di Piero Macrì ♦︎ Intervista con l’analista geopolitico, autore del libro “Il dominio del XXI secolo. Cina e Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia”. Semiconduttori, previsioni di mercato al 2030: oltre 1.000 miliardi di dollari. Tra i principali produttori: Nvidia, Tsmc, Amd, Qualcomm, Samsung, SK Hynix, StMicroelectronics, Broadcom, Intel, Infineon. Ridefinizione flussi manifatturieri: autonomia dall’Asia. Chips Act: investimenti per 43 miliardi. E sulle competenze…
La capacità di essere protagonisti della manifattura del 21mo secolo dipende dal controllo delle supply chain. E in particolare di quelle che forniscono l’elemento più prezioso per la digitalizzazioneelettronica di prodotti e imprese: i semiconduttori, un mercato che nel 2030 si prevede possa valere oltre 1.000 miliardi di dollari. Quali le ragioni dell’invisibile guerra per l’approvvigionamento delle tecnologie abilitanti la produzione del nuovo millennio? Come cambiano le filiere di interi settori industriali-manifatturieri? Quali le misure messe in atto da Stati Uniti, Cina ed Europa? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Aresu, analista geopolitico, autore del libro “Il dominio del XXI secolo. Cina e Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia” (Feltrinelli).
«Nell’industria si è aperto un conflitto da alta intensità in cui sono in gioco interessi nazionali. Chi vincerà la guerra dei semiconduttori avrà di fatto il dominio della manifattura su scala mondiale. Il rischio che questo possa essere il secolo cinese è reale», dice Aresu. La partita si gioca su uno scenario in continuo mutamento. Riguardo alla dinamica della competizione tecnologica globale, Aresu ricorda che la catena del valore dei semiconduttori si articola principalmente tra Stati Uniti, Taiwan, Cina, Corea del Sud, Giappone, Paesi Bassi, Germania. Tra le aziende che producono semiconduttori, ricordiamo Nvidia, Taiwan Semiconductor Manufactoring Company (Tsmc), Amd, Qualcomm, Samsung, SK Hynix, StMicroelectronics, Broadcom, Intel, Infineon.
Ma nella ridefinizione dei flussi manifatturieri entrano in gioco altri paesi, in primis le potenze emergenti dell’Asia Orientale come Vietnam, Malesia e Tailandia. La grande scommessa è poi l’India, una crescita stabile di questa economia potrebbe infatti determinare cambiamenti sostanziali sullo scenario internazionale delle supply chain. L’Europa non sta a guardare. Attraverso il Chips Act si è avviata una strategia di diversificazione delle fonti di approvvigionamento di semiconduttori per ridurre la dipendenza da fornitori esterni e garantire una maggiore resilienza industriale. L’obiettivo è aumentare la quota Ue della produzione mondiale al 20% entro il 2030. Riconversione economica alla b e alla mobilità elettrica. Al centro della disputa tecnologica anche le batterie, il driver principale della transizione elettrica del settore automobilistico, un mercato dove la Cina detiene circa il 90% della capacità produttiva.
Riprendere il controllo delle supply chain. L’industria dei semiconduttori nella globalizzazione digitale del 21.mo secolo
«Negli ultimi 50 anni l’asse manifatturiero del mondo si è spostato verso l’Asia orientale, prima con l’ascesa del Giappone e poi con l’evento più dirompente, l’affermazione della manifatturacinese, la cui forza non è più soltanto quantitativa ma qualitativa, dice Aresu. Tutto questo ha determinato un cambiamento nei flussi delle supply chain e una maggiore vulnerabilità dell’industria europea che ha visto crescere la sua dipendenza dal gigante asiatico». Insomma, al crescere degli interscambi commerciali è aumentato il rischio industriale e un qualsiasi scossone nel mercato asiatico può mettere ormai in crisi la manifattura europea, in primis quella tedesca. Avere un controllo sulla filiera tecnologica è diventata una questione strategica.
«La globalizzazione ci ha reso interdipendenti, ma da chi e da cosa? Spesso si ha che fare con supply chain invisibili. Uno dei meccanismi della globalizzazione è stato incentivare una scarsa conoscenza delle forniture. Si conoscono soltanto i tierone, ma cosa c’è sotto è poco trasparente. La fornitura viene valutata in termini di prezzo e performance logistiche, raramente è basata su un’analisi delle filiere, e di quanto questa possa interferire in termini di dipendenza geografica, tecnologica. Prima tutti questi aspetti erano meno importanti, mentre il nuovo asse della sicurezza nazionale li rende essenziali», dice Aresu. Riprendere il controllo delle supply chain, quindi, incentivando politiche di re-shoring e near-shoring.
La ricerca di una maggiore indipendenza dalle supply chain globali
«Circa il 25% della produzione mondiale di semiconduttori è assorbito dall’automotive e dal settore industriale-manifatturiero. La supply chain ha una complessità che le nostre menti faticano ad afferrare, osserva Aresu. E’ difficile capire, a prima vista, come la realizzazione di oggetti infinitamente piccoli richieda una legione di macchine, programmi, gas, reagenti e altri materiali. Le supply chain non sono mai neutre nella loro natura e nei loro effetti: creano dipendenze e valore aggiunto in termini diversi per i vari attori che le compongono.
Superano i confini e allo stesso tempo ne rimarcano l’importanza, in processi che tengono insieme le innovazioni dei ricercatori, la genialità degli imprenditori, e le scelte politiche. Sta qui l’importanza della guerra economica, il grimaldello con cui alcune potenze, a partire da Cina e Stati Uniti, si inseriscono nella sinfonia delle supply chains». E per quanto riguarda l’Europa? «Abbiamo aziende di tutto valore, dall’italo-francese Stmicroelectronics alla tedesca Infineon, alle olandesi Nxp e Asml. All’Ue serve un’azione mirata che valorizzi i suoi campioni e faccia crescere l’industria dove è meno forte, favorendo al contempo la creazione di nuovi attori tecnologici. Non è qualcosa che possono fare solo i governi: servono capitali privati oltre al supporto pubblico».
Autosufficienza industriale e competenze per lo sviluppo dei nuovi processi di sviluppo prodotto
Al centro, come già affermato, il controllo delle filiere globali. «L’estrema complessità della supply chain dei semiconduttori impedisce ai vari poli che la compongono di essere autosufficienti. Così quest’industria, come altre industrie strategiche, continua a essere influenzata da due forze: l’esigenza del mercato, che richiede il mantenimento dell’interdipendenza per portare ai clienti prodotti adeguati e competitivi; l’impulso della sicurezza nazionale, che nella guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina richiede allo stesso tempo di ridurre le vulnerabilità e di rispondere a esigenze politiche. Ma accanto al controllo della supply chain, altrettanto importante è sviluppare le competenze e le tecnologie per i processi che consentono il trattamento dei materiali e lo sviluppo del prodotto», spiega Aresu.
«Quello che sulla mobilità elettrica ha fatto la Cina è stato unire i puntini della filiera globale. Un aspetto cruciale, spesso dimenticato dall’Europa. Il litio non si trasforma da solo, spiega Aresu. Occorre avere conoscenza dei processi trasformativi e la capacità di applicarlo con le tecnologie adatte, per giungere ai prodotti finiti». Giganti come Catl (Contemporary Amperex Technology), divenuta in meno di dieci anni il maggiore fornitore di batterie a ioni di litio al mondo, e poi Byd (Build Your Dreams), il leader mondiale dei veicoli elettrici. Nella filiera delle batterie e dell’auto elettrica la Cina dimostrato di avere la capacità tecnologica e industriale per competere su scala globale.
Semiconduttori, investimenti alle stelle nei settori strategici per lo sviluppo dell’economia mondiale
Tanto per avere un’idea dell’aumentata dipendenza dalla tecnologia di base, quella dei processori, basti pensare che il valore delle importazioni cinese di semiconduttori supera quello delle importazioni di petrolio. Nonostante ne produca in grandi volumi, il gap tecnologico rimane. La distanza tra i transistor (indice della qualità dei circuiti) è di 14 nanometri per i processori cinesi mentre quella dei leader del mercato (la coreana Samsung e la taiwanese Tsmc) ha già raggiunto i 5 nm e sta puntando ai 3/2 nm. Il conflitto Usa-Cina ridisegna le supply chain, obbligando tutti gli attori coinvolti a riallinearsi secondo precise collocazioni politiche e nazionali. Riprendere in mano la capacità produttiva. Gli Usa lo hanno fatto con il Chips and Science Act del 2022, che ha portato alla ricerca scientifica 280 miliardi di dollari, di cui 50 solo sui semiconduttori.
L’analoga legge europea sui semiconduttori, dello stesso anno, ne prevede 43 miliardi. In risposta alle alleanze strategiche nel settore dei semiconduttori, l’Europa sta cercando di rafforzare la propria industria e aumentare la sua quota di mercato globale. Accanto al Chips Act, il Chips Joint Undertaking. Il primo mira a rafforzare la capacità tecnologica e l’innovazione nel settore dei semiconduttori; il secondo, invece, nasce per aumentare gli investimenti e rafforzare l’ecosistema industriale europeo dei semiconduttori. Una delle principali sfide per l’Europa è poi la carenza di competenze. Per affrontare questo problema, il Chips Act prevede la creazione di una rete di centri per attrarre nuovi talenti in materia di ricerca, progettazione e produzione. Il coinvolgimento di aziende leader nel settore è il terzo ingrediente fondamentale per il successo delle iniziative europee. Ad esempio, Intel, una delle più grandi aziende di semiconduttori al mondo, ha espresso il suo sostegno al Chips Act e al Chips Joint Undertaking, e ha in programma di costruire diversi siti produttivi e centri di ricerca in Europa.
Un nuovo equilibrio per le supply chain. Come cambiano le filiere di interi settori industriali-manifatturieri
Come mette in luce un recente whitepaper di Reuters Events intitolato “A generational shift in sourcing strategy”, realizzato nel 2023 in collaborazione con il gigante della logistica Moller-Maersk, la soluzione che diversi operatori hanno individuato per attenuare il rischio di vulnerabilità dalle catene globali è il cosiddetto reshoring o, meglio, “friendshoring” con strategie di near-sourcing e nearshoring. Queste pratiche, che consistono nel riportare la produzione e l’approvvigionamento nei mercati nazionali o comunque nei paesi vicini (geograficamente o culturalmente), hanno guadagnato popolarità negli ultimi anni. Riequilibrare le proprie catene di approvvigionamento, ridurre i rischi, aumentare la visibilità e migliorare la sostenibilità, anche attraverso partnership di lungo periodo, per il ridisegno delle filiere o ridondanza delle forniture. Secondo lo studio di Reuters il 67% dei rivenditori e dei produttori globali afferma che le interruzioni della catena di fornitura globale hanno cambiato la provenienza dei materiali e dei componenti e il 58% di coloro che hanno spostato gli approvvigionamenti afferma che un’ulteriore delocalizzazione rimane un’alta priorità, se non la priorità principale, per la loro azienda.
Inoltre, il 37% prevede di cambiare sede produttiva. Nel documento si afferma che tra i fattori che alimentano i piani di produzione e approvvigionamento nearshore e reshore vi sono le interruzioni nelle catene di fornitura delle materie prime (70%), delle spedizioni (68%) e dei componenti o prodotti finiti (63%). Secondo un recente rapporto della Bank of America, il costo della riorganizzazione delle filiere, solo per le imprese Usa, si aggira attorno a 1 trilione di dollari. Tuttavia, sebbene le interruzioni dovute alla pandemia possano aver agito da catalizzatore per accelerare il reshoring e la riorganizzazione delle filiere, le ragioni strutturali di fondo di questo processo sono da ricercare nel passaggio al “capitalismo degli stakeholder”, a una rinnovata spinta al protezionismo in cui le aziende si concentrano sugli interessi degli azionisti e della comunità più ampia dei consumatori, dei dipendenti e dello Stato. Insomma, si assiste a un progressivo maggiore controllo sulle catene di approvvigionamento da parte di governi, consigli di amministrazione e azionisti.
Anche in Europa la spinta al reshoring è crescente
Secondo i dati attualmente disponibili i Paesi con le due maggiori forze lavoro nel settore manifatturiero, Germania e Polonia, sono i luoghi di sourcing e reshoring più interessanti, sebbene ci sia un “impegno su larga scala” da parte delle imprese a rifornirsi maggiormente sia nell’Europa dell’Est sia in quella dell’Ovest, per ridurre la distanza dal mercato finale e soddisfare la crescente necessità di attingere a bacini di manodopera qualificata. I settori più aperti alla ristrutturazione della produzione e delle catene di approvvigionamento sono quelli dell’elettronica e della tecnologia e dell’industria automobilistica, aerospaziale e dei macchinari. Il settore dell’elettronica e della tecnologia è stato il più danneggiato dai ritardi nei componenti e sta adesso individuando soluzioni alternative. I settori dei beni di consumo a rapida rotazione e degli alimenti e bevande sono stati invece i più colpiti dalla mancanza di capacità di trasporto e dalla carenza di manodopera. Infine, il settore chimico e dei prodotti chimici è stato il più danneggiato dai ritardi nelle materie prime, dall’inflazione e dai ritardi nelle spedizioni.
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L’Ucraina ha cercato di ripulire etnicamente la popolazione russa autoctona del Donbass e di genocidare coloro che sono rimasti se avesse riconquistato la regione, che è ciò che anche Israele sembra interessato a fare a Gaza, ma il ruolo strategico di Kiev è concettualizzato dall’Occidente come più ampio di quello di Tel Aviv. Mentre Israele combatte per una piccola striscia di territorio per perseguire ristretti interessi geopolitici occidentali, l’Ucraina è utilizzata dall’Occidente per interessi civilizzativi-imperialistici di ben più ampia portata.
L’ultima guerra tra Israele e Hamas ha messo a nudo l’ipocrisia occidentale in più di un modo. In precedenza è stato osservato che “i doppi standard dell’Occidente verso Israele e l’Ucraina lo hanno screditato nel Sud globale”. Il mondo intero ha visto come la dimensione “umanitaria” della retorica dell'”ordine basato sulle regole” di questo blocco fosse assente dalla sua valutazione del suddetto conflitto, nonostante Israele sia responsabile di molte più vittime civili nell’arco di un mese di quante la Russia ne abbia presumibilmente causate in venti.
Lungi dal criticare l’autoproclamato Stato ebraico come hanno fatto con la Grande Potenza eurasiatica, hanno entusiasticamente esultato per il suo blocco e per il bombardamento degli oltre due milioni di abitanti di Gaza, minimizzando le morti di civili che ne sono derivate. Il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha dichiarato che “Questa è una guerra. È un combattimento. È sanguinosa. È brutta e sarà disordinata. E civili innocenti saranno feriti in futuro”.
Dopo che Israele ha ampliato le operazioni di terra a Gaza, nonostante il rischio molto più elevato di un numero ancora maggiore di vittime civili, ha dichiarato alla stampa che “non stiamo tracciando linee rosse per Israele. Continueremo a sostenerlo”. Questo approccio contrasta con il relativo silenzio dell’Occidente nei confronti dei bombardamenti di Kiev sul Donbass negli otto anni precedenti l’operazione speciale. In quel periodo, hanno sostenuto pienamente questo regime fascista, ma sono stati anche attenti a non attirare troppo l’attenzione sui suoi attacchi contro i civili.
I doppi standard etno-bigotti spiegano probabilmente queste politiche diverse, nonostante entrambe le categorie di civili – i palestinesi a Gaza e i russi nel Donbass – siano “altre” dall’Occidente, nel senso di essere viste come separate dalla loro “eccezionale” civiltà e quindi considerate “sacrificabili”. Sebbene la fisionomia vari, i palestinesi nel loro insieme sono ampiamente considerati dai liberal-globalisti al potere in Occidente come “non bianchi”, mentre i russi nel loro insieme sono considerati “bianchi”.
Questa pseudo-distinzione porterebbe normalmente queste élite a simpatizzare con i palestinesi “non bianchi” per ragioni ideologiche, ma il motivo per cui i loro politici non mostrano alcuna compassione per loro è perché li considerano parte di una civiltà comparativamente più dissimile. L’ex impero russo a maggioranza slava e a guida ortodossa che controllava il Donbass era storicamente molto più vicino alla civiltà occidentale di quello turco-arabo ottomano a guida musulmana che controllava Gaza.
L’emergente paradigma di civilizzazione delle relazioni internazionali è stato sfruttato da questi politici per giustificare l’autopercepito “eccezionalismo” dell’Occidente e provocare uno “scontro di civiltà” per dividere e governare l’Eurasia a loro vantaggio egemonico. Per perseguire questo scopo, le loro élite politiche stanno amplificando la narrazione fuorviante secondo cui l’ultima guerra tra Israele e Hamas sarebbe uno scontro tra gli israeliani allineati all’Occidente e parzialmente di origine europea e i palestinesi allineati all’Islam e interamente arabi.
Per essere chiari, si tratta di ottiche superficiali e spurie, ma sono comunque destinate a manipolare il pubblico occidentale mirato a fare quadrato intorno a Israele con pretesti fintamente “civilizzativi” e “valoriali” associati, volti a giustificare il sostegno delle loro élite a Israele per ragioni puramente geopolitiche. L’autoproclamato Stato ebraico è considerato la “portaerei inaffondabile” del loro blocco in Asia occidentale, motivo per cui è sempre sostenuto da loro, anche quando è responsabile di molte vittime civili.
Le classi accademiche, gli attivisti e i media dei liberal-globalisti sono però sempre più in contrasto con la visione ipocritamente machiavellica del mondo dell’élite politica della loro ideologia, il che spiega le proteste su larga scala contro Israele che hanno attraversato l’Occidente nell’ultima settimana. Non è compito di questa analisi approfondire le loro differenze in questo contesto e l’interazione tra queste fazioni, ma i lettori interessati possono fare riferimento a queste due analisi qui e qui per approfondire la questione.
Le osservazioni del paragrafo precedente sono pertinenti al presente articolo perché spiegano il motivo per cui l’élite politica dei liberal-globalisti ha applaudito con entusiasmo il blocco e i bombardamenti di Israele contro gli oltre due milioni di abitanti di Gaza. I leader statunitensi di questa classe hanno interesse ad attirare l’attenzione sulla narrazione fuorviante che l’ultima guerra tra Israele e Hamas sia uno “scontro di civiltà”, nonostante alcune differenze tra loro e i loro vassalli europei, per non parlare di altre sottoclassi.
Al contrario, sia le classi politiche occidentali che le sottoclassi accademiche, attiviste e mediatiche transatlantiche di questa ideologia sono rimaste relativamente in silenzio negli otto anni in cui Kiev ha bombardato il Donbass, il che può essere spiegato con il paradigma della civiltà introdotto in questa analisi. Gli ucraini e i russi sono considerati “bianchi” “occidentali”, la cui civiltà condivisa, storicamente a maggioranza slava e a guida ortodossa, può essere incorporata nella civiltà occidentale dopo la sua “balcanizzazione”.
Questa analisi di inizio ottobre elabora questo grande obiettivo strategico, che può essere riassunto come l’utilizzo da parte dell’Occidente dell’Ucraina come “cavallo di Troia” per dividere e governare la civiltà cosmopolita della Russia attraverso la guerra ibrida, dopo averla prima trasformata in “anti-Russia” a seguito di “EuroMaidan”. I liberal-globalisti hanno cercato di armare il multiculturalismo sotto una falsa veste di “decolonizzazione” per mascherare l’imperialismo occidentale, come sostenuto qui, che rischiava di fare a pezzi la Russia, come ha avvertito Medvedev qui.
L’operazione speciale della Russia ha sventato quel complotto, ma il punto è che era e continua a essere perseguito, il che spiega perché l’Occidente ha taciuto sui bombardamenti di Kiev nel Donbass dal 2014 in poi. Dal punto di vista delle loro élite politiche, la civiltà condivisa dell’Ucraina e della Russia, storicamente a guida ortodossa e a maggioranza slava, è molto più facile da sussumere in quella liberale-globalista dell’Occidente rispetto alla civiltà arabo-musulmana della Palestina, storicamente “alterata” in misura maggiore e considerata “incompatibile”.
L’Ucraina ha cercato di ripulire etnicamente la popolazione russa autoctona del Donbass e di genocidare coloro che sono rimasti se avesse riconquistato la regione, che è ciò che anche Israele sembra interessato a fare a Gaza, come spiegato qui, ma il ruolo strategico di Kiev è concettualizzato dall’Occidente come più ampio di quello di Tel Aviv. Mentre Israele combatte per una piccola striscia di territorio per perseguire i ristretti interessi geopolitici occidentali, l’Ucraina è utilizzata dall’Occidente per interessi civilizzativi-imperialistici di ben più ampia portata.
L’Occidente non si è mai aspettato che Israele ripulisse etnicamente, genocidasse e/o “balcanizzasse” tutta la civiltà arabo-musulmana dell’Asia occidentale, ma si aspettava che l’Ucraina facilitasse questi obiettivi e soprattutto l’ultimo, quello di dividere e governare contro la Russia. Di conseguenza, promuovere la narrativa dello “scontro di civiltà” nell’ultima guerra tra Israele e Hamas difende i limitati obiettivi geopolitici dell’Occidente su una base di finti “valori”, mentre fare lo stesso nel Donbass rischia di screditarli in quel contesto.
La Russia avrebbe dovuto essere “balcanizzata” e poi sussunta dalla nuova civiltà liberale-globalista dell’Occidente, cosa che non sarebbe stata possibile “alterando” i suoi popoli, relativamente più simili dal punto di vista della civiltà, nella stessa misura in cui hanno fatto con quelli, apparentemente più dissimili, della Palestina. Gli obiettivi dell’Occidente nel primo conflitto sono di espandere direttamente la portata della sua “eccezionale” civiltà, mentre nel secondo si limitano a sostenere il ruolo geopolitico di Israele come “portaerei inaffondabile”.
È comprensibile che i lettori possano sentirsi un po’ sopraffatti dopo essere stati introdotti a una visione così complessa degli affari civili, geopolitici e strategici; per questo motivo sono invitati a riflettere su quanto condiviso in questa analisi e magari a rivederla una volta dopo essersi riposati. Così facendo, si spera che siano in grado di comprendere meglio le ragioni della doppia morale etno-bigotta dell’Occidente nei confronti dei bombardamenti di russi e palestinesi, dove i primi vengono ignorati mentre i secondi vengono acclamati.
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L’annuncio di un accordo tra Australia, Stati Uniti e Regno Unito, che istituirà la partnership AUKUS nel settembre 2021, è balzato agli onori della cronaca per la cancellazione del contratto di acquisto di sottomarini francesi. Molto è stato scritto anche sull’atteggiamento della Cina, che vede l’iniziativa come un atto politico diretto contro di essa.
Mentre i piani prendono forma, non è l’aspetto delle capacità a essere al centro dell’attenzione, e nemmeno la portata strategica del patto tripartito nella regione indo-pacifica, ma il suo approccio senza precedenti alla cooperazione industriale e tecnologica. Se si crede ai protagonisti, questo rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma. Fatta salva la riforma di uno degli elementi più sclerotici del sistema americano, il nuovo modello di quasi-fusione è destinato a diffondersi a macchia d’olio. Avviso trasmesso agli altri alleati.
Fasi, pilastri e filoni
A metà marzo, a San Diego, i leader americani, australiani e britannici hanno presentato un piano intitolato “Optimum Way Forward”, frutto di diciotto mesi di intense consultazioni. Con l’Oceano Pacifico e il sommergibile classe Virginia USS Missouri (SSN-780) sullo sfondo, hanno illustrato le fasi successive che porteranno l’Australia a dotarsi di sottomarini a propulsione nucleare di cui avrà il completo controllo. Questo progetto di cooperazione, tanto vasto quanto complesso e delicato, durerà tre decenni. Per AUKUS, questo è solo uno dei suoi due pilastri. Oltre ai sottomarini, la partnership comprende una seconda “linea di sforzo”, quella della collaborazione sulle tecnologie avanzate (inizialmente incentrata su cyber, intelligenza artificiale, capacità sottomarine correlate e campo quantistico, la sua portata è in continua espansione).
Naturalmente tutti i riflettori sono puntati sui nuovi sottomarini, un’impresa di dimensioni senza precedenti per l’Australia che costerà quasi 250 miliardi di dollari da qui al 2055, pari al 700% del suo attuale bilancio annuale per la difesa (si confronti con il programma americano di sottomarini balistici a propulsione nucleare Columbia, il cui costo per 12 unità è stimato in 112 miliardi di dollari, pari al 14% del bilancio della difesa americana nel 2023) (1). Tuttavia, ciò che caratterizzerà ogni fase – dall’addestramento del personale e dalla creazione di infrastrutture di manutenzione al co-sviluppo e alla costruzione locale della nuova generazione di SNA, compreso l’acquisto di tre-cinque sottomarini di seconda mano della classe Virginia – è la necessità di scambiare informazioni e tecnologie su una scala mai raggiunta prima.
Visto da questa prospettiva, il progetto dei sottomarini potrebbe soprattutto servire da catalizzatore per abbattere le barriere che, da parte americana, hanno finora impedito la creazione di una base industriale e tecnologica “integrata” con gli alleati britannici e australiani. Primo fra tutti l’ITAR (International Traffic in Arms Regulations), che è sempre stato uno straccio rosso. Questo pilastro “sottomarino” dovrebbe quindi segnalare, nell’immediato, la volontà dei tre alleati anglosassoni di fondersi virtualmente di fronte alla sfida cinese e di avviare una dinamica di lungo periodo per la base industriale e tecnologica. Secondo Bill Greenwalt, ex capo della politica industriale del Pentagono, “la parte “sottomarini” non arriverà in tempo per essere rilevante in un conflitto a breve termine con la Cina. Ciò che accade nel secondo pilastro potrebbe esserlo, ma solo se l’ITAR verrà radicalmente modificato”.
In teoria, il progetto AUKUS è notevolmente ben strutturato. Ciò che gli conferisce coerenza strategica è il rapido spostamento dell’equilibrio di potere regionale a favore della Cina. Nel presentare l’Australian Strategic Review 2020, l’allora Primo Ministro disse: “Il nostro ambiente strategico non è stato così incerto dalla minaccia esistenziale che abbiamo affrontato quando l’ordine mondiale e regionale è crollato negli anni ’30 e ’40 (2)”. Anche gli Stati Uniti sono preoccupati. Ogni anno, il Congresso americano ascolta con stupore gli aggiornamenti sugli sforzi militari di Pechino: “Solo nel 2022, l’esercito cinese ha aggiunto 17 grandi navi da guerra al suo inventario operativo, compresi due sottomarini d’attacco. L’aeronautica ha raddoppiato la capacità di produzione degli aerei di quinta generazione J-20. La Cina ha effettuato con successo 64 lanci spaziali e ha messo in orbita almeno 160 satelliti. Il settore missilistico continua ad espandere massicciamente il suo arsenale convenzionale e nucleare, costruendo centinaia di silos per missili nucleari e mettendo in funzione diverse centinaia di missili balistici e da crociera. (3) ” Di fronte a questa sfida, si moltiplicano le richieste di un aumento esponenziale della produzione industriale e dell’innovazione tecnologica, nonché di un immediato rafforzamento delle capacità militari sottomarine.
Sommergibili
L'”Optimum Way Forward” mira a garantire una presenza sottomarina rafforzata d’ora in poi, senza interruzioni di capacità quando i sei battelli australiani della classe Collins saranno ritirati. Nonostante la loro continua modernizzazione, sarà difficile che i Collins diesel-elettrici rimangano in servizio oltre la fine del prossimo decennio. Il piano AUKUS dovrà organizzare la transizione dell’Australia verso la propulsione nucleare, che sarà l’unico Paese al mondo a gestire senza possedere una base industriale nucleare militare o civile. A partire da quest’anno, si prevede di intensificare l’addestramento del personale australiano a bordo dei sottomarini americani e britannici e persino, una volta conclusi gli accordi necessari, nei cantieri navali di questi due Paesi. Allo stesso tempo, le visite in porto dei sottomarini del tipo Virginia, a cui si aggiungerà in seguito un Astute britannico, diventeranno più frequenti.
Dal 2027, i sottomarini di questi due Paesi saranno schierati in Australia a rotazione (Submarine Rotational Force West) e, fino ad allora, l’Australia dovrà sviluppare le infrastrutture e il know-how per la manutenzione e la logistica. Canberra acquisirà così familiarità con questo tipo di sommergibile, mentre gli Stati Uniti beneficeranno di un’ulteriore base navale (congiunta con la Royal Australian Navy) oltre all’unica di Guam nel raggio d’azione dei nuovi missili cinesi (DF-26). A partire dai primi anni 2030, l’Australia potrà acquistare da tre a cinque sottomarini di tipo Virginia per colmare il divario fino all’arrivo della nuova generazione. Ed è qui che la trama si infittisce. La vendita è soggetta al via libera del Congresso. L’industria statunitense sta lottando per costruire i propri sottomarini: invece dei due Virginia all’anno richiesti, si è arrivati a 1,2-1,4 unità. Certo, Canberra si è impegnata a finanziare un’ulteriore linea di produzione americana, ma visti i cronici problemi di approvvigionamento e di manodopera, ci chiediamo come la Marina statunitense potrà portare gli attuali 49 SNA a 66-72, in linea con il suo obiettivo. Per non parlare delle navi che dovranno sostituire quelle vendute all’Australia.
Nel frattempo, nel Regno Unito, la nuova generazione di sottomarini a propulsione nucleare e armati convenzionalmente, denominata SSN-AUKUS, dovrà essere prodotta con l’obiettivo di entrare in servizio alla fine degli anni 2030 nella Royal Navy e, due o tre navi più tardi, all’inizio degli anni 2040 in Australia. Questa classe di progettazione britannica si baserà sul programma Submersible Ship Nuclear Replacement, destinato a fornire i successori dei sette Astutes. Ma sotto l’etichetta AUKUS, includerà anche tecnologie australiane e americane. Il Rolls-Royce PWR (Pressurized Water Reactor) fornirà la propulsione, mentre le armi includeranno un sistema di lancio verticale di origine americana. L’intero sistema di combattimento sarà un’estensione di quello che gli australiani già conoscono: i Collins sono equipaggiati con il sistema AN/BYG-1, originariamente sviluppato da General Dynamics per la classe Virginia.
In Australia, naturalmente, ci sono state critiche e dubbi sui costi, sulla fattibilità industriale e/o sui tempi del progetto. Tuttavia, pochi hanno messo in dubbio la scelta della propulsione nucleare. La maggior parte degli esperti sembra essere d’accordo con le parole di Pat Conroy, il ministro responsabile dell’industria della difesa: “Ciò che chiederemo ai nostri sottomarini di fare negli anni 2030-2040, solo la propulsione nucleare permetterà loro di farlo (4)”. Che si tratti di sopravvivenza in aree in cui i sottomarini a propulsione convenzionale sono facilmente individuabili, di velocità o di capacità di portare armi, la conclusione è la stessa: l’ANS sarà la pietra angolare del nuovo concetto di difesa australiana di “proiezione d’impatto”. Secondo alcuni, per andare dalla costa occidentale dell’Australia al Mar Cinese Meridionale, un sottomarino a propulsione nucleare impiegherà un tempo tre volte inferiore rispetto al suo equivalente diesel e sarà in grado di rimanere sul posto per 70-80 giorni, rispetto alle due settimane attuali (5).
Traendo insegnamento dagli insuccessi iniziali del Collins, gli australiani stanno adottando un approccio cauto (6). Inizieranno a costruire le proprie navi solo dopo che la capoclasse e una o due altre navi costruite nel Regno Unito saranno entrate in servizio con la Royal Navy. Rimangono tuttavia seri interrogativi sulla disponibilità di manodopera, sull’addestramento di ingegneri e tecnici navali, sul reclutamento degli equipaggi e sull’opportunità di mantenere contemporaneamente due o addirittura tre classi diverse. Stanno emergendo dubbi anche sul valore stesso dei sottomarini come capacità principale. Lo sviluppo vertiginoso dei sistemi di rilevamento ha portato ad avvertire dell’imminente “trasparenza” degli oceani (7). La corsa contro il tempo tra capacità attive e passive, rilevamento e stealth, sottolinea l’importanza del secondo pilastro dell’AUKUS, che prevede un’ampia cooperazione sulle tecnologie avanzate – subordinata alla riforma del sistema normativo negli Stati Uniti.
ITAR nel mirino
Secondo l’ex Segretario della Marina Richard Spencer, l’ITAR – e il sistema di controllo delle esportazioni degli Stati Uniti in generale – è “il più grande ostacolo che dobbiamo superare per rendere AUKUS un successo”. Una tavola rotonda di esperti sul tema, tenutasi a Sydney, è giunta alla stessa conclusione: “La comunità australiana della difesa è concorde nel ritenere che l’ITAR sia il principale ostacolo alla realizzazione di un’impresa industriale e tecnologica di difesa veramente integrata, sia attraverso l’AUKUS che attraverso altri meccanismi”. (8) ” Cosa è coinvolto? Dai Paesi partner stranieri agli operatori del mercato civile, tutti hanno paura di entrare in contatto con l’ITAR. L’ultima cosa che vogliono è vedere i loro prodotti “contaminati” da queste norme e, a causa della presenza di un componente americano, dover richiedere l’autorizzazione del Dipartimento di Stato ogni volta che desiderano riesportarli o anche trasferirli da un deposito all’altro all’interno dello stesso Paese.
Il successo di AUKUS dipenderà, non solo dalla cooperazione sui sottomarini, ma anche su tutte le tecnologie più o meno correlate, dal rendere il più fluido possibile lo scambio di tecnologie, informazioni ed equipaggiamenti. L’esperienza degli australiani li induce alla cautela. Sebbene dal 2017 facciano parte della NTIB (National Technology and Industrial Base) statunitense, insieme a Canada e Regno Unito, le lungaggini burocratiche sono ancora d’intralcio, anche per la manutenzione e l’assistenza dei loro aerei che contengono parti di origine statunitense. Il programma pilota OGL (Open General License) che dovrebbe porre rimedio a questa situazione presenta ancora troppe restrizioni. Soprattutto, non si applica alle “nuove acquisizioni e capacità”, che sono il cuore di AUKUS. A meno che non si abbandoni l’approccio del DDTC (Directorate of Defense Trade Controls) del Dipartimento di Stato, la collaborazione sulle tecnologie avanzate rimarrà confinata ai margini.
Infatti, le aziende americane più innovative, ad esempio nel campo della tecnologia quantistica, sono sempre più reticenti e si circondano di avvocati all’idea di partecipare a un programma governativo. Gli eccessi del sistema, che scoraggiano l’innovazione e le partnership, sono stati criticati per molti anni. Molti vedono in AUKUS un’opportunità d’oro per cambiare questo stato di cose. L’Australia e il Regno Unito sono membri dell’NTIB e del club ultra-confidenziale di intelligence Five Eyes e sono considerati a Washington come gli alleati più vicini e affidabili. Inoltre, AUKUS è una priorità strategica, in quanto mira a contrastare l’avversario cinese. La sensazione generale è che questo sia il momento migliore per riformare l’ITAR. Ma il problema va ben oltre. Il sistema di controllo americano assomiglia a un labirinto: una miriade di agenzie e dipartimenti sono coinvolti, insieme a commissioni parlamentari, e tutti devono dare la loro approvazione. L’accesso alle informazioni è limitato dalla classificazione NOFORN (“not to be disclosed to foreign persons”) e la cooperazione effettiva è complicata da una rigida politica dei visti. AUKUS viene citato come un potenziale passo avanti in tutte queste aree.
Una matrice in divenire?
È innegabile che l’istituzione di AUKUS fornisca un enorme impulso per l’alleggerimento delle barriere normative e amministrative. L’accordo sullo scambio di informazioni sulla propulsione nucleare è stato firmato nel novembre 2021 ed è entrato in vigore nel febbraio 2022 (paradossalmente, questa è stata la parte più semplice, trattandosi di un caso speciale). Nella settimana successiva all’annuncio di metà marzo della “via ottimale per il futuro”, il Dipartimento di Stato ha autorizzato la vendita di 220 missili Tomahawk attraverso l’FMS (Foreign Military Sale), che Canberra attendeva da due anni. Il Congresso, da parte sua, ha esaminato il dossier ITAR per valutare la possibilità di accelerare o addirittura esentare gli alleati australiani e britannici. Nonostante un certo disgelo politico, va detto che i vincoli istituzionali permangono e gli scarsi progressi compiuti finora non sono all’altezza della sfida.
Tuttavia, questa riforma basata su AUKUS fa parte di un obiettivo più globale. L’ultima strategia di difesa nazionale degli Stati Uniti è estremamente chiara su questo punto: “I nostri alleati devono essere incorporati in ogni fase della pianificazione della difesa”. A tal fine, il Pentagono ridurrà gli ostacoli istituzionali alla ricerca e allo sviluppo collettivi, all’interoperabilità, alla condivisione delle informazioni e all’esportazione di capacità chiave”. (9) ” Quindi AUKUS è solo il prototipo. A quale scopo? Per ottenere una “postura di deterrenza integrata” attraverso l'”intercambiabilità”. Questo concetto è sempre più utilizzato da funzionari americani, come il capo delle operazioni navali, l’ammiraglio Mike Gilday (10). Ma cosa significa? A sentire i pochi esperti e funzionari che si azzardano a specificare, non si tratta di un semplice cambiamento di scala (ancora più interoperabilità), ma di un salto qualitativo.
Invece di essere “solo” in grado di operare insieme, le armi e i soldati dei diversi alleati diventerebbero intercambiabili. Dottrine, logistica, addestramento ed equipaggiamento sarebbero armonizzati al punto che gli eserciti potrebbero operare, secondo le parole di Ashley Townshend, uno degli esperti australiani più citati, “in modo agnostico rispetto alle nazionalità (11)”. Eppure, in occasione dell’annuale Allied Warfighter Talks della NATO, il vice capo di Stato Maggiore degli Stati Uniti, ammiraglio Christopher Grady, ha presentato questo modello come ideale parlando del futuro dell’Alleanza Atlantica: “L’interoperabilità è solo il punto di partenza. Il nostro obiettivo è passare dall’interoperabilità all’integrazione e poi all’intercambiabilità”. (12) ” Almeno questo ha il merito di essere detto.
Il 1° aprile 2023, il sito web Naval News ha stupito i suoi lettori annunciando che la Francia aveva aderito al partenariato AUKUS. Con tutta la serietà del mondo, arricchita da qualche battuta più o meno discreta, l’articolo illustrava i dettagli di questa decisione a sorpresa. Un vero e proprio scoop, vista la storia del progetto sottomarino, che è stato ripreso da diverse piattaforme prima che qualcuno si rendesse conto che si trattava di un pesce d’aprile. Solo che, per quanto possa sembrare inverosimile oggi, la realtà potrebbe un giorno unirsi allo scherzo. In ogni caso, all’interno della NATO è chiaramente percepibile una tendenza a spostare gli alleati non solo verso l’Indo-Pacifico, ma anche verso un modello di intercambiabilità che prevede una base di difesa sempre più integrata con quella degli Stati Uniti. Il tempo ci dirà se la bufala di Naval News era un eccellente pezzo di humour nero o… una premonizione.
Note
(1) Si veda Mick Ryan, “AUKUS Submarine Agreement: Historic but Not Yet Smooth Sailing”, CSIS, 17 marzo 2023, e “Navy Columbia (SSBN-826) Class Ballistic Missile Submarine Program”, Congressional Research Service, 31 marzo 2023.
(2) Osservazioni di Scott Morrison all’Accademia delle Forze di Difesa australiane, in occasione della presentazione dell’aggiornamento della strategia di difesa 2020, 1 giugno 2020.
(3) Audizione dell’ammiraglio John C. Aquilino, capo del Comando degli Stati Uniti per l’Indo-Pacifico (USINDOPACOM), davanti alla Commissione per i servizi armati della Camera, 18 aprile 2023.
(4) Intervista di Tom Elliot a Pat Conroy, 3AWMelbourne, 14 marzo 2023.
(5) “Cambio di paradigma? Australia, AUKUS and the Defence Strategic Review”, conferenza al Lowy Institute di Sydney, 23 marzo 2023.
(6) Peter Yule e Derek Woolner, The Collins Class Submarine Story, Cambridge University Press, 2008.
(7) “Oceani trasparenti? The coming SSBN counter-detection task may be insuperable”, Australian National University, Indo-Pacific Strategy Series, Undersea Deterrence Project, maggio 2020.
(8) “Defence Industry Roundtable Series, Report on Series 1: Export Controls”, United States Studies Center, University of Sydney, 23 aprile 2023.
(9) Strategia di difesa nazionale 2022, Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, ottobre 2022, pag. 14.
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Il fervore escatologico della crisi palestinese sta raggiungendo un picco assordante. I funzionari di tutto il mondo stanno gettando la maschera e segnalano inavvertitamente la natura biblica del conflitto.
Ad ogni occasione, i funzionari intingono i loro proclami di riferimenti e allegorie bibliche. Il primo di questi è stato Netanyahu, che ha invocato un assortimento di profezie bibliche come fischietto per stimolare il suo popolo in una frenesia escatologica.
Qui non solo invoca la “profezia di Isaia”, ma inquadra il conflitto come quello della “luce” contro le “tenebre” e del bene contro il male, dipingendo i palestinesi come i figli delle tenebre che devono essere sconfitti dal popolo eletto:
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La profezia di Isaia di cui sembra parlare è la seguente:
Isaia 60:18 ESVNon si udrà più violenza nel tuo paese,
devastazione o distruzione entro i tuoi confini;
chiamerai le tue mura Salvezza
e le tue porte Lode.
Ma poi, in modo più controverso, ha invocato il nemico di sangue biblico di Amalek:
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L’interpretazione di un commentatore:
Netanyahu continua a fare riferimento alle profezie bibliche nelle sue conferenze stampa: “Dovete ricordare ciò che Amalek vi ha fatto, dice la nostra Sacra Bibbia, e noi lo ricordiamo e stiamo combattendo. I nostri eroi che combattono a Gaza continuano una dinastia di eroi che risale a 3000 anni fa nella storia – da Giosuè agli eroi del 1948, dalla Guerra dei Sei Giorni alla Guerra dello Yom Kippur e a tutte le altre guerre”: “Così dice il Signore degli eserciti: Mi sono ricordato di ciò che Amalek ha fatto a Israele, di come si è opposto a lui lungo il cammino quando è uscito dall’Egitto” (15:2). Il Signore ordinò al re Saul di distruggere il nemico e tutto il suo popolo: “Ora va’, sconfiggi Amalek e distruggi tutto ciò che possiede; non avere pietà, ma metti a morte marito e moglie, dal giovane al bambino, dal bue alla pecora, dal cammello all’asino” (15:3). Netanyahu si sente un nuovo Messia con il diritto divino di sterminare tutti i nemici del popolo eletto… Un maniaco genocida.
È questo il tono minaccioso con cui molti osservatori arabi interpretano le sue parole:
E un altro:
Israele ha finalmente raggiunto l’apice reazionario, un etno-stato religioso con un leader bellicoso e messianico che sta portando avanti la liquidazione del ghetto di Gaza:- …è un test per tutta l’umanità, è una lotta tra le forze del male… e l’asse della libertà e del progresso. Noi siamo il popolo della luce, loro sono il popolo delle tenebre e la luce deve trionfare sulle tenebre. Ora il mio ruolo è quello di condurre tutti gli israeliani a una vittoria schiacciante… Realizzeremo la profezia di Isaia… insieme vinceremo”. La profezia di Isaia, a cui Netanyahu fa riferimento, è una profezia della vittoria di Israele sui suoi nemici. Viene spesso utilizzata dagli israeliani per giustificare il loro dominio sui palestinesi. Naturalmente, in una certa misura, non dovremmo essere sorpresi. Israele, dopo tutto, è uno degli unici Stati al mondo fondato quasi esclusivamente sul “diritto biblico”, il che significa che è naturale che gran parte della sua politica – giusta o sbagliata che sia – sia radicata nella determinazione biblica.
Quindi non è il puro atto di invocazione biblica in sé a preoccupare, ma piuttosto l’implicazione che Netanyahu sembra concepire se stesso come una figura messianica che conduce la sua nazione a un compimento escatologico, una sorta di Giorno del Giudizio o Rapimento. Naturalmente, è incredibilmente pericoloso che una nazione guidata da un sedicente messia dell’era finale guidi il resto del mondo sonnambulo verso la terza guerra mondiale.
E chi sono questi sonnambuli dagli occhi di rugiada? Le figure di spicco dell’Occidente, in particolare gli Stati Uniti evangelici, anche se non mancano le sorprese. Per esempio, molti sono rimasti scioccati nel vedere l’indù Vivek Ramaswamy ripetere in modo bizzarro e sicofantico la premessa biblica del “prescelto”, con la sua concezione di “nazione divina”:
Ha ulteriormente irritato i suoi seguaci con l’improvviso cambio di tono bellicoso nel suo ultimo discorso, spingendo la gente a chiedersi cosa c’è nelle figure dell’establishment che le fa invariabilmente sciogliere in modo così ufficiale come mastice nelle mani di Israele:
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Non altrettanto scioccante è stato il nuovo presidente della Camera Mike Johnson, che è passato immediatamente alla modalità sionista cristiana:
Il fatto è che l’élite politica americana è sionista sfegatata perché molti di loro provengono dal ceppo del cristianesimo evangelico e battista del sud, che predica una visione molto favorevole di Israele a causa delle connessioni bibliche.
Il giornalista indipendente Lee Fang ha aperto la strada a questo aspetto durante l’attuale crisi. Qui intervista alcuni membri del Congresso degli Stati Uniti, uno dei quali dichiara apertamente di prendere le scritture bibliche su Israele molto “alla lettera”: chi benedice Israele sarà a sua volta benedetto:
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In particolare, Fang sostiene che molte di queste persone credono nel Rapimento, dove una battaglia finale “Armageddon” sarà combattuta su Gerusalemme, che prefigurerà la seconda venuta di Cristo.
Guarda di più:
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Potete vedere altri suoi servizi qui:
Lee Fang
I televangelisti invocano la guerra santa per chiedere armi a Israele e attacchi all’Iran
Il pastore John Hagee, del gruppo di difesa Christians United for Israel e capo della Cornerstone Church, ha portato un messaggio mirato alla sua congregazione e a milioni di spettatori in tutto il mondo. Hagee ha parlato dell’orrore degli attacchi di Hamas contro Israele, poi ha rapidamente rivolto la sua attenzione. “La giusta rabbia dell’America deve essere concentrata sull’Iran”, ha tuonato, affiancato da funzionari diplomatici israeliani e da diversi membri del Congresso, che hanno registrato messaggi di sostegno alla sua causa… Leggi tutto
3 giorni fa – 189 mi piace – 116 commenti – Lee Fang
Il pastore John Hagee, affiancato da diplomatici e legislatori israeliani, ha citato la profezia della fine dei tempi per invocare il sostegno militare a Israele e gli attacchi statunitensi all’Iran.
Infatti, Fang sottolinea come “l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan e altri diplomatici israeliani sono volati in Texas per tenere un raduno di preghiera della destra cristiana con il pastore John Hagee, [che] cita il profeta Isaia – un fischietto per la fine dei tempi – e invita gli evangelici a fare pressioni sul governo degli Stati Uniti per sostenere Israele come guerra religiosa”.
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Il pastore John Hagee, di Christians United for Israel, ha persino predicato un’ulteriore profezia della fine dei tempi, invocando apertamente una guerra contro l’Iran:
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Lee Fang aggiunge:
Per molti di questi cristiani evangelici, la moderna fondazione di Israele è stata l’inizio di questa profezia, che secondo loro afferma che gli ebrei devono controllare Gerusalemme prima di una guerra tra gli imperi malvagi di “Gog e Magog”. Televangelisti come Hagee hanno affermato che varie nazioni arabe, così come la Cina, la Russia e l’Iran, corrispondono a questi nemici biblici di Israele, e ritiene che una guerra sia necessaria per adempiere alla profezia. Secondo questa credenza, i tempi finali si concludono con il rapimento dei cristiani fedeli in cielo e con il ritorno di Cristo per uccidere o convertire i non credenti, compresi gli ebrei, prima di governare il mondo in un’era finale dell’umanità.
È evidente che gran parte dell’élite politica e dell’intellighenzia americana ritiene che Israele sia al centro del tanto atteso evento culminante del “Rapimento”. Considerano il loro sostegno a Israele come assolutamente necessario per la loro ascensione e la salvezza delle loro anime. Questo li pone intrinsecamente in una posizione di sudditanza nei confronti dei bisogni e delle motivazioni geopolitiche di Israele, e permette a quest’ultimo di manipolarli e burattinarli molto facilmente, attraverso il controllo religioso evangelico di base, per indurli a sostenere qualsiasi iniziativa sia necessaria, per quanto bellicosa.
Erdogan ha ripreso queste dimensioni nel suo ultimo discorso, sottolineando la frattura escatologica globale tra il popolo della Croce e quello della Mezzaluna e invocando le Crociate:
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Il che ha persino indotto il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ad annunciare l’immediato ritiro dei diplomatici dalla Turchia e una “rivalutazione” delle relazioni israelo-turche:
Naturalmente, molti sospettano, a ragione, che Erdogan non faccia altro che parlare della questione palestinese per presentarsi come “uomo forte” e “leader del mondo musulmano”:
Come abbiamo già notato, Erdogan sta cercando di capitalizzare l’insoddisfazione per le azioni di Israele e di posizionarsi come “protettore” di tutti i musulmani. A giudicare dalla forte retorica e dall’entusiasmo del leader turco, egli si immagina come la reincarnazione del sultano Mehmed II, noto come il “conquistatore”. Nel suo discorso ha criticato sia l’Occidente che la Russia (il riferimento al Karabakh è indicativo). Ora si tratta di capire fino a che punto è disposto a spingersi. Il suo discorso sarà semplicemente un tentativo di aumentare la sua popolarità in mezzo ai combattimenti nella Striscia di Gaza, o segnerà l’inizio di un nuovo, più grande conflitto?
Erdogan, Israele e Gaza: “It’s the Gas, Stupid!”️L’immagine satirica ma penetrante di Erdogan seduto su un tubo del gas, che porge cuori caldi a Netanyahu mentre dalla sua bocca sgorga il vetriolo contro la “barbarie” di Israele, rivela la cruda ipocrisia che danza al centro del teatro politico di Erdogan. La vignetta cattura l’essenza dell’ostentazione di Erdogan, un leader che “protesta troppo” – letteralmente – sul palcoscenico dei raduni pro-palestinesi, per poi inchinarsi al ritmo dei cinici interessi quando si chiude il sipario. La ridicola dimostrazione di affetto nei confronti di Netanyahu, contrapposta alla sua retorica infuocata, sottolinea una chiara narrazione: L’altolà morale di Erdogan sembra sgretolarsi quando i sussurri di “gli affari sono affari” riecheggiano nelle stanze degli accordi turco-israeliani sul gas. (https://www.i24news.tv/en/news/israel/economy/1693292330-israel-examines-construction-of-gas-pipeline-to-turkey)Lo stridente contrasto tra i comizi di Erdogan contro l’aggressione israeliana e le sue coccole dietro le quinte con la leadership israeliana per le lucrose forniture di gas è ridicolmente tragico. Porta alla luce una realtà velata, in cui le grida di solidarietà con la Palestina sono affogate dal tintinnio degli accordi economici con Israele: Quando la rabbia teatrale di Erdogan si tradurrà in un’azione genuina, se mai lo farà? O il fascino del gas continuerà ad alimentare le calde braci delle relazioni israelo-turche, mentre le grida dei palestinesi si perdono nella fredda ombra?
Quanto impulso genuino ci sia sotto l’agitazione di Erdogan è oggetto di dibattito, ma sta diventando sempre più chiaro che non solo si sta aprendo uno scisma globale, ma che tutti stanno iniziando a cogliere le dimensioni storiche, bibliche ed escatologiche di questi eventi.
Anche il presidente russo Medvedev ha aggiunto ieri le sue frecciate con l’invocazione di Moloch, un dio pagano cananeo noto per i sacrifici di bambini, un chiaro riferimento al massacro incurante di Israele dei bambini palestinesi:
Dmitry Medvedev: Israele continua a ritardare la sua operazione di terra a Gaza. Soprattutto per le pressioni degli Stati Uniti e per paura dell’ira mondiale, ma non illudetevi. L’operazione avrà luogo, e con le conseguenze più gravi e sanguinose. Il Moloch chiede sempre più vittime e la macchina della violenza reciproca funzionerà per anni. E ha ripreso con entusiasmo il sostegno a Israele. Persino il nuovo presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Michael Jackson (scusate, Mike Johnson, ma chi se ne frega) ha indicato l’aiuto a Tel Aviv come la sua prima priorità.O forse sarebbe meglio riprendere il processo di colonizzazione del Medio Oriente e cercare finalmente di attuare la risoluzione n. 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 22 novembre 1967? O anche il Piano di spartizione della Palestina adottato il 29 novembre 1947 con la Risoluzione 181 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite? Le domande sono, ovviamente, retoriche. Dopo tutto, dividere i soldi della guerra di qualcun altro lontano dagli Stati Uniti è molto più interessante.La guerra deve continuare…
Ma uno dei pezzi più importanti su questo tema viene questa settimana da Alastair Crooke. Cogliendo appieno le dimensioni del conflitto in corso, Crooke scrive:
Non è una coincidenza che Netanyahu, durante il suo discorso all’Assemblea Generale del mese scorso, abbia mostrato una mappa di Israele in cui Israele dominava dal fiume al mare, mentre la Palestina (o qualsiasi territorio palestinese) era inesistente.
In effetti, sempre più spesso quanto detto sopra continua ad essere dimostrato. Per esempio, una nuova fuga di documenti interni israeliani afferma di mostrare un piano governativo che chiede esplicitamente il trasferimento totale – cioè la pulizia etnica – dei palestinesi nel Sinai:
Chiunque dubiti ulteriormente di questo, o creda che si tratti di una teoria della cospirazione infondata, deve solo guardare un segmento meno visto della recente intervista di Marc Lamont Hill all’ex vice ministro degli Esteri israeliano Danny Ayalon, che, senza mezzi termini, espone esplicitamente il piano. Molti di voi hanno visto la clip che sta facendo il giro in cui chiede che i civili di Gaza siano spinti giù al valico di Rafah, ma probabilmente non avete visto questa parte estesa.
Guardate solo il primo minuto qui sotto:
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Egli afferma chiaramente che i palestinesi devono essere filtrati in tendopoli nel Sinai. Questo conferma pienamente le “fughe di notizie” sul trasferimento totale e forzato della popolazione di Gaza in Egitto e supporta ulteriormente la dichiarazione di Crooke sulla creazione della biblica “Terra di Israele”.
Anche altri politici israeliani hanno invocato le scritture bibliche per sostenere la loro posizione di totale pulizia della Palestina. Per esempio, ecco Moshe Feiglin, uno dei membri più potenti del partito Likud, che invoca apertamente una punizione biblica su Gaza sotto forma di distruzione totale di tutti i palestinesi, come a Dresda, e di ridurre tutta Gaza “in cenere”:
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Qui chiede il genocidio indiscriminato di tutti i palestinesi per dare loro una lezione:
Ma Crooke prosegue:
Nonostante lo scetticismo occidentale, ci sono segnali che indicano che questa insurrezione nella sfera araba è diversa, e assomiglia di più alla Rivolta Araba del 1916 che ha rovesciato l’Impero Ottomano. Sta assumendo un “taglio” distinto, poiché sia le autorità religiose sciite che quelle sunnite affermano il dovere dei musulmani di stare dalla parte dei palestinesi. In altre parole, mentre la politica israeliana diventa palesemente “profetica”, l’umore islamico diventa a sua volta escatologico.
In effetti, gli eventi che stanno attualmente precipitando nel Levante sembrano di portata biblica. Le ultime notizie sull’armata NATO che si sta radunando intorno a Israele lasciano senza fiato:
Per non parlare di un monumentale ponte aereo di oltre 50 aerei da trasporto statunitensi C-17 che trasportano quantità spropositate di armi verso il Medio Oriente, in quella che a molti appare come una preparazione alla guerra:
Circa 50 aerei da trasporto militari statunitensi sono decollati verso il Medio Oriente nelle ultime 24 ore. Il 97% di essi sono giganteschi aerei da carico C-17, in grado di trasportare 77 tonnellate di attrezzature e armi.
E, infrangendo qualsiasi illusione che si tratti di una coincidenza, lo stesso Biden è sembrato comprendere le proporzioni escatologiche di questo conflitto quando ha dichiarato apertamente:
“Siamo in un punto di inflessione… nel mondo, che si verifica ogni 3 o 4 generazioni”.
Continua poi a raccontare minacciosamente che “60 milioni di persone sono morte tra il 1900 e il 1946” per stabilire un “ordine mondiale liberale” che, a quanto pare, ha portato a una sorta di età dell’oro, che altri definirebbero come modello mondiale unipolare.
Ma ora, afferma, le cose si stanno nuovamente spostando verso un “nuovo ordine mondiale”:
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Dimenticate la tentazione cospirazionista di accaparrarsi il frutto basso dell’invocazione del NWO. Concentratevi piuttosto sul fatto che Biden sta riconoscendo che ciò che sta accadendo ora è un punto di inflessione senza precedenti che minaccia di scuotere il mondo in un modo che non è stato fatto dal riallineamento del secondo dopoguerra. Il fatto che egli faccia riferimento a decine di milioni di persone che stanno morendo non fa che aumentare l’aspetto premonitore della chiara comprensione delle attuali ramificazioni escatologiche da parte delle élite.
È interessante notare, tuttavia, che la direzione apparentemente apocalittica ha reso gli addetti ai lavori estremamente preoccupati, creando spaccature all’interno dell’establishment stesso. Per esempio, l’apparato responsabile dei trasferimenti di armi degli Stati Uniti alle nazioni straniere si è appena dimesso pubblicamente per motivi morali ed etici nei confronti del rifornimento del regime terroristico genocida di Israele:
Il direttore degli Affari Congressuali e Pubblici presso l’Ufficio Affari Politico-Militari del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Josh Paul, responsabile dei trasferimenti di armi degli Stati Uniti alle nazioni straniere, si è appena dimesso con una lettera di dimissioni pubblicata sul suo profilo LinkedIn, in cui afferma che la ragione è da ricercare nelle spedizioni di armi statunitensi in sospeso per Israele, che secondo lui “abusa dei diritti umani”.
Ora, i membri dello staff del Congresso di Capitol Hill si stanno anche segretamente rivoltando contro Israele. Il giornalista Kei Pritsker ha parlato con uno staff anonimo “che descrive il crescente malcontento per il massacro di Israele nel Congresso”:
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In breve: si tratta di una sorta di ammutinamento, all’interno dello stesso establishment, che indica una spaccatura crescente man mano che le persone iniziano a comprendere le reali dimensioni dell’escalation del conflitto.
Alastair Crooke, per esempio, parte con una visione pessimistica della situazione:
Se Israele dovesse entrare a Gaza (e potrebbe decidere di non avere altra scelta se non quella di lanciare un’operazione di terra, date le dinamiche politiche interne e il sentimento dell’opinione pubblica), è probabile che Hizbullah venga progressivamente attirato ancora più all’interno, lasciando agli Stati Uniti l’opzione binaria di vedere Israele sconfitto o di lanciare una grande guerra in cui tutti i punti caldi si fondano “come uno solo”.In un certo senso, il conflitto israelo-islamico ora può essere risolto solo in questo modo cinetico. Tutti gli sforzi compiuti dal 1947 hanno visto la frattura solo approfondirsi. La realtà della necessità della guerra sta permeando ampiamente la coscienza del mondo arabo e islamico.
Come ultimo tassello per capire dove si stanno dirigendo le cose, abbiamo l’intervista di questa settimana all’ex Primo Ministro francese Dominique De Villepin, tradotta da Arnaud Bertrand.
Arnaud elogia De Villepin per la sua decostruzione estremamente perspicace del conflitto, e io sono d’accordo. Consiglio vivamente di leggere l’intervista nella sua interezza, ma sottolineerò il singolo punto più importante in essa contenuto.
La sua idea principale è incarnata dal seguente scambio essenziale:
“Hamas ci ha teso una trappola, e questa trappola è una trappola di massimo orrore, di massima crudeltà. E quindi c’è il rischio di un’escalation di militarismo, di ulteriori interventi militari, come se potessimo risolvere con gli eserciti un problema così grave come la questione palestinese. Ci troviamo intrappolati, con Israele, in questo blocco occidentale che oggi è messo in discussione dalla maggior parte della comunità internazionale.[Presentatore: Cos’è l’occidentalismo?]L’occidentalismo è l’idea che l’Occidente, che per cinque secoli ha gestito gli affari del mondo, potrà continuare tranquillamente a farlo. E possiamo vedere chiaramente, anche nei dibattiti della classe politica francese, che c’è l’idea che, di fronte a ciò che sta accadendo attualmente in Medio Oriente, dobbiamo continuare a lottare ancora di più, verso quella che potrebbe assomigliare a una guerra religiosa o di civiltà. Non è questa la strada, soprattutto perché c’è una terza trappola, quella del moralismo. E qui abbiamo in un certo senso la prova, attraverso ciò che sta accadendo in Ucraina e in Medio Oriente, di questo doppio standard che viene denunciato ovunque nel mondo, anche nelle ultime settimane quando mi reco in Africa, in Medio Oriente o in America Latina. La critica è sempre la stessa: guardate come vengono trattate le popolazioni civili a Gaza, denunciate ciò che è accaduto in Ucraina e siete molto timidi di fronte alla tragedia che si sta svolgendo a Gaza. Consideriamo il diritto internazionale, la seconda critica che viene mossa dal Sud globale. Sanzioniamo la Russia quando aggredisce l’Ucraina, sanzioniamo la Russia quando non rispetta le risoluzioni delle Nazioni Unite, e sono 70 anni che le risoluzioni delle Nazioni Unite vengono votate invano e che Israele non le rispetta.
In breve, sta spiegando che l’Occidente si trova intrappolato in una fatale Fallacia dei Costi Sommersi. Dopo aver puntato tutto su un certo quadro morale ed etico del mondo, di fronte a una situazione in cui il tessuto morale dell’Occidente è stato apertamente smascherato e confutato, trova estremamente difficile – e forse fatalmente impossibile – ritirarsi, ammettere la propria colpa e correggere la rotta. Al contrario, gli arroganti e psicopatici leader dell’Occidente potrebbero scegliere di “andare fino in fondo” e imporre al resto del mondo la loro ontologia ormai falsificata.
Chiudendo il cerchio, anche De Villepin delinea il conflitto con tinte escatologiche:
Siete in un gioco di cause ed effetti. Di fronte alla tragedia della storia, non si può prendere questa griglia analitica della “catena di causalità”, semplicemente perché se lo si fa non se ne può uscire. Una volta capito che c’è una trappola, una volta capito che dietro questa trappola c’è stato anche un cambiamento in Medio Oriente per quanto riguarda la questione palestinese… La situazione oggi è profondamente diversa [da quella del passato]. La causa palestinese era una causa politica e laica. Oggi ci troviamo di fronte a una causa islamista, guidata da Hamas. Ovviamente, questo tipo di causa è assoluta e non ammette alcuna forma di negoziazione. Anche da parte israeliana c’è stata un’evoluzione. Il sionismo era laico e politico, sostenuto da Theodor Herzl alla fine del XIX secolo. Questo significa che anche loro non vogliono scendere a compromessi e tutto ciò che fa il governo israeliano di estrema destra, continuando a incoraggiare la colonizzazione, ovviamente peggiora le cose, anche dopo il 7 ottobre. In questo contesto, quindi, bisogna capire che in questa regione siamo già di fronte a un problema che sembra profondamente insolubile. A questo si aggiunge l’indurimento degli Stati. Dal punto di vista diplomatico, guardate le dichiarazioni del re di Giordania, non sono le stesse di sei mesi fa. Guardate le dichiarazioni di Erdogan in Turchia.
Riconosce che il conflitto sta arrivando al culmine: la classica forza inarrestabile contro l’oggetto inamovibile. Ora che le cose hanno assunto dimensioni bibliche, messianiche ed escatologiche, ci sono pochi modi per disinnescare la situazione.
Ma c’è qualche speranza, come dimostrano le crescenti spaccature all’interno delle stesse istituzioni occidentali. Si può persino vedere il riverbero lungo la spina dorsale della gerarchia politica statunitense, che aggiunge un passo insolitamente tremante al suo approccio tipicamente inequivocabile. Ora sembrano incerti su come procedere; nonostante l’invio di una massiccia armata nella regione, i loro segnali a Israele sono contrastanti.
Si continua a riferire che l’amministrazione di Biden è completamente divisa su come procedere. È interessante notare che anche Bush, alla vigilia della guerra in Iraq, era combattuto. Che cosa ha facilitato la sua “sana decisione” di invadere? A quanto pare, la stessa cornice escatologica:
Allora, l’amministrazione Biden seguirà l’esempio in accordo con le voci di una “vocazione superiore”, attenendosi agli obblighi biblici di proteggere la sacra Sion? Il problema è che, a differenza dell’Iraq e di Saddam, l’Iran e il suo protettorato sono molto più in sintonia con lo scopo escatologico degli eventi in corso, così come molte delle potenze satelliti che ora minacciano di entrare nel conflitto, come la Turchia, i cui esponenti dell’opposizione radicale hanno già minacciato la guerra contro Israele in caso di invasione totale di Gaza.
Il pericolo ultimo della situazione risiede nel fatto che Netanyahu e i suoi più ferventi sostenitori di destra vedono in questa situazione l’unica e potenziale opportunità di mettere in atto un piano pluridecennale per cancellare completamente la “Palestina” una volta per tutte. Se questo conflitto riguardasse solo Hamas, non ci sarebbe molto da preoccuparsi.
Ma dato che tutti gli indizi dimostrano che si tratta di un piano interno israeliano in fase di elaborazione da molto tempo, che gli eventi del 7 ottobre sono stati in realtà una falsa bandiera simile a Pearl Harbor, con il compito di generare l’indignazione necessaria per consentire l’esecuzione della “soluzione finale palestinese”, questo ci dice che il governo Netanyahu intende andare “fino in fondo” nel primo passo verso l’adempimento della profezia messianica.
E se questo è il caso, allora, come ha fatto intendere De Villepin, l’Occidente potrebbe essere intrappolato nel seguire Israele nelle tenebre, rischiando in pratica la propria distruzione totale per la follia e la vanità biblica di qualcun altro.
Alla fine, il conflitto potrebbe solo dividere pesantemente il mondo, piuttosto che portare a un confronto cinetico totale per la terza guerra mondiale. Ma anche in questo caso, porterebbe alla completa rovina dell’Occidente, poiché non farebbe altro che accelerare le spaccature globali e indurire i blocchi oppositivi appena formatisi, favorendo l’Oriente piuttosto che l’Occidente dipendente.
Dato che giganti dell’energia come l’Iran e la KSA non solo sono tecnicamente dalla stessa parte in questo conflitto, ma ancor più visti i recenti sviluppi come l’adesione della KSA ai BRICS (per non parlare dell’Egitto), il conflitto non farà altro che “isolare” l’Occidente da tutto ciò di cui ha bisogno per prosperare, lasciando che la Cina e la sua costellazione di potenze amiche si sviluppino e crescano e si allontanino dalle potenze europee in declino e in necrosi.
Se dovessi fare una previsione, è così che vedo le cose. Anche se c’è ancora una forte possibilità che si verifichi una grande esplosione cinetica, sono leggermente favorevole al fatto che le potenze occidentali si astengano dal premere il grilletto a causa della forte opposizione interna e del sostegno che si sta sfilacciando, di cui si è parlato in precedenza. Questo conflitto continuerà a sobbollire per molti mesi, forse con qualche “chiamata ravvicinata”, ma alla fine porterà a riallineamenti globali ancora più profondi, poiché il mondo vedrà il volto nudo e crudo dell’ipocrisia moralizzatrice e dei doppi standard dell’Occidente. L’Occidente continuerà semplicemente a perdere la propria esclusività e rettitudine morale mentre l’intero Sud globale si solidifica sotto la guida di Cina, Russia e Iran.
Avvertendo l’esitazione e la debolezza dell’Occidente, Israele potrebbe tentare di innescare una conflagrazione più ampia aumentando l’ampiezza dei suoi falsi messaggi – forse un altro incidente simile a quello della USS Liberty o attacchi unilaterali all’Iran per spingerlo a una risposta che scatenerebbe necessariamente un intervento degli Stati Uniti. Credo che questo sarà il pericolo principale da tenere d’occhio perché, attanagliato dalla fase terminale della sua follia escatologica, Israele sarà al massimo dell’imprevedibilità e della pericolosità per l’umanità in generale.
Alla fine, potrebbero riuscire a stabilire un nuovo regno sulle ceneri del vecchio, ma forse non nel modo in cui si aspettavano.
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La discussione sulla “polarità” dell’ordine internazionale è stata dominante per diversi decenni nella scienza accademica delle relazioni internazionali, nelle dichiarazioni di esperti e, naturalmente, nelle dichiarazioni di personalità politiche. È ugualmente popolare sia tra coloro che cercano di preservare l’ingiusto ordine internazionale del passato, sia tra coloro che ne chiedono il cambiamento in nome di un ordine globale migliore e più giusto. Negli ultimi 30 anni, una parte significativa dell’attenzione del pubblico di lettori si è concentrata sulla questione di quale sistema – bipolare, unipolare o multipolare – esista attualmente e, soprattutto, sia il più adatto dal punto di vista della sicurezza internazionale per risolvere i problemi di sopravvivenza dei singoli Stati. In altre parole, il dibattito su questo tema è così attivo che si può involontariamente sospettare che il problema sia in qualche modo fittizio.
In tutte le discussioni, la questione del numero di “poli” è al centro dell’attenzione ed è considerata decisiva per fornire una descrizione più completa dell’equilibrio di potere nell’arena globale. Il motivo di questa ossessione generale è che l’uso di questa categoria teorica permette di semplificare al massimo il quadro estremamente complesso della realtà internazionale, rendendolo comprensibile non solo ai politici, ma anche alla gente comune. Inoltre, il concetto di “polo” è abbastanza facile da rendere operativo come modo per indicare lo status di uno Stato nella gerarchia mondiale, se riconosciamo che esiste ancora. Numerosi colleghi usano il termine “polo” per indicare che una potenza ha un certo insieme di componenti del suo potenziale di potere. Ci piace molto parlare di “poli” proprio perché scegliamo soluzioni analitiche semplici e apparentemente affidabili. Se siano sempre corrette resta comunque in dubbio.
Non c’è dubbio che il vero significato di ciò che oggi chiamiamo multipolarità sia estremamente ampio, e questo ci permette di trascurare alcune asperità metodologiche in nome di una buona causa. Allo stesso modo, esiste un male assoluto che porta in sé l’ordine che conosciamo come unipolare. Tuttavia, pur lasciando ai nostri leader e all’opinione pubblica il diritto incondizionato di usare categorie di comodo, dobbiamo riconoscere che la stessa discussione “polare” è il prodotto della nostra insufficiente volontà di espandere il quadro analitico al di là di categorie che sono nate in un’epoca storica completamente diversa, avendo, tra l’altro, una natura molto speculativa. Ora, questo può diventare un problema proprio perché la discussione sui “poli” allontana costantemente la comunità accademica dallo studio della realtà della politica mondiale, costringendola a concentrarsi su una trama che ha poco a che fare con i cambiamenti che caratterizzano la vita internazionale.
Per cominciare, è necessario ricordare che tutta la storia dei “poli” nasce nel quadro di approcci piuttosto astratti all’analisi della politica mondiale, delineati per la prima volta nel 1957 dal professor Morton Kaplan. Il desiderio di sistematizzare al massimo i nostri ragionamenti sulla natura di un fenomeno come la politica internazionale è diventato un tratto distintivo della seconda metà del secolo scorso. Quest’epoca, in linea di principio, è stata la più stabile in termini di distribuzione delle capacità di potenza tra gli Stati leader. La fine della Seconda Guerra Mondiale e l’inizio dell’era della Guerra Fredda hanno inevitabilmente spinto la comunità scientifica, e poi i politici, a fissare concettualmente una distribuzione relativamente stabile delle forze nelle nuove condizioni. Fino all’inizio degli anni ’80 nessuna delle parti in conflitto globale aveva la capacità di condurre operazioni offensive attive e, di fatto, sia gli Stati Uniti che l’Europa, così come l’URSS, divennero potenze con uno status permanente, preoccupate di mantenere la propria posizione nel mondo e solo attraverso l’espansione dell’influenza. Ciò non cancellò, ovviamente, l’aspra lotta tra loro a livello regionale – in Asia, Africa o America Latina. Tuttavia, nel principale teatro della politica mondiale – l’Europa – le battaglie principali erano temporaneamente terminate. In effetti, la stasi europea è proprio il motivo per cui la Guerra Fredda è considerata un’epoca stabile. Questo è giusto, poiché ora l’Europa conserva la capacità di essere la principale “polveriera” del mondo intero.
Dalla fine della Guerra Fredda, l’idea che il sistema internazionale sia basato sulla “polarità” ha ricevuto un nuovo sviluppo. L’innegabile vantaggio dell’Occidente rispetto a tutti gli altri partecipanti alla politica internazionale ha reso rilevante l’ipotesi che il mondo debba acquisire una struttura unipolare, in cui l’unico “polo” sono gli Stati Uniti, che hanno le maggiori capacità e influenza complessive. Allo stesso tempo, già all’epoca, vi erano discussioni attive che mettevano in discussione questa ipotesi. In primo luogo, i Paesi che ritenevano che il nuovo ordine limitasse i loro interessi e le loro capacità hanno iniziato a promuovere l’idea del multipolarismo. Già nel 1997, il presidente Boris Eltsin e il leader cinese Jiang Zemin firmarono una dichiarazione congiunta su un mondo multipolare. Notiamo che, in questo caso, la discussione “polare” è presente esclusivamente sul piano politico e non come tentativo di sostanziare un tale ordine mondiale a livello intellettuale.
In secondo luogo, c’è stato un dibattito attivo su ciò che, di fatto, ci permette di parlare di acquisizione di caratteristiche polari da parte di una o dell’altra potenza. Questa discussione si è svolta con il sostegno attivo dell’Europa, i cui leader fino alla fine degli anni Duemila speravano di consolidare la loro associazione per posizionarsi tra i principali partecipanti alla vita internazionale, con una forza pari a quella degli Stati Uniti, della Cina o della Russia. In realtà, è stata l’Europa, i suoi politici e i suoi osservatori, a dare il maggior contributo all’ampliamento delle interpretazioni di ciò che ci permette di parlare di un partecipante alla vita internazionale come di un polo indipendente. Questo ha dato loro poco. Già all’inizio degli anni 2010 la posizione dell’UE aveva cominciato a indebolirsi e la sua dipendenza dagli Stati Uniti in materia di sicurezza sta aumentando.
Ora le discussioni sull’imminente multipolarità sono diventate così universali che solo gli intellettuali americani, che rimangono fedeli all’idea di un dominio completo degli Stati Uniti sul resto del mondo, non vi partecipano. Il ruolo di coloro che cercano soluzioni di compromesso è assegnato ai loro più vicini satelliti in Europa. Parlano dell’inizio di un “nuovo bipolarismo” basato sul confronto delle capacità combinate di Cina e Stati Uniti. Allo stesso tempo, coloro che parlano attivamente e specificamente dell’avvento di un mondo multipolare, e non si tratta solo di Mosca e Pechino, ma anche di molti altri Stati della Maggioranza Mondiale, implicano una maggiore democratizzazione della politica internazionale; la scomparsa della dittatura in quanto tale da essa. Anche se, a rigore, nella sua versione accademica la teoria secondo cui la politica mondiale è bloccata ai “poli” non implica alcuna democrazia. Possiamo solo parlare del numero fisico di Paesi-dittatori relativamente autonomi, che estendono il loro dominio su gruppi significativi di Stati di medie e piccole dimensioni. Naturalmente, questa interpretazione non corrisponde in alcun modo a ciò che i leader della Russia o della Cina hanno in mente quando ci convincono dell’avvento di un mondo multipolare.
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Traduciamo in italiano questa magistrale intervista[1] sulla situazione a Gaza di Dominique de Villepin[2], ex diplomatico, ex primo ministro francese. Nel 2002-2003, da ministro degli esteri del governo francese, presidenza Chirac, fu il capofila dell’opposizione alla guerra statunitense contro l’Irak.
La “vecchia Europa” (così i neoconservatori americani chiamarono, sprezzantemente, gli oppositori del loro progetto di ridisegno del Medio Oriente) ha ancora qualcosa da dire.
Buona lettura.
Hamas ci ha teso una trappola, la trappola del massimo orrore, della massima crudeltà. E quindi rischia di esserci un’escalation di militarismo, di ulteriori interventi militari, come se potessimo risolvere con gli eserciti un problema così grave come la questione palestinese.
C’è anche una seconda grande trappola, che è quella dell’Occidentalismo. Ci troviamo intrappolati, con Israele, in questo blocco occidentale che oggi è messo in discussione dalla maggior parte della comunità internazionale.
[Presentatrice: Cos’è l’Occidentalismo?]
L’occidentalismo è l’idea che l’Occidente, che per 5 secoli ha gestito gli affari del mondo, potrà continuare tranquillamente a farlo. E possiamo vedere chiaramente, anche nei dibattiti della classe politica francese, che c’è l’idea che, di fronte a ciò che sta accadendo attualmente in Medio Oriente, dobbiamo continuare a lottare ancora di più, in direzione di quella che potrebbe assomigliare a una guerra religiosa o di civiltà. Vale a dire, isolarsi ancora di più sulla scena internazionale.
Non è questa la strada, soprattutto perché c’è una terza trappola, quella del moralismo. E qui abbiamo in un certo senso la prova, attraverso quanto sta accadendo in Ucraina e in Medio Oriente, di questo doppio standard che viene denunciato ovunque nel mondo, anche nelle ultime settimane quando mi reco in Africa, in Medio Oriente o in America Latina. La critica è sempre la stessa: guardate come vengono trattate le popolazioni civili a Gaza, denunciate quello che è successo in Ucraina e siete molto timidi di fronte alla tragedia che si sta consumando a Gaza.
Consideriamo il diritto internazionale, la seconda critica che viene mossa dal Sud globale. Sanzioniamo la Russia quando aggredisce l’Ucraina, la sanzioniamo quando non rispetta le risoluzioni delle Nazioni Unite, e sono 70 anni che le risoluzioni delle Nazioni Unite vengono votate invano e che Israele non le rispetta.
[Presentatrice: Crede che attualmente, gli occidentali siano colpevoli di hybris?]
Gli occidentali devono aprire gli occhi sulla portata del dramma storico che si sta svolgendo davanti a noi per trovare le risposte giuste.
[Presentatrice: Qual è il dramma storico? Voglio dire, stiamo parlando innanzitutto della tragedia del 7 ottobre, giusto?]
Certo, ci sono questi orrori che stanno accadendo, ma il modo di rispondere ad essi è cruciale. Uccideremo il futuro trovando le risposte sbagliate…
[Presentatrice: Uccidere il futuro?]
Uccidere il futuro, sì! Perché?
[Presentatrice: Ma chi sta uccidendo chi?]
Vi trovate in un gioco di cause ed effetti. Di fronte alla tragedia della storia, non si può prendere questa griglia analitica della “catena di causalità”, semplicemente perché se lo si fa non se ne può uscire. Una volta capito che c’è una trappola, una volta capito che dietro questa trappola c’è stato anche un cambiamento in Medio Oriente per quanto riguarda la questione palestinese… La situazione oggi è profondamente diversa [da quella del passato]. La causa palestinese era una causa politica e laica. Oggi ci troviamo di fronte a una causa islamista, guidata da Hamas. Ovviamente, questo tipo di causa è assoluta e non ammette alcuna forma di negoziazione. Anche da parte israeliana c’è stata un’evoluzione. Il sionismo era laico e politico, sostenuto da Theodor Herzl alla fine del XIX secolo. Oggi è diventato in gran parte messianico, biblico. Ciò significa che anche loro non vogliono scendere a compromessi, e tutto ciò che fa il governo israeliano di estrema destra, continuando a incoraggiare la colonizzazione, ovviamente peggiora le cose, anche dopo il 7 ottobre. In questo contesto, quindi, bisogna capire che in questa regione siamo già di fronte a un problema che sembra profondamente insolubile.
A questo si aggiunge l’indurimento degli Stati. Dal punto di vista diplomatico, guardate le dichiarazioni del re di Giordania, non sono le stesse di sei mesi fa. Guardate le dichiarazioni di Erdogan in Turchia.
[Presentatrice: Precisamente, sono dichiarazioni estremamente dure…]
Estremamente preoccupanti. Perché? Perché anche se la causa palestinese, la questione palestinese, non è stata portata in primo piano, non è stata messa in scena [per un po’ di tempo], e se la maggior parte dei giovani di oggi in Europa spesso non ne ha mai sentito parlare, per i popoli arabi rimane la madre di tutte le battaglie. Tutti i progressi fatti per tentare di stabilizzare il Medio Oriente, dove si potrebbe credere…
[Presentatrice: Sì, ma di chi è la colpa? Faccio fatica a seguirla, è colpa di Hamas?]
Ma signora Malherbe, io ho una formazione da diplomatico. La questione della colpa sarà affrontata da storici e filosofi.
[Presentatrice: Ma lei non può rimanere neutrale, è difficile, è complicato, non è vero?]
Non sono neutrale, sono in azione. Vi dico semplicemente che ogni giorno che passa possiamo fare in modo che questo ciclo orribile si fermi… Ecco perché parlo di trappola ed ecco perché è così importante sapere che risposta daremo. Oggi siamo soli davanti alla storia. E non trattiamo questo nuovo mondo come facciamo attualmente, sapendo che oggi non siamo più in una posizione di forza, non siamo in grado di cavarcela da soli, come poliziotti del mondo.
[Presentatrice: Allora cosa facciamo?]
Esattamente, cosa dobbiamo fare? A questo punto è fondamentale non tagliare fuori nessuno sulla scena internazionale.
[Presentatrice: Compresi i russi?]
Tutti.
[Presentatrice: Tutti? Dovremmo chiedere aiuto ai russi?]
Non sto dicendo che dovremmo chiedere aiuto ai russi. Dico che se i russi possono contribuire a calmare alcune fazioni in questa regione, allora sarà un passo nella giusta direzione.
[Presentatrice: Come possiamo rispondere in modo proporzionale alla barbarie? Non è più esercito contro esercito].
Ma ascolti, Apolline de Malherbe, le popolazioni civili che stanno morendo a Gaza, non esistono? Quindi, poiché l’orrore è stato commesso da una parte, l’orrore deve essere commesso dall’altra?
[Presentatrice: Dobbiamo davvero equiparare le due cose?]
No, è lei che lo sta facendo. Non sto dicendo che equiparo le colpe. Cerco di tenere conto di ciò che pensa gran parte dell’umanità. C’è sicuramente un obiettivo realistico da perseguire, che è quello di sradicare i leader di Hamas che hanno commesso questo orrore. E non confondere i palestinesi con Hamas, questo è un obiettivo realistico.
La seconda cosa è una risposta mirata. Definiamo obiettivi politici realistici. La terza cosa è una risposta combinata. Perché non esiste un uso efficace della forza senza una strategia politica. Non siamo nel 1973 o nel 1967. Ci sono cose che nessun esercito al mondo sa fare, ovvero vincere in una battaglia asimmetrica contro i terroristi. La guerra al terrorismo non è mai stata vinta da nessuna parte. E invece scatena misfatti, cicli ed escalation estremamente drammatici. Se l’America ha perso in Afghanistan, se ha perso in Iraq, se noi [francesi] abbiamo perso nel Sahel, è perché si tratta di una battaglia che non può essere vinta semplicemente, non è che basta un martello che batte un chiodo e il problema è risolto. Dobbiamo quindi mobilitare la comunità internazionale, uscire da questa trappola occidentale in cui ci troviamo.
[Presentatrice: Ma quando Emmanuel Macron parla di una coalizione internazionale…]
Sì, e qual è stata la risposta?
[Presentatrice: Nessuna.]
Esattamente. Abbiamo bisogno di una prospettiva politica, e questa è una sfida perché la soluzione dei due Stati è stata rimossa dal programma politico e diplomatico israeliano. Israele deve capire che per un Paese con un territorio di 20.000 chilometri quadrati, una popolazione di 9 milioni di abitanti, di fronte a 1,5 miliardi di persone… I popoli non hanno mai dimenticato che la causa palestinese e l’ingiustizia commessa nei confronti dei palestinesi è stata una fonte significativa di mobilitazione. Dobbiamo considerare questa situazione, e credo che sia essenziale aiutare Israele, guidare… alcuni dicono imporre, ma io penso che sia meglio convincere, muoversi in questa direzione. La sfida è che oggi non c’è un interlocutore, né da parte israeliana né da parte palestinese. Dobbiamo far emergere degli interlocutori.
[Presentatrice: Non sta a noi scegliere chi sarà il leader della Palestina].
La politica israeliana degli ultimi anni non ha voluto necessariamente coltivare una leadership palestinese… Molti sono in prigione, e l’interesse di Israele – perché ripeto: non era nel loro programma o nell’interesse di Israele in quel momento, o almeno così pensavano – era invece quello di dividere i palestinesi e fare in modo che la questione palestinese svanisse. La questione palestinese non svanirà. Dobbiamo quindi affrontarla e trovare una risposta. È qui che abbiamo bisogno di coraggio. L’uso della forza è un vicolo cieco. La condanna morale di ciò che ha fatto Hamas – e non c’è un “ma” nelle mie parole riguardo alla condanna morale di questo orrore – non deve impedirci di andare avanti politicamente e diplomaticamente in modo illuminato. La legge della ritorsione è un ciclo senza fine.
[Presentatrice: “Occhio per occhio, dente per dente”].
Sì. Ecco perché la risposta politica deve essere difesa da noi. Israele ha il diritto all’autodifesa, ma questo diritto non può essere la vendetta indiscriminata. E non può esserci una responsabilità collettiva del popolo palestinese per le azioni di una minoranza terroristica, di Hamas.
Quando si entra in questo ciclo di ricerca delle colpe, i ricordi di una parte si scontrano con quelli dell’altra. Alcuni contrappongono i ricordi di Israele a quelli della Nakba, la catastrofe del 1948, che è una catastrofe che i palestinesi vivono ancora ogni giorno. Quindi non si possono spezzare questi cicli. Dobbiamo avere la forza, ovviamente, di capire e denunciare ciò che è successo, e da questo punto di vista non ci sono dubbi sulla nostra posizione. Ma dobbiamo anche avere il coraggio, e la diplomazia è questo… la diplomazia è la capacità di credere che ci sia una luce alla fine del tunnel. E questa è l’astuzia della storia: quando si è toccato il fondo, può accadere qualcosa che dà speranza. Dopo la guerra del 1973, chi avrebbe pensato che prima della fine del decennio l’Egitto avrebbe firmato un trattato di pace con Israele?
Il dibattito non dovrebbe riguardare la retorica o la scelta delle parole. Il dibattito oggi riguarda l’azione; dobbiamo agire. E quando si pensa all’azione, ci sono due opzioni. O si tratta di guerra, guerra, guerra. Oppure si cerca di andare verso la pace, e lo ripeto, è nell’interesse di Israele. È nell’interesse di Israele!”.
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GLI EVENTI IN ISRAELE AVRANNO UN IMPATTO SULL’AVVENTO DI UN MONDO MULTIPOLARE?
La questione sta diventando sempre più rilevante. Naturalmente, il problema tra israeliani e palestinesi è precedente, poiché è sorto contemporaneamente alla nascita dello Stato di Israele nel 1948. Prima di quella data, era il problema del mandato britannico dopo la fine dell’Impero Ottomano a contrapporre i sostenitori del futuro Israele agli inglesi.
Si poteva pensare che gli “Accordi di Abramo”, che prevedevano implicitamente la creazione di uno Stato palestinese, avrebbero inaugurato un periodo di relativa calma nella regione.
UN’ESPLOSIONE DI VIOLENZA SENZA ALCUN SEGNALE D’ALLARME.
Ciò che colpisce, oltre all’orrore indicibile e alla ferocia quasi disumana di questi barbari attacchi, è la loro repentinità. In un precedente articolo ho sollevato dubbi sull’apparente inefficacia dei servizi incaricati di prevenire tali eventi.
Da allora, le cose sembrano essersi confermate e questa inefficienza solleva sempre più interrogativi.
Tuttavia, non ci è preclusa la possibilità di analizzare la situazione geopolitica, e in particolare i recenti sviluppi, per verificare se uno o più eventi specifici recenti possano essere stati all’origine di questi atti di violenza o perlomeno averli incoraggiati.
UN’INFLUENZA REALE O POTENZIALE?
Una data importante emerge rapidamente: il 24 agosto 2023, data di chiusura dell’incontro BRICS, che sarà allargato a undici dal gennaio 2024.
Quattro dei sei Paesi candidati potrebbero essere coinvolti in varia misura, a causa della loro vicinanza o delle loro azioni diplomatiche negli eventi o nelle loro conseguenze…
Per la cronaca, si tratta di Iran, Arabia Saudita, Emirati ed Egitto.
Gli accordi di Abraham tra Israele e gli Emirati, da un lato, e il Bahrein, dall’altro, sono la prova di un cambiamento significativo nella posizione dei Paesi del Golfo Persico verso il riavvicinamento interno. Divisi dalla spaccatura tra gli emirati sunniti e l’Iran sciita, che ha indebolito i palestinesi, questi accordi erano destinati a ridurre queste divisioni.
Dopo la firma, si è creato una sorta di consenso internazionale a favore della creazione di uno Stato palestinese, a cui Israele si è sempre opposto.
L’imminente ammissione contemporanea di Iran, Emirati e Arabia Saudita alla cerchia dei BRICS cambierà probabilmente l’equilibrio di potere e lo farà pendere a favore della creazione di questo Stato palestinese. Un recente articolo del sito web CryptoDNES suggerisce addirittura che la stessa Palestina potrebbe essere tentata di unirsi ai BRICS.
Mappe dei paesi BRICS. Paesi fondatori Paesi membri dal 2024
I BRICS sono la parte emergente del progetto di costruzione di un mondo multipolare. Anche se la loro esistenza internazionale non è formalizzata, la loro ascesa al potere è innegabile. Questa esistenza informale è vantaggiosa per loro perché riunisce Paesi che hanno un solo interesse in comune con gli altri, anche se altre questioni possono dividerli. A poco a poco, i BRICS stanno assumendo l’aspetto di una futura organizzazione internazionale che potrebbe forse ammettere al suo interno non solo Stati riconosciuti come tali, ma anche “proto-Stati” come l’attuale “Striscia di Gaza”. Probabilmente è per questo che la Palestina si è dichiarata ufficialmente candidata il 10 agosto 2023.
Qualunque sia la geografia di questo futuro Stato, la “Striscia di Gaza” ne farebbe ovviamente parte.
E questo cambierebbe tutto.
LA CREAZIONE DI UNO STATO PALESTINESE È UNA LINEA ROSSA?
L’ONU non ha osato decidere su questo tema. La Palestina è membro dal 2012 come “osservatore non membro”. È riconosciuta come Stato da 136 Paesi.
Va notato che (con poche eccezioni) queste votazioni sono quasi sovrapponibili a quelle avvenute in altre circostanze quando si tratta di vedere chi appoggia l’Occidente guidato dagli Stati Uniti e chi no, confermando così nel tempo una frattura sempre più profonda tra questo Occidente e il resto del mondo.
ISRAELE, UNO STATO “CARDINE” TRA L’OCCIDENTE E IL BIZZARRO MONDO
Così come la Palestina è stata una questione centrale nella Prima guerra mondiale per la sua posizione strategica essenziale per i britannici, in quanto chiusura della via per l’India e della via del petrolio. Gli enormi giacimenti scoperti di recente nella Mesopotamia meridionale e nel Golfo Persico e l’uso che si poteva fare, grazie all’invenzione di un ingegnere francese, di un prodotto di distillazione chiamato benzina, fino ad allora considerato un prodotto di scarto difficile e costoso da immagazzinare, avevano dato al petrolio un valore inestimabile. Il suo commercio sarebbe diventato una priorità per l’Inghilterra, il cui regno indiviso sui mari del mondo stava per finire.
Gli accordi Sikes-Picot, firmati tra Inghilterra e Francia nel 1916, conferirono agli inglesi il mandato sulla Palestina e fu su questa base che il governo britannico autorizzò la creazione di un “focolare ebraico” in Palestina.
Nel 1948, questo primo focolare divenne uno Stato a sé stante e i britannici furono costretti a rinunciare al loro mandato sotto la pressione dell’opinione pubblica occidentale.
Durante la Guerra Fredda, Israele è stato visto come una “base avanzata” per l’Occidente in mezzo a Paesi arabi che avevano stabilito legami con l’URSS, mantenendolo in questa posizione “centrale”.
LO STATO PALESTINESE
I contorni del futuro Stato di Israele furono ferocemente negoziati fino al 14 maggio 1948, data ufficiale della creazione dello Stato di Israele, situato interamente in Palestina. Il percorso presentava numerose difficoltà che potevano compromettere la sicurezza di Israele e relegare gli abitanti della Palestina in un territorio privo di uno status reale. Già nel 1947, i leader sionisti avevano accettato il principio dei due Stati in Palestina, ma i leader arabi avevano rifiutato, provocando un conflitto tra arabi ed ebrei.
Nonostante decenni di lotte e negoziati, non è stato raggiunto un vero accordo.
ISRAELE E IL MONDO MULTIPOLARE.
Il massacro del 7 ottobre è stato condannato all’unanimità in tutto il mondo. Tuttavia, alcune reazioni sono state più “sfumate”. Sono emersi chiaramente due schieramenti, che evidenziano la divisione sempre più visibile tra l’Occidente e i cosiddetti “Paesi del Sud”.
Attraverso questa divisione, il problema dello Stato palestinese torna in primo piano.
Cosa potrebbe accadere se i BRICS dessero seguito alla richiesta del 10 agosto 2023 accettando uno Stato palestinese tra le loro fila?
Uno scenario del genere sarebbe difficile da sopportare per Israele, che si opporrebbe con tutte le sue forze e con tutti i mezzi possibili. Tutti (o quasi) concordano sul fatto che la partizione tra due Stati sia l’unica soluzione per il ritorno alla pace tra israeliani e arabi, ma l’attuale sconvolgimento geopolitico potrebbe portare a un cambio di paradigma.
GLI ATTACCHI SELVAGGI COMPIUTI DA HAMAS CONTRO LA POPOLAZIONE ISRAELIANA SONO LA CONSEGUENZA DI QUESTO SCONVOLGIMENTO?
La domanda vale la pena di essere posta visto il contesto attuale, anche se non c’è una risposta ovvia. Tuttavia, una conseguenza sta diventando sempre più chiara: la risposta dell’IDF sarà letale. Cosa resterà della Striscia di Gaza e di Hamas alla fine delle operazioni militari? La creazione di un vero e proprio Stato palestinese sarà ancora possibile e ci saranno abbastanza abitanti per farlo?
È difficile rispondere con certezza a tutte queste domande. Speriamo solo che la follia omicida dell’umanità lasci il posto al semplice buon senso, altrimenti, di escalation in escalation, di rappresaglia in rappresaglia, l’umanità finirà inghiottita in un confronto distruttivo perché non ha trovato il modo di fermarsi in tempo.
Jean Goychman
22 octobre 2023
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DOMANDE E RISPOSTE: L’espansione dei BRICS e l’equilibrio di potere globale
All’inizio di settembre, il gruppo dei Paesi emergenti BRICS – un’alleanza informale tra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – ha annunciato che avrebbe ampliato i suoi ranghi di sei nazioni. Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti si uniranno al gruppo BRICS nel prossimo futuro. Questo unirebbe paesi che rappresentano circa il 30% del PIL mondiale e il 43% della produzione globale di petrolio, e alcuni esperti hanno ipotizzato un’ulteriore espansione del gruppo a lungo termine. Per discutere dello sviluppo dei BRICS, MIT News ha parlato con M. Taylor Fravel, esperto di politica estera e strategia di sicurezza della Cina, direttore del Programma di studi sulla sicurezza del MIT e professore Arthur e Ruth Sloan presso il Dipartimento di scienze politiche del MIT.
D: Perché l’espansione dei BRICS avviene ora?
R: L’interesse per l’espansione c’è già da un po’. I BRICS si rivolgono principalmente alle economie relativamente sviluppate dei Paesi in via di sviluppo. Ma ci sono enormi differenze di potere economico e militare anche all’interno degli attuali cinque Paesi BRICS. Ciò che inizialmente li ha uniti è l’idea di avere interessi comuni, soprattutto in campo economico. Allo stesso tempo, alcuni di questi Paesi hanno voluto aumentare la propria influenza nel mondo in via di sviluppo. Si può notare come Cina, Russia e India si siano impegnate in modo indipendente in Africa nell’ultimo decennio. Ognuno di loro ha questo desiderio e, agendo insieme, potrebbero avere più peso, forse come gruppo in grado di rappresentare gli interessi del mondo in via di sviluppo. Tuttavia, i BRICS non sono ancora un’organizzazione internazionale formale. Il BRICS non è ancora istituzionalizzato e non so se lo sarà mai.
I diversi Stati possono anche avere motivi diversi per aderire. Per l’Iran, questo dà loro molto più spazio diplomatico. L’Iran è un’aggiunta molto interessante perché è stato fortemente sanzionato dagli Stati Uniti, come la Russia. Questo pone la domanda: Cosa possono fare i BRICS con il resto del mondo? Potrebbe essere più che altro un raggruppamento che cerca di favorire le interazioni tra di loro, per aumentare il loro peso nei confronti delle economie industrializzate più avanzate del mondo.
D: A questo proposito, dato che il BRICS non è formalmente istituzionalizzato, cosa può fare?
R: Al di sotto del livello delle loro dichiarazioni [pubbliche], molto di ciò che il gruppo BRICS può effettivamente fare rimane incerto. È un gruppo basato sul consenso. Più membri si aggiungono e più eterogenei sono i loro interessi, più difficile sarà raggiungere il consenso. La Cina potrebbe voler aumentare il suo peso diplomatico attraverso i BRICS e forse il suo ruolo di sicurezza nel mondo in via di sviluppo, mentre gli altri potrebbero volersi concentrare solo sulla massimizzazione dei loro interessi economici. Si tratta di impulsi molto diversi, il che significa che più il gruppo diventa grande, più è probabile che le decisioni o le posizioni siano annacquate, se si tratta di un gruppo che opera per consenso.
Credo che lo scopo finale sia quello di mostrare il peso collettivo di questo gruppo, in modo tale che i suoi interessi debbano essere presi in considerazione da altri Stati, soprattutto in Occidente. E forse servire da veicolo per raccogliere più sostegno dal mondo in via di sviluppo.
D: Qual è la traiettoria per un’ulteriore crescita? Potrebbe esserci un’espansione sempre maggiore dei BRICS nei prossimi anni?
R: È difficile dirlo. Un modo per pensarci è che i BRICS sono più o meno come il G20, ma senza molte economie industriali avanzate [e anche] Turchia, Messico e Indonesia. I BRICS sembrano un G20 meno. Questo suggerisce che potrebbe crescere, ma poi il gruppo diventa ancora più diffuso perché all’interno dei BRICS, la Cina avrà serie dispute con l’India sui confini e con l’Indonesia sui confini marittimi [se l’Indonesia si unisse]. Anche l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono partner importanti per la sicurezza degli Stati Uniti e sono grandi beneficiari delle vendite militari estere degli Stati Uniti. L’Arabia Saudita e l’Iran, nonostante il recente riavvicinamento, hanno differenze molto significative. Ci sono molte questioni che limitano le possibilità di azione anche del BRICS-plus, e limitano ulteriormente le possibilità di azione di un BRICS-plus se vengono inclusi altri Paesi.
Sospetto che potrebbe diventare uno di questi raggruppamenti con riunioni annuali al vertice e incontri a diversi livelli di governo che rilasceranno molte dichiarazioni sui loro interessi collettivi – e questo non è indifferente. Potrebbe anche creare le basi per la creazione di qualcosa di più sostanzioso in futuro. Tuttavia, poiché non ha un segretariato e le riunioni del vertice sono organizzate e modellate dal Paese ospitante, il BRICS plus non sarebbe un raggruppamento che la Cina potrebbe facilmente modellare a meno che non sia il Paese ospitante.
D: A questo proposito: Quanto l’espansione dei BRICS è guidata dalla Cina e serve i suoi interessi?
R: La Cina sta cercando di ritagliarsi un ruolo di leadership molto più forte al di là degli Stati OCSE, le economie industrializzate avanzate. Credo che si stia avvicinando ai limiti della sua diplomazia, soprattutto perché l’Europa è sempre più preoccupata della sfida economica che deve affrontare dalla Cina. Nel frattempo, i legami della Cina con gli Stati Uniti non sono mai stati così conflittuali, sicuramente dalla fine della Guerra Fredda, se non dalla normalizzazione [delle relazioni USA-Cina] iniziata negli anni Settanta. Se la Cina è alla ricerca di un sostegno diplomatico mentre i legami con l’Europa e l’Unione Europea si deteriorano, il resto del mondo, al di là degli Stati dell’OCSE, è il posto giusto. Ma la Cina non sta nemmeno mettendo tutte le sue uova in un solo paniere. La Cina sta perseguendo un approccio diversificato, che include i BRICS, per vedere cosa potrebbe essere più efficace e per coprire le proprie scommesse.
Naturalmente, anche l’India ha accettato di espandere i BRICS, e al momento India e Cina hanno rapporti piuttosto gelidi. Anche il Brasile ha accettato di espandersi e vorrebbe approfondire i legami con gli Stati Uniti come farebbe l’India. Tutto ciò suggerisce che potrebbero esserci dei limiti alla capacità della Cina di guidare l’agenda dei BRICS per servire i propri interessi. Ma i BRICS potrebbero comunque perseguire l’obiettivo più ampio di creare un senso di slancio attorno ai più ampi interessi economici che questi Paesi condividono.
D: Come dovrebbero rispondere gli Stati Uniti, se mai lo faranno? Che tipo di pensiero è necessario?
R: Un BRICS come gruppo diffuso e debolmente istituzionalizzato, se mai lo è, non rappresenta una minaccia diretta o seria agli interessi degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, probabilmente sottolinea che gli Stati Uniti hanno trascurato gli interessi di alcuni Stati del gruppo. Gli Stati Uniti hanno a lungo sottoinvestito nella diplomazia come mezzo per perseguire l’influenza internazionale. Certo, gli Stati Uniti hanno un’enorme quantità di soft power nonostante questo sottoinvestimento in diplomazia. Ma la Cina ha oggi più missioni diplomatiche all’estero degli Stati Uniti, anche se ha meno relazioni bilaterali, perché non ha legami con Stati che riconoscono Taiwan e perché non ha missioni diplomatiche in organizzazioni come la NATO e l’OCSE. Gli Stati Uniti si sono invece affidati alla loro potenza militare e al loro peso economico, mentre la diplomazia ha ricevuto meno attenzione, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.
Questo ci ricorda che gli Stati Uniti devono pensare di più a come impegnarsi nel resto del mondo in modo da far progredire gli interessi propri e degli altri Paesi. Non la vedo come una situazione a somma zero. Sarebbe controproducente per gli Stati Uniti adottare un approccio ostile ai BRICS, in parte perché hanno amici al loro interno. Se si ragiona in termini strategici, avere amici nel gruppo dei BRICS non è una cosa negativa, quindi una risposta a bassa voce è probabilmente la più efficace.
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Guerra a Gaza! Le truppe israeliane entrano nella striscia di Gaza. Iniziato l’attacco via terra. Parte degli aggiornamenti sono presi dal sito L’Orient le jour
20:10
Forse è stato hackerato?
Telegram ha limitato l’accesso a diversi canali strettamente associati o gestiti da Hamas.
Il canale Telegram delle Brigate Al-Qassam aveva oltre 675.000 follower.
20:01
Il premier israeliano Netanyahu: “Questa è la nostra seconda guerra di indipendenza”.
20:00
Le forze di terra dell’esercito iraniano terminano la loro esercitazione militare di due giorni. Il comandante in capo dell’esercito iraniano ha dichiarato che l’esercitazione ha inviato un messaggio ai “nemici che le forze armate iraniane sono pienamente pronte a difendersi e a combattere per affrontare qualsiasi minaccia”.
19:41
L’aviazione israeliana sta bombardando pesantemente Gaza in risposta al massiccio attacco missilistico di Hamas contro TelAviv e altre città di Israele avvenuto oggi.
19:32
È stato segnalato un incidente di sicurezza al confine tra Giordania e Israele.
19:20
L’ex primo ministro pakistano Imran Khan: “Il mondo musulmano non deve solo alzare la voce contro tutto questo, ma deve muoversi per garantire la fine del genocidio di Gaza”.
19:09
Israele afferma che la guerra è entrata in una nuova fase, mentre le truppe si muovono rapidamente nella Striscia di Gaza.
18:51
Parole forti di Scott Ritter:
“Israele è morto con Yitzhak Rabin. Ciò che è emerso all’indomani del suo assassinio è un abominio, non degno di essere difeso né riconosciuto, una nazione definita dall’odio e alimentata dal sangue delle sue vittime innocenti. Palestina, sì. Israele, mai più.”
18:46
Il missile terra-aria che Hezbollah ha usato senza successo contro un drone dell’aviazione israeliana che sorvolava il Libano oggi si è rivelato essere un Sadid 358 di fabbricazione iraniana. Il missile è stato recentemente consegnato a Hezbollah attraverso la Siria.
18:33
Commissionata nel 1977, la USS Dwight D. Eisenhower (CVN-69) sta navigando nel Mar Mediterraneo.
Cosa significa “CVN”? “Portaerei, Volplano, Nucleare”.
“V” (per vol plané) è l’abbreviazione navale di lunga data che significa “più pesante dell’aria”, applicata alle denominazioni di aerei, squadriglie e navi.
18:30
Allarme razzi vicino al confine con il Libano meridionale
18:28
Il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sta incontrando le famiglie di alcuni dei circa 250 ostaggi ancora trattenuti da Hamas nella Striscia di Gaza.
18:20
Barrage di razzi ancora una volta verso il sud di Tel Aviv.
18:15
Mappa aggiornata della Marina statunitense e degli alleati nel Mediterraneo e nel Mar Rosso.
Navi da guerra dei seguenti Paesi in navigazione o dispiegate
USS Mount Whitney LCC-20
Gruppo d’assalto portaerei Ford
USS Gerald R. Ford CVN-78
USS Thomas Hudner DDG-116
USS Ramage DDG-61
USS Carney DDG-64
USS Roosevelt DDG-80
USS Normandy CG-60
Gruppo d’assalto portaerei Ike
USS Dwight D. Eisenhower CVN-69
USS Gravely DDG-107
USS Mason DDG-87
ITS Virginio Fasan F-591
USS Philippine Sea CG-58
Bataan ARG
USS Bataan LHD-5
USS Mesa Verde LPD-19
USS Carter Hall LSD-50
Non assegnato
USS Stethem DDG-63
USS McFaul DDG-74
USS Arleigh Burke DDG-51
USS Paul Ignatius DDG-117
USS Bulkeley DDG-84
Task Force marittima UNIFIL
HS Adrias F-459
TCG Heybeliada F-511
FGS Erfurt F-262
FGS Oldenburg F-263
BNS Sangram F-113
KRI Sultano Iskandar Muda 367
In rotta FGS Baden-Wuerttemberg (F-125) che sostituirà FGS Erfurt. Quando ciò avverrà, l’FGS Erfurt passerà al Gruppo Marittimo Permanente NATO 2.
Gruppo marittimo permanente NATO 2
HMS Duncan D-37
ITS Carlo Margottini F-592
ESPS Méndez Núñez F-104
TCG Yavuz F-240
HDMS Niels Juel F-363
HS Psara F-454
FGS Francoforte sul Meno A-1412
ESPS Patiño A-14
Gruppo di Risposta Litoraneo Sud
RFA Argus A-135
RFA Lyme Bay L-3007
Israele espelle tutti i diplomatici turchi dopo le dichiarazioni odierne di Erdogan, valuterà le future relazioni tra Israele e Turchia
18:05
Il capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa israeliane, il tenente generale Herzi Halevia, ha annunciato oggi in una dichiarazione: “Sono passate tre settimane dall’inizio della guerra. Questa guerra ha delle fasi e oggi siamo entrati in una nuova fase. Le nostre forze di terra stanno attualmente conducendo operazioni di terra nella Striscia di Gaza, che servono a raggiungere tutti gli obiettivi della guerra, lo smantellamento di Hamas, la sicurezza ai confini e gli sforzi più importanti per riportare tutti gli ostaggi alle loro case. Gli obiettivi della guerra hanno richiesto l’ingresso a terra. Non ci sono risultati senza rischi e non c’è vittoria senza prezzi da pagare. Per smascherare il nemico e distruggerlo, non c’è altro modo che entrare nel suo territorio con grande forza. Questa azione serve a tutti gli obiettivi della guerra”.
18:02
Israele ha annunciato il ritiro di tutti i funzionari diplomatici in Turchia per consentire una “rivalutazione delle relazioni turco-israeliane”.
17:51
I razzi arrivati a Tel Aviv hanno causato pochi istanti fa un impatto diretto. Hamas ha attaccato con una raffica di razzi.
17:37
Il Segretario generale delle Nazioni Unite ha lanciato un appello urgente per un cessate il fuoco umanitario a Gaza. Sottolinea la necessità che questo cessate il fuoco venga attuato immediatamente, insieme al rilascio incondizionato degli ostaggi e all’invio di aiuti che rispondano ai terribili bisogni della popolazione della regione. Il Segretario generale sottolinea la catastrofe umanitaria in atto a Gaza e chiede un’azione rapida per affrontare la situazione.
17:22
Grande attacco di razzi ora verso la città di Tel Aviv e il centro di Israele.
17:10
Durante un comizio a sostegno della Palestina, il presidente turco Erdoğan ha detto: “Possiamo arrivare in qualsiasi momento della notte inaspettatamente”, e centinaia di migliaia di cittadini turchi hanno cantato: “I militari turchi a Gaza” in risposta.
17:00
L’IDF ha lanciato un “appello urgente” in lingua araba ai residenti della Striscia di Gaza settentrionale, chiedendo loro di evacuare temporaneamente verso sud.
16:55
Allarmi razzi ora per le città a sud-est di Be’er Sheva.
16:50
Un numero significativo di aerei da trasporto C-17A Globemaster lll e C-5M Super Galaxy del Comando di Mobilità Aerea dell’Aeronautica Militare degli Stati Uniti sono arrivati in Medio Oriente e nell’Europa sud-orientale nelle ultime 48 ore, a dimostrazione del fatto che gli Stati Uniti continuano a prepararsi per un’eventuale grave esplosione delle ostilità nella regione.
16:49
Pochi minuti fa: Colpi multipli israeliani vicino alla barriera di confine nel sud della Striscia di Gaza.
16:45
Ufficialmente oggi la portaerei USS Eisenhower è entrata nel Mediterraneo insieme alle sue scorte. Tra pochi giorni il dispiegamento di tutti gli assetti americani sarà completo.
Si uniscono alla massiccia portaerei attraverso Gibilterra, i cacciatorpediniere a missili guidati Mason e Gravely. Nel 2016, il Mason è diventato la prima nave da guerra statunitense nella storia ad abbattere missili da crociera in combattimento al largo delle coste dello Yemen. La seconda volta che gli SM-2 sono stati sparati con rabbia è stato la settimana scorsa nel Mar Rosso, anche in questo caso per abbattere missili da crociera provenienti dallo Yemen.
16:41
Le forze di difesa israeliane stanno bombardando i terroristi di Hezbollah nell’area di Jal al-Allam, a Naqoura, nel Libano meridionale.
16:40
I miliziani di Hezbollah hanno tentato invano di abbattere un drone di sorveglianza dell’aviazione israeliana che sorvolava il Libano meridionale. Hanno fallito perché il loro missile terra-aria non ha raggiunto il drone.
16:07Persone partecipano a una manifestazione di solidarietà con i palestinesi di Gaza a Istanbul, in Turchia, il 28 ottobre 2023..
(Photo: Dilara Senkaya/REUTERS)15:56 16:56 ora di Beirut
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato che la guerra contro Hamas è “entrata in una nuova fase”. “Ieri la terra a Gaza ha tremato”, ha dichiarato Gallant in un video pubblicato dai suoi servizi.
15:49
Persone camminano in una strada dopo gli attacchi aerei israeliani a Gaza City, 28 ottobre 2023. Gli attacchi aerei israeliani hanno distrutto centinaia di edifici nella Striscia di Gaza durante la notte, ha dichiarato il 28 ottobre il servizio di difesa civile del territorio palestinese controllato da Hamas. Foto Mohammed Abed/AFP
15:30 16:30 ora di Beirut
Ecco alcuni dei commenti fatti sul posto dal nostro corrispondente Mohammad Yassine:
Mamoun Malak: Siamo qui per dire che la causa palestinese non è solo una causa araba o musulmana. È la giusta causa di un popolo che è stato cacciato dalla propria terra e la cui terra è stata violata da un nemico che è anche il nemico di tutte le religioni monoteiste.
Siamo qui anche per dire “No alla guerra in Libano, sì alla sicurezza e alla pace in Libano”, un Paese che è la perla dell’Oriente e che ha pagato un prezzo molto alto per la causa palestinese. Il Libano non può più sopportare tutto questo. Così come Gaza è accerchiata dal nemico sionista, che le sta tagliando l’acqua e l’elettricità, anche il Libano è accerchiato e occupato dall’occupante iraniano. Non abbiamo acqua, elettricità, istruzione e assistenza sanitaria.
Edmond Rabbat: Bisogna avere il coraggio di sostenere il popolo palestinese, opponendosi a Hamas e Hezbollah.
Nelly Kandil: Siamo qui anche per dire che ci impegniamo per lo Stato, che dovrebbe essere l’unico a decidere della guerra o della pace in Libano.
15:30 16:30 Ora di BeirutEcco alcuni dei commenti fatti sul posto dal nostro corrispondente Mohammad Yassine:
Mamoun Malak: Siamo qui per dire che la causa palestinese non è solo una causa araba o musulmana. È la giusta causa di un popolo che è stato cacciato dalla propria terra e la cui terra è stata violata da un nemico che è anche il nemico di tutte le religioni monoteiste.
Siamo qui anche per dire “No alla guerra in Libano, sì alla sicurezza e alla pace in Libano”, un Paese che è la perla dell’Oriente e che ha pagato un prezzo molto alto per la causa palestinese. Il Libano non può più sopportare tutto questo. Così come Gaza è accerchiata dal nemico sionista, che le sta tagliando l’acqua e l’elettricità, anche il Libano è accerchiato e occupato dall’occupante iraniano. Non abbiamo acqua, elettricità, istruzione e assistenza sanitaria.
Edmond Rabbat: Bisogna avere il coraggio di sostenere il popolo palestinese, opponendosi a Hamas e Hezbollah.
Nelly Kandil: Siamo qui anche per dire che ci impegniamo per lo Stato, che da solo dovrebbe essere in grado di decidere sulla guerra o sulla pace in Libano.
15:24 16:24 Ora di Beirut
Una manifestazione “contro la guerra” a Beirut
Oggi pomeriggio, durante una manifestazione davanti al Museo Nazionale di Beirut, alcuni manifestanti si sono riuniti sotto lo slogan “L’unità nazionale prima di tutto… Musulmani e cristiani, proteggiamo il Libano evitando la guerra”.
(Credit: Mohammad Yassine, durante una manifestazione “contro la guerra” davanti al Museo Nazionale di Beirut, 28 ottobre)
15:13 16:13 Ora di Beirut
I diplomatici sauditi affermano che Riyadh condanna tutte le operazioni di terra israeliane che potrebbero minacciare la vita dei civili palestinesi, come riporta la Reuters.
15:12 16:12 Ora di Beirut
L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha dichiarato sabato di temere che un’operazione militare israeliana su larga scala sulla terraferma di Gaza possa “causare altre migliaia di morti tra i civili”, secondo quanto riportato dall’AFP.
15:04 16:04 ora di Beirut
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato che l’operazione (israeliana) continuerà a Gaza fino a nuovo ordine, secondo quanto riportato da Reuters.
14:58 15:58 ora di Beirut
Il portavoce dell’esercito israeliano Avichay Adraee ha dichiarato su X (ex Twitter) che dal Libano sono stati lanciati proiettili di mortaio e anticarro verso città israeliane e siti militari di confine. Questi proiettili sono caduti apparentemente in aree aperte.
L’esercito israeliano ha risposto bombardando le infrastrutture di Hezbollah nel sud del Libano.
14:49 15:49 Ora di Beirut
Non c’è carenza di farina in Libano, ha dichiarato l’associazione dei distributori di farina del sud del Libano in un comunicato pubblicato dall’agenzia di stampa nazionale, riferendosi a “voci infondate” secondo cui le scorte sarebbero finite e le consegne dal Paese sarebbero state interrotte via mare.
14:48 15:48 ora di Beirut
L’esercito israeliano ha nuovamente invitato i gazesi ad evacuare il nord della Striscia a causa di un’imminente operazione israeliana, secondo quanto riportato da Reuters.
14:45 15:45 Ora di Beirut
Non c’è alcuna carenza di farina in Libano, ha dichiarato l’associazione dei distributori di farina del sud del Libano in un comunicato pubblicato dall’agenzia di stampa nazionale, riferendosi a “voci infondate” secondo cui le scorte sarebbero esaurite e le consegne via mare dal Paese sarebbero state interrotte.
14:23 15:23 Ora di Beirut
Nel pomeriggio sono riprese le ostilità nel sud del Libano. I bombardamenti israeliani hanno colpito la periferia del villaggio di Naqoura, nel sud del Libano, ha confermato a L’Orient Today Andrea Tenenti, portavoce della Forza interinale delle Nazioni Unite in Libano (UNIFIL). I video che circolano sui social network mostrano il fumo che si alza nelle zone colpite. Un’immagine condivisa dall’agenzia di stampa ufficiale nazionale (Ani) mostra una granata israeliana inesplosa nel giardino di un residente di Naqoura.
Più tardi nel corso della giornata, Israele ha bombardato la periferia del villaggio di Houla, nel sud del Libano, come rappresaglia per i razzi lanciati contro il sito israeliano di Ibad, hanno riferito fonti della sicurezza al nostro corrispondente nel sud, Mountasser Abdallah. Più di quindici razzi sono caduti alla periferia dei villaggi di Houla, Markaba e Mays el-Jabal, ha aggiunto. Una fonte ha anche detto che i razzi lanciati dal Libano hanno preso di mira la caserma di Hounine in Israele. Ani ha riferito di bombardamenti israeliani alla periferia del villaggio di Marwahine.
Un corrispondente dell’Agenzia nazionale di stampa del Libano meridionale ha confermato che l’esercito israeliano ha nuovamente sparato munizioni al fosforo bianco nei pressi di Naqoura.
Infine, secondo Haaretz, le sirene hanno suonato nel nord di Israele circa mezz’ora fa.
14:09 15:09 ora di Beirut
La USS Dwight D. Eisenhower, la portaerei del secondo gruppo da battaglia di portaerei inviato dagli Stati Uniti per sostenere l’esercito israeliano nella sua guerra contro Hamas, sarebbe entrata nel Mediterraneo.
Secondo i dati del sito web marinetraffic.com, che fornisce un monitoraggio in diretta del traffico marittimo in tutto il mondo, la nave sembra aver attraversato lo Stretto di Gibilterra in mattinata. L’informazione è stata riportata anche da Haaretz e da diversi account su X, che citano anche siti di dati sul traffico marittimo.
Per saperne di più sulle forze navali dispiegate dall’esercito statunitense nel Mediterraneo orientale, leggere l’articolo di Lisa GOURSAUD.
13:53 14:53 Ora di Beirut
Il boss della piattaforma X (ex-Twitter) Elon Musk ha dichiarato che “Starlink supporterà la connettività per le organizzazioni umanitarie riconosciute a livello internazionale a Gaza”.
Questo annuncio, fatto su X, arriva dopo che due diplomatici hanno denunciato sulla piattaforma il fatto che internet e le telecomunicazioni sono state interrotte a Gaza dal giorno precedente.
13:42 14:42 heure de Beyrouth
Le bilan humain à Gaza toujours plus haut, Erdogan demande à Israël d’arrêter « cette folie » : on fait le point à 14h30.
13:30 14:30 heure de Beyrouth
Le ministère de la Santé du Hamas a annoncé que 7.703 personnes avaient été tuées dans la bande de Gaza depuis le 7 octobre. Le dernier bilan communiqué vendredi faisait état de 7.326 morts.
Plus de 3.500 enfants figurent parmi les morts recensées, a ajouté le ministère.
12:46 13:46 heure de Beyrouth
Un uomo spinge la sua bicicletta davanti ai resti di un edificio distrutto dai bombardamenti israeliani a Gaza City, a nord dell’enclave, sabato.
Mohammad Abed/AFP
12:39 13:39 Ora di Beirut
Un alto funzionario di Hamas, Moussa Abou Marzouk, in visita a Mosca, ha dichiarato sabato che il movimento palestinese sta cercando di determinare il luogo in cui si trovano otto ostaggi con doppia nazionalità russa e israeliana per poterli liberare, secondo quanto riportato dall’AFP.
“Stiamo cercando le persone che sono state segnalate dalla parte russa. È difficile, ma stiamo cercando. Non appena le troveremo, le rilasceremo”, ha dichiarato il funzionario, citato dall’agenzia di stampa statale russa Ria Novosti.
12:08 13:08 ora di Beirut
Hamas e Jamaa Islamiya hanno indetto una manifestazione per domenica alle 12.30 in piazza Azariye, nel centro di Beirut, a sostegno della “resistenza” palestinese e del suo diritto a “liberare le sue terre e i suoi luoghi sacri”. La manifestazione è stata annunciata dall’ufficio stampa di Hamas in Libano.
11:12 12:12 ora di Beirut
I residenti di diverse località della caza di Tiro (Libano meridionale) hanno dichiarato a L’Orient-Le Jour di aver “sentito e visto” una “esplosione nel cielo” pochi istanti fa, senza poterne identificare la causa.
11:05 12:05 ora di Beirut
Centinaia di edifici sono stati “completamente distrutti” nella Striscia di Gaza durante i bombardamenti israeliani della notte, ha dichiarato sabato la Protezione civile.
“Centinaia di edifici e case sono stati completamente distrutti e migliaia di altre abitazioni sono state danneggiate”, ha dichiarato all’AFP il portavoce della Difesa civile di Gaza, Mahmoud Bassal, aggiungendo che l’intenso bombardamento della notte ha “cambiato il paesaggio” della Striscia di Gaza settentrionale.
11:01 12:01 ora di Beirut
Secondo la Reuters, l’esercito israeliano ha intercettato un missile lanciato dal Libano e sta effettuando una rappresaglia.
L’informazione è stata comunicata su X da Avichay Adraee, portavoce dell’esercito israeliano per i media. Secondo lui, il missile lanciato ha preso di mira un drone israeliano.
09:54 10:54 ora di Beirut
In un messaggio pubblicato su X e ripreso dall’AFP, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha invitato sabato Israele a “fermare immediatamente questa follia” e a porre fine ai suoi attacchi.
“I bombardamenti israeliani che si sono intensificati ieri sera su Gaza hanno preso di mira ancora una volta donne, bambini e civili innocenti e hanno aggravato la crisi umanitaria in corso. Israele deve immediatamente fermare questa follia e porre fine ai suoi attacchi”, ha dichiarato il leader turco, invitando a una manifestazione a sostegno dei palestinesi organizzata dal suo partito a Istanbul sabato.
09:50 10:50 ora di Beirut
Le famiglie degli ostaggi, per la maggior parte israeliani, detenuti da Hamas nella Striscia di Gaza hanno espresso sabato la loro “preoccupazione” e hanno chiesto spiegazioni al governo dopo l’intenso bombardamento dell’esercito sul territorio palestinese.
“Le famiglie sono preoccupate per la sorte dei loro cari e attendono spiegazioni. Ogni minuto sembra un’eternità. Chiediamo che il ministro della Difesa Yoav Gallant e i membri del gabinetto di guerra ci incontrino questa mattina”, si legge in un comunicato stampa dell’associazione che rappresenta le famiglie degli oltre 220 ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre.
09:49 10:49 ora di Beirut
Il blackout delle comunicazioni e i bombardamenti continuano nella Striscia di Gaza, secondo il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus. Parlando sul suo account X, ha dichiarato che in queste condizioni non è più possibile “evacuare i pazienti” o “mettersi al riparo”.
“I contatti con il nostro personale e con i centri di cura sono ancora interrotti. Sono preoccupato per la loro sicurezza”, ha concluso.
09:32 10:32 ora di Beirut
Un’altra manifestazione, annunciata nell’agenda dell’Agenzia nazionale di informazione (Ani, ufficiale), è prevista per le 15.30 davanti al Museo nazionale di Beirut, con lo slogan “L’unità nazionale prima di tutto… Musulmani e cristiani, proteggiamo il Libano evitando la guerra”. L’Ani non ha rivelato l’identità degli organizzatori.
Gaza e New York: due palcoscenici, due teatri, due palcoscenici sotto due tensostrutture ai lati opposti del mondo, ma con lo stesso tema in cartellone: qui le infinite risorse della crudeltà umana, e lì le non meno agghiaccianti risorse del cinismo governativo.
Questo non vuol dire che in questi giorni di apocalisse non ci sia lavoro da fare al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. Ma mentre l’Assemblea Generale ha finalmente adottato un testo non vincolante, il Consiglio di Sicurezza non ha visto altro che vuota retorica e sterili giostre oratorie. Banali incontri tra bozze di risoluzione rivali senza alcuna ambizione se non quella di un’umile e misericordiosa tregua umanitaria. Quale instancabile agitazione dell’aria, quali interminabili flussi di saliva, quando a ogni ora del giorno e della notte, è in torrenti furiosi che il sangue della popolazione di Gaza scorre da tre settimane.
L’ONU, che una volta de Gaulle definì un “marchingegno”, appartiene dunque al passato? Certo che no. Fortunatamente, le voci dei guardiani del tempio si distinguono da questa cacofonia di voci che chiamiamo concerto delle nazioni.
Il capo dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa), ad esempio, e quindi la persona più qualificata al mondo per tracciare un quadro tanto accurato quanto terrificante della catastrofe sanitaria senza precedenti che minaccia, nell’immediato futuro, la sfortunata popolazione civile di Gaza. “Nessun crimine di guerra può giustificare i crimini attualmente perpetrati”, sottolinea Philippe Lazzarini, “e la storia ci giudicherà tutti per non aver posto fine a questo inferno sulla terra”.
Soprattutto, rendiamo omaggio al Segretario Generale delle Nazioni Unite, che ha avuto l’immenso coraggio di dire ad alta voce ciò che molti dei potenti pensavano, senza dubbio, nel loro cuore, quando hanno proclamato il loro totale sostegno a Israele. Antonio Guterres ci ha ricordato che il sanguinoso terremoto del 7 ottobre non è emerso dal vuoto, non è nato spontaneamente, ma è stato l’inevitabile risultato di decenni di occupazione, oppressione e colonizzazione. Le rimostranze dei palestinesi, ha tenuto a precisare, non possono giustificare gli atti terribili commessi da Hamas; ma, a loro volta, questi atti non possono giustificare la punizione collettiva inflitta al popolo palestinese.Si dice che solo la verità fa male, da qui la reazione isterica degli israeliani che hanno immediatamente chiesto le dimissioni del Segretario Generale.Quando vedremo la classica, rituale, infamante accusa di antisemitismo?
Il fatto è che Guterres ha messo il dito sulla piaga: quella aperta il 7 ottobre e di cui lo Stato ebraico si lamenta a gran voce; soprattutto, quella che sta usando abusivamente per centuplicare il colpo e completare la sua presa di possesso della Palestina. Persino i più stretti alleati di Israele hanno avvertito della natura oltraggiosamente sproporzionata della risposta all’operazione “Diluvio di al-Aqsa”, senza arrivare a sconfessarla chiaramente. Per quanto colpevole possa essere tale compiacimento, non è questo il vero problema. Il problema sta nel diritto all’autodifesa che le democrazie occidentali riconoscono costantemente a Israele e per il quale l’America ha dovuto usare il suo veto.
Eppure, questo è uno Stato che ha conquistato militarmente territori arabi.Ne ha annessi alcuni e ne sta colonizzando metodicamente altri come parte di un’annessione strisciante. E sta sottoponendo le popolazioni occupate a un’odiosa discriminazione etnica e razziale che ha tutte le caratteristiche dell’apartheid, come indicato nell’ultimo rapporto del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.
Sì, come possiamo riconoscere una qualche legittimità alle brutali rappresaglie a cui ogni esercito di occupazione è invariabilmente sottoposto? Come si può concedere a una potenza occupante – per di più colpevole di crimini di guerra – lo stesso diritto all’autodifesa degli Stati che rispettano il diritto internazionale? Perseverare in questa mostruosa aberrazione non equivale forse a concedere all’oppressore lo status esclusivo di vittima e a fare dell’oppresso l’unico cattivo della storia?
Questo ritornello sull’autodifesa non è l’unico che merita di essere buttato via.
È incredibile, vergognoso e rivoltante che i governi e i media di tutto il mondo continuino, il più delle volte, a citare placidamente, senza il minimo clamore, come se si trattasse di banali fatti compiuti, tutti gli insediamenti che dal 1967 si moltiplicano nella Cisgiordania occupata. Questa banalizzazione dell’espropriazione è tanto più odiosa se si considera che, nel primo quarto del XXI secolo, sono ormai lontani i tempi in cui i pionieri potevano insediarsi tranquillamente su terre dichiarate vergini o popolate da indigeni percepiti come un branco di selvaggi.
Indissociabile dal martirio di Gaza e dalla puzza di trasferimento di popolazione che ne deriva, è la versione israeliana della conquista dell’Occidente firmata dallo psicopatico Netanyahu. Le grandi democrazie non potranno usare il fumo dell’inferno come scusa per fingere di non averlo previsto. Issa GORAIEB
igor@lorientlejour.com
DA SEGUIRE:
“Posterò qui i video grezzi tra le riprese dal vivo. Non ho tempo per le descrizioni. Sto facendo un reportage lungo il confine tra Israele e Gaza.”
I’ll be posting raw videos here between live shots. Don’t have time for descriptions. I’m reporting along the Israel/Gaza border. pic.twitter.com/4nO0MrweRD
צה״ל ושב"כ חיסלו הלילה את מדחת מבאשר, מפקד גדוד מערב חאן יונס בארגון הטרור חמאס. מדחת לקח חלק בפיגועי צליפה ומטענים גדולים לעבר כוחות צה״ל ולעבר יישובי ישראל.
כמו כן, ביממה האחרונה צה״ל תקף מעל ל-250 מטרות של ארגון הטרור חמאס ברצועת עזה, ביניהן, מנהרות טרור, עשרות מחבלים >> pic.twitter.com/aWBrHL2c75
— דובר צה״ל דניאל הגרי – Daniel Hagari (@IDFSpokesperson) October 27, 2023
Gli Stati Uniti hanno bloccato per 90 giorni le esportazioni della maggior parte delle armi da fuoco civili e delle munizioni per tutti gli utenti non governativi.
Secondo Reuters, il Dipartimento del Commercio non ha fornito ulteriori dettagli sulla sospensione, che include anche fucili da caccia e mirini ottici, ma ha detto che una revisione urgente valuterà il “rischio che le armi da fuoco vengano dirottate verso entità o attività che promuovono l’instabilità regionale, violano i diritti umani o alimentano attività criminali”.
Le licenze di esportazione per l’Ucraina e Israele, così come per alcuni altri stretti alleati, saranno esentate dal blocco temporaneo delle esportazioni.
מטוסי קרב של חיל-האוויר תקפו הלילה כ-150 מטרות תת-קרקעיות בצפון רצועת עזה. במהלך התקיפה חוסלו מחבלים של ארגון הטרור חמאס והושמדו מנהרות לחימה, מרחבי לחימה תת-קרקעיים ותשתיות טרור תת-קרקעיות נוספות. pic.twitter.com/Ojwb7vo285
“Questa notte è iniziata l’espansione delle operazioni di terra, le forze dell’IDF sono entrate nelle profondità della Striscia di Gaza.
Durante l’avanzata ci sono stati diversi incidenti con i terroristi, non ci sono state vittime tra i combattenti dell’IDF.
Allo stesso tempo, l’aviazione ha attaccato oltre 150 obiettivi a Gaza”.
Fonte: canale 11
08:47
Questa mattina nel nord della Striscia di Gaza si sentono ancora pesanti combattimenti con armi di piccolo calibro e artiglieria, anche se al momento non si sa se le forze di terra isrealiane si siano già ritirate da Gaza.
08:45
Secondo l’Israel Defense Force, oltre 150 obiettivi sotterranei sono stati distrutti ieri sera nella Striscia di Gaza da aerei israeliani che hanno utilizzato munizioni ad alto impatto “Bunker Busting”, mentre un ufficiale militare dell’IDF ha dichiarato: “Stiamo usando un fuoco mai visto prima nella Striscia di Gaza. Dall’aria, dal suolo o dal sottosuolo – l’IDF eliminerà ogni terrorista senior o junior e ogni infrastruttura terroristica di Hamas”.
Abu Raffa, Hamas head of air command. Eliminated.
Abu Raffa was responsible for managing the UAV arrays, the drones, the aerial detection, the paragliders, and the air defense of the Hamas organization. Directed the paraglider infiltration of the October 7 massacre.
08:25
Le Forze di Difesa Israeliane hanno annunciato che ieri sera, in un’operazione congiunta con lo Shin Bet, sono riuscite a colpire ed eliminare con successo il capo delle schiere aeree di Hamas, Asem Abu Rakaba, nella sua casa nella Striscia di Gaza; si sostiene che Rakaba sia stato determinante nella pianificazione dell’attacco a sorpresa del 7 ottobre con l’utilizzo di droni, parapendii e difese aeree.
08:22
I carri armati e i veicoli blindati israeliani sono ancora all’interno della Striscia di Gaza settentrionale questa mattina, dopo oltre 11 ore dall’attraversamento del confine.
07:17
Le forze di terra isrealiane non hanno subito perdite durante l’avanzata di ieri sera nel nord della Striscia di Gaza, vicino alla città di Beit Hanoun.
06:16
Sono le 6 del mattino in Israele, circa 9 ore da quando, secondo quanto riferito, migliaia di truppe israeliane e centinaia di carri armati e veicoli blindati hanno attraversato ieri sera la barriera di confine con il nord di Gaza e ancora non abbiamo alcuna idea di cosa stia accadendo o sia accaduto esattamente.
06:15
Il presidente turco Erdoğan si è offerto di mediare il conflitto tra Israele e Hamas.
Sperava davvero che Washington, se non Israele, avrebbero accettato la sua offerta.
Ora ha posto le basi per un eventuale intervento militare turco nel conflitto regionale israeliano.
Erdoğan sta avvertendo gli israeliani e gli Americani, che ci sarà una guerra su larga scala.
06:06
“Sono riuscito a connettermi per un minuto con molta difficoltà e volevo farvi sapere che internet, l’elettricità e tutto il resto sono stati interrotti.
Ogni strada è colpita. La gente trasporta i propri morti e feriti con i metodi più elementari… su carrelli e tuk-tuk.
È molto pericoloso ovunque: ci stanno bombardando dal cielo e da terra. Pochi minuti fa gli aerei da guerra hanno bombardato luoghi vicini a noi”.
Fonte: NBC News
06:00
Le truppe israeliane si sono ritirate dopo alcune schermaglie. Non è chiaro se siano mai entrate nella Striscia di Gaza o se si siano impegnate al di là della recinzione, né quanto efficacemente si siano comportate le rispettive parti.
Il problema fondamentale che l’IDF e il governo israeliano in generale si trovano ad affrontare in questo momento è che per raggiungere l’obiettivo dichiarato di distruggere Hamas, i bombardamenti e le incursioni corazzate nelle aree aperte della Striscia di Gaza (a cui si erano limitati nelle precedenti tornate di combattimenti) non saranno sufficienti. A un certo punto gli APC israeliani dovranno avvicinarsi alla prima linea di blocchi abitativi di cemento in frantumi, sganciare le rampe e smontare la fanteria. E quei fanti dovranno proteggersi dietro i loro fucili d’assalto e mettersi al lavoro. Blocco dopo blocco, edificio dopo edificio, stanza dopo stanza, attraversando un esercito di nemici e un oceano di civili, fino a quando il lavoro non sarà finito.
05:20
Le truppe israeliane si sono ritirate dopo alcune schermaglie. Non è chiaro se siano mai entrate nella Striscia di Gaza o se si siano impegnate al di là della recinzione, né quanto bene si siano comportate le rispettive parti.
Il problema fondamentale che l’IDF e il governo israeliano in generale si trovano ad affrontare in questo momento è che per raggiungere l’obiettivo dichiarato di distruggere Hamas, i bombardamenti, i bombardamenti e le incursioni corazzate nelle aree aperte della Striscia di Gaza (a cui si erano limitati nelle precedenti tornate di combattimenti) non saranno sufficienti. A un certo punto gli APC israeliani dovranno avvicinarsi alla prima linea di blocchi abitativi di cemento in frantumi, sganciare le rampe e smontare la fanteria. E quei fanti dovranno mettersi dietro i loro fucili d’assalto e mettersi al lavoro. Blocco dopo blocco, edificio dopo edificio, stanza dopo stanza, attraverso un esercito di nemici e un oceano di civili, fino a quando il lavoro non sarà finito.
Credo che a questo punto Netanyahu abbia ordinato al macellaio un bagno di sangue e ora non voglia pagare il conto.
05:20
Stiamo ampliando le nostre operazioni di terra e non voglio commentare se si tratta di un attacco di terra o meno – i giorni a venire saranno lunghi e difficili.
– Portavoce del governo israeliano
05:11
Sembra che Israele impegnerà le fazioni gazane in una lunga ed estenuante maratona di scontri successivi e di operazioni “hit&run”. In questo modo creerà sacche militari in 3 aree (a est di al-Bureij-Beit Hanoun-Beit Lahya) che potrà rafforzare per l’operazione finale di terra.
05:09
Sembra che l’attacco israeliano sia avvenuto in tre aree nel nord di Gaza. I combattimenti tra l’IDF e i militanti a nord di Al-Bureij e forse vicino a Beit Hanoun sono ancora in corso, secondo le notizie locali.
05:05
Notizie: Il tenente generale dell’USMC James Glynn, inviato dal Pentagono per consigliare Israele sui rischi inerenti a un’invasione della Striscia di Gaza, è tornato negli Stati Uniti.
“Non fraintendete: quello che sta accadendo, è accaduto o accadrà a Gaza è una decisione puramente israeliana”. -Il comandante dell’USMC, Gen. Eric Smith, ha dichiarato ai giornalisti.
05:01
Il ministro degli Esteri iraniano afferma che se i crimini israeliani continuano, l’espansione della guerra e l’apertura di nuovi fronti nella regione sono molto possibili.
04:49
Un alto funzionario israeliano ha dichiarato che l’incursione dell’IDF è per lo più nel nord della Striscia di Gaza ed è molto più grande e significativa rispetto alle incursioni limitate che hanno avuto luogo negli ultimi giorni e il numero di soldati che partecipano all’incursione è molto maggiore – Axios
04:40
“Oggi è un giorno che passerà alla storia. Siamo tutti testimoni del fatto che l’ONU
non ha più nemmeno un briciolo di legittimità o di rilevanza.
Israele rifiuta categoricamente la risoluzione dell’Assemblea Generale approvata questo pomeriggio che non nomina nemmeno Hamas – nemmeno una volta! Come se questa guerra fosse iniziata da sola! Anche quando si è parlato dei nostri ostaggi, i redattori non sono riusciti a nominare i terroristi di Hamas responsabili di questo palese crimine di guerra.
Israele continuerà a difendersi. Israele farà ciò che deve essere fatto per sradicare le capacità di Hamas e riportare a casa gli ostaggi.”
Today is a day that will go down in infamy. We have all witnessed that the @UN no longer holds even one ounce of legitimacy or relevance.
Israel categorically rejects the General Assembly resolution passed this afternoon that does not even name Hamas – not once! As if this war… pic.twitter.com/ymI5N1xaHf
— Ambassador Gilad Erdan גלעד ארדן (@giladerdan1) October 27, 2023
04:31
Il Presidente Biden ha inviato al Congresso una notifica sui poteri di guerra per spiegare gli attacchi mirati degli Stati Uniti contro le strutture nella Siria orientale utilizzate dall’IRGC e da gruppi affiliati all’IRGC la notte del 26 ottobre 202.
“Ho diretto gli attacchi per proteggere e difendere il nostro personale, per degradare e interrompere la serie di attacchi in corso contro gli Stati Uniti e i nostri partner e per dissuadere l’Iran e i gruppi di miliziani sostenuti dall’Iran dal condurre o sostenere ulteriori attacchi. Gli Stati Uniti sono pronti a intraprendere ulteriori azioni, se necessarie e appropriate, per affrontare ulteriori minacce o attacchi“.
03:28
“Oggi pomeriggio ho avuto un altro incontro sostanziale con il direttore Wang Yi. Abbiamo discusso delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Cina, del conflitto tra Israele e Hamas, della guerra della Russia contro l’Ucraina e delle questioni relative allo Stretto. Continueremo a mantenere aperto il nostro canale di comunicazione.” Jake Sullivan
03:14
“La raffica odierna di attacchi israeliani intensificati in vista di un’imminente invasione di terra – insieme alla richiesta degli Stati Uniti di una pausa umanitaria – è stata uno strumento di negoziazione per spingere al rilascio degli ostaggi.
In pratica, un’ultima grande spinta per liberare gli ostaggi prima dell’inizio dell’invasione di terra.
A partire da questa mattina, il piano di Israele prevedeva l’invio di una divisione a Gaza con l’intensificarsi degli attacchi, a partire da mezzogiorno.
Nelle ultime ore, Israele ha rinunciato a un’offensiva di terra su larga scala, inviando invece forze più limitate, mentre gli Stati Uniti hanno intensificato le richieste di pausa per far uscire gli ostaggi.
L’obiettivo era quello di dare un’ultima possibilità ad Hamas di convincersi che è giunto il momento di scambiare/ discutere seriamente le concessioni.
Al momento non è stato annunciato alcun progresso nelle discussioni sugli ostaggi.
Detto cio`, questo tempo ha permesso a Israele di conoscere meglio l’ambiente, di raccogliere informazioni e di prepararsi a fare di più.
I funzionari statunitensi e israeliani hanno indicato che l’incursione di terra di questa notte non è un’offensiva su larga scala” (Jacqui Heinrich Corrispondente dalla Casa Bianca per la FoxNews)
03:10
Il ministro degli Esteri iraniano afferma che se i crimini israeliani continuano, l’espansione della guerra e l’apertura di nuovi fronti nella regione sono molto possibili
03:00
“Non siamo coinvolti in alcuna operazione di terra israeliana. Il nostro obiettivo è lavorare con i nostri partner israeliani per sostenere la loro autodifesa. Gli Stati Uniti non vogliono vedere il conflitto espandersi nella regione. Vogliamo quindi inviare un messaggio di deterrenza. Non siamo interessati a un conflitto con l’Iran. L’invio delle nostre forze nella regione ha lo scopo di dimostrare la nostra prontezza e di dissuadere qualsiasi parte che volesse intensificare il conflitto”, ha dichiarato ad Al Jazeera il portavoce del Pentagono Pat Ryder.
02:55
Migliaia di persone si sono riunite per chiudere la Grand Central Station di New York e chiedere che Israele interrompa la sua guerra contro Hamas dopo gli attacchi terroristici e i rapimenti.
02:50
GLI STATI UNITI INVITANO A NON INVADERE GAZA
L’amministrazione Biden chiede a Israele di non invadere Gaza via terra, mentre le forze israeliane sono entrate questa sera a Gaza nell’ambito di quella che Israele chiama “operazione allargata” per preparare un’invasione di terra.
Sono in corso violenti scontri e venti carri armati israeliani sono stati distrutti.
Fonte: Il Washington Post
02:07
La Resistenza islamica in Iraq ha annunciato di aver effettuato questa notte un attacco utilizzando 2 droni “Kamikaze” contro la base operativa statunitense di Al-Tanf, nel sud della Siria, vicino al confine con la Giordania e l’Iraq.
01:50
L’artiglieria e gli attacchi aerei israeliani si sentono e si vedono da Gaza City questa sera.
Le Truppe di Terra sono in movimento:
Dentro Gaza, stanotte:
01:41
Aerei da combattimento israeliani ed egiziani sono stati segnalati in volo sul Golfo di Aqaba, nel Mar Rosso settentrionale.
01:40
Nonsolo Gaza:
Questa sera sono in corso scontri tra i membri di Hamas e le forze israeliane in tutta la Cisgiordania, con intense sparatorie nei pressi della città di Gerico.
01:32
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione non vincolante che chiede un “cessate il fuoco umanitario immediato, duraturo e sostenibile” nella Striscia di Gaza che porti alla “cessazione delle ostilità”.
– 120 Paesi hanno votato a favore, 14 contro e 45 si sono astenuti.
– Rappresentante israeliano: “L’ONU non significa nulla”.
01:23
Durante la significativa escalation di combattimenti di questa notte nella Striscia di Gaza e nel sud di Israele, il Dipartimento di Stato americano ha diffuso un altro avviso di viaggio per il Libano, continuando a dichiarare che i cittadini americani dovrebbero tentare di lasciare il Paese mentre i voli commerciali e le imbarcazioni sono ancora disponibili; tuttavia, ciò che è diverso in questo avviso è che le evacuazioni assistite dai militari vengono menzionate con una serie di regole per questo tipo di evacuazioni, tra cui, ma non solo: Non sono ammessi animali domestici, il trasporto verso i luoghi di partenza è vietato o inaffidabile e l’obbligo di rimborsare il governo degli Stati Uniti per l’evacuazione.
01:22
L’esercito israeliano ha dichiarato alle organizzazioni giornalistiche internazionali Reuters e Agence France Presse che non può garantire la sicurezza dei loro giornalisti che operano nella Striscia di Gaza, sottoposta a bombardamenti e assedio israeliano da quasi tre settimane.
01:20
Lo spazio aereo sopra Israele e il Libano è completamente vuoto di aerei commerciali in questo momento.
01:19
Aggiornamento sugli Eurofighetrs: Sembra che gli Eurofighter si stiano preparando ad atterrare a Cipro, forse insieme a un KC2 Voyager Refueling Tanker “RRR9961” della RAF, anch’esso in partenza dalla Turchia; potrebbe trattarsi di un preposizionamento di risorse più vicine al Libano e a Israele.
01:11
2 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon della Royal Air Force britannica “BRUISE22” e “RRR9959X” sono partiti da una base aerea in Turchia e si stanno dirigendo a sud del Mediterraneo orientale.
01:05
I media israeliani riferiscono che migliaia di truppe israeliane, insieme a centinaia di carri armati e veicoli blindati, sono entrate questa notte nel nord della Striscia di Gaza, vicino alla città di Beit Hanoun, dove sono in corso pesanti e difficili combattimenti contro le forze terroristiche.
01:03
“Sembra che Anthony Blinken sia ora un membro del Gabinetto israeliano e del Consiglio di Difesa Nazionale.
Questo è a dir poco insolito.
Molti dicono che siamo noi a controllare tutto ciò che accade in Israele.
La verità è che mi chiedo se la leadership israeliana sia o meno responsabile di tutto ciò che portiamo nell’arena.” (Colonnello Douglas Macgregor)
00:52
Aggiornamento dispiegamento attuale delle forze Americane nell’area mediorientale:
Il Pentagono sta dispiegando in Medio Oriente due gruppi d’attacco di portaerei, undici cacciatorpediniere della classe Burke, alcuni incrociatori della classe Ticonderoga, navi d’assalto anfibio, sistemi di difesa missilistica THAAD e Patriot, diversi squadroni di caccia, bombardieri strategici e mezzi non rivelati.
Qual è la probabilità che questa situazione degeneri in una guerra tra Stati Uniti e Iran?
PENTAGONO: “Tra il 17 e il 24 ottobre, le forze statunitensi e della coalizione sono state attaccate almeno dieci volte in Iraq e tre volte in Siria con un mix di droni e razzi a senso unico…
Sappiamo che i gruppi che conducono questi attacchi sono sostenuti dall’IRGC e dal regime iraniano. Vediamo la prospettiva di un’escalation più significativa contro le forze e il personale degli Stati Uniti in tutta la regione nel breve termine, proveniente da forze per procura iraniane e, in ultima analisi, dall’Iran”.
00:47
Sembra che sia in corso una sorta di evacuazione dalla capitale libanese di Beirut, dato che un C-17A Globemaster lll “CFC4024” dell’aeronautica canadese è appena partito dalla città in direzione di Pafos, Cipro.
00:29
Due funzionari israeliani hanno dichiarato ad Axios che la decisione di espandere le operazioni di terra nella Striscia di Gaza è stata presa ieri sera dal Gabinetto di guerra israeliano insieme al Primo Ministro Netanyahu, dopo che i diplomatici avevano riferito che i negoziati per gli ostaggi in Qatar avevano raggiunto una situazione di stallo.
23:10
Ieri fonti militari in Eritrea hanno riferito che le forze nemiche israeliane di stanza nella base di Dahlak, dalla quale fungono da posto di osservazione sul Mar Rosso, sono state sottoposte ad un “attacco armato” che ha portato all’uccisione di un alto ufficiale. in mezzo alla stretta segretezza del nemico
23:05
ESPLOSIONI, FUOCO DI CARRI ARMATI E ARTIGLIERIA PESANTE A GAZA
https://cedarnews.net/?p=649263
22:58
Media egiziani: Aerei da guerra egiziani hanno sorvolato Taba e Nuweiba dall’alba fino ad ora
22:30
movimenti di forze corazzate israeliane
22:00
URGENTE: L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione non giuridicamente vincolante che chiede una “tregua umanitaria immediata” a Gaza. La risoluzione è stata presentata dalla Giordania a nome del gruppo arabo. La risoluzione condanna inoltre tutti gli atti di violenza contro israeliani e palestinesi. Ci sono stati 120 voti a favore, 14 contrari e 45 astensioni. La risoluzione non è legalmente vincolante, ma ha un peso politico.
21:52
URGENTE: In un’intervista rilasciata al canale americano ABC News, il portavoce dell’esercito israeliano, Peter Lerner, ha negato che le operazioni ampliate di venerdì costituiscano un’invasione di terra della Striscia di Gaza, come era stato annunciato dall’inizio della guerra.
21:41
URGENTE: “Hamas pagherà per i suoi crimini contro l’umanità e questa sera cominciamo a fare giustizia”, ha dichiarato il consigliere del primo ministro israeliano Regev, secondo quanto riportato da Reuters.
21:37
L’Egitto dice che sta “intensificando gli sforzi” per mettere in sicurezza il suo spazio aereo, secondo un portavoce militare citato da Reuters.
Sei persone sono rimaste leggermente ferite quando venerdì “un drone non identificato è caduto” su una città egiziana al confine con Israele, ha dichiarato l’esercito egiziano in un comunicato.
Un drone è stato colpito al di fuori dello spazio aereo egiziano, causando la caduta di detriti in un’area disabitata di Noueiba. Il secondo è caduto a Taba. La dichiarazione ha aggiunto che i droni provenivano “dal sud del Mar Rosso verso il nord”.
Da parte sua, Lior Haiat, ministro degli Esteri israeliano, ha affermato su X (ex Twitter) che i missili e i droni sono stati “lanciati dall’organizzazione terroristica Houthi con l’obiettivo di danneggiare Israele”. La notizia non è stata confermata.
Gli Houthi sono un movimento ribelle dello Yemen sostenuto dall’Iran, coinvolto in una guerra civile che dura da otto anni contro le forze governative sostenute dall’Arabia Saudita.
21:20
URGENTE: “Quando tutto questo sarà finito, Gaza sarà molto diversa”, ha dichiarato venerdì sera Mark Regev, consigliere del primo ministro israeliano, secondo quanto riportato da Reuters. “Stiamo intensificando la pressione su Hamas e le nostre operazioni militari sono in corso”, ha aggiunto.
21:19
URGENTE: Un alto funzionario palestinese di Hamas ha dichiarato che il suo movimento è “pronto” ad affrontare un’eventuale offensiva di terra israeliana contro la Striscia di Gaza, dopo che venerdì sera l’esercito israeliano ha annunciato che stava “estendendo” le sue operazioni di terra in quella zona.
“Se Netanyahu deciderà di entrare a Gaza stasera, la resistenza è pronta”, ha dichiarato Ezzat al-Risheq su Telegram, aggiungendo che “la terra di Gaza inghiottirà i brandelli dei soldati israeliani”.
21:12
URGENTE: “Gaza è attualmente bombardata dal mare, e il ritmo dei bombardamenti sta gradualmente aumentando dopo un breve periodo di relativa calma. Israele continua a bombardare la stessa area: la parte settentrionale di Gaza”, dice il corrispondente di Al-Jazeera a Gaza, Wael al-Dahdouh, che sembra aver recuperato il segnale dopo un blackout delle comunicazioni.
21:09
URGENTE: Hamas è “pronto” se Israele lancia un’offensiva di terra, ha dichiarato un funzionario di Hamas citato dall’AFP.
21:03
Comunicazioni e internet interrotti a Gaza:
Al-Jazeera, Al-Ghad TV, BBC, Vice News e Washington Post hanno perso i contatti con i loro corrispondenti a Gaza.
Il Comitato Internazionale della Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa Palestinese affermano di aver perso i contatti con le loro squadre a Gaza.
Anche L’Orient Today ha perso il contatto con il portavoce dell’UNRWA a Gaza e non è riuscito a raggiungere i suoi contatti nell’enclave.
20:56
URGENTE: Le ambulanze non riescono a raggiungere i siti bombardati a causa dell’intensità dei bombardamenti su Gaza, dice Wael al-Dahdouh, corrispondente di al-Jazeera su X.
20:55
URGENTE: il ministro degli Esteri della Giordania ha dichiarato che Israele ha appena lanciato una guerra di terra su Gaza e che il risultato sarà un grave disastro umanitario, riporta Reuters.
20:54
Gli Stati Uniti sostengono una pausa per fornire aiuti umanitari, carburante ed elettricità ai civili di Gaza, ha dichiarato venerdì il portavoce della Casa Bianca John Kirby.
Kirby ha anche detto che se il rilascio degli ostaggi a Gaza richiedesse una pausa temporanea localizzata, gli Stati Uniti la sosterrebbero.
20:53
Nuove dichiarazioni di Daniel Hagari, portavoce dell’esercito israeliano:
“Continueremo ad attaccare Gaza e i suoi dintorni (…) Abbiamo chiesto alla popolazione di Gaza di spostarsi verso sud”, ha dichiarato.
Ha inoltre ribadito le affermazioni dell’esercito israeliano secondo cui Hamas starebbe usando l’ospedale al-Shifa come scudo per tunnel sotterranei e “attività terroristiche”, cosa che Hamas ha negato. Al-Shifa è il più grande ospedale della Striscia di Gaza, dove si sono rifugiati migliaia di sfollati.
“Non permetteremo alcun attacco contro Israele attraverso le infrastrutture sottostanti un ospedale. Questo è qualcosa che lo Stato di Israele non tollererà”, ha dichiarato Hagari. “Questa è la guerra psicologica di Hamas contro il popolo di Israele. Non cederemo a nessuna delle ciniche manipolazioni di Hamas”.
Le Hamas appelle le monde à « agir immédiatement » pour faire cesser ces bombardements.
OLJ et agences / le 27 octobre 2023 à 20h42, mis à jour à 21h30
Une vue de Gaza, le 27 octobre 2023 au soir, alors que l’enclave palestinienne est soumise à d’intensifs bombardements israéliens. REUTERS TV via REUTERS
L’armée israélienne menait vendredi soir des bombardements d’une intensité « sans précédent » depuis le début de la guerre, sur le nord de la bande de Gaza, notamment à Gaza-ville, selon des images de l’AFP et selon le Hamas. Les communications et l’internet ont été coupés dans la bande de Gaza, selon le gouvernement du Hamas au pouvoir dans le territoire palestinien. La société des…
Una veduta di Gaza, la sera del 27 ottobre 2023, mentre l’enclave palestinese è sottoposta a intensi bombardamenti israeliani. REUTERS TV via REUTERS
Venerdì sera, l’esercito israeliano ha effettuato bombardamenti di un’intensità “senza precedenti” dall’inizio della guerra, nel nord della Striscia di Gaza, in particolare a Gaza City, secondo le immagini dell’AFP e secondo Hamas. Le comunicazioni e internet sono state interrotte nella Striscia di Gaza, secondo il governo di Hamas al potere nel territorio palestinese. La società…
20:27
URGENTE: sei esplosioni a Tel Aviv in seguito a missili lanciati da Gaza e intercettati da Iron Dome, riferisce Al-Jazeera.
20:16
Una esplosione registrata alla frontiera tra Israële e Gaza, il 27 ottobre 2023.
Photo Reuters
20:11
URGENTE: Hamas chiede al mondo di “agire immediatamente” per fermare gli attacchi di Israele su Gaza. “Chiediamo ai Paesi arabi e musulmani e alla comunità internazionale di assumersi le proprie responsabilità e di agire immediatamente per fermare i crimini e i massacri contro il nostro popolo”, ha dichiarato il movimento palestinese in un comunicato.
20:09
URGENTE: Secondo il corrispondente di Al-Jazeera a Gaza, Wael Dahdouh, e sulla base di un video del suo cameraman Hamdan Dahdouh, Hamas sta attualmente lanciando una raffica di razzi da Gaza verso Israele.
20:06
Il capo della diplomazia iraniana, Hossein Amir-Abdollahian, ha avvertito venerdì in un discorso alle Nazioni Unite che i gruppi armati libanesi e palestinesi hanno “il dito sul grilletto”, tra i timori di un’escalation nella guerra tra Israele e Hamas. Questi gruppi “hanno i loro calcoli per la loro sicurezza e (…) decidono da soli”. “Non vogliamo che il conflitto si allarghi”, ha aggiunto.
19:41
Parlando venerdì alle Nazioni Unite, il capo diplomatico iraniano Hossein Amir-Abdollahian ha avvertito che i gruppi armati libanesi e palestinesi hanno “il dito sul grilletto”, temendo un’escalation nella guerra tra Israele e Hamas. Questi gruppi “hanno i loro calcoli per la loro sicurezza e (…) decidono da soli”. “Non vogliamo che il conflitto si allarghi”, ha aggiunto.
19:34
URGENTE: la Società della Mezzaluna Rossa Palestinese afferma di aver perso i contatti con il suo team all’interno di Gaza e con la sua “sala operativa principale” nell’enclave.
19:26
L’esercito israeliano ha confermato di aver esteso le operazioni di terra questa sera a Gaza.
“Nelle ultime ore abbiamo intensificato gli attacchi aerei a Gaza. L’aviazione sta effettuando un attacco su larga scala contro obiettivi sotterranei e infrastrutture terroristiche in particolare”, ha scritto Avichay Adraee, portavoce di lingua araba dell’esercito israeliano, su X (ex Twitter).
Continuando le operazioni militari che abbiamo condotto negli ultimi giorni, le forze di terra hanno ampliato le operazioni di terra questa sera”, ha aggiunto. L’esercito israeliano sta lavorando con la massima forza su tutti i fronti per raggiungere gli obiettivi della guerra”.
19:22
URGENTE: un portavoce dell’esercito israeliano ha dichiarato che le forze di terra stanno ampliando le loro operazioni questa sera, come riporta la Reuters.
Ad Avdeevka si sono verificate diverse importanti conquiste russe, ora amaramente confermate da fonti ucraine. È ormai indubbio che entrambe le parti sono andate “all in” e Avdeevka è diventata di fatto il campo di battaglia centrale per definire l’ultima parte di quest’anno.
Prima non ero certo che Avdeevka potesse essere solo uno stratagemma o un depistaggio da parte del comando russo, o forse anche un “test delle acque” per vedere se valesse la pena di impegnare una grande forza lì, un po’ come lo era Ugledar all’inizio del 2023. Non hanno mai inteso Ugledar come un’operazione massiccia “all in”, a meno che i primi test non abbiano dimostrato che le difese ucraine erano deboli.
Ma qui è diventato chiaro che la Russia ha puntato tutto e non si fermerà finché non sarà catturata, a prescindere dalla rigidità della difesa ucraina. In breve, Avdeevka è destinata a diventare la nuova Mariupol, Lisichansk-Severodonetsk e Bakhmut.
Ma alcuni hanno giustamente fatto notare che c’è in realtà un’altra battaglia, più lontana, a cui Avdeevka assomiglia molto di più. Quella di Debaltsevo del 2015, famosa per la sconfitta senza precedenti delle truppe JFO/ATO ucraine, in quello che è diventato uno dei primi grandi “calderoni” che ha posto il termine sulla mappa di una nuova generazione di aspiranti generali e storici della guerra.
Questa battaglia del febbraio 2015 aveva dimensioni più simili a quelle di Avdeevka e raggruppamenti di truppe simili e più piccoli, rispetto ai gruppi di mostri che hanno finito per partecipare a battaglie come Bakhmut. Anche la forma e la disposizione delle truppe sono simili. Anche in quell’occasione, le truppe novorossine hanno soffocato l’AFU con un fuoco di fila di artiglieria incrociata, infliggendo gravi perdite e costringendo alla ritirata, mentre le forze novorossine si spingevano dalla periferia con una pressione costante.
Allo stesso modo, aveva una via di rifornimento principale, la Bakhmut Highway, che conduceva in direzione nord-ovest verso Bakhmut, e che le truppe di Novorossiyan hanno iniziato a portare in una tenaglia e sotto il controllo del fuoco, costringendo l’AFU a ritirarsi nel panico.
Naturalmente ora ad Avdeevka è tutto più difficile, perché ci sono stati molti più anni di fortificazioni e un sostegno finanziario senza precedenti da parte della NATO, oltre alla piena mobilitazione della società che ha fornito un flusso infinito di riserve per reintegrare le perdite.
Finora, però, le forze russe stanno riuscendo nella stessa manovra effettuata a Ilovaisk e Debaltsevo: spingersi contemporaneamente sia a sud che a nord di Avdeevka per limitare le vie di rifornimento.
Quali sono dunque i nuovi progressi?
In primo luogo, e soprattutto, questa volta ci sono alcuni avanzamenti chiave e confermati dal distretto meridionale, il che indica veramente che le fauci si stanno chiudendo. Un paio di campi sono stati catturati su Opytne, ma alcuni si sono spinti anche un po’ più in là della visualizzazione qui sotto:
🇷🇺🇺🇦❗️Le forze russe stanno restringendo l’anello intorno ad Avdeevka. Secondo Come and See, l’esercito russo ha nuovamente lanciato un’offensiva sia a nord che a sud dell’area fortificata di Avdeevsky nella DPR. “A sud, le unità russe stanno avanzando da Yasinovataya. Secondo la fonte, la velocità di avanzamento è aumentata e può arrivare fino a 2 km in questa direzione. L’artiglieria russa e ucraina sono in piena attività. La liberazione di Avdiivka è importante non solo dal punto di vista strategico, ma anche psicologico. La liberazione di Avdiivka è importante non solo dal punto di vista strategico, ma anche psicologico: da lì partono una parte significativa degli attacchi alla popolazione civile e alle infrastrutture civili di Donetsk.
Altre fonti riportano successi in direzione sud ed est. Per esempio, nella fortificazione “Royal Hunt”, le forze russe avrebbero fatto progressi, e a est le forze russe avrebbero combattuto per la Stazione di Filtrazione, che si trova qui:
Sul fronte settentrionale, diversi resoconti ucraini hanno ora smentito le voci secondo cui lo Slag Heap sarebbe ancora nella “zona grigia” e hanno confermato che non solo è stato completamente conquistato dalle forze russe, ma che queste ultime vi stanno addirittura scavando con le loro postazioni, il che significa che le armi di controllo del fuoco saranno certamente portate lassù:
Alcune fonti continuano ad affermare che le forze russe stanno attivamente prendendo d’assalto la parte settentrionale della Cokeria, oltre a sgomberare e scavare nell’area a sud del cumulo di scorie, anche se ciò non è ancora confermato:
È importante ricordare che molte fonti, in particolare Rybar negli ultimi tempi, tendono a fare il passo più lungo della gamba, quindi queste informazioni sono ancora molto preliminari e dovrebbero essere prese con un granello di sale.
Come minimo, però, se le forze russe non si sono impadronite completamente della parte meridionale del cumulo, è molto probabile che si tratti di una zona grigia senza più alcuna presenza ucraina.
Elena Bobkova, volontaria di ⚡️⚡️⚡️☝️Donetsk, ha parlato a UkrainaRU dell’importanza del controllo del cumulo di rifiuti per la conquista di Avdeevka: “In primo luogo, e soprattutto, grazie a questo controllo, la nostra artiglieria penetra attraverso la città. In secondo luogo, è un eccellente posto di osservazione che ci permette di vedere tutto ciò che c’è intorno. Qualsiasi movimento intorno alla città, qualsiasi trasferimento di riserve e unità militari ci viene immediatamente comunicato. In terzo luogo, il controllo della pila di rifiuti è in realtà l’inizio della bonifica della cokeria Avdeevsky, la più grande fabbrica di questo profilo in Europa in termini di superficie. Certo, è più piccola di Azovstal, ma la difesa di Avdiivka è in realtà la difesa della cokeria. C’è un quartier generale della guarnigione e magazzini con carburante e lubrificanti usati. Di notte tutta Donetsk vede il bagliore di Avdeevka. Sono l’aviazione e l’artiglieria russa a distruggere i magazzini. Se la difesa della cokeria crolla, crollerà anche la difesa di Avdeevka”. “Se Avdiivka sarà liberata, il terrore dell’artiglieria a cui Yasinovataya, Makeevka e parte di Donetsk sono state sottoposte ogni giorno per un anno e mezzo sarà cease⚡️⚡️⚡️.
Ecco la mappa di Rybar che mostra almeno le direzioni generali di avanzamento, in particolare verso l’impianto di filtrazione a sud-est e la direzione di Opytne da sud-ovest:
Julian Ropckeè ancora una volta a pezzi:
Si dice che la Russia stia martellando senza pietà Avdeevka, e un altro recente rapporto sul fronte conferma che l’AFU subisce perdite molto più elevate rispetto alle forze russe, in particolare nella fase attuale in cui la Russia ha accorciato le linee e non sta effettuando grandi assalti corazzati attraverso distese aperte di terreno.
Un piccolo scorcio: si possono vedere 6 Su-25 russi che si dirigono verso Avdeevka, un segno di quanta potenza aerea simultanea viene utilizzata solo su questo fronte:
A seguire anche molti elicotteri d’attacco, che avrebbero effettuato questi scatti:
Il canale russo Vozhak Z, che ci aggiorna dal fronte, scrive un altro post dettagliato. Tra l’altro, si scopre che questo combattente è in realtà un premiato scrittore russo di nome Dmitry Fillipov, che si è offerto volontario per la SMO.
Ora combatte nei quartieri meridionali della sezione “Caccia reale” di Avdeevka. Da oggi:
SETTIMO GIORNOC’è stata una fitta nebbia fin dal mattino e per tutto il giorno. A 50 metri non si vedeva più nulla. Il tempo ci ha concesso una pausa. Nella nostra zona c’era una calma così insolita da essere un po’ fastidiosa: per due settimane di fila, anche andare in bagno era un’avventura, ma poi si esce in strada e c’è il silenzio… Solo al nord l’arte pesante ha continuato a lavorare da qualche parte nell’area di Koksokhim.Oggi è stato il momento di pensare a tutto ciò che stava accadendo. Obiettivamente, la situazione è tale che da nord la ferrovia si trova in una zona grigia. La consegna di BC attraverso di essa è impossibile. La strada che attraversa Lastochkino è sotto il nostro controllo di fuoco e credo che li prenderemo. È già chiaro a tutti che non ci fermeremo. Questo è chiaro per noi. Questo è chiaro per il nemico. Hanno ancora forze sufficienti, la battaglia sarà difficile, ma in fondo le creste sanno già che perderanno Avdeevka. E noi sappiamo che non si arrenderanno, non se ne andranno da soli. Pertanto, li accerchieremo e uccideremo tutti coloro che resisteranno. E loro ci uccideranno il più possibile. È così che va questa guerra. Se mi dispiace per loro? No. Hanno ucciso e ferito i miei amici, vogliono uccidermi ogni giorno. Non mi dispiace per loro. Anche se, per la maggior parte, le persone che si oppongono a noi non sono nazisti rabbiosi, ma comuni Hataskraynik che sono stati costretti al massacro con la forza.Ma se si guarda tutto nella sua interezza, sono stati loro a portare l’Ucraina allo stato attuale. Quella stessa maggioranza silenziosa a cui non importa nulla di Bandera, dei russi o degli Stati Uniti – finché la loro fattoria, il loro asilo, i loro maiali non vengono toccati, finché non finiscono la vodka e il lardo, e almeno l’erba non cresce. Non si sono preoccupati del Maidan, dei bombardamenti su Donetsk e Lugansk, del genocidio della popolazione russa, degli omicidi di bambini, donne e anziani, delle torture di Azov, dei divieti linguistici, della scissione della fede… E poi si è scoperto che non potevano sopportare che si prendesse un mitra e si morisse per gli interessi e gli obiettivi della NATO. E allora ci hanno odiato, con un odio feroce e terribile. Perché il loro piccolo mondo contadino è crollato. Perché questa guerra gli ricorda ogni giorno la loro codardia, la loro debolezza e il loro silenzio. E nella loro rabbia ci incolpano di tutto, perché hanno paura di guardarsi allo specchio e di porsi domande scomode.E noi, naturalmente, vinceremo. Lo sappiamo. E loro lo sanno. Il mio nominativo è Leader! La vittoria sarà nostra! PS. Frequenza 149.200, chiamate Volga, rimarrete vivi. Altrimenti, verremo a uccidere tutti quelli che hanno armi in mano.
Soprattutto conferma che la ferrovia è sotto il controllo del fuoco e che anche la “strada attraverso Lastochkino” è sotto il controllo del fuoco. Questa è l’unica e sola via di rifornimento principale che abbiamo visto in tante mappe:
Un analista ha scritto un approfondimento dettagliato sulle rotte di rifornimento effettive e su ciò che ci si può aspettare: vi invitiamo a leggerlo qui.
Egli evidenzia quanto segue: l’arancione è la via di approvvigionamento principale, mentre il marrone sono le vie secondarie:
Come si può vedere, la MSR arancione proveniente dalla parte settentrionale di Avdeevka verso Lastochkino è l’unica MSR accessibile. Si tratta di una strada asfaltata che può muovere attrezzature molto più pesanti e non è influenzata dalle condizioni atmosferiche, cioè dal fango e dalla melma.
Le linee marroni rappresentano piccole strade sterrate che possono essere utilizzate per alcune cose, ma che, soprattutto con il tempo umido e paludoso di questi giorni, potrebbero essere impraticabili.
Ma uno sviluppo chiave che ho notato è che molti dei principali account ucraini stanno diventando assolutamente esasperati e stanchi dei troppo ottimistici cheerleader filo-ucraini, che continuano a sputare affermazioni infondate sulle perdite russe e sulla “facile” vittoria dell’Ucraina ad Avdeevka, ecc.
Ecco uno di questi lunghi post della NAFO, che censura i bot della NAFO per il loro costante ed estenuante flusso di positivismo non utile. Anche grandi nomi come l’ufficiale di riserva dell’AFU Tatarigami ne sono stufi. Qui sottolinea la minaccia molto concreta di un taglio dell’MSR di Avdeevka:
Un altro bot NAFO sottolinea l’importanza di Avdeevka, che a suo avviso è persino superiore a quella di Bakhmut:
Questo evidenzia un aspetto che viene ripreso da altri analisti, come Russell Bentley qui:
“Avdeevka è una posizione molto strategica: quando cadrà, l’intero fronte del Donbass si frantumerà come un vetro”.
Il motivo per cui sottolineo questo aspetto è che una cosa che va notata è quanto sarebbe significativa anche psicologicamente la caduta di Avdeevka in questo momento cruciale. Ricordiamo che, dopo l’enorme fallimento della controffensiva estiva, Zelensky è ora alle corde. Il sostegno ucraino sta calando pesantemente in tutto il mondo, in particolare con il riscaldamento della situazione israeliana. Anche il sostegno di Zelensky è in forte calo: un nuovo sondaggio ha mostrato che i cittadini ucraini non lo sostengono più, anche se continuano a mostrare un forte sostegno per l’esercito dell’AFU in generale.
Con le elezioni potenzialmente alle porte e con altri punti di inflessione chiave per il sostegno all’Ucraina, come la situazione alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, la decisione di concedere nuovi aiuti, eccetera, questo è un momento estremamente critico per l’Ucraina. La gestione della percezione è ai massimi livelli e l’Ucraina non può rischiare nemmeno il minimo degrado della sua percezione.
Un’altra sconfitta sarà un duro colpo che dimostrerà al pubblico occidentale che non vale più la pena di sostenere finanziariamente l’Ucraina, perché a questo punto qualsiasi vittoria a lungo auspicata è semplicemente impossibile.
Ecco perché ritengo che la caduta di Avdeevka potrebbe essere un importante colpo di scena che detterà l’intera fase successiva dell’SMO, potenzialmente in modo catastrofico per l’Ucraina in generale.
E la leadership ucraina lo riconosce, ed è per questo che ci sono ripetuti rapporti sul fatto che Zelensky sta facendo “tutto il possibile” per inviare rinforzi lì. Un rapporto dice che la guarnigione di Avdeevka sarà immediatamente aumentata da circa 8-10 mila uomini a più di 30 mila. Si tratterebbe di un impegno di truppe ai livelli di Bakhmut. Ma il problema è che l’AFU è già in una situazione molto più pericolosa qui che a Bakhmut.
Il motivo è che Bakhmut aveva due solidi MSR, rappresentati in giallo qui sotto:
Con alcune vie secondarie più decenti in verde.Le forze russe hanno impiegato molto tempo prima di ottenere un controllo affidabile del fuoco su una di queste. Ma Avdeevka, con il suo unico MSR affidabile, è già in uno stato molto più problematico di quanto lo fosse persino Bakhmut verso il suo ultimo mese, ed è per questo che Avdeevka assomiglia molto di più a Debaltseve, che non è durata a lungo.
Penso che Avdeevka possa durare molto più a lungo semplicemente per il modo in cui è fortificata e sostenuta da strutture sotterranee, ma finirà comunque per trasformarsi in un terribile bagno di sangue per l’AFU.
Un ultimo reportage dal fronte che sottolinea alcuni di questi problemi logistici e come le linee logistiche russe siano molto più corte e gestibili:
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Altrove, la Russia sta avanzando praticamente su tutti i fronti. Questo include la ripresa di territori a Zaporopzhye, come Verbove e Priyutne a est. L’unica area in cui l’AFU continua ad avere qualche piccolo successo è quella di Klescheyevka, a sud di Bakhmut, in particolare negli ultimi giorni ad Andreevka, dove ha attraversato i binari della ferrovia.
Tuttavia, questo è compensato dalle contro-avance russe a nord-ovest di Bakhmut, nell’area di Berkhovka.
Gli stessi resoconti ucraini hanno riferito di avanzamenti in direzione di Kupyansk:
Continuano a circolare voci di enormi perdite ucraine nella regione generale di Kharkov-Kupyansk, almeno 60-100 morti al giorno. Può non sembrare molto, ma è solo per quel fronte. Se si aggiungono Avdeevka, Rabotino, Bakhmut e Kherson, si arriva a 300-500 morti al giorno, come minimo, se non di più.
Sono scomparsiLa direzione di Kupyan sta rapidamente diventando un “buco nero” per i soldati ucraini. Una volta arrivati, dopo un po’ di tempo smettono di contattarsi – e allora i loro parenti iniziano a bombardare di domande il comando delle loro unità. Il comando non segnala la loro morte – i parenti ricevono semplicemente la secca dicitura “disperso in azione”.
Ogni giorno ci sono nuovi post sulle bacheche interne ucraine sui parenti scomparsi in questa direzione:
In effetti ci sono state sempre più proteste di cittadini. Ne ho postato un video l’ultima volta, ora ce n’è un’altra a Odessa da parte di familiari e mogli di soldati che non hanno avuto una rotazione dall’inizio della SMO:
Il problema della rotazione è confermato da un nuovo post della guarnigione di Avdeevka dell’AFU. Si congratulano con i loro soldati per il loro eroismo, ma nel farlo riconoscono che non sono stati ruotati una volta dall’inizio della guerra:
Il pezzo ruota attorno alla massa di soldati dispersi dell’81a brigata, che si dà il caso stia combattendo a Belgorovka, proprio vicino a Kremennaya, e quindi fa parte del più ampio fronte Kharkov-Kupyansk.
L’unica ammissione interessante nell’articolo è quella che sembra essere il primo riconoscimento pubblico e occidentale dell’enorme quantità di prigionieri ucraini detenuti dalla Russia:
Ricordiamo che quando le fonti russe hanno riportato cifre comprese tra 10 e 19 mila, gli account filo-ucraini hanno riso dell'”assurdità” della cosa, mentre contemporaneamente diversi funzionari ucraini hanno pubblicato video in cui ammettevano che la quantità di prigionieri di guerra russi in loro possesso è così bassa da precludere persino la possibilità di effettuare scambi adeguati, con l’Ucraina che spesso chiede 20 dei suoi per un singolo soldato russo.
Ora abbiamo la prima conferma occidentale “ufficiale” e autorevole che la Russia ne detiene oltre 10.000. Ricordate quanto ho scritto a proposito dei rapporti tra prigionieri di guerra: essi sono proporzionali ad altri tipi di perdite e perdite. Quindi, ora che abbiamo la conferma dell’enorme disparità di prigionieri di guerra tra la Russia e l’Ucraina, possiamo tranquillamente concludere che la disparità di vittime/caduti è altrettanto enorme.
Un’ultima nota:
Continuano ad arrivare notizie di scontri a nord di Kharkov. Se ricordate, Volchansk è l’esatto percorso che ho indicato nell’ultimo articolo come potenziale incursione russa per un secondo fronte. Ora la Russia la sta bombardando:
Questi bombardamenti di “ammorbidimento” spesso precedono qualche tipo di avanzata o incursione. È interessante, viste tutte le voci di un massiccio aumento delle truppe russe in quella zona. Non credo che ci si debba aspettare ancora qualcosa, ma la cosa continua a suscitare qualche perplessità e dovremo tenere d’occhio il settore.
***
Al momento in cui scriviamo, sembra che Israele stia per lanciare la sua invasione di Gaza, anche se sospetto che si tratterà di un altro “raid” piuttosto che di un’invasione vera e propria. Il motivo è che c’è chiaramente ancora molta trepidazione e incertezza da parte degli israeliani e sembra che siano propensi a “testare le acque” prima con alcune manovre di ricognizione e di fuoco nella periferia di Gaza, solo per vedere se possono farcela e quante perdite subiscono.
Al momento ci sono varie notizie secondo cui le truppe israeliane hanno già subito perdite – ho visto almeno una foto di un carro armato Merkava capovolto, ma niente di convincente per ora.
Ciò che è chiaro, tuttavia, è che stanno lanciando l’operazione da nord, in direzione del valico di Erez, con la chiara intenzione di spingere tutti gli abitanti di Gaza verso sud. Questo è ancora una volta supportato da una serie di prove, non ultime le loro stesse dichiarazioni.
Qui il ministro israeliano Israel Katz afferma “li stiamo spostando a sud”:
Israele ha iniziato a distribuire volantini in tutta la zona settentrionale di Gaza che recitano quanto segue:
“Israele ha sganciato volantini sul nord di Gaza: “Avviso urgente! Chiunque scelga di non evacuare dal nord della Striscia di Gaza al sud della Striscia di Gaza può essere identificato come partner di un’organizzazione terroristica.
”
In breve: se non si evacua, si è considerati “terroristi” e si può essere uccisi senza alcuna responsabilità o rimorso, che si tratti di uomini, donne o bambini.
I palestinesi lo sanno bene:
Kit Klarenberg ha svelato il piano giorni fa con il suo nuovo reportage sul piano di pulizia totale di Gaza generato dai thinktank israeliani.:
In un libro bianco pubblicato più di una settimana dopo l’attacco a sorpresa di Hamas contro le basi militari e i kibbutz israeliani, l’Istituto per la Sicurezza Nazionale e la Strategia Sionista ha delineato “un piano per il reinsediamento e la riabilitazione finale in Egitto dell’intera popolazione di Gaza”, basato sulla “opportunità unica e rara di evacuare l’intera Striscia di Gaza” offerta dall’ultimo assalto di Israele all’enclave costiera assediata. Raccomando l’articolo di Kit a chiunque sia interessato ai dettagli di questi dispositivi in corso e pianificati da tempo.
***
Per il momento, tuttavia, la situazione continua a mettere in evidenza le principali carenze di munizioni occidentali, mettendo in rilievo il futuro disastroso dell’Ucraina.
Nuovi rapporti gettano una luce molto inquietante su tutti i presunti massicci aumenti di produzione di armi per l’Ucraina.
Per prima cosa, la Reuters ha riferito che i prezzi della NATO per la produzione di proiettili critici da 155 mm sono saliti da 2000 euro a ben 8000:
Seguito dall’annuncio della tedesca Rheinmetall che i costi di produzione sono saliti alle stelle per lo stesso proiettile:
Come fa il produttore tedesco Rheinmetall a trarre profitto dal conflitto ucraino? Kiev ha bisogno di circa 1,5 milioni di proiettili di artiglieria all’anno, secondo il più grande produttore di armi europeo, Rheinmetall. Rheinmetall ha aumentato il prezzo delle munizioni di calibro 155 mm da 2.000 euro (2.120 dollari) a 3.600 euro (3.816 dollari) al pezzo, secondo il quotidiano Welt Am Sonntag.Rheinmetall ha ricevuto un ulteriore ordine per altri proiettili di artiglieria per l’Ucraina. L’accordo quadro per le munizioni d’artiglieria da 155 mm, concluso a luglio, è valido fino al 2029 e rappresenta un volume d’ordine potenziale lordo di circa 1,2 miliardi di euro.Il produttore di armi tedesco Rheinmetall ha annunciato di aver costituito una joint venture con l’Ucraina.
Poi sono arrivate le notizie ucraine secondo cui l’Europa non è riuscita nemmeno ad avvicinarsi all’impegno di consegnare proiettili all’Ucraina. L’obiettivo era di consegnare 1 milione di proiettili in un anno, e i rapporti affermano che dopo 6 mesi, hanno consegnato solo il 30% del totale, il che significa che sono sulla buona strada per consegnare il 60% del totale.
Ora facciamo un po’ di conti. Il 60% del totale di 1 milione sarebbe 600.000. Tuttavia, tenete presente che personalmente ritengo che il loro ritmo scenderà ulteriormente e che alla fine consegneranno il 40-50%, ma per il momento puntiamo sul 60%. Il precedente frammento di Rheinmetall diceva che l’Ucraina ha bisogno di 1,5 milioni di proiettili all’anno. 1.500.000 / 365 = ~4.100 proiettili al giorno. Quindi, questo è probabilmente un minimo indispensabile, poiché l’Ucraina preferirebbe sparare molto di più – almeno il doppio, se non il triplo.
Sappiamo quindi che l’UE è pronta a consegnare 600.000 proiettili in totale. Sappiamo che gli Stati Uniti hanno attualmente aumentato la loro produzione a 40.000 proiettili al mese, pari a 480.000 all’anno. Insieme, questo darebbe all’Ucraina 1.080.000 proiettili all’anno, il che consentirebbe loro di sparare 1.080.000 / 365 = ~3.000 al giorno.
Ricordiamo che le stime occidentali più basse per la produzione russa sono di 2 milioni all’anno, anche se realisticamente sono di 3,5 – 4,5 milioni all’anno, dato che abbiamo documenti che dimostrano che la Russia produceva tranquillamente 2,5 milioni anche negli anni di lassismo tra le due guerre.
Ma la cosa più importante è che ora è confermato al 100% che la Russia sta ricevendo proiettili da 152 mm dalla Corea del Nord come parte dell’accordo siglato di recente, dato che i proiettili nordcoreani sono già stati registrati in foto sul fronte russo. E la quantità che si dice sia stata acquistata è di oltre 10 milioni.
Possiamo solo supporre che la Corea del Nord continuerà a produrli a un determinato ritmo e che la Russia continuerà a ordinarne altri anche dopo il traguardo dei 10 milioni. La Corea del Nord è una potenza manifatturiera quando si tratta di munizioni di questo tipo e può probabilmente produrre almeno 50-100k al mese, se non molto, molto di più. Il che significa che se la Russia ne produce 3-4 milioni all’anno, la Corea del Nord può probabilmente aggiungerne almeno altri 2-3 milioni se non di più all’anno, senza contare i 10 milioni già in deposito che ora vengono trasportati in Russia sui treni.
L’articolo ucraino che ho appena citato ci dà un’idea di ciò quando cita il ministro degli Esteri della Lituania con l’affermazione che la Corea del Nord ha già fornito più proiettili alla Russia negli ultimi 2 o 3 mesi di quanti l’UE ne abbia dati all’Ucraina negli ultimi 6 mesi:
Citazione: “L’UE ha promesso all’Ucraina 1.000.000 di proiettili di artiglieria. Finora ne abbiamo consegnati solo 300.000. Nel frattempo, la Corea del Nord ne ha consegnati 350.000 alla Russia”.
La notizia è stata ripresa anche da Bloomberg due giorni fa:
Shoigu ha visitato la Corea del Nord alla fine di luglio con una delegazione militare russa, quando si dice che gli accordi finali siano stati definiti e siglati. Ciò significa che il ritmo delle consegne sembra essere di circa 350 mila proiettili ogni 2-3 mesi.
I risultati della visita del leader nordcoreano in Russia stanno emergendo nella sfera pubblica. I proiettili prodotti dalla RPDC sono stati visti in servizio con gli artiglieri russi. Le forniture di munizioni non sono tutto? Il traffico ferroviario tra la Federazione Russa e la RPDC si è intensificato notevolmente. Alla stazione di Tumangan si è accumulato un numero di vagoni senza precedenti: oltre 70 unità, che superano il livello pre-pandemico. Ma gli osservatori occidentali del CSIS hanno notato una caratteristica: i treni sono coperti da teloni. Allo stesso tempo, non vi è alcuna attività corrispondente presso la struttura russa di Khasan – i rifornimenti arrivano dalla RPDC alla Russia. Gli addetti ai lavori riferiscono che nei prossimi mesi saranno avviati undici nuovi impianti di assemblaggio rapido nella Federazione Russa insieme alla RPDC. La capacità aggiuntiva sarà utilizzata per produrre proiettili richiesti – munizioni da 155 mm, missili per MLRS e obici per cannoni semoventi.
Inoltre, Shoigu ha recentemente visitato le aziende russe produttrici di proiettili da 152 mm e ha annunciato un nuovo regime di abbassamento di varie soglie per aumentare notevolmente la produzione:
Shoigu ha dichiarato che le imprese del complesso militare-industriale sono state autorizzate a utilizzare tutte le riserve e le capacità di mobilitazione disponibili per aumentare la produzione di sistemi di artiglieria. Nell’interesse della crescita della produzione, sono state semplificate le procedure per la stipula dei contratti con le imprese, sono stati abbassati i requisiti per i componenti e sono stati accorciati i tempi di collaudo, pur mantenendo la qualità richiesta.
Ma questo non è ancora il colpo più duro di tutti. Questa settimana è stato pubblicato un rapporto di Matt Stoller che getta una luce molto pessimistica sulle capacità produttive degli Stati Uniti e sulle speranze di riuscire a “rampare” la produzione di gusci:
BIG di Matt Stoller
Perché l’America è a corto di munizioni? Benvenuti a BIG, una newsletter sulla politica del potere monopolistico. Se siete già iscritti, bene! Se invece volete iscrivervi e ricevere i numeri via e-mail, potete farlo qui. Oggi, mentre gli Stati Uniti sono coinvolti nelle guerre in Israele e Ucraina e nella difesa dell’ormai pacifica Taiwan, scrivo di guerra. Non sulle scelte politiche, né sul fatto che le forze armate statunitensi … Leggi tutto
7 giorni fa – 408 mi piace – 36 commenti – Matt Stoller
Consiglio a tutti di leggere il pezzo molto dettagliato. Tuttavia, prenderò da questo buon thread di Twitter sull’articolo che riassume i punti migliori:
Per quanto si possa pensare che la situazione con gli Stati Uniti e le munizioni chiave per gli Stati Uniti, Israele e l’Ucraina sia grave… in realtà è peggio. Molto peggio. Le valutazioni delle azioni hanno la meglio sulla difesa nazionale. Non ci si avvicina nemmeno. Come viene analizzato nell’analisi linkata – che vale la pena di leggere – nei giorni grassi e felici successivi alla caduta dell’Unione Sovietica, il Pentagono e il governo degli Stati Uniti hanno permesso a Wall Street e alle pratiche di Wall Street di prendere il controllo della produzione della difesa. Non è che gli Stati Uniti abbiano intenzione di combattere di nuovo una guerra tra pari, giusto? Nel frattempo, i soldi parlano. Wall Street non massimizza la ricchezza massimizzando la produzione economica, o la qualità, o l’innovazione, o uno qualsiasi di questi fattori pittoreschi. I veri soldi si fanno con gli oligopoli e la costruzione di “fossati”. Limitare la concorrenza. Ridurre la concorrenza a uno o due grandi operatori. Creare un “fossato” che impedisca l’ingresso di nuovi concorrenti. Quindi, si sfruttano i clienti per creare un flusso di cassa elevato e crescente, che non si arresta mai, a causa della mancanza di concorrenzaPurtroppo, se il cliente è la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, significa che siamo tutti in pessime condizioni – come lo siamo. Il Pentagono parla di aumentare la produzione di armi. Non l’hanno ancora fatto, nemmeno un anno e mezzo dopo l’invasione dell’Ucraina. È un processo complicato, perché l’aumento della sicurezza nazionale è in conflitto con la massimizzazione del flusso di cassa per Wall Street. Alti profitti significano tagli spietati dei costi. Chiudere tutte le linee di produzione che non hanno un contratto in corso. Non fare alcuno sforzo per mantenere i macchinari o la manodopera – sarebbe uno spreco di denaro. Attraverso prezzi di monopolio o di oligopolio, gli Stati Uniti devono pagare a peso d’oro se devono produrre altre munizioni o missili vitali. E un punto non banale: l’intera industria della difesa statunitense è nelle mani di oligopoli multinazionali. Hanno interessi di difesa in più continenti. Devono considerare tutti i fattori. E il Pentagono e il Congresso, il MIC, non hanno assolutamente alcun problema con questa situazione. Il MIC non è mai stato creato per massimizzare la sicurezza nazionale – che idea pittoresca e ingenua! Se hai fatto questo per tutta la tua carriera, perché tanta fretta di cambiare le cose? Il mondo è in fiamme. Questo è irrilevante dal punto di vista di Wall Street e del MIC. Semplicemente non ha importanza, finché il mondo intero non cambia a causa sua.
In breve, l’economia statunitense è stata parassitata da Wall Street, ed è quasi impossibile essere competitivi o ottenere qualcosa tra le vaste capitalizzazioni e le capitalizzazioni infinite di tutto e le impenetrabili burocrazie che sono sorte come guardiani di questa scienza esoterica.
Ironia della sorte, questa settimana diverse major del MSM hanno notato che il team di Biden sta cercando un grande “rebrand” sugli aiuti all’Ucraina, in particolare ora che la Camera ha un nuovo Presidente e le cose potrebbero potenzialmente andare avanti prima della chiusura di fine anno.
Leggete il sottotitolo qui sopra. Il nuovo cambiamento narrativo consisterà nel sostenere che il proseguimento della guerra in Ucraina sarà una spinta per i posti di lavoro, l’industria manifatturiera e l’economia degli Stati Uniti nel suo complesso.
E come un orologio, non appena questo cambiamento narrativo è stato intuito, le teste parlanti di Capitol Hill hanno già iniziato a monotonizzarlo, come Mitch the Glitch McConnell qui:
L’articolo di Politico di ieri scrive:
Nel complesso, come si può vedere, le prospettive per l’Ucraina appaiono piuttosto scarse sotto questo aspetto, mentre quelle della Russia appaiono sempre più positive. Tuttavia, dobbiamo ricordare che anche al minimo delle stime, l’Ucraina non sarà mai completamente “a secco” e avrà ancora diverse migliaia di proiettili da sparare quotidianamente.
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Passando all’ultima sezione, e discostandoci dal tema delle granate, una cosa che va notata è che c’è stata un’ondata di distruzioni di sistemi di artiglieria ucraini senza precedenti. La scorsa settimana, nel giro di pochi giorni, sono stati distrutti qualcosa come 5-7 Krab polacchi, 7-10 M777 e 4-5 Caesar francesi, oltre a vari altri sistemi come un Dana ceco e molti sistemi sovietici. La maggior parte di questi sono stati anche verificati in video.
Non sono sicuro di cosa sia cambiato esattamente, ma l’artiglieria ucraina si sta rapidamente estinguendo, a questo ritmo, ed è qualcosa che non sentirete mai da parte ucraina, perché una delle loro narrazioni più sacre è che stanno “vincendo la guerra dell’artiglieria”.
Un potenziale colpevole è che recentemente abbiamo visto una nuova variante del drone Lancet – non solo quelli che ora hanno capacità IR e colpiscono di notte – ma anche un nuovo reticolo di puntamento AI verde che sembra chiaramente tracciare e identificare automaticamente i bersagli.
Lo si vede in una serie di nuovi video, come il seguente, in cui distrugge un veicolo di ingegneria Wisent:
Il punto è che abbiamo appreso da tempo che i Lancet stavano sviluppando una capacità di intelligenza artificiale, ma non c’erano dati concreti sulla diffusione di queste opzioni/varianti più avanzate. E sebbene non ci siano ancora prove concrete, possiamo solo ipotizzare che forse questo sta consentendo l’identificazione automatica di sistemi di artiglieria più nascosti, il che sta causando un’enorme impennata nel dominio russo della contro-batteria contro l’AFU.
Nel frattempo, l’HIMARS è scomparso di nuovo, così come lo Storm Shadow/Scalp. A Lugansk sono stati ritrovati degli ATACMS e la Russia ha dichiarato per la prima volta di averne distrutti 2, ma senza alcuna prova. Il proiettile ritrovato sembra essere l’elemento che si separa per rilasciare le munizioni a grappolo.
I resoconti ucraini affermano che l’ATACMS ha colpito diversi sistemi S-400 a Lugansk, senza alcuna prova. In realtà, uno stimato esperto NAFO – uno di quelli che è stato esasperato dalle continue falsificazioni ed esagerazioni dei suoi stessi compatrioti – ha smentito il tutto affermando che non ci sono prove per queste affermazioni:
Dopo ogni altro colpo o quasi colpo su sistemi russi di qualsiasi tipo, una foto satellitare BDA è di solito ampiamente dispersa. In questo caso non c’è nulla del genere. In realtà, si dice che la rivendicazione della “distruzione degli S-400” sia stata fatta dal canale Telegram screditato e filo-ucraino VChK-OGPU, che è noto come una sorta di Perez Hilton o “TMZ” del conflitto ucraino, in quanto non pubblica altro che voci assurde, dicerie, eccetera, che in rare occasioni possono rivelarsi vere.
In definitiva, si tratta di un risultato piuttosto scarso per il decantato ATACMS. Sono già passate diverse settimane, o addirittura mesi, in Ucraina, e non hanno ancora raggiunto lo status di “game changer”. Infatti, un nuovo articolo del famigerato Galeotti critica l’idea che l’ATACMS sia una sorta di wunderwaffe:
Nell’articolo ammette persino che la maggior parte degli ATACMS sono stati abbattuti nell’attacco di Berdiansk.:
Conclude che la guerra sarà una dura e sanguinosa battaglia che dipenderà dalla produzione di munizioni e materiali di consumo, esattamente dove l’Occidente ha già fallito.
Ora che l’ATACMS si è dimostrato mediocre, si comincia già a parlare della “prossima grande cosa”, in questo caso il vantato missile da crociera stealth JASSM degli Stati Uniti:
“Basterebbero pochi JASSM per distruggere il ponte di Kerch”, si legge nell’articolo. Certo, questo sarà sicuramente sufficiente!
La Lockheed, si dice, potrebbe un giorno produrre “500 JASSM all’anno. (se aumentasse la produzione)”. Si tratta di ben 40 al mese, o 10 alla settimana, sufficienti per sparare circa uno al giorno. Un gioco che cambia le carte in tavola.
Il vero cambiamento di gioco sono le numerose armi russe producibili in serie. La bomba a collisione FAB-500M62 UMPK “ortodossa JDAM”, ad esempio, ha ora svelato per la prima volta una nuova capacità: la guida televisiva terminale:
Un’altra novità: alla luce di tutti gli stermini ucraini di artiglieria in corso, la Russia ha ora completamente lanciato e iniziato a fornire alle truppe il suo ultimo obice semovente 2S43 Malva da 152 mm, una sorta di analogo del Caesar francese:
Senza contare che la Russia ha appena lanciato una nuova serie di satelliti militari dal cosmodromo di Plesetsk, vicino ad Arkhangelsk.:
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Le Forze Aerospaziali hanno lanciato il veicolo di lancio Soyuz-2.1b dal cosmodromo di Plesetsk. Il 27 ottobre 2023, dal cosmodromo di Plesetsk (regione di Arkhangelsk), l’equipaggio di combattimento delle Forze spaziali delle Forze aerospaziali ha lanciato il veicolo di lancio di classe media Soyuz-2.1b. 2.1b” con navicelle spaziali nell’interesse del Ministero della Difesa russo.
Oltre a tutti questi progressi e all’aumento della produzione, Radio Liberty ha pubblicato un rapporto “preoccupante” che descrive come la Russia stia aprendo una serie di nuovi enormi complessi industriali in tutto il Paese per la produzione di armi:
Radio Liberty della CIA pubblica immagini satellitari di fabbriche militari in costruzione e in espansione in Russia
Il ramo ucraino di una risorsa nemica ha pubblicato materiale basato su dati di ricognizione satellitare.Nuove infrastrutture sono state create in fabbriche in tutto il Paese, dalla regione di Mosca alla Siberia, compresa la produzione e la riparazione di aerei militari, UAV e missili.
Infine, Medvedev ha fornito un aggiornamento sui dati relativi agli arruolamenti in Russia. Siamo ora a 385.000 per l’anno, su un obiettivo di circa 420.000 per la fine dell’anno. 1.600 continuano ad arruolarsi ogni mese, e Medvedev fornisce ulteriori dettagli sui nuovi corpi d’armata, le divisioni, i reggimenti, ecc. che saranno formati come deterrente contro i recenti accumuli della NATO.:
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