendeva in considerazione soltanto la moneta legale senza avvedersi dell’esistenza della quasi moneta creditizia – è oggi ampliamente praticata nella politica monetaria delle Banche centrali che ricorrono alla leva del tasso di interesse e non più a quella dell’offerta di moneta. Per la querelle tra “keynesiani di prima generazione” e “neokeynesiani” si veda l’ottimo libro di Thomas Fazi “Una civiltà possibile – la lezione dimenticata di Federico Caffè”, Melteni visioni eretiche, Milano, 2022.
  • Sahra Wagenknecht “Contro la sinistra neoliberale”, Fazi Editore, Roma, 2022.

https://domus-europa.eu/2023/05/09/alle-radici-sovraeconomiche-del-problema-economico-di-luigi-copertino/?fbclid=IwAR3JSsjppGuUl2QNp5vyXvZxX4pJSYqcVeMOijcXcxgWeF7RuOAbzGE3PtM

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/alle-radici-sovraeconomiche-del-problema-economico?fbclid=IwAR3Yo2Z0NfrKJe–xrxi3tLzEgJMufKAO89qK6a75Fja5bjzpJRZ7U4Ln6o

Putin invita i migliori corrispondenti russi per un’intervista sulla guerra + aggiornamenti SitRep + testo integrale della intervista_ di SIMPLICIUS THE THINKER

Open in app or online

Putin invita i migliori corrispondenti russi per un’intervista sulla guerra + aggiornamenti SitRep

Uno degli aggiornamenti più interessanti di oggi è stata la conferenza stampa televisiva che Putin ha tenuto con i principali corrispondenti russi in prima linea, molti dei quali sono nomi e volti familiari da cui io e altri analisti prendiamo quotidianamente informazioni. Personaggi come Poddubny, Pegov di Wargonzo, Sladkov, Murad Gazdiev, e persino il popolare analista di Youtube Yuri Podolyaka, Alexander Kots e molti altri.

Per dare un’idea dei giornalisti presenti:

Questa sessione è stata concepita per consentire ai giornalisti di porre a Putin stesso le domande più urgenti in prima linea, alcune delle quali sono state pronunciate direttamente dalle truppe in prima linea che ruotano intorno a determinate questioni. Ad esempio, Pegov ha denunciato che ad alcune truppe non vengono corrisposti i bonus promessi per aver distrutto attrezzature preziose dell’AFU, come aerei e carri armati. Putin ha dichiarato di non esserne a conoscenza e che interverrà immediatamente per correggere la situazione e assicurarsi che vengano pagati.

Se vi state chiedendo come sia possibile che Putin non fosse a conoscenza di una simile svista? Beh, questo mi porta al prossimo punto principale. Putin ha fatto molte ammissioni interessanti durante la chiacchierata, tra cui quelle relative alle continue carenze della parte russa e del MOD.

Per esempio, ha detto che la SMO ha rivelato che l’esercito russo aveva molti “generali di parquet” inutili (parole mie) che non erano all’altezza del compito e che sono stati sostituiti.

C’erano molti “parquet” al potere prima dell’SMO “È come con la pandemia. Dopo la pandemia, sono comparsi medici eroici. Anche nell’ambiente dell’esercito si è capito molto presto che c’erano molti generali da parquet dappertutto, ma hanno cominciato a comparire persone che erano rimaste nell’ombra, e si è scoperto che erano efficaci e molto necessarie. Queste persone andrebbero cercate e trascinate ai vertici”.
Ha anche ammesso che la SMO ha rivelato la mancanza di molti sistemi moderni necessari alla Russia, come i droni e le armi guidate. Quest’ultimo punto, tuttavia, è stato utilizzato dagli account filo-ucraini per interpretare erroneamente le dichiarazioni di Putin, per significare che la Russia ne è ancora sprovvista. In realtà, Putin ha completato la dichiarazione affermando che la Russia sta producendo un numero di droni 10 volte superiore a quello precedente, oltre a un numero di armi regolari pari a 3 volte e un numero di sistemi specifici molto necessari come le munizioni guidate pari a 10 volte.

Ci sono state molte altre rivelazioni interessanti. Le più interessanti sono state le allusioni ai piani generali dell’OMU e a ciò che la Russia intende fare in Ucraina. Vediamo di analizzarne alcuni.

Putin non ha rivelato nulla di troppo specifico, ma ha dato accenni come i seguenti (traduzioni del canale Donbass Devushka):

Putin – alla domanda “Fino a che punto siamo pronti ad andare avanti quando finirà l’offensiva delle Forze Armate dell’Ucraina?”: Posso solo dirvelo di persona! In generale, tutto dipenderà dai potenziali che si formeranno alla fine di questa cosiddetta controffensiva. Ecco la domanda chiave. Penso che, rendendosi conto delle perdite catastrofiche, la leadership [ucraina], qualunque essa sia, la testa, cioè, dovrebbe pensare a cosa fare dopo. E vedremo come sarà la situazione. E in base a ciò, prenderemo ulteriori provvedimenti. Abbiamo piani di natura diversa, a seconda della situazione che si svilupperà quando riterremo necessario fare qualcosa.
Innanzitutto, per contestualizzare le sue parole, aggiungiamo il fatto che ha anche rivelato che le perdite dell’Ucraina sono “catastrofiche” nella “controffensiva”. Alcuni dei numeri che ha fornito sono circa 500+ blindati/mezzi distrutti in totale, che includono 160+ carri armati distrutti e il 20-30% di perdite di attrezzature fornite dall’Occidente. Ha detto che la Russia ha perso a sua volta 54 carri armati e ha un rapporto di perdite di 1 a 10 rispetto all’Ucraina. Non è chiaro se intendesse i “carri armati” effettivi o il totale dei blindati/veicoli, dato che alcuni hanno riportato la sua dichiarazione come totale dei blindati, il che avrebbe più senso con la sua dichiarazione di perdite 1:10, dato che ~50 sono 1:10 rispetto agli oltre 500 blindati distrutti dagli UA. Anche se ha detto che molte delle perdite russe saranno “riparate” e quindi non sono perdite totali e irrecuperabili.

Ma tornando alla dichiarazione citata sopra. In pratica sta dicendo che i potenziali movimenti della Russia dopo l'”offensiva” dell’Ucraina dipenderanno dalla realtà del terreno alla fine di questo periodo offensivo. Da un lato, possiamo supporre che sia deliberatamente cauto per non svelare i piani ovviamente segreti del Ministero della Difesa russo. Ma dall’altro lato, è probabile che stia rivelando una parte di verità, in quanto i piani della Russia dipenderanno da quanto il potenziale offensivo dell’Ucraina sarà distrutto. Questo è un aspetto di cui io stesso ho già scritto in uno degli ultimi rapporti, in cui ho evidenziato come se la Russia non sarà in grado di distruggere una quantità sostanziale del potenziale dell’AFU nel prossimo mese o giù di lì, allora la fase successiva potrebbe semplicemente devolversi in una guerra posizionale e di stallo, in cui la Russia continuerà a strisciare in avanti mentre usa l’artiglieria per decimare le retrovie dell’AFU.

Tuttavia, se gli UA dovessero impegnare eccessivamente le loro forze nell’offensiva in corso e dare alla Russia l’opportunità di decimare gran parte di esse, ciò darebbe alla Russia la possibilità di finire l’animale ferito lanciando una grande offensiva propria. Ma farlo contro un nemico che non è stato adeguatamente indebolito porterebbe a perdite inaccettabili, motivo per cui è improbabile che la Russia lanci un’offensiva così massiccia a meno che gli UA non vengano sostanzialmente degradati nelle prossime settimane.

Questa è la mia “lettura tra le righe” della dichiarazione di Putin. E questo si collega ai suoi commenti successivi sulla mobilitazione. Innanzitutto vorrei dire che Strelkov ieri ha affermato che la Russia sarà costretta a lanciare un’altra massiccia mobilitazione al più tardi entro agosto. È chiaro che si tratta di un argomento ancora nella mente di molti e quindi Putin è stato costretto a parlarne:

Vladimir Putin: È necessaria un’ulteriore mobilitazione? Non seguo da vicino la questione, ma alcuni personaggi pubblici dicono che abbiamo urgentemente bisogno di raccogliere un altro milione, due milioni. Dipende da cosa vogliamo. Alla fine della Grande Guerra Patriottica, avevamo quasi 5 milioni di uomini nelle forze armate, dipende dallo scopo. Le nostre truppe erano a Kiev. Dobbiamo tornare indietro o no? La mia è una domanda retorica, è chiaro che lei non ha una risposta. Posso rispondere solo io. Ma a seconda degli obiettivi che ci poniamo, dobbiamo decidere sulla questione della mobilitazione. Oggi non ce n’è bisogno: abbiamo iniziato a lavorare dal gennaio di quest’anno – abbiamo reclutato oltre 150.000 militari a contratto. E insieme ai volontari – 156 mila. E la nostra mobilitazione è stata di 300 mila unità. In queste condizioni, il Ministero della Difesa riferisce che, ovviamente, oggi non c’è bisogno di mobilitazione.
Leggete con molta attenzione: Putin rivela qui molto di più di quanto possa sembrare a prima vista. Inizialmente sembra che stia solo temporeggiando come al solito, ma non è così. Ci dice diverse cose importanti:

In primo luogo, chiarisce che la mobilitazione dipende dagli obiettivi che verranno scelti. Questo può essere letto come un’ammissione che la Russia non ha ancora deciso gli obiettivi completi dell’OMU, ma non è come sembra. La Russia e Putin hanno in effetti deciso gli obiettivi, ma ciò che Putin intende dire è che ci sono diversi modi in cui questi obiettivi possono essere raggiunti, e questi metodi dipendono da come si svolgeranno le cose e da ciò che farà Kiev stessa.

Cosa intendo dire con questo? In parole povere, significa che l’obiettivo della Russia è quello di sconfiggere l’Ucraina, ma che non è necessariamente necessario catturare Kiev per raggiungere questo obiettivo. Ho già scritto molte volte che il modo in cui personalmente immagino che la guerra finisca è con una resa incondizionata (con probabile colpo di stato simultaneo) di forze armate malconce che semplicemente non ne possono più e i cui generali e/o ufficiali si sono finalmente ammutinati e sono pronti ad accettare l’amnistia offerta dalla Russia. In tal caso, le truppe russe entrerebbero a Kiev come fecero a Parigi alla fine della guerra napoleonica.

Quindi Putin sta dicendo che, se lo scenario di cui sopra non dovesse funzionare e la Russia continuasse a distruggere l’AFU in modo terribile, ma per qualsiasi motivo l’AFU riuscisse a resistere senza crollare, allora la Russia prenderebbe in considerazione la possibilità di mobilitare molte più truppe per una conquista molto più ampia e necessaria, per conquistare Kiev e/o altri territori fino alla completa capitolazione. Tuttavia, allo stato attuale, per Putin la situazione non lo richiede, perché ritiene che la Russia possa ancora distruggere/rendersi totalmente all’AFU con le forze di cui dispone attualmente.

E per coloro che sono scettici, Putin rivela altri numeri che ci danno un’idea del perché sia così ottimista. Ha detto che 150.000 soldati a contratto si sono uniti alla RuAF dal gennaio di quest’anno. Si sono poi aggiunti altri 156.000 volontari, di cui oltre 10.000 solo nell’ultima settimana.

Ricordiamo che all’inizio dell’SMO si diceva che la Russia avesse un numero di truppe compreso tra 150 e 200 mila. Se contiamo tutte le truppe come LDPR e paramilitari/PMC, diciamo che erano 150k. Poi la Russia ha effettuato una mobilitazione per altri 300k nel settembre-ottobre dello scorso anno, 2022. Questo li avrebbe portati a 450k in totale.

Ora Putin dice che altri 306.000 si sono arruolati, senza contare che Prigozhin dice che Wagner riceve decine di migliaia di nuovi candidati al mese, anche se vengono ridotti in un intenso addestramento a forse 2000-5000 nuove reclute idonee al mese. Questo porterebbe le forze armate russe a circa 450k + 306k = ~750k+.

Prigozhin ha chiesto più volte di far crescere il Wagner fino a 200 mila uomini e in futuro è possibile che cresca in modo esponenziale, aggiungendo ancora più uomini. Naturalmente, dobbiamo considerare che molti soldati potrebbero aver lasciato il servizio, terminato i loro contratti, ecc. Inoltre, ci sono tra i 35 e i 50 mila di tutte le diverse fazioni che probabilmente sono morti/malati e non sono in grado di combattere. Quindi, realisticamente, la forza attuale della Russia potrebbe aggirarsi intorno ai 600-700k. Ricordiamo che Shoigu ha attuato un nuovo decreto che prevedeva l’espansione delle forze armate russe a 1,5 milioni, di cui 695.000 come soldati a contratto, e questi numeri sembrano corrispondere, il che mi dice che tutte queste mobilitazioni sono state parte di questa espansione decretata della RuAF.

Quindi, il fatto è che se questi numeri sono quasi esatti, non vedo come una nuova mobilitazione sarebbe “necessaria” alla Russia per continuare con successo le operazioni offensive, come sembrano pensare Strelkov e altri. Considerando il fatto che la stessa AFU ha probabilmente meno di 200.000 truppe utilizzabili a questo punto, non vedo perché i numeri della Russia non siano più che sufficienti. L’unica domanda è: dove sono tutte queste truppe e per cosa le sta conservando la Russia? Ci arriverò tra un attimo.

Prima lasciatemi dire: come facciamo a sapere che alcuni di questi numeri sono accurati? Beh, per prima cosa, alcuni di essi sono confermati dalle fughe di notizie del Pentagono. Per esempio, una delle pagine riporta i numeri diretti dei battaglioni russi totali in Ucraina, che sono 544. Se consideriamo un battaglione per ogni battaglione, il numero di battaglioni è di 544. Se consideriamo che un battaglione è composto da circa 800 uomini, 544 x 800 dà come risultato 435.000 uomini. Tuttavia, i battaglioni possono essere più piccoli o più grandi, ma questa potrebbe essere una media. Si noti che le fughe di notizie risalgono all’inizio di quest’anno, il che significa che questo dato è precedente alla nuova mobilitazione di cui ha parlato Putin. Quella mobilitazione ha aggiunto 306k unità, come abbiamo dimostrato. Quindi, se prendiamo la forza trapelata sopra e la aggiungiamo alla nuova mobilitazione di quest’anno, possiamo arrivare a circa 700.000 uomini, come ho detto. Forse i battaglioni russi sono molto più sotto organico, inoltre nelle notizie trapelate sono suddivisi in regolari, riserve e ausiliari, questi ultimi due forse più piccoli. Quindi, è plausibile che le truppe siano meno numerose, ma è probabile che ci collochino da qualche parte a nord di 600k, più o meno.

Tra l’altro, le fughe di notizie indicano per l’UA un totale di 34 brigate regolari, 13 brigate di fuoco e 27 forze di difesa territoriale (spesso considerate carne da cannone che non sono mai state pensate per essere utilizzate in ruoli di assalto in prima linea o in prima linea). Considerando che una brigata massima è di 5.000 uomini, queste 74 brigate totali sarebbero 370k. Tuttavia, sappiamo che praticamente ogni singola brigata ucraina a questo punto è molto più vicina al 50% della forza, con molte di esse ancora più basse. Questo porterebbe il totale delle truppe ucraine a meno di 200.000 unità, che è in realtà la mia posizione. Anche se concediamo loro il beneficio del dubbio e ipotizziamo che le loro brigate abbiano una forza media del 70%, il loro numero totale ammonterebbe a 259k, di cui gran parte sono “forze di difesa territoriale”.

E ricordate una cosa importante: Putin ha detto che solo la scorsa settimana si sono aggiunte 10.000 truppe. Ciò significa, come il colonnello MacGregor aveva sostenuto tempo fa, che la Russia ha una mobilitazione stealth in corso che continua in ogni momento. Quindi, che bisogno c’è di una nuova mobilitazione massiccia quando si hanno comunque decine di migliaia di adesioni al mese?

Questo potrebbe rivelare che la Russia sta in realtà costruendo lentamente una forza mastodontica che entro la fine di quest’anno, o l’anno prossimo, potrebbe raggiungere gli 800k-1M, che lentamente sopraffarebbe l’AFU. Ricordiamo gli stereotipi sull’orso russo lento a imbrigliarsi ma veloce a cavalcare, o i tropi generali sull’orso lento a svegliarsi e ad arrabbiarsi. Si può sostenere che anche l’Ucraina si stia mobilitando, e in modo molto più “coercitivo”, ma anche queste truppe vengono eliminate a un ritmo molto più veloce. Quindi è probabile che la loro mobilitazione stia a malapena mantenendo i loro numeri stabili, piuttosto che espandere effettivamente la forza totale.

La verità è che molte persone hanno le loro idee preconcette su come una campagna militare “dovrebbe andare”, basandosi su videogiochi, TV, film o sulle “guerre” finte e ologrammatiche che gli Stati Uniti hanno condotto contro i Paesi del Medio Oriente. La Russia non ha bisogno di seguire nessuno di questi concetti. È molto plausibile che la Russia si limiti a sedersi e a distruggere le forze degli Emirati Arabi Uniti con l’artiglieria e i colpi per mesi, mentre cresce lentamente in dimensioni enormi grazie a questa mobilitazione furtiva, e quindi la conquista avverrà più come un masso gigante che inizia a rotolare giù da una piccola collina, ma che aumenta la sua velocità fino a diventare una forza inarrestabile.

Per certi versi, si può anche paragonare a una sorta di boa constrictor. L’Ucraina può avere l’impressione che le cose stiano andando bene, tutto sommato, ma a poco a poco la pressione aumenta, mentre le forze russe sembrano crescere ovunque, su ogni linea del fronte, con attacchi sempre più intensi (come ora, con attacchi missilistici/drone notturni in tutto il Paese), fino ad arrivare a un punto paralizzante in cui la “diga si rompe” e l’AFU semplicemente non può più resistere.

Quindi il punto principale è che, contrariamente a quanto alcuni credono, la Russia potrebbe non avere mai bisogno di lanciare la tanto attesa offensiva della “grande freccia”, ma piuttosto continuare ad accrescere la propria forza e a schiacciare lentamente gli UA su ogni fronte, un po’ alla volta, fino a quando la pressione non raggiungerà il punto di non ritorno.

Tuttavia, come Putin ha lasciato intendere in precedenza, c’è ancora la possibilità di azioni russe più aggressive, a seconda di quanti danni la Russia possa arrecare all’AFU nell’attuale “controffensiva”. Putin ha sottolineato questo punto più volte nel corso del discorso, affermando che è “molto positivo per la Russia” che l’UA stia attaccando. In realtà, ha espresso rammarico per la rottura della diga di Kakhovka, affermando che l’allagamento impedisce agli EAU di attaccare sull’asse di Kherson, e che la Russia avrebbe preferito di gran lunga che gli EAU attaccassero lì, perché sarebbero stati completamente schiacciati con enormi perdite.

Putin – a proposito dell’esplosione della centrale idroelettrica di Kakhovskaya: “Dirò una cosa strana, purtroppo questo ha vanificato la loro controffensiva in questa zona. Purtroppo, perché? Perché sarebbe stato meglio se fossero avanzati lì. È meglio per noi, perché sarebbe stato molto brutto per loro attaccare lì. Ma poiché si è verificata una tale fuoriuscita, l’offensiva non ha avuto luogo.
Inoltre, si è detto molto contento del fatto che gli Emirati Arabi Uniti stiano attaccando sul fronte di Zaporozhye, perché questo dà alla Russia la possibilità di schiacciarli completamente in campo aperto.

Un altro commento interessante che ha fatto:

Dobbiamo rispettare l’esistenza dell’Ucraina, ma questo non è un motivo per trattare la Russia senza rispetto, ha detto Putin. L’Ucraina non dovrebbe esistere a spese della Federazione Russa e nei territori storici russi, se non si costruiscono relazioni normali, ha osservato il Presidente.
A me sembra che il Presidente stia dicendo che se il superstite Stato dell’Ucraina non può essere trasformato in una nazione che rispetta la Russia e la tratta cordialmente, allora l’Ucraina “non dovrebbe esistere” come Stato. Questo riecheggia i recenti sentimenti, di cui ho già scritto, espressi da altri funzionari russi di alto livello.

E infatti ieri ne ha espresso uno nuovo la deputata della Duma di Stato Elena Panina, che ha dichiarato:

Denazificazione dell’Ucraina significa de-americanizzazione dell’Ucraina.Elena Panina, direttore dell’Istituto di studi strategici russi: “Il nazismo in Ucraina è un prodotto accuratamente coltivato dagli Stati Uniti e dalla loro intera macchina statale. Il nazismo è uno strumento americano per trasformare gli ucraini apolitici e bonari in brutali fanatici russofobi. Lo strumento è appunto americano, perché i servizi speciali dell’Inghilterra, della Germania, del Vaticano e dell’Austria hanno svolto un ruolo di supporto in questa vicenda, erano, come si suol dire, “all’amo”. La denazificazione dell’Ucraina significa la completa sconfitta militare di tutte le istituzioni create dagli Stati Uniti per la guerra con la Russia. Non ci può essere denazificazione senza la de-americanizzazione dell’Ucraina. Nessuna denazificazione è possibile in quella parte dell’Ucraina che rimarrà sotto il dominio degli Stati Uniti. È per far crescere il nazismo che gli Stati Uniti sono venuti in Ucraina. Il denaro non è il loro obiettivo principale. La Russia sta combattendo in Ucraina soprattutto con gli Stati Uniti, che hanno trasformato l’Ucraina in una riserva nazista. Il congelamento, la cessazione delle ostilità con qualsiasi pretesto significa la cessazione della denazificazione dell’Ucraina e l’abbandono degli obiettivi della SMO. Per risolvere il problema del nazismo in Ucraina, gli Stati Uniti devono essere espulsi dal paese. Se non si pone fine alla de-americanizzazione dell’Ucraina, il nazismo in essa cercherà sempre di distruggere la Russia. Non abbiamo il diritto di permetterlo. Gli obiettivi dell’OMU devono essere pienamente realizzati”.
Che ve ne pare di questo massimalismo?

Un’altra dichiarazione di Putin dal discorso:

Putin – sulla “risposta al superamento delle linee rosse”:Ci dicono sempre: “Così avete iniziato la guerra, Putin è l’aggressore”. No, sono loro gli aggressori. Hanno iniziato questa guerra e noi stiamo cercando di fermarla. Ma devono farlo con l’aiuto delle forze armate. Ma non è questa la risposta per superare alcune linee rosse? Non tutto, forse, è nei mass media, anche se non c’è nulla di cui vergognarsi. Colpire l’intero sistema energetico dell’Ucraina – non è questa una risposta al superamento delle linee rosse? E l’effettiva distruzione della sede della Direzione principale dell’intelligence ucraina a Kiev – non è forse questa la risposta? Risposta! Continueremo a essere selettivi. Non colpiremo, come fanno questi idioti, oggetti civili, aree residenziali. Naturalmente, non lo faremo. Continueremo a essere selettivi”.
In breve, sta affrontando la lamentela comune sul perché la Russia continui a permettere all’Ucraina di “oltrepassare le linee rosse” senza alcuna risposta. Putin afferma che la Russia ha risposto. Gli attacchi alle reti energetiche ucraine sono stati una di queste risposte e l’attacco alla sede del GUR è stato un altro. Inoltre, lascia intendere che sono state fatte altre cose presumibilmente segrete, che non sono “nei mass media”.

Lascio questa sezione con un riassunto puntuale di molti altri punti:

-Gli obiettivi dell’operazione speciale cambiano a seconda della situazione attuale, ma in generale rimangono gli stessi. La Russia è ancora determinata ad avere le relazioni più gentili con l’ex Unione Sovietica e con l’Occidente. L’Occidente sta cercando di usare l’Ucraina per destabilizzare la Russia. Pensavamo di far parte del club e ho persino ventilato l’idea di entrare nella NATO, ma non siamo stati nemmeno presi in considerazione: Non abbiamo toccato [la situazione] nemmeno con un dito, ma siamo stati costretti a difendere la popolazione. Riguardo a Zelensky: mi sorprende che una persona che ha sangue ebraico nelle vene possa sostenere i neonazisti.Gli ucraini hanno “buttato via” tutti gli accordi raggiunti nel marzo 2022 dopo il ritiro delle truppe russe da Kiev.Lenin è stato buttato giù dal suo piedistallo in Ucraina e al suo posto è stato messo il fascista Bandera. Ciò che sta accadendo ora in Ucraina non andrà mai bene alla Russia. [In Russia non ci sarà mai nulla di neonazista. La Russia sta gradualmente e metodicamente smilitarizzando l’Ucraina. Il complesso militare-industriale dell’Ucraina cesserà presto di esistere: Si tratta di una controffensiva su larga scala, ma non ha avuto successo in nessun settore.-Riepilogo dei risultati dei primi quasi dieci giorni dell’offensiva ucraina: Secondo il presidente, l’AFU sta subendo delle perdite, il [rapporto tra] perdite irrecuperabili dell’Ucraina [e sanitarie] sono “quasi 50 a 50”, 1 a 10 a favore della Russia.-Di tutte le perdite, si stanno avvicinando a una stima che può essere definita catastrofica, in termini di personale.-Le nostre perdite di personale saranno comunicate dal Ministero della Difesa, ma abbiamo perso 54 carri armati.-In merito alla distruzione della centrale idroelettrica di Kakhovskaya: La piena del Dnepr ha interrotto l’offensiva dell’AFU nella zona, il che è negativo per noi, perché per l’AFU sarebbe stato ancora peggio. -I mercenari polacchi stanno combattendo nella zona di confine con la Russia e stanno subendo gravi perdite.-I cimiteri e i cimiteri di bestiame sono finiti sott’acqua dopo la distruzione dell’impianto di produzione di energia elettrica di Kakhovskaya, ma il problema è risolvibile, le truppe di protezione chimica aiuteranno a risolvere i problemi.-A proposito degli attacchi dei droni alla Russia: La Russia prenderà in considerazione la creazione di una “zona sanitaria” [GB: “zona cuscinetto”] sul territorio dell’Ucraina nel caso in cui i bombardamenti sulle nostre regioni continuino. Verrà creata una “zona sanitaria” sul territorio dell’Ucraina. Questa zona è necessaria per mettere in sicurezza le nostre regioni. Il lavoro su questo tema inizierà presto: In generale, non c’è bisogno di introdurre la legge marziale in Russia, è necessario lavorare in modo più approfondito su alcune questioni.Putin sulla controffensiva delle Forze armate ucraine in direzione di Zaporozhye: La controffensiva ucraina è su larga scala, utilizza riserve strategiche, è iniziata il 4 giugno e continua proprio ora. Purtroppo questo ha interrotto la controffensiva, sarebbe stato meglio se avessero attaccato. Gli obiettivi del NWO sono fondamentali per noi, cambiano a seconda della situazione, ma in generale rimangono gli stessi. Il nemico non ha avuto successo in nessuna delle sezioni. La struttura delle perdite delle Forze Armate ucraine è ora sfavorevole, si sta avvicinando alla catastrofe. In questo periodo, l’Ucraina ha perso oltre 160 carri armati e oltre 360 veicoli blindati, ci sono ancora perdite che non vediamo. Le nostre perdite di personale possono essere dichiarate dal Ministero della Difesa, ma abbiamo perso 54 carri armati. Il rapporto è di 1 a 10 a nostro favore, le nostre perdite sono 10 volte inferiori.Putin sull’aggravarsi della situazione nella zona di confine:C’è un problema, è principalmente legato al desiderio di dirottare le nostre forze e i nostri mezzi da questa parte – di ritirare parte delle unità da quelle zone che sono considerate le più importanti e critiche dal punto di vista di una possibile offensiva delle Forze Armate dell’Ucraina. Non è necessario farlo, ma ovviamente dobbiamo tenere al sicuro i nostri cittadini.
Ma ora vorrei affrontare un altro punto importante. Molti potrebbero chiedersi: se la Russia ha davvero 600-700 mila uomini e sta crescendo, e l’Ucraina ne ha solo 200 mila o meno, allora perché la Russia non ha già spazzato via facilmente l’AFU? E soprattutto, dove sono tutte queste presunte truppe russe? I fronti sembrano sempre apparire come se fosse la Russia ad avere meno soldati.

Innanzitutto, per quanto riguarda l’ultimo punto, dipende da chi si chiede e da quale fronte si guarda. Secondo una recente analisi occidentale di Marinka, per esempio, pubblicata proprio oggi, le forze russe superano quelle ucraine di 4:1 a Marinka. Ma in ogni caso la Russia si muove lentamente perché ha adottato una strategia di minimizzazione del rischio estremo di perdite, almeno per ora, e preferisce ridurre l’AFU a distanza.

Ma per quanto riguarda il punto più importante, è lecito chiedersi perché la Russia non stia facendo uso di tutte le presunte enormi quantità di truppe mobilitate. Ci sono alcune possibili teorie mescolate ad alcune realtà note.

In primo luogo, a differenza dell’Ucraina, la Russia sta utilizzando le sue truppe in modo responsabile, dando molte rotazioni e assicurandosi che siano in salute e in forma per il lungo periodo. Anche nel discorso di oggi Putin ha menzionato la frequenza delle rotazioni. Ciò significa che se si dispone di 600.000 truppe, è possibile tenerne quasi la metà o più in disparte e rendere la guerra il più possibile “confortevole” per le forze in prima linea ruotandole ripetutamente e facendole riposare. L’Ucraina, invece, non ha questo lusso e questo si traduce in demoralizzazione di massa, diserzione, ammutinamenti e disintegrazione mentale/psichica di gran parte delle forze. Si tratta di persone che si rovineranno a vita, anche se sopravvivono, a causa del puro stress di un combattimento non rotativo, mentre le truppe russe sono trattate con dignità e in un modo che si basa sulla conservazione a lungo termine della loro salute fisica e mentale.

Quindi, nonostante abbia potenzialmente il doppio delle truppe, in prima linea la Russia potrebbe ancora avere una sostanziale parità, semplicemente perché utilizza le truppe in eccesso per riposare e ruotare le forze in modo adeguato.

In secondo luogo, l’altra grande idea è che, alla luce delle recenti e crescenti preoccupazioni per un potenziale ingresso della NATO nella guerra o per un qualche tipo di attacco furtivo della NATO, credo che Putin stia trattenendo molte delle sue forze “per sicurezza”, evitando di impegnarle tutte insieme nei fronti ucraini per paura che possano rimanere impantanate quando la NATO deciderà di aprire un secondo fronte.

L’ho già postato in precedenza e lo ripropongo qui: c’è un discorso di Mitt Romney dell’anno scorso in cui dice espressamente che la NATO può cogliere le truppe di Putin con i pantaloni abbassati perché sono impantanate nel conflitto:

Altri alti funzionari, come Lindsay Graham, hanno ripetutamente fatto eco a queste parole in modi diversi. Quindi, se siete Putin e avete sentito persone come Mitt Romney dire letteralmente sulla TV nazionale che “se la NATO dovesse “attivarsi” in Ucraina, le truppe russe si troverebbero in una posizione di debolezza”, impegnereste davvero la totalità delle vostre forze in modo che tutti i vostri fianchi siano esposti a un attacco alle spalle della NATO? No, un leader intelligente terrebbe pronte alcune centinaia di migliaia di truppe, se non altro per scoraggiare un simile attacco, in modo da non dare alla iena selvaggia e salivosa nemmeno l’idea di provarci. In definitiva, credo che questo sia il motivo principale per cui Putin non ha impegnato la totalità delle forze.

E molti altri indicatori, di recente, fanno pensare a questa possibilità. Ne abbiamo parlato l’ultima volta, ma sembrano esserci altri avvertimenti. Ad esempio, proprio oggi Lukashenko ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che “non esiterebbe a usare le armi nucleari” se la Bielorussia venisse attaccata, riferendosi alle armi nucleari russe che presto saranno stoccate in Bielorussia. È chiaro che Lukashenko ritiene che la possibilità di una tale provocazione stia aumentando, ed è per questo che l’ha affrontata.

Rybar ha anche pubblicato oggi un nuovo rapporto, per quanto speculativo, che indica tale possibilità:

Fwd from @rybar Notizie interessanti arrivano dalla Lettonia: la revisione di strade e ferrovie è iniziata con urgenza in tutto il Paese. Allo stesso tempo, l’attenzione è rivolta al progetto Rail Baltica, una ferrovia a scartamento europeo standard con un sistema europeo di controllo dei treni, che dovrebbe collegare gli Stati baltici al resto d’Europa. Sui fotogrammi si può vedere il processo di costruzione dei binari e della stazione: ora si stanno costruendo strutture in cemento armato di spessore molto elevato – da 1,5 a 2 metri di cemento armato solido. Come notano i nostri lettori, la grande ristrutturazione sta avvenendo tra la più grande inflazione dell’Eurozona e la mancanza di denaro nel Paese.Abbiamo già detto (https://t.me/rybar/48257) che i Paesi baltici e la Polonia si stanno preparando a intervenire nel conflitto armato in Ucraina. Uno dei principali problemi della NATO in caso di guerra totale con la Russia e la Bielorussia è la logistica: la realizzazione di una linea ferroviaria a scartamento europeo standard e di nuove strade ridurrà i tempi di consegna di armi, attrezzature e munizioni al confine russo, mentre la costruzione di edifici e strutture fortificate è associata ai preparativi per le ostilità. Indirettamente conferma le attività in corso in Lettonia, che ha iniziato il reclutamento di massa (https://rus.delfi.lv/news/daily/latvia/molodezh-prizyvayut-zapisyvatsya-v-dobrovolcy-na-sluzhbu-v-vvs-latvii.d?id=55649816) di giovani fino al 15 luglio nei ranghi dell’Aeronautica lettone per la specialità di assistente operatore del sistema di difesa aerea a corto raggio RBS-70. L’addestramento è previsto per gennaio 2024.

Quindi, Rybar sostiene che le infrastrutture si stanno preparando per una possibile guerra futura contro la Russia. La Lettonia ha anche iniziato una campagna di reclutamento di massa per le forze aeree e i servizi di difesa aerea.

Potrebbe trattarsi di sciocchezze speculative, ma il canale Resident ha riportato anche oggi quanto segue:

La nostra fonte nell’Ufficio presidenziale ha detto che Zelensky sta preparando un nuovo viaggio in Polonia, dove discuterà il formato dell’Unione di Varsavia. La fonte ucraina “Resident” riferisce che la brigata congiunta lituano-polacca-ucraina si sta preparando a entrare nel territorio delle regioni occidentali dell’Ucraina come “esperimento”. Questo sarà il primo test per l’ingresso di contingenti NATO. Se il test sarà giudicato positivo, sarà incrementato.
Il colonnello Douglas MacGregor sembra essere d’accordo con questa nuova dichiarazione:

Gli Stati Uniti e la NATO potrebbero decidere di condurre un'”operazione” sul territorio dell’Ucraina, non volendo ammettere la sconfitta di Kiev.Douglas MacGREGOR ha osservato che dopo il fallimento delle Forze armate ucraine ad Artemivsk, la Casa Bianca ha iniziato a parlare dell’impossibilità di una vittoria dell’Ucraina.Egli ritiene che la situazione che si è sviluppata nella zona di guerra possa spingere l’Occidente ad aprire un intervento, che rischia di avere conseguenze catastrofiche. “A Washington gli animi restano a favore di Kiev. Temo che le forze aeree e di terra americane, insieme alle forze della NATO, possano essere introdotte nel territorio dell’Ucraina occidentale all’ultimo momento per cercare di salvare in qualche modo il governo ucraino dalla distruzione completa” – ha dichiarato un ex consigliere del Pentagono.
Quindi, che si tratti di speculazioni o meno, se esistesse anche solo un accenno di tale minaccia, non sarebbe intelligente trattenere una buona parte delle proprie forze per far fronte a questa minaccia o per scoraggiarla? Io penso di sì. Ma va detto che rimane la possibilità che i miei calcoli siano sbagliati. Per esempio, forse molti più militari russi hanno lasciato il servizio di quanto pensiamo e quindi ci sono molte meno truppe di quelle che ho calcolato. Ma mi sembra difficile da credere, visto che l’anno scorso la Russia ha sospeso tutte le rescissioni dei contratti, rendendo il servizio SMO un obbligo permanente per il momento, almeno a quanto mi risulta. Quindi gli unici veri militari che potrebbero aver lasciato i loro contratti sono i Wagner con il loro famoso contratto di servizio di sei mesi. Ma sappiamo che Wagner riceve anche molte nuove iscrizioni, quindi non dovrebbero esserci problemi.

Passiamo ora all’attuale “offensiva” in corso, se così si può ancora chiamare. Una cosa importante da notare è una cosa che avevo già detto l’altra volta, e cioè che non solo si diceva che l’offensiva sarebbe stata preparata per circa 10-15 giorni, ma che ci sono alcuni fondamenti dottrinali che sostengono questo in termini di velocità con cui un’offensiva dovrebbe muoversi.

Per esempio, Arestovich, che è un esperto stratega militare ed è stato tenente colonnello del GUR, ha dichiarato quanto segue all’inizio dell'”offensiva”, per calmare le persone che stavano “reagendo in modo eccessivo” alla perdita dei Leopard e dei Bradley:

Quindi, secondo lui, lo standard per offensive di questo tipo è quello di sfondare la prima linea di difesa del nemico entro il 10° giorno di operazioni. Beh, ho brutte notizie per Arestovich. L'”offensiva” è iniziata il 4 giugno. Ora è il 13 giugno. Domani è il 10° giorno e l’Ucraina non si è nemmeno avvicinata alla prima linea della Russia e, a quanto pare, non ci arriverà affatto:

Il riquadro rosso in alto mostra dove si svolgono attualmente i combattimenti vicino a Makarovka. La linea rossa in basso è la prima linea delle difese principali della Russia, appena a sud di Starolmynovka. Un’altra vista:

E questo solo sul loro asse buono. Dall’altra parte, vicino a Orekhov, sembra che abbiano completamente rinunciato a provarci. Soprattutto dopo l’umiliazione di aver perso tutti quei Leopard e Bradley, di cui ora abbiamo il primo video completo delle truppe russe che li hanno sequestrati (attenzione, contenuti 18+):

A proposito, la stampa occidentale ha pubblicato alcuni aggiornamenti su come si è svolta quella particolare battaglia con i Leopard, con alcuni dettagli interessanti:

L’offensiva delle Forze Armate dell’Ucraina attraverso gli occhi dei media occidentaliWall Street Journal : “Secondo il soldato 28enne, non appena il reggimento ha attraversato la strada oltre Malaya Tokmachka, i russi hanno iniziato a sparare contro di loro dai carri armati. “I campi erano minati. Elicotteri e jet russi ronzavano sopra di noi”, ha raccontato il soldato, secondo il quale uno dei Leopard è stato colpito e messo fuori combattimento. “Ci stavano aspettando… erano state preparate posizioni ovunque. Era un muro d’acciaio. Il piano era di muoversi a sud verso la città di Tokmok, occupata dai russi…”. Un combattente con il nome di battaglia “Finn”, che sta combattendo vicino a Velikaya Novoselka, dice che a causa delle piogge e del terreno paludoso, i veicoli blindati MaxxPro perdono la loro efficacia: “Sono stati creati per i combattimenti urbani e nel deserto. AFP: Un’unità meccanizzata delle Forze armate ucraine che ha partecipato ai recenti attacchi nei pressi di Orekhovo, nella regione di Zaporozhye, ha perso sei dei suoi nove veicoli da combattimento di fanteria americani Bradley. Rispondendo a una domanda dell’AFP sui risultati dell’offensiva in questo settore del fronte, uno dei militari ucraini ha indicato “zero” invece di rispondere con le dita .WSJ : “Ce n’erano più di quanti ci aspettassimo”, ha detto un 35enne capo plotone della 21ª Brigata meccanizzata ucraina, che ha preso parte all’assalto vicino a Orekhov, nel sud di Zaporizhia.I successi vicino a Orekhov “si sono rivelati inferiori alle aspettative”. I primi attacchi ucraini sono falliti quando una colonna corazzata si è imbattuta in un campo minato ed è stata colpita dal fuoco di ritorno. Il compito di Kiev è “confondere i russi su dove avverrà l’attacco principale”, ha detto Ben Hodges, ex comandante delle forze NATO in Europa. A suo avviso, questo colpo non è ancora stato sferrato: “Quando arriverà la spinta principale dell’offensiva ucraina, probabilmente coinvolgerà formazioni con diverse centinaia di carri armati e veicoli da combattimento di fanteria”, si legge nell’articolo.
Un altro rapporto ha affermato che uno dei carri armati Leopard è stato distrutto perché un artigliere nervoso ha sparato accidentalmente mentre la canna era puntata dritta verso un altro Leopard direttamente di fronte. Non scherzo.

Rybar, tra l’altro, ha mappato la maggior parte delle perdite di alto profilo:

Ma un altro articolo del WSJ ha scritto un resoconto comico su come i Leopard sono andati perduti, chiaramente cercando di dipingere il tutto nella luce più gloriosa possibile per limitare i danni:

Il suo carro armato Leopard II di fabbricazione tedesca ha abbattuto la fanteria russa, ma un’altra fila di soldati è intervenuta per sostituirli, e poi un’altra ancora, ha detto. Le granate a propulsione di razzi fischiavano. Alcune rimbalzavano sul carro armato. I campi erano coperti di mine. I guadagni sono stati inferiori a quelli sperati.
Quindi, secondo loro, i valorosi Leopardi hanno abbattuto file interminabili di orchi con la normale tattica delle ondate umane, mentre gli RPG rimbalzavano sulle impeccabili armature tedesche. Se la battaglia si è svolta davvero con un tale sfarzo da fumetto, ci si chiede come mai ci siano cumuli di Leopardi morti e nessuna foto di armature russe distrutte o delle montagne di fanteria abbattuta descritte.

La rivista tedesca Stern ha affermato che i russi hanno teso una trappola:

La rivista Stern scrive che l’euforia in previsione di un successo ucraino grazie all’uso di carri armati tedeschi è rapidamente evaporata – “Rispetto alle alte aspettative che gli esperti occidentali avevano suscitato, è stato uno shock… Sembra che gli ucraini siano caduti in un’ovvia trappola. I russi non hanno inizialmente distrutto i veicoli danneggiati, ma li hanno lasciati come trappole. Mentre cercavano di salvarli, il gruppo ucraino successivo è finito sotto il fuoco”.
E questo analista della difesa, nel precedente articolo del WSJ, ha anche affermato qualcosa che ho detto alla gente per molto tempo:

“Le forze ucraine stanno tentando di fare qualcosa che nessun’altra forza armata europea è attualmente in grado di fare: condurre operazioni sostenute di armi combinate in scala contro un avversario di pari livello in una guerra ad alta intensità tra Stati”, ha dichiarato Franz-Stefan Gady, analista della difesa con sede a Londra. Tra le forze armate occidentali, solo gli Stati Uniti sono in grado di condurre il tipo di offensiva complessa che Kyiv sta tentando, ma all’Ucraina manca la potenza aerea degli Stati Uniti, ha detto Gady.
Nel frattempo, ci sono indicazioni sulle pesanti perdite che l’Ucraina sta subendo nella regione:

Beznosov: Nuove informazioni ci giungono dai territori controllati dall’Ucraina. A Zaporozhye, negli ultimi 4 giorni, quasi tutti gli ospedali della città erano pieni di soldati ucraini. Solo nel quinto ospedale sono stati portati circa 1.500 cavalieri feriti. Allo stesso tempo, in città si è registrato un movimento attivo di carri attrezzi per un ammontare di 200-300 unità. Questi sono solo alcuni fatti delle conseguenze delle azioni offensive delle Forze Armate dell’Ucraina in questo settore del fronte.

Le basi delle Forze Armate ucraine a Orekhov sono state duramente colpite da bombe intelligenti. In questa città si trovano le basi e i punti di controllo delle brigate dell’AFU che avanzano sul fronte di Zaporozhye. Ieri è stato riferito che nella zona di Orekhov è stato colpito il punto di controllo della 47ª brigata meccanizzata delle Forze Armate dell’Ucraina, la stessa che ha già perso quasi tutti i Bradley e ha perso un gruppo di carri armati Leopard.
E notizie come questa, anche se vanno prese con le molle, non si sa mai:

Il panico sta crescendo nei ranghi delle Forze armate ucraine a causa delle elevate perdite subite durante la fallita controffensiva. In rete trapelano sempre più appelli da parte delle Forze Armate ucraine, che lamentano le elevate perdite nelle loro unità e la terrificante attività delle truppe russe. In uno di questi appelli, un combattente delle Forze Armate ucraine, situato nella direzione di Kharkiv, ha dichiarato che “centinaia di feriti e di morti vengono evacuati dalle loro postazioni ogni giorno”. La situazione è ora così deplorevole che lo Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine, per la prima volta dall’inizio delle ostilità attive, ha dovuto ammettere perdite colossali sulla linea del fronte. L’Occidente ha anche riconosciuto che l’esercito ucraino ha affrontato enormi perdite impreviste, che hanno causato il panico nel comando delle Forze Armate dell’Ucraina: “Il loro panico è visibile, e risiede nel fatto che non sanno in quale direzione saranno in grado di ottenere un successo visibile. Dopo tutto, se il governo ucraino non mostrerà almeno qualche risultato ai sostenitori della NATO, il sostegno all’Ucraina comincerà a diminuire”, ha dichiarato Daniel Davis, un esperto militare americano. Nuovi dettagli sullo stato delle cose nelle Forze Armate dell’Ucraina emergono dai soldati ucraini catturati, che diventano ogni giorno di più. Essi incolpano i loro comandi per le numerose morti. Secondo uno degli ufficiali ucraini catturati, i comandanti di alto rango danno sempre più spesso ordini inadeguati, che hanno già ucciso migliaia di soldati.
Va detto, tuttavia, che secondo alcune voci l’AFU si sarebbe leccata le ferite in direzione di Orekhov e starebbe preparando un altro tentativo di penetrazione di massa:

Inoltre, il nemico sta finendo di formare un gruppo d’attacco, per un secondo tentativo di sfondare la linea di difesa della 58ª armata. Udarny kulak ha 8 brigate, alcune delle quali sono brigate di sviluppo dello sfondamento.A giudicare dalla configurazione del raggruppamento, dovremmo aspettarci ancora una volta l’attacco principale alla 42ª divisione e quello ausiliario nella zona diMaly Shcherbakov-Pyatikhatok.L’inizio della prossima ondata di “contrattacco” può iniziare in qualsiasi giorno, compreso oggi.Il nemico è tutto pronto.
Tra l’altro, Strelkov ha avuto qualche ulteriore elogio e intuizione sulle strategie russe attuate nella direzione di Novosilka in corso:

Strelkov: È stato riferito il contrattacco della 127ª Divisione delle nostre truppe nel saliente di Vremev, sostenuto dall’artiglieria e dall’aviazione. Secondo i rapporti, le nostre truppe hanno messo fuori combattimento il nemico dall’insediamento di Makarovo e continuano a spingerlo verso nord, infliggendogli colpi di aerei e artiglieria. Se questo è vero, allora è la conferma di una tattica che è stata usata con successo molte volte in precedenza (durante questa offensiva nemica) – le nostre unità non “resistono [fino alla morte]” sotto i colpi dell’artiglieria e dei corazzati del nemico e si ritirano nelle retrovie, dando loro l’opportunità di  “uscire dall’ombrello dell’aviazione e della difesa aerea”.

Il nemico viene quindi sottoposto ad attacchi aerei e gli UAV correggono il fuoco dell’artiglieria sui gruppi d’attacco. Poi, quando il nemico è stato sufficientemente colpito, segue un contrattacco dei carri armati russi con un fitto supporto aereo per impedire all’AFU di portare i suoi SAM nell’area e assicurarsi al suolo. Questo porta alla sconfitta delle unità d’assalto nemiche e alla loro ritirata.

La tattica è vecchia e praticata già nella Seconda Guerra Mondiale – “difesa flessibile” [GB: gli strateghi russi sono i pionieri nella teoria e nella pratica della “difesa mobile”] e sembra funzionare con successo.

Possiamo anche supporre che i nostri comandanti non stiano cercando di tenere o riconquistare tutto il territorio che gli è rimasto, preferendo logorare il nemico sul campo di battaglia tra le loro posizioni originali e le nostre linee difensive principali (da cui il nemico è ancora lontano).

E sì, questa è esattamente la stessa tattica che il nostro nemico ha usato periodicamente durante la difesa di Bakhmut. Ora deve sperimentare tutti i piaceri di un’offensiva su posizioni preparate in anticipo e con una totale mancanza di sorpresa.

Tuttavia, ripeto, la battaglia non ha ancora raggiunto il suo apogeo e il nemico dispone ancora di forti riserve (5-6 brigate), che può lanciare in battaglia in qualsiasi direzione.

E l’AFU sta preparando un nuovo grande raggruppamento nella regione di Kharkov per un altro tentativo di incursione nella regione di Belgorod. Questa volta però stanno preparando anche una grande provocazione, vestendo le truppe con uniformi russe per creare il massimo caos e panico.

Diverse fonti riferiscono quanto segue:

Secondo le ultime informazioni ricevute, il nemico ha prodotto 1.200 set di uniformi militari in stile russo per le forze ucraine per le operazioni speciali.
I simboli, le strisce, le insegne, i modelli e il materiale sono completamente identici alle loro controparti russe.
Il trasferimento di questi kit è previsto per le seguenti destinazioni: Sumy, Kharkiv, Kherson, Zaporozhye.
Tra i kit: l’uniforme dell’FSB, Rosgvardiya (ci sono kit con le insegne del reggimento Akhmat), le Forze Armate della Federazione Russa.

Inoltre, per l’MTR dell’Ucraina, sono state consegnate alla direzione di Kherson razioni secche, in particolare di produzione ucraina, nonché (MRE-14) di produzione statunitense, e IRP-P, IRP-B di produzione russa.

A disposizione dei servizi speciali ucraini ci sono esplosivi prodotti nella Federazione Russa, in particolare: blocchi di TNT e pacchetti con RDX, bossoli cumulativi. Nella direzione di Kharkiv si concentra l’attrezzatura precedentemente catturata nelle battaglie con la Federazione Russa. Camion gommati: “KAMAZ”, “URAL”, nonché un certo numero di BTR-80.

Il nemico si sta preparando a condurre un sabotaggio, che sarà coperto come un atto commesso dalle forze dell’ordine russe. (Boris Rozhin)

E un altro:

Più vecchio di Edda: “Ora vorrei dire qualcosa di veramente importante senza scherzare o fare battute. L’attivazione del nemico sul confine di Belgorod continua e non diminuirà ancora. Sì, ci sono stati meno bombardamenti per un paio di giorni, ma questo è più probabilmente dovuto al raggruppamento del nemico e al fatto che ha deciso di usare altri metodi (la perdita sconsiderata di molti costosi veicoli da combattimento, anche di tipo occidentale, ha fatto il suo lavoro). Ho visto nel feed delle notizie che Khokhol sta per commettere una provocazione sotto forma di truppe russe e dirò che persone valide confermano questa informazione.
Khokhol ha effettivamente formato due gruppi d’assalto per sfondare il confine di Stato, rinforzandoli anche con combattenti del cosiddetto battaglione “Sheikh Mansour”, sotto la guida di M. Cheberoloevsky.

I militanti sono stanziati a Kupyansk (fino a 300 persone), e fino a duecento persone nei Pecheneg della regione di Kharkiv. Tutta questa banda opererà sotto la copertura della bandiera di Vyrusya dell’RDK, mentre i militanti Ichkeriani vogliono utilizzare l’uniforme delle unità Rosgvradiya e Akhmat. Inoltre, l’uniforme russa è stata realizzata su ordine dei servizi speciali ucraini presso le fabbriche “Brevi” ed “Ekotets-3″ nella regione di Poltava”.

Questo rapporto sostiene che il famigerato battaglione dei “ceceni malvagi” di Sheikh Mansour sarà utilizzato in questo caso vestendo le uniformi dei ceceni russi Rosgvardia e Akhmat. Ma la cosa più interessante, soprattutto alla luce di quanto detto da Putin nei colloqui di oggi su un nuovo piano di rafforzamento delle regioni di confine, è che ora c’è la conferma che le vere forze cecene Akhmat sono state inviate a Belgorod per assumere la difesa.

Ecco una foto dell’incontro tra Delimkhanov di Akhmat e il governatore di Belgorod Gladkov per definire l’accordo:

 Il demone nella sacra narrazione dell’America, di MICHAEL VLAHOS A cura di Roberto Buffagni

Il bellissimo saggio di Michael Vlahos, studioso di storia militare, strategia, antropologia, che qui traduciamo e pubblichiamo, rischiara uno degli aspetti più enigmatici della presente svolta storica. In questo scritto, con il suo ricchissimo corredo di note, Vlahos indaga le radici invisibili dei gravi errori strategici commessi negli ultimi trent’anni dalla potenza egemone occidentale, gli Stati Uniti d’America; e le cerca dove è meno facile scorgerle: nel mito fondativo americano, nella religione civile d’America, nei moventi più profondi e meno consapevoli della psiche americana.

Ne raccomando l’attenta e paziente lettura, e suggerisco al lettore di dedicare tempo anche ai numerosi rinvii ai testi citati in nota, spesso illuminanti. È tempo ben speso. Buona lettura.

Roberto Buffagni

 

 

 Il demone nella sacra narrazione dell’America

L’America è una religione infiammata da un’apocalisse eternamente ricorrente, e la guerra è il suo rituale di purificazione.[1]

 

di MICHAEL VLAHOS[2], 3 giugno 2023

 

 

L’America è una religione. Il 4 luglio 1776, gli Stati Uniti furono battezzati con queste parole: “Ci impegniamo reciprocamente con le nostre vite, le nostre fortune e il nostro sacro onore“. Con questo giuramento[3], una nazione è nata e ha inaugurato il mito del suo ingresso nel divenire storico. Però, i Fondatori – i nostri “creatori” – hanno immaginato più di una nazione. Hanno anche abbozzato l’arco narrativo di un viaggio divinamente eroico, e designato gli Stati Uniti come il culmine (futuro) della Storia.

Questa è la sacra narrazione dell’America. Sin dalla loro fondazione, gli Stati Uniti hanno perseguito, con ardente fervore religioso, una superiore vocazione a redimere l’umanità, punire i malvagi e battezzare l’Età dell’Oro sulla terra. Mentre Francia, Gran Bretagna, Germania e Russia si aggiravano per il mondo alla ricerca di nuove colonie e conquiste[4], l’America si è costantemente attenuta alla sua originale visione della propria missione divina quale “Nuovo Israele di Dio”[5]. Mentre le narrazioni mitiche delle altre grandi potenze erano crudelmente egocentriche, la Scrittura americana era – e rimane tuttora – “Servire l’Uomo”[6].

Così, tra tutte le rivoluzioni scatenate dalla Modernità, gli Stati Uniti si dichiarano, nella loro stessa Scrittura, il precursore e l’apripista dell’Umanità. L’America è la nazione eccezionale, l’unica, la pura di cuore, la battezzatrice e la redentrice di tutti i popoli umiliati e oppressi: L'”ultima, la migliore speranza della Terra”[7].

Questo è il catechismo della Religione Civile Americana[8]. Agli occhi del mondo, tutto questo può sembrare un vano rituale di autoglorificazione, eppure la Religione Civile è l’articolo di fede nazionale degli americani. È la Sacra Scrittura, che prende forma retorica attraverso ciò che gli americani considerano la Storia. Eppure questa visione della storia è meglio compresa se la si intende come un corpus di letteratura sacra, per molti versi paragonabile all’Islam.

Al posto del Corano, l’America ha la sua Dichiarazione di Indipendenza e la sua Costituzione. Al posto della Sira (السيرة النبوية), degli Hadith (حديث) e dei Tafsir (تفسير), l’America ha i Federalist Papers, le omelie presidenziali a partire dal Discorso di addio di Washington[9], e le tradizioni, le storie e i detti dei Fondatori, fino alle interpretazioni moderne offerte dai “grandi americani” che si sono succeduti. Invece del Fiqh (فقه) e del suo sistema di Madhhab (مذهب), l’America ha le sue scuole di giurisprudenza che interpretano e traducono – in una sorta di Ijtihad (اجتهاد) – le sue scritture nel corretto “modo di agire” (cfr. Madhhab).

Oggi possiamo davvero comprendere il pensiero e l’azione americani solo attraverso la lente della religione. L’America è infatti una religione intransigente come l’Islam[10]. Per esempio, si può pensare che agli americani manchi la Shahada (ٱلشَّهَادَةُ), o “la testimonianza” della fede, ma non è passato molto tempo da quando gli studenti di tutte le scuole pubbliche americane recitavano quotidianamente il Pledge of Allegiance (“il giuramento”). Non solo l’inno nazionale americano è un puro inno sacro, ma le sue parole sacre – Libertà e Democrazia – sono cantate ritualmente dal suo popolo proprio come ʾIn shāʾ Allāh dai musulmani.

La nostra letteratura sacra definisce chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando, e, come per la Ummah islamica (أُمّة), costituisce l’alveo del nostro Io nazionale. Inoltre, come l’Islam, anche la missione dell’America è “giustamente” guidata, e sarà compiuta solo quando tutta l’umanità sarà riunita nel suo abbraccio “democratico”. Proprio come il Dar-al-Islam, nel suo periodo di massimo splendore, spingeva incessantemente per una comunità globale “con il fuoco e la spada”, gli Stati Uniti hanno perseguito un universalismo non meno incessante nel loro secolo di apogeo.

 

La nostra letteratura sacra definisce l’identità americana come un grande arco narrativo, donato da Dio, che si realizza attraverso una serie ricorrente di storie che illustrano epifanie del sacro continuamente ascendenti: un ciclo storico di lotte estatiche che danno forma al mitico passaggio verso l’inverarsi storico dell’America, e che culminano in un’apocalisse – “rivelazione” o “svelamento” (in greco antico apokálupsis). All’interno di questi cicli apocalittici, il significato nascosto dell’arco narrativo sacro americano si rivela solo attraverso la realizzazione della democrazia universale. Come l’Islam, anche la religione americana culmina in un’apocalisse[11].

Come tale, l’arco narrativo americano può realizzarsi solo attraverso la battaglia. Ogni “momento culminante” nella narrazione sacra americana è stato realizzato attraverso il sacrificio reciproco e il potere trascendentale della vittoria in battaglia. Dal momento della sua fondazione a oggi, la guerra è stata l’incudine dell’America, e nel sangue essa è stata divinamente temprata[12].

Non solo ogni grande guerra americana è considerata un punto di riferimento per il progresso verso un Graal millenaristico, ma ogni generazione americana è stata incoraggiata a spostare in avanti il metro di misura dell’avanzamento. Anche se non tutte le lotte sono state coronate da successo, ogni spinta ha costituito un trampolino di lancio per il prossimo grande passo. La narrazione sacra americana è così onnipresente e onnipotente che, in oltre 250 anni, non c’è stata alcuna pausa storica significativa nell’inflessibile spinta americana verso la Jihad.

La narrazione sacra governa gli americani: governa ciò che pensano, dicono e fanno. La domanda è: chi controlla questa narrazione sacra? Naturalmente, il Vangelo americano è una creazione del popolo americano. Per quanto crediamo – anche se spesso in senso figurato – alla sua ispirazione divina, la “buona novella” dell’America è una nostra creazione. E proprio come per la Costituzione, in teoria abbiamo il potere di emendarla. Tuttavia, dato che l’imperativo dell’esegesi è scolpito nelle tavolette di Ur della religione civile americana, il settarismo diventa inevitabile.

La religione civile americana è inestricabilmente legata alla Riforma, al cristianesimo calvinista e alla sanguinosa storia del protestantesimo, con la narrazione sacra dell’America plasmata e battezzata attraverso il primo e il secondo Grande Risveglio del Paese. Sebbene la sua lettura scritturale sia divenuta laica nell’era del Progresso, la religione americana è rimasta legata alle sue radici formative. Infatti, anche la nostra contemporanea “Chiesa di Woke”[13] non può sfuggire alle sue origini cristiane calviniste.

Più volte nella storia americana, sette autoctone hanno cercato di “revisionare” la narrazione sacra, forse addirittura trasfigurandola. Per di più – dato il messianismo jihadista che fa da cornice alle Scritture nazionali americane – questo percorso revisionista deve passare attraverso la valle di lacrime dell’effusione di sangue fraterno e delle guerre civili.

L’apocalisse che porta il Millennio promesso all’umanità deve necessariamente riflettere l’anelito apocalittico del Vangelo americano: se siamo caduti nella corruzione, dobbiamo essere purificati e resi di nuovo degni di agire come Redentore del Mondo. Per i suoi peccati, una narrazione sacra corrotta non può trovare espiazione. Semmai, un Nuovo Testamento inossidabile deve sostituire il Vecchio Testamento arrugginito. La rinascita esige quindi il passaggio attraverso il fuoco purificatore della guerra. In effetti, l’ossessione per il potenziale purificatore e consacrante delle prove e dei terrori insiti nella guerra è il demone che si nasconde nei meandri della nostra letteratura sacra.

Questo invasamento demoniaco della guerra si radica nella nascita stessa dell’America come nazione. La Rivoluzione americana costrinse la nuova nazione a cacciare i propri fratelli e ad abbandonare l’antica parentela con la Gran Bretagna. Persino il codice sorgente della narrazione sacra dell’America – la Dichiarazione – è stato predeterminato in conformità alla trasfigurazione dei nostri (ex) parenti in (d’ora in poi) estranei e alieni, se non nemici. L’indipendenza richiedeva una metamorfosi. Il passaggio alla “rivelazione” passava attraverso il fuoco della guerra esistenziale intestina.

La Dichiarazione prefigurava anche la seconda possessione demoniaca dell’America. La guerra civile americana si sviluppò da una vistosa spaccatura settaria[14] che andò sempre più fuori controllo dopo il 1815. Due sette neocristiane evangelizzatrici ferocemente diverse, eppure inquietantemente simili, portarono a uno scisma nella religione civile[15] che assunse l’intensità appassionata delle guerre di religione europee (1545-1648)[16].

Il terzo invasamento dell’America ad opera della guerra santa si trasformò in un’apocalisse nientemeno che globale. Qui gli Stati Uniti non dovettero affrontare sette rivali all’interno della Religione Civile Americana, ma piuttosto il Demiurgo (gnostico) stesso, in una serie di sue manifestazioni tenebrose – fascismo, nazismo, comunismo – che potevano essere sconfitte solo dalla Luce.

Dal 1945, gli Stati Uniti hanno spesso confuso le battaglie neo-settarie affrontate in patria con la loro jihad universale per elevare e redimere l’umanità all’estero. Il nucleo della narrazione sacra dell’America – la sua autocomprensione come nazione divinamente ordinata, universalista e apocalittica – è, nella sua intensa religiosità, preoccupante. Il fatto che gli americani siano del tutto ignari di questo zelo religioso è inquietante. Ciononostante, questa narrazione sacra ha guidato gli americani di ogni generazione, spingendoli a ricreare e rivivere il loro arco narrativo originale – un eterno ricorso che oggi ha ramificazioni globali.

Questo ci porta alla nostra situazione attuale. Dal 2014, una nuova setta in rapida crescita – la “Chiesa di Woke” – ha cercato di trasformare e possedere pienamente la religione civile americana, per regnare come confessione religiosa sua erede. Ironicamente, il fervore del suo evangelismo incanala il post-millenarismo del Primo Grande Risveglio, il cui messianismo è stato codificato nel Novus Ordo Seclorum[17] (Nuovo Ordine dei Secoli).

Come ha preso forma la religione civile americana? Qual è l’origine del momento critico in cui ci troviamo oggi?

 

I quattro pilastri della rettitudine americana

La religione civile americana è guidata da quattro convinzioni e atteggiamenti di fondo: 1) missionarismo, 2) messianismo, 3) manicheismo e 4) millenarismo. In primo luogo, si ritiene che gli Stati Uniti siano in missione per conto di Dio, come ci ricorda Elwood Blues[18]. L’America è stata incaricata da Dio (o dalla Provvidenza[19]) e quindi porta con sé la Sua autorità, con il popolo americano che funge da agente divino. Con la fondazione dell’America, questa voce divina – che si leva al di sopra e dall’esterno, ma che sorge anche dall’interno – diviene immanente nei Fondatori dell’America e nei suoi “eletti”.

Il secondo motore della teologia americana è il suo idealismo messianico, radicato in una visione escatologica dell’esistenza. Si ritiene che l’America sia stata scelta – in quanto “nazione eccezionale” – per sollevare gli umiliati e soccorrere gli oppressi. L’America è la Nazione Redentrice[20] per eccellenza. La “salvezza” del mondo è affidata all’America, che deve assumersi il compito di rovesciare e punire i malvagi, di inseguire e abbattere il Male stesso. Questa certezza della propria unzione sacra, del proprio ruolo nel “giudizio finale” rende gli americani particolarmente inclini ad adottare una mentalità “bianco o nero”. L’America rappresenta la Luce, che lotta contro l’eterno “Lato Oscuro”[21] – questo è il terzo pilastro e il fondamento del manicheismo americano.

Infine, come città splendente su una collina[22], l’America rappresenta la nazione scelta da Dio, il cui popolo ha il sacro compito di mantenere la promessa postmillenaria del Regno dei Cieli sulla Terra. L’America guiderà quindi l’Umanità attraverso un mitico passaggio verso i benedetti “ampi e soleggiati altipiani”[23]. Questi quattro quadri mentali sono inestricabili dal nostro stesso essere americani e costituiscono il fulcro della nostra visione del mondo ancora oggi.

Prima di esaminare in modo più dettagliato questi pilastri della religione civile americana, una parola di cautela. Tutte le nazioni hanno dei miti fondativi e – in modo pesante o più leggero – sono tutte governate da essi. L’America non è unica tra le nazioni. Tuttavia, la sua narrazione sacra è davvero diversa, e rappresenta una forza potente nella psiche nazionale. Questa narrazione sacra non può catturare pienamente la ricchezza e la diversità di un ethos originale, un tempo radicato in antiche tradizioni. La cultura americana rimane un terreno di intrecci di tradizioni popolari e di visioni del mondo che ricordano ancora i suoi antecedenti storici. Alcuni li hanno definiti “il seme di Albione”[24].

Eppure, più volte, élite troppo zelanti, spinte da programmi estremi e utopistici, sono riuscite ad appropriarsi della Religione Civile e l’hanno piegata alla loro fede e alla loro visione del mondo universalistica, sebbene fosse in contrasto con le tradizioni normative contrastanti dell’American way of life.

Tuttavia, ogni generazione americana, dalla fondazione in poi, è stata governata da una religione civile che ne formava il contesto culturale. Se la narrazione sacra dell’America è stata vista e interpretata attraverso il prisma di una corrente di pensiero dominante – che fa capo più a Thomas Jefferson che a George Washington – ha comunque catturato l’identità americana, anima e corpo. Come ha fatto un caravanserraglio di tradizioni popolari, abitudini e retaggi coloniali a trasformarsi nella religione civile americana, intransigente e assolutista, che conosciamo oggi?

Il tempo di passione della nascita d’America – lo sconvolgimento rivoluzionario avvertito da ogni cittadino – ha offerto a una minoranza fanatica[25] lo scenario perfetto per catturare l’immaginazione americana con la promessa di un “progetto” eterno, il crogiolo perfetto per realizzare una metamorfosi nazionale.

Quindi, dalla caotica selva di possibilità di questo ambiente, una nuova religione e la sua narrazione sacra furono in grado di cristallizzarsi, creando al contempo le condizioni per fare proselitismo in una società coloniale più passiva e politicamente agnostica. Una minoranza di zeloti, che nelle generazioni a venire verrà ricordata come “I Figli della Libertà”, divenne il cocchiere in incognito della Rivoluzione.

Dall’America tardo-coloniale ai giorni nostri, i veri credenti hanno “guidato” ogni arco narrativo apocalittico americano. Come nella maggior parte delle rivoluzioni della storia, i pochi ardenti sono gli evangelisti che danno forma al caos del cambiamento, iniettando la loro rettitudine nelle arterie spirituali dei molti.

 

  1. L’America missionaria

La missione americana sgorga da una sorgente divina. Nel corso del tempo, l’alleanza originaria della comunità puritana con Dio[26] si è trasformata nella direttiva principale dell’America. L’America è diventata così “una città su una collina, alla quale gli occhi di tutti i popoli” – non solo in America ma in tutto il mondo – guardano con meraviglia. Lo Stato Missionario che ne deriva ha una sola brama: bagnare tutti i popoli nell’acqua battesimale della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza.

Questa missione americana è stata risvegliata e ribattezzata quattro volte. Il primo e il secondo “Grande Risveglio” furono eventi nazionali drammatici, galvanizzati dal fuoco spirituale del revivalismo cristiano. Precedendo la Rivoluzione americana, il Primo Grande Risveglio[27] elettrizzò il grido di “Libertà” con un taglio evangelico[28], che riecheggiava la squillante profezia di Jonathan Edwards.

 

Il Secondo Grande Risveglio diede vita a nuove sette americane, come la Christian Science[29], gli Shakers[30] e la Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni[31], e guidò i movimenti sia pro sia contro la schiavitù verso l’evangelizzazione settaria, con la piena aspettativa di una lotta apocalittica. Il periodo della Ricostruzione che seguì era finalizzato al compimento di una narrazione salvifica che non avrebbe semplicemente riscattato gli schiavi, ma anche lavato i peccati dell’America stessa – un secondo battesimo nazionale[32].

Le epifanie nazionali cristiane furono poi seguite da un altro tipo di terzo grande risveglio, anche se non fu mai formalmente chiamato così. Tuttavia, dalla corruzione della Gilded Age e dal purgatorio della società industriale, sorse un movimento chiamato Vangelo sociale,[33] per aiutare gli americani a scoprire una nuova promessa di salvezza in questa vita. Questo movimento, a sua volta, animò una causa Progressista emergente: divenire levatrici del nuovo, in modo che il vecchio cristianesimo potesse dare vita a una nuova visione secolare che rimanesse comunque fedele a se stessa[34]. I progressisti, affatto laici, accettarono volentieri la benedizione cristiana su un’impresa per nulla interessata alle vecchie radici cristiane[35].

Nonostante l’apparente rifiuto di ogni ascendenza cristiana, tuttavia, il rituale e la dottrina di questa nuova incarnazione della religione civile si sarebbero attenuti alla forma originale e sacra del calvinismo. Solo che da allora in poi, tutte le apocalissi americane avrebbero potuto comandarci e ipnotizzarci con una voce laica.

La Missione Americana mescola, così, la redenzione con la conversione. I proclami sulla volontà di rendere il mondo “sicuro” – come sostenuto da Woodrow Wilson[36] nel suo discorso sulla Dichiarazione di Guerra, o, nel nostro tempo, sulla Responsabilità di Proteggere (R2P) di Samantha Power[37] – sono fuorvianti. In realtà, l’invocazione retorica di un “mondo sicuro e protetto” rappresenta una investitura divina americana, e il suo vero obiettivo è: convertire tutte le nazioni e i popoli alla religione americana.

Questo arco narrativo è iniziato con il Secondo Grande Risveglio, quando i missionari cristiani “procedettero dagli Stati Uniti verso i quattro angoli della terra”[38]. Negli anni Novanta del XIX secolo, quando lo Stato-nazione si proiettò sul mondo, lo Stato aveva srotolato nuovi stendardi missionari e nuovi catechismi, ma parlando con voce laica: per esempio, “conversione attraverso l’istruzione”, “educazione alla democrazia” e “civiltà americana”.

 

In effetti, la Commissione Taft, fissando la bussola culturale del dominio americano sulle Filippine, fece dell’educazione alla democrazia e alla civiltà americana il progetto di nation-building[39]  dell’epoca. Furono inviati centinaia di insegnanti americani (i “Thomasites”) e l’esercito americano costruì migliaia di scuole. Così, la costruzione di scuole divenne il tropo eroico della costruzione della democrazia, una “parola fatta carne” ufficiale pronta ad ispirare le successive missioni di “nation-building” in Iraq e Afghanistan.

Così, l’appello della Missione americana si è evoluto dalla redenzione di se stessi alla redenzione del mondo. Inizialmente guidato dal revivalismo cristiano, lo zelo missionario dell’America si è presto orientato verso un’alleanza secolare, ma ancora sacra (i 14 Punti di Wilson fanno uso esplicito di questa parola) con il mondo in quanto tale. L’autorità di questa alleanza implicita è ancora oggi in pieno vigore. Nessun’altra religione mondiale ha fatto un proselitismo più aggressivo con le sue dottrine.

 

  1. L’America messianica

Il messianismo americano incanala il potere delle eredità teologiche intrise della visione di Calvino sulla predestinazione. Riflette un abbraccio collettivo della predestinazione, che avvolge sia la nazione che i cittadini. Nel 1765, John Adams dichiarò che il popolo americano era guidato da una “provvidenza benigna” e che la sua missione aveva dimensioni messianiche[40]:

 

Ho sempre considerato l’insediamento dell’America con riverenza e meraviglia, come l’apertura di una grande scena e di un disegno della provvidenza, per l’illuminazione degli ignoranti e l’emancipazione della parte schiava dell’umanità su tutta la terra.

 

Quindi, l’America non solo ha un carattere “messianico” – in quanto “posseduta da passione e zelo” – ma manifesta una visione implicitamente biblica che proclama la sua fede nella natura predestinata del suo passaggio. Una “nazione eletta” divinamente scelta per agire nel nome della Provvidenza come Redentore del Mondo: il grande arco della narrazione sacra americana marcia sempre in avanti – con l’America come braccio di Dio – verso il millennio “benedetto”. Rivelando l’estasi di questo Zeitgeist messianico, Walt Whitman[41] poteva così esclamare nel 1860:

 

Io sono il cantore – canto ad alta voce sopra il corteo; …

 

Canto il nuovo impero, più grande di tutti i precedenti – Come in una visione mi viene incontro;

 

Canto l’America, la padrona – Canto una supremazia più grande; …

 

E tu, Libertad del mondo!

 

O come cantava Herman Melville[42] nel 1850:

 

Noi siamo i pionieri del mondo; l’avanguardia, inviata attraverso il deserto delle cose non sperimentate, per aprire un nuovo sentiero nel Nuovo Mondo che è nostro. La nostra forza è nella nostra giovinezza… la nostra voce profonda è udita lontano. Siamo stati a lungo scettici nei confronti di noi stessi e abbiamo dubitato che il Messia politico fosse venuto. Ma è venuto in noi.

 

A metà del XIX secolo, l’etere della Missione americana era pienamente infuso di messianismo della “Giovane Libertad”, in una fusione dimorfica di Antico e Nuovo Testamento. In effetti, l’eredità di Edwards è riuscita a creare un’autentica voce cristiano-americana, per quanto questa possa sembrare lontana dalle realtà della vita politica americana della metà del XIX secolo.

 

III. L’America manichea

L’idea di un’eterna lotta del bene contro il male risale all’antica Persia e alla religione gnostica e dualistica del profeta Mani (آینِ مانی). Si tratta di un tema duraturo, la cui corrente profonda si riversa nel cristianesimo e nelle sue numerose eresie (ad esempio, Albigesi, Bogomili e Pauliciani). Il manicheismo americano presuppone un Demiurgo e, dopo averlo evocato, lo proclama come proprio. Una volta che l’America rivendica l’intero potere del Bene e lo rende del tutto intrinseco alla sua concezione del Sé, lo Straniero, l’Estraneo e ciò che viene designato come l’Altro possono essere transustanziati di colpo – attraverso la celebrazione della liturgia nazionale – in puro Male.

In questo atto riflessivo, l’alterità precede il vilipendio definitivo e ufficiale. La fede religiosa crea un contesto che permette di trasformare l’altro in un male che distrugge il mondo. È con questa sacra ingiunzione che i guardiani dell’opinione pubblica americana accusano ed ostracizzano regolarmente le voci americane dissenzienti.

L’icona originale del male americano è emersa con la Rivoluzione Americana, con la quale rimane per sempre sincronizzata. Durante questa primordiale apocalisse americana, i rivoluzionari scacciarono gli ex fratelli come presunti agenti del tiranno primordiale, Giorgio III. Il fascino freudiano della trasformazione del fratello in Altro ha raggiunto il suo apice nella seconda apocalisse americana. Durante la Guerra Civile, “fratello contro fratello” divenne il motto quotidiano della guerra. Rispetto alla Guerra di Rivoluzione, l’apostasia americana era maturata. Durante la guerra civile, l’espiazione e la riparazione – il ricongiungimento con il corpo della Chiesa (americana) – divennero il compito più urgente dell’Unione.

Passando al XX secolo, era necessaria una riconciliazione operativa attraverso la quale l’ex nemico potesse trovare l’espiazione ed essere accolto, in ginocchio, nella vera fede garantita dalla profezia americana. Ciò è del tutto in linea con la formula originale osservata dall’America per trattare con il Prototipo dell’Altro. In conformità ad essa i Tories[43], responsabili mai perdonati del (nostro) peccato originale, sono stati scacciati ed esiliati dalla Città sulla Collina per tutta l’eternità[44]: banditi nelle gelide distese al di là del firmamento americano, oggi note come Canada. In questo modo, le prime due apocalissi dell’America hanno creato una patologia dualistica nella narrazione sacra americana: ostracismo o redenzione.

La soluzione novecentesca dell’America è stata quella di trasformare il nemico distillando tutto il male e il peccato in un individuo “satanico” che fosse la nuova personificazione del Male. Quindi, il nemico primordiale dell’America non erano i tedeschi, ma Hitler; non i sovietici, ma Stalin; non i russi, ma Putin. Il male personificato come Anticristo è stato il santo dei santi nella formula di redenzione dell’America per quasi un secolo.

 

  1. L’America millenaristica

Anche se oggi non è il senso corrente della parola, “apocalisse”, come detto in precedenza, significa rivelazione – togliere il velo sulla Parola di Dio e sul suo Piano. “Apocalisse”, quindi, non significa la fine del mondo, ma piuttosto il suo culmine: “Tutta la storia è, infine, apocalittica”.

Un particolare esito apocalittico – il postmillenarismo – è incorporato nella narrazione sacra americana. Può essere ricondotto, ancora una volta, a Jonathan Edwards. Gli storici hanno accusato Edwards di aver “catalizzato questo particolare filone di escatologia”[45], indirizzando così l’America verso il “destino manifesto”[46].

Oggi, nessun americano “giustamente guidato[47]” può prendere in considerazione, e tanto meno accettare, un eschaton minore. Per esempio, dati i dogmi della religione civile americana, un “realismo” che osi mettere in discussione il potere divino della democrazia diventa immediatamente anatema. Una visione dell'”interesse nazionale” slegata dal nostro piano sacro[48] equivale all’apostasia. Consultiamo le nostre Scritture americane. Innanzitutto, Apocalisse 14:19:

 

And the angel thrust in his sickle into the earth, and gathered the vine of the earth, and cast it into the great winepress of the wrath of God[49].

Confrontatelo con questo versetto della liturgia della guerra civile – L’inno di battaglia della Repubblica:

 

He is trampling out the vintage where the grapes of wrath are stored; He hath loosed the fateful lightning of His terrible swift sword.[50]

Così, sulla scia della sua seconda guerra apocalittica, nel 1865, con la politica purificata e il male abbattuto[51], poté nascere una nuova America.

Gli americani ritenevano che ciascuna delle crisi nazionali americane avrebbe potuto inaugurare nell’immediato un’era millenaria, un “Novus Ordo Seclorum[52], come prefigurato e profetizzato nelle parole di Washington. L’apocalisse e il suo potere rivelatore indicano quindi sempre la fine predestinata del nostro arco narrativo, una mimesi celeste in cui il mondo divino si rispecchia in terra.

Per questo, nel 1945, circa ottant’anni dopo la guerra civile, la terza apocalisse americana fu considerata un’altra opportunità provvidenziale per realizzare la profezia destinale dell’America. Anche se la promessa di un giudizio finale fu congelata dalla Guerra Fredda e rinviata ai posteri, l’establishment statunitense iniziò a sbandierare un Millennio in attesa: che c’era di nuovo un imminente “Mondo libero” da realizzare, un giorno, in un sacro ordine internazionale liberale.

L’improvvisa caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 inaugurò una falsa aurora. Semplicemente, la classe dirigente americana non era preparata a una sincronicità junghiana[53] dell’apocalissi così perfetta. Hanno freneticamente dichiarato un “Nuovo Ordine Mondiale” e celebrato la “fine della storia”[54], come se tutta l’umanità fosse semplicemente destinata a inchinarsi al Grande Sigillo dell’America.

Naturalmente, il Millennio promesso rimane ancora sfuggente. Ma questo non ha impedito all’establishment della politica estera degli Stati Uniti di attribuire una posta in gioco esistenziale a ogni nuova guerra che intraprende, appiccicando su di essa i sogni, divinamente sanciti, inclusi nella ricerca mitica – sempre affascinante – del compimento spirituale dell’America. La profondità e l’ampiezza della religione civile americana rivaleggiano con qualsiasi fede mondiale, non solo per l’enormità della teologia, la forza dei dogmi e la presa della sua letteratura sacra, ma anche per il suo impatto maniacalmente benefico e tuttavia brutale sull’umanità e sulla storia.

Per comprendere meglio la narrazione sacra americana, può essere utile valutare l’arco narrativo nazionale dell’America come si farebbe con una serie televisiva. In quanto tale, la serie americana di successo è già stata rinnovata per un certo numero di stagioni, anche se la nostra è una storia sacra organizzata intorno alle apocalissi.

Come religione universalista radicata fin dalla nascita nell’apocalisse, il ciclo di vita di 250 anni dell’America è interamente catturato dal suo sacro arco apocalittico, punteggiato da tre sorprendenti “rivelazioni”: la nascita con la Rivoluzione Americana, un battesimo o purificazione nella Guerra Civile, e una redenzione mondiale durante le due Guerre Mondiali – quasi compiuta, ma anticipata.

Cosa ci aspetta dunque nella nuova, e forse ultima, stagione? Dove siamo diretti, in questa melodrammatica prova?

 

La quarta apocalisse americana?

Gli americani continuano a negare che la loro ideologia nazionale equivalga a una religione civile. E’ vero che la grande intuizione in merito di Robert Bellah ha trovato ascolto sin dal 1973, ed è citata, a intermittenza, nei media mainstream[55] americani. Tuttavia, è un riconoscimento criptico e raro, e la consapevolezza popolare di esso è quasi inesistente. Gli americani rimuovono risolutamente la loro religione civile per tre motivi.

In primo luogo, gli Stati Uniti sono nati nello sfolgorio del pensiero illuminista, dove religione – soprattutto la Chiesa romana – equivaleva a superstizione. Edward Gibbon, che nel 1775 ebbe la sua epifania nel Foro Romano, attribuì il “declino e la caduta” di Roma alle forze della “barbarie e della religione”[56].

Tuttavia, i Fondatori abitavano un ambiente plasmato da uno Zeitgeist protestante, che dominava le loro vite. Se gli americani dovevano essere campioni della Ragione – dove “la Scienza è reale” e (in quasi tutte le dispute) “fornisce la soluzione” – quel Tempio della Ragione doveva avere radici affondate nella Predestinazione calvinista. Naturalmente, ogni americano “giustamente guidato” sa che il suo Paese è sinonimo di Progresso: l’America non può mai essere medievale. Quindi, in un atteggiamento del tutto privo di autoconsapevolezza, qualsiasi religione di Stato regnante – con le sue dure leggi religiose – apparirebbe arretrata, primitiva o, come spesso si dice del fondamentalismo islamico, equivale a “tornare al XIV secolo”[57].

Inoltre, gli americani – quasi senza eccezione – non riescono a concepire la religione in assenza di una “Chiesa” formale e confessionale. Così, anche all’apice della Guerra Fredda, i mali del comunismo non erano identificati come i peccati di una Chiesa alternativa. Il canone marxista-leninista non poteva essere teologia: doveva invece essere “ideologia”. Dopo tutto, come potrebbero essere religiosi i “comunisti senza Dio”? A ciò si aggiunga il fatto che molti esponenti della sinistra americana simpatizzavano con l'”idea” del socialismo e lo trovavano attraente per gli Stati Uniti, sempre che fosse stato “fatto bene”. In altre parole, credevano che una bella dose di democrazia e libertà americana avrebbe sicuramente ripulito il marxismo dai suoi mali e distillato i suoi altrimenti nobili ideali. Il socialismo è fallito in Russia perché non è stato unto dalla “buona novella” americana: una sua versione americana, invece, avrebbe prosperato.

Infine, una confessione di fede americana – l’aperta enunciazione dell’esistenza di una religione civile nazionale – sembrerebbe annullare la clausola di separazione tra Chiese e Stato della Costituzione. Tuttavia, la religione civile americana originale, così come concepita dai Fondatori, può essere definita una chiesa di Stato? Quasi certamente, essi direbbero di no. Dopo tutto, una religione civile non è una chiesa, almeno non nel modo in cui l’Illuminismo intendeva la religione. Nel XVIII secolo, per “religione” si intendeva una chiesa di Stato. Il diritto canonico e la common law rientravano quindi entrambi nelle prerogative dello Stato, che i Fondatori intendevano come Parlamento e Re. Possedere la Chiesa d’Inghilterra significava che lo Stato britannico poteva dire alla gente come vivere e pensare[58]– e lo fece -, come dimostrano l’Atto di uniformità[59], i Test Acts e le leggi penali.

Queste sono alcune delle ragioni per cui alcuni potrebbero esser contrari a inquadrare l’ultimo movimento di fede che emerge dall’attuale quarto Grande Risveglio come un’altra sfida settaria, familiare, persino classica, alla religione civile. In realtà, il “Risveglio”[60] è paragonabile alle sette evangeliche aggressivamente confliggenti, incardinate nel Nord e nel Sud, che spinsero l’America in una lotta (intestina) negli anni Cinquanta dell’Ottocento, dopo il Secondo Grande Risveglio. La sua origine può anche essere ricondotta direttamente ai temi laico-socialisti dell’era progressista, che si riflettevano nel Vangelo sociale.

Tuttavia, la crescita di questa nuova e virulenta setta americana va ben oltre, segnalando l’emergere di una futura nuova chiesa americana, una chiesa vera e propria. In questo caso, la “Chiesa di Woke”[61] implica un futuro edificio giuridico, inteso a revisionare e trasformare radicalmente il patto costituzionale americano attraverso dottrine semisacre e sponsorizzate dallo Stato, tra cui la “Critical Race Theory” (CRT), la “Diversity, Equity, and Inclusion” (DEI), la “Environmental, Social, and Corporate Governance” (ESG).

Nel XXI secolo, la protezione e il privilegio dello Stato hanno creato un proscenio politico su cui agisce una coalizione di tre distinti gruppi identitari laico-spirituali: Femministe, Persone di Colore e LGBT. Ognuna di queste sette ha al suo interno un gruppo di fazioni e denominazioni in crisi. Questa alleanza di sette si è fusa in una coalizione politica “intersezionale” che può essere sostenuta finché il suo programma comune rimane condivisibile.

Sotto la nuova religione wokeista, i confini tra il globale e il locale, l’interno e l’estero svaniscono, per essere sostituiti da un americanismo proselitista, totalizzante e imperiale.

Tuttavia, se il loro programma comune venisse attuato costituzionalmente, la Chiesa di Woke sarebbe in grado di trasformare la vita americana: non solo stabilirebbe un apparato di controllo sul modo in cui i cittadini comuni pensano e si comportano, ma conferirebbe anche l’ordinazione auna nuova élite dirigente, i nuovi chierici della Chiesa Woke.

Gli sforzi della Chiesa di Woke per consacrare la classe dirigente americana – attraverso un corpo consacrato di veri credenti – non mirano tanto ad allevare una nuova aristocrazia, quanto piuttosto a preservare il controllo dell’élite sulla ricchezza e sul potere nella vita americana. In questo senso, la Chiesa non cerca semplicemente di reinterpretare (ijtihād) la dottrina, la legge e le scritture della religione civile originale, come altre sette della storia americana. Rappresenta anche un percorso seguito dalla classe dirigente per consolidare il suo potere e mantenere lo status quo. Il “radicalismo radicale” forse non è poi così radicale, ma il suo estremismo fa presagire autodafé settari e guerre esistenziali all’interno della religione civile[62] come quelle che caratterizzarono l’America tardo-antica.

In un altro senso, la nascente e fluttuante Chiesa di Woke assomiglia di più, formalmente – per il suo successo nella sovversione dello Stato e delle élite al potere – al cristianesimo insurrezionale della fine del III secolo d.C. Ciò che può allarmare è che questo movimento di fede è riuscito a conquistare le “altezze di comando”[63] della vita americana in poco più di un decennio. Tuttavia, anche questo indica una relazione simbiotica tra Chiesa e Stato che è più che mai senza tempo. Come la Chiesa primitiva catturò l’aristocrazia romana, così quei nobili romani si impossessarono della Chiesa per confermare il loro potere[64]. La religione civile è uno strumento di potere tanto venale quanto sacro.

La Chiesa di Woke ha, per il momento, conquistato lo Stato federale degli Stati Uniti e le istituzioni dominanti[65] della vita americana. Molti antecedenti storici dell’odierno movimento di fede Woke, ossia le sette evangeliche[66] calviniste americane precedenti la Guerra Civile, come Slave Power e Abolizionisti, hanno anch’essi cercato di appropriarsi della religione civile americana fondamentale, e di trasfigurarla in una chiesa di Stato a propria immagine e somiglianza. Nessuna di queste sette fanatiche ebbe successo. Tuttavia, equiparando la teologia e il dogma del suo movimento a quella che dovrebbe essere la legge (statunitense), la dottrina Woke sta effettivamente scatenando una Sharia americana e reclamando l’istituzione di una vera e propria nuova religione di Stato americana – così come la intendevano i nostri Fondatori del XVIII secolo – con più forza di qualsiasi altro movimento settario nella storia americana.

In che modo tutto questo è rilevante per l’impegno dell’America nel mondo e, più direttamente, per la politica estera egemonica americana, come dimostra la guerra in Ucraina? Nella nuova religione wokeista, i confini tra globale e locale, tra interno ed estero svaniscono, per essere sostituiti da un americanismo proselitista, totalizzante e imperiale.

Come surrogato della vecchia religione civile americana, la Chiesa di Woke esercita l’universalismo in forma estremista, perseguendo la sua ideologia in patria e all’estero in egual misura. Innalzando il vessillo del globalismo Woke, la “buona novella” originaria dell’America viene così sostituita, senza soluzione di continuità, da una visione più virtuosa che se ne fa erede. Il “nazionalismo” e l’amor di patria saranno d’ora in poi giudicati forze arretrate e primitive. Il “populismo” e la sovranità del popolo, a lungo celebrati come l’anima della nazione americana, diventano equivalenti all’autocrazia, un male medievale da eliminare dagli Stati Uniti.

La “corruzione” (interna) dell’America ad opera di tali forze “reazionarie” viene collegata all’influenza nefasta di Stati stranieri e attori internazionali detestati, come l’Ungheria o la Russia, che infettano il corpo americano[67]. Questa isteria Woke ricorda da vicino il bacillo mortale del comunismo della Red Scare [68]all’inizio della Guerra Fredda, con la Russia che fungeva da “Grande Satana”[69] nelle guerre culturali globali[70] dell’establishment liberale americano[71].

Al male di una Russia reazionaria, barbara e arcobalenofobica – e alla più grande minaccia incombente sull’ordine internazionale liberale da parte di un asse autocratico globale – dobbiamo aggiungere anche il terrore apocalittico che la Chiesa di Woke prova per il cambiamento climatico. L’apocalisse climatica[72] è forse il più grande contesto tous azimuts mai ideata dall’universalismo americano per giustificare l’egemonia globale degli Stati Uniti. Nella causa della salvezza del pianeta, ogni intervento americano può apparire giusto. Si noti come gli autocrati del Lato Oscuro della Forza[73] siano anche inquinatori climatici che utilizzano combustibili fossili, in combutta con gli assassini divoratori di benzina[74] (cioè le compagnie petrolifere) al nostro interno. In quest’ottica, le minacce estere sembrano essere soltanto lo specchio di una minaccia più profonda a casa nostra.

In definitiva, la strategia della Chiesa di Woke e della sua classe clericale è quella di sfruttare una crociata intersezionale[75] contro l’arretratezza pagana, l’anti-genderismo[76] malvagio e l’apostasia climatica all’estero – Russia, Ungheria, Arabia Saudita, Iran, Cina, ecc – per giustificare una jihad interna. Inoltre, mentre propaganda il brand del  Girl Boss Militarism[77], il suo gruppo di parrocchiani “propende di più verso il femminile”. Col tempo, il nuovo “Woke Imperium”[78] americano porterà con la forza tutti gli americani – e il mondo intero – all’ovile della nuova Chiesa; o almeno così sperano i credenti.

È questa comoda simbiosi o identità tra nemici stranieri e interni che è la cosa più preoccupante. Nella sua ricerca fondamentalmente globale di una quarta apocalisse – in cui convertire tutta l’umanità significa assicurare anche la totale conversione degli americani – la Chiesa di Woke rifiuta la vecchia, originale religione civile americana e la sua preoccupazione centrale: l’America. Sebbene il suo essere incentrata sugli Stati Uniti riveli un certo grado di continuità storica, la sua aspirazione a globalizzare l’americanismo per creare uno Stato mondiale omogeneo basato sulla sua ideologia e sui suoi valori universali tradisce e sovverte la vecchia religione civile.

Il dispiegarsi della quarta apocalisse provocata dal “risveglio” è sempre stata diversa dalle precedenti rappresentazioni (o stagioni) dell’apocalisse americana nella nostra serie nazionale. L’Apocalisse differita (1945-1950) – un sequel della Terza Apocalisse – ha spinto gli Stati Uniti a 60 anni (1963-2023) di ripetute e non necessarie débâcles sul campo di battaglia. Ogni episodio è culminato in una guerra sacra (Vietnam, guerra per procura in Afghanistan, Desert Storm, la ventennale Guerra globale al terrorismo, e ora la guerra per procura in Ucraina) condotta per realizzare la profezia di un millennio democratico globale – e ogni volta il sogno è svanito. A sua volta, il quarto ciclo del nostro arco narrativo è stato segnato da una disperazione apocalittica.

Di conseguenza, il messianismo americano è diventato una caricatura manichea di se stesso, in cui le “buone novelle” americane sono state sostituite dallo spettro sempre presente del Male e dalla minaccia della forza. Le parole sacre, Libertà e Democrazia, pur essendo ancora cantate, sono diventate un mantra vuoto. Il “vangelo” americano non predica più la redenzione e l’espiazione: ora opera con la coercizione e la punizione. Il voltafaccia è avvenuto in un istante, con l’11 settembre e con Guantanamo. L’etica propria alla Terza Apocalisse, con i processi di Norimberga e la loro maestosa esibizione pubblica di controllo giudiziario democratico, è stata scartata, e sostituita dalla giustizia sommaria. Quasi da un giorno all’altro, l’America ha abbandonato le “regole internazionali” e le “norme civili” – e ha invece costruito un arcipelago di torture e incarcerazioni arbitrarie, senza supervisione e senza appello.

Non cerchiamo più la guida in un’autorità superiore e indulgente, ma nella voce iraconda del Vecchio Testamento che è in noi. Nell’iterazione Woke del manicheismo americano, il Male ha la precedenza sul Bene ed è fervidamente personalizzato. Con Milošević, Gheddafi, Osama Bin Ladin, Saddam e ora Putin, il Male può ora essere individuato artigianalmente, anche se non sempre eticamente. Per questo, la lotta contro il male in veste di anticristo diviene il tropo retorico pulsante di questa quarta stagione della sacra narrazione americana. Senza ironia, il ventesimo anniversario dell’invasione dell’Iraq da parte dell’America ha, sorprendentemente, resuscitato il suo meme più famigerato – “l’Asse del Male”[79] – senza arrossire o vergognarsi. La guerra per procura della NATO contro la Russia lo vede, ora, come un sinonimo della sua capacità di indossare il manto retorico[80] di quella che di recente fu giudicata la più grande débâcle strategica americana.

Se noi, come americani, siamo ritualmente coinvolti in una grande narrazione che va oltre la nostra capacità di comprenderla, per tacere della capacità di controllarla, che cosa ci aspetta? Possiamo dare una sterzata a questo arco narrativo finale in modo da evitare la catastrofe totale? Abbiamo voce in capitolo o potere sul nostro destino declinante?

 

Giudizio (Giudizi) finale(i)?

Gli Stati Uniti sono governati dalla loro religione civile, non dall’ideologia. Gli americani sono guidati da una narrazione sacra. Tuttavia, a guidarla è sempre un piccolo gruppo di élite fanatiche, che guidano una storia che può realizzarsi solo in guerra.

In altre parole, l’America è una serie di successo con un arco narrativo marziale punteggiato da bagliori e fuochi d’artificio. Dal lancio al perigeo all’apogeo, la “storia americana” è giunta alla sua quarta stagione. Le prime tre sono state illuminate dal fuoco di battaglie apocalittiche. Quei momenti estatici di vittoria e sacrificio sono stati resi sacri e sono stati considerati il “culmine vitale” dell’America. Ma ora, mentre l’arco narrativo scende, sembra che siamo entrati in un’altra grande battaglia. Sarà una nuova Rivelazione – la nostra quarta apocalisse – o diventerà il finale della nostra serie?

American Story: The Hit Series [Attenzione: contenuti religiosi violenti] ha un pubblico universale, e ogni stagione è ancorata a un climax apocalittico. Inoltre, ogni singolo episodio è caratterizzato da una battaglia, che si svolge sempre in modo predefinito rispetto alla trama standard, come programmato dal nostro produttore hollywoodiano divinamente nominato. Ogni episodio di “Next Generation” ha la sua guerra sacra e trascendentale, anche se spesso distruttiva. L’arco di ogni stagione spinge i confini della Rivelazione verso un finale di serie predestinato. Le prime tre stagioni sono state esaltanti, persino estatiche quando hanno raggiunto quelle sacre vette di vittoria e sacrificio.

Ma poi, durante l’apertura della quarta stagione, intorno al 1962, il grande arco narrativo declinò di uno o più gradi rispetto al suo apogeo, e nel 1968 la discesa fu evidente. È vero, in un episodio – 1981-88 – i retrorazzi hanno rallentato la discesa. Tuttavia, il percorso discendente è ripreso. L’arco narrativo non riguarda la ricchezza americana o la ricerca della felicità. Riguarda la Rivelazione e la Predestinazione e il compimento della Missione dell’America. I primi episodi della quarta stagione mostrano come l’opportunità dell’apocalisse sia stata usata male (Vietnam), abortita (caduta dell’Unione Sovietica), tradita (Iraq) e sprecata (Afghanistan).

Tuttavia, queste occasioni perdute impallidiscono di fronte alla battaglia che ci viene ora imposta. Cosa sono le semplici operazioni speciali, le guerricciole, le controinsurrezioni e i colpi di Stato di fronte alla realtà che gli Stati Uniti stanno ora sfidando aggressivamente le due maggiori e più pericolose grandi potenze, la Russia e la Cina? Inoltre, dalle loro “altezze di comando”, i governanti americani ne hanno fatto un confronto esistenziale: o la democrazia e il suo “rule-based order” domineranno il mondo, o le “autocrazie” vinceranno[81]. Si sente la campana a martello dell’apocalisse. Questo episodio sarà il finale della stagione, o forse della serie? Le domande abbondano.

 

La guerra globale può condurre l’America alla guerra civile?

Oggi l’America sta combattendo due guerre contemporaneamente, una in patria e l’altra all’estero. Collegando gli obiettivi della guerra interna (convertire la nazione alla Chiesa di Woke) con quelli della guerra esterna (trionfare nella guerra per procura contro la Russia come prova di rettitudine), l’establishment dipende ora dalla vittoria in una guerra straniera per rafforzare la sua leva politica, promuovere la sua agenda interna e mantenere il suo potere. Questo è il loro pensiero.

Eppure, gli Stati Uniti non hanno mai cercato di intensificare uno scontro globale[82] quando erano consumati da una lotta esistenziale interna. Al contrario, durante la guerra civile americana, Washington ha agito con estrema cautela[83], anche se la Gran Bretagna e la Francia si sono impegnate in una guerra per procura contro di essi[84].

Il pubblico occidentale si pavoneggia e strilla per i sorprendenti trionfi ucraini della Volontà, mentre si prende narcisisticamente tutto il merito delle loro vittorie, come se fossero sue.

La dualità tra guerra interna ed esterna crea una dinamica reciprocamente distruttiva. Secondo questa logica, se l’Impero Woke prevale in Ucraina, sarà vittorioso anche in patria. Tuttavia, potrebbe verificarsi anche una dinamica negativa. Una sconfitta nella guerra in Ucraina significherebbe un fallimento politico in patria. Quindi, la NATO deve vincere e non si può permettere che l’Ucraina perda[85].

Se perdere è impensabile, di fronte alla sconfitta la NATO ha una sola opzione: l’escalation. Ma l’escalation, per una nazione divisa, comporta anche l’intensificazione del conflitto interno.

 

È possibile che un’apocalisse vicaria porti a un vero e proprio Armageddon?

C’è una sospensione dell’incredulità non ancora esplicitata, nella quarta apocalisse americana.

Per oltre un anno, la NATO ha fatto guerra alla Russia, e ha esultato per questa guerra, reclamando la caduta della Russia[86]. In effetti, molti nel partito della guerra si spingono fino a esclamare: “In nome di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere”[87], e chiedono l’umiliazione e persino la distruzione della Federazione Russa[88]. Ma allo stesso tempo, e spesso con lo stesso respiro, il partito della guerra insiste sul fatto che l’Occidente non è in guerra con la Russia, poiché non ci sono forze statunitensi o della NATO dispiegate in Ucraina: semmai, stiamo solo fornendo armi a Kiyv. Molti continuano a negare strenuamente che si tratti di una guerra per procura[89].

Allo stesso tempo, però, i veri tifosi sfegatati della guerra in Ucraina hanno proclamato a gran voce che si tratta di un ottimo affare. La Russia va abbattuta senza una sola vittima della NATO. Dissangueremo il nostro malvagio nemico con il sangue dei volenterosi ucraini. Un affarone! Praticamente un furto![90] Inoltre, migliaia di americani si sono coraggiosamente arruolati – come partecipanti puramente vicari – per combattere a fianco dell’Ucraina nelle trincee dei social media. Questi eroi della 195esima brigata da tastiera – la North Atlantic Fellas Organization (NAFO – date un’occhiata anche al loro merchandising![91]) – combattono quotidianamente[92] contro la Quinta Colonna americana[93] di Burattini di Putin e degli Amichetti della Russia.

Nel frattempo, gli spettatori occidentali si pavoneggiano e strillano di gioia per i sorprendenti trionfi ucraini della volontà, prendendosi narcisisticamente tutto il merito delle loro vittorie, come se fossero le proprie. Se questa è davvero la quarta apocalisse americana, allora è davvero un risultato notevole. Questa è la nostra espiazione per tutta la frustrazione e l’infinito sacrificio di sangue dei fallimentari episodi di guerra sporca che abbiamo visto all’inizio della quarta stagione (“Apocalisse differita”). Dopo i terrori di Tet, Khe Sahn, Desert One, Contras, Mogadiscio e Falluja, la serie offre ora un’epifania senza sangue. Quindi, il nostro auspicato finale di stagione è semplicemente stupefacente: non viene versata una sola goccia di sangue dei GI, dei nostri ragazzi!

Gli Stati Uniti possono ora combattere il loro “più grande nemico geopolitico”[94], ma non moriranno americani, bensì ucraini volenterosi e sacrificali. Nel frattempo, il grande pubblico virtuale americano, insaziabilmente preso dai giochi  CGI[95] e assuefatto dagli “hot take” sui social media, si immerge nella gloria della vittoria imminente: esulta per ogni video di propaganda ucraina e per ogni rappresentazione degli ucraini come una Compagnia dell’Anello[96] che combatte le tenebre di Mordor, gli Orchi russi.[97]

Quando i venti della guerra hanno iniziato a cambiare, verso la fine del 2022, le prime opzioni strategiche di “guerra facile” della NATO per aumentare gli aiuti – armi potenti, comando e controllo alleati, C4ISR della NATO, addestramento di alto livello – avevano portato Kyiv a “vittorie” misteriose e piuttosto magiche nell’autunno del 2022. Tuttavia, nella primavera del 2023, i depositi di armi sono vuoti, e l’esercito ucraino si sta dissanguando, mentre gli opliti ucraini in carne ed ossa vengono fatti a pezzi in un esercizio di dissanguamento che ricorda le tragiche trincee della battaglia di Verdun[98] della Prima Guerra Mondiale. Le opzioni di escalation si sono ridotte.

Davanti a noi si profila soltanto un sempre maggior numero di linee rosse fosforescenti che la NATO potrebbe incautamente oltrepassare, anche a costo di rischiare un’altra guerra mondiale. Questo è il lato negativo del combattere una guerra con l’adrenalina dei media, definita dall’estasi infinita della “vicarietà”[99]. Ma questo non è un videogioco. Quando si viene uccisi nella vita reale, non c’è la resurrezione automatica.

 

Finale di serie: cratere d’impatto?

Alla fine della terza stagione (1961), gli Stati Uniti si ergevano a cavallo del mondo come un Colosso. “Ike” Eisenhower, Generale degli Eserciti della nostra terza Apocalisse americana, presiedeva l’impero del “Mondo Libero” su tutto ciò che contava.

Eppure, quando è uscito di scena, i suoi più giovani successori si sono imbarcati in una serie di guerre corrosive e senza fine. Gettando via tutti gli antichi precetti contro l’intervento militare e i legami con l’estero dei loro antenati, gli uomini nuovi si allontanarono dalla sacra tradizione americana. Dopo decenni di questo genere, invece di cortigiani di palazzo che giocavano alla controinsurrezione – ignorando le comunità i cui figli morivano sul serio nei loro giochi – le guerre degli episodi finali della quarta stagione sono ora realizzate da un esecutivo che crede di avere carta bianca, a patto di essere parsimonioso con le vite delle sue Forze Armate volontarie.

Gli Stati Uniti hanno iniziato e completato il loro fatidico passaggio come incarnazione di Ordini (divini): da un “Nuovo Ordine per i Tempi” alle “Nazioni Unite”, a un “Nuovo Ordine Mondiale”, e infine a un liberale “Ordine basato sulle Regole”. Ma questi cosiddetti Ordini sono un simulacro del demone che si nasconde nel profondo della narrazione sacra americana e di tutti noi: la fissazione per il fuoco purificatore della guerra, che ci ha spinti all’eccesso, e sull’orlo della rovina.

La nostra è davvero una metamorfosi straordinaria: dall’eccezionalismo americano che annunciava la sua “buona novella”- la Redenzione dell’Umanità – al disvelamento della tirannia globale.

[1] https://www.agonmag.com/p/the-demon-in-americas-sacred-narrative

[2] Michael Vlahos, Ph.D., ha insegnato nel programma di studi sulla sicurezza globale presso la School of Arts and Sciences della Johns Hopkins University ed è stato professore presso il dipartimento di strategia e politica dello US Naval War College. Il dottor Vlahos è stato a lungo commentatore di affari esteri e sicurezza nazionale con la CNN. I suoi articoli sono apparsi su “Foreign Affairs”, “The Times Literary Supplement”, “Foreign Policy” e “Rolling Stone”. Dal 2001 è ospite regolare del programma nazionale John Batchelor Show sulla WABC. “italiaeilmondo.com” ha tradotto e pubblicato due suoi articoli su tema analogo: http://italiaeilmondo.com/2023/03/29/lamerica-e-una-religione-di-michael-vlahos/ ; e http://italiaeilmondo.com/2023/02/04/dal-salvatore-al-trickster-divino-la-spinta-teologica-nella-politica-estera-degli-stati-uniti/ . Di grande interesse anche il dialogo in tre parti di M. Vlahos con il colonnello Douglas MacGregor sulla guerra in Ucraina, qui sottotitolato in italiano: http://italiaeilmondo.com/2022/12/31/lo-stato-della-guerra-in-ucraina_-con-il-colonnello-douglas-mcgregor/

 

[3] https://books.google.it/books/about/1789_the_Emblems_of_Reason.html?id=k13XAAAAMAAJ&redir_esc=y#:~:text=In%20this%20classic%20text%20on,in%20the%20contemporary%20visual%20arts.%22

[4] L’Autore qui allude implicitamente alla Lettera di Pietro, 5:8: “sobrii estote vigilate quia adversarius vester diabolus tamquam leo rugiens circuit quaerens quem devoret”, “Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno a guisa di leon ruggente cercando chi possa divorare.” Cfr. http://bibleglot.com/pair/Vulgate/ItaRive/1Pet.5/ [N.d.C.]

[5] https://www.cambridge.org/core/journals/church-history/article/abs/gods-new-israel-religious-interpretations-of-american-destiny-edited-by-conrad-cherry-rev-and-updated-ed-chapel-hilluniversity-of-north-carolina-press-1998-xii-410-pp-4995-cloth-1895-paper/A8C9435D4A0F6864A36AD1A96F2EFFD7#access-block

[6] https://en.wikipedia.org/wiki/To_Serve_Man_(The_Twilight_Zone)

[7] https://www.ox.ac.uk/news/2020-05-22-last-best-hope-american-views-oxford

[8]  Robert N. Bellah, Civil Religion in America, Daedalus, Vol. 96, No. 1, Religion in America (Winter, 1967), pp. 1-21 (21 pages) https://www.jstor.org/stable/20027022

[9] FELIX GILBERT

To the Farewell Address: Ideas of Early American Foreign Policy

Copyright Date: 1961

Published by: Princeton University Press  http://www.jstor.org/stable/j.ctt7sjmr.

[10] S. Mike Pavelec – Michael Vlahos 2009 Fighting Identity: Sacred War and World Change, Naval War College Review, vol. 62, n. 4 Autumn, 2009 chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://digital-commons.usnwc.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1804&context=nwc-review

[11] David Cook, Studies in Muslim Apocalyptic

Copyright Date: 2021

Published by: Gerlach Press https://www.jstor.org/stable/j.ctv1b9f5v8

[12] Carolyn Marvin, David W. Ingle, Blood Sacrifice and the Nation: Totem Rituals and the American Flag, Cambridge U.P. 1999 https://books.google.it/books?id=sdRlbklRhycC&printsec=frontcover&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

 

[13] https://css.cua.edu/humanitas_journal/church-of-woke/

[14] George William Van Cleve, A Slaveholders’ Union: Slavery, Politics, and the Constitution in the Early American Republic, University of Chicago Press, 15 ott 2010 https://books.google.it/books?id=Dgp26Y2KzxUC&printsec=frontcover&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

[15] Mark A. Noll.  The Civil War as a Theological Crisis. Chapel Hill: University of North Carolina Press, 2006. https://jsr.fsu.edu/Volume9/Dollar.htm

[16] https://en.wikipedia.org/wiki/European_wars_of_religion

[17] È il motto che si legge sul rovescio dello Stemma degli Stati Uniti d’America [N.d.C.]  https://it.wikipedia.org/wiki/Novus_Ordo_Seclorum

[18] https://www.youtube.com/watch?v=2HCR4c1zPyk

[19] https://thefounding.net/americas-founding-with-a-firm-reliance-on-the-protection-of-divine-providence/

[20] William A. Clebsch, America’s “Mythique” as Redeemer Nation

Published online by Cambridge University Press:  30 July 2009 https://www.cambridge.org/core/journals/prospects/article/abs/americas-mythique-as-redeemer-nation/B1CBD5264061139C2FC894344A3C23D9

 

[21] https://youtu.be/MZK98LVFRH8

[22] È la celeberrima formula contenuta in un sermone del 1630 di John Winthrop, puritano, governatore della Massachusetts Bay Colony, e uno dei Padri Pellegrini, Dreams of a City on a Hill: “We shall find that the God of Israel is among us, when ten of us shall be able to resist a thousand of our enemies; when He shall make us a praise and glory that men shall say of succeeding plantations, ‘may the Lord make it like that of New England.’ For we must consider that we shall be as a city upon a hill. The eyes of all people are upon us. So that if we shall deal falsely with our God in this work we have undertaken, and so cause Him to withdraw His present help from us, we shall be made a story and a by-word through the world.”   https://www.americanyawp.com/reader/colliding-cultures/john-winthrop-dreams-of-a-city-on-a-hill-1630/ [N.d.C.]

 

[23] Da un celeberrimo discorso del 1940 di Winston Churchill, mentre si combatteva la Battaglia d’Inghilterra: ““I expect that the Battle of Britain is about to begin. Upon this battle depends the survival of Christian civilisation. Upon it depends our own British life and the long continuity of our institutions and our Empire. The whole fury and might of the enemy must very soon be turned on us. Hitler knows that he will have to break us in this island or lose the war. If we can stand up to him, all Europe may be free, and the life of the world may move forward into broad, sunlit uplands; but if we fail, then the whole world, including the United States, and all that we have known and cared for, will sink into the abyss of a new dark age made more sinister, and perhaps more protracted, by the lights of a perverted science. Let us there brace ourselves to our duty and so bear ourselves that if the British Empire and its Commonwealth last for a thousand years men will still say ‘This was their finest hour’.” https://www.martingilbert.com/blog/6106/ [N.d.C.]

[24] https://www.nytimes.com/2021/10/04/books/review/joe-klein-explains-how-the-history-of-four-centuries-ago-still-shapes-american-culture-and-politics.html

[25] https://www.nytimes.com/1992/03/01/books/it-was-never-the-same-after-them.html

[26] AA.VV. God’s New Israel: Religious Interpretations of American Destiny EDITED BY CONRAD CHERRY, 1998, University of North Carolina Press https://uncpress.org/book/9780807847541/gods-new-israel/

[27] https://www.agonmag.com/p/the-failure-of-conservatism-and-the

[28] https://christianhistoryinstitute.org/magazine/article/american-postmillennialism-seeing-the-glory

[29] https://en.wikipedia.org/wiki/History_of_the_Christian_Science_movement

[30] https://it.wikipedia.org/wiki/Shakers

[31] Reviewed Work: Joseph Smith Jr.: Reappraisals after Two Centuries by Reid L. Neilson and Terryl L. Givens

Review by: Jordan Watkins https://doi.org/10.1525/nr.2012.15.4.113

 

[32] William A. Clebsch, Christian Interpretations of the Civil War https://www.jstor.org/stable/3161973

 

[33] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.wrs.edu/assets/docs/Courses/Classic_Fundamentalism/Battle–Brief_History_Social_Gospel.pdf

[34] https://www.researchgate.net/publication/230756502_In_search_of_the_Kingdom_The_social_Gospel_settlement_sociology_and_the_science_of_reform_in_America’s_progressive_era

[35] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://as.nyu.edu/content/dam/nyu-as/philosophy/documents/faculty-documents/boghossian/Boghossian_The-Gospel-of-Relaxation-Louis-Menand-Review.pdf

[36] https://www.loc.gov/exhibitions/world-war-i-american-experiences/about-this-exhibition/arguing-over-war/for-or-against-war/wilson-before-congress/#:~:text=He%20also%20argued%20that%20autocratic,Transcript

[37] https://www.newyorker.com/magazine/2019/09/16/the-moral-logic-of-humanitarian-intervention

[38] http://brothersjudd.com/index.cfm/fuseaction/reviews.detail/book_id/928/Special%20Prov.htm

[39] https://www.nytimes.com/2009/11/19/books/19book.html

[40] https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/R/bo67822116.html

[41] https://whitmanarchive.org/published/LG/1881/poems/105

[42] https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/R/bo67822116.html

[43] I Tories sono i lealisti, fedeli a Re Giorgio III; nella Rivoluzione americana. https://en.wikipedia.org/wiki/Loyalist_(American_Revolution) [N.d.C.]

[44] https://www.theguardian.com/books/2011/feb/19/libertys-exiles-maya-jasanoff-review

[45] C. C. Goen, Jonathan Edwards: A New Departure in Eschatology, https://www.jstor.org/stable/3161685

 

[46] https://it.wikipedia.org/wiki/Destino_manifesto

[47] https://en.wikipedia.org/wiki/Rashidun_Caliphate

[48] https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/R/bo67822116.html

[49] “L’angelo gettò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e gettò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio.” Ap. 14:19 Trad. CEI

[50] “Egli sta calpestando la vendemmia in cui è riposta l’uva dell’ira; ha sguainato il lampo fatale della sua terribile rapida spada”.

[51] Eric Foner, The Second Founding: How the Civil War and Reconstruction Remade the Constitution, W.W. Norton & Company , 2019 https://en.wikipedia.org/wiki/The_Second_Founding#:~:text=The%20Second%20Founding%3A%20How%20the,W.W.%20Norton%20%26%20Company%20in%202019.

https://books.google.it/books/about/The_Second_Founding_How_the_Civil_War_an.html?id=W_yKDwAAQBAJ&printsec=frontcover&source=kp_read_button&hl=en&newbks=1&newbks_redir=0&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

[52] http://www.greatseal.com/mottoes/seclorum.html

[53] https://it.wikipedia.org/wiki/Sincronicit%C3%A0

[54] https://it.wikipedia.org/wiki/Fine_della_storia#:~:text=La%20fine%20della%20storia%20%C3%A8,dal%20quale%20si%20starebbe%20aprendo

[55] https://www.liberalpatriot.com/p/the-democrats-patriotism-problem

[56] Helena Rosenblatt, On Context and Meaning in Pocock’s “Barbarism and Religion”, and on Gibbon’s “Protestantism” in His Chapters on Religion https://www.jstor.org/stable/43948778

 

[57] https://merip.org/2004/12/maxime-rodinson-on-islamic-fundamentalism/

[58] Anti-Catholicism in Eighteenth-Century England: A Political and Social Study by Colin Haydon (review)

Marie B. Rowlands https://muse.jhu.edu/article/442449/pdf

 

[59] https://www.parliament.uk/about/living-heritage/transformingsociety/private-lives/religion/collections/common-prayer/act-of-uniformity-1662/

[60] https://unherd.com/thepost/where-did-the-great-awokening-come-from/

[61] https://css.cua.edu/humanitas_journal/church-of-woke/

[62] https://lawliberty.org/uncivil-wars-of-civil-religion/

[63] https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1922/nov/13b.htm

[64] https://css.cua.edu/humanitas_journal/church-of-woke/

[65] https://www.racket.news/p/report-on-the-censorship-industrial-74b

[66] Ivy on Daly, ‘When Slavery Was Called Freedom: Evangelicalism, Proslavery, and the Causes of the Civil War’

Author: John Patrick Daly Reviewer: James Ivy https://networks.h-net.org/node/512/reviews/694/ivy-daly-when-slavery-was-called-freedom-evangelicalism-proslavery-and

[67] https://www.libraryofsocialscience.com/essays/vlahos-counterterrorism/

[68] https://en.wikipedia.org/wiki/Red_Scare

[69] https://www.richardhanania.com/p/russia-as-the-great-satan-in-the

[70] https://compactmag.com/article/pride-and-american-imperialism

[71] https://compactmag.com/article/america-the-last-ideological-empire

[72] https://www.spiked-online.com/2023/03/26/the-cult-of-the-climate-apocalypse/

[73] https://www.aei.org/research-products/report/from-environmentalism-to-climate-catastrophism-a-democratic-story/?mkt_tok=NDc1LVBCUS05NzEAAAGLqTnaMA0mJzdHLVT2jCR5i9F9aK-DVrr3l4OXAdKs9WOmKCp8hDOZmqfrUhsRYa9DdsrifKhrbXxHVbDdJZWnXYCaSKh0B7qNhLf1Wg7awurcWA

[74] https://www.latimes.com/opinion/story/2021-03-01/editorial-to-save-the-planet-from-climate-change-gas-guzzlers-have-to-die

[75] https://theupheaval.substack.com/p/intersectional-imperialism-and-the?s=r

[76] https://en.wikipedia.org/wiki/Anti-gender_movement

[77] https://chroniclesmagazine.org/web/the-rise-of-girlboss-militarism/

[78] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://peacediplomacy.org/wp-content/uploads/2022/06/Woke-Imperium.pdf

[79] https://caitlinjohnstone.substack.com/p/theyre-rebooting-axis-of-evil-on

[80] https://www.moonofalabama.org/2023/03/axis.html

[81] https://nationalinterest.org/blog/buzz/increased-chinese-support-russia-will-imperil-world-206339

[82] https://easc.scholasticahq.com/article/5715-1862-the-superpower-the-united-states-and-the-war-that-didn-t-happen-why-america-and-china-are-not-destined-to-fight-unless-they-forget-everythi

[83] https://nationalinterest.org/feature/historys-warning-us-china-war-terrifyingly-possible-10754

[84] https://peacediplomacy.org/2022/10/17/americas-perilous-choice-in-ukraine-how-proxy-war-accelerates-a-great-power-decline/

[85] https://peacediplomacy.org/2022/10/17/americas-perilous-choice-in-ukraine-how-proxy-war-accelerates-a-great-power-decline/

[86] https://www.defense.gov/News/News-Stories/Article/Article/3304356/biden-ukraine-will-never-be-a-victory-for-russia-never/

[87] https://youtu.be/VLN_P5u1ALI?t=4

[88] https://niccolo.substack.com/p/delusion

[89] https://www.noahsnewsletter.com/p/is-ukraine-a-proxy-war

[90] https://cepa.org/article/its-costing-peanuts-for-the-us-to-defeat-russia/

[91] https://nafo-ofan.org/

[92] https://thegrayzone.com/2022/10/28/spooks-mercs-hawks-nafo-troll/

[93] https://www.realclearpolicy.com/articles/2023/03/28/russias_fifth_column_in_america_889897.html

[94] https://www.politico.com/news/2022/02/27/mitt-romney-russia-remains-geopolitical-foe-00012124

[95] https://store.steampowered.com/app/2251930/CGI_The_Game/

[96] https://twitter.com/uamemesforces/status/1536074185369329666

[97] https://www.lemonde.fr/en/pixels/article/2022/04/23/ukrainian-and-russian-tolkien-fans-battle-over-the-legacy-of-the-lord-of-the-rings_5981383_13.html

[98] https://en.wikipedia.org/wiki/Battle_of_Verdun

[99] https://www.urbandictionary.com/define.php?term=vicarity

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Discorso del segretario Blinken: “Il fallimento strategico della Russia e il futuro sicuro dell’Ucraina”

Un compendio delle argomentazioni della componente più oltranzista e purtroppo dominante della amministrazione statunitense riguardanti. Assatanati! Un compendio che meriterebbe di essere chiosato, stigmatizzato e confutato punto per punto. Servirebbe a riordinare le idee. Blinken rappresenta una classe dirigente che vive in una sfera di cristallo, sino a diventare vittima delle proprie narrazioni; per questo condannata alle estreme conseguenze dei loro atti. Ma è una narrazione che guarda terribilmente lontano. Osservate cosa intende riservare al futuro dell’Ucraina e confrontatelo con il saggio dell’ex ministro ucraino pubblicato su Foreign Affairs e tradotto sul nostro sito tre giorni fa. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Discorso del segretario Blinken: “Il fallimento strategico della Russia e il futuro sicuro dell’Ucraina”.

DISCORSO

ANTONY J. BLINKEN, SEGRETARIO DI STATO

MUNICIPIO DI HELSINKI

HELSINKI, FINLANDIA

2 GIUGNO 2023

SINDACO VARTIAINEN:   Eccellenze, signore e signori, cari amici, è con grande piacere che vi do un caloroso benvenuto nella bellissima capitale della Finlandia, Helsinki, e nel municipio di Helsinki. Helsinki ha un grande onore di ospitare oggi questo evento speciale. Siamo onorati e molto grati di avere qui a Helsinki il Segretario di Stato americano Antony J. Blinken.

Helsinki è una città in cui converge l’armoniosa miscela di storia, innovazione, libertà e diplomazia. La nostra capitale è ed è stata un’arena per numerosi incontri ed eventi politici di alto livello, e siamo orgogliosi di fornire la piattaforma per questo momento storico, ora per la prima volta come l’orgogliosa capitale di un nuovo alleato della NATO.

Ora è con grande piacere che vi presento il co-organizzatore dell’evento, il dottor Mika Aaltola, direttore dell’Istituto finlandese per gli affari internazionali. Grazie. (Applausi.)

MR AALTOLA:   Eccellenze, signore e signori, questa è una giornata veramente storica. È la prima volta che un Segretario di Stato degli Stati Uniti si trova sul solido terreno granitico della NATO Finlandia. La visita del segretario Blinken rappresenta una nuova era nelle relazioni finlandesi-statunitensi che hanno legami storici di lunga data. Mai prima d’ora le relazioni tra i nostri due paesi sono state così strette.

Oltre ad essere ora alleati della NATO, la Finlandia e gli Stati Uniti stanno lavorando insieme per rafforzare la nostra cooperazione bilaterale in materia di difesa. Inoltre, la cooperazione economica è aumentata in modo significativo poiché lo scorso anno gli Stati Uniti sono diventati il ​​partner commerciale numero uno della Finlandia.

Anche se fisicamente separati da un oceano, i nostri paesi sono legati da legami che superano le distanze. Affrontiamo sfide di sicurezza comuni, ma, cosa ancora più importante, condividiamo la fede nella democrazia, nei nostri valori comuni e interessi condivisi.

Questi valori sono messi in discussione dalla brutale invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Con il livello di sostegno economico e militare offerto all’Ucraina, gli Stati Uniti rimangono la forza indispensabile in Europa. Gli Stati Uniti erano già svegli quando la maggior parte dell’Europa dormiva ancora, relativamente indisturbata dai giochi politici di potere della Russia. La leadership statunitense è quanto mai necessaria. 

Questa leadership aiuta a tenere le porte aperte e i nemici a bada, ma non ci sarebbe leadership senza una partnership. Questa partnership è qualcosa che la Finlandia ha offerto agli Stati Uniti. La Finlandia è un valido alleato e un fornitore di sicurezza. Ci assumiamo le nostre responsabilità nella nostra regione e oltre, e ci impegniamo a sostenere l’Ucraina e a difendere noi stessi e   i valori che rappresentiamo. Questo impegno è condiviso dalla leadership finlandese ma, cosa ancora più importante, dal popolo finlandese.

La Finlandia si è classificata come il paese meno corrotto, più egualitario, uno dei paesi più istruiti e più democratici del mondo. È anche il paese più stabile del mondo. In questi tempi instabili, questa stabilità ha un valore proprio. Sorprendentemente per molti finlandesi, la Finlandia è anche il paese più felice del mondo. Mettiamo in discussione questo risultato ogni anno, ma ci viene segnalato che è così. È un dato di fatto, quindi quanto devono essere infelici gli altri se noi siamo i più felici. (Risata.)

Ma ora sono davvero felice di poter dare il benvenuto sul palco al Segretario di Stato degli Stati Uniti, il signor Antony Blinken. (Applausi.)

SEGRETARIO BLINKEN:   Grazie. Grazie mille. E sì, oggi provo un senso di felicità maggiore di quanto non provassi da molto tempo. (Risata.)

Sindaco Vartiainen, grazie per averci ospitato qui a Helsinki e in questo municipio assolutamente magnifico.

E Mika, i miei ringraziamenti a te, e anche a tutta la tua squadra – tutti i ricercatori dell’Istituto finlandese per gli affari internazionali, per aver approfondito la borsa di studio sulla diplomazia e anche per aver arricchito il dibattito pubblico.

Sono anche lieto che il mio amico e partner, Pekka Haavisto, sia qui con noi oggi. Abbiamo lavorato a stretto contatto insieme in questo ultimo anno davvero storico e sono grato per la vostra presenza.

A tutti gli illustri ospiti, due mesi fa, sono stato con i nostri alleati a Bruxelles mentre la bandiera della Finlandia è stata issata per la prima volta sul quartier generale della NATO. Il presidente Niinistö ha dichiarato, e cito: “L’era del non allineamento militare in Finlandia è giunta al termine. Inizia una nuova era”.

È stato un cambiamento epocale che sarebbe stato impensabile poco più di un anno prima. Prima dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, un finlandese su quattro sosteneva l’adesione del paese alla NATO. Dopo l’invasione su vasta scala, tre finlandesi su quattro hanno sostenuto l’adesione.

Non è stato difficile per i finlandesi immaginarsi nei panni degli ucraini. Ci erano entrati nel novembre del 1939, quando l’Unione Sovietica aveva invaso la Finlandia.

Come la cosiddetta “operazione speciale” del presidente Putin contro l’Ucraina, la cosiddetta “operazione di liberazione” dell’URSS ha falsamente accusato la Finlandia di aver provocato l’invasione.

Come i russi con Kiev, i sovietici erano fiduciosi di saccheggiare Helsinki in poche settimane, così fiduciosi che Dmitri Shostakovich compose la musica per la parata della vittoria, prima ancora che iniziasse la Guerra d’Inverno.

Come Putin in Ucraina, quando Stalin non è riuscito a superare la feroce e determinata resistenza dei finlandesi, è passato a una strategia del terrore, incenerendo interi villaggi e bombardando dal cielo così tanti ospedali che i finlandesi hanno iniziato a coprire le insegne della Croce Rossa sui tetti.

Come i milioni di rifugiati ucraini di oggi, centinaia di migliaia di finlandesi furono cacciati dalle loro case dall’invasione sovietica. Tra loro c’erano due bambini, Pirkko e Henri, le cui famiglie hanno evacuato le loro case in Carelia: la madre e il padre del nostro ospite, il sindaco della città.

Per molti finlandesi, i parallelismi tra il 1939 e il 2022 sono stati sorprendenti. Erano viscerali. E non avevano torto.

I finlandesi hanno capito che se la Russia avesse violato i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite – sovranità, integrità territoriale, indipendenza – se lo avesse fatto in Ucraina, avrebbe messo in pericolo anche la loro stessa pace e sicurezza.

Lo abbiamo capito anche noi. Ecco perché, nel corso del 2021, mentre la Russia aumentava le sue minacce contro Kiev e accumulava sempre più truppe, carri armati e aerei ai confini dell’Ucraina, abbiamo fatto ogni sforzo per convincere Mosca a ridurre la sua crisi fabbricata e risolvere i suoi problemi attraverso la diplomazia.

Il presidente Biden ha detto al presidente Putin che eravamo pronti a discutere le nostre reciproche preoccupazioni di sicurezza – un messaggio che ho ribadito più volte – anche di persona, con il ministro degli Esteri Lavrov. Abbiamo offerto proposte scritte per ridurre le tensioni. Insieme ai nostri alleati e partner, abbiamo utilizzato ogni forum per cercare di prevenire la guerra, dal Consiglio NATO-Russia all’OSCE, dall’ONU ai nostri canali diretti.

Attraverso questi impegni, abbiamo tracciato due possibili percorsi per Mosca: un percorso di diplomazia, che potrebbe portare a una maggiore sicurezza per l’Ucraina, per la Russia, per tutta l’Europa; o un percorso di aggressione, che comporterebbe gravi conseguenze per il governo russo.

Il presidente Biden ha chiarito che indipendentemente dal percorso scelto dal presidente Putin, saremmo stati pronti. E se la Russia scegliesse la guerra, faremmo tre cose: sostenere l’Ucraina, imporre costi elevati alla Russia e rafforzare la NATO, radunando i nostri alleati e partner intorno a questi obiettivi.

Mentre le nuvole temporalesche si addensavano, abbiamo aumentato l’assistenza militare, economica e umanitaria all’Ucraina. Prima nell’agosto 2021, e di nuovo a dicembre, abbiamo inviato attrezzature militari per rafforzare le difese dell’Ucraina, inclusi Javelins e Stingers. E abbiamo schierato un team del Cyber ​​Command degli Stati Uniti per aiutare l’Ucraina a rafforzare la sua rete elettrica e altre infrastrutture critiche contro gli attacchi informatici.

Abbiamo preparato una serie senza precedenti di sanzioni, controlli sulle esportazioni e altri costi economici per imporre gravi e immediate conseguenze alla Russia in caso di invasione su vasta scala.

Abbiamo adottato misure per non lasciare dubbi sul fatto che noi e i nostri alleati avremmo mantenuto il nostro impegno a difendere ogni centimetro del territorio della NATO.

E abbiamo lavorato incessantemente per radunare alleati e partner per aiutare l’Ucraina a difendersi e negare a Putin i suoi obiettivi strategici.

Sin dal primo giorno della sua amministrazione, il presidente Biden si è concentrato sulla ricostruzione e sul rilancio delle alleanze e dei partenariati americani, sapendo che siamo più forti quando lavoriamo a fianco di coloro che condividono i nostri interessi e i nostri valori.

Nel periodo precedente all’invasione della Russia, abbiamo dimostrato il potere di questi partenariati, coordinando la nostra pianificazione e strategia per una potenziale invasione con la NATO, con l’UE, con il G7 e altri alleati e partner di tutto il mondo.

Durante quelle fatidiche settimane di gennaio e febbraio del 2022, è diventato chiaro che nessuno sforzo diplomatico avrebbe fatto cambiare idea al presidente Putin. Avrebbe scelto la guerra.

E così, il 17 febbraio 2022, sono andato davanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per avvertire il mondo che l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia era imminente.

Ho esposto i passi che la Russia avrebbe intrapreso: prima fabbricando un pretesto, e poi usando missili, carri armati, truppe, attacchi informatici per colpire obiettivi pre- identificati, tra cui Kiev, con l’obiettivo di rovesciare il governo democraticamente eletto dell’Ucraina e cancellare l’Ucraina dal mappa come un paese indipendente.

Speravamo – speravamo – di essere smentiti.

Sfortunatamente, avevamo ragione. Una settimana dopo il mio avvertimento al Consiglio di sicurezza, il presidente Putin ha invaso. Gli ucraini di ogni estrazione sociale – soldati e cittadini, uomini e donne, giovani e meno giovani – hanno difeso coraggiosamente la loro nazione.

E gli Stati Uniti si sono mossi rapidamente, con decisione e all’unisono con alleati e partner per fare esattamente quello che avevamo detto che avremmo fatto: sostenere l’Ucraina, imporre costi alla Russia, rafforzare la NATO – tutto questo con i nostri alleati e partner.

E con il nostro sostegno collettivo, l’Ucraina ha fatto quello che aveva promesso: ha difeso il suo territorio, la sua indipendenza, la sua democrazia.

Oggi, quello che voglio fare è illustrare questo e molti altri modi in cui la guerra di aggressione di Putin contro l’Ucraina è stata un fallimento strategico, riducendo notevolmente il potere della Russia, i suoi interessi e la sua influenza negli anni a venire. E condividerò anche la nostra visione del cammino verso una pace giusta e duratura.

Quando si guardano gli scopi e gli obiettivi strategici a lungo termine del presidente Putin, non c’è dubbio: la Russia oggi sta molto peggio di quanto non fosse prima della sua invasione su vasta scala dell’Ucraina – militarmente, economicamente, geopoliticamente.

Dove Putin mirava a proiettare forza, ha rivelato debolezza. Dove ha cercato di dividere, è unito. Quello che ha cercato di impedire, è precipitato. Questo risultato non è casuale. È il risultato diretto del coraggio e della solidarietà del popolo ucraino e dell’azione deliberata, decisa e rapida che noi e i nostri partner abbiamo intrapreso per sostenere l’Ucraina.

In primo luogo, per anni il presidente Putin ha cercato di indebolire e dividere la NATO, con la falsa affermazione che rappresentava una minaccia per la Russia. Infatti, prima che la Russia invadesse la Crimea e l’Ucraina orientale nel 2014, l’atteggiamento della NATO rifletteva la convinzione condivisa che un conflitto in Europa fosse improbabile. Gli Stati Uniti avevano ridotto significativamente le proprie forze in Europa dalla fine della Guerra Fredda, da 315.000 nel 1989 a 61.000 alla fine del 2013. La spesa per la difesa di molti paesi europei era in calo da anni. La dottrina strategica della NATO all’epoca definiva la Russia un partner.

Dopo l’invasione russa della Crimea e del Donbas nel 2014, la marea ha cominciato a cambiare. Gli alleati si sono impegnati a spendere il due per cento del PIL per la difesa e hanno dispiegato nuove forze sul fianco orientale della NATO in risposta all’aggressione della Russia. L’Alleanza ha accelerato la sua trasformazione dopo l’invasione su vasta scala della Russia – non per rappresentare una minaccia o perché la NATO cerca il conflitto. La NATO è sempre stata – e sempre sarà – un’alleanza difensiva. Ma l’aggressione, le minacce e le armi nucleari della Russia ci hanno costretto a rafforzare la nostra deterrenza e difesa.

Ore dopo l’invasione su vasta scala, abbiamo attivato la Forza di risposta difensiva della NATO. Nelle settimane che sono seguite, diversi alleati – tra cui Regno Unito, Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Spagna, Francia – hanno inviato rapidamente truppe, aerei e navi per rafforzare il fianco orientale della NATO. Abbiamo raddoppiato il numero di navi che pattugliano il Mare del Nord e il Mar Baltico e raddoppiato il numero di gruppi tattici nella regione. Gli Stati Uniti hanno stabilito la loro prima presenza militare permanente in Polonia. E, naturalmente, la NATO ha aggiunto la Finlandia come suo 31° alleato, e presto aggiungeremo la Svezia come 32°.

Mentre ci dirigiamo verso il vertice della NATO a Vilnius, il nostro messaggio condiviso sarà chiaro: gli alleati della NATO sono impegnati a rafforzare la deterrenza e la difesa, a una spesa per la difesa maggiore e più intelligente, a legami più profondi con i partner indo-pacifici. La porta della NATO rimane aperta a nuovi membri e rimarrà aperta.

L’invasione della Russia ha anche portato l’Unione Europea a fare di più – e di più insieme agli Stati Uniti e alla NATO – che mai. L’UE e i suoi Stati membri hanno fornito all’Ucraina oltre 75 miliardi di dollari di sostegno militare, economico e umanitario. Ciò include 18 miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza, dai sistemi di difesa aerea ai carri armati Leopard alle munizioni. In stretto coordinamento con gli Stati Uniti, il Regno Unito e altri partner, l’UE ha lanciato le sanzioni più ambiziose di sempre, immobilizzando oltre la metà dei beni sovrani della Russia. E le nazioni europee hanno accolto più di 8 milioni di rifugiati ucraini, la maggior parte dei quali non solo ha avuto accesso ai servizi pubblici, ma anche il diritto al lavoro, allo studio.

In secondo luogo, per decenni Mosca ha lavorato per accrescere la dipendenza dell’Europa dal petrolio e dal gas russi. Dopo l’invasione su vasta scala del presidente Putin, l’Europa ha compiuto un rapido e deciso allontanamento dall’energia russa. Berlino ha subito cancellato il Nord Stream 2, che avrebbe raddoppiato il flusso di gas russo verso la Germania.

Prima dell’invasione di Putin, i paesi europei importavano il 37% del loro gas naturale dalla Russia. L’Europa lo ha tagliato di oltre la metà in meno di un anno. Nel 2022, i paesi dell’UE hanno generato un quinto record della loro elettricità attraverso l’eolico e il solare, più elettricità di quella generata dall’UE attraverso carbone, gas o qualsiasi altra fonte di energia. Gli Stati Uniti, da parte loro, hanno più che raddoppiato la propria fornitura di gas all’Europa, e anche i nostri alleati asiatici – Giappone, Repubblica di Corea – si sono attivati per aumentare l’offerta europea.

Nel frattempo, il tetto massimo del prezzo del petrolio che noi e i nostri partner del G7 abbiamo messo in atto ha mantenuto l’energia della Russia nel mercato globale, riducendo drasticamente le entrate russe. A un anno dalla sua invasione, le entrate petrolifere della Russia erano diminuite del 43%. Le entrate fiscali del governo russo da petrolio e gas sono diminuite di quasi due terzi. E Mosca non riavrà i mercati che ha perso in Europa.

In terzo luogo, il presidente Putin ha trascorso due decenni cercando di trasformare l’esercito russo in una forza moderna, con armi all’avanguardia, un comando semplificato e soldati ben addestrati e ben equipaggiati. Il Cremlino ha spesso affermato di avere il secondo esercito più forte del mondo, e molti ci credevano. Oggi, molti vedono l’esercito russo come il secondo più forte in Ucraina. Il suo equipaggiamento, la tecnologia, la leadership, le truppe, la strategia, le tattiche e il morale, un caso studio di fallimento, anche se Mosca infligge danni devastanti, indiscriminati e gratuiti all’Ucraina e agli ucraini.

Si stima che la Russia abbia subito più di 100.000 vittime solo negli ultimi sei mesi, mentre Putin invia ondate dopo ondate di russi in un tritacarne di sua creazione.

Nel frattempo, le sanzioni e i controlli sulle esportazioni imposti dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e da altri partner in tutto il mondo hanno gravemente degradato la macchina da guerra russa e le esportazioni di difesa, ritardandole per gli anni a venire. I partner e i clienti della difesa globale della Russia non possono più contare sugli ordini promessi, figuriamoci sui pezzi di ricambio. E mentre assistono alle scarse prestazioni della Russia sul campo di battaglia, stanno portando sempre più i loro affari altrove.

In quarto luogo, il presidente Putin voleva costruire la Russia come potenza economica globale. La sua invasione ha cementato il suo fallimento di lunga data nel diversificare l’economia russa, nel rafforzare il suo capitale umano e nell’integrare completamente il paese nell’economia globale. Oggi, l’economia russa è l’ombra di ciò che era, e una frazione di ciò che sarebbe potuta diventare se Putin avesse investito in tecnologia e innovazione piuttosto che in armi e guerra.

Le riserve estere della Russia sono diminuite di oltre la metà, così come i profitti delle sue imprese statali. Più di 1.700 compagnie straniere hanno ridotto, sospeso o terminato le operazioni in Russia dall’inizio dell’invasione. Sono decine di migliaia di posti di lavoro persi, un’enorme fuga di competenze straniere e miliardi di dollari di mancati introiti per il Cremlino.

Un milione di persone sono fuggite dalla Russia, tra cui molti dei migliori specialisti informatici, imprenditori, ingegneri, medici, professori, giornalisti, scienziati del paese. Anche innumerevoli artisti, scrittori, cineasti, musicisti se ne sono andati, senza vedere un futuro per loro stessi in un paese dove non possono esprimersi liberamente.

In quinto luogo, il presidente Putin ha investito notevoli sforzi per dimostrare che la Russia potrebbe essere un prezioso partner per la Cina. Alla vigilia dell’invasione, Pechino e Mosca hanno dichiarato una partnership “senza limiti”. Diciotto mesi dopo l’invasione, quella partnership a doppio senso sembra sempre più unilaterale. L’aggressione di Putin e l’uso come arma delle dipendenze strategiche dalla Russia sono servite da campanello d’allarme per i governi di tutto il mondo affinché compiano sforzi per ridurre il rischio. E insieme, gli Stati Uniti e i nostri partner stanno adottando misure per ridurre tali vulnerabilità, dalla costruzione di catene di approvvigionamento critiche più resilienti al rafforzamento dei nostri strumenti condivisi per contrastare la coercizione economica.

Quindi, l’aggressione della Russia non ci ha distratto dall’affrontare le sfide nell’Indo-Pacifico. In realtà ha affinato la nostra attenzione su di loro. E il nostro sostegno all’Ucraina non ha indebolito le nostre capacità di far fronte a potenziali minacce provenienti dalla Cina o da qualsiasi altro luogo, ma le ha rafforzate. E crediamo che Pechino stia prendendo atto del fatto che, lungi dall’essere intimidita da una violenta violazione della Carta delle Nazioni Unite, il mondo si è mobilitato per difenderla.

In sesto luogo, prima della guerra, il presidente Putin usava regolarmente l’influenza della Russia nelle organizzazioni internazionali per tentare di indebolire la Carta delle Nazioni Unite. Oggi la Russia è più isolata che mai sulla scena mondiale. Almeno 140 nazioni – due terzi degli Stati membri delle Nazioni Unite – hanno ripetutamente votato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per affermare la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, per respingere i tentativi di Putin di annettere illegalmente il territorio ucraino, per condannare l’aggressione e le atrocità della Russia e per chiamare per una pace coerente con i principi della Carta delle Nazioni Unite. I governi dell’ovest e dell’est, del nord e del sud hanno votato per sospendere la Russia da numerose istituzioni, dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite all’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale.

Ogni rimprovero e sconfitta per Mosca non è solo un voto contro l’aggressione della Russia, è un voto per i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite. E paesi di ogni parte del mondo stanno sostenendo gli sforzi per ritenere la Russia responsabile dei suoi crimini di guerra e crimini contro l’umanità, dalla creazione di una commissione speciale delle Nazioni Unite per documentare i crimini e le violazioni dei diritti umani commessi nella guerra della Russia all’assistenza alle indagini dei pubblici ministeri in Ucraina e presso la Corte Penale Internazionale.

Settimo, il presidente Putin, per anni, ha cercato di dividere l’Occidente dal resto, sostenendo che la Russia stava promuovendo i migliori interessi del mondo in via di sviluppo.    Oggi, grazie alla dichiarazione aperta delle sue ambizioni imperiali e all’armamento di cibo e carburante, il presidente Putin ha diminuito l’influenza russa su tutti i continenti. Gli sforzi di Putin per ricostituire un impero secolare hanno ricordato a ogni nazione che aveva sopportato il dominio coloniale e la repressione il proprio dolore. Quindi, ha esacerbato le difficoltà economiche che molte nazioni stavano già attraversando a causa del COVID e del cambiamento climatico, tagliando il grano ucraino dai mercati mondiali, facendo aumentare il costo del cibo e del carburante ovunque.

Al contrario, in una sfida globale dopo l’altra, gli Stati Uniti e i nostri partner hanno dimostrato che la nostra attenzione all’Ucraina non ci distrarrà dal lavorare per migliorare la vita delle persone in tutto il mondo e affrontare i costi a cascata dell’aggressione russa.

Il nostro aiuto alimentare di emergenza senza precedenti ha impedito a milioni di persone di morire di fame. Solo lo scorso anno, gli Stati Uniti hanno fornito 13,5 miliardi di dollari in assistenza alimentare. E gli Stati Uniti stanno attualmente finanziando più della metà del budget del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite. La Russia finanzia meno dell’uno per cento.

Abbiamo sostenuto un accordo negoziato dal Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres e dalla Turchia per spezzare la stretta mortale della Russia sul grano ucraino, consentendo a 29 milioni di tonnellate di cibo di uscire dall’Ucraina e raggiungere persone in tutto il mondo. Ciò include 8 milioni di tonnellate di grano, che è l’equivalente di circa 16 miliardi di pagnotte.

Insieme ad alleati e partner, stiamo mobilitando centinaia di miliardi di dollari in finanziamenti per infrastrutture di alta qualità nei paesi in cui sono maggiormente necessarie e costruendole in modo trasparente e favorevole all’ambiente; responsabilizza i lavoratori e le comunità locali.

Stiamo rafforzando la sicurezza sanitaria globale, dalla formazione di mezzo milione di operatori sanitari nel nostro emisfero, nelle Americhe, all’aiutare l’azienda farmaceutica Moderna a finalizzare i piani con il Kenya per costruire il suo primo impianto di produzione di vaccini a mRNA in Africa.

Di volta in volta, stiamo dimostrando chi alimenta i problemi globali e chi li risolve.

Infine, l’obiettivo principale del presidente Putin – anzi, la sua ossessione – è stato quello di cancellare l’idea stessa di Ucraina – la sua identità, la sua gente, la sua cultura, la sua agenzia, il suo territorio. Ma anche qui le azioni di Putin hanno provocato l’effetto opposto. Nessuno ha fatto di più per rafforzare l’identità nazionale dell’Ucraina dell’uomo che ha cercato di cancellarla. Nessuno ha fatto di più per approfondire l’unità e la solidarietà degli ucraini. Nessuno ha fatto di più per intensificare la determinazione degli ucraini a scrivere il proprio futuro alle proprie condizioni.

L’Ucraina non sarà mai la Russia. L’Ucraina è sovrana, indipendente, saldamente in controllo del proprio destino. In questo – l’obiettivo primario di Putin – ha fallito in modo clamoroso.

Il presidente Putin afferma costantemente che gli Stati Uniti, l’Europa e i paesi che sostengono l’Ucraina sono decisi a sconfiggere o distruggere la Russia, a rovesciare il suo governo, a trattenere il suo popolo. Questo è falso. Non cerchiamo il rovesciamento del governo russo e non l’abbiamo mai fatto. Il futuro della Russia spetta ai russi deciderlo.

Non abbiamo nulla contro il popolo russo, che non ha avuto voce in capitolo nell’iniziare questa tragica guerra. Ci lamentiamo del fatto che Putin stia mandando a morte decine di migliaia di russi in una guerra che potrebbe finire ora, se lo desiderasse, e che sta infliggendo un impatto rovinoso sull’economia russa e sulle sue prospettive. In effetti, ci si deve chiedere: in che modo la guerra di Putin ha migliorato la vita, i mezzi di sussistenza o le prospettive dei comuni cittadini russi?

Tutto ciò che noi e i nostri alleati e partner facciamo in risposta all’invasione di Putin ha lo stesso scopo: aiutare l’Ucraina a difendere la sua sovranità, la sua integrità territoriale e indipendenza e difendere le regole e i principi internazionali che sono minacciati dalla guerra in corso di Putin.

Lasciatemelo dire direttamente al popolo russo: gli Stati Uniti non sono vostri nemici. Alla fine pacifica della Guerra Fredda, abbiamo condiviso la speranza che la Russia emergesse verso un futuro più luminoso, libera e aperta, pienamente integrata con il mondo. Per più di 30 anni, abbiamo lavorato per perseguire relazioni stabili e di cooperazione con Mosca, perché credevamo che una Russia pacifica, sicura e prospera fosse nell’interesse dell’America – anzi, nell’interesse del mondo. Lo crediamo ancora oggi.

Non possiamo scegliere il tuo futuro per te e non cercheremo di farlo. Ma non permetteremo nemmeno al presidente Putin di imporre la sua volontà ad altre nazioni. Mosca deve trattare l’indipendenza, la sovranità, l’integrità territoriale dei suoi vicini con lo stesso rispetto che esige per la Russia.

Ora, come ho chiarito, praticamente sotto ogni punto di vista, l’invasione dell’Ucraina da parte del presidente Putin è stata un fallimento strategico. Eppure, mentre Putin non è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi, non ha rinunciato a questi. È convinto di poter semplicemente sopravvivere all’Ucraina e ai suoi sostenitori, mandando a morte sempre più russi, infliggendo sempre più sofferenze ai civili ucraini. Pensa che anche se perde il gioco a breve, può comunque vincere il gioco lungo. Putin ha torto anche su questo.

Gli Stati Uniti – insieme ai nostri alleati e partner – sono fermamente impegnati a sostenere la difesa dell’Ucraina oggi, domani, per tutto il tempo necessario. E in America, questo sostegno è bipartisan. E proprio perché non ci facciamo illusioni sulle aspirazioni di Putin, crediamo che il prerequisito per una diplomazia significativa e una pace reale sia un’Ucraina più forte, capace di scoraggiare e difendersi da ogni futura aggressione.

Abbiamo radunato una squadra formidabile attorno a questo sforzo. Con la guida del Segretario alla Difesa Austin, più di 50 paesi stanno collaborando attraverso il Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina. E stiamo guidando con la forza del nostro esempio, fornendo decine di miliardi di dollari in assistenza per la sicurezza all’Ucraina con un sostegno forte e incrollabile da entrambi i lati delle ali nel nostro Congresso.

Oggi, l’America e i nostri alleati e partner stanno aiutando a soddisfare le esigenze dell’Ucraina sull’attuale campo di battaglia, sviluppando al tempo stesso una forza che può scoraggiare e difendersi dall’aggressione per gli anni a venire. Ciò significa aiutare a costruire un esercito ucraino del futuro, con finanziamenti a lungo termine, una forte forza aerea incentrata su moderni aerei da combattimento, una rete integrata di difesa aerea e missilistica, carri armati avanzati e veicoli corazzati, capacità nazionale di produrre munizioni e l’addestramento e supporto per mantenere le forze e le attrezzature pronte al combattimento.

Ciò significa anche che l’adesione dell’Ucraina alla NATO sarà una questione che spetta agli alleati e all’Ucraina – non alla Russia – decidere. Il percorso verso la pace sarà forgiato non solo attraverso la forza militare a lungo termine dell’Ucraina, ma anche la forza della sua economia e della sua democrazia. Questo è al centro della nostra visione per il futuro: l’Ucraina non deve solo sopravvivere, deve prosperare. Per essere abbastanza forte da scoraggiare e difendersi dagli aggressori oltre i suoi confini, l’Ucraina ha bisogno di una democrazia vibrante e prospera all’interno dei suoi confini.

È la strada per la quale ha votato il popolo ucraino quando ha conquistato l’indipendenza nel 1991. È la scelta che ha difeso al Maidan nel 2004, e ancora nel 2013: una società libera e aperta, rispettosa dei diritti umani e dello stato di diritto, pienamente integrato con l’Europa, dove tutti gli ucraini hanno dignità e l’opportunità di realizzare il loro pieno potenziale – e dove il governo risponde ai bisogni della sua gente, non a quelli degli interessi acquisiti e delle élite.

Ci impegniamo a lavorare con alleati e partner per aiutare gli ucraini a trasformare la loro visione in realtà. Non solo aiuteremo l’Ucraina a ricostruire la sua economia, ma a reinventarla, con nuove industrie, rotte commerciali, catene di approvvigionamento connesse con l’Europa e con i mercati di tutto il mondo. Continueremo a sostenere gli organismi anticorruzione indipendenti dell’Ucraina, una stampa libera e vibrante, le organizzazioni della società civile. Aiuteremo l’Ucraina a rinnovare la sua rete energetica – più della metà della quale è stata distrutta dalla Russia – e lo faremo in un modo più pulito, più resiliente e più integrato con i suoi vicini, in modo che l’Ucraina possa un giorno diventare un esportatore di energia .

La maggiore integrazione dell’Ucraina con l’Europa è vitale per tutti questi sforzi. Kiev ha compiuto un passo da gigante in questa direzione lo scorso giugno, quando l’Unione ha formalmente concesso all’Ucraina lo status di candidato all’UE. E Kiev sta lavorando per compiere progressi verso i parametri di riferimento dell’UE anche se lotta per la sua sopravvivenza.

Investire nella forza dell’Ucraina non va a scapito della diplomazia. Apre la strada alla diplomazia. Il presidente Zelenskyy ha ripetutamente affermato che la diplomazia è l’unico modo per porre fine a questa guerra, e noi siamo d’accordo. A dicembre ha presentato una visione per una pace giusta e duratura. Invece di impegnarsi in quella proposta o addirittura di offrirne una sua, il presidente Putin ha detto che non c’è nulla di cui parlare fino a quando l’Ucraina non accetterà, e cito, le “nuove realtà territoriali” – in altre parole, accetterà il sequestro da parte della Russia del 20% del patrimonio territoriale ucraino. Putin ha trascorso l’inverno cercando di assiderare i civili ucraini, e poi la primavera cercando di bombardarli a morte. Giorno dopo giorno, la Russia fa piovere missili e droni su condomini, scuole, ospedali ucraini.

Ora, da lontano, è facile diventare insensibili a queste e ad altre atrocità russe, come l’attacco dei droni la scorsa settimana contro una clinica medica a Dnipro, che ha ucciso quattro persone, compresi i medici; o i 17 attacchi a Kiev nel solo mese di maggio, molti dei quali con missili ipersonici; o l’attacco missilistico di aprile alla città di Uman – a centinaia di chilometri dalla linea del fronte – in cui sono rimasti uccisi 23 civili. L’attacco missilistico ha colpito diversi condomini a Uman prima dell’alba. In uno di quegli edifici, un padre, Dmytro, corse nella stanza dove dormivano i suoi figli: Kyrylo, 17 anni; Sophia, 11 anni. Ma quando ha aperto la porta della loro camera da letto, non c’era spazio, solo fuoco e fumo. I suoi figli se n’erano andati. Altre due vite innocenti estinte. Due dei sei bambini uccisi dalla Russia in un solo colpo. Due delle migliaia di bambini ucraini uccisi dalla guerra di aggressione russa. Altre migliaia sono state ferite e altre migliaia sono state rapite dalle loro famiglie dalla Russia e date a famiglie russe. Milioni di persone sono state sfollate. Tutti fanno parte di una generazione di bambini ucraini terrorizzati, traumatizzati, segnati dalla guerra di aggressione di Putin; ci ricordano perché gli ucraini sono così ferocemente impegnati a difendere la loro nazione e perché meritano – meritano – una pace giusta e duratura.

Ora, alcuni hanno sostenuto che se gli Stati Uniti volessero davvero la pace, smetterebbero di sostenere l’Ucraina, e quindi se l’Ucraina volesse davvero porre fine alla guerra, taglierebbe semplicemente le sue perdite rinunciando al quinto del suo territorio che la Russia occupa illegalmente. . Giochiamo per un minuto. Quali vicini della Russia si sentirebbero sicuri della propria sovranità e integrità territoriale se l’aggressione di Putin dovesse essere ricompensata con un quinto del territorio dell’Ucraina?

E del resto, come si sentirebbe al sicuro all’interno dei propri confini un paese che vive vicino a un bullo, con una storia di minacce e aggressioni? Quale lezione impareranno altri aspiranti aggressori in tutto il mondo se a Putin sarà permesso di violare impunemente un principio fondamentale della Carta delle Nazioni Unite? E quante volte nella storia gli aggressori che si impadroniscono di tutto o parte di un paese vicino si sono accontentati e si sono fermati lì? Quando mai questo ha soddisfatto Vladimir Putin?

Gli Stati Uniti hanno lavorato con l’Ucraina – e con alleati e partner in tutto il mondo – per creare consenso sugli elementi fondamentali di una pace giusta e duratura. Per essere chiari, gli Stati Uniti accolgono con favore qualsiasi iniziativa che aiuti a portare il presidente Putin al tavolo per impegnarsi in una diplomazia significativa. Sosterremo gli sforzi – siano essi del Brasile, della Cina o di qualsiasi altra nazione – se aiutano a trovare una via per una pace giusta e duratura, coerente con i principi della Carta delle Nazioni Unite.

Ecco cosa significa.

Una pace giusta e duratura deve sostenere la Carta delle Nazioni Unite e affermare i principi di sovranità, integrità territoriale e indipendenza.

Una pace giusta e duratura richiede la piena partecipazione e il consenso dell’Ucraina – niente sull’Ucraina senza l’Ucraina.

Una pace giusta e duratura deve sostenere la ricostruzione e la ripresa dell’Ucraina, con la Russia che paga la sua parte.

Una pace giusta e duratura deve affrontare sia la responsabilità che la riconciliazione.

Una pace giusta e duratura può aprire la strada a rilievi sanzionatori connessi ad azioni concrete, in particolare il ritiro militare. Una pace giusta e duratura deve porre fine alla guerra di aggressione della Russia.

Ora, nelle prossime settimane e mesi, alcuni paesi chiederanno un cessate il fuoco. E in superficie, sembra sensato, persino attraente. Dopotutto, chi non vuole che le parti in guerra depongano le armi? Chi non vorrebbe che le uccisioni finissero?

Ma un cessate il fuoco che semplicemente congela le attuali linee in atto e consente a Putin di consolidare il controllo sul territorio che ha conquistato, e poi riposare, riarmarsi e riattaccare – questa non è una pace giusta e duratura. È una pace Potëmkin. Legittimerebbe l’accaparramento della terra da parte della Russia. Ricompenserebbe l’aggressore e punirebbe la vittima.

Se e quando la Russia sarà pronta a lavorare per una vera pace, gli Stati Uniti risponderanno di concerto con l’Ucraina e altri alleati e partner in tutto il mondo. E insieme all’Ucraina, agli alleati e ai partner, saremmo pronti ad avere una discussione più ampia sulla sicurezza europea che promuova la stabilità e la trasparenza e riduca la probabilità di futuri conflitti.

Nelle settimane e nei mesi a venire, gli Stati Uniti continueranno a lavorare con l’Ucraina, con i nostri alleati e partner e con tutte le parti impegnate a sostenere una pace giusta e duratura basata su questi principi.

Il 4 aprile 1949, 74 anni prima che la Finlandia entrasse a far parte della NATO, i membri originari dell’Alleanza si riunirono a Washington per firmare il suo trattato istitutivo. Il presidente Truman ha avvertito il gruppo, e cito: “Non possiamo avere successo se il nostro popolo è ossessionato dalla costante paura dell’aggressione e gravato dal costo di preparare le proprie nazioni individualmente contro l’attacco. [Speriamo] di creare uno scudo contro l’aggressione e la paura dell’aggressione – un baluardo che ci permetterà di andare avanti con il vero business di . . . raggiungere una vita più piena e più felice per tutti i nostri cittadini”.

Lo stesso è vero oggi. Nessuna nazione – né l’Ucraina, né gli Stati Uniti, né la Finlandia, né la Svezia, nessun altro paese può salvaguardare il proprio popolo se vive nella costante paura dell’aggressione. Ecco perché abbiamo tutti interesse a garantire che la guerra di aggressione del presidente Putin contro l’Ucraina continui a essere un fallimento strategico.

Nel suo discorso di Capodanno al popolo finlandese, il presidente Niinistö ha identificato uno dei difetti fondamentali del piano del presidente Putin per conquistare rapidamente l’Ucraina, un difetto che ha anche condannato il piano di Stalin per conquistare rapidamente la Finlandia. Come ha affermato il presidente Niinistö, e cito: “Come leader di un paese sotto un regime autoritario, Stalin e Putin non sono riusciti a riconoscere . . . che le persone che vivono in un paese libero hanno la propria volontà e le proprie convinzioni. E che una nazione che lavora insieme costituisce una forza immensa”.

I finlandesi hanno una parola per quella feroce combinazione di volontà e determinazione:  sisu . E oggi riconoscono  il sisu  nella lotta degli ucraini. E quando un popolo libero come gli ucraini ha alle spalle il sostegno di nazioni libere in tutto il mondo – nazioni che riconoscono il proprio destino e la propria libertà – i loro diritti e la loro sicurezza sono inestricabilmente legati insieme, la forza che possiedono non è semplicemente immensa. È inarrestabile.

Grazie mille. (Applausi.)

https://ru.usembassy.gov/secretary-blinken-russias-strategic-failure-and-ukraines-secure-future/

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Multipolarità asincrona: parametri di controllo e vettori di sviluppo, di Ivan Timofeev

Multipolarità asincrona: parametri di controllo e vettori di sviluppo

Un mondo multipolare è diventato da tempo una realtà. Stiamo già vivendo in un nuovo ordine mondiale, dei cui contorni non siamo pienamente consapevoli. Un’adeguata comprensione del nuovo ordine richiede una chiara comprensione di cosa intendiamo esattamente per mondo multipolare e con quale tipo di multipolarità abbiamo a che fare oggi. Questo nuovo mondo può essere chiamato “multipolarità asincrona”, scrive Ivan Timofeev, direttore del programma Valdai Club .

Dalla fine degli anni ’90, il concetto di multipolarità è diventato uno di quelli centrali per la dottrina della politica estera russa. Il mondo multipolare si opponeva all’egemonia unipolare degli Stati Uniti e dei suoi alleati sulla scena mondiale. Le moderne relazioni internazionali erano percepite come una transizione dall’unipolarismo sfuggito di mano a Washington a un sistema più giusto e pluralistico. Tale sistema doveva basarsi, da un lato, sul ruolo fondamentale dell’ONU e, dall’altro, sull’autorità e l’indipendenza delle principali potenze mondiali, compresa la Russia. L’idea di un mondo multipolare è stata sostenuta da una serie di grandi paesi come l’India e la Cina. Anche gli esperti occidentali non hanno rifiutato la possibilità stessa di un mondo multipolare, considerandolo come uno degli scenari per un possibile futuro.

Il concetto di multipolarità in qualche modo ha cominciato ad acquisire le caratteristiche di un quadro ideale del futuro ordine mondiale. Nel frattempo, un mondo multipolare è diventato da tempo una realtà. Stiamo già vivendo in un nuovo ordine mondiale, dei cui contorni non siamo pienamente consapevoli. Un’adeguata comprensione del nuovo ordine richiede una chiara comprensione di cosa intendiamo esattamente per mondo multipolare e con quale tipo di multipolarità abbiamo a che fare oggi. Questo nuovo mondo può essere chiamato “multipolarità asincrona”.

Le realtà delle relazioni internazionali sono tali che i loro diversi segmenti assomigliano a un nuovo ordine a velocità e tempi diversi. Un mondo multipolare non può semplicemente emergere in un determinato lunedì o giovedì. Alcuni elementi dell’ordine si fondono più rapidamente di altri. Oggi abbiamo a che fare proprio con tali dinamiche asincrone. La diversa velocità di variazione dei singoli elementi della struttura portante genera attriti e resistenze. Per gestire almeno in parte i cambiamenti, è necessaria una comprensione dei loro parametri di controllo e vettori di sviluppo.

Il concetto di “polarità” nelle relazioni internazionali è entrato in circolazione accademica alla fine degli anni ’70. La crescita della sua popolarità è stata associata agli sviluppi teorici dell’americano Kenneth Walts, uno dei principali sostenitori della teoria neorealista delle relazioni internazionali. In Unione Sovietica, e poi in Russia, il concetto ha ricevuto il suo sviluppo anche sotto forma di una teoria del sistema strutturale. I neorealisti presumevano che il comportamento degli stati nell’arena internazionale fosse determinato non solo e non tanto dai loro rispettivi interessi, ma dalla struttura consolidata dell’ordine mondiale. È la struttura che definisce i contorni degli interessi e delle strategie nazionali. A sua volta, la struttura è determinata dalla distribuzione del potenziale di potere tra le maggiori potenze.

A seconda di questa distribuzione è possibile tipizzare la struttura del sistema internazionale. Può essere unipolare (la concentrazione di una quota significativa di potere nelle mani di un potere, mentre gli altri possiedono capacità relativamente limitate); bipolare (la concentrazione del potere in due potenze in competizione con le altre dotate di capacità relativamente limitate, il loro raggruppamento attorno a due centri di potere); multipolare (la concentrazione del potere in poche grandi potenze o nelle loro alleanze). Le strategie delle grandi, medie e piccole potenze in queste tre diverse strutture differiranno l’una dall’altra. Una struttura multipolare genera la massima variabilità nelle strategie.

Se l’ordine mondiale è determinato dalla distribuzione del potere, allora sorge spontanea la domanda: cosa costituisce esattamente questo potere? I neorealisti credevano che il concetto di potere dovesse essere ridotto al potenziale militare e alla capacità di garantire la propria sicurezza militare. Se lo stato non dispone di tali opportunità, il resto dei risultati può semplicemente essere ripristinato in caso di conflitto armato o crisi nelle relazioni con altri paesi. Pertanto, i neorealisti hanno deliberatamente escluso le questioni dell’economia o dello sviluppo del capitale umano. Successivamente, l’esperienza dell’Unione Sovietica ha dimostrato che una comprensione così ristretta dei parametri di governo dell’ordine mondiale può essere errata. L’URSS ha ottenuto risultati impressionanti in termini di potenziamento militare,

Tuttavia, è chiaro che nessun modello teorico può tenere conto dell’intero insieme possibile di fattori. Ogni modello ha un insieme limitato di parametri. Ma la complessità del mondo moderno suggerisce che, oltre alla potenza militare, si debbano tenere presenti altri fattori. In definitiva, la capacità di difesa richiede una base di risorse, che a sua volta fa affidamento sulle capacità economiche e sulle risorse umane. In alcuni casi, il potenziale militare può superare le capacità delle risorse. In determinate circostanze di emergenza, gli stati sono costretti a saltare sopra le loro teste – per costruire il loro potere militare nonostante i limiti delle risorse. In altri casi, la base di risorse può superare le capacità di difesa. Tali stati hanno una riserva di risorse per sviluppare ulteriormente il loro potenziale militare. Il multipolarismo moderno dovrebbe essere valutato tenendo conto di tale complessità;

Dal punto di vista della distribuzione dei potenziali di potere militare, il mondo moderno è stato a lungo multipolare. Possiamo sostenere che gli Stati Uniti sono ancora davanti a tutti gli altri paesi messi insieme in termini di spesa militare; ha la capacità di proiettare il suo potere in tutto il mondo e ha l’esercito più addestrato e tecnicamente professionale. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti non possono scatenare arbitrariamente un conflitto militare contro una serie di potenze senza il rischio di perdite enormi e inaccettabili. La Cina sta rapidamente costruendo la sua potenza militare; sarà difficile sconfiggerlo anche se non teniamo conto delle armi nucleari. Si può immaginare una sconfitta locale della Cina, ma non la sua sconfitta totale. Anche il conflitto con la Russia non promette di essere una corsa facile, anche se la NATO attaccasse la Russia con tutte le sue forze. Qui, è molto probabile una rapida transizione da un conflitto convenzionale a uno nucleare. In caso di aggressione della NATO, Mosca non esiterà a utilizzare armi nucleari tattiche con la prospettiva di passare a un livello strategico. Anche un attacco degli Stati Uniti contro avversari più deboli come la Corea del Nord o l’Iran promette gravi perdite. La Corea del Nord potrebbe sfruttare il suo potenziale nucleare esistente, anche se con la prospettiva della completa distruzione dopo un attacco di rappresaglia. L’Iran può essere danneggiato dai bombardamenti, ma occupare il paese nel modo in cui è stato occupato l’Iraq costerebbe molto sangue. Nove di ciò significa che è inutile per gli Stati Uniti mantenere e costruire la propria macchina militare. Mosca non esiterà a utilizzare armi nucleari tattiche con la prospettiva di passare a un livello strategico. Anche un attacco degli Stati Uniti contro avversari più deboli come la Corea del Nord o l’Iran promette gravi perdite. La Corea del Nord potrebbe sfruttare il suo potenziale nucleare esistente, anche se con la prospettiva della completa distruzione dopo un attacco di rappresaglia. L’Iran può essere danneggiato dai bombardamenti, ma occupare il paese nel modo in cui è stato occupato l’Iraq costerebbe molto sangue. Nove di ciò significa che è inutile per gli Stati Uniti mantenere e costruire la propria macchina militare. Mosca non esiterà a utilizzare armi nucleari tattiche con la prospettiva di passare a un livello strategico. Anche un attacco degli Stati Uniti contro avversari più deboli come la Corea del Nord o l’Iran promette gravi perdite. La Corea del Nord potrebbe sfruttare il suo potenziale nucleare esistente, anche se con la prospettiva della completa distruzione dopo un attacco di rappresaglia. L’Iran può essere danneggiato dai bombardamenti, ma occupare il paese nel modo in cui è stato occupato l’Iraq costerebbe molto sangue. Nove di ciò significa che è inutile per gli Stati Uniti mantenere e costruire la propria macchina militare. ma occupare il paese nel modo in cui è stato occupato l’Iraq costerebbe molto sangue. Nove di ciò significa che è inutile per gli Stati Uniti mantenere e costruire la propria macchina militare. ma occupare il paese nel modo in cui è stato occupato l’Iraq costerebbe molto sangue. Nove di ciò significa che è inutile per gli Stati Uniti mantenere e costruire la propria macchina militare.

Esiste un’ampia gamma di compiti politici che può risolvere con successo, dal contenimento alle operazioni “chirurgiche” locali. Tuttavia, su scala globale, non è più possibile parlare di egemonia militare statunitense. Anche altri centri di potere sono limitati nel risolvere i loro compiti con mezzi militari, soprattutto se le grandi potenze stanno dietro a stati medi o piccoli. Il successo di un’eventuale operazione militare della RPC per risolvere la questione di Taiwan è tutt’altro che scontato, a causa del ruolo attivo di deterrenza degli Stati Uniti. Il sostegno militare e finanziario su larga scala all’Ucraina da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati ha reso difficile per la Russia raggiungere gli obiettivi della sua operazione militare speciale. A sua volta,

Dal punto di vista del rapporto tra il potere militare e la sua base di risorse, il moderno mondo multipolare sembra ancora più complicato. Gli Stati Uniti stanno già spendendo enormi risorse per la difesa. Quasi tutte le principali tecnologie militari e duali sono nelle mani degli Stati Uniti. Ha un’economia diversificata. L’attuale conflitto in Ucraina ha illustrato i limiti delle capacità industriali per soddisfare immediatamente le esigenze delle operazioni militari su larga scala in Ucraina. Tuttavia, gli americani hanno le risorse per superare un tale deficit. Inoltre, gli Stati Uniti dispongono di un importante capitale umano sotto forma di un esercito di ingegneri e di personale qualificato, anche “importato” dall’estero. Il potenziale di difesa della RPC si basa anche su una significativa base di risorse, che consente di aumentarlo notevolmente se necessario. La Cina è in ritardo rispetto agli Stati Uniti in una serie di tecnologie critiche, ma sta rapidamente recuperando terreno.

Pechino ha nelle sue mani una base industriale sviluppata, una scuola di ingegneria fortemente rafforzata e un gran numero di lavoratori qualificati e disciplinati. Le opzioni dell’India sono più limitate, poiché vi sono limitazioni sia tecnologiche che finanziarie. Tuttavia, il ritmo dello sviluppo industriale e tecnologico, il potenziale demografico e la crescita del capitale umano fanno dell’India l’attore più importante del futuro. Infine, dovremmo individuare diverse potenze “dormienti” che sono state a lungo sotto l’ombrello militare statunitense, che non avevano autonomia strategica e non avevano alcun incentivo per uno sviluppo militare anticipato.

Tuttavia, i “dormienti” hanno accumulato ingenti risorse industriali, tecnologiche, finanziarie e umane. Qui stiamo parlando della Germania e di alcuni altri paesi europei, oltre a Giappone e Corea del Sud. Possono permettersi un potenziale molto più impressionante rispetto a quello che hanno. Il conflitto in Ucraina è diventato un pretesto per costruire il loro potenziale militare. Può essere rafforzato dalla cooperazione industriale e tecnologica all’interno dell’Unione Europea e della NATO, nonché dalle alleanze bilaterali con gli Stati Uniti.

In Russia la situazione è più complicata. Il paese ha tutte le risorse naturali necessarie. La sua economia resta tra le prime dieci al mondo, nonostante le sanzioni. Mosca non vanta la capacità tecnologica degli Stati Uniti, ma ha a sua disposizione una serie di tecnologie militari critiche, tra cui armi nucleari e missili a lungo raggio. La più grande vulnerabilità della Russia è il suo potenziale industriale e umano. Il superamento del declino industriale richiederà tempo e richiederà una volontà colossale e la concentrazione delle risorse. Nonostante le posizioni di primo piano nelle scienze naturali, il paese ha un disperato bisogno di ingegneri e lavoratori industriali qualificati. La fuga dei cervelli dei primi anni ’90 e ora il deflusso migratorio del 2022 aggravano il problema. Anche qui, c’è il problema dell’efficacia delle istituzioni amministrative e della corruzione che rimane ancora ad alto livello. Il “ripristino dell’ordine” attraverso metodi direttivi e dure repressioni è uno scenario possibile. Ma difficilmente sarà possibile ripetere la modernizzazione di Stalin nelle condizioni attuali, nonostante il diffuso riabbraccio revisionista di Stalin come leader. Il paese semplicemente non ha le risorse demografiche, l’ideologia o la riserva di personale.

Anche la modernizzazione attraverso l’inclusione sconsiderata nella globalizzazione incentrata sull’Occidente si è rivelata un vicolo cieco. Per mantenere il suo ruolo internazionale a lungo termine, la Russia avrà bisogno di una modernizzazione industriale su larga scala basata su altri principi. Le basi e le capacità esistenti le consentiranno di rimanere una grande potenza militare nel prossimo futuro, ma la crisi delle relazioni con l’Occidente e il conflitto in Ucraina richiederanno uno sforzo sempre maggiore delle forze oltre i limiti delle capacità delle risorse.

Dal punto di vista del rapporto tra potenziale di difesa e base di risorse, Polonia e Ucraina si sono rivelate piuttosto notevoli. La Polonia sta subendo un’attiva militarizzazione, superando nettamente il ritmo degli altri membri europei della NATO. La grande domanda è per quanto tempo Varsavia sarà in grado di mantenere un tale ritmo da sola. Per quanto riguarda l’Ucraina, oggi il paese è in gran parte un campo militare fornito dall’esterno, tenuto insieme dalla mobilitazione nazionalista radicale. Qui il livello di militarizzazione è molto al di sopra delle proprie capacità; il suo potenziale umano e industriale è stato minato dalle migrazioni e dalle operazioni militari.

Insieme al rapporto tra potenza militare e base di risorse, la complessità dell’ordine mondiale moderno è determinata anche dal fatto che non solo la forza militare può essere utilizzata come arma. È qui che l’asincronia dell’ordine mondiale si manifesta in modo più evidente. Se militarmente il mondo è diventato multipolare molto tempo fa, allora in alcune altre aree la distribuzione dei potenziali di potere è di natura diversa.

Nella finanza globale, il predominio delle banche statunitensi e del dollaro USA come mezzo di pagamento e valuta di riserva rimane ancora elevato. Tuttavia, la politica di sanzioni finanziarie ed economiche su larga scala ha già avviato il processo di diversificazione degli insediamenti. La Russia è costretta, volenti o nolenti, ad essere in prima linea. Allontanarsi dalle valute occidentali è una questione di sopravvivenza per Mosca. Finora, gli Stati Uniti e l’UE stanno lasciando una “finestra” ristretta per i regolamenti in dollari ed euro con controparti russe. Ma la “finestra”, che si è concretizzata in un pugno di banche non ancora sanzionate, può chiudersi da un momento all’altro. Le sanzioni contro la Russia fanno pensare anche ad altri paesi. E se domani si trovassero nella difficile situazione della Russia? La Cina ha preparato a lungo e silenziosamente il suo sistema finanziario per uno scenario di shock geopolitico.

C’è molto da imparare dai nostri colleghi russi qui: la Banca di Russia e il Ministero delle finanze hanno fatto molto per creare un sistema finanziario autonomo anche prima dell’inizio dell’operazione speciale in Ucraina. Allo stesso tempo, non c’è ancora nessuna rivoluzione nella finanza mondiale. La “maggioranza mondiale”, comprese Cina e India, continua a utilizzare il dollaro e gli algoritmi consolidati per le transazioni finanziarie. Se in termini militari il mondo è diventato da tempo multipolare, allora nella finanza globale gli Stati Uniti mantengono ancora la leadership. Anche la presenza tecnologica globale dell’Occidente rimane tangibile. Sì, la Cina ha fatto un grande balzo in avanti, ma le licenze, il know-how, i componenti critici e i prodotti finiti occidentali sono ancora presenti nelle catene di approvvigionamento globali. Dati i controlli sulle esportazioni su larga scala della Russia, anche qui, bisogna essere in prima linea per spezzare tali catene. Ma anche la “maggioranza mondiale” non cerca di abbandonarli.

Un’altra area di competizione è lo spazio digitale. I giganti digitali occidentali sono riusciti ad affermarsi come attori chiave nelle reti globali di servizi digitali. L’esperienza del conflitto in Ucraina ha dimostrato che i servizi digitali occidentali possono essere utilizzati per risolvere problemi politici. La scommessa russa sulle proprie piattaforme digitali è naturale e inevitabile. La Cina ha abbandonato i servizi occidentali molto prima della Russia, creando il proprio ecosistema digitale. Sia la Russia che la Cina possono diventare esportatrici di “sovranità digitale”, ovvero fornire a paesi terzi le loro piattaforme per diversificare i servizi esistenti. I giganti digitali occidentali manterranno le loro posizioni nodali nella rete globale, ma nella rete stessa sono già apparse grandi falle sotto forma di Russia e Cina.

Infine, dovremmo menzionare l’influenza informativa e il “soft power”. I media occidentali hanno perso da tempo il loro ruolo di monopolisti nel mercato globale, ma il loro ruolo rimane ancora formidabile. La distribuzione del “soft power” è più difficile da valutare, così come i parametri che lo descrivono. È ovvio, tuttavia, che l’infrastruttura occidentale della lotta per le menti sotto forma di sistema educativo, programmi di scambio, classifiche universitarie, database di pubblicazioni e molto altro rimane eccezionale. La lingua inglese mantiene la sua posizione di mezzo di comunicazione internazionale e la cultura di massa occidentale è onnipresente, nonostante i tentativi di rifiuto culturale locale. Nella stessa Russia, il conflitto con l’Occidente non ha portato all’abbandono dello stile di vita de facto “occidentale”, soprattutto perché questo modo di vivere in sé non ha un unico insieme di caratteristiche; anche all’interno dello stesso paese (ad esempio, gli Stati Uniti), può variare da un liberalismo sconfinato a un rigoroso conservatorismo.

La linea di fondo è che abbiamo a che fare con un modello estremamente complesso dell’ordine mondiale. Dal punto di vista del potenziale militare, il mondo è già diventato multipolare. I principali centri di potere possiedono diverse capacità di risorse in termini di mantenimento e sviluppo delle proprie capacità militari. Qui la Russia deve risolvere seri problemi legati alla sua modernizzazione. Allo stesso tempo, il multipolarismo nel campo della sicurezza non è sincronizzato con le capacità degli Stati in altre aree. L’Occidente continua a esercitare un’influenza significativa sulla finanza globale e sulle catene di approvvigionamento. Mentre nuovi poli potrebbero non emergere nel campo delle infrastrutture digitali, almeno stiamo osservando l’uscita di attori importanti come Russia e Cina dall’ambiente digitale globale incentrato sull’Occidente, con la prospettiva di esportare servizi di “sovranità digitale”. Nel campo dell’informazione e del “soft power”, l’influenza occidentale rimane forte, anche se è difficile valutarla come “unipolare” per la varietà delle componenti e l’ambiguità del loro legame con la politica reale. La distribuzione asincrona dei parametri di potenza è una caratteristica importante dell’ordine mondiale moderno. L’ulteriore sviluppo dottrinale del concetto di multipolarità richiede che si tenga conto di questa circostanza. La distribuzione asincrona dei parametri di potenza è una caratteristica importante dell’ordine mondiale moderno. L’ulteriore sviluppo dottrinale del concetto di multipolarità richiede che si tenga conto di questa circostanza. La distribuzione asincrona dei parametri di potenza è una caratteristica importante dell’ordine mondiale moderno. L’ulteriore sviluppo dottrinale del concetto di multipolarità richiede che si tenga conto di questa circostanza.

https://valdaiclub.com/a/highlights/asynchronous-multipolarity-control-parameters/

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

L’afrocentrismo tra miti e menzogne, di Bernard Lugan

Il primo uomo era nero. L’antico Egitto era “nero”, Cleopatra aveva la pelle nera.

Tutte le invenzioni primordiali sono state fatte dagli egiziani da persone di colore. La civiltà nera egiziana

civiltà egizia nera è quindi all’origine di tutti gli sviluppi intellettuali e tecnologici, in particolare dell’elettricità prodotta dalle piramidi, che di fatto erano centrali elettriche. I neri Africani hanno scoperto l’America prima di Colombo, sono all’origine della civiltà Maya e hanno imparato la mummificazione dagli Inca… ecc…

Queste sono solo alcune delle sciocchezze che costituiscono il “corpus dottrinale” dell’afrocentrismo. Eredità dei postulati “pittoreschi” e fantasmagorici di Cheick Anta Diop, ha avuto origine in America, in particolare nei campus degli Stati Uniti. Tormentati dall’inferno della loro storia, gli intellettuali afroamericani  inventarono l’afrocentrismo, un miraggio che permise loro di seppellire le loro frustrazioni nel rifugio dell’immaginario.

Con l’afrocentrismo e i suoi derivati, non ci troviamo però di fronte a semplici voli di fantasia prodotti dagli illuminati. Si tratta di un’ideologia coerente nella sua dottrina presentata come un’alternativa alla storia ufficiale  che si ritiene essere lo strumento della dominazione maschile bianca.

Un’ideologia razziale alimentata dal mito di una  “nazione africana la cui grande storia è stata oscurata a causa di una “cospirazione razzista” di cospirazione” dei bianchi-coloniali scienza storica bianco-coloniale.

Oggi, nell’epoca del wokismo e del de colonialismo  (si veda il mio libro Pour répondre aux décoloniaux),

per alcuni intellettuali afroamericani e africani, gli inverosimili postulati dell’afrocentrismo sono diventati

tante verità che prosperano sulla negazione della realtà.

Chi vi aderisce si rifiuta di riconoscere che esiste una differenza di natura tra fatto e mito.

Per gli afrocentristi e i decolonialisti la storia non è una scienza con regole e leggi proprie, metodologia, ma uno strumento dell’imperialismo coloniale bianco, progettato per sminuire i neri per far dimenticare di essere stati  il motore della storia umana.

In risposta alla storia bianca-coloniale, la “storia scritta dagli afrocentristi e dai decoloniali pretende di ristabilire la verità. In realtà, però, non è altro che un tentativo di affermare visioni tali da superare le frustrazioni dei gruppi lacerati dai loro complessi esistenziali.

Nel tentativo di giustificare i propri postulati, afrocentristi e decolonialisti hanno definitivamente rinunciato alla storia scientifica. Qualsiasi critica è vietata  “in quanto razzista” da parte degli afrocentristi. Questo permette loro di porre fine al dibattito, i loro avversari sono immediatamente disarmati e paralizzati da una un’accusa del genere…

Bibliographie du dossier – Carbonell, E et alii (2008) « The first hominin of Europe ». Nature, 452, 465-469. – Froment, A., (1992) « Origines du peuplement de l’Egypte Ancienne : l’apport de l’anthropobiologie ». Archéonil, 2, pp 79-98. – Froment, A., (1994) « Race et Histoire : la recomposition idéologique de l’image des Egyptiens Anciens. » Journal des Africanistes, 64, pp 37-64. – Hrdy, D.R., (1978) « Analysis of Hair Samples of Mummies from Semna-South ». American Journal of Physical Anthropology, n°49, 1978, pp 277-283. – Lazaridis, I et alii (2014) « Ancient human genomes suggest threre ancestral populations for presentday Européans ». Nature, 513, 409-413. – Lieberman, D.E (2007) « New described fossils from Georgia in Eurasia and from Kenya ». Nature, 449, 291-292. – Lucotte, G et Mercier, G., (2003) « Brief Communication : Y- Chromosome Haplotypes in Egypt. ». American Journal of Physical Anthropology, n°121, pp 63-66, 2003. – Lucotte, G ; Aouizérate A et Berriche, S., (2000) « Y-chromosome DNA haplotypes in North African populations. » Human Biology, 72 : 473-480, 2000 – Rabino-Massa, E et Chiarelli, B., (1972) « The Histology of Naturally Dessicated and Mummified Bodies ». Journal of Human Evolution, 1972, 1, pp 259-262. – Shuenemann, V et alii., (2017) « Ancient Egyptian mummy genomes suggest an increase of SubSaharan African ancestry in post-Roman periods ». Nature Communications, 8, 2017, 11 pages. – Taylor, J.H., (1991) Egypt and Nubia. London, British Museum. – Vercoutter, (1976) L’iconographie du Noir dans l’Egypte ancienne, des origines à la XXVe dynastie. In Vercoutter, Leclant, Snowdon, Desanges, « L’image du Noir dans l’art occidental », Fribourg, pp 33- 88. – Vercoutter, J., (1996) « L’image du Noir en Egypte ancienne ». Bulletin de la Société française d’Egyptologie, n° 135, 1996, pp 167-174. – Walker, S., (1997) « Ancient Faces : an exibition of Mummy Portraiture at the British Museum ». Egyptian Archaeology, 10, 1997, pp 19-23. – Wilding, D., (1997) « L’image des Nubiens dans l’art égyptien ». In Soudan, Royaumes sur le Nil, catalogue de l’exposition de l’Institut du Monde Arabe, 1997, pp 144-157.

ALL’ORIGINE DELL’AFROCENTRISMO C’È CHEIK H ANTA DIOP

Cheikh Anta Diop (1929-1986) è il principale ispiratore dell’afrocentrismo e del nazionalismo culturalista nero su base razziale, che afferma il primato creativo della negritudine.

Di nazionalità senegalese, Cheikh Anta Diop era un uomo di biblioteca e un compilatore selettivo, conservando solo gli elementi che confermavano i suoi postulati, tutti rifiutati dagli specialisti di tutte le discipline interessate.

Per Cheikh Anta Diop:

“Il negro non sa che i suoi antenati (…) sono le più antiche guide dell’umanità nel mondo.

Le più antiche guide dell’umanità sulla strada della civiltà; che sono stati loro a creare l’arte, la religione (in particolare il monoteismo), la letteratura, la prima letteratura filosofica, i primi sistemi filosofici, la scrittura, le scienze esatte (fisica, matematica, meccanica, astronomia, calendario…), la medicina, l’architettura, l’agricoltura, l’arte e la cultura.[1], ecc. in un’epoca in un momento in cui il resto del mondo (Asia, Europa: Grecia, Roma…) era immerso nella barbarie”.

(Allarme ai tropici, 196, 48).

Quindi, secondo Diop, i neri hanno la precedenza in tutte le aree della storia umana.

1) Le australopitecine, l’Homo erectus e l’uomo moderno (Homo Sapiens)  erano neri. Grazie all’incrocio – con chi? -poi sono comparsi i bianchi e i gialli.

2) L’Egitto, che era “negro”, fu la madre della civiltà.

La cultura greca gli deve tutto. La civiltà europea da cui scaturisce è quindi un eredità e retaggio. Inoltre, gli antichi greci non erano altro che plagiatori.

I postulati di C.A.Diop furono esposti a partire dal 1952 nel n. 1 de La Voix de l’Afrique, l’organo studentesco dell’RDA (Rassemblement Démocratique Africain), un partito che sosteneva l’indipendenza delle colonie africane dalla Francia. L’articolo, pubblicato nel febbraio 1952 e intitolato “Verso un’ideologia politica africana”, era una sintesi della tesi che avrebbe dovuto difendere alla Sorbona nel 1951, ma che era stata respinta per l’impossibilità di formare una giuria, motivo che nascondeva i suoi colossali “errori” metodologici. Un intero gruppo si attivò immediatamente per trovare un editore e la tesi fu pubblicata in forma di libro nel 1954 con il titolo “Nations nègres et culture”, che Aimé Césaire definì nel suo “Discours sur le colonialisme” come “il libro più audace che un negro abbia mai scritto”. Nel 1960, sotto la pressione degli intellettuali africani di lingua francese, la tesi fu finalmente difesa. Tuttavia, la giuria le assegnò solo una menzione “molto onorevole”, il che significava che era “mediocre”. Un voto così squalificante significava che C.A. Diop non poteva contemplare una carriera universitaria, che poteva essere raggiunta solo con la distinzione “Très Bien avec félicitations du jury”. Tenuto fuori dal mondo accademico senegalese dal presidente Senghor, anch’egli un vero accademico, C.A. Diop è stato nominato professore all’Università di Dakar per decisione politica del presidente Abdou Diouf nel 1981. C.A. Diop ha ripreso i suoi postulati e li ha sviluppati ulteriormente, in particolare in :

– “Nations nègres et Culture: de l’antiquité nègre égyptienne aux problèmes actuels de l’Afrique noire aujourd’hui”, Présence Africaine, Parigi. Présence Africaine, Parigi, 1954 (nuove edizioni nel 1964, 1979 ecc.) – “Les fondements culturels techniques et industriels d’un futur Etat fédéral d’Afrique noire”, Présence Africaine, Parigi, 1960. – Antériorité des civilisations nègres. Mito o verità storica? Présence Africaine, Parigi, 1967. – Civilisation ou Barbarie”, Présence Africaine, Parigi 1981. La critica ai postulati di Diop è iniziata negli anni Sessanta con la potente confutazione di Raymond Mauny, seguita nel 1972 da quella di Marcel d’Hertefelt, professore di antropologia al Museo Reale di Tervuren. Per quest’ultimo: “Le tesi di C.A. Diop ci impongono di decidere una volta per tutte di ignorare ciò che l’archeologia preistorica e protostorica, l’iconografia e la critica storica dei testi antichi ci dicono sulle popolazioni del Vicino Oriente e dell’Egitto, sullo sviluppo e la diffusione dell’agricoltura e della metallurgia e sui rispettivi contributi di queste due culle di civiltà alla scienza e alla scrittura. Va detto subito che generazioni di archeologi, egittologi, sumerologi, indoeuropei, semitologi e persino africanisti sono stati ideologicamente mistificati fino a falsificare la storia culturale, finché C.A. Diop non ha scoperto la verità. Questo è davvero chiedere molto. [2] Per una critica approfondita delle tesi di Diop, vedere :

– En collaboration (2000) Afrocentrismes. L’histoire des Africains entre Egypte et Amérique, Paris. – Fauvelle, F-X., (1996) L’Afrique de Cheikh Anta Diop, histoire et idéologie., Paris. – Froment, A., (1991) « Origine et évolution de l’homme dans la pensée de Cheikh Anta Diop : une analyse critique. ». Cahiers d’Etudes africaines, 121-122, XXXI-1-2, 1991, pp 29-64. – Hertefelt, (d’) M., (1972) Eléments pour une histoire culturelle de l’Afrique. Université du Rwanda. – Lugan, B., (2023) Histoire de l’Egypte des origines à nos jours. Paris. – Mauny, R., (1960) Recension de Nations nègres de C.A.Diop, in Bulletin de l’IFAN. XXII (1960), série B/544-551). Traduction anglaise sous le titre « Nations nègres et culture. A review. In Problems in African History, London, 1968, pp 16-23.

1_[Se ci limitiamo all’agricoltura, gli afrocentristi ignorano che intorno al 5000 a.C., dalle Fiandre al Danubio, si è formata una civiltà contadina europea che utilizzava la trazione animale.
La civiltà contadina europea utilizzava la trazione animale, mentre l’Africa sud-sahariana, l’Africa nera, ha scoperto questa tecnologia solo alla fine del XIX secolo.
L’Africa nera, da parte sua, ha scoperto la trazione animale, così come la ruota, la carrucola e la coltivazione a cavallo… solo con la conquista araba e poi la colonizzazione, cioè quasi un secolo dopo l’arrivo degli arabi.
conquista e la colonizzazione, cioè quasi 6.000 anni dopo… Per quanto riguarda i tre quarti delle piante alimentari consumate
consumati oggi a sud del Sahara (mais, fagioli, manioca, patate dolci, banane, ecc.) sono di origine americana o asiatica…
origine asiatica…

http://bernardlugan.blogspot.com/

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

BALTENDEUTSCHE (tedeschi del Baltico*) (cap. 3 e 4 di 4), di Daniele Lanza

BALTENDEUTSCHE
(tedeschi del Baltico*) (cap. 3 di 4).
[visto l’interesse riscosso dalle note sulla storia di Prussia aggiungo questo in merito all’elemento germanico nel Baltico]
Abbiamo pertanto estoni e lettoni pacificati in un perenne servaggio medievale sotto i loro naturali superiori che parlano un idioma differente (hochdeutsche, pare) a prescindere dal tormentato mutamento di confini di quella che più che una mappa geografica pare uno scacchiere bellico permanente tra (1) Polonia (2) Svezia (3) Russia. E’ per secoli a tutti gli effetti una zona cuscinetto tra le parti.
Gli equilibri vengono alterati sensibilmente solo nella tarda età moderna in quanto possiamo dire che il primo 1/4 del secolo XVIII° costituisce la svolta storica nell’esistenza dei tedeschi del Baltico.
Pietro il grande vince nettamente il conflitto che conosciamo come “grande guerra del nord” (1700-1721) sui manuali : con tale vittoria (decisiva la vittoria del 1709 a Poltava nell’attuale Ucraina orientale, dove si erano incautamente spinte le armate svedesi), il neonato impero russo incorpora in blocco tutta la regione del Baltico con cui confina. Vittoria russa di grande magnitudo storica, comporta l’avanzata di tale civilizzazione verso occidente, come a “bucare” quasi il millenario isolamento dello heartland slavo/russo aprendosi con sciabole e cannoni la via fino al mare : un mare aperto, solcato da altri popoli da sempre, quasi un boccaporto del paese verso il mondo esterno.
Aldilà di considerazioni di carattere così generale, diciamo più brevemente che i popoli della Livonia (odierni lettoni ed estoni) diventano d’un tratto sudditi dell’imperatore di Russia e, assieme ad essi, la loro elite rappresentata perfettamente nell’aristocrazia del tempo.
L’aristocrazia baltica (interamente germanica) entra improvvisamente a far parte dell’insieme molto più grande che è l’aristocrazia imperiale russa (quest’ultima è un autentico macro aggregato di TUTTE le elite locali degli sterminati territori che compongono il continente russo) : la fine di tutto ? NO ! Il vero gioco inizia ora anzi………………….
L’evento geopolitico dell’annesione baltica è qualcosa di parallelo al macroscopico mutamento di prospettiva, fortemente voluto dall’imperatore : la Russia diventa (deve diventare) qualcosa di “occidentale” o almeno il più possibile. La riforme petrine cambiano il volto del paese e la sua traiettoria storica.
Nel contesto di questa nuova мировоззрения (“visone del mondo”) tutto ciò che può servire allo stato nella sua marcia per uniformarsi all’occidente è desiderato, rincoso, bene accetto.
Si verifica pertanto la seguente situazione : che la nostra piccola nobiltà baltica di stampo germanico si ritrova come elevata al di sopra del proprio eterno ruolo egemone (di provincia) per esser proiettata in un meccanismo infinitamente più grande e complesso che regolerà l’esistenza di uno stato-continente come la Russia imperiale. L’aristocrazia balto-germanica è l’unica consistente elite di stampo occidentale che sia al tempo stesso suddita del sovrano di Russia : essa diviene pertanto per molti versi un modello VIVENTE di quella direzione in cui dovrebbe incamminarsi l’intero paese nella sua rivoluzione dello spirito (…).
I nobili del Baltico di antica ascendenza tedesca si risvegliano letteralmente alle soglie del 1700, strappati alle proprie secolari prerogative locali ed inseriti in un differente genere di “gioco” di ordine di grandezza che rende insignificante il sonnolento vivere quotidiano della piccola provincia baltica : essi incarnano ora, loro malgrado, il PRISMA attraverso il quale la Russia scruta ed intepreta il modo “altro” da sè (l’occidente)……tale ruolo chiave nell’insondabile processo di metamorfosi identitaria che caratterizza l’esistenza di un paese che dal Baltico arriva al Pacifico, trasfigura anche la stessa aristocrazia baltica, che da strato nobiliare locale si ritrova in un ruolo via via dilatato , diventando a tutti gli effetti un segmento di lusso dell’aristocrazia imperiale russa tra il XVIII° e XIX° secolo.
L’estrema vicinanza della nuova capitale (San Pietroburgo) al loro abitato atavico ne facilita la presenza e la diffusione nei gangli del potere. Tra il 1710 ed il 1880 godono di un’autonomia senza paragoni nel contesto dell’amministrazione dell’impero (Caterina II faciliterà ulteriormente il processo), seguitando a controllare la loro base nativa nel Baltico quanto ricoprendo incarichi ancor più importanti : alla metà dell’800 quasi la metà dei governatori delle “gubernje” che compongono l’impero portano un cognome tedesco. Nella capitale la lingua tedesca è indispensabile per tutte le portinerie (assieme a russo e polacco).
La stessa dinastia regnante Romanov è in realtà genealogicamente tedesca per 7/10……..
(continua)
 
BALTENDEUTSCHE
(tedeschi del Baltico*) (cap. 4 di 4).
[visto l’interesse riscosso dalle note sulla storia di Prussia aggiungo questo in merito all’elemento germanico nel Baltico]
Pieno 19° secolo, porta dell’età contemporanea. La popolazione tedesca del Baltico conta percentuali minuscole, ma preziose : all’incirca il 5-6% della popolazione di Lettonia ed Estonia al tempo del primo censimento imperiale (1897), concentrati soprattutto nei centri cittadini dove raggiungono anche un 1/10 delle anime. Molti se si considera che il nerbo delle professioni liberali e o che richiedono istruzione…buona parte della media borghesia dell’intero paese è costituita da loro, nonchè la totalità dell’aristocrazia : quest’ultima detiene il 50% di tutte le terre utili presenti sul Baltico. Fin qui ordinario in tutte le aristocrazie più conservatrici nell’Europa del tempo.
Oltre a tutto ciò tuttavia, L’aristorazia balto-germanica è anche divenuta il fiore all’occhiello dell’impero russo nella sua totalità dal momento che le circostanze storiche hanno determinato il paradosso : anzichè slavizzare le elite del Baltico, accade l’esatto opposto, ovvero che l’impero si fa “germanizzare” da esse (suonerà inaudito per la sensibilità nazionalista/rivoluzionaria che verrà).
Sarà per l’appunto la contemporaneità a estinguere tale gruppo sociale. A differenza di quanto enfatizzato da più parti NON è l’Unione Sovietica a liquidare questo segmento della società, quanto una spinta nazionalistica decisamente anteriore : a partire dagli ultimi decenni del 19° secolo l’età dei nazionalismi è sorgente di crescente resisteza da parte di una massa nativa oramai consapevole e cosciente del proprio status, nonchè in generale in Russia di insofferenza nei confronti di un elemento sempre più percepito come estraneo secondo il metro dell’identitarismo etnico che vuole un ritorno alla origini più incontaminate dello stato russo (una chiave di lettura della rivoluzione d’ottobre è quella nazionalista/primitivista, che strappa il paese alla collocazione “occidentale” che gli si è voluto imprimere dai tempi di Pietro il grande per riportarlo, tramite il socialismo, su un sentiero maggiormente autoctono e adatto alla psiche slavo orientale.. Ritornare alle origini…ritornare alla retta via. Eliminando o riducendo ai minimi termini l’elemento più alieno).
Già con la prima guerra mondiale iniziano i primi contenuti flussi mi gratori verso l’estero, che si intensificano al momento della rivoluzione : nel momento della verità (i momenti più critici della storia lo sono…) l’aristocrazia tedesca del Baltica svela il suo volto, invocando a gran voce la scissione territoriale di Estonia e Lettonia dal corpo del defunto impero russo.
In parole più grezze, accertata la conclusione storica (in realtà ancora PRIMA del conflitto tra bianchi e rossi) della loro fonte di prestigio, che il vecchio stato autocratico in fondo era, si dichiarano (primi mesi del 1918) dapprima favorevoli ad un’annessione diretta del loro Baltico all’impero del Kaiser…..successivamente ad una soluzione intermedia quale la creazione di un ducato unito del Baltico come area di influenza di Berlino.
I nazionalisti russi esageravano sulle presunte infedeltà dei tedeschi del Baltico nei confronti della madre Russia (in effetti il tedesco raramente “tradisce” anche quando soddisfatto non è…), quanto è vero che questi retroscena sono quantomai singolari (penso).
Si ha la faccia di bronzo di invocare il trattato di NYSTAD (firmato con la Svezia reale 200 anni prima, ai tempi di Pietro il grande !), come base LEGALE per pretendere un’indipendenza dall’impero.
I bolscevichi (tanto patrioti quanto i bianchi, consapevolmente o meno) seduta stante ne fanno arrestare a migliaia e rilasciati solo dopo Brest Litovsk.
A questo punto diventa esodo vero e proprio, che nel periodo tra le 2 guerre mondiali rapidamente abbassa la densità della popolazione tedesca del Baltico dato che costoro dalla fine dell’impero sono ormai stretti tra 2 fuochi : da oriente uno stato socialista e rivoluzionario che ne odia anche solo il ricordo, qual reminiscenza dello zarismo più reazionario e “straniero” “non-nazionale”…….dall’altro, letteralmente nel cortile di casa propria, un’ondata etno-nazionalista, ora di massa, di estoni e lettoni, determinata a privarli dell’antico status.
Morale della situazione : gli antichi dominatori nel giro di una generazione hanno perso molto del loro potere e sono in procinto di perderlo del tutto. Nella loro culla ancestrale sono ormai visti come nemici ed ostacolo alla democrazia da nativi a lungo subordinati…….e un ritorno eventuale della Russia (ora sovietica ) sarebbe anche peggio in quanto portatrice latente di un identitarismo russo (popolare, democratico o come preferite) determinato ad eradicarne sistematicamente la reazionaria presenza.
Nonostante negli anni 30 rappresentino ANCORA una potenza culturale sul territorio (scuole, organizzazione, etc.) molti dei superstiti si decidono per il passo finale : il patto Von Ribbentrop- Molotov prevede nelle sue clausole uno spostamento di popolazioni che coinvolge proprio loro, i tedeschi del Baltico come elemento che DEVE rientrare nella grande patria del REICH.
Dopo questo, il 90% del balto-germanici ha oramai lasciato Lettonia ed Estonia (ora sovietiche e russizzate col tempo da Stalin) : i restanti finiranno per lasciare precipitosamente i loro manieri a seguito del sisma bellico che a poco verrà. Quando Stalin nel dopoguerra vorrà far piazza pulita dei rimasti scoprirà che ne sono rimasti ben pochi…………
Come detto questo gruppo sociale, residuo di un passato remotissimo e medievale è vittima non tanto dei sovietici, quanto della nuova era, quella delle ideologie : l’ideologia identitaria e nazionalista opera come uno schiacciasassi dell’identità, un’energia che uniforma tutto e tutti, annientando interi microuniversi dell’identità come quello dei nostri simpatici (sì ?) amici del Baltico……
Se l’assenza di ideologia dell’identità aveva permesso loro di prosperare per 7 secoli in territorio estraneo, sono bastati 30/40 anni nell’ideologico XX° secolo per comprimerne la presenza al quasi zero percentuale. Massima parte è ritornata nella Germania (stato che non aveva mai visto prima).
I loro manieri sono oggi hotel lussuosi e ben tenuti sulle rive di fiumi e laghi, dove si passa l’estate…….

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Il realismo negletto_con Gennaro Scala

L’Italia, a dispetto della sua condizione politica in epoca moderna e in gran parte di quella contemporanea, si è comunque distinta nei vari ambiti della cultura, compresa la teoria politica. Uno spazio particolare è stato occupato dal realismo politico seguendo però quest’ultimo un percorso, pur a fasi alterne, di una progressiva dissociazione dall’azione concreta degli esponenti politici. Con Gennaro Scala ci avventuriamo in una breve carrellata che parte da Dante, la figura di maggior interesse coltivato dall’autore, per passare con brevi accenni a Machiavelli e al gruppo di teorici realisti, a cavallo tra ‘800 e ‘900, Mosca, Pareto, Ferrero, Michels. Questi ultimi, ben conosciuti all’estero, quasi del tutto rimossi dal dibattito politico-culturale italiano sviluppatosi dal secondo dopoguerra per ovvie, ma sconsolanti ragioni. Una delle rare figure riuscite a emergere in questa fase decadente è stata Gramsci, ma al prezzo del progressivo disconoscimento del ruolo della coercizione nella funzione egemonica riconosciuta agli apparati e alle leadership. Una rimozione che ha aperto praterie a movimenti ed organizzazioni, tra queste Podemos e M5S, considerate innovatrici, in realtà tasselli terminali di un ciclo decadente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

NB _ In calce alla conversazione un saggio di Gennaro Scala su Dante e la figura di Ulisse nella Commedia

https://rumble.com/v2psxkm-il-realismo-negletto-con-gennaro-scala.html

Il folle volo in Occidente. La tragicommedia di Ulisse (I parte)

“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente…”

Per quale motivo Dante colloca l’invettiva contro Firenze all’inizio del Canto XXVI dell’Inferno, qual è il suo rapporto con la parte dedicata ad Ulisse? Considerata l’attenzione di Dante per questi particolari, pensiamo solo alla teoria politica dei due soli posta esattamente al centro della Commedia (Pur. XVI), non può essere casuale che la più dura invettiva contro Firenze sia collocata all’inizio del «canto di Ulisse». Partiremo con questo interrogativo, che mi è servito da orientamento nella labirintica creazione dantesca in cui, tra le figure memorabili della Commedia, si staglia quella di Ulisse, cercando di capire meglio il significato dell’invettiva:

Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ’nferno tuo nome si spande!

Com’è noto, i versi richiamano la targa del Palazzo del Capitano del Popolo (Bargello), fatto costruire nel 1255 dal «Governo del primo popolo», in seguito alla sconfitta dei cavalieri ghibelllini. Un passo dell’iscrizione ricalcava quasi alla lettera i versi della Pharsalia di Lucano riguardanti la potenza romana: «que mare, que terras, que totum possidet orbem».

Dante, appartenente all’Arte dei medici e degli speziali (fra le Arti maggiori) fu uno dei sei priori, la massima carica nel governo detto del Secondo popolo di Giano della Bella, che istituì gli Ordinamenti di giustizia che escludevano dal governo della città i “magnati” appartenenti alle grandi famiglie. Gli anni che vanno dal Governo del primo popolo fino alla fine del secolo furono di grandi trasformazioni, videro il rapido ingrandimento della città e il sorgere di una proto-borghesia composta soprattutto da grandi mercanti e imprenditori appartenenti alle Arti maggiori, e artigiani appartenenti alle Arti minori, la «gente nova» dai «subiti guadagni».

Firenze era diventata una delle più potenti città europee, se non la più popolosa (seconda solo a Parigi), sicuramente la più «dinamica» sul piano economico, come si direbbe oggi. Il «maladetto fiore» stava per diventare in quegli anni la moneta dominante nell’Europa del tempo. Scriveva Francesco Buti, commentatore della Commedia del 1300: «erano allora i Fiorentini sparti molto fuor di Fiorenza per diverse parti del mondo, ed erano in mare e in terra, di che forse li fiorentini se ne gloriavano». Forse ispirata da Brunetto Latini, il maestro di Dante (che ritroverà nell’Inferno), la targa esternava la volontà di potenza dei fiorentini.

Secondo Elisa Brilli, Dante in prima persona, quale voce narrante e non personaggio della Commedia «parodiando la retorica romaneggiante dell’iscrizione ufficiale, attacca non la Firenze contemporanea o del recente passato, bensì quella del Primo Popolo e le sue velleità imperialiste, qui capovolte nell’impero ernale» 1. Il lavoro della Brilli su Dante e Firenze è di grande interesse, però a me pare un’eccessiva sottigliezza circoscrivere il sarcasmo dell’invettiva alla Firenze del Primo Popolo, esso è diretto alla nuova Firenze nel suo complesso sorta nella seconda metà del XIII secolo. Lo spirito dell’iscrizione del Bargello è risibile poiché Firenze si atteggiava a nuova Roma, perché aveva affari dappertutto, ma nella corruzione che manifestava, nella brama di ricchezza, nella cupidigia che la muoveva per il mondo, non era possibile riscontrare nessuna manifestazione della virtù romana.

Dante verrà poi esiliato da Firenze dopo la sconfitta dei guelfi bianchi, a cui apparteneva, da parte dei guelfi neri, in seguito alle trame di Bonifacio VIII che portarono all’ingresso in Firenze delle truppe di Carlo di Valois. Probabilmente in gioventù avrà guardato con altri occhi alla targa del Bargello, nel Convivio scriveva: «Poi che fu piacere de li cittadini de la bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno» (Convivio, I, 3). La nota amaramente ironica di queste parole nell’invettiva si trasformava in sarcasmo già di per sé esaustivo riguardo al paragonarsi di Firenze a Roma, che diventerà piuttosto un’anti-Roma. Dante rovescerà il giudizio di Agostino su Roma, la cui «sementa santa», (Inferno XV, 76) sembrava del tutto scomparsa a Firenze che infine diventerà l’agostiniana civitas diaboli, la mala pianta di Lucifero (Paradiso, IX, 129).

Nella contrapposizione tra Roma e Firenze vi è una premonizione della differenza tra l’imperialismo che poi sarà proprio di tutte le nazioni europee e la civiltà romana, che, come tutte le civiltà che nella storia hanno acquisito una forma stabile, non si muove disordinatamente, non sbatte di qua e di là le ali per il mondo al fine di accrescere la propria ricchezza, identificandola illusoriamente con la potenza, ma si muove, come l’Aquila imperiale, in modo rettilineo, acquisendo contiguamente e sussumendo nel proprio sistema i territori conquistati. L’espansionismo fiorentino è spinto invece dalla cupidigia di ricchezze (capitalismo), una definizione che precorre quella marxista di imperialismo.

L’invettiva profetizza la fine di Firenze:

Ma se presso al mattin del ver si sogna,
tu sentirai, di qua da picciol tempo,
di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna.
E se già fosse, non saria per tempo.
Così foss’ ei, da che pur esser dee!
ché più mi graverà, com’ più m’attempo.

Pur non avendo trovato nessun commento che lo rilevi, a me pare proprio che Dante nel profetizzare la distruzione di Firenze da parte delle città vicine, se non dalla stessa Prato, abbia in mente quel passo di Tito Livio secondo cui Roma crebbe sulla distruzione di Alba2. È da Livio che è tratta (Purgatorio, VI) la descrizione del passaggio dell’Aquila da Alba, dove aveva dimorato per trecento anni, a Roma. Corsi e ricorsi storici. Come avvenne tra le due antiche città, Firenze sarà distrutta da una delle città vicine, che alla prima occasione metterà fine al suo «volo», già dimostratosi privo del favore della Provvidenza. Con la venuta di Arrigo VII e il ritorno dell’ordine imperiale, Prato, che aveva già dimostrato la sua insofferenza verso Firenze con la cacciata dei neri nell’Aprile del 1309, potrebbe prendersi la sua rivincita. Avendo ciò presente, tale profezia, ancor oggi considerata in parte oscura3, acquisirebbe un significato più preciso, comunque nel senso intelligibile della stessa se ne deduce che Firenze sarà portata alla rovina dalle città vicine, se non dalla piccola Prato, da qualche altra città più grande. Firenze non è Roma. In analogia, con quanto era avvenuto tra Alba e Roma, Firenze, patria di ladroni, ormai con-dannata, andrà incontro alla sua fine. Se la Provvidenza vuole che ciò accada che accada presto. Così la storia potrà indirizzarsi su un cammino più virtuoso, come avvenne con Roma. Arrigo VII morì invece nel 1313 durante la sua discesa in Italia prima di attaccare Firenze e senza riportare «l’ordine imperiale».

L’Aquila, che per lungo tempo si posò su Roma, si muove secondo un disegno provvidenziale, magari non intellegibile a tutti ma presente (Paradiso, VI), il volatile fiorentino spinto dalla cupidigia di ricchezze svolazza disordinatamente per il mondo, per mare e per terra, assomiglia al «folle volo» di Ulisse.

Com’è noto, l’Ulisse dantesco con l’Ulisse omerico non ha un rapporto diretto. Dante non conosceva l’Odissea, le sue fonti sono quelle classiche romane e latine, in primo luogo Virgilio, nonché Cicerone, Orazio, Ovidio, Agostino, Orosio. Ulisse si trova condannato nell’Inferno nel girone dei consiglieri fraudolenti in qualità di «scelerum inventor» e «fandi fictor» , inventore di scelleratezze e dai falsi discorsi, per il celebre inganno del cavallo di Troia, e per il furto della statua di Pallade protrettrice di Troia (Virgilio, Eneide), per l’inganno ai danni di Deidamia (in questo caso la fonte è l’Achilleide di Stazio) che ancora si duole nel Limbo per Achille.

Si ispirò invece alla letteratura medievale su Alessandro Magno nella parte in cui Ulisse narra di se stesso e delle vicende dopo la sconfitta di Troia e la dipartita da Circe che lo portarono a peregrinare per il mediterraneo, fino alla vicenda conclusiva. Nessuno crea nulla dal nulla, queste vesti classiche hanno un loro significato, come vedremo, ma Ulisse è una creazione dantesca ed è una figura che sentiamo come la più moderna dell’intero poema, anzi taluni ci vedono un archetipo dell’uomo moderno.

L’Ulisse di Dante è stato interpretato nel corso dei secoli in molteplici e opposti modi. Nel dopoguerra la «letteratura dantesca», con la crescita delle università, ha raggiunto dimensioni vertiginose. Impossibile tener conto dell’insieme di essa, mi sono limitato quindi ai testi con cui ho ritenuto aver raggiunto un’immagine coerente del personaggio dantesco, seguendo delle mie tracce di lettura. Credo scherzi fino ad un certo punto il «filologo complottista» Francesco Benozzo quando fissa4 un limite al 5 per mille degli interi scritti su Dante che un singolo individuo può arrivare a consultare. Preciso che quanto segue non è un lavoro di carattere filologico, ma estetico-filosofico. Non voglio proclamare l’inutilità della filologia, che mi è stata di molto aiuto nel tentativo di avvicinarmi al personaggio dantesco, né credo che ciò intenda Benozzi da filologo, tuttavia non si può non rilevare, che tutta questa «letteratura» pur essendo sovente utile per questioni specifiche, lascia nel complesso insoddisfatti, essendo davvero pochi coloro, almeno nel «campione» da me consultato, che non si occupino solo di «pezzi di Dante», che non trattino solo della questione specifica, ed è difficile quindi non pensare che la «critica dantesca» sia una sorta di vivisezione, per dirla con Benozzo, oppure la dissezione di un cadavere. Pare che Dante abbia oggi poco da dirci, e che, ora, il suo cadavere intellettuale sia pertinenza esclusiva degli «specialisti», oppure possa essere oggetto solo di vuote e stanche celebrazioni.

Cominciamo da Ulisse quale navigatore. Francesco De Sanctis intravvedeva in Ulisse il moderno navigatore, una premonizione dei viaggi che di lì a qualche secolo avrebbero cambiato radicalmente la conoscenza e il rapporto che abbiamo con la Terra. A tale intuizione Bruno Nardi aggiunse la notizia dei fratelli Vivaldi, salpati da Genova nel maggio del 1291 con l’intenzione di raggiungere le Indie via mare, poi scomparsi in luogo ignoto delle coste africane. Recentemente la tesi è stata ripresa e sviluppata da Sergio Cristaldi: «Se ha convocato l’eroe greco è anche per affrontare, in maniera trasposta, un enigma recente e fosco; a costo di manipolare il mito, di avvicinarlo il più possibile alla propria moderna condizione, alle ambizioni e alle sconfitte che la segnavano»5 . L’enigma è quello della morte dei fratelli Vivaldi. Come scrive Cristaldi, è molto probabile che Dante conoscesse la vicenda dei due fratelli che aveva suscitato clamore tanto a Genova, e che doveva aver fatto notizia anche a Firenze, che allora mirava ad un’alleanza con Genova, in opposizione a Pisa, concorrendo a creare nella mente dantesca la figura, in modo più o meno consapevole, non lo possiamo sapere, è probabile, visto l’interrogativo sulla morte di Ulisse, che potrebbe rispecchiare un analogo interrogativo diffuso allora tra Genova e Firenze.

Ulisse quale simbolico precursore delle grandi navigazioni, già iniziate in quegli anni è lettura suggestiva, ma diventa riduttiva se volesse esaurire la poliedrica figura. Infatti, «perché Ulisse e non direttamente i fratelli Vivaldi? Le risposte a disposizione indicano la convenienza dell’aggancio a un personaggio fittizio semanticamente denso, già implicato in una serie di opposizioni esemplari – Ulisse-Enea, greco-troiano, folle-savio, callidus-pius –, e rilevano ancora la disponibilità di un simile profilo a ricevere significati ulteriori, legati all’attualità di Dante»6. Queste «significazioni ulteriori» non possono essere tralasciate, se vogliamo avvicinarci al personaggio dantesco.

Di grande interesse la ricerca di D’Arco Silvio Avalle, il quale rimanda alla letteratura medievale intorno alla figura di Alessandro Magno, per quanto riguarda l’oltrepassamento delle Colonne d’Ercole e morte di Ulisse (ciò che differenzia il personaggio dantesco dall’Ulisse omerico), adducendo numerosi riscontri tra il testo dantesco e i testi letterari medievali7, in particolare con l’Alessandreide di Gualtiero di Châtillon e El libro de Alexandre, quest’ultimo, secondo Avalle, quasi sicuramente non conosciuto da Dante, ma rispetto al quale vi sono sorprendenti coincidenze verbali. Oltre alla ripresa l’antico topos narrativo del superamento delle Colonne D’Ercole, vi sono altre rilevanti analogie nella descrizione della dismisura di Alessandro, che come vedremo, è intrinseca al personaggio dantesco. Al di là degli aspetti filologico-letterari, indubbiamente interessanti, il lato alessandrino di Ulisse, per così dire, ha significato ulteriore se collocato nella teologia della storia dantesca, se riferito a quel passo della Monarchia in cui si afferma la non provvidenzialità del tentativo alessandrino di conquistare il mondo che aveva dovuto cedere il passo ai romani. Non solo i viaggi marittimi, e in generale la rinascita e l’espansione dei commerci nel Mediterraneo, stavano avendo un profondo impatto sulla cultura cristiana medievale. Non è da sottovalutare l’impatto sul piano culturale della riscoperta della cultura greca. Per questo, la grecità di Ulisse ha un suo significato.

Ulisse modernissimo precursore dei viaggi marittimi oppure Ulisse sosia di Alessandro Magno? Già l’eroe omerico è politropo, e in diversi e contrastanti modi l’avevano interpretato Virgilio, Orazio, Cicerone, Stazio. Dai classici Dante avrà tratto l’abilità ingannatrice di Ulisse nell’assumere diversi volti, intanto è da sottolineare la compresenza in esso di nuovo e antico.

Se per Orazio Ulisse è «simbolo di ciò che possono virtù e saggezza»8, più articolato è il giudizio di Cicerone9: dell’ardore di conoscenza, dote naturale dell’essere umano, fu espressione Ulisse, ma in lui tale passione fu superiore all’amore per la patria, per cui il desiderio di conoscere ogni cosa, e non ciò che davvero conta, diventava mera curiositas. Giorgio Padoan nel suo saggio Il saggio Enea e l’empio Ulisse osserva che per la contrapposizione fra Enea e Ulisse nel complesso la cultura romana considerava negativamente l’eroe greco, e parimenti Dante riprende nel Canto tale contrapposizione: il viaggio del primo si conclude nella fondazione di una patria, il secondo nel naufragio. Padoan, ritrova nell’Achilleide di Stazio maggiormente che nell’Eneide, la descrizione delle capacità retoriche, l’abilità ingannatrice attraverso il discorso di Ulisse: «Anche questa volta, come sempre, Ulisse ha detto le verità più sacrosante e solenni per indurre ad un’azione non giusta»10. Però in questo caso Ulisse, oltre a ingannare i compagni, avrebbe ingannato se stesso, quindi in qualche modo sarebbe un inganno non consapevole, quindi non un vero e proprio inganno. Ma non v’è dubbio sulla condanna di Dante, nonostante che la «lettura prometeica» abbia voluto rovesciare il giudizio dantesco. Il prometeismo  di De Sanctis e Croce, in Bruno Nardi, il più grande studioso di Dante, diventava decadentismo luciferino, a detta del suo avversario teorico Mario Fubini, con allusione alle convinzioni filosofiche-politiche di Nardi. Fubini era pur tra coloro che intendevano assolvere Ulisse, ma più pacatamente, «senza porlo in contrasto con l’orizzonte etico-religioso della Commedia»11. Costanzo Preve con le parole di Bobby Solo sunteggiava un certo heideggerismo quale ideologia della depressione europea, oggi che «non c’è più niente da fare, è stato bello sognare», non c’è più spazio per gli slanci prometeici dopo la fine della centralità europea, dopo guerre mondiali, bombe atomiche, crollo della «fede nel progresso», fallimento delle principali ideologie. Del prometeismo otto-noventesco è rimasta solo l’immagine generica e senza precisi contorni di un «Ulisse eroe della scienza», diventata quasi luogo comune, che è esattamente il contrario di quanto voleva dirci Dante con il suo Ulisse.

Certo, la lettura prometeica faceva violenza al personaggio dantesco, ma Dante gli aveva pur messo in bocca le sue più profonde convinzioni. Essa ha avuto se non altro il merito di promuovere una lettura più complessa rispetto all’attestazione della pura e semplice condanna da parte di Dante (come per altri personaggi, ad es. De Sanctis si interessò maggiormente a Francesca). Lo stesso Padoan riconosce che si tratta di uno dei personaggi «particolari» dell’Inferno, ovvero quei personaggi come Francesca o Farinata verso i quali Dante mostra un’affezione particolare, nonostante la condanna.

Per quanto riguarda Ulisse quale incarnazione della curiositas, che da Cicerone passava per la squalifica cristiana della conoscenza meramente terrena, essa è pur presente nel Canto come indicato dalla forte curiosità espressa da Dante personaggio della Commedia nel voler sapere di Ulisse. Tuttavia è piuttosto riduttivo liquidare Ulisse quale incarnazione della sola curiositasexemplum negativo rispetto a chi come Enea aveva in mente solo Dio, Patria, Famiglia. Dante condanna la curiositas quando è fine a sé stessa, ma di per sé la curiosità fa parte del desiderio naturale di conoscenza, che non condanna affatto, che anzi in quanto dotazione naturale ha una sua ragion d’essere («la natura non fa nulla invano», ripete nel Convivio, con Aristotele). La curiosità, o il desiderio naturale di conoscere fa parte dell’essere umano, ma può avere effetti diversi e opposti, secondo come viene indirizzata.

Il desiderio naturale di sapere ci conduce al tema centrale del Canto: la conoscenza. Ulisse ha il doppio volto della vita attiva e della vita contemplativa. La prima, in quanto incarna il navigatore, scopritore e conquistatore, la seconda in quanto incarna il desiderio naturale che può trasformarsi in cupidigia di conoscenza. Due volti di un’unica prassi umana, in quanto si contempla in vista dell’agire (Monarchia I, 3, 4). Il principio vale anche per Ulisse, nonostante trapasserà il segno, sia nell’azione che nella conoscenza.

Dicevamo, Ulisse è allo stesso tempo moderno e antico, e in quanto tale è espressione di quella cultura greca, la cui riscoperta a partire dalla prime traduzioni dei testi di Aristotele stava avendo un impatto profondo sulla cultura a lui contemporanea e a Dante stesso, ma vista, allo stesso tempo, con gli occhi di Virgilio, il quale nel noto passo del’Eneide (VI, 847-850), pur lodando le capacità artistiche e l’arte oratoria dei Greci, ricorda che il talento dei romani dovrà essere quello del governo dei popoli. Ciò rispecchia il giudizio ambivalente dei romani nei confronti dei greci, della cui civiltà furono allo stesso tempo vincitori e realizzatori (Graecia capta ferum victorem cepit), dato il disfacimento prematuro della civiltà greca, seguito all’imperial overstretch di Alessandro Magno. Solo con le arti dello spergiuro e ingannatore Sinone i Greci riuscirono a vincere Troia (Eneide, II). A sua volta condannato da Dante tra i falsari di parola (erno, XXX) «Secondo il τόπος letterario diffusissimo sin dalla latinità: i Greci sono gente superba, crudele e nefanda (cfr. Inferno, XXVIII, 84)»12.

Ricordiamo, ci deve essere rapporto tra l’invettiva contro Firenze e il resto del canto. Firenze che «per mare e per terra batte l’ali» ci rimanda al folle vole di Ulisse, contrapposti al volo dell’Aquila descritto nel paradiso. Per Dante la storia è stata segnata dal peccato di Adamo, risanato dalla morte di Cristo, e per questo fu provvidenziale l’Impero romano, la cui affermazione, nella ordalia dei popoli per il dominio mondiale, fu espressione del volere divino, in quanto lì doveva nascere Gesù e lì essere ucciso per rimediare al peccato originale. O, diremmo, metterci una pezza (se il termine non suonasse irrispettoso), poiché il sacrificio di Cristo, a causa della natura umana che restava corrotta, fu presto infirmato involontariamente da Costantino che con la sua donazione riportò il disordine nel mondo, dando il potere temporale alla Chiesa, provocando una confusione tra potere temporale e potere religioso che fu l’origine dei mali successivi.

Dante cerca di comprendere il suo tempo attraverso categorie teologiche e mitologiche (anch’esse sono una forma di sapere), ad es. la lettura dell’Eneide come storia vera, comune ai suoi tempi. Nonostante l’allora limitata conoscenza dell’antichità, Dante aveva un robusto senso della storia. Avvertiva (e a ragione, con il senno di poi) di vivere un’epoca nuova e cercava di decifrarla all’interno di una idea complessiva della storia, con le categorie che aveva a disposizione. È significativa l’associazione tra Firenze e Ulisse (quale simbolo della cultura greca, la grecità di Ulisse è rimarcata da Virgilio). Essa implicava che Firenze, e l’Italia comunale, fosse segnata dal disfavore della Provvidenza come la Grecia di Alessandro, il qual era stato ad un passo dalla conquista della monarchia universale ma aveva dovuto cedere il passo a Roma (Monarchia, II, 8). La non provvidenzialità di Firenze e dei comuni italiani era attestata dal prevalere della cupida avidità di ricchezze che avevano distrutto l’armonia sociale della Firenze dell’avo Cacciaguida. Il giudizio si estendeva all’intera civiltà comunale italiana. e ai suoi ferocissimi e incomponibili odi tra città e fazioni all’interno delle città, di cui il Conte Ugolino è indimenticabile rappresentazione, fino alle lotte di potere tra papato e impero, dovute alla cupidigia dei papi . Dante riserva a Firenze le migliori invettive, ma non scherzano neanche quelle rivolte alle altre città. Firenze era con-dannata e con lei l’intera civiltà comunale.

Vi deve essere un rapporto tra la condanna di Ulisse e la condanna di Firenze. L’orazion picciola di Ulisse è solo un utilizzo fraudolentemente retorico di un ideale sacrosanto, come sostiene Padoan? «Alle parole di un greco non è da prestar fiducia (“timeo Danaos et dona ferentis… ”): presteremo fiducia a quelle di Ulisse, quando sappiamo che dietro il suo discorso può celarsi il sorriso dolcissimo di Gerione?»13. Greco era anche Aristotele, e l’orazion picciola, chiama in causa lo stesso Aristotele, come vedremo tra un po’, ma basti per ora ricordare l’inizio del Convivio che richiama l’inizio della Metafisica: «Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere».

Come sappiamo la ragione senza la fede non è un viatico sufficiente per il cammino verso la salvezza, per questo Aristotele è nel sommo del Limbo e per questo Virgilio deve cedere il passo a Beatrice. L’insufficienza della ragione aristotelica però non implica una condanna (una negazione, in termini filosofici) come vorrebbe la sua associazione con Ulisse.

In che misura il discorso di Ulisse riguarda lo stesso Aristotele?
Poiché tale questione nella critica dantesca è pochissimo affrontata, per quanto io ne so, ho dovuto tentare personalmente una risposta. Solo Maria Corti affronta incidentalmente il problema, e Massimo Cacciari vi accenna in una conferenza, sostenendo che Ulisse incarna l’Aristotele physicus, senza l’Etica e la Politica, cioè l’averroismo.

Con Ulisse Dante prende le distanze dalla filosofia del Convivio. Secondo Cicerone le sirene attraevano i viaggiatori con la promessa di conoscenza14. Una «serena» di queste aveva già svelato in sogno a Dante in tutta la sua laidezza (Purgatorio, XIX). Beatrice al loro (re)incontro (Purgatorio, XXX e XXXI) muove a Dante, con dure parole, il rimprovero di non aver resistito in gioventù al canto delle sirene. Nella reprimenda iniziata nel canto precedente, non rivolgendosi di persona a Dante, Beatrice gli riconosce la grazia divina dell’ingegno che ha avuto in dono da Dio, ma è sprecato se virtù nol guida, si finisce per seguire false immagini di bene (Pur. XXX). Ben a ragione Dante doveva quindi «raffrenar l’ingegno» prima di incontrare Ulisse. Infine, Beatrice fa molto cristianamente sentire in colpa Dante, ricordando che lei si è recata fino all’inferno per poterlo salvare (ma si direbbe quasi che sia morta proprio per poi effettuare questo salvataggio), ma lui invece non appena morta, si diede altrui, ovvero alla donna gentile della Vita nuova, la Filosofia.

Se teniamo presente, in base a quanto sopra, che consapevolmente Dante rappresenta in Ulisse una parte di se stesso, possiamo apprezzare la sublime ironia con cui Dante insiste sulla sua stessa curiosità nei confronti di Ulisse. È la stessa ironia a cui tutti siamo inclini verso i comportamenti giovanili da scavezzacollo (per la curiosità Dante si protende verso le figure fiammeggianti giù nella valle e rischia di cascare giù dal costone di roccia dove è giunto con Virgilio), rafforzata dall’insistenza fanciullesca nel voler parlare ad Ulisse, ed espressa fanciullescamente nei confronti di Virgilio (Maestro, assai ten priego/. E ripriego, che il priego vaglia mille»). E curiosi sono soprattutto i fanciulli per Cicerone15. Pericolo filosofico quello in cui incorre(va) Dante, ma con rischi non meno gravi del rompersi l’osso del collo, poiché, quando si intraprende un viaggio di conoscenza, il rischio è di smarrirsi (nella selva), finire nella follia, e incorrere nella rovina individuale. O, per dirlo con metafora nautica, perdere la rotta e affondare, come Ulisse. È un’ironia che possiamo permetterci solo quando siamo certi di esser usciti fuor dal pelago a la riva.

Di preciso cosa Dante del Convivio riteneva fosse frutto degli «errori di gioventù»?

Maria Corti, con l’espressione «felicità mentale» indicava la riscoperta dell’ideale dell’eudemonismo intellettuale aristotelico, la conoscenza quale ideale di vita che nella contemplazione raggiungeva il suo compimento e felicità ultima. In seguito alla diffusione della filosofia araba, alla riscoperta e traduzione dei testi aristotelici nel XIII secolo, e alla nascita delle prime università a Parigi, Bologna e Oxford, nasceva una cultura «laica» (cioè esterna all’ambito delle istituzioni religiose) centrata sulla ripresa dell’eudemonismo intellettuale aristotelico. Questa filosofia fu frequentata in gioventù da Dante, insieme al suo «primo amico». Un’indicazione di questi rapporti veniva dalla scoperta della dedica a Cavalcanti in una delle copie della Quaestio de Felicitate di Giacomo da Pistoia.

L’ideale della «vita contemplativa» è condiviso da Dante nel Convivio (esordio):

«la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti».

Cavalcanti, o la sua ombra, turba la coscienza di Dante, ritorna in tutta la Commedia, come scrisse Gianfranco Contini e come ha scritto più recentemente Enrico Malato. Come Ulisse, aggiungerei. Se è vero che Donna me prega è una raffinata «polemica non dichiarata»16 nei confronti di Dante, quando Guido si dichiara «fuor d’ogni fraude», possiamo immaginare a chi alludesse. Solo nel discorso di Ulisse nella Commedia troviamo il termine «canoscenza»17, utilizzato, a sua volta, da Cavalcanti nella canzone suddetta. Se questo solo termine può sembrare indizio insufficiente per scorgere ora in Ulisse il volto di Cavalcanti, si tenga presente che un analogo calco dei versi cavalcantiani è in Purgatorio XXV riguardo il «possibile intelletto», concetto strettamente connesso al contenuto dell’orazion picciola. La condanna per frode di Ulisse vuol dire ritorcere all’accusante l’accusa di frode18. Dunque l’orazion picciola sarebbe frode? La questione è complessa.

L’interpretazione di Nardi ascriveva la canzone Donna me prega a quell’averroismo radicale non dissimile all’epicureismo di coloro che «l’anima col corpo morta fanno». Boccaccio narrava nel Decamerone che Guido «alquanto tenea dell’oppinione degli epicuri, si diceva tra la gente volgare che queste sue speculazioni erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse »,. Per epicureismo, di cui è condannato Cavalcante padre, era da intendersi più che altro la negazione del dogma dell’immortalità dell’anima, in quanto « la dottrina averroistica coincideva in pratica coll’opinione d’Epicuro esso è per logica conseguenza una sostanza separata e unica per tutti gli uomini, non è più possibile parlare di sopravvivenza dell’anima individuale; individuale è certamente l’anima sensitiva, che sola è forma e perfezione del corpo; ma essa muore col corpo»19. La canzone è volutamente enigmatica, alcuni versi non sono chiarissimi tuttora neanche agli specialisti, tuttavia ciò che conta per noi è ciò che ne pensava Dante, non per la comprensione della poesia cavalcantiana, ma per la comprensione di Cavalcanti quale personaggio ombra nella Commedia, che non deve necessariamente coincidere con il personaggio reale. Cavalcanti padre è condannato nel girone degli epicurei e degli eretici, ed è abbastanza ovvio che ci sia in vece del figlio, in ogni caso, alla sua domanda perché suo figlio Guido, pari a lui per ingegno, non fosse con lui, Dante risponde «qui mi mena/forse cui Guido vostro ebbe a disdegno», cioè Beatrice20, ovvero la patrocinatrice del viaggio salvifico e simbolo della fede.

L’analisi del canto di Ulisse è uno snodo centrale nell’indagine della Corti, poiché proprio Ulisse veniva ad incarnare nei famosi versi l’ideale della «felicità mentale», in tal modo Ulisse veniva associato con l’averroismo di Cavalcanti, soprattutto per la canzone Donna me prega, ma insieme ad esso i magistri artium bolognesi, con la scoperta della dedica a Cavalcanti della Quaestio de felicitate di Giacomo da Pistoia, e con Boezio di Dacia, esponente di primo piagno dell’averroismo e aristotelismo parigino. «Cosí Dante, nel condannare una certa posizione di pensiero, ne immortala l’esistenza e il messaggio, trasformando gli intellettuali stessi in auctoritates parlanti per bocca di Ulisse»21. Ma in che misura la condanna riguardava lo stesso Aristotele?

Sorprendente è il modo in cui la Corti espone la sua interpretazione dei famosi versi:

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza

«Ma questo è Aristotele bell’e buono nell’Etica Nicomachea: il paragone con l’animal brutum, il suggerimento della operatio boni e della cognitio veri.» Nella pagina successiva, tuttavia, ci chiarisce che abbiamo capito male, no, non è Aristotele, bensì è «con gli enunciati dell’aristotelismo radicale che Ulisse arringa i suoi, non con il puro Aristotele»22. In merito rimanda alla Questio 5 dei Modi significandi di Boezio da Dacia, esponente di rilievo dell’aristotelismo radicale. Ma lo stesso concetto enunciato con le stesse parole ritorna nel De summo bono, che ugualmente Dante conosceva secondo la Corti. Secondo Tullio Gregory «la delineazione della vita philosophi nel De summo bono di Boezio di Dacia rappresenta in modo esemplare la ripresa dell’antico ideale del βίος θεωρητικός»23. E allora, forse, ci dobbiamo ricredere di nuovo, l’orazion picciola potrebbe riguardare lo stesso Aristotele, cosa oltremodo sorprendente, e difficile da credere, poiché, come scrive la Corti, Aristotele è l’autore più lodato da Dante.

L’analisi della Corti ruota intorno al raffronto tra Dante e Cavalcanti, che partiva dall’analisi di Nardi relativa all’averroismo del primo amico, estendendosi poi all’aristotelismo radicale, che veniva a confondersi con l’averroismo dei magistri parigini e bolognesi. Indagini più recenti, quali quelle raccolte nel volume Le felicità nel medioevo, hanno distinto tra l’averroismo e la filosofia dei magistri più prossima all’aristotelismo.

Gianfranco Fioravanti nel volume Le felicità nel medioevo riconosce la fecondità del concetto di «felicità mentale», «un’intuizione geniale (per paradosso tanto più geniale in quanto non sempre sostenuta da analisi e raffronti testuali pienamente convincenti)»24, che aveva poi suscitato tutto un filone di studi successivi. Fioravanti apporta però alcune distinzioni tra la filosofia dei magistri artium e l’averroismo, soprattutto per quanto riguarda la «congiunzione con le sostanze separate, ossia come piena attuazione dell’intelletto possibile da parte dell’intelletto agente, secondo la tesi attribuita ad Averroè dai suoi lettori latini del XIII secolo»25. Fioravanti osserva, «è proprio vero che il progetto dei philosophi parigini è indissolubilmente legato alla dottrina, o alla favola, della copulatio con le intelligenze separate? Il De summo bono, ad esempio non vi fa il minimo accenno; l’unica conoscenza delle cause più alte di cui si parla è una conoscenza che procede dagli enti naturali, cioè, come afferma chiaramente il testo, dagli effetti». Quanto a Sigieri, «il filosofo brabantino riconosce i limiti della conoscenza umana quando essa, a partire dalla esperienza degli enti finiti, vuole estendere le sue affermazioni alla natura ed al modo di agire del Principio Primo»26. Luca Bianchi, in un saggio contenuto nel suddetto volume, mentre ritiene vi sia una maggiore vicinanza di Sigieri ad Averroè, ritiene invece assente l’averroismo di Boezio di Dacia, dato finora per scontato. Sempre nello stesso volume, per Irene Zavattero la Quaestio de Felicitate di Giacomo da Pistoia «per la formulazione della teoria della “suprema felicità umana”, attinge soprattutto al pensiero etico aristotelico» 27. In breve, ai tempi di Dante esistevano varie forme di «felicità mentali» e vi era una differenza significativa tra l’averroismo e la filosofia dei philosophi più prossima all’aristotelismo.

Questioni a cui fa riferimento Paolo Falzone nel suo lavoro dedicato principalmente al Convivio28, e in particolare al «forte dubitare» di Dante riguardo la «scienza che qui avere si può». Può essa rendere felici visto che non può attingere ad una conoscenza diretta di Dio? Per quale motivo la natura ci avrebbe dotati di questo desiderio di conoscere se ine non possiamo conoscere Dio attraverso le nostre capacità naturali?

Secondo Falzone la soluzione di Dante, non è un’uscita «inattesa» dal problema (come ebbe a dire Étienne Gilson in Dante e la filosofia), piuttosto frutto di un ragionamento svolto con rigorosa conseguenza logica e che essa non fosse solo di Dante, ma diffusa tra i philosophi, a riprova di ciò apporta la descrizione che ne faceva Enrico di Gand che in un passo «tratteggia e riassume la tesi dei philosophi»:

«Philosophi vero ponentes finem humanae cognitionis ex puns naturalibus haberi et in vita ista ex cognitione scientiarum speculativarum et primorum principiorum quantum homini possibile est, et quod in modica cognitione divinorum consistit eius summa perfectio et delectatio, licet non possit attingere ad quidditates substantiarum separatarum et eorum quae apud illas sunt, dicerent quod homo nullum appetitum haberet sciendi illa, ex quo ex suis naturalibus ad ea pervenire non posset, ne ille appetitus esset frustra»29.

L’assenza di brama verso la conoscenza quidditativa della sostanze separate può indurre in errore nella somiglianza con l’argomentazione di Dante, ma c’è un punto decisivo che distingue Dante dai philosophi (secondo la descrizione di quest’ultimi di Enrico de Gand), la soluzione di Dante esclude anche una modica cognitione divinorum in ambito filosofico:

Onde, con ciò sia cosa che conoscere di Dio, e di certe altre cose, quello esso è, non sia possibile alla nostra natura, quello da noi naturalmente non è desiderato di sapere. E per questo è la dubitazione soluta.

Le tesi dei philosophi (con «philosophi, ossia, dobbiamo supporre, ai magistri della Facultas artium»30) sono solo in parte simili a quelle di Dante, il quale si differenzia anche dai filosofi più strettamente aristotelici, escludendo dalla filosofia anche una limitata conoscenza di Dio, luogo di un sapere esclusivamente terreno. È quanto rende effettivamente «radicale» la «soluzione» dantesca. Concordo con la definizione di Falzone, solo che è una posizione propria di Dante, diversa da quella dei philosophi.

Sostenendo che l’essere umano non può accontentarsi di «un po’ di Dio» in questa vita, Tommaso fonda la subordinazione della filosofia alla fede, in quanto esisterebbe un desiderio naturale, insito all’essere umano, di andare sempre oltre nella conoscenza che ci spinge verso l’infinito a conoscere Dio, ma tale desiderio può compiersi solo nell’altra vita e per mezzo della fede. Per Dante invece esso non fa parte della sfera naturale dell’essere umano, ma di quella soprannaturale, porlo nella sfera della conoscenza naturale vuol dire assimilare la conoscenza a quella dell’avaro che mira al «numero impossibile a giugnere». Sebbene non citato da Dante nel passo in questione, come osserva Nardi di fatto la concezione di Tommaso viene ad essere simile a quella dell’avaro descritta nel Convivio31. Ritorneremo sulla questione, importante per la definizione del concetto dantesco di cupidigia, ci basti questo per ora intendere perché in ambito filosofico è esclusa anche una conoscenza limitata di Dio, posizione che poi porterà alla netta separazione tra filosofia e fede della Monarchia.

La suddetta «soluzione» dantesca, secondo Falzone, è un «radicale naturalismo», una filosofia «assai più temibile per la fede cristiana di quanto non lo sia quella di Averroè»32. In effetti, il modo in cui Dante esce dall’impasse relativo all’inconoscibilità razionale di Dio poteva esitare in qualcosa di simile all’ateismo, ma era una strada che Dante non intendeva certo percorrere, anzi, oserei dire, a lui mentalmente preclusa. Non è da escludere che l’aver collocato Cavalcante padre, ed è ovvio che il giudizio si estendeva al figlio, poteva anche essere una netta presa di distanza, per evitare che si estendessero a Dante stesso le dicerie su Cavalcanti, riportate da Boccaccio, il quale si presume non se le fosse inventate di sana pianta, ma che fossero ancora diffuse ai tempi del Decamerone. Dante intendeva restare all’interno del cristianesimo (ma profondamente rinnovato dal suo viaggio profetico). Inoltre, l’ideale della vita contemplativa filosofica sfociava spesso un impolitico elitarismo, al limite del classismo, nel senso di una differenza ontologica tra filosofi autenticamente uomini in mezzo ai «bruti»33. Invece, nel cristianesimo tale frattura ontologica era assente. Un riflesso della preoccupazione di evitare le derive elitarie dell’eudemonismo intellettuale potrebbe essere il preciso elenco all’inizio del Convivio dei diversi ostacoli materiali alla formazione intellettuale.

Sebbene per il Dante del Convivio la «donna gentile» sia un’unione di fede e filosofia, e per quanto non metta ancora in discussione la preminenza della vita contemplativa, già si fa viva l’imprescindibile esigenza politica di Dante della fine del potere temporale dei papi, e della separazione tra potere temporale e potere spirituale, che porterà alla separazione tra fede e filosofia.

Anche Ulisse deve la sua ri-nascita ai dubbi in cui si dibatteva Dante, non meno radicale è il suo significato, come vedremo, ma in un senso più complesso di un diretto ateismo che lo conduceva fuori dal cristianesimo e dalla cultura del suo tempo.

Il trapassar del segno di Ulisse è oltrepassamento dei limiti della conoscenza umana, che invece doveva limitarsi in filosofia ad un ambito terreno (almeno nel tentativo di uscire dalle difficoltà in cui era incorso, per il resto nel Convivio vige l’unione di filosofia e fede). Il naturalismo del Convivio lo ritroviamo nella narrazione della vicenda di Ulisse. Come ben scrive Gennaro Sasso: «”Volta” la “poppa nel mattino”, dato ai remi l’impulso necessario al “folle volo”, protagonista assoluta fu, nella sua nuova e indecifrabile oggettività, la natura. Fu la forza che spinse la nave verso sinistra, nella direzione di sud-ovest. Furono le stelle rivelate dall’emergere dell’altro polo, mentre il nostro si inabissava tanto “che non sorgea fuor del marin suolo” (v. 129). Fu la luna che, accesasi cinque volte nel cielo, e altrettante spentasi, scandì, con i suoi tempi, le fasi della fatale navigazione. Fu la montagna “bruna” che, con il “turbo” che all’improvviso ne nacque, provocò, come “altrui piacque”, il tragico naufragio»34.

Una stretta identificazione di Ulisse con Boezio di Dacia, o con Cavalcanti, è restrittiva per una figura di portata universale come Ulisse. Infine è sempre  Bruno Nardi che ci restituisce l’ampiezza della visione dantesca, nel suo magnifico saggio Dante e la filosofia35. La conoscenza umana secondo Aristotele è partecipazione alla Divina Sapienza, attraverso di essa l’essere umano si avvicina a Dio, nei limiti delle sue possibilità. Un concetto che risale a Platone36 ma comune anche alla cultura biblica, compresa quella araba e cristiana, fino ad Agostino e Tommaso. In merito, cultura pagana e cultura cristiana non erano in contrapposizione. Grazie a questo «misticismo» (Nardi) che accomuna Platone e Aristotele ad Agostino e Tommaso era sempre possibile subordinare la filosofia alla fede.

E Ulisse è l’uomo che dimentico dei propri limiti umani «trapassa il segno» e vuole assimilarsi a Dio, qualificandosi come continuatore del «primo parente».

Il canto di Ulisse è il momento della negazione, è il momento del rifiuto di un’intera cultura nella quale Dante si era formato in gioventù. Come osserva Enrico Fenzi37, nell’incontro con Brunetto Latini Dante sancisce il fallimento del maestro nella formazione intellettuale di una nuova classe dirigente a Firenze. Nel Canto di Ulisse, che inizia con l’invettiva ultima e lapidaria contro Firenze, abbiamo la rottura finale con una cultura condivisa da Dante stesso, pur già con molte differenziazioni, ai tempi del Convivio.

La radicalità con cui Dante condannava la civiltà del suo tempo, ricordiamo che è un canto in cui si preconizza la distruzione di Firenze, trapassa nella radicalità della critica della cultura del suo tempo. Ulisse è figura della perdita del senso del limite umano, e dell’illusione di un completo padroneggiamento dell’uomo sul mondo attraverso il suo indiarsi.

Tuttavia Ulisse è una figura di passaggio, appartiene al momento della negazione. La condanna di Ulisse-Aristotele è un passaggio verso la separazione tra la filosofia e fede. La prima è fondamento del potere temporale, mentre la secondo riguarda l’ambito della salvezza individuale. Tale separazione assumerà forma definitiva nella Monarchia, ma il punto di partenza è nel Convivio. Alla conoscenza di Dio non si arrivava attraverso la ragione, ma attraverso la fede, mentre la ragione ha un ambito suo proprio e serve da fondamento alla felicità terrena, al cui ordinamento è preposto l’imperatore, per questo l’ideale della vita contemplativa viene condannato (negato) da Dante, in quanto commistione di fede e ragione che devono andare separate.

Sulla datazione della Monarchia, di stretta pertinenza della filologia, non posso che esprimere un’opinione, attenendomi alle questioni relative alla figura di Ulisse, è più coerente una datazione della Monarchia contemporanea o successiva alla composizione del Paradiso38. La Commedia è sembrata a tanti commentatori un ritorno ad un cristianesimo più ortodosso rispetto al Convivio perché , soprattutto l’Inferno, e in particolare il «canto di Ulisse», sono il momento della negazione. Più coerente pare l’evoluzione del pensiero dantesco se la guardiamo attraverso il modello tesi-antitesi-sintesi. Abbiamo una tesi: priorità della vita contemplativa in cui si compendiava la rinascente cultura filosofica del suo tempo. Essa viene negata attraverso la figura di Ulisse. Dopo la negazione abbiamo un movimento verso la sintesi nel Paradiso, con l’«enigmatica» presenza di Sigieri tra i Sapienti del Cielo del Sole, in vece di Averroè (sarebbe stato un po’ troppo collocarci direttamente il filosofo arabo) La lode di Sigieri fatta pronunciare da Tommaso che fu suo avversario in vita significa la conciliazione immaginaria tra contrari, ovvero intelletto possibile congiunto all’anima individuale, senza quindi negazione dell’immortalità dell’anima. Alla negazione seguirà la sintesi compiuta nella Monarchia, dove la teoria averroistica è il fondamento dell’autonomia del potere imperiale che deve realizzare la felicità terrena, creando le condizioni per il massimo dispiegamento dell’intelletto possibile, la realizzazione dell’umanità dell’essere umano. La filosofia (i philosophica documenta) è il fondamento della felicità su questa terra pertinenza del potere temporale autonomo dal potere religioso. Non a caso la Monarchia è stata opera messa all’indice dalla Chiesa Cattolica fino alla fine dell’Ottocento.

Nella Monarchia la teoria aristotelica viene recuperata, attraverso la decisiva chiarificazione del «gran commento» di Averroè, quale fondamento del potere temporale che nell’unità del genere umano deve realizzare la massima potenzialità dell’intelletto possibile. La realizzazione dell’umanità dell’uomo è un compito collettivo. Ciò riguarda la stessa teoria aristotelica, in quanto se ciò che è specifico dell’uomo è l’intelletto possibile, categoria irriducibilmente collettiva, l’essere umano può realizzare la sua umanità soltanto collettivamente, mentre l’ideale della vita contemplativa è un ideale individuale.

La Monarchia, frutto di un intero percorso, segna la storia del pensiero politico. Come scrive Giorgio Agamben, «Per questo la filosofia politica moderna non comincia col pensiero classico, che aveva fatto della contemplazione, del bios theoreticos, un’attività separata e solitaria (“esilio di un solo presso un solo”), ma solo con l’averroismo, cioè col pensiero dell’unico intelletto possibile comune a tutti gli uomini, e, segnatamente, nel punto in cui Dante, nel De monarchia, afferma l’inerire di una multitudo alla stessa potenza del pensiero»39.

La Monarchia presenta un’interessante e ancora attuale dialettica tra contemplazione e azione. Si contempla in vista dell’agire40. Teoria e azione sono solo momenti di un’unica prassi umana. Qualsiasi azione deve avere una cognizione dell’oggetto su cui vuole applicarsi. La contraddizione irrisolta in Aristotele tra vita contemplativa e vita attiva, riguarda, inoltre la contraddizione tra individuo e società, propria della condizione umana, che quando si trasforma in polarizzazione denota sempre un grave problema. Ulisse è espressione della polarizzazione individuale in cui può esitare l’esigenza insopprimibile di un’esistenza pienamente umana. Quando diventa impresa esclusivamente individuale, proprio in virtù della sua forza porta l’individuo in contrapposizione con i suoi doveri di essere umano appartenente alla società e quindi alla perdizione e alla dannazione.

Fatti non foste a vivere come bruti, d’accordo, ma come, nella sua vita, possiamo realizzare la nostra umanità, e non piuttosto ricadere in una forma di vita più simile quella delle bestie? La frode non è nell’esortazione a vivere da esseri umani, ma piuttosto nell’incapacità della filosofia di Ulisse di conseguire questo obiettivo, principalmente per il fatto che lo intende come un obiettivo personale. Considerato in termini non religiosi, il tema della salvezza investe l’essenza stessa dell’essere uomini, come può l’essere umano non smarrirsi nella vita? Realizzando la sua umanità, realizzando ciò che specificamente lo rende uomo, distinguendosi dall’animal brutum. Ma la conoscenza, capacità specifica dell’essere umano, è un’impresa collettiva, grande o piccolo che sia il contributo individuale, esso è sempre subordinato alla conoscenza collettiva che sopravvive all’individuo, basti pensare alla lingua attraverso cui accediamo al sapere collettivo che sopravvive all’individuo («intelletto possibile»). Ulisse ha smarrito la finalità terrena e umana del conoscere, che è un’impresa collettiva dell’essere umano in quanto essere sociale. A differenza di Enea egli non è alla ricerca di una terra in cui insediarsi e farne la sua patria, egli persegue un fine puramente personale («misi me per l’alto mare aperto e i suoi compagni sono strumento per questo suo fine, diventano tutt’uno con i remi fatti ali al folle volo41.

Molto interessante, dal punto di vista della storia del pensiero politico, è la tesi di Nardi42, secondo cui nella Monarchia attraverso il concetto averroistico di intelletto possibile abbiamo il recuperò della concezione comunitaria aristotelica (l’uomo come zoon politikon) in una società segnata dal peccato originale. Mi permetto di intrepretare in termini di sociologia storica. La comunità della polis, non ancora attraversata, almeno tra coloro che erano cittadini, da uno strutturale conflitto interno, poteva ancora postulare l’unità naturale tra i suoi componenti (l’uomo come zoon politikon, ma si dimentica sempre che tale uomo era il cittadino della polis). È rotta, invece, tale unità naturale, in una società più complessa, più articolata, differenziata e attraversata dai conflitti interni come era quella romana, anche nella fase conclusiva in cui visse Agostino. Il peccato originale agostiniano, e connessa necessità dello Stato, corrisponde maggiormente a questo secondo tipo di società, supper in termini mitico-religiosi. In fondo, cosa indica il mito del peccato originale, l’inevitabilità del male, cioè del conflitto tra gli uomini. La necessità della Monarchia, con a capo il monarca in cui si spengono tutti i conflitti interni, per Dante deriva dalla presenza della cupidigia, che, come vedremo, è una sorta di riedizione del peccato originale. La realizzazione della massima potenzialità dell’«intelletto possibile» è il recupero di un fine unitario nella «società di classe», se volessimo dirlo in termini moderni.

La Monarchia testimonia che Dante non abbandonerà l’ideale di una felicità terrena, di una vita pienamente umana espresso dai famosi versi, né dirà con Tommaso che è possibile realizzarlo solo nell’al di là. Certo, nell’ottica di tutto uno sviluppo del pensiero politico successivo potremmo dire che la Monarchia è segnata da un universalismo utopico, che è un’uscita utopica dalla strada senza uscita in cui si era cacciata la civiltà comunale italiana, e volendo possiamo considerare il passaggio dall’individualismo del bios therotikos all’universalismo della monarchia universale come segnato dalla furia del dileguare hegeliano nel suo capovolgimento dell’individualismo in universalismo. Tuttavia è epocale il contributo di Dante all’adeguamento e allo sviluppo del pensiero politico classico aristotelico ad una società complessa. Il fine di una vita pienamente umana viene recuperato come fine collettivo, e a ragione, poiché in quanto fine esclusivamente individuale esso non può che condurre allo scacco individuale, simboleggiato dal destino di Ulisse.

È sempre e solo questo il fine: realizzare una vita degna dell’essere umano, tanto sul piano individuale che collettivo. Bisogna ricordarlo, proprio oggi che pare smarrita ogni finalità autenticamente politica, ognuno perso nella sua «bolla individuale» scientemente gonfiata da chi manovra i «social», quando sembra una lontana illusione ogni idea di una vita autenticamente umana, ogni idea di riacquisire un controllo sull’immenso Apparato creato pur sempre dall’attività umana, quando lo smarrimento collettivo è sinistro preludio a qualche nuova tragedia che ci riserva l’Inferno del Capitale,

Già quanto detto può dare un’idea della radicalità del simbolo dantesco, che riguarda le radici della nostra cultura, ma ne potremo mostrare tutta l’ampiezza estendendo, nella prossima parte, il discorso al rapporto dell’Ulisse dantesco con la cupidigia, che la fa da padrone nell’inferno del capitale (Non a caso Marx fu un grande estimatore della Commedia).

La figura di Ulisse era stata ri-evocata da tutta una serie di questioni che ruotavano intorno all’esigenza di una filosofia terrena, fondamento della felicità terrena, fondamento dell’autonomia del potere temporale dal potere religioso, principale soluzione dei gravi disordini della società comunale. Ma Ulisse, ritornato per inabissarsi nell’oceano, continuerà ad avere vita propria quale memento al lungo e non ancora concluso oblio dell’essere umano (occidentale) dei propri limiti umani, ovvero l’auto-equiparazione dell’essere umano a Dio, ovvero l’illusione di un completo controllo sulla natura, e in quanto tale riguarda Aristotele, quanto l’aristotelismo medievale, riguarda il cristianesimo, riguarda lo stesso Dante, riguarda la scienza moderna, che si crede in opposizione alla religione ma si basa sugli stessi presupposti. Riguarda l’intera cultura europea-occidentale.
La figura da lui stesso creata turba la coscienza e i sogni di Dante. L’ombra di Ulisse lo accompagna dal primo Canto in cui viene evocata la figura del naufrago, fino all’inizio del Purgatorio dove Dante scrittore rassicura il Dante personaggio della Commedia della grazia del dono poetico-profetico, per cui «com’altrui piacque» (Purgatorio, I) ha potuto raggiungere la spiaggia del Purgatorio, a differenza di Ulisse che «com’altrui piacque» (Inferno, XXVI) giace in fondo al mare. Nel Paradiso (XXVII) Dante, prima di ascendere all’empireo con Beatrice, vede dall’alto il «varco folle Ulisse», dopo che nel canto precedente Adamo gli ha detto di essere stato cacciato dall’Eden per il «trapassar del segno» (notare: canti XXVI e XXVII), cioè voler essere come Dio. Ormai il timore che il suo stesso viaggio fosse destinato a naufragare, perché non sotto il segno della grazia, è un lontano ricordo. Ma il suo Ulisse figuralmente immortalato nell’Inferno resta lì a ricordarci che non si può trasumanar senza trapassar del segno. «Così Ulisse muore, ancora e ancora, per i peccati di Dante».43
Ulisse «eroe della conoscenza» infine riguarda la scienza moderna nata dalla stessa volontà di potenza di cui sono espressione la filosofia e la religione44. La civiltà europea-occidentale è malata alla radice. Dante l’aveva intuito, prima della filosofia contemporanea.

Emanuele Severino appartiene ai grandi della filosofia per aver dedicato l’intero suo lavoro a farci acquisire la cognizione dei gravi problemi di fondo dalla nostra civiltà, che avrebbero origine in Platone che per primo cominciò a far «uscire ed entrare le cose dal nulla»45. Purtroppo, la hegeliana marcia trionfale verso la libertà che culminava con la Germania, si rovesciava in Severino in una lunga storia di follia ed errore. Karl Löwith, grande studioso ma non della stessa portata filosofica di Severino e Heidegger, egualmente reso edotto dalla Seconda guerra mondiale dei gravi problemi di fondo della cultura europea-occidentale, rispetto ai quali auspicava «ritorno alla physis», aveva un indirizzo più ragionevole rispetto alla condanna dell’intera cultura occidentale: massimamente riteneva il naturalismo di Spinoza in contro-tendenza, e quindi Goethe quale suo grande lettore. Diversi altri hanno pensato in contro-tendenza rispetto alla volontà di potenza dominante, o in contro-tendenza con diversi indirizzi del loro stesso pensiero. Cominciando da Aristotele che, nonostante il predominio del finalismo nell’intero suo sistema, ripristina ine la priorità della physis, concetto cardine della cultura greca, espresso da Eraclito: il mondo eterno e non creato dagli dèi46. Aggiungerei Machiavelli, Marx, ma credo che in diversi altri autori ci siano elementi per rifondare su basi diverse il pensiero occidentale, ripristinando la cognizione dell’inevitabile subordinazione dell’essere umano alla Natura che lo ha generato. Tuttavia, ha ragione Cacciari, è impossibile oggi, ripristinare il senso naturale degli antichi di dipendenza dalla Natura. Va ripristinato su basi nuove. Se il passato è solo errore, impossibile diventa un diverso futuro, a cui non possiamo giungere dal nulla, ma riprendendo i «sentieri interrotti» nel passato (credo che ciò intenda Agamben scorgendo un significato filosofico nella boutade di Flaiano: faccio solo progetti per il passato). Chi più eloquentemente dell’Ulisse di Dante ci avvisa dal passato che la nostra rotta va in collisione con la Natura?

________________

NOTE

1Elisa Brilli, Firenze e il profeta, Carocci, 2012, p. 107

2«Frattanto Roma si ingrandisce sulle rovine di Alba». Tito Livio, Storia di Roma. I,30 (UTET, 1974)

3Inferno, Introduzione, cronologia, bibliografia, commento a cura di Anna Maria Chiavacci Leonardi, Mondadori, 1991. Vedi commento in merito della Chiavacci.

4Appello all’Unesco per liberare Dante dai dantisti, Edizioni dell’Orso, 2003

5Sergio Cristaldi, Il richiamo del lontano, in Lecturae Dantis. Dante oggi e letture dell’ Inferno, a cura di Sergio Cristaldi, Rivista “Le forme e la storia” n.s. IX, Rubettino 2016, p. 269

6ivi, p. 293

7D’Arco Silvio Avalle, L’ultimo viaggio di Ulisse, in Modelli semiologici nella Commedia di Dante, Bompiani, 1975

Numerose e sistematiche analogie vi sono tra l’Ulisse di Dante e i romanzi medievali «come risulta dalla frequenza dei rinvii, con l’Alexandreis di Gautier de Chatillon. Significative non solo in rapporto alla struttura delle due narrazioni, ma anche per talune coincidenze verbali che sarebbe in ogni modo malagevole spiegare come un prodotto del caso.» (p. 47) Mentre Curzio Rufo, a cui si fa L’Alessandreide, contiene già un riferimento alla «sete di conoscenza (“esuries mentis”) di Alessandro, “rex cognosendi plura cupidine accensus [re acceso dal desiderio di conoscere tutte le cose]. Tuttavia nei versi di Gautier essi si trovano per la prima volta strettamente uniti e per di più ben rilevati in posizione esordiale,

– Tua, regum maxime, virtus
-inquit – et esuries mentis […]
alla pari insomma, nonostante la diversa collocazione sintattica, di quanto avviene nel verso dantesco:

ma per seguir virtute e canoscenza »

Nell’Alessandreide c’è il tema dell’oltrepassamento delle colonne d’Ercole, ripreso da Rufo, e Alessandro viene definito. Al che Gautier si chiede quale sara il termine della fame di conquista e della sete di conoscenza di Alessandro, definendolo poi folle, «demens» (p. 53).

«Anagologie davvero soprendenti» presenta El libro de Alexandre, uno dei mag‏giori derivati dell’Alessandreide, che «quasi sicuramente Dante non ha conosciuto», in particolare, per l’appello ai compagni che da dieci anni hanno lasciato le proprie famiglie per seguirlo e la «cupidigia luciferina», di quel «folle che non conosce misura» quale Alessandro. Ma la «coincidenza verbale più straordinaria» è il passo in cui Dio dice « yol tornaré el gozo todo en amargura [io gli tornerò la gioia tutta in amarezza]» che richiama «tosto tornò la gioia in pianto» (p. 62).

8Epistole, I,2

9De finibus bonorum et malorum, V, 18

10Giorgio Padoan, l pio Enea, l’empio Ulisse. Tradizione classica e intendimento medievale, Longo Angelo, 1973, p. 196

11Simone Invernizzi, Dante e il nuovo mito di Ulisse, Academia.edu (pagina personale dell’autore)

12Padoan, op. cit., p. 191

13Ivi, p. 195

14De finibus bonorum et malorum, V, 18

15Idem

16Enrico Malato, Introduzione alla Divina Commedia, Salerno editrice, 2020, p. 30

17Enciclopedia dantesca Treccani, voce Canoscenza, https://www.treccani.it/enciclopedia/conoscenza_%28Enciclopedia-Dantesca%29/

18«…un uomo “che sia vile” non può “servire” una donna che si trovi nella corte d’Amore: così Guido aveva ammonito Dante nel sonetto Se vedi amore (XXI). Questa concezione eroica dell’amore, comune alla poesia cortese del Duecento, è stata rinnegata da Dante nella Vita nuova con il passaggio alla poesia della lode, paga di se stessa, perché sottratta alla sanguinosa dialettica del rapporto con la donna: questa è, per Guido, più ancora che una vigliaccheria, una frode intellettuale.[…] E non ci può sfuggire che, come in un’acre rivalsa postuma, proprio nel girone dei consiglieri fraudolenti (Inferno, XXVI) Dante condanna, con Ulisse, tutti i cattivi maestri che ingannarono altri uomini con la folle superbia di una conoscenza non illuminata dalla fede, trascinandoli con sé nella dannazione eterna.» Noemi Ghetti, L’ombra di Cavalcanti e Dante, L’Asino d’oro, 2011, p. 146-147

19Dante e la cultura medievale, Laterza, 1983, p. 106

20«Il cui è riferito, ormai da tutti, a Beatrice – non a Virgilio, come molti intesero, interpretazione che

non dà senso convincente in questo contesto – che rappresenta la sapienza e la grazia divina.[…]Il significato complessivo della frase, su cui si è molto discusso, appare in ogni caso ormai certo: Guido ebbe a disdegno quella via di fede e di grazia – vale a dire, sul piano intellettuale, l’accettazione di una realtà trascendente e di una verità rivelata, e, sul piano spirituale, della propria insufficienza all’assoluto – che Dante invece, a un certo punto della sua vita, decisamente scelse. Qui passò la rottura fra i due amici, e di qui cambiò strada la poesia e lo stile del secondo». A. M. Chiavacci, nota integrativa al Canto X dell’Inferno, op. cit.

21Maria Corti, Scritti su Cavalcanti e Dante. La felicità mentale – Percorsi dell’invenzione e altri saggi, Einaudi, 2003, p. 364

22Ivi, p. 278

23Mundana sapientia: forme di conoscenza nella cultura medievale, Storia e Letteratura, 1992, p. 25

24Le felicità nel Mediovevo, a cura di Maria Bettetini e Francesco 0. Paparella, LOUVAIN-LA-NEUVE, 2005, p. 5

25Ivi, p. IX

26ivi, p. 10-11

27ivi. p. 369

28Desiderio della scienza e desiderio di Dio nel Convivio di Dante, Il Mulino, 2011.

29ivi, p. 234

30Ivi, p. 215

31Bruno Nardi, Dal convivio alla commedia (Sei saggi danteschi), Istituto storico italiano per il Medio Evo. 1992p. 74. Il passo di Tommaso in questione è nella Summa contra gentiles, III, 50

32Falzone, op. cit. pp. 217 e 219

33Su rischio che le differenza tra uomini comuni e filosofi sfociassero in differenze ontologiche nella dottrina averroista e nell’averrosismo vedi Luca Bianchi, Filosofi uomini e bruti, Rinascimento, s.s. 32, 1992

34Ulisse e il desiderio: Il canto XXVI dell’Inferno, Edizioni Viella, 2011 pp. 39-40

35Il saggio è contenuto nel volume Nel mondo di Dante, Edizioni “Storia e letteratura”, 1944

36Ecco perché anche ci conviene adoprarci di fuggire di qui al più [b] presto per andare lassù. E questo fuggire è un assomigliarsi a Dio per quel che uomo può; e assomigliarsi a Dio è acquistare giustizia e santità, e insieme sapienza.Teeteto, C. 25,176b (Opere complete, Laterza, 2013)

Questo bisogna pensare dell’uomo giusto, anche se vive in povertà o colpito da malattie o afflitto da qualche altro di quelli che sembrano mali: che tutto questo si risolverà per lui in un bene in vita o anche in morte. Mai gli dèi trascureranno chi si sforzi di diventare giusto e coltivare la virtù per farsi simile a un dio nei limiti delle possibilità umane. Repubblica., X. 613 a-b Opere complete, Laterza, 2013)

37Dante ghibellino, La Scuola di Pitagora, 2019, p. 38-39

38Enrico Fenzi, Ancora sulla datazione della Monarchia, Academia.edu (pagina personale dell’autore)

39L’uso dei corpi, Homo sacer, IV, 2 Neri Pozza Editore. 2014, p. 269

40«Si è pertanto dichiarato a sufficienza che il compito proprio del genere umano preso nella sua totalità è di attuare sempre e completamente la potenza dell’intelletto possibile, in primo luogo per speculare e secondariamente, per estensione, per operare di conseguenza. » Dante, Monarchia, I, 4 (Mondadori 2015)

41: «His men, his “brothers,” now show their real relationship to Ulysses: it is an instrumental one. They are his oars». R. Hollander (Ed.), Dante Alighieri, Inferno, New York, 2002, p. 493

42Il concetto dell’Impero nello svolgimento del pensiero dantesco, in Saggi di filosofia dantesca, La Nuova Italia, Firenze, 1967

43Teodolinda Barolini, The undivine Comedy. Detheologizing Dante, Princeton University Press, 1992, pp. 54 e 58.

44“La volontà di dominio che caratterizza la scienza moderna è resa possibile dall’apertura del senso greco del divenire. Solo se l’ente che si mostra nell’esperienza è inteso come un uscire dal nulla e un ritornarvi (e appunto questo è l’intendimento del pensiero greco), solo allora può sorgere quella forma radicale di volontà di potenza che decide di strappare gli enti dal nulla e di risospingerveli, conformemente al progetto che l’uomo vuol far diventare realtà.” E. Severino, La filosofia dai greci al nostro tempo, BUR 2004

45Ma cosa era questo “far uscire ed entrare le cose dal nulla” se non l’affermarsi del creazionismo? La discussione del problema ci porterebbe troppo fuori tema, per una discussione più ampia del pensiero di Severino vedi il mio lavoro Per un nuovo socialismo. Per l’orgine greca del creazionismo vedi David Sedley, Creazionismo. Il dibattito antico da Anassagora a Galeno.

46Questo ordinamento del mondo, il medesimo per tutti gli uomini, nessuno degli dèi o degli uomini lo ha fatto, ma è sempre stato, è, e sempre sarà: un fuoco sempre-vivo, che di misura si accende e di misura si spegne. 51 (30 DK; 20 B) (Bompiani, 2007)

Il folle volo in Occidente. La tragicommedia di Ulisse (II parte)

L’Ulisse dantesco è una figura della cupidigia, quindi è necessario un esame del significato della cupidigia nella Commedia.

L’intero cammino, dall’Inferno, dall’iniziale incontro con le Tre Fiere fino al Paradiso, fino alla confessione a Beatrice della propria cupidigia, è un percorso verso la liberazione di Dante, e, con lui, dell’intera umanità, dalla cupidigia.

All’uscita dalla selva, il primo incontro sono le Tre Fiere. Nel corso dei secoli si è scritto tantissimo sull’identificazione di queste tre allegorie, qui ci limiteremo a quanto è necessario. Esse sono una parodia della trinità come Lucifero e altre figure dell’Inferno1, sono una e trine, ma trine nel senso di molteplice, l’insieme dei vizi sono rappresentati dalle fiere. La principale è la lupa, la cui identificazione con la cupidigia è abbastanza fuori discussione.

Il mistero della Trinità, pur nella sua parodia infernale, si trasforma in una dialettica tra l’uno e i molti, in quanto se la radice del peccato è una, molteplici sono le sue manifestazioni. Le fiere rappresentano un diverso modo di intendere i vizi capitali (espressione anche questa della natura profetica della Commedia), ma per il solo Inferno, nel Purgatorio si torna ad una visione più canonica.

Giovanni Pascoli, tra i commentatori da me consultati, è uno dei pochi che aiuta a districarsi in questa complessa allegoria dantesca: «Se la lupa è l’avarizia divenuta malizia, quest’avarizia maliziosa è raffigurata anche nel leone; e dunque il leone è la lupa. Così può dire alcuno. E rispondo: sì: in vero assomigliano. Famelico il leone, famelica la lupa; terribile in vista il leone, terribile dalla vista la lupa. E rispondo: sì: in vero il leone è dentro la lupa»2. La lupa dovrà essere cacciata dal veltro, ovvero il programma della Monarchia secondo cui l’imperatore dovrà porre fine alla cupidigia di potere. Il leone è la lupa, se è vero che il leone rappresenta la superbia e quindi la brama di potere, ma essendo senza limiti, il leone viene a sovrapporsi alla lupa. Una sola fiera non rappresenta un vizio specifico, ma più di uno.

La lupa è la brama senza fine, è la cupidigia in quanto tale («di tutte brame parea carca») ma che può manifestarsi in diversi ambiti, nella brama delle ricchezze, del potere, della conoscenza e in generale di tutte le cose terrene.

Tuttavia la lupa ha una relazione speciale con l’avarizia (intesa come desiderio smisurato di accumulare ricchezze). Dopo aver incontrato la lupa, Dante ricorre ad una similitudine con l’avaro («E qual è quei che volentieri acquista»), poiché l’analisi aristotelica della crematistica rappresenta un elemento centrale nella delineazione della cupidigia (Teniamo presente che nell’italiano di Dante l’avaro non è solo il tirchio, ma principalmente colui che è bramoso di denaro)3. Giustamente Leonid Batkin vide nella cupidigia una rappresentazione della accumulazione capitalistica, proprio dall’osservazione del nascente capitalismo nasce la centralità della cupidigia, ma un’analisi strettamente «economica» non ci restituisce tutta la portata della visione dantesca.

La filosofia aristotelica serve a Dante per decifrare la nuova società che vedeva nascere sotto agli occhi, per la quale era necessaria una nuova dottrina politica che potesse arginare la cupidigia sul piano politico (esposta principalmente nella Monarchia). E, al tempo stesso, era necessario un rinnovamento profetico culturale e religioso del cristianesimo che avesse al centro il superamento della cupidigia (Divina Commedia).

Le Tre Fiere sono una creazione dantesca molto complessa e raffinata, tanto sul piano figurativo, una triade con al vertice la lupa, con le connotazioni di ogni fiera che si sovrappongono e si intersecano su ogni altra, fino a formare un insieme i cui significati sono molteplici e unitari allo stesso tempo, tanto sul piano psicologico, infatti Virgilio fa ben intendere che sono una proiezione della cattiva coscienza di Dante personaggio della Commedia4.

La lupa ha a sua volta qualcosa della lonza, della lussuria. È stata una sirena a distogliere Ulisse dal suo cammino, che nel sogno di Dante in Purg. XIX si presenta inizialmente con le sembianze della lussuria, per poi rivelarsi essere l’«antica lupa».

I vizi capitali riguardano l’anima, mentre le condanne sono dovute ad atti specifici, giudicati secondo l’Etica aristotelica, e secondo la concezione romana del diritto (la distinzione del dolo in base alla violenza o alla frode riprende il De officis di Cicerone).

I condannati sono giudicati per gradi, per il rinnegamento della natura dell’uomo quale essere razionale, e per l’infrazione del vincolo d’amore a cui siamo tenuti in quanto creature frutto dell’amore di Dio.

La cupidigia, la lupa, si associa agli altri vizi («molti son li animali a cui s’ammoglia») per dar luogo a una scala di gravità che va dagli incontinenti dei primi gironi, a Giuda che tradì Cristo per i trenta denari, a Cassio e Bruto che tradirono Cesare per cupidigia di potere. Tutti e tre sono maciullati nelle tre bocche di Lucifero, fonte originaria della cupidigia nel suo voler essere come Dio. Al massimo grado la cupidigia contiene in sé, si confonde con la superbia, da ciò l’apparente assenza della superbia dai cerchi infernali (vecchio problema dell’esegesi dantesca)5, che in realtà non è assente, non viene assegnata a dei peccatori terreni ma ai giganti del Canto XXXI, che precedono Lucifero, nel quale cupidigia e superbia coincidono6. In Inf. I la lupa viene indicata quale emanazione dell’invidia di Lucifero, risvolto inevitabile della sua superbia che non potendo paragonarsi a Dio si trasforma in invidia.

«La lupa, infatti, non è solo avarizia, accumulazione di beni puramente materiali, smania di possesso; tutto questo culmina nella smania di dominio, cioè nella volontà di potenza. È questo, forse, il peccato di Lucifero ed esso o essa, la volontà di potenza, si incorpora la superbia quale noi abitanti del terzo millennio la intendiamo oggi. »7 Illuminante commento di Maria Gabriella Riccobono, proprio della volontà di potenza si tratta, come vedremo, ma dobbiamo procedere per gradi.

Le Tre Fiere vengono quindi da Lucifero, e la maggiore è la cupidigia che ridefinisce tutti gli altri vizi, nel complesso si tratta una una nuova manifestazione, diciamo un peccato originale 2.0 (Dio mi perdoni!) dopo che il peccato dei «primi parenti» è stato sanato dalla morte di Gesù Cristo (perciò Adamo si trova in Paradiso). La causa di questo ritorno del peccato originale è stata la Donazione di Costantino che ha destato la cupidigia dei beni temporali nella Chiesa, e da essa il disordine si è diffuso all’intera società. La cupidigia ha un’origine religiosa, da cui il messaggio profetico della Commedia, tuttavia nella definizione della cupidigia è fondamentale l’analisi aristotelica della dismisura nella crematistica. Possiamo dire che la cupidigia ha un doppio piano, religioso ed economico, è una figura teologico-economica.

Nella teologia medievale l’avarizia aveva assunto un nuovo ruolo finendo per soppiantare la superbia quale vizio capitale8. La centralità e l’estensione del concetto di avarizia nella teologia morale cristiana venivano incontro all’indirizzo complessivo della filosofia dantesca di integrare il cristianesimo con la filosofia aristotelica, in particolare, in tal modo, crea una sua peculiare concezione dell’avarizia/cupidigia. Conformemente alla visione cristiana che estendeva il concetto di avarizia, la progressione all’infinito che si verifica nella cattiva crematistica viene estesa all’ambito politico e all’ambito della conoscenza e in quest’ultimo Ulisse ne è il simbolo.

Ha ragione Teodolinda Barolini a definire la cupidigia un «meta-vizio»9, tuttavia essa non riguarda solo all’ambito della incontinenza, poiché il malizioso Ulisse è una figura della cupidigia. Le tre categorie, incontinenza, malizia e matta bestialitade, secondo cui è strutturato l’Inferno non sono degli ulteriori vizi che si sommano a quelli capitali, ma servono a definire la gravità della colpa a cui possono portare i vizi capitali.

«Se si resta fermi al concetto aristotelico di bestialità (e alla sua continuazione medievale), si vede bene, in effetti, che per il filosofo la bestialità non è un vizio a sé, ma piuttosto una particolare (ed estremamente difficile) tonalità del vizio. Ciò significa che ogni vizio è in teoria suscettibile di assumere una connotazione bestiale»10.

Secondo Paolo Falzone, «incontinenza, malizia e matta bestialitade», i tre termini derivati dall’Etica aristotelica menzionati da Virgilio in Inf. XI, in cui vengono esposti i criteri secondo cui sono comminate le condanne, vanno intesi come una gradazione della bestialità. Tuttavia, se è certo a quali cerchi e quali peccatori vanno classificati secondo il criterio dell’incontinenza e della malizia, incerto è invece cosa intendere per matta bestialità. Per Aristotele e Tommaso, osserva Falzone, sarebbero comportamenti aberranti da ascrivere alla patologia (in quest’ultimo sarebbero per questo motivo suscettibili di una pena minore).

Il termine non definisce, appunto, un comportamento specifico, ma la massima degradazione umana. Se gli incontinenti hanno perseguito il male perché non vi è stato controllo della ragione sugli affetti, i maliziosi invece lo hanno fatto con cognizione di causa, hanno usato l’intelligenza per danneggiare il prossimo. Tuttavia, ciò che distingue la malizia dalla matta bestialitade è la presenza nella malizia di una parte d’incontinenza. Ad es., Ulisse ha perseguito il male spinto dal desiderio di conoscenza che di per sé è naturale per l’uomo, ma in lui traviato dalla cupidigia. Invece, nella matta bestialitade vi è quella completa perversione dell’uomo che è l’adesione al male per il male. La concezione dantesca non è del tutto congruente con quella aristotelica, ma in gran parte lo è, perché interviene il concetto cristiano di libero arbitrio .

I peccati infernali sono rappresentati nella forma di fiere perché causano l’imbestiamento dell’essere umano. E il cammino nell’Inferno segue un progressivo imbestiamento fino alla massima bestialità di Lucifero, che ne possiede i connotati più mostruosi e disgustosi.

Bestialità non è mera degradazione dell’umano. Tra i riferimenti di Dante bisogna avere presente non solo la «tua Etica» (Virgilio) ma quel passo centrale della Politica in cui Aristotele, contestualmente alla definizione dell’uomo come «animale politico», definisce l’essere umano tanto la migliore quanto la peggiore delle creature proprio in virtù della sua intelligenza. Per questo il tradimento è la peggiore delle colpe in quanto provoca la distruzione del vincolo comunitario, da cui derivano i più grandi mali.

Secondo il commento della Barolini ai versi di Paradiso XV, l’Inferno è il regno della cupidigia:

«”La volontà retta è un amore buono, la volontà perversa un amore cattivo” – “recta itaque voluntas est bonus amor et voluntas perversa malus amor” – scrive Agostino, fornendo un modello fondamentale per il trattamento dell’amore nella Commedia. Il bonus amor agostiniano, opposto al malus amor, è sotteso alla caratterizzazione data da Dante dell’entrata del purgatorio come «la porta / che ’l mal amor de l’anime disusa» (Purg. X). Il poeta poi si avvicina molto a una parafrasi diretta di Agostino all’inizio di Paradiso XV, quando egli associa la volontà retta (“benigna volontade”) all’amore ben diretto (“amor che drittamente spira”) e la volontà malvagia (“la iniqua [volontade]”) all’amore mal diretto, ovvero alla “cupidità”: “Benigna volontade in che si liqua / sempre l’amor che drittamente spira, / come cupidità fa ne la iniqua”» (Par. XV)»11.

Su questi principi sono stati edificati l’Inferno e il Paradiso (e il Purgatorio in cui il pentimento dimostra la non cattiva volontà delle anime traviate sulla strada terrena). La cupidigia anche sul piano terreno è pura volontà, può quindi essere soppressa dall’Imperatore.

In definitiva, è la buona o la cattiva volontà che conduce all’inferno o al paradiso. È un concetto di volontà che deriva dal creazionismo cristiano che determina una frattura tra essere (in senso ontologico) e agire, che ha determinato l’ineffettualità dell’etica cristiana, in quanto incapace di tenere conto delle necessità naturali dell’uomo, delle costrizioni sociali, della realtà del conflitto che pervade le relazioni umane. L’etica antica, non intendeva espungere il male dal mondo, a differenza dell’etica cristiana che invece paradossalmente ne sancisce il dominio, in quanto nel mondo terreno domina il maligno, mentre invece il bene è riservato al mondo ultraterreno. Machiavelli recupera lo spirito dell’etica antica ripristinando la cognizione della realtà del conflitto (polemos è padre di tutte le cose) e indica di «non partirsi dal bene potendo, a saper entrare nel male necessitati». Il Principe deve avere come fine il bene della Stato, ma deve essere capace di usare il male (la violenza), se necessario, per difenderlo. Il discorso di Machiavelli, tutt’altro che estraneo all’etica, si oppone alla morale cristiana che rende imbelli e così favorisce «i più scellerati». Il superamento della antinomia tra bene e male della morale cristiana trova il suo compimento Goethe:

FAUST
Insomma, tu chi sei?
MEFISTOFELE
Parte di quella forza
che vuole sempre il male e produce sempre il bene

Se il libero arbitrio è l’idea dell’essere umano artefice del proprio destino, tale idea della libertà umana si presenta nel cristianesimo con una frattura verso il mondo reale. Una filosofia della libertà come quella hegeliana superava tale frattura: «La libertà è coscienza della necessità».

Ritornando alla Commedia, insieme alla filosofia cristiana concorre alla creazione della concezione dantesca della cupidigia la filosofia aristotelica. Il concetto di dismisura, l’inversione di mezzo e scopo che causa la progressione all’infinito, della «cattiva» crematistica, viene estesa alla sfera del potere (temporale e religioso) e, sul piano individuale, alla sfera della conoscenza.

Carlos López Cortezo scrive che è la lonza, non la lupa, a rappresentare l’avarizia, ciò è plausibile, data l’intercambiabilità delle Fiere, non dobbiamo attenerci ad una stretta identificazione. La lupa è la brama insaziabile, non rappresenta solo l’avarizia, ma la cupidigia in quanto tale, tuttavia nella lonza, sempre sulla base del metodo interpretativo di Carducci, possiamo vederci sia la lussuria che il desiderio smodato di ricchezza. Ciò trova riscontro nella canzone Doglia mi reca, la cui cifra è il parallelo tra avarizia e rapporto sessuale basato sul solo desiderio carnale, secondo il commento della Barolini12. È in errore Cortezo, invece, quando ritiene che la lussuria non abbia niente a che fare con la cupidigia. Nella suddetta canzone il puro desiderio carnale viene indicato come fonte di dismisura, così il vento che sballotta senza sosta le anime di Paolo e Francesca è una rappresentazione della dismisura13.

La dismisura appare già nel primo canto nella brama senza fine della Lupa, il suo rapporto con l’analisi aristotelica della crematistica ce lo ricorda il paragone con l’avaro nell’incontro con la Lupa. Che fosse una reazione al proto-capitalismo della Firenze ai tempi di Dante appare nella prima invettiva contro Firenze14.

La gente nuova e i sùbiti guadagni
orgoglio e dismisura han generata

Nella Commedia la cupidigia assume la figura di un pervertimento complessivo del comportamento umano. La canzone Doglia mi reca testimonia che la cupidigia, oltre alle connotazioni religiose, ha origine dall’esperienza diretta di Dante nella Firenze del suo tempo. Veniamo quindi alle connotazioni economiche della cupidigia

L’acuta cognizione dantesca delle trasformazioni economiche intervenute nel suo tempo, e in particolare del processo di accumulazione capitalistica, è stata ben descritta da Enrico Fenzi nel commento a suddetta canzone. La figura dell’«avaro» (tesaurizzatore), già ben nota alla cultura filosofica e religiosa, antica e contemporanea a Dante, da eccezione sociale si trasformava in una normalità sociale a cui era difficile sfuggire. Alcuni versi della canzone sono un importante documento storico, il processo di accumulazione del nascente capitalismo viene identificato ed analizzato con notevole precisione.

Come con dismisura si rauna,
così con dismisura si ristrigne;
e questo è quel che pigne
molti in servaggio, e s’alcun si difende,
non è sanza gran briga.

Il denaro viene accumulato e tesaurizzato con dismisura. Ciò conduce molti alla servitù e se qualcuno riesce a sottrarsi a questo processo non è senza gran fatica .

Nella canzone abbiamo un’esposizione più dettagliata della realtà sociale che da origine alla cupidigia, soprattutto per quanto riguarda la dimensione della dismisura, che nella Commedia prende il rilievo di una categoria generale, nella suddetta invettiva contro Firenze vi è lo stesso contenuto, ma espresso in termini più incisivi e allo stesso tempo più generici.

Come osserva Fenzi15, l’avaro non è più eccezione sociale, e non basta più che a lui segua lo scialacquatore, consueto redistributore della ricchezza, in quanto tale fenomeno sociale ha raggiunto un livello tale che trasforma qualitativamente la società. Nel proto-capitalismo fiorentino il denaro principiava ad avere un ruolo quantitativamente e qualitativamente diverso rispetto alle società precedenti. Ciò che oggi chiamiamo capitalismo.

Ciò credo sufficiente per stabilire quanto conti l’osservazione del nascente capitalismo nella genesi della concezione dantesca della cupidigia.

Il concetto di dismisura proviene dall’analisi della cattiva crematistica di Aristotele, ed è l’inversione di mezzo e scopo che si verifica quando il denaro diventa scopo e non mezzo, per cui l’azione spostandosi sul mezzo che è potenzialmente illimitato sul piano quantitativo (denaro) si riproduce su stessa all’infinito. Uno degli aspetti più interessanti e più attuali, detto senza retorica, del pensiero di Dante, è l’applicazione di questo modello analitico al potere religioso e temporale, alla conoscenza.

Fenzi riconduce alla comune radice aristotelica la centralità in Dante e Marx della dismisura:

«La circolazione semplice delle merci -la vendita per la compera- serve di mezzo per un fine ultimo che sta fuori della sfera della circolazione, cioè per lʼappropriazione di valori dʼuso, per la soddisfazione di bisogni. Invece, la circolazione del denaro come capitale è fine a se stessa, poiché la valorizzazione del valore esiste soltanto entro tale movimento sempre rinnovato. Quindi il movimento del capitale è senza misura»16.

Il movimento senza fine del capitale, la brama senza fine della lupa.

Non è la sola significativa convergenza. In una genealogia del sapere, Dante è tra i progenitori di Marx, una parentela che si palesa ancora in Inf. XI, dove l’usura è condannata come contro natura, perché la natura è imitazione di Dio e il lavoro a sua volta è imitazione della natura, ed essendo che la ricchezza può venire solo dal lavoro, l’«usuriere che altra via tiene» commette un sopruso contro Dio e la natura. Se è dichiarata l’ispirazione aristotelica della condanna dell’usura , vi è allo tesso tempo una concezione del lavoro come unico creatore della ricchezza che non è aristotelica, ed è un’anticipazione della concezione marxiana.

Una volta definita, nei suoi tratti essenziali, la visione dantesca della cupidigia, possiamo tornare alla figura di Ulisse quale incarnazione della cupidigia intellettuale.

Ciò è opportunamente chiarito dallo stesso Dante. In Purg. XIX sogna una «dolce serena», che poi nel sogno si trasforma in un orrendo mostro. Lei che aveva distolto Ulisse dal suo cammino, secondo Virgilio è «quell’antica strega/che sola sovr’ a noi omai si piagne», ovvero la cupidigia/avarizia che viene punita nella IV cornice dove si trovano. Il Canto successivo chiarisce ulteriormente che era l’ «antica lupa».

In Purg. XIX vi è un’invettiva contro la lupa che ne fa un quadro più preciso rispetto ad Inf. I:

Maladetta sie tu, antica lupa,
che più che tutte l’altre bestie hai preda
per la tua fame sanza fine cupa!

Secondo il commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi, «questa lupa è infatti il primo nemico di Dante, e degli uomini, in tutta la Commedia. È quella che impedisce la salvezza nel I dell’Inferno, e che a più riprese è denunciata e condannata nelle sue manifestazioni più gravi – cioè nei potenti, e soprattutto nei papi – lungo il poema che infine per questo è stato scritto. Di qui la forza racchiusa in queste due terzine, la prima di condanna, la seconda di sospiro e invocazione verso lo sperato intervento divino. L’invettiva è posta non casualmente tra l’incontro con Adriano V – un pontefice – e quello con Ugo Capeto – un re – che impersonano i due poteri della terra, ambedue corrotti e viziati da questo terribile tra tutti i mali.»

Papa Adriano V narra di essersi volto alla vita eterna soltanto quando, diventato papa, « vidi che lì non s’acquetava il core,/né più salir potiesi in quella vita». La sua quindi è un’avarizia di tipo particolare. «Citando Gregorio Magno, ecco che cosa insegna nella Summa Tommaso d’Aquino […] : «avaritia – insegna – est non solum pecuniae (avarizia non è solo avidità di denaro), sed etiam scientiae et altitudinis, cum supra modo sublimitas ambitur (ma è anche avidità di sapere e di eccellere, qualora il primato sia perseguito smodatamente)»17.

L’estensione da parte di Tommaso del significato del termine avaritia era iniziata con Agostino che intendeva in questo modo conciliare l’antico e il nuovo testamento. Per il primo l’inizio di tutti i mali è la superbia, «A superbia initium sumpsit omnis perditio» (Dalla superbia prende inizio ogni perdizione, Tobia, 4, 13), per il secondo la radice di tutti i mali è la cupidigia, «Radix omnium malorum est cupiditas» (La cupidigia è la radice di ogni male, San Paolo) 18. Dante segue tale indirizzo, in Purg. XIX sono presenti tutte le «avarizie», quella in senso ordinario, l’avarizia di potere (papi e regnanti), e l’«avarizia» di conoscenza. In quest’ultimo caso, attraverso la sirena che richiama la figura di Ulisse.

Se quella di Adriano V è indubbiamente avaritia altitudinis, quella di Ulisse è avaritia scientiae (deduzione di Vittorio Sermonti). Dante ci vuole a caccia della verità, secondo la bella immagine della fera in lustra di Par. IV, la fiera che dopo la caccia si gode nella sua tana la sua preda-verità. Il Canto, che inizia con il sogno della «dolce serena» ci fornisce molti indizi per decifrare la figura di Ulisse e insieme della concezione dantesca della cupidigia, in merito alla quale Dante personaggio non ha ancora del tutto la coscienza a posto, visto che la nuova incarnazione del mostro viene a turbargli i sogni. La liberazione interiore finale avverrà con la confessione a Beatrice della propria cupidigia.

Il Convivio ha tra i suoi temi centrali l’avaritia scientiae, cioè il naturale desiderio di conoscenza pervertito dalla cupidigia. Ma è utile partire dai versi di Doglia mi reca che hanno una precisa corrispondenza lessicale e concettuale con il Convivio:

Corre l’avaro, ma più fugge pace:
oh mente cieca, che non può vedere
lo suo folle volere
che ‘l numero, ch’ognora a passar bada,
che ‘nfinito vaneggia.

Secondo il commento di Fenzi «un numero nel quale s’è consumata sino in fondo ogni idea di concreta ricchezza di cose, di valori d’uso, e dove per contro trionfa l’idea opposta di una forma di ricchezza astratta, puramente contabile e finanziaria, tendente all’infinito e proprio per questo inseguita dall’avaro sedotto precisamente dal miraggio di una tale infinita realizzazione di sé nell’infinita realizzazione del suo denaro come capitale»19.

Nel Convivio ritorna l’avaro che rincorre l’infinito, ma come paragone con chi attraverso la conoscenza razionale vuole raggiungere la conoscenza diretta di Dio.

Per Dante esiste un desiderio di conoscenza naturale che dirige la conoscenza verso l’oggetto, e di questo la coscienza è temporaneamente soddisfatta, mentre esiste un desiderio di conoscenza non naturale, in cui interviene quel pervertimento dell’ordine morale, tanto individuale che collettivo, costituito dalla cupidigia che devia da un’intenctio recta verso l’oggetto (trovo appropriate le categorie di Nicolai Hartmann) in direzione di un’intenctio obligua che devia la conoscenza dall’oggetto verso il soggetto del conoscere.

Smarrite le sue finalità concrete, la conoscenza diventa un fine per se stessa, e per se stessi, diventa il proprio fine ultimo. In questa deviazione il desiderio non può che crescere su stesso perennemente lasciando perennemente insoddisfatti.

La similitudine tra alimentazione e conoscenza è dei primi passi del Convivio. Il desiderio naturale di conoscenza trova un suo compimento nella relazione con l’oggetto, recando soddisfazione, a somiglianza dell’alimentazione, il più elementare rapporto umano con la natura. Invece la lupa, la cupidigia, «dopo ‘l pasto ha più fame che pria», non consegue quella soddisfazione temporanea accessibile all’essere umano, seppure il desiderio di conoscenza, come nel caso dell’alimentazione, essendo un rapporto processuale con la natura, naturalmente si rinnova.

Il naturale desiderio umano di conoscenza «è misurato in questa vita a quella scienza che qui avere si può, e quello punto non passa se non per errore, lo quale è fuori di naturale intenzione» e l’errore è quello dell’«avaro maladetto». Non è naturale, invece, la cupidigia di conoscenza simile al comportamento dell’avaro, essa è piuttosto il pervertimento del desiderio naturale.

Qual è il fine della conoscenza? Veniamo quindi al seguente passo (III xv 6-10), molto importante, del Convivio dove l’oggetto della critica dantesca è la conoscenza di Dio come concepita da Tommaso. È un confronto di grande interesse, siamo nel pieno di quella «teologia economica» dalla cui secolarizzazione sorge l’ideologia del capitalismo moderno.

Dov’è da sapere che in alcuno modo queste cose nostro intelletto abbagliano, in quanto certe cose [si] affermano essere che lo intelletto nostro guardare non può, cioè Dio e la etternitate e la prima materia; che certissimamente si veggiono, e con tutta fede si credono essere, e per quello che sono intendere noi non potemo; [e nullo] se non cose negando si può appressare a la sua conoscenza, e non altrimenti. Veramente può qui alcuno forte dubitare come ciò sia, che la sapienza possa fare l’uomo beato, non potendo a lui perfettamente certe cose mostrare; con ciò sia cosa che ‘l naturale desiderio sia a l’uomo di sapere, e sanza compiere lo desiderio beato essere non possa. A ciò si può chiaramente rispondere che lo desiderio naturale in ciascuna cosa è misurato secondo la possibilitade de la cosa desiderante: altrimenti andrebbe in contrario di se medesimo, che impossibile è; e la Natura l’avrebbe fatto indarno, che è anche impossibile. In contrario andrebbe: chè, desiderando la sua perfezione, desiderrebbe la sua imperfezione; imperò che desiderrebbe sè sempre desiderare e non compiere mai suo desiderio (e in questo errore cade l’avaro maladetto, e non s’accorge che desidera sè sempre desiderare, andando dietro al numero impossibile a giugnere). Avrebbelo anco la Natura fatto indarno, però che non sarebbe ad alcuno fine ordinato. E però l’umano desiderio è misurato in questa vita a quella scienza che qui avere si può, e quello punto non passa se non per errore, lo quale è di fuori di naturale intenzione […] Onde, con ciò sia cosa che conoscere di Dio e di certe altre cose quello esse sono non sia possibile a la nostra natura, quello da noi naturalmente non è desiderato di sapere. E per questo è la dubitazione soluta .

Soluzione temporanea, considerando che la Commedia si dirigerà verso una conoscenza diretta di Dio. Ma riceve un provvisorio punto fermo. Di Dio, dell’eternità, della prima materia arriviamo con la ragione ad averne cognizione, ma non desideriamo conoscerli direttamente. La natura, come dice il Filosofo (Aristotele) nihil facit frusta , nulla fa invano, ci ha fornito di organi naturali per la conoscenza limitata che in quanto esseri limitati possiamo raggiungere, e nell’esercizio di queste nostre capacità siamo soddisfatti. L’errore dei desideri non naturali non sta nel limite della conoscenza, ma piuttosto, al contrario, nella sua mancanza.

L’avaro che mira al numero impossibile da raggiungere rimanda a un preciso passo della Metafisica in cui Aristotele respinge l’operatività del concetto di infinito, poiché gli esseri umani nel processo conoscitivo operano sempre con il finito, altrimenti non sarebbe possibile la conoscenza. Da notare che ammette la divisibilità all’infinito di una retta, che tuttavia «non può essere pensata, se non si arresta la divisione». L’ammissione nel regno della conoscibilità dell’infinito avrebbe delle conseguenze sul piano etico, in quanto annullerebbe la causa finale, senza cui gli esseri umani perderebbero lo scopo dalla loro azione, poiché non avrebbe un termine, termine che è anche fine20.

L’osservazione che la cupidigia di conoscenza condivide con l’avaro il falso scopo di mirare al numero impossibile da raggiungere, cioè il cattivo infinito della dismisura, se volessimo dirlo con terminologia hegeliana, stabilisce un collegamento tra la dismisura analizzata nella Politica e il passo suddetto della Metafisica. È una lettura originale del testo aristotelico.

La conoscenza dantesca di Aristotele passa sicuramente attraverso Tommaso D’Aquino, ma tale questione segna tra loro una netta divergenza. Bruno Nardi osserva come Tommaso volesse introdurre in modo piuttosto surrettizio, con «dissimulata ingenuità», l’idea che per Aristotele il desiderio naturale di conoscenza conduce al desiderio di conoscere Dio, e in modo affatto contrario anche alla lettera del testo aristotelico, fa l’esempio della retta o della serie numerica a cui possiamo fare aggiunte all’infinito, finendo per ragionare proprio come l’«avaro maladetto»21.

È in questo passo l’osservazione aristotelica relativa alle infinite divisioni della linea. Tommaso22 e Dante menzionano la linea e i numeri, ma il senso è lo stesso. Mentre per Aristotele attraverso queste operazioni mentali non è possibile giungere all’infinito, al contrario per Tommaso tale operazione geometrica ci fornisce un esempio non solo della pensabilità dell’infinito, cioè di Dio, ma dimostra che gli esseri umani mirano in ultima istanza alla conoscenza diretta di Dio, che possono conseguire solo parzialmente in questa vita, e interamente nella vita dopo la morte.

Significativo quindi il parallelo dantesco tra l’avaro che persegue un’accumulazione virtualmente infinita, moneta per moneta, e la conoscenza di Dio a cui possiamo arrivare allo stesso modo in cui possiamo prolungare la retta, o la serie dei numeri, fino all’infinito. Ma è un numero «impossibile a giugnere», per quanto possiamo prolungare la retta avremo sempre una retta finita. Aggiungo un’interpretazione, che a me pare piuttosto evidente, ma implicita in Dante, altrimenti avrebbe dovuto accusare apertamente Tommaso. Per prolungare la retta all’infinito dovremmo immaginarci immortali, e quindi assimilarci a Dio, cadendo quindi nel peccato originale. Nella cupidigia di Ulisse Dante condanna il desiderio di essere simili a Dio tramite la conoscenza.

Come l’avaro, Ulisse è accumulatore di conoscenza, vuole «arricchirsi culturalmente», per dirlo con un’abusata espressione comune. Per quanto possa sembrare inappropriato il paragone tra il comportamento eroico di Ulisse e la superficialità dell’uomo-turista odierno (l’Europa trasformata in un grande parco per turisti è uno dei temi dell’ultimo Houellebecq), anche se nel 1300 la figura del turista non esisteva ancora, non è molto lontano dal vero dire che Ulisse per Dante è, per certi aspetti, come quei ricchi turisti che «ammazzano il tempo» nel vagabondare da una meta turistica all’altra.

Il vagabondare di Ulisse è dovuto alla mancanza uno scopo autentico. Nessuna terra può soddisfare la sua cupidigia di conoscenza, perché il suo fine non è l’oggetto della conoscenza, ma accrescere la sua potenza tramite la conoscenza. Ulisse ha smarrito la finalità concreta e sociale del conoscere, non è alla ricerca di una terra in cui insediarsi per farne la sua patria con i suoi compagni, egli persegue un fine puramente individuale ( «misi me per l’alto mare aperto») e i suoi compagni sono strumento sono suoi strumenti insieme ai remi fatti ali al «folle volo» 23. Anche la conoscenza può essere veicolo di alienazione nella misura in cui diventa «fine ultimo ed unico» (Marx).

Mirare al «numero impossibile da raggiungere» comporta un appiattimento della conoscenza sulla dimensione puramente quantitativa (anche questa analisi di notevole attualità). Mentre l’accumulazione di ricchezza cresce in modo puramente quantitativo, posso aumentare il patrimonio di 100 fiorini, ma questi 100 sono uguali ai 100 che avevo in precedenza, la conoscenza cresce in modo qualitativo, passando attraverso diversi livelli, ognuno compiuto e avente in sé la sua perfezione. Lasciamo la parola a Dante (Convivio, IV, 13):

« … quello che propriamente cresce sempe è uno; lo desiderio della scienza non è sempre uno ma è molti, e, finito l’uno, viene l’altro: sì che, propiamente parlando, non è crescere lo suo dilatare, ma successione di picciola cosa in grande cosa. Ché se io desidero di sapere li pricipii delle cose naturali, incontanente che io so questi, è compiuto e terminato questo desiderio. E se poi io desidero di sapere che cosa e com’è ciascuno di questi principii, questo è un altro desiderio nuovo, né per l’avenimento di questo non mi si toglie la perfezione alla quale mi condusse l’altro; e questo cotale dilatare non è cagione d’imperfezione, ma di perfezione maggiore. Quello veramente della ricchezza è propiamente crescere, che è sempre pur uno, sì che nulla successione quivi si vede, e per nullo termine e per nulla perfezione.»

La conoscenza di Ulisse pervertita dalla cupidigia è una conoscenza puramente quantitativa, appena conosciuta una terra passa alla successiva, perché intende solo accrescere il numero delle terre conosciute. Potremmo dire che Ulisse ha conosciuto tante terre, ma non ne ha conosciuta veramente nessuna.

La «forte dubitazione», termine che indica un affanno interiore, non era «soluta». Il forte dissidio interiore, da cui nasce Ulisse, su tali questione emerge nel passo successivo, collegato a quello appena citato, dove si parla dei diversi livelli di conoscenza secondo le fasi dell’età.

E perché la sua conoscenza prima è imperfetta per non essere esperta né dottrinata, piccioli beni le paiono grandi, e però da quelli comincia prima a desiderare. Onde vedemo li parvuli desiderare massimamente un pomo; e poi, più procedendo, desiderare uno augellino; e poi, più oltre, desiderare bel vestimento; e poi lo cavallo; e poi una donna; e poi ricchezza non grande, e poi grande, e poi più. E questo incontra perché in nulla di queste cose truova quella che va cercando, e credela trovare più oltre.

Questo passo segue maggiormente la filosofia tomasiana, anche se il desiderio naturale piuttosto che condurre alla conoscenza di Dio, porta sotto il dominio della lupa, ma per la filosofia di Agostino il desiderio può condurre al bonus o malus amor, secondo Tommaso che segue Agostino, ««la conversione, o adesione disordinata al bene transitorio» (“inordinata conversio ad commutabile bono”)»24, l’adesione affettiva ai beni terreni.

All’inizio vi è la crescita qualitativa della conoscenza. Il bambino gode del pomo, dell’augellino, che simboleggiano diversi livelli di conoscenza ma questi godimenti si esauriscono con il loro compiersi e spingono ad acquisire un diverso oggetto, un diverso livello di conoscenza. Ma tutto poi si conclude in una crescita puramente quantitativa, «ricchezza, e poi grande, e poi più», per cui lo stesso Dante ragiona come l’avaro e come Ulisse che deve andare sempre più oltre. Qui emerge pienamente il dissidio interno al pensiero di Dante. Nella Commedia vi sarà una maggiore vicinanza a Tommaso, già rilevato da altri, tra cui Nardi25 e Falzone26ma le premesse ci sono già nel Convivio. Per andare fino in fondo nella critica alla filosofia tomasiana, Dante avrebbe dovuto indirizzarsi verso un naturalismo a lui precluso, per vari motivi (come abbiamo già visto nella prima parte di questo lavoro).

Dal dissidio sulla questione della conoscenza nasce la figura di Ulisse, alter ego di Dante.

Il riavvicinamento alla visione cristiana più ortodossa, non attenua la potente critica alla volontà di potenza rappresentata dalla figura di Ulisse, che è autocritica di Dante stesso, come osservavo nella prima parte di questo lavoro. Vi è in gioco non solo la questione della subordinazione della ragione alla fede, anzi è proprio essa che consente la critica della volontà di potenza. È il desiderio di assimilarsi a Dio attraverso la conoscenza che comporta la perdita del senso del limite.

Ulisse ha le sembianze dell’eroe perché segue coerentemente il suo principio interiore, sempre più oltre, finché non incontra il suo destino. Tuttavia ciò che lo spinge è la cupidigia di conoscenza, non il desiderio di conoscenza come vuole Gennaro Sasso, che è tra quanti vogliono assolvere Ulisse27.

In mezzo alle contraddizioni, e al dissidio interiore, prende corpo un’analisi originale di Dante che vede un disordine esiziale, simile al comportamento dell’avaro, che si estende a tutti gli ambiti della società. Una perdita del fine delle azioni umane che non giungono al loro termine, si perdono in una progressione all’infinito che causa disordine, caos sociale, violenza, distruzione. La monarchia universale servirebbe proprio a fermare questa progressione della cupidigia di potere, poiché il monarca dantesco giunto al sommo, non potendo ambire a maggiore potere, ferma questa progressione. Un’osservazione incidentale di Marx spiega bene questa estensione del comportamento dell’ «avaro» (tesaurizzatore) all’ambito del potere. «Questa contraddizione tra il limite quantitativo e l’illimitatezza qualitativa del denaro risospinge sempre il tesaurizzatore al lavoro di Sisifo dell’accumulazione. Al tesaurizzatore succede come al conquistatore del mondo: la conquista di un nuovo paese è solo la conquista di un nuovo confine.»28 Il mito di Sisifo viene ripreso da Dante per il contrappasso degli avari in purgatorio.

Troppo bene si è rispecchiata in Ulisse la coscienza occidentale perché non facesse di lui un «eroe della conoscenza», ignorando la condanna dantesca. Ma perseguendo la conoscenza per se stessa, e per se stessi, Ulisse non incontra lo stesso scacco che incontra Faust alla conclusione-nuovo inizio della sua vita, quando ritiene di aver sprecato la sua vita e che «nulla si può conoscere?».

Ulisse per conoscere il mondo non ha paura di sfidare l’ignoto. Il destino vorrà la sua morte, ma altri dopo di lui avranno successo. Così è nato il mondo moderno. Ma, considerati gli esiti, era il viaggio di Ulisse necessario? Enormi problemi ed enormi rischi derivano dalla progressione all’infinito, il paradigma su cui viene a fondarsi la civiltà occidentale che rischia di devastare la Terra e di innescare uno scontro con le altre civiltà che oggi costituiscono il limite oggettivo di Ulisse, l’uomo occidentale. La Natura e l’Altro sono oggi il limite di Ulisse, il termine contro il quale si infrange la progressione all’infinito. Negare l’intero percorso della nostra civiltà, come dettato dalla sola follia, non ha utilità e non ha senso. Il percorso fallimentare di Ulisse ci indica la necessità di ritrovare i «sentieri interrotti» nel passato.

Ulisse è un prodigioso simbolo che intuisce uno sviluppo che allora era ancora in germe. La conoscenza tecnico-scientifica (incluse la tecnica di governo e la tecnica militare), insieme alla conoscenza della Terra seguita alle scoperte geografiche, permetterà alla civiltà europea un balzo in avanti rispetto alle altre civiltà. C’è da osservare, però, che è uno sviluppo dell’intera umanità, che verrà raccolto in modo casuale dalla civiltà europea, perché allora era in formazione. Basti ricordare che i numeri, la carta, la polvere da sparo non sono invenzione europea, ma strumenti di cui essa si appropria.

Massimo Cacciari in un’intervista si chiedeva retoricamente: la civiltà europea ha seguito la strada di Enea o quella di Ulisse? Dante veder in anticipo il fallimento di civiltà insito nel dominio della cupidigia, lo vede nell’esplosione degli odi inconciliabili tra fazioni e tra città, che aveva causato il fallimento della civiltà cumunale, con-dannata interamente all’Inferno. Dopo la società comunale, il testimone storico, nella civiltà europea in formazione, passava ai regni (già con-dannati da Dante per la medesima cupidigia), mentre lo «maladetto fiore» , ovvero l’accumulazione capitalistica fiorentina e delle altre città italiane, finanzierà la prima delle guerre secolari tra Francia e Inghilterra, che accompagneranno il lungo parto abortito dell’Europa moderna. I Bardi e i Peruzzi, principali bancheri fiorentini, nel 1340 perderanno il capitale prestato al re d’Inghilterra, causando il fallimento a catena delle attività a loro collegate, e una grave crisi economica a Firenze (la prima crisi economica in senso moderno). Il capitale originario delle città italiane, si trasferirà, accumulandosi da egemone ad egemone. All’egemonia del fiorino subentrerà quella di altre monete, ma il simbolo del dollaro conserva ancora oggi la volontà di superare le Colonne d’Ercole. La derivazione indicata come più probabile della $ (il simbolo originale aveva due stanghette) deriva dalle due colonne avvolte da un nastro con la scritta «Plus ultra» raffigurati nel cosiddetto dollaro spagnolo. Secoli di conflitti egemonici nell’ambito del mondo europeo-occidentale, che hanno causato continue rivoluzioni nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, dello Stato, e della Tecnica, senza che nessuno Stato sia stato in grado da funzionare da principio ordinatore, fino all’esplosione finale della civiltà europea in due guerre mondiali. Il tutto all’interno di una progressiva accelerazione della storia che assomiglia alla caduta di un peso.

Ulisse è simbolo della progressione all’infinito, che comporta il continuo superamento dei limiti, ovvero il paradigma su cui viene a fondarsi la civiltà europea-occidentale. Devo rimandare alla I parte per il complesso rapporto tra grecità e romanità che si gioca intorno alla dismisura di Alessandro Magno, quale uno dei volti di Ulisse. Non è senza motivo che Dante scelga proprio un eroe greco per affermare, in negativo, quel principio della misura quale valore che maggiormente caratterizza il pensiero di Aristotele, e la cultura greca29.

Cos’è il senso del limite? Il ceppo posto dalla divinità davanti all’uomo per provocarne il superamento? Nel caso di Ulisse non è tanto il superamento delle Colonne d’Ercole, ma questo ulteriore viaggio, quando lui e i suoi compagni sono oramai vecchi e tardi, per vedere «il mondo sanza gente». Più che una sfida alla divinità, sembra il gesto folle, senza senso, di chi ha perso il senso della misura e della finitudine umana.

Ulisse non può che protrarre fino alle fine la stessa operazione, la scoperta di una nuova terra, da addizionare alla precedente. Avendo smarrito il fine terreno, che per Aristotele è anche un termine, non può che proseguire all’infinito, finché la sua finitudine di essere umano non metta la parola fine. Erano davvero per Dante, cristiano, le colonne un limite posto da Dio? Ai suoi tempi erano già state superate, come scriveva il suo maestro Brunetto Latini30. Le Colonne d’Ercole, mito pagano, non potevano avere per Dante un significato religioso, sono piuttosto un simbolo della necessità che le azioni umane abbiano uno scopo concreto, che costituisce anche un termine per l’azione stessa (Aristotele). L’agire di Ulisse non ha questo termine, il termine è il termine stesso, il continuo superamento, una terra, poi un’altra e un’altra ancora, finché incontra il limite, nella natura esterna, oppure nella nostra natura di esseri umani mortali, per questo Dante mette ben in chiaro che Ulisse è vecchio quasi decrepito. Andando sempre più oltre infine inevitabilmente ci si scontra con il limite. Il «trapassare del limite» (simbolico delle Colonne d’Ercole) ha il significato della perdita del senso della finitudine umana.

Smarrito il fine concreto in cui l’azione umana deve andare a concludersi, e spostandosi la finalità sul mezzo, l’azione effettua, in un loop infinito, la ripetizione della stessa azione.

Ulisse è come Don Giovanni del libretto di Lorenzo Da Ponte. A Don Giovanni non interessa che la nuova conquista sia alta o bassa, bruna o bionda, ricca o povera, basta che faccia numero, da annoverare nel catalogo tenuto da Leporello, a testimonianza della sua smisurata potenza sessuale. Come quella di Don Giovanni, quella di Ulisse è una tragicommedia. Don Giovanni non ha paura, non si tira indietro quando la statua del Commendatore lo invita a cena, contrappuntata dai commenti comici di Leporello. Provando a liberarci delle stratificazioni culturali createsi intorno alla figura di Ulisse, questo vegliardo ormai agli ultimi anni della vita che si mette in mare e incita i compagni ad andare a visitare la «terra senza gente», ci ricorda il vecchio che vorrebbe comportarsi come se avesse il vigore sessuale della gioventù. Come detto nel canto successivo, Ulisse era nell’età in cui bisogna «tirare i remi in barca». Se non proprio ilarità il comportamento di Ulisse suscita l’idea di un comportamento insensato, e tale è per Dante il suo «folle volo».

A causa della mitizzazione (l’«eroe della conoscenza»), non si è voluta vedere la comicità nel «canto di Ulisse». Necessariamente Virgilio opera un inganno ai suoi danni, se si fosse presentato nei suoi veri panni, l’eroe greco, che come tutti i dannati conoscono quanto è accaduto dopo di loro (l’aveva spiegato Farinata), si sarebbe rifiutato di parlare con chi aveva espresso pessimi giudizi su lui nell’Eneide. Quindi Virgilio, l’unico a conoscere il greco, parla ad Ulisse, fingendosi qualcun altro, un greco, forse Omero, come deduceva il Tasso qualche secolo fa. È legittimo ingannare l’ingannatore, è un altro contrappasso, e senza inganno sarebbe fallito l’obiettivo di farsi dire com’era morto, Dante personaggio ne è curiosissimo. Se non basta questa deduzione, pur necessaria, allora sentiamo come Virgilio liquida Ulisse (vien detto nel canto successivo), dismettendo il tono aulico e rivolgendosi a lui in mantovano: «Istra t’en va più non d’adizzo». Ora vai, non voglio più aizzarti. Ma forse per rendere il tono dovremmo usare un’espressione volgare (alle quali il Poeta non era estraneo): vai ora, e non rompere più il c… Secondo Francesco de Sanctis, il comico di Dante non fa ridere, ma in questo caso, se abbiamo presente l’inganno di cui è vittima Ulisse, dobbiamo ammettere che un certo grado di comicità non manca.

Come non manca il tragico, Ulisse è un eroe che persegue coerentemente il suo principio interiore, va fino in fondo al suo destino, fino al limite ultimo. Ma allo stesso tempo il suo è un comportamento insensato, il suo è un «folle volo». Per questo al tragico si deve aggiungere il comico. Ulisse è la prima figura di ereo tragicomico, nel senso della coesistenza di comico e tragico.

Il desiderio di conoscenza per l’uomo non si estingue mai, questa è una convinzione che fa parte non solo di Dante e della cultura alta. Tra i centinaia di detti ereditati da mia madre della cultura contadina vi è quello secondo cui «la vecchia a cent’anni diceva che aveva ancora da imparare». Vi è però anche un’età in cui mettere a frutto l’esperienza, in particolare Ulisse è nell’età senile in cui l’uomo «alluma non pur sé ma gli altri», o meglio, dovrebbe, secondo il comportamento consono alle diverse età descritto nel Convivio (IV, 27), invece prevale il personale desiderio di conoscenza, di cui continua a bruciare, quindi dovrà bruciare in eterno all’Inferno31.

Con l’estensione dell’analisi aristotelica della cattiva crematistica, l’analisi dantesca si avvicina, anticipandola, alla critica hedeideggeriana della volontà di potenza. Tralasciando la ricostruzione della nascita della metafisica, la volontà di potenza che culmina con Nietzsche è essenzialmente assenza di scopo, essa non ha altro scopo se non il proprio accrescimento. Scrive Heidegger: «Non è il nulla ciò di fronte a cui la volontà indietreggia spaventata, ma il non volere, l’annientamento della sua propria possibilità essenziale». Per gli stessi motivi Ulisse non può indietreggiare fronte al limite estremo, oltre il quale vi è «il mondo sanza gente». Rappresentazione molto efficace del nichilismo. Nietzsche: «Che cosa significa nichilismo? Manca il fine, manca la risposta al perché». Ulisse essenzialmente manca del fine.

La massima vicinanza è laddove Dante definisce, nel già citato passo, la cupidigia di conoscenza come desiderio di desiderio (chi mira al numero impossibile da raggiungere «desiderebbe sempre sé desiderare»). Per Nietzsche «la volontà di potenza vuole se stessa – e nient’altro», e di conseguenza il suo continuo accrescimento. Per questo, secondo Heidegger, la volontà di potenza è volontà di volontà32.

Il motivo per cui la critica della volontà di potenza di Heidegger così ben si adegua alla figura di Ulisse è più di una singolare coincidenza, considerato che il filosofo tedesco non risulta fosse un estimatore della Commedia, ma l’indicazione che entrambi hanno un trattato delle stesse questioni di fondo della cultura occidentale. La scienza, «la conoscenza in generale, sono una forma della volontà di potenza», ma «giunti ad avere nella storia dell’Occidente una potenza essenziale» 33 Nella Monarchia «la più alta facoltà dell’umanità è la facoltà o potenza intellettiva.» Per questo la perversione di questa facoltà ad opera della cupidigia è la forma più elevata di cupidigia.

La volontà di potenza nella Divina Commedia è incarnata da Dio («vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole»). La colpa di Ulisse è di voler essere come Dio. La divina volontà di potenza è ancora argine alla umana volontà di potenza. Con la «morte di Dio», inevitabilmente seguita alla sua umanizzazione, l’argine crolla.

Il cristianesimo fonda quell’identità tra volontà ed essere, e quindi l’identità tra volontà e potenza, cioè la potenza di portare ad essere quanto è nella mente del Creatore, come espresso dal celeberrimo passo appena citato.

«Quando Tommaso identifica in Dio essenza e volonta {“Est igitur voluntas Dei ipsa eius essentia”: Contra Gentiles, lib. 1, cap. 75, n. 2), egli non fa in realta che spingere all’estremo questo primato della volontà. Poiché ciò che la volonta di Dio vuole e la sua stessa essenza (“principale divinae voluntatis volitum est eius essentia”: ibid., lib. 1, cap. 74, n. 1), cio implica che la volonta di Dio vuole sempre se stessa, e sempre volontà di volontà. »

Secondo Giorgio Agamben, il concetto moderno di volontà è essenzialmente estraneo alla tradizione del pensiero greco e si forma attraverso un lento processo che coincide con quello che porta alla creazione dell’io.

Perché nasca l’oikonomia è necessario che il mondo sia frutto della Creazione e quindi determinato dalla volontà del Creatore. In generale il passaggio costituito dal cristianesimo e dalla filosofia medievale viene poco considerato da Heidegger, l’analisi di Agamben risulta quindi integrativa per il nostro discorso, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra la volontà di potenza e l’oikonomia che si afferma con il cristianesimo.

«Alla domanda “perché Dio ha fatto il cielo e la terra?”, Agostino risponde: “quia voluit”, “perché così ha voluto” (A u g ., Gen. Man., 1, 2,4). E secoli dopo, al vertice della scolastica, l’infondabilità della creazione nell’essere è chiaramente ribadita contra Gentiles da Tommaso: “Dio non agisce per necessitatem naturae, ma per arbitrium voluntatis” {Contra Gentiles, lib. 2, cap. 23, n. 1). La volontà è, cioè, il dispositivo che deve articolare insieme essere e azione, che si sono divisi in Dio. Il primato della volontà, che, secondo Heidegger, domina la storia della metafisica occidentale e giunge con Schelling e Nietzsche al suo compimento, ha la sua radice nella frattura fra essere e agire in Dio ed è, pertanto, fin dall’inizio solidale con l’oikonomia teologica»34.

Il peccato di Ulisse è voler acquisire una volontà di potenza che è propria di Dio. Ulisse di Dante, eroe cristiano nel suo essere individuo, è espressione della natura contraddittoria del cristianesimo che è stato tanto generatore della volontà di potenza, quanto suo freno. D’altronde, questa contraddizione non è nella stessa Bibbia? Per quale motivo furono condannati Adamo ed Eva per aver mangiato dall’albero della conoscenza se essi erano stati fatti ad immagine e somiglianza di Dio?

Come scrisse Marx nelle Tesi su Feuerbach finora per quanto riguarda la conoscenza il «lato attivo è stato sviluppato, in modo astratto e in contrasto col materialismo, dall’idealismo, che naturalmente ignora l’attività reale, sensibile come tale». L’uomo non si limita a conoscere la realtà, l’uomo è creatore, crea il suo mondo con la sua attività. Il platonismo, il cristianesimo, l’idealismo sono stati espressione della facoltà creativa dell’essere umano, destinato naturalmente ad un diverso rapporto con la natura, che non gli ha fornito artigli per difendersi, arti adeguati alla corsa, una pelliccia per difendersi dal freddo e dal caldo. Che questo rapporto abbia portato l’essere umano, in primis occidentale, in rotta di collisione con la natura, non significa che debba essere rinnegato in toto.

La Commedia è una delle massime espressioni poetiche della divinizzazione dell’essere umano (pensiamo a come si conclude) insita nel creazionismo, che inevitabilmente comporta la scomparsa della trascendenza. Ciò che solo trascende l’essere umano è la natura infinita ed eterna che lo ha generato, e che non è stata creata da nessun Dio (Eraclito). Ma ne è stato allo stesso tempo l’autocritica, di cui l’Ulisse è la creazione più significativa. .

Nel cristianesimo dantesco la trascendenza della natura si presenta accoppiata con la sua antropomorfizzazione («Dio, l’eternitate e la prima materia»). Questo consente a Dante di con-dannare il viaggio di Ulisse che vuole essere simile a Dio, salvo poi realizzarlo con successo egli stesso grazie alla grazia (se mi passate il gioco di parole).

In conclusione del suo viaggio Dante incontra Dio, che non è altri che noi stessi. Il cristianesimo, la religione cede il passo alla divinizzazione dell’uomo, all’umanesimo scientifico. All’uomo religioso medioevale subentra l’uomo vitruviano di Leonardo, l’effige del Dio-Uomo inscritta nel cerchio e nel quadrato, commisurazione di infinito e finito, vista in conclusione del suo viaggio da Dante. Una storia che ha condotto, nei nostri giorni all’illusione, attraverso la Tecnica, di una completa padronanza del mondo. Ma Ulisse resta nell’Inferno ad ammonirci con il ricordo dell’inevitabile naufragio a cui conduce questa rotta.

Come ha scritto Emanuele Severino, l’inversione di mezzo e scopo prima di verificarsi nel denaro si verifica in ambito teologico, Gesù invece di essere tramite a Dio, diventa esso stesso scopo, così come il denaro invece che mezzo di scambio diventa scopo stesso dello scambio35.

Gli Dei nell’antica Grecia erano un tramite alla natura non generata e infinita, ma ad un certo livello di sviluppo della conoscenza umana sorge nell’essere umano (occidentale) l’illusione di potersi ergere al di sopra della natura, di diventarne il creatore, così come si era fatto creatore del proprio mondo umano. Questo ergersi dell’essere umano al di sopra della natura crea l’inversione di mezzo e scopo. Perso il senso del limite posto dalla Natura lo si perde anche nella società, così sorge l’illusione dell’oikonomia, l’illusione di poter amministrare l’intera società come se fosse la propria casa, che non fosse necessario gestire politicamente la natura umana (come ritiene Aristotele), ma che questa fosse determinabile e plasmabile a piacere.

Oggi indichiamo con il termine «economia» ciò che per Aristotele era la crematistica, ovvero l’arte di acquisire i beni e la ricchezza. Sebbene nella Politica la distinzione non è chiara, vi è una crematistica buona (i beni sono pur sempre necessari alla polis) fondata sul valore d’uso (più vicina scrive Aristotele all’amministrazione della casa, all’economia, in quanto questa fondata sul valore d’uso, ma non a questa identica) e in una cattiva che ha come fine l’accrescimento delle ricchezze nella forma monetaria, basata sul valore di scambio (ciò che successivamente abbiamo chiamato capitalismo). L’economia, per Aristotele, riguarda l’amministrazione della casa sulla base delle decisioni prese dal suo padrone e quindi non è soggetta a deliberazione politica. La crematistica invece riguarda l’intera collettività e quindi sarebbe soggetta a deliberazione politica. Che il singolare qui pro quo non sia casuale? Che vi fosse insito dal principio l’idea dell’amministrazione del mondo come fosse una casa proprietà di un padrone? In questa frattura tra essere e prassi determinata dal creazionismo sorge l’oikonomia divina, che secolarizzata porta all’idea di una completa amministrabilità del mondo. Proprio perché il mondo è plasmabile a piacere e non vi più alcun limite nella natura, sorge l’idea di una possibile crescita all’infinito della potenza economica. In breve, l’affermarsi di una sfera dell’oikonomia (mondo amministrato) è condizione necessaria per il perseguimento dell’illimimato, in quanto comporta la caduta dei limiti naturali che in precedenza erano da ostacolo. Il denaro, da quando aveva acquisito una nuova funzione ai tempi di Dante, non ha cessato di evolversi. Marx scriveva che l’anatomia della scimmia si può comprendere solo in base all’anatomia dell’uomo, per dire che talune strutture sociali si comprendono solo quando sono giunte alla loro piena formazione. Così possiamo analizzare in prospettiva la nuova funzione del denaro che nasce in Italia circa 7 secoli fa, vista da Dante nella Firenze del suo tempo. Oggi, con la virtualizzazione della moneta è possibile un enorme controllo sulla società, con un solo click sarebbe possibile, in un futuro non tanto lontano, tagliare a chiunque i mezzi di sussistenza (anzi è già stato fatto in Canada e Germania con taluni giornalisti «dissidenti» che si sono recati nel Donbass). Così si realizza il significato effettivo del termine economia, ovvero la gestione, l’amministrazione della società come se fosse una casa di proprietà del padrone. Il capitale è dall’inizio una nuova forma di potere sulla società che, insieme alla concentrazione del potere coercitivo nello Stato, consente, tra l’altro, l’abbandono della schiavitù perché si stabilisce un nuovo potere di controllo più efficace.

Il motivo per cui Dante risulta tra i classici più citati nel Capitale non è dovuto alla sola ammirazione artistica di Marx, ma viene, ritengo, da una affinità più profonda. Così come la via d’uscita dal vicolo cieco della società comunale italiana è verso un monarchia universalista oikonomica, in cui l’imperatore dantesco sopprimendo tutte le cupidigie, trasforma il mondo in una casa di sua proprietà, dove vige solo la sua volontà. Così nel comunismo marxiano la via d’uscita dal vicolo cieco della civiltà europea dopo la sconfitta di Napoleone è verso un universalismo oikonomico chiamato comunismo, dove si estingue la famiglia, lo Stato, i principali corpi intermedi. Motivo per cui Preve applicava giustamente al comunismo il concetto hegeliano di furia del dileguare. Critica che si applica ugualmente all’universalismo dantesco. Marx pensava come Dante che si dovesse porre fine all’illimitato (nell’economia, a differenza di Dante che lo riscontrava anche nella sfera del potere e della conoscenza), e che si potesse giungere con il comunismo ad una padronanza decisiva sulla società, una convinzione molto interna all’oikonomia. Engels ebbe solo il merito dell’enunciazione esplicita della sostituzione dello Stato con «l’amministrazione delle cose»36. Sia Dante che Marx partono da Aristotele, ma finiscono per negare quell’assunto fondamentale della Politica secondo cui i rapporti tra gli esseri umani nella polis devono essere governati politicamente, non si può estendere l’amministrazione della casa (oikonomia) all’intera polis. Dante quindi deve essere inseparabile da Machiavelli nella nostra cultura, figlio di Dante non solo per il modello della romanità (fu il poeta a rovesciare il primo a rovesciare il giudizio complessivamente negativo del cristianesimo sulla romanità), ma anche nella sua opposizione a lui quale pensatore del conflitto, ineliminabile, e quindi da gestire politicamente.

A ragione, Costanzo Preve in Storia alternativa della filosofia ritiene Marx, e Heidegger per la critica della volontà di potenza, i maggiori critici della società occidentale, ma allo stesso tempo rileva che condividono entrambi un medesimo eurocentrismo che proviene da Hegel. Solo Lenin contribuì a «diminuire l’occidentalismo marxiano», per il suo antimperialismo che fu dovuto più che altro all’intuito politico di Lenin, anzi sia Marx che Engels furono complessivamente favorevoli all’imperialismo inglese.

Bisognerebbe ricostruire una teoria filosofica e politica adeguata al mondo multipolare che tenga conto della presenza di altre civiltà, che superi il radicatissimo eurocentrismo (oggi occidentalocentrismo), ma allo stesso tempo radicata nella nostra non trascurabile eredità culturale, che stiamo letteralmente buttando via.

Al suo tramonto, abbiamo della civiltà europea-occidentale due critiche radicali (nel senso marxiano, che intendono andare alla radice del problema).

La critica dell’oikonomia da parte di Marx che però resta nell’ambito dell’oikonomia (anche in questo molto affine a Dante). La sua teoria resta fondamentale per l’analisi del capitalismo, ma non ha strumenti per definire il ruolo nella storia dell’identità culturale (civiltà). Dalle civiltà storiche derivano le principali potenze che contendono l’egemonia mondiale statunitense.

La seconda, è una critica della civiltà occidentale, la critica della volontà di potenza, ovvero il paradigma su cui viene a fondarsi la civiltà occidentale che si origina dalla «metafisica» di Platone, si estende dal cristianesimo, fino alla Tecnoscienza dei nostri giorni, trovando la massima espressione in Nietzsche. Assente la questione del rapporto con le altre civiltà, tale critica riguarda la salvezza della civiltà occidentale, che per un certo periodo coincide con l’egemonia mondiale della Germania, per poi lasciare spazio al pessimismo filosofico: «Non c’è più niente da fare, solo un Dio ci può salvare»

Il giovane filosofo Diego Fusaro37, nel libro La notte del mondo, ha cercato ciò che unisce Marx e HeideggerEcco, io vedo, andando all’indietro, una loro congiunzione in Dante. All’alba del mondo moderno, egli vede un’unica cupidigia, di ricchezze (il comportamento dell’avaro diventato norma sociale), di conoscenza, espressione dalla volontà di potenza di Ulisse, di potere (regnanti e papi), nell’imperialismo di Firenze mosso dalla sola cupidigia di ricchezze. Sì, Dante ha una cognizione dell’imperialismo, che nel marxismo verrà dopo Marx.

La visione dantesca sa contenere in sé sia la dimensione culturale, filosofica e religiosa sia la cruciale questione del sorgere dell’oikonomia.

In conclusione, ecco perché l’invettiva contro Firenze si trova in apertura del «Canto di Ulisse». La cupidigia o volontà di potenza unisce Firenze e Ulisse, cupidigia di cui quest’ultimo è espressione intellettuale. Il viaggio di Ulisse avviene all’insegna del «maladetto fiore», la logica con cui Ulisse compie il suo viaggio è la stessa dell’«avaro maladetto» che mira al «numero impossibile a giugnere». L’imperialismo fiorentino non è guidato dalla virtù romana, ma dalla brama illimitata di denaro e di possesso.

La filosofia dantesca è universalistica, la sua Monarchia è un impero universale. Possiamo dire che tutte le religioni e filosofie imperiali sono universalistiche, mirano per loro natura ad includere «tutti gli uomini», vale per il cattolicesimo, il cristianesimo ortodosso, l’islamismo, il liberalismo e il comunismo. Fu proprio per il suo indirizzo universalistico che il comunismo potè essere una sfida globale al liberalismo. Tuttavia, l’universalismo dantesco seppe contenere al suo interno il senso del limite. Le colonne d’Ercole sono un simbolo nato dall’antico limite naturale della civiltà greco-romana, prettamente mediterranea. Limite che i Greci varcarono con Alessandro Magno (uno dei volti di Ulisse, come abbiamo visto nella parte precedente) le cui conquiste segnarono la fine della civiltà greca, la cui eredità fu raccolta e salvata dai romani, i quali invece nel complesso, fra alterne vicende, convissero seppur in modo conflittuale, con l’impero partico. Con la modernità questo limite «naturale» è scomparso, ma ne è sorto uno nuovo nella presenza di altre civiltà dotate di armi atomiche. Dobbiamo imparare a riconoscere questo limite, se vogliamo con-vivere con le altre civiltà della Terra.

Ha davvero qualcosa di prodigioso la figura di Ulisse, in cui Dante ha saputo racchiudere e presentire tutto uno sviluppo successivo, reso possibile dalle scoperte geografiche e scientifiche, dall’espansione economica e imperialistica (contrapposta alla prassi imperiale di Roma). Ora che Ulisse, l’uomo occidentale, è giunto al limite estremo, deve decidere se proseguire nella rotta che lo porta al «mondo sanza gente», oppure ritornare a Itaca per rimettere ordine nella sua patria.

1« … è vero quanto notava Gorni: “l’Inferno dantesco è popolato di personaggi che recano il segno trino di una divinità negata”, a cominciare dalle tre fiere; dal ricordato Cerbero che con le tre teste che caninamente latrano e gli altri suoi tratti è la prima impressionante ‘figura’ di Lucifero, e proprio come lui è definito «il gran vermo» (Inf. VI, 22, e XXXIV, 108); da Gerione che al corpo umano aggiunge quello di leone, serpente e scorpione… tutti animali, dunque, variamente connotati della mostruosità alla quale apertamente si riallaccia Lucifero con quella cresta da drago alla quale convergono, al sommo della testa, le sue tre facce. Quanto al loro significato, ancora oggi può ben valere quanto chiosava Pietro di Dante: “ut in Deo est potentia, sapientia, et amor summus, sic in isto per oppositum est impotentia, ignorantia, et odium summum: et haec tria in tribus ejus capitibus significantur”» Enrico Fenzi, Lucifero, Academia.edu

2Giovanni Pascoli, Sotto il velame. Saggio di un’interpretazione generale del poema sacro. e-book

3V. voce Avaro, Enciclopedia Dantesca Treccani online

4Cfr. Gianfranco Contini, Dante come personaggio-poeta della “Commedia”. In Varianti e altra linguistica, Torino: Einaudi, 1970

5V. voce Superbia e superbi, in Enciclopedia dantesca Treccani online

6Per questo non c’è contraddizione tra la confessione a Beatrice della propria cupidigia e la confessione della propria superbia in Purg 13, 136-38

7Maria Gabriella Riccobono, Portar nel tempio le cupide vele, Academia.edu

8«Sulla base della notissima sentenza paolina “radix enim omnium malorum est cupiditas” (Tim 6, 10), l’avarizia, intesa in senso generale, ovvero, con Tommaso, come ogni desiderio smodato di ottenere qualsiasi cosa: “nomen avaritiae ampliatum est ad omnem immoderatum appetitum habendi quamcumque rem” (ST II-II, q. 118, a. 2co), oppure, con Agostino, come desiderio di possesso per amore di se e della propria eccellenza: “si avaritiam generalem intellegamus, qua quisque appetit aliquid amplius quam oportet, propter excellentiam suam, et quemdam propriae rei amorem”, diviene nel medioevo il principale peccato della cristianita, arrivando ad includere, assieme all’attaccamento ai beni materiali, anche la brama di potere, di onori e di sapere, e contendendo cosi alla superbia il primato di massimo vizio del settenario, come spiega ancora Tommaso sulla scorta della stessa sentenza paolina: “sic enim ex amore rerum temporalium omne peccatum procedit” (ST I-II, q. 84, a. 1). In quanto tale, l’avarizia, che e esecrata gia nelle Scritture come una vera e propria forma di idolatria, risulta essere “il vizio di cui si e scritto di piu per tutto il Medioevo”. Che la cupidigia domini il mondo non e dunque convinzione del solo Dante, che nel vizio incarnato dalla lupa pure riconosce nel canto proemiale la principale causa di perdizione dell’umanita, e quindi lo maledice, in quanto tale, non solo nella Commedia (al “maladetto lupo” del v. 8 si aggiunga la gia ricordata invettiva di Purg. XX, 10-12: “Maladetta sie tu, antica lupa / che piu di tutte l’altre bestie hai preda / per la tua fame sanza fine cupa!”), ma con pari veemenza gia nella canzone Doglia mi reca (vv. 78-80: “Maladetta tua culla… maladetto lo tuo perduto pane…”) e nella circostanziata analisi del vizio del Convivio (Conv. IV, xv, 8-9) “e in questo errore cade l’avaro maledetto…”».

Roberto Rea, La paura della lupa e le forme dell’ira (lettura di Inferno VII, Academia.edu

9«Cupidigia is a “super-vice”: an unbridled desire that is a composite of three of the sins of incontinence; it embraces excess desire for carnal pleasure, excess desire for food, and excess desire for money, honors, and advancement.» https://digitaldante.columbia.edu/dante/divine-comedy/inferno/inferno-12/

10Paolo Falzone, Dante e il mondo animale, Academia.edu

11Teodolinda Barolini, Multiculturalismo medievale e teologia dell’inferno dantesco, Dante: Rivista internazionale di studi su Dante Alighieri, Vol. 2 (2005)

12Teodolinda Barolini, Ora parrà di Guittone, Doglia mi reca di Dante e l’anatomia del desiderio nella Commedia, Academia.edu

13«Credo sia proprio questo il significato della lonza: l’oro, la ricchezza, e non la lussuria. Anche perché l’apparizione successiva dei tre animali sta ad indicare, oltre la gerarchica già considerata, un rapporto di causalità -Gorni (1995: 23-55), le cui preziose osservazioni tengo molto presenti, a questo proposito parla di metamorfosi della “bestia”-, e non vedo la relazione tra lussuria (almeno che non sia intesa nel suo significato latino di ‘vita lussuosa’) e il significato attribuito al leone (superbia) e alla lupa (cupidigia): la lussuria non genera superbia e non ha niente a che vedere con la cupidigia. Sì invece le ricchezze, dalle quali nasce la superbia: “ex divitiis nascitur superbia” (Alain de Lille: vox dives) e la cupidigia (cfr. Pg. XXII, 40-41: “Perché non reggi tu, o sacra fame / de l’oro, l’appetito de’ mortali?”), se si considera che è “un desiderio disordinato di possedere ricchezze” (S. Theol. II-II C.118 a.2), ma -come si è visto sopra- in un senso ampio era definita pure come un desiderio smisurato, non soltanto di danaro, ma anche di scienza (ibid.)».Carlos López Cortezo, Le promesse della filosofia. Analisi del proemio della Commedia, Academia.edu

14Per una buona e dettagliata discussione del rapporto tra Dante e il proto-capitalismo fiorentino v. Francis R. Hittinger, Dante as Critic of Medieval Political Economy in Convivio and Monarchia, https://academiccommons.columbia.edu/doi/10.7916/D87P962W/download

15E. Fenzi, Tra etica del dono e accumulazione. Note di lettura a Doglia mi reca ne lo core ardire, in Id., Le canzoni di Dante. Interpretazioni e letture, Le Lettere, Firenze 2017

16 Marx, K., Il capitale, Roma, Editori Riuniti, I, 1, p. 164.

17Vittorio Sermonti, Il purgatorio di Dante, Garzanti 2021, e-book

18«Agostino nel De libero arbitrio aveva cercato, senza grande successo, di risolvere il contrasto tra Vecchio (Ecclesiastico) e Nuovo Testamento (San Paolo) in modo diretto, attraverso una dilatazione, un allargamento del concetto di avarizia. Definendo quest’ultima come desiderio smodato e disordinato di ogni cosa (non necessariamente di solo denaro), Agostino interpreta la celebre frase di San Paolo come a significare la forza del bramare, e non tanto l’oggetto del desiderio (avarus, infatti, da aveo, è l’avido – non importa di che cosa). Lucifero cade per avarizia; non però per amore del denaro, bensì del potere. È questo un punto che verrà confermato successivamente da Gregorio Magno: «L’avarizia ha a che fare non solo col denaro ma anche con le alte posizioni; giustamente si parla di avarizia quando il prestigio è ricercato oltre misura». (Si tenga presente che era stato Girolamo a tradurre con cupiditas, da cui avaritia, il termine greco philargyria, che propriamente sta per “amore del denaro”. Come vedremo, tale slittamento semantico sarà poi all’origine di non poche incomprensioni ed equivoci).
Va da sé che dilatando in tal modo la nozione di avarizia, essa finisce con il coincidere di fatto con la superbia, che è appunto la ricerca ossessiva delle «alte posizioni». È per questo che il tentativo di mediazione operato da Agostino non avrà successo: esso non accontenta pienamente nessuno e soprattutto non è funzionale alle esigenze di stabilità dell’ordine sociale dell’epoca.»

Stefano Zamagni, AvariziaLa passione dell’avere. I 7 vizi capitali, Il Mulino, 2009, p. 15

«La superbia fu l’origine di tutti i mali; l’orgoglio di Lucifero fu il principio e la causa di ogni rovina. Questa era la visione di Agostino e tale rimase la concezione dei posteri: l’orgoglio è la fonte di tutti i peccati, che crescono da esso come il tronco dalla radice. Tuttavia accanto al passo biblico, che confermava questa opinione: “A superbia initium sumpsit omnis perditio”, ve n’era un altro: “Radix omnium malorum est cupiditas”. Pertanto si poteva considerare anche l’avidità come la radice di tutti i mali, poiché per “cupiditas”, che come tale non si trova nella serie dei peccati capitali, si intendeva qui “avaritia”, come era riferito anche in un’altra lezione del testo. E sembra che, soprattutto dal XIII secolo in poi, la convinzione che sia l’avidità sfrenata a corrompere il mondo scacci l’orgoglio dal suo posto di primo e più fatale dei peccati nel giudizio delle genti. L’antico primato teologico della superbia viene scalzato dal sempre più forte coro di voci che attribuiscono tutti i guai dei tempi alla sempre crescente avidità. Come l’ha maledetta Dante: la cieca cupidigia!»

Johan Huizinga L’autunno del medioevo, Roma, Newton Compton, 1992, p. 46

19E. Fenzi, Tra etica del dono e accumulazione, cit

20 « … lo scopo costituisce il fine, il quale è tale che non è in vista di un altro scopo, ma le altre cose sono in vista di esso, sicché, se c’è un fine ultimo, non si andrà all’infinito; ma se non c’è nessun fine ultimo, non ci sarà lo scopo. Coloro i quali ammettono l’infinito non si rendono conto che eliminano anche la natura del bene: eppure nessuno tenterebbe di fare nulla, se non avesse la prospettiva di pervenire a un limite. E non esisterebbe neppure intelligenza, perché chi ha intelletto agisce sempre in vista di qualche cosa, e questo è un limite: il fine infatti è un limite.
Ma non è neppure possibile ricondurre la definizione dell’essenza sostanziale a una definizione via via più dettagliata, perché il titolo maggiore di definizione ce l’ha la prima, nella serie che si otterrebbe, e non l’ultima, e se 20 non è definizione la prima, non lo è neppure la successiva. Inoltre coloro che sostengono questa dottrina eliminano anche il sapere scientifico, perché non è possibile conoscere prima di essere arrivati ai termini indivisibili. E non sarà possibile neppure la conoscenza, perché come è possibile pensare cose infinite in questo senso? Diverso è il caso della linea, che può essere divisa indefinitamente, ma che non può essere pensata, se non si arresta la divisione (e perciò non può contare le operazioni di divisione chi le prosegue all’infinito); ma è necessario pensare anche la materia in una cosa che si muove. E non può esistere nulla d’infinito: se esistesse non sarebbe infinito l’essere dell’infinito.
E non sarebbe possibile il conoscere neppure se le specie delle cause fossero di numero infinito, perché crediamo di conoscere soltanto quando conosciamo ciò che è causa; e non è possibile percorrere in un tempo finito ciò cui si possono aggiungere parti all’infinito». Metafisica II 2, ed. Utet, 2013

21Bruno Nardi, Dal convivio alla commedia, cit. p. 74

22«Niente di finito può quietare il desiderio dell’intelletto. E lo dimostra il fatto che l’intelletto, data una qualsiasi cosa finita, escogita qualche cosa che la sorpassa: data, p. es., una qualsiasi linea finita, può concepirne una più estesa; e lo stesso si dica dei numeri. Questa è appunto la ragione dell’infinita addizionalità dei numeri e delle linee geometriche. Ora, l’altezza e la virtù di qualunque sostanza creata è finita. Quindi l’intelletto delle sostanze separate non si acquieta per il fatto che conosce delle sostanze create, per quanto eminenti, ma col desiderio naturale tende a conoscere una sostanza di dignità infinita, quale è appunto la sostanza divina». Somma contra gentili, III, 50, ed. UTET, 1997

23: «His men, his “brothers,” now show their real relationship to Ulysses: it is an instrumental one. They are his oars». R. Hollander (Ed.), Dante Alighieri, Inferno, New York, 2002, p. 493

24Teodolinda Barolini, Multiculturalismo medievale … cit.

25«Questo dissidio tra due affermazioni, una apertamente mistica, l’altra tendenzialmente razionalistica, dissidio che riflette il carattere della cultura dantista nel Convivio, formata di elementi filosofici frammisti a elementi teologici, non ancora ben fusi tra loro, anzi spesso discordanti gli uni dagli altri, ucciderà la donna gentile come simbolo unitario della Filosofia, e condurrà, nella Monarchia, a una netta separazione della filosofia umana dalla dottrina rivelata.» B. Nardi, Nel mondo di Dante, cit. p. 228

26«Nella Commedia la prospettiva di Convivio, III, 15 è dunque ribaltata. Il desiderio naturale di sapere — diceva il trattato — deve poter conseguire già in questa vita la sua completa realizzazione, altrimenti sarebbe una potenza vana; ancorché naturale, il desiderio di sapere — afferma invece la terzina del Purgatorio — è recato all’atto da un agente sovrannaturale (la grazia): o in questa vita per speciale privilegio concesso da Dio (ed è in fondo il caso che Dante immagina per sé) o nella vita futura, allorché l’uomo che avrà ben meritato sarà ammesso a godere della visione beatifica. Tanto la tesi del Convivio si discosta da quella tomasiana, quanto il senso di questi versi le è invece omogeneo, sicché non sembra improprio sostenere, con Nardi (attraverso Tommaso), che nella Commedia «mortalis ista felicitas (…) ad immortalem felicitatem ordinatur».» P. Falzone, Desiderio della scienza …, cit. p. 251

27«Non è evidente che, esemplare perfetto dell’umano desiderio di sapere, e perciò della scienza e della connessa virtù, da quello, dal desiderio che lo possedeva e lo assoggettava a sé come al suo proprio destino, il personaggio era (se l’espressione non appaia enfatica) insieme condannato e, in senso specifico, salvato? Era salvato dalla forza medesima che lo condannava e che, per la sua irresistibilità, lo rendeva innocente. Era dannato perché, in questa peculiare situazione, innocente com’era nel prestare ascolto alla voce che lo soggiogava, da questa era spinto verso il luogo della sua catastrofe dove, “perduto” , scomparve.» Gennaro Sasso, Ulisse e il desiderio: Il canto XXVI dell’Inferno, Viella, 2011, p. 64

28K. Marx, Il capitale, cit. p. 185

29«Secondo Hegel, i Greci hanno “ad un tempo animato ed onorato il finito”. Animare il finito significa ovviamente rinunciare al concetto biblico-cristiano di creazione, e riconoscere al finito la capacità potenziale di automovimento e di direzione verso la propria finalità che il finito stesso contiene in sé (dynamei on). Onorare il finito significa cercare la perfezione non in un infinito smisurato ed indeterminato (apeiron, aoriston), ma proprio nel finito stesso, che è perfetto proprio perché è finito

Costanzo Preve, Per una storia alternativa della filosofia, Petite Plaisance, 2013, p. 155

30«Era in anticipo sui tempi, il progetto dei Vivaldi? Ma lo stretto di Gibilterra era stato già violato, e con successo. Non alludiamo semplicemente alla rotta in direzione nord, testimoniata da Brunetto Latini in un disteso passo del Tesoretto (vv. 1043-1062), che spira la superiore serenità dell’uomo colto. È persino arguto, Brunetto: le Colonne d’Ercole, ci assicura, sono state varcate, dopo la morte del semidio, da gruppi desiderosi di nuovi stanziamenti, che sono «oltre passati, / sì che sono abitati / di là in bel paese / e ricco per le spese». Dovrebbe essere, questa fiorente contrada, la Gran Bretagna. Evidentemente, risalire l’Atlantico alla volta di spiagge settentrionali non era, nella percezione del tempo, la violazione di un tabù. Lo era invece cercare, al di là delle Colonne, le sconosciute acque meridionali, le rive misteriose dell’Africa? Neanche la direzione sud, in verità, rimaneva vergine, la marineria italiana aveva preso a sondarla. Tant’è: nel 1291, la costa atlantica del Marocco veniva stabilmente vigilata da una flotta in armi agli ordini di un ammiraglio genovese. Lo scorcio finale del XIII secolo, insomma, schiudeva possibilità piuttosto che incentivare timori: la navigazione oceanica poteva apparire praticabile in ogni senso, almeno a ridosso di masse continentali; e, se praticabile, anche lecita. »
S. Cristaldi, Il richiamo del lontano, cit. p. 269

31Cfr. Mario Trovato, Il contrapasso nell’ottava bolgia, Dante Studies, No. 94 (1976)

32«La volontà umana “ha bisogno di una meta — e preferisce volere il nulla piuttosto che non volere” [Nietzsche]. Infatti la volontà, in quanto volontà di potenza, è: potenza di potenza, o, come possiamo dire ugualmente bene, volontà di volontà, volontà di rimanere al di sopra e di poter comandare. Non è il nulla ciò di fronte a cui la volontà indietreggia spaventata, ma il non volere, l’annientamento della sua propria possibilità essenziale. L’orrore del vuoto del non volere — questo « horror vacui » — è il “fatto fondamentale della volontà umana”. E proprio da questo «fatto fondamentale » della volontà umana, cioè che essa preferisce essere volontà del nulla piuttosto che non volere, Nietzsche ricava la prova della sua tesi che la volontà è, nella sua essenza, volontà di potenza.

La volontà in quanto volontà di volontà, è volontà di potenza nel senso dell’autorizzazione alla potenza». In quanto existentia essa sarebbe rappresentata dall’eterno ritorno dell’identico: “Poiché vuole l’ultrapotenziamento di se stessa, la volontà non si acquieta a nessun livello di vita, per elevato che sia. La volontà esercita la potenza nell’oltrepassamento del suo stesso volere. Essa ritorna costantemente a se stessa come uguale a se stessa”» .

M. Heidegger, La sentenza di Nietzsche “Dio è morto”, in Sentieri interrotti, tr. it. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968, p. 218

« …che cosa intende Nietzsche stesso con il termine « volontà di potenza »? Che cosa significa volontà? Che cosa significa volontà di potenza? Queste due domande sono per Nietzsche un’unica domanda; infatti per lui la volontà non è altro che volontà di potenza, e la potenza non è altro che l’essenza della volontà. La volontà di potenza è allora volontà di volontà, cioè volere è volere se stesso. »

Heidegger, Nietzsche, Adelphi, 1994, p. 49

«Per che cosa si lotti è, pensato e auspicato come fine con un contenuto particolare, sempre di importanza secondaria. Tutti i fini della lotta e le grida di battaglia sono sempre e solo strumenti di lotta. Per che cosa si lotti è già deciso in anticipo: è la potenza stessa che non ha bisogno di fini. Essa è senza-fini, così come l’insieme dell’ente privo-di-valore. Questa mancanza-di-fini fa parte dell’essenza metafisica della potenza. Se mai qui si può parlare di un fine, questo fine è la mancanza di fini dell’incondizionato dominio dell’uomo sulla terra. L’uomo di questo dominio è il super-uomo (Uber-Mensch). (Ivi, p. 638).

33Ivi, p. 409

34G. Agamben, Il regno e la gloria, cit, p. 72

35La filosofia futura, Rizzoli, 1989 p. 69

36Al posto del governo sulle persone appare l’amministrazione delle cose e la direzione dei processi produttivi. Lo Stato non viene “abolito”: esso si estingue» (Engels, Antiduhring)

37 Riporto questo passo che maggiormente riguarda le questioni da me trattate:
«Sia che lo si chiami kapitalistische Produktionsweise, secondo la definizione di Marx metabolizzata dai suoi eterodossi allievi del Novecento, sia che lo si etichetti come Technik, in accordo con il lessico di Heidegger e dei suoi epigoni, il sistema della produzione mondializzata, nella sua anonima autoreferenzialità di un minaccioso dispositivo che signoreggia gli uomini, presenta una dinamica di sviluppo illimitata e illimitabile: marxianamente, il capitale persegue il telos del proprio incremento smisurato, proprio come, heideggerianamente, la tecnica rincorre lo scopo del proprio irrelato e insensato autopotenziamento, in una cornice di mero nichilismo antiumanistico, in cui il mercato diventa il solo valore direttivo.»

19

http://www.gennaroscala.it/

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

IL SABOTAGGIO DEL NORD STREAM: UN ATTO DI GUERRA CONTRO LA RUSSIA E L’EUROPA NELL’INTERESSE DI WASHINGTON E DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI? di PIERRE-EMMANUEL THOMANN

Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream e il dibattito su chi ne sia responsabile rimarranno uno dei grandi episodi di disinformazione del campo atlantista nel conflitto in Ucraina. Probabilmente non ci sarà mai una conferma ufficiale di chi ha ordinato questo atto di terrorismo di Stato, perché si sta facendo di tutto per insabbiare il tutto.

I governi interessati, Berlino e Parigi in particolare, sono in uno stato di complice stupore. Il loro silenzio su questa vicenda, o il rimescolamento delle tracce, sostenuto dai media dominanti e dagli pseudo-esperti che passano in loop sulle televisioni per trasmettere le narrazioni atlantiste, si spiega facilmente. Non possono rivelare al loro popolo che il loro cosiddetto principale alleato, Washington, ha commesso un atto di guerra contro i suoi stessi alleati, poiché ciò dimostrerebbe che il conflitto in Ucraina è una guerra provocata e mantenuta da Washington, non solo contro la Russia, ma contro l’intera Europa. L’intero discorso della cosiddetta unità occidentale e transatlantica verrebbe irrimediabilmente incrinato.

Non appena i gasdotti sono esplosi nel settembre 2022, mentre la Russia è stata immediatamente additata dagli esperti al servizio del campo atlantista, Mosca ha accusato Washington di essere dietro questo atto terroristico. Le rivelazioni del giornalista investigativo americano Seymour Hersh[1] sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream hanno tuttavia rafforzato la tesi della responsabilità di Washington. Non sorprende che questa versione sia stata messa al bando dai media mainstream, portavoce dei governi degli Stati membri dell’UE e della NATO. Il maldestro tentativo di diversione di Washington attraverso il New York Times[2], che indicava la responsabilità di un gruppo filo-ucraino, non ha convinto nessuno e il Ministro della Difesa ucraino è stato costretto a smentire, un raro episodio in cui il regime di Kiev è stato costretto a contraddire il suo mentore[3].

Va inoltre ricordato che Washington aveva esplicitamente annunciato l’intenzione di sbarazzarsi dei gasdotti per voce del presidente Biden[4]. Gli Stati coinvolti nell’inchiesta hanno anche sottolineato che i risultati delle indagini sarebbero rimasti confidenziali, poiché la verità non è ovviamente bella da raccontare[5]. L’ipotesi che Washington sia responsabile del sabotaggio dei gasdotti Nord Stream è quindi la pista più probabile, e di fatto l’unica credibile.

La mancanza di reazioni da parte dei governi degli Stati europei interessati, Germania, Francia e Paesi Bassi, che sono stati direttamente presi di mira da questo atto terroristico assimilabile a un asso di guerra, rivela il grado di sottomissione geopolitica senza precedenti di questa classe politica a Washington,

E se analizziamo questo evento da un punto di vista geopolitico, arriviamo alla stessa conclusione: la responsabilità di Washington. Se si inserisce questo atto di guerra nel contesto del progetto geopolitico “Iniziativa dei tre mari”, avviato da Varsavia con il sostegno di Washington, ma immaginato da un think tank americano, si scopre il rovescio delle carte geopolitiche.

L’INIZIATIVA DEI TRE MARI

Il progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari (STI) riunisce dodici Paesi dell’Europa centrale e orientale situati tra i mari Baltico, Nero e Adriatico: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Lituania, Estonia, Lettonia, Croazia, Slovenia e Austria. Altri quindici partecipanti hanno scelto di aderire ad alcuni progetti, tra cui l’Ucraina. Lo scopo dell’iniziativa è rafforzare la connettività all’interno di quest’area geografica attraverso lo sviluppo di infrastrutture di trasporto stradale, ferroviario e fluviale, infrastrutture energetiche come gasdotti e reti elettriche e infrastrutture digitali. Gli obiettivi dichiarati sono il rafforzamento dello sviluppo economico, la coesione all’interno dell’Unione Europea e i collegamenti transatlantici[6].

 

 

Carte 1

 

L’idea centrale è quella di sviluppare le infrastrutture energetiche e di comunicazione lungo un asse nord-sud, poiché le attuali infrastrutture sono orientate in direzione est-ovest dalla Russia. Questa infrastruttura ereditata storicamente è vista come una dipendenza geopolitica da Mosca, ma promuove anche il dominio economico della Germania dopo l’allargamento dell’UE ai Paesi dell’Europa centrale e orientale. L’Iniziativa dei Tre Mari è stata inaugurata congiuntamente nel 2016 da Polonia e Croazia. Formalizzata in occasione del primo vertice tenutosi a Dubrovnik il 25-26 agosto 2016, un secondo vertice si è tenuto a Varsavia il 6-7 luglio 2017. Il progetto ha iniziato ad attirare l’attenzione di altri membri dell’UE, non da ultimo per la presenza di Donald Trump.

Il presidente austriaco Alexander Von der Bellen ha sottolineato che il progetto ha avuto origine dai think tank americani[7] ed è stato fin dall’inizio attivamente promosso dal think tank atlantista Atlantic Council. Ian Brzezinski, figlio di Zbigniew Brzezinski, sostiene attivamente l’Iniziativa dei Tre Mari come consulente strategico dell’Atlantic Council[8] Una pubblicazione di questo think tank prefigura l’Iniziativa dei Tre Mari in modo molto preciso già nel 2014[9], ossia durante la presidenza Obama. Essa promuove un corridoio di trasporto nord-sud, in linea con gli interessi geopolitici degli Stati Uniti, al fine di garantire la resistenza dei Paesi dell’Europa centrale e orientale alla Russia.

LE ORIGINI GEOPOLITICHE DEL PROGETTO E IL SUO ATTUALE RILANCIO

Le origini dell’Iniziativa dei Tre Mari risalgono a molto tempo fa. La TMI è l’erede delle rappresentazioni geopolitiche polacche emerse dopo la Prima guerra mondiale, più precisamente del progetto Intermarium (traduzione latina di Międzymorze in polacco) del generale Josef Pilsudski. Le idee chiave di questo vecchio progetto sono riemerse nell’attuale configurazione geopolitica. Poiché la Polonia era stata fatta a pezzi più volte nel corso della sua storia a vantaggio dell’Impero tedesco e della Russia, il generale Pilsudski cercò, già negli anni Venti, di promuovere un’Europa centrale e orientale al riparo dagli appetiti geopolitici dei suoi vicini, creando una federazione di Stati situati tra il Mar Baltico, il Mar Nero e il Mar Adriatico – l’Intermarium – per proteggersi dall’URSS e dalla Germania. Il progetto del generale Pilsudski doveva garantire la sopravvivenza della Polonia, ma fu abbandonato alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Tuttavia, l’idea sopravvisse nella diaspora polacca negli Stati Uniti, vicina agli strateghi americani. Questo ha portato a una forte sinergia tra le visioni geopolitiche americane e polacche dalla Guerra Fredda a oggi[10]. L’Iniziativa dei Tre Mari è quindi una rivisitazione polacco-americana dell’Intermarium. Inizialmente, per Varsavia, l’Intermarium mirava a promuovere una terza via tra l’impero russo e quello tedesco. Ma oggi la configurazione geopolitica è diversa perché Polonia e Germania, entrambe membri dell’Alleanza Atlantica, sono ormai alleate. Non c’è quindi più la volontà di formare un’Europa di mezzo indipendente dall’UE e dalla NATO. Oggi il progetto viene proposto con argomenti geoeconomici, come la necessità di ridurre la dipendenza dal gas russo e l’egemonia economica e politica tedesca nell’UE. Tuttavia, la posta in gioco geostrategica è molto reale e rimane implicita: dal ritorno della rivalità tra le potenze europee e mondiali – Russia, Stati Uniti, Cina e Stati membri dell’UE – è riemerso il dilemma geopolitico dell’Europa centrale e della sua sicurezza. I Paesi dell’UE dell’Europa centrale e orientale e la NATO sono ora visti come poli geopolitici. Sebbene la configurazione internazionale sia cambiata, la geografia e le costanti geopolitiche rimangono e la percezione che la Polonia ha della propria sicurezza deriva da rappresentazioni storiche che persistono indipendentemente dai governi. La sfiducia di Varsavia nei confronti della Russia ha ricevuto nuovo impulso dalla crisi ucraina del 2014 e i polacchi sono desiderosi di consolidare la propria sicurezza. Ai loro occhi, la coppia franco-tedesca non è considerata del tutto affidabile, in quanto troppo accomodante nei confronti della Russia, e l’UE è troppo divisa per affermarsi. Il progetto mira quindi a svilupparsi in sinergia con l’UE e la NATO. Il primo obiettivo dei polacchi è quello di contenere la Russia, percepita come la principale minaccia, ma anche di bilanciare la Germania, con la quale si sono accumulati disaccordi. L’Iniziativa dei Tre Mari è quindi, per la Polonia, un progetto volto a ridurre la dipendenza da Mosca e a mantenere il legame transatlantico. Per Varsavia e i suoi alleati nella TMI, l’alleanza privilegiata con gli Stati Uniti è ritenuta necessaria per aumentare il loro margine di manovra nell’UE. L’attenzione alla minaccia russa consente alla Polonia di posizionarsi come perno geopolitico regionale sul fianco orientale della NATO. Le viene assicurato il sostegno degli Stati Uniti per diventare il leader regionale dell’UE e della NATO. Varsavia è coinvolta in molti progetti di difesa con gli Stati Uniti[11], un settore in cui l’UE rimane secondaria nonostante i recenti progressi. L’UE è tuttavia un’organizzazione utile per ottenere finanziamenti – fondi strutturali e di coesione – per le infrastrutture[12].12 La diffidenza nei confronti della Germania si è inoltre cristallizzata in seguito alla messa in funzione del gasdotto Nord Stream I[13], inaugurato nel 2001, che rifornisce Berlino di gas russo attraverso il Mar Baltico e che doveva essere raddoppiato dal Nord Stream II. Questo progetto è stato descritto in modo fuorviante da Varsavia come il “secondo patto Molotov-Ribentrop”. Vecchie rappresentazioni storiche sono state riattivate in questa occasione, illustrando la permanenza delle paure storiche dei Paesi dell’Europa centrale nei confronti delle potenze vicine che li hanno sempre dominati.

LA SINERGIA TRA NATO, PARTENARIATO ORIENTALE DELL’UE, PESCO
E L’INIZIATIVA DEI TRE MARI

I polacchi sono riusciti a far convergere a loro vantaggio le varie iniziative prese a livello europeo, come il Partenariato orientale dell’UE, ma anche il nuovo programma PESCO[14] lanciato da Bruxelles nel campo della difesa. Il loro obiettivo è attrarre il massimo dei finanziamenti europei per le loro priorità. – La componente principale del programma PESCO è il progetto “Mobilità”[15], che mira a potenziare e sviluppare le infrastrutture per migliorare la mobilità delle forze armate della NATO. Questa priorità è anche un obiettivo dei dipartimenti per le infrastrutture della Commissione europea[16], sottolineato nella Dichiarazione congiunta NATO-UE[17]. Il legame tra l’Iniziativa dei Tre Mari e gli interessi dell’Alleanza Atlantica è quindi evidente. Il generale americano Ben Hodges, ex comandante delle forze americane in Europa (EUCOM), ha dichiarato che l’infrastruttura del progetto PESCO corrispondente alle priorità dell’Iniziativa dei Tre Mari – in particolare la Ferrovia Baltica e la Via Carpatia – era una priorità[18]. Il Partenariato orientale dell’UE è stato concepito dai polacchi e promosso con gli svedesi. Nasce dalla dottrina Sikorski, che mira a creare una zona cuscinetto contro la Russia[20]. Pertanto, il Partenariato orientale, l’Iniziativa dei tre mari e il progetto PESCO fanno parte della strategia di sicurezza di Varsavia nei confronti di Mosca. Il desiderio del governo polacco di ospitare una base militare della NATO sul proprio territorio è un’altra prova della coerenza delle intenzioni polacche. Questa convergenza di progetti a livello regionale permette di percepire che la Polonia sfrutta l’Iniziativa dei Tre Mari come strumento di influenza e sviluppo economico, ma anche come strumento per garantire la propria sicurezza. Varsavia si affida anche agli Stati Uniti, impegnati in una manovra a livello europeo – soprattutto per contenere la Germania e mantenere l’UE sotto la propria influenza – ma anche su scala globale nei confronti di Russia e Cina. Esaminiamo questi aspetti.

LA SINERGIA TRA L’INIZIATIVA DEI TRE MARI E IL PROGETTO GEOPOLITICO STATUNITENSE :
LA RIVALITÀ CON RUSSIA E GERMANIA

Se ci riferiamo alla posta in gioco geopolitica su scala globale, l’Iniziativa dei Tre Mari è un progetto che è anche in linea con le priorità geopolitiche degli Stati Uniti. Il loro coinvolgimento nel progetto, fin dal suo inizio, è coerente con la loro manovra strategica nei confronti dell’Eurasia per contrastare Russia e Cina, ma anche con la loro ambizione di diventare un grande esportatore di gas di scisto.

 


Carte 2

 

L’obiettivo prioritario di Washington è infatti il controllo dell’Eurasia. Questa preoccupazione di lunga data viene ora esplicitamente riaffermata per preservare la propria leadership globale e rallentare l’emergere di un mondo multipolare[21]. 21] Con notevole continuità, la strategia degli Stati Uniti è quindi quella di opporsi alla Russia e di allargare il Rimland (secondo la dottrina geopolitica di Spykman), ma anche di frammentare l’Eurasia (secondo la dottrina di Mackinder) e di staccare l’Ucraina dalla Russia (dottrina di Brzezinski). Questa costante geopolitica è stata riaffermata alla fine della Guerra Fredda con la dottrina Wolfowitz (1992). Egli sottolineò che la missione dell’America nell’era post-Guerra Fredda sarebbe stata quella di garantire che nessuna superpotenza rivale emergesse in Europa occidentale, in Asia o nel territorio dell’ex Unione Sovietica[22]. Anche la rappresentazione strategica di Zbigniew Zbrezinski[23] – che pone come obiettivo la frammentazione geopolitica del continente eurasiatico per realizzare una maggiore integrazione degli Stati dell’Europa occidentale nello spazio euro-atlantico su un asse Parigi-Berlino-Kiev – ha avuto un’importante influenza[24] sull’amministrazione statunitense. Questo obiettivo è stato esplicitamente ripreso da Wess Mitchell, assistente segretario di Stato per l’Europa e l’Eurasia presso il Dipartimento di Stato sotto il presidente Donald Trump. Egli sostiene un ulteriore consolidamento degli Stati Uniti nel Rimland europeo[25]. 25] Questa strategia, combinata con quella nella regione indo-pacifica, garantisce che gli Stati Uniti circondino il continente eurasiatico. L’Iniziativa dei Tre Mari si inserisce perfettamente in questa visione ed è uno degli strumenti di Washington. Gli Stati Uniti stanno nuovamente reinvestendo nell’Europa centrale e orientale come parte della loro manovra verso l’Eurasia. La Polonia è il punto di riferimento per gli Stati Uniti per mantenere il proprio dominio sul progetto europeo, ed è per questo che gli Stati Uniti stanno cercando di rafforzare il peso di Varsavia nell’UE. Anche l’Ucraina era destinata a diventare più importante nell’ambito dell’Iniziativa dei Tre Mari. In effetti, il collegamento di Kiev con l’Europa occidentale era già nei piani iniziali e conferma il carattere geopolitico di questo progetto. Il ruolo dell’Ucraina è quello di territorio di transito per i corridoi energetici che evitano la Russia attraverso l’asse dell’Asia centrale.

L’intervento russo in Ucraina a partire dal 2023 ha vanificato questi piani, almeno per quanto riguarda l’inclusione di Kiev nel progetto, opzione che rimane dipendente dall’esito del conflitto. È in questo contesto che l’Iniziativa dei Tre Mari è stata sostenuta da Donald Trump durante la sua partecipazione al vertice di Varsavia[26] nel 2017. Il forte sostegno del presidente alla TMI statunitense rientra ovviamente nella rivalità geopolitica tra Stati Uniti e Russia. Ma è anche legato al desiderio di Washington di esportare il suo gas di scisto, che è diventato un’arma geopolitica per gli Stati Uniti.[27] Questo sostegno può essere compreso anche nel contesto di una rivalità che è diventata esplicita tra Stati Uniti e Germania. La politica “America First!” di Donald Trump – un obiettivo che un tempo era più implicito che esplicito – ha comportato un’intensa pressione politica sulla Germania, dando maggior peso alle critiche della Polonia. Collegando energia e sicurezza[28], Trump ha accusato Berlino di importare gas russo, di aggravare il deficit commerciale degli Stati Uniti e di non contribuire abbastanza finanziariamente alla NATO. Queste pressioni hanno spinto Berlino a importare gas di scisto statunitense e ad aprire un porto per il gas naturale liquefatto (LNG) nel nord della Germania. Tuttavia, Berlino ha continuato a difendere strenuamente il progetto del gasdotto Nord Stream II contro il parere di Washington e Varsavia, fino all’avvio dell’operazione speciale russa nel febbraio 2022.

IL SABOTAGGIO DI WASHINGTON AL NORD STREAM: UN ATTO IN SINERGIA CON GLI OBIETTIVI DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI
DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI

L’arma energetica come strumento geopolitico è particolarmente importante per Washington. Il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, un’infrastruttura che evitava l’Ucraina ma favoriva la Russia e la Germania, deve essere visto nel contesto dell’attuale conflitto, dove alza la posta in gioco e fa salire la posta in gioco. Lo scoppio del conflitto in Ucraina provocato da Washington e Londra – in particolare a causa del progetto di allargamento della NATO – è stata l’occasione per prendere decisioni radicali per indebolire la Russia e gli Stati europei, in particolare la Germania, ma anche la Francia, allo stesso tempo. Gli Stati Uniti hanno l’ambizione di esportare il loro gas di scisto a scapito delle compagnie energetiche europee coinvolte nell’esplorazione delle risorse in Siberia (Russia) e nel progetto del gasdotto Nord-Stream II. Fin dall’inizio dell’operazione speciale russa in Ucraina, gli Stati Uniti hanno fatto pressione sugli alleati della NATO affinché bloccassero le importazioni di gas dalla Russia attraverso i gasdotti Nord Stream, ma non quelle attraverso i gasdotti che attraversano l’Ucraina, per dare risorse e leva a Kiev. Washington ha ottenuto questo risultato e il sabotaggio del Nord Stream nel settembre 2022 le ha permesso di assicurarsi questo guadagno, chiarendo alla Germania e ai suoi partner che non ci sarebbe stato alcun problema a utilizzare questi gasdotti una volta terminato il conflitto, poiché la Russia ha pianificato di ripararli[29], gli Stati Uniti costringono così gli europei a un radicale riorientamento geopolitico in direzione degli obiettivi dell’Iniziativa dei Tre Mari, che mira in ultima analisi a staccare la Russia dall’Europa occidentale riorientando le infrastrutture energetiche e di trasporto e rendendole più dipendenti dal gas di scisto americano. L’Unione Europea è così ridotta al rango di zona cuscinetto nella manovra americana in Eurasia, di cui sta diventando una periferia sempre più divisa e strumentalizzata da Washington.

COSTRINGERE LA GERMANIA A SCEGLIERE DA CHE PARTE STARE E A STACCARSI DALLA RUSSIA

Vale la pena sottolineare la posizione di Berlino nel progetto. Oggi la Germania è una potenza centrale che persegue la sua espansione verso i Paesi dei Balcani, dell’Europa orientale e delle repubbliche dell’ex URSS (Ostmitteleuropa). L’ideologia che sta alla base di questa espansione è diversa da quella pangermanista della vigilia della Prima guerra mondiale, in quanto viene ora portata avanti in nome dell'”occidentalizzazione” e dell'”europeizzazione” del suo fianco orientale, da cui la crescente rivalità geopolitica con la Russia. Ma se l’ideologia cambia, i tropismi geografici restano. Da un punto di vista geopolitico, la Germania cerca di portare i Paesi dell’Europa centrale e orientale – compresa l’Ucraina – nello spazio euro-atlantico. Il sostegno degli Stati Uniti all’Iniziativa dei Tre Mari, nel contesto di crescenti disaccordi con Donald Trump, ha indubbiamente spinto Berlino a partecipare al TMI per evitare che diventi troppo antitedesco e per contrastare la politica statunitense di sostegno alle iniziative della Polonia. I governi tedeschi che si sono succeduti stanno quindi perseguendo la costruzione di una zona cuscinetto a est, di fronte alla Russia, attraverso il Partenariato orientale dell’UE, che il GTI completa.

Dal punto di vista economico, la Germania conta anche sull’apertura dei mercati dei Paesi del Partenariato orientale, in particolare dell’Ucraina. Berlino si considera responsabile della traiettoria geopolitica di questo Paese e utilizza la narrativa euro-atlantica per raggiungere il suo obiettivo. Tuttavia, fino allo scoppio dell’offensiva russa, la Germania riteneva di aver bisogno del gas e del petrolio russo per mantenere il suo status di potenza economica. Tuttavia, rimane ancora sotto la protezione militare degli Stati Uniti, con l’ombrello nucleare statunitense come ultima difesa del territorio tedesco. Il sostegno al progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari e l’accettazione delle importazioni di gas di scisto dagli Stati Uniti sono stati probabilmente visti da Berlino come il prezzo da pagare per preservare il Nord Stream II e la sua posizione di potenza centrale nell’UE, stando attenta a contenere l’atteggiamento ostile degli Stati Uniti verso Mosca[30]. Tuttavia, il sostegno della Germania all’ITM non ha cancellato la sfiducia di Varsavia nei confronti di Berlino, molto pronunciata negli ambienti conservatori e filoamericani[31] in Polonia e nella diaspora statunitense. Varsavia si trova quindi di fronte al dilemma di mantenere la presa sull’Iniziativa dei Tre Mari, ma allo stesso tempo di attrarre i finanziamenti dell’UE con il sostegno tedesco.

Con l’aggravarsi della crisi ucraina nel 2022, Washington ha deciso che non avrebbe più tollerato l’equilibrismo tedesco di combinare un’alleanza strategica con la NATO e un’alleanza energetica con la Russia. Il sabotaggio del Nord Stream da parte degli Stati Uniti costringe Berlino a scegliere definitivamente il campo occidentale contro la Russia e ad abbandonare la politica di equilibrio a favore dell’egemonia geostrategica e geoeconomica americana.

Il dominio indiviso di Washington è reso possibile anche dall’incapacità di francesi e tedeschi di trovare un accordo su un’architettura di sicurezza europea che dia all’UE una maggiore indipendenza dagli Stati Uniti, come sulle questioni energetiche in cui rimangono rivali. La decisione della Germania di abbandonare l’energia nucleare e di affidarsi pesantemente alle importazioni di gas russo, senza consultarsi con la Francia, spiega probabilmente la mancata reazione di Parigi al sabotaggio americano, secondo un sentimento di schadenfreude (“gioire delle disgrazie altrui”), anche se anche gli interessi di Parigi sono colpiti. Anche il campo atlantista francese, che aveva sempre temuto l’asse russo-tedesco, si è rafforzato. La rivalità geopolitica franco-tedesca è una falla del progetto europeo che gli americani hanno sempre sfruttato per indebolirlo e orientarlo a proprio vantaggio.

IL SUCCESSO DELLA STRATEGIA AMERICANA E LO SPOSTAMENTO DEL BARICENTRO DELL’UE

Il sabotaggio del Nord Stream da parte degli Stati Uniti rientra nella strategia geopolitica di frammentare il vecchio continente per silurare qualsiasi accordo europeo – ma anche eurasiatico – e la costituzione di un asse Parigi-Berlino-Mosca. Inoltre, Washington è determinata a continuare il suo accerchiamento dell’Eurasia contro la Russia e la Cina, al fine di preservare la sua supremazia in Europa e nel mondo. L’Iniziativa dei Tre Mari è uno degli strumenti di questa strategia. In questo contesto, il sabotaggio del gasdotto Nord Stream è un atto di guerra contro la Russia, ma anche contro la Germania, la Francia e i Paesi Bassi, e un attacco alla loro sovranità. È un atto di ostilità contro l’idea di un progetto europeo indipendente che includa la Russia, secondo la visione gollista di un'”Europa europea” che si oppone all'”Europa americana”.

L’UE è l’ultima area del mondo in cui gli Stati Uniti possono ancora esercitare la loro egemonia senza alcun ostacolo reale. Ma a lungo termine possono mantenere la pressione sulla classe politica del vecchio continente solo terrorizzando gli europei con atti come il sabotaggio dei gasdotti. La politica di Washington, dettata da ideologi neoconservatori spinti a preservare la supremazia americana a tutti i costi, rappresenta una grave minaccia geopolitica per le nazioni europee, in particolare per Francia e Germania. La loro mancanza di reazione si spiega con l’asservimento geopolitico dei loro governi, la cui legittimità si basa unicamente sull’appartenenza al campo atlantista sotto la guida di Washington, a cui hanno giurato fedeltà, e non più sui loro popoli, che sono incapaci di proteggere. Parigi e Berlino sono così impegnate in una corsa a perdifiato che le pone in una situazione di cobelligeranza con la Russia, a tutto vantaggio degli interessi americani e del loro strumento, il regime di Kiev. Le conseguenze prevedibili per gli europei sono una nuova crisi economica, una deindustrializzazione a vantaggio degli Stati Uniti, un abbassamento del tenore di vita e una destabilizzazione duratura del continente attraverso un conflitto militare che potrebbe portare a una terza guerra mondiale.

Il progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari, che attrae sempre più investimenti dall’UE e dalla Germania, sta spostando il baricentro geopolitico dell’Unione Europea verso est. Il consolidamento della Germania in una posizione centrale e la conferma di una spaccatura tra la Russia e un’UE dominata dalle priorità tedesche e polacche, sostenute dagli Stati Uniti, rafforzeranno gli squilibri geopolitici in Europa. Tale sviluppo va a scapito dell’asse franco-tedesco e aggrava la rivalità con la Russia. Tuttavia, il possibile indebolimento economico della Germania – il cui accesso al gas e al petrolio russo a basso costo è ora più limitato – potrebbe ridurre il suo vantaggio geopolitico.

Dopo la riunificazione tedesca e l’allargamento dell’UE in Europa centrale e orientale, sta emergendo una nuova rivalità geopolitica tra Germania e Francia[32]. 32] In effetti, il rafforzamento dello status di potenza centrale della Germania contraddice il progetto d’avanguardia franco-tedesco e il progetto di un’Europa a più cerchi difeso dalla Francia. In passato, Parigi ha cercato di riequilibrare l’UE verso il Mediterraneo per contrastare lo spostamento del suo baricentro geopolitico verso est, provocando a sua volta iniziative come il Partenariato orientale[33] .

La crisi economica può rallentare l’ascesa dell’Iniziativa dei Tre Mari, ma se i flussi energetici dalla Russia si prosciugheranno, il suo obiettivo geopolitico sarà raggiunto. Il suo consolidamento si tradurrà in una politica di compensazione nei confronti della Francia, come è stata praticata dopo la riunificazione tedesca? Secondo i piani di Washington, l’ITM dovrebbe consentire di trasformare gli Stati membri dell’UE in “Stati di facciata” contro la Russia, perché l’Europa sarebbe tagliata fuori dal suo spazio orientale, come durante la Guerra Fredda, il che le impedirebbe di condurre una politica di equilibrio.

Berlino e Parigi oseranno mai reagire al sabotaggio dei gasdotti? La Francia sfiderà finalmente la corsa a capofitto dell’UE verso est? Per quanto riguarda l’Iniziativa dei Tre Mari, non c’è motivo per Parigi di partecipare, attraverso l’UE, al finanziamento di un progetto che porta alla sua emarginazione geopolitica. Se la costruzione di infrastrutture tra i Paesi dell’Europa centrale e orientale è legittima, l’interruzione dei flussi in direzione est-ovest deve essere evitata. È nell’interesse della Francia che gli Stati che partecipano alla GTI si pongano come ponti tra la Russia e l’UE, come l’Ungheria, e non come un sottoinsieme ferocemente opposto a Mosca, che frattura l’Europa.

Nel 2014, la Russia aveva offerto all’Ucraina di aderire al suo progetto di Unione eurasiatica, ma il colpo di Stato a Kiev ha riorientato il Paese verso lo spazio euro-atlantico e un accordo di libero scambio con l’UE. La Russia ha poi sviluppato nel 2016 il progetto della Grande Eurasia, che non era chiuso alla partecipazione dell’UE perché la sua visione era quella di una convergenza di interessi geopolitici comuni a tutto il continente[34]. L’Iniziativa dei Tre Mari, che tende a favorire le relazioni Nord-Sud, è in contraddizione con la visione Est-Ovest che la Russia cerca di mantenere. Dal febbraio 2022 si è diffusa l’isteria di una minaccia russa, che in realtà non esiste per i membri della NATO[35], anche se il conflitto attuale è dovuto principalmente alla mancata considerazione degli interessi di sicurezza della Russia. Mosca reagisce in base alle proprie percezioni, che derivano dal senso di accerchiamento da parte della NATO a causa del suo allargamento, dell’installazione di basi statunitensi in Europa orientale e del nuovo progetto di difesa missilistica. Le crisi georgiana (2008) e ucraina si inseriscono in questo contesto[36].

È necessario un migliore equilibrio geopolitico in Europa per evitare l’egemonia di Washington, che trascina la Francia e gli europei in conflitti contro la Russia e la Cina, a scapito dei loro interessi e ad esclusivo vantaggio dei neoconservatori di Washington e delle burocrazie allineate della NATO e dell’UE. Un confronto a lungo termine con Mosca deve essere evitato, in quanto si ripercuoterebbe su tutta l’Europa e sulla sua vicinanza geografica.

Al termine dell’attuale conflitto, la politica migliore per la Francia sarebbe quella di affermarsi come potenza equilibratrice attraverso un riavvicinamento franco-russo per controbilanciare l’asse euro-atlantico sotto l’egemonia americana. Praticare l’equilibrio non è neutralità, ma permette di controbilanciare il polo troppo dominante con un altro. Sarebbe saggio per la Francia e gli Stati aperti a una ripresa delle relazioni con la Russia – Italia, Spagna, Grecia, Cipro, ma anche Ungheria e Croazia, e auspicabilmente la Germania, se si stacca dalle sue illusioni atlantiste – promuovere un nuovo equilibrio più favorevole ai loro interessi.

Se Mosca rimane in conflitto con quello che chiama “Occidente collettivo”, la cooperazione con i Paesi occidentali – quelli dell’era della Guerra Fredda – rimarrà comunque rilevante, secondo il Cremlino. 37] Su scala globale, la sfida per gli europei è evitare un possibile condominio americano-cinese e la Russia può giocare un ruolo importante in questa prospettiva. Una nuova architettura di sicurezza europea, spesso citata ma mai attuata, che includa la Russia e l’Ucraina, rimane la condizione non solo per la pace in Europa, ma anche per il rilancio del progetto europeo verso un’Europa di nazioni sovrane, alleate e interdipendenti su scala continentale.

 


 

[1] https://seymourhersh.substack.com/p/how-america-took-out-the-nord-stream

[2] https://www.nytimes.com/2023/03/07/us/politics/nord-stream-pipeline-sabotage-ukraine.html

[3] https://www.reuters.com/world/europe/zelenskiy-aide-kyiv-absolutely-not-involved-nord-stream-attack-2023-03-07/

[4] https://www.youtube.com/watch?v=k93WTecbbks

[5] https://www.epochtimes.fr/la-suede-quitte-lenquete-conjointe-sur-la-fuite-du-nord-stream-et-refuse-de-partager-ses-conclusions-invoquant-la-securite-nationale-2135764.html

[6] « The overarching pillars of the Three Seas Initiative are threefold – economic development, European cohesion and transatlantic ties. The changing nature of global environment calls for their strengthening in order to be able to face new challenges and overcome dynamic threats.

Firstly, the Initiative seeks to contribute to the economic development of the Central and Eastern Europe through infrastructure connectivity, mainly, but not only on the North-South axis, in three main fields – transport, energy and digital.

The second objective is to increase real convergence among EU Member States, thereby contributing to enhanced unity and cohesion within the EU. This allows avoiding artificial East-West divides and further stimulate EU integration.

Thirdly, the Initiative is intended to contribute to the strengthening of transatlantic ties. The US economic presence in the region provides a catalyst for an enhanced transatlantic partnership. » (https://www.three.si/2019-summit).

[7] https://www.bundespraesident.at/aktuelles/detail/drei-meere-initiative-2018

[8] http://www.atlanticcouncil.org/blogs/new-atlanticist/the-three-seas-summit-a-step-toward-realizing-the-vision-of-a-europe-whole-free-and-at-peace

[9] http://www.atlanticcouncil.org/images/publications/Completing-Europe_web.pdf

[10] Laruelle Marlène, Riviera Ellen, Imagined Geographies of Central and Eastern Europe: The Concept of Intermarium, Institute for Russian European, and Eurasian studies, The Georges Washington University, IERES Occasional Papers, March 2019 (https://www.ifri.org/sites/default/files/atoms/files/laruelle-rivera-ieres_papers_march_2019_1.pdf).

[11] Montgrenier Jean-Sylvestre, Dubois-Grasset Jeanne, La Pologne, acteur géostratégique émergent et puissance européenne, http://institut-thomas-more.org/2018/06/30/la-pologne-acteur-geostrategique-emergent-et-puissance-europeenne/

[12] https://www.ft.com/content/2e328cba-c8be-11e8-86e6-19f5b7134d1c

[13] https://www.ft.com/content/eb1ebca8-9514-11e5-ac15-0f7f7945adba

[14] « Permanent Structured Cooperation ». Ce projet a pour objectif de rendre la politique de sécurité et de défense européenne plus contraignante. Les États membres s’engagent à mettre en œuvre ensemble des projets de défense sélectionnés.

[15] https://www.consilium.europa.eu/media/32079/pesco-overview-of-first-collaborative-of-projects-for-press.pdf

[16] https://ec.europa.eu/transport/themes/infrastructure/news/2018-03-28-action-plan-military-mobility_en

[17] https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2016/07/08/eu-nato-joint-declaration/

[18] https://biznesalert.pl/hodges-centralny-port-komunikacyjny-mobilnosc-nato/

[19] https://www.politico.eu/article/dont-put-us-bases-in-poland/

[20] https://wikileaks.org/plusd/cables/08WARSAW1409_a.html

[21] Foucher Michel, La bataille des cartes, Analyse critique des visions du monde, Françoise Bourin, 2011.

[22] https://www.nytimes.com/1992/03/08/world/us-strategy-plan-calls-for-insuring-no-rivals-develop.html

[23] Brzezinski Zbigniew, The Grand Chessboard: American Primacy and its Geostrategic Imperatives, Basic Books, 1997.

[24] Justin Vaïsse, Zbigniew Brzezinski, stratège de l’empire, Odile Jacob, 2016.

[25] Selon Mitchell, l’objectif des Etats-Unis est d’éviter la domination des masses eurasiennes par des puissances hostiles. Ainsi, il précise que « lors de trois guerres mondiales, deux chaudes et une froide, nous avons aidé à unifier l’Occident démocratique pour empêcher nos opposants brutaux de dominer l’Europe et le Rimland à l’ouest de l’Eurasie »[25]. Sans surprise, la Russie et la Chine sont désignées comme les adversaires stratégiques des Etats-Unis alors que la Guerre froide est terminée depuis plus d’un quart de siècle, car ils « contestent la suprématie des USA et leur leadership au XXIe siècle.» On retrouve donc avec constance l’objectif des Etats-Unis de contrôler l’Eurasie afin d’empêcher un rival géopolitique d’y émerger à nouveau et de relativiser leur propre puissance mondiale (https://ee.usembassy.gov/a-s-mitchells-speec).

[26]  Le Président Donald Trump a déclaré lors du sommet de l’Initiative des trois mers le 6 juillet 2017 à Varsovie que « L’Initiative des Trois Mers transformera et reconstruira l’ensemble de la région et veillera à ce que vos infrastructures, tout comme votre engagement en faveur de la liberté et l’état de droit, vous lient à toute l’Europe et, en fait, à l’Occident. (…) L’Initiative des trois mers permettra non seulement à vos peuples de prospérer, mais aussi à vos nations de rester souveraines, sûres et libres de toute coercition étrangère. Les nations libres d’Europe sont plus fortes et l’Occident l’est aussi. Les États-Unis sont fiers de constater qu’ils aident déjà les pays des trois mers à atteindre la diversification énergétique dont ils ont tant besoin. L’Amérique sera un partenaire fiable et sûr dans la production de ressources et de technologies énergétiques de haute qualité et à faible coût. »

[27] Le Financial Times a souligné que « Donald Trump est en train d’opérer un changement radical dans la politique énergétique américaine en utilisant les exportations de gaz naturel comme un instrument de politique commerciale, en se faisant le champion des ventes à la Chine et à d’autres régions d’Asie dans le but de créer des emplois et de réduire les déficits commerciaux américains. Dans une tentative de libérer les ressources énergétiques américaines, M. Trump essaie de promouvoir davantage d’exportations de gaz naturel liquéfié et pas seulement d’utiliser le GNL comme une arme géopolitique visant des nations telles que la Russie, comme c’était la position de son prédécesseur Barack Obama. ». « Trump looks to lift LNG exports in US trade shift », Financial Times, June 22, 2017 (https://www.ft.com/content/c5c1958c-5761-11e7-80b6-9bfa4c1f83d2).

[28]https://www.euractiv.com/section/energy/news/kremlin-accuses-trump-of-trying-to-bully-europe-into-buying-us-lng/

[29] https://www.lalibre.be/economie/conjoncture/2022/10/14/nord-stream-une-grande-section-du-tuyau-doit-etre-coupee-et-remplacee-G6ROQC3BGZF4RLFWETGX7NQ6Q4/

[30] Les sanctions allemandes contre la Russie étaient toujours calibrées afin de ne pas mettre en danger les intérêts fondamentaux de sa puissance économique, tout en satisfaisant les Etats-Unis mais aussi les pays d’Europe centrale et orientale, méfiants vis-à-vis de Moscou. Il s’agissait à la fois d’une politique d’équilibre, de réassurance, et d’endiguement de la Russie sur le plan géostratégique.

[31] https://www.tysol.pl/a23593-Najnowszy-numer-%E2%80%9ETygodnika-Solidarnosc%E2%80%9D-Po-co-Niemcom-Trojmorze-

[32] Thomann Pierre-Emmanuel, Le couple, franco-allemand et le projet européen, représentations géopolitiques, unité et rivalités, L’Harmattan, Paris, 2015.

[33] Le partenariat oriental avait été promu par la Pologne et la Suède pour contrer le tropisme euro-méditerranéen de la France, dans le contexte de la crise provoquée par le projet d’Union méditerranéenne de Nicolas Sarkozy en 2007/2008. L’Allemagne a toujours soutenu le partenariat oriental, mais en agissant dans les coulisses de l’Union européenne. Berlin a bloqué le projet d’Union méditerranéenne de la France pour éviter une division de l’UE et contrer l’émergence de Paris comme chef de file des pays méditerranéens en contrepoids de l’Europe allemande, afin d’éviter une fragmentation de l’Europe en alliances variables, et maintenir la France et les pays du sud de l’Europe dans le giron de l’UE.

[34] Glaser Kukartseva, M. et Thomann, P.-E., “The concept of “Greater Eurasia”: The Russian “turn to the East” and its consequences for the European Union from the geopolitical angle of analysis”, Journal of Eurasian Studies13(1), 3-15, 2022, (https://doi.org/10.1177/18793665211034183).

[35] Aucun État membre de l’OTAN protégé par l’article V n’a pourtant eu de différend militaire avec la Russie.

[36] Thomann Pierre-Emmanuel, « Guerre Russie-Géorgie : première guerre du monde multipolaire », Défense nationale, n°10, octobre 2008 (http://www.ieri.be/fr/node/329).

[37] Vladimir Putin Meets with Members of the Valdai Discussion Club. Transcript of the Plenary Session of the 19th Annual Meeting, october 27, 2022

https://valdaiclub.com/events/posts/articles/vladimir-putin-meets-with-members-of-the-valdai-club/

https://cf2r.org/tribune/sabotage-de-nord-stream-un-acte-de-guerre-contre-la-russie-et-leurope-dans-linteret-de-washington-et-de-linitiative-des-trois-mers/?fbclid=IwAR3FBpQos8PBHZ4c_XXbMi4jE30ZDTTD00jGgXv6DZEJuXWF5Haq6Kj7yqc

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Trittico da Russian Today_a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto i tre articoli di riferimento del testo di Andrew Korybko pubblicato sabato 13 maggio. Buona lettura, Giuseppe Germinario

http://italiaeilmondo.com/2023/05/13/e-prematuro-concludere-che-la-polonia-abbia-sostituito-il-ruolo-della-germania-nella-guida-della-politica-estera-dellue_di-andrew-korybko/

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Andrey Sushentsov: come i “nuovi” membri orientali dell’UE hanno preso il controllo del blocco

Un’espansione mal concepita è costata alla Germania la precedente leadership dell’organizzazione e ha lasciato che la coda scodinzolasse al cane
Andrey Sushentsov: How the EU’s ‘new’ Eastern members have taken control of the bloc

Fyodor Lukyanov: 20 years after Bush declared ‘mission accomplished,’ it’s clear that Iraq was the graveyard of American ambition

Leggi tutto Fyodor Lukyanov: 20 anni dopo che Bush ha dichiarato “missione compiuta”, è chiaro che l’Iraq era il cimitero delle ambizioni americane
In questo contesto, la situazione della Germania, uno dei motori strategici dell’Europa nell’era uscente, è rivelatrice. Berlino ha perso l’iniziativa in politica estera. L’industria e i cittadini tedeschi sono stati condannati a spendere per l’energia tre volte di più rispetto al passato. A questo si aggiunge il fatto che i tedeschi hanno a lungo ritardato la crescita dei salari reali nella loro economia.

In realtà, è stata l’energia russa a basso costo a rendere l’economia tedesca il principale beneficiario dell’integrazione nell’UE. Ora queste basi sono minacciate, perché non è più disponibile. Quindi, presto non sarà più possibile mantenere bassi i salari. Dovranno essere aumentati per evitare un aumento massiccio del malcontento sociale. E questo mette in discussione la sostenibilità del modello economico tedesco.

La crisi ucraina ha portato a una situazione in cui la voce dei Paesi dell’Europa orientale, e della Polonia in particolare, comincia a definire le priorità della politica estera dell’Europa occidentale. Questa situazione è unica nella storia moderna. Molti storici hanno definito l’Europa orientale come “il crocevia dell’Europa”, rendendola un campo di battaglia permanente per gli imperi in competizione. Oggi, i Paesi dell’Europa orientale non solo stanno guadagnando influenza strategica, ma si stanno spostando in prima linea nella politica europea.

L’attuale priorità di Varsavia è quella di trasformarsi nel più grande esercito dell’UE e di creare un importante contrappeso alla Russia sul territorio polacco in caso di sconfitta dell’Ucraina. La Polonia sta creando punti di tensione per la Russia lungo i suoi confini: esercitazioni militari al confine con la regione di Kaliningrad e manovre vicino al confine con la Bielorussia. Tutto ciò dimostra che Varsavia vuole prendere l’iniziativa strategica nell’UE e potrebbe potenzialmente diventarne l’attore principale se il conflitto dovesse andare oltre il territorio dell’Ucraina.

Il dispiegamento di armi nucleari tattiche sul territorio della Bielorussia è una mossa congiunta di Mosca e Minsk che ha un carattere di deterrenza e mira a dissipare le illusioni di Varsavia sul fatto che la Russia non sia determinata a mantenere un equilibrio di minacce. È possibile che in futuro l’attuale crisi con l’Occidente inizi ad assomigliare agli anni maturi della Guerra Fredda, con il suo sistema di deterrenza militare reciproca.

Fyodor Lukyanov: come il Partito Verde ha trasformato la Germania in un paese dell’Europa orientale

Un tempo Berlino era un pilastro pragmatico dell’Europa occidentale, ma ha compiuto un’inversione di 180 gradi nella sua politica estera ed economica, che è incredibile da osservare
Fyodor Lukyanov, caporedattore di Russia in Global Affairs, presidente del Presidium del Consiglio per la politica estera e di difesa e direttore di ricerca del Valdai International Discussion Club.
Fyodor Lukyanov: How the Green Party has turned Germany Eastern European
Fyodor Lukyanov: Finland may come to regret joining NATO when everyone sobers up

LEGGI ANCHE: Fyodor Lukyanov: la Finlandia potrebbe pentirsi di aver aderito alla NATO quando tutti si saranno calmati Questa è la base pragmatica di ciò che sta accadendo dal punto di vista dei Verdi.Il sistema occidentale generale rimane intatto, ma c’è una differenza fondamentale rispetto ai tempi passati. In passato, in cambio della cessione di tutti i diritti e i privilegi in materia di sicurezza al suo partner principale, gli Stati Uniti, la Germania era autorizzata a gestire la propria sfera d’influenza commerciale e a perseguire l’espansione economica verso est. Ora, in cambio della promessa di Washington di mantenere l’ombrello di sicurezza, Berlino è disposta ad abbandonare la sua precedente concezione del pragmatismo, a cambiare radicalmente il suo sistema economico in una direzione favorevole agli Stati Uniti e ad assumersi una quota maggiore del carico militare. Di conseguenza, gli sforzi per educare l’élite tedesca ai principi dell’atlantismo incondizionato, in cui sono stati investiti enormi sforzi per decenni, stanno ora dando i loro frutti al 200%. Se a questo si aggiunge che Berlino sta diventando il principale centro della diaspora russa anti-Cremlino, per ragioni sia oggettive che soggettive, si ha un quadro perfetto di una svolta a 180 gradi. O, per usare la terminologia del ministro degli Esteri dei Verdi Annalena Baerbock, di 360 gradi.

Timofey Bordachev: Gli Stati Uniti stanno umiliando la Germania e i russi sono profondamente delusi per la mancanza di spina dorsale delle élite berlinesi

Questo “divorzio” sembra politicamente motivato e artificiale, e un giorno le cose probabilmente cambieranno
Timofey Bordachev: The US is humiliating Germany, and Russians are deeply disappointed at the spinelessness of Berlin’s elites

Timofey Bordachev: Here’s why Macron’s call to break away from US control is just meaningless posturing

Read more

Timofey Bordachev: Ecco perché l’appello di Macron a staccarsi dal controllo degli Stati Uniti è solo una postilla senza senso
Leggi tutto Timofey Bordachev: Ecco perché l’appello di Macron a staccarsi dal controllo degli Stati Uniti è solo una postilla senza senso
I russi e i tedeschi sembrano andare d’accordo. Durante diversi secoli di vicinanza, a partire dalla metà del XVI secolo, abbiamo collaborato in modo piuttosto proficuo. Detto questo, siamo anche inclini a combatterci e negli ultimi cento anni ci sono stati due conflitti violenti. La prima volta, la guerra è stata causata dallo sviluppo di un sistema di imperi europei che erano destinati a scontrarsi prima o poi. La seconda volta Mosca ha dovuto combattere contro Berlino, quando i tedeschi sono impazziti collettivamente in seguito alla sconfitta e all’umiliazione subita nel 1918 e, con la consueta diligenza, si sono lanciati nelle più orribili atrocità della storia umana.

Il riluttante passaggio alla competizione tra Russia e Germania è il risultato dell’attuale scisma, un fenomeno accidentale causato da circostanze particolari. Entrambi sanno che la cooperazione è in ultima analisi nel loro interesse vitale. Ciò non significa, tuttavia, che il conflitto, che ora si sta approfondendo, sarà di breve durata; potrebbe anche durare per una generazione. Ma le due potenze non sono certo condannate a un confronto perpetuo.

Il sentimento principale nelle relazioni russo-tedesche è attualmente quello della delusione. Siamo profondamente delusi da quanto i tedeschi si siano dimostrati privi di spina dorsale di fronte all’influenza americana negli affari europei. Da Berlino ci si aspettava molto di più e la forza economica del Paese costituiva una base molto concreta per queste aspettative. Ora le autorità tedesche non solo hanno distrutto le basi delle relazioni economiche con la Russia, ma stanno gradualmente diventando uno dei più importanti sponsor dell’Ucraina.

Fyodor Lukyanov: How the Green Party has turned Germany Eastern European

Read more

Fyodor Lukyanov: Come il Partito Verde ha trasformato la Germania in Europa orientale
Leggi tutto Fyodor Lukyanov: come il partito dei Verdi ha trasformato la Germania in un paese dell’Europa dell’Est
Da parte sua, la Germania è arrabbiata perché la Russia ha involontariamente messo l’ultimo chiodo nella bara del pacifico dominio di Berlino sul resto dell’Europa occidentale. Questo stava già diventando sempre più problematico con il ritiro della Gran Bretagna dall’Unione Europea, il rafforzamento della posizione politica della Polonia e il sabotaggio di una Francia sempre più debole. Gli Stati Uniti sapevano di avere un’occasione d’oro per attivare tutte le loro risorse europee e spingere i tedeschi nelle grinfie della piena responsabilità della NATO, da cui avevano cercato di sfuggire dalla fine della Guerra Fredda.

In entrambi i casi, la ragione fondamentale dell’irritazione reciproca è la distruzione del quadro ideale del futuro dal punto di vista di ciascuno degli attori. La questione è quanto durerà il raffreddamento e quali cambiamenti potrebbero verificarsi nel frattempo. Pochi Paesi al mondo sono così idealmente adatti l’uno all’altro come la Russia e la Germania, o più precisamente il popolo russo e quello tedesco. In termini di geopolitica eurasiatica, queste due comunità sociali si bilanciano al centro del vasto continente, con la Cina e la Gran Bretagna (più gli Stati Uniti) alla periferia.

Dal punto di vista economico, la popolazione e la densità industriale della Germania sono ideali per le esportazioni di energia della Russia. Culturalmente, russi e tedeschi sono gli opposti che si attraggono. Non è una coincidenza che così tanti nativi tedeschi si siano ritrovati nella funzione pubblica, nella vita culturale e nel mondo degli affari della Russia zarista.

La moderazione tedesca è esattamente ciò che manca alla sconfinata natura russa. Negli ultimi decenni è diventato normale vedere un manager tedesco che lavora pazientemente da qualche parte a Urengoy. Per i tedeschi, noi siamo quelli che non li guardano con l’arroganza dei francesi o degli anglosassoni.

Kirill Strelnikov: Western ‘experts’ thought they would destroy Russia’s economy. They failed

Read more

Kirill Strelnikov: Gli “esperti” occidentali pensavano di distruggere l’economia russa. Hanno fallito
Leggi tutto Kirill Strelnikov: Gli “esperti” occidentali pensavano di distruggere l’economia russa. Hanno fallito
Storicamente, la Russia e la Germania sono industrializzatori tardivi, molto indietro rispetto a Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e al loro “hub” logistico e finanziario costituito dai Paesi del Benelux. Ecco perché il XX secolo è stato così crudele per entrambe le grandi potenze: ha consolidato la leadership dei principali Paesi capitalisti e ha portato gli altri sull’orlo della sopravvivenza. La Russia ne è uscita con maggior successo. Solo l’impero è andato perduto, ma abbiamo mantenuto la piena sovranità e il controllo sul nostro territorio. La Germania è stata meno fortunata e, in seguito agli eventi del secolo scorso, è stata di fatto privata del diritto di determinare il proprio destino e sottoposta al controllo degli Stati Uniti. Tuttavia, fino a poco tempo fa, l’élite tedesca poteva decidere sulle relazioni economiche con l’estero, ma ora anche questo “privilegio” le viene tolto.

La crisi generale dell’economia mondiale e l’arretramento dell’Occidente dalla sua posizione di dominio globale incondizionato che dura da 500 anni richiedono una ristrutturazione interna. O, per lo meno, lo costringono a cercare nuovi formati. Chiunque sia alla guida della Germania dovrebbe essere in grado di farlo, ma il Cancelliere Scholz è un leader debole e i suoi socialdemocratici sono in una delle loro peggiori condizioni come forza politica. Gli altri due partiti sono i Verdi e i Liberaldemocratici.

Secondo autorevoli esperti russi di affari interni tedeschi, i Verdi sono un insieme di moralisti esaltati per i quali la lotta contro la Russia e l’amicizia con gli Stati Uniti sono una questione di fede. Personalmente, trovo questo punto di vista difficile da accettare. Penso che l’irresponsabilità di Baerbock, ad esempio, non sia altro che il prodotto di un puro carrierismo da parte di un politico che non è sostenuto da nessuno dei gruppi conservatori con chiari interessi economici. Ma forse mi sbaglio e c’è davvero posto per la pura ideologia nella politica tedesca.

 

‘Truth is our most potent weapon’ – ex-US Navy technician behind pro-Russian ‘Donbass Devushka’ collective

Read more

La verità è la nostra arma più potente”: l’ex tecnico della Marina statunitense dietro il collettivo filorusso “Donbass Devushka”.
Leggi tutto “La verità è la nostra arma più potente”: l’ex tecnico della Marina americana dietro il collettivo filorusso “Donbass Devushka”.
Tanto più che la dimensione della “classe creativa” che non produce beni pubblici è significativa anche in Germania. La politica dei Verdi è ora diretta contemporaneamente contro il modello economico tedesco classico – con la sua dipendenza dalle risorse energetiche russe – e contro Mosca stessa come simbolo di solidarietà con l’agenda globale dell’Occidente. L’allontanamento dalla Russia e l’avvicinamento all’Atlantico sono decisivi, ma allo stesso tempo le possibilità di autosufficienza stanno diminuendo. Solo pochi giorni fa, l’ultima centrale nucleare in Germania è stata chiusa con una cerimonia.

Allo stesso tempo, gli elettori del Paese sono silenziosi come quelli della tragedia di Alexander Pushkin “Boris Godunov”. I cittadini tedeschi comuni non vogliono essere coinvolti in un conflitto con la Russia, il che significa che il divario tra l’élite e la popolazione sta crescendo. La forma emergente del rapporto della Germania con il suo grande vicino orientale ha un carattere decisamente politico e artificiale.

In Russia, i tedeschi in quanto tali non sono universalmente antipatici. A differenza dei polacchi o degli inglesi, per esempio. Non possiamo quindi dire quanto durerà l’attuale deterioramento delle relazioni. Ma non ho particolari dubbi che a una nuova svolta della storia Russia e Germania si incontreranno di nuovo e torneranno ad essere amiche.

https://www.rt.com/news/575383-us-is-humiliating-germany/

https://www.rt.com/news/575253-green-party-germany-economic-policy/

https://www.rt.com/news/575972-eastern-europeans-have-taken-control/

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

1 16 17 18 19 20 40