Covid e Vaccini! Il coraggio e il prezzo della verità Con la professoressa Ute Kruger e Max Bonelli

La gestione della recente pandemia ha avuto i suoi eroi, ha mietuto le proprie vittime illustri. Non c’è stata, però, alcuna consacrazione semplicemente perché eroi e vittime si trovano dalla parte di coloro che hanno contestato quella conduzione; ancora gli artefici tentano di coprire con il velo dell’omertà e della rimozione l’intricata rete di interessi, connivenze ed intenti manipolatori che ha guidato quelle scelte. E’ stato il primo tentativo manifesto e ostentato di manipolazione e conculcamento di una opinione pubblica negli ultimi decenni, seguito a ruota dall’evento bellico in Ucraina. Ha reso evidente la potenza, la pervasività dei mezzi a disposizione di queste élites dominanti, ma anche i limiti della loro capacità di penetrazione nel tempo. Il tempo, però, è il fattore chiave; è nell’immediato che tali comportamenti spianano la strada alle corrispondenti scelte politiche; è nell’immediato che l’esperienza deve educare a tempi e modi di reazione adeguati e tempestivi. Nel tempo lungo gli effetti sono più subdoli, ma ingenerano anche un sentimento di diffidenza direttamente proporzionale al contrasto della narrazione rispetto alla realtà che si vuole soffocare. La vicenda della professoressa Kruger rappresenta un caso emblematico. Ne avevamo già discusso in due registrazioni; offriamo adesso una testimonianza diretta che ci farà toccare con mano la crudezza della realtà. Non è purtroppo un caso isolato, in Svezia come altrove. https://www.gospanews.net/2024/06/07/scandalo-sul-turbo-cancro-da-vaccini-nellue-universita-di-stoccolma-costringe-accademici-a-ritirare-studio-shock-sui-danni-mrna/ Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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LA GUERRA IN UCRAINA, SINTOMO DI UN OCCIDENTE MALATO, di YANN MARQUAND

LA GUERRA IN UCRAINA, SINTOMO DI UN OCCIDENTE MALATO

YANN MARQUAND

Laureato in filosofia e storia (Sorbona). Documentarista e insegnante

Alcuni osservatori hanno accolto e continuano ad accogliere con favore la condanna (quasi) universale dell’aggressione russa nella risoluzione delle Nazioni Unite del 2 marzo 2022. La Russia sembrerebbe essere sola, con 5 voti di scarto e 35 astensioni contro 141 Stati a favore della risoluzione su un totale di 193 membri. Ma la realtà politica non è chiaramente in questo voto non vincolante dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Al di là dei simboli e delle belle intenzioni che ci lasciano sospesi nell’etere inebriante della superficialità, la realtà vera, dura e spigolosa deve essere analizzata nelle profondità del materialismo attraverso il prisma delle sanzioni economiche. Qual è dunque la nuova mappa in questo senso? È quella di un Occidente che si ritrova abbastanza solo, accompagnato da Corea del Sud, Singapore, Taiwan e Giappone.

La guerra economica, in particolare l’esclusione delle banche russe dalla piattaforma di messaggistica finanziaria SWIFT, su istigazione degli Stati Uniti e con Eurolandia al seguito, aveva l’obiettivo di inchiodare la Russia e di ridurla a uno Stato fantoccio. Questa intenzione, sfacciatamente dichiarata subito dopo l’invasione russa, tra gli altri, dai ministri francesi Jean-Yves Le Drian e Bruno Lemaire, ci sembrava allora più una questione di entusiastico guerrafondaio che di realismo economico. Come potevamo immaginare che il Paese più grande del mondo (9 fusi orari), traboccante di risorse internazionali essenziali (grano, fertilizzanti, uranio arricchito, petrolio, gas), che vanta tecnologie nucleari, militari e spaziali all’avanguardia che vengono esportate, che è sotto sanzioni dal 2014 e quindi preparato a un loro eventuale inasprimento, si sarebbe trovato asfittico, incapace di commerciare con il resto del mondo? Al contrario, come non immaginare che tali sanzioni non accelerino un movimento fondamentale in atto da un buon decennio, la creazione di un sistema finanziario alternativo che sfugga alla dollarizzazione del sistema finanziario internazionale?

Come nota Alexis Collomb: “Sulla scia delle minacce del 2014 dopo l’invasione della Crimea, Mosca ha lanciato un sistema di trasferimento di messaggi finanziari (SPFS) e ha preso provvedimenti per affermare ulteriormente la propria autonomia finanziaria. Nel settore delle carte di pagamento, dopo il congelamento dell’uso delle reti Visa e Mastercard sul territorio russo, è stata creata la carta di credito Mir”. 1] L’autore continua: “Le sanzioni volte a escludere la maggior parte delle principali banche internazionali russe da SWIFT fanno parte di una strategia per isolare la Russia economicamente, finanziariamente e tecnologicamente dal mondo occidentale. Dovrebbero contribuire a creare una “cortina di ferro finanziaria”, non tra la Russia e il resto del mondo, ma tra la Russia e l’Occidente”[2].

Quindi non sarà tanto la Russia a soffrire di questo tentativo di isolamento, quanto l’Europa a soffrire della sua stessa politica. Dopo la crisi dei subprime del 2008, la crisi sanitaria del 2020 e infine le sanzioni sull’energia russa, l’approccio “whatever it takes” di Giove rischia di rivelarsi davvero molto costoso e l’Europa si prepara a un futuro molto cupo. Jean de Gliniasty aggiunge: “Con il mercato russo, l’Unione europea perde un’importante area di sviluppo economico per i decenni a venire . La sua crescita e la sua prosperità probabilmente ne risentiranno” [3] Le previsioni del FMI sono a favore della Russia per il 2024. Le economie europee sembrano essere arrivate al capolinea: aumentare i tassi di interesse di riferimento per frenare l’inflazione significa rendere insostenibile il debito nazionale; iniettare ulteriori aiuti significa alimentare esplosioni inflazionistiche. Quale potrebbe essere la nuova risposta in una situazione del genere? Quali nuove sorprese ci riservano i commissari di Eurolandia e gli altri tecnocrati?

Come sottolinea giustamente George-Henri Soutou[4], l’Europa è diventata fondamentalmente dipendente dagli Stati Uniti per la sua sicurezza militare e, dagli anni 2000[5], dalla Russia per la sua sicurezza energetica. Sul fronte militare, come abbiamo visto, questa alienazione europea è iniziata con la fondazione della NATO (1949), richiesta a gran voce dall’Europa occidentale. Hubert Védrine, in visita al Club 44 di La Chaux-de-Fonds, in Svizzera[6], conferma questo persistente desiderio europeo, soprattutto tra i nuovi arrivati dall’Est, di essere sotto la protezione americana. E se le recenti decisioni di aumentare i bilanci militari continentali smentiscono in misura molto limitata questa tesi, George-Henri Soutou sostiene che “nonostante i 100 miliardi di euro iniettati quest’anno, il riarmo tedesco richiederà molto tempo per concretizzarsi, così come quello degli altri Paesi europei, che si sono ampiamente smilitarizzati dopo la fine della Guerra Fredda “.”7] Nel frattempo, quindi, l’Europa ha scelto Washington che, nel tentativo di spezzare la dipendenza dell’Europa dal gas russo, sta avviando sanzioni radicali con la zelante approvazione della Commissione europea, sacrificando così la sua capacità industriale e quindi la sua economia. Questo ci porta ragionevolmente a credere, in linea con la tesi di Seymour Hersh, che dietro il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e 2 ci siano gli Stati Uniti. Ovviamente, questo tipo di ipotesi, che deve essere taciuta, è destinata a scontentare alcune cancellerie europee – in particolare la Germania – che si troverebbero fondamentalmente ingannate dal loro “protettore”. Un “protettore” che può vantare un’operazione redditizia. A questo proposito, Hélène Richard riporta le osservazioni del ministro Le Maire: “Il conflitto in Ucraina non deve tradursi in un dominio economico americano e in un indebolimento dell’Unione”, sembra aver scoperto tardivamente il ministro dell‘Economia Bruno Le Maire davanti all’Assemblea nazionale. Non possiamo accettare che il nostro partner americano venda il suo GNL a un prezzo quattro volte superiore a quello a cui lo vende ai suoi produttori” [8].

In questo malessere diplomatico che circonda il sabotaggio dei gasdotti, dove nessuno si lascia ingannare ma tutti tacciono, l’8 marzo 2023 le indagini, ancora in corso, hanno dato un accenno poco serio al coinvolgimento ucraino, subito respinto dal governo di Kiev. A proposito del gas russo, non dimentichiamo la forte opposizione già espressa da Obama e ribadita dal suo successore Trump, che ha minacciato di imporre sanzioni alla Germania. Secondo la corrispondente Johanna Luyssen[9], Trump ha accusato “la Germania di essere ‘completamente controllata dalla Russia’”, usando addirittura il termine “prigioniera”. La Germania, ha detto, “paga miliardi di dollari alla Russia per le sue forniture energetiche e noi dobbiamo pagare per proteggerla dalla Russia. Come si spiega questo? Non è giusto“. Dobbiamo anche ricordare che Trump voleva disimpegnare gli Stati Uniti dalla NATO o almeno “condividere il peso” di questa organizzazione “obsoleta” in modo più efficace. Questa crisi ci è valsa la diagnosi realistica di Macron il 7 novembre 2019 in un’intervista a The Economist“Non c’è coordinamento della decisione strategica degli Stati Uniti con i partner della NATO e stiamo assistendo all’aggressione guidata da un altro partner della NATO, la Turchia, in un’area in cui sono in gioco i nostri interessi, senza coordinamento”. Macron si riferisce alle Forze Democratiche Siriane, a maggioranza curda, che costituivano un’autentica forza di resistenza contro Daesh e che tuttavia sono state abbandonate dagli Stati Uniti di Trump nel 2018 e congiuntamente attaccate unilateralmente dalla Turchia di Erdogan. Inoltre, cosa succede all’articolo 5 in una situazione del genere, se la Siria dovesse fare una rappresaglia contro la Turchia? Questo è ciò che ha portato Macron a parlare di “morte cerebrale della NATO”. In questa prospettiva, il Presidente francese chiede una “Europa della difesa” e vuole riaprire “un dialogo strategico” con la Russia. Ha chiesto che l’Europa “si svegli, prenda coscienza di questa situazione e decida di affrontarla”, altrimenti “c’è il grande rischio che, a lungo termine, scompariremo geopoliticamente, o comunque che non saremo più padroni del nostro destino”.

Le decisioni prese di recente sono in contrasto con questo desiderio: rinunciare al gas russo e rimanere asserviti al padrino americano, “a qualunque costo”. L’articolo di George-Henri Soutou, “La grande rottura”[10], fornisce un’analisi che ci sembra di buon senso e conferma molte delle nostre ipotesi. Queste poche righe riassumono perfettamente l’attuale squilibrio: “Alcuni hanno previsto un rapido collasso economico della Russia. Tuttavia, è l’Occidente, e l’Europa in particolare, che è entrato in una crisi (inflazione e carenza di materie prime) in gran parte causata dalla guerra e dalle sanzioni, ma che è anche un nuovo episodio dello sconvolgimento dell’economia occidentale a cui abbiamo assistito dal 2008, compreso un notevole lassismo da parte delle banche centrali”[11 ]. Il destino dell’Europa sembra essere stato deciso. E seguendo il suo stesso deleterio esempio, si è condannata da sola a breve termine: “L’esito finale del conflitto è ancora imprevedibile, ma in ogni caso l’Unione Europea si troverebbe comunque di fronte a giganteschi problemi energetici ed economici”[12].

Ma gli Stati Uniti non sono da meno. Vediamo questa guerra come un disperato tentativo dei democratici americani, eredi del messianismo neoconservatore, di tenere a galla il loro imperialismo unipolare ereditato dalla fine della Guerra Fredda, un imperialismo già finito e in declino. In questo brutto gioco del doppio o del nulla, gli americani vogliono certamente fare la guerra alla Russia riducendo il suo potenziale economico, destabilizzando il suo potere e creando così una grande crisi politica interna di cui potrebbero raccogliere i frutti. Ma dietro la Russia, è la coppia sino-russa ad essere presa di mira e quindi, in ultima analisi, la Cina. Quello che gli Stati Uniti vogliono evitare a tutti i costi è lo scenario che si sta delineando sotto i nostri occhi, come dice Soutou: “È abbastanza possibile che emerga una nuova costellazione internazionale: un raggruppamento occidentale intorno agli Stati Uniti contro un raggruppamento sotto la guida sino-russa, basato su sistemi politici, economici e di “valori” molto diversi. Questo è più complesso dello slogan occidentale “democrazie contro autocrazie”, che è una semplificazione eccessiva[13 ] L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (2001) e i BRICS (2009) sono chiare manifestazioni del desiderio di riequilibrare le relazioni internazionali e di rompere con l’unilateralismo americano. Va notato che tre attori si sovrappongono in queste due organizzazioni e formano un importante asse geopolitico: Russia, Cina e India.

Questa resistenza americana in extremis è confermata dalla testimonianza di Naftali Bennett, ex primo ministro israeliano e mediatore durante la prima fase del conflitto nel marzo 2022: “Ho avuto l’impressione che entrambi [Russia e Ucraina] volessero un cessate il fuoco”, ha dichiarato durante un’intervista al canale israeliano Channel 12 il 4 febbraio 2023. Le concessioni stavano andando bene: Zelenski era pronto a rinunciare all’adesione dell’Ucraina alla NATO e Putin avrebbe rinunciato alla smilitarizzazione dell’Ucraina. Poi l’Occidente, soprattutto Stati Uniti e Regno Unito, ha interrotto i negoziati di pace tra Kiev e Mosca: “Li hanno bloccati e ho pensato che avessero torto “, aggiunge.

Ma nonostante questa implacabile belligeranza da parte dell’Occidente, riteniamo ancora una volta che il punto di svolta sia già stato raggiunto e che il sintomo più significativo di questo nuovo mondo sia la fondamentale messa in discussione della supremazia del dollaro statunitense nel sistema monetario internazionale. Questa diagnosi è confermata dalle parole di Alexis Collomb: “Il dominio del dollaro sul commercio internazionale, basato sulla potenza economica e militare americana, sembra disturbare sempre più, non solo i grandi rivali Cina e Russia, ma anche in Europa, dove l’uso del biglietto verde per scopi politici e l’extraterritorialità delle sanzioni americane sono sempre più messi in discussione “[14].

Il dollaro come valuta di riferimento fu sancito alla conferenza di Bretton Woods del luglio 1944. Ma un altro evento ci sembra ancora più decisivo per l’attuazione di questo imperium della moneta americana. Si tratta del PattoUSS Quincy del 14 febbraio 1945 tra il presidente Roosevelt e il re Ibn Saud. Questo accordo viene spesso riassunto nella frase: petrolio in cambio di protezione. In altre parole, in cambio del monopolio sulla produzione di petrolio in tutta l’Arabia Saudita da parte di Aramco(Arabian American Oil Company), gli Stati Uniti garantivano la protezione della famiglia Saud. In realtà, la garanzia di questo patto va oltre e può essere riassunta in un’altra frase: petrolio in cambio di dollari. Gli Stati Uniti garantivano che il mercato mondiale dell’energia sarebbe stato quotato e denominato in dollari, così come tutto il commercio internazionale, rendendo il dollaro la valuta di riserva universale. L’Accordo di Quincy è stato rinnovato per sessant’anni dall’amministrazione Bush nel 2005.

Questa supremazia del dollaro non è stata messa in discussione dalla decisione del 15 agosto 1971, che ha suonato la campana a morto degli accordi di Bretton Woods, data in cui gli Stati Uniti, nel pieno delle turbolenze del Vietnam, si sono svincolati dalla convertibilità del dollaro in oro, si sono permessi di svalutare la loro moneta e hanno potuto contrarre prestiti a basso costo. Con un gioco di prestigio sillogistico, gli americani si permisero di vivere a credito: il loro debito era in dollari e il dollaro era la valuta internazionale, quindi il loro debito era internazionale. Per questo motivo John Connaly, segretario al Tesoro americano nell’amministrazione Nixon, disse a una delegazione europea: “Il dollaro è la nostra moneta, ma è un vostro problema “. Eppure questo debito è cresciuto costantemente negli anni fino a raggiungere livelli stratosferici, trasformando gradualmente questo strumento economico in una moneta scimmiottata, pur rimanendo la valuta di riferimento. L’articolo di Myret Zaky[15 ], pubblicato nel febbraio 2004, fa riferimento alla volontà dell’OPEC di sfidare un dollaro svalutato a favore della nuova moneta europea. Nell’ottobre 2000, Saddam Hussein ha annunciato di voler fatturare il suo petrolio in euro. Tuttavia, come sottolinea Myret Zaky, se, come ritiene William Clark della John Hopkins University, l’intervento americano del 2003 deve essere interpretato come una continuazione di questa decisione del presidente iracheno – che pagherà con la vita – possiamo ipotizzare che questo intervento avesse anche lo scopo di calmare l’ardore indipendentista dell’OPEC. Allo stesso modo, nel 2009, Gheddafi voleva creare una moneta panafricana per sostituire il dollaro, il dinaro d’oro, utilizzato per denominare le transazioni petrolifere. L’intervento della NATO nel 2011 dovrebbe essere visto come una continuazione di questo desiderio? Alain Chouet[16 ], ad esempio, elenca i vari Paesi produttori di petrolio che hanno cercato di ritirarsi dal dollaro, ma che hanno incontrato grossi problemi con gli americani: Venezuela, Nigeria, Angola, Iran e, naturalmente, Iraq, Libia e anche Russia. Non è una buona idea attaccare il dollaro americano che, come dice Alexis Collomb, consolida il suo dominio con la sua potenza militare.

Tuttavia, a dimostrazione che i tempi stanno cambiando, il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salmane (MBS) sta prendendo chiaramente le distanze dal padrino americano dopo 80 anni di stretta collaborazione, nonostante la crisi del 1973. Biden non ha usato mezzi termini durante la sua campagna presidenziale, promettendo di trattare MBS come un “paria”. Il principe è infatti sospettato dall’intelligence statunitense di essere il mandante dell’omicidio e dello smembramento di Khashoggi nell’ottobre 2018 presso il consolato del Regno a Istanbul. Ma a ben vedere, dopo l’evento del 24 febbraio 2022 che ci riguarda, il nuovo inquilino della Casa Bianca è pronto a liberarsi del suo moralismo e a cambiare casacca per convincere MBS ad attaccare le finanze russe, la sua rendita di idrocarburi, tanto più che la Russia è un partner OPEC+. Tuttavia, secondo un articolo del Wall Street Journal dell’8 marzo 2022, MBS e il suo vicino Mohammed ben Zayed (MBZ), Presidente degli Emirati Arabi Uniti, non si sono degnati di rispondere agli appelli del Presidente Biden. Imperterrito, il vecchio Presidente ha preso il suo bastone da pellegrino ed è volato a Riyadh a metà luglio, non senza critiche da parte della stampa americana e del suo stesso campo. Va sottolineato che, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali di metà mandato, i prezzi del petrolio erano ai massimi e l’obiettivo era quello di convincere MBS ad aumentare la produzione per ridurre la pressione inflazionistica che gravava sul popolo americano. Non funzionò nulla. Il giovane principe ha fatto quello che voleva e il 5 ottobre, in occasione di un vertice dell’OPEC, ha concordato con Putin un taglio della produzione di 2 milioni di barili al giorno, che ha mantenuto alti i prezzi e favorito le casse del Cremlino. Il 12 ottobre, alla CNN, il vecchio si è infuriato: “Ci saranno conseguenze per quello che hanno fatto con la Russia “. Il 4 dicembre, visto l’andamento dei prezzi del petrolio, i membri dell’OPEC+ hanno confermato la loro decisione e hanno mantenuto le loro quote. Come misura di ritorsione, il governo degli Stati Uniti ha concesso al principe l’immunità dai procedimenti giudiziari a causa della sua posizione. Infatti, alla fine di settembre, per decreto reale, MBS è stato nominato Primo Ministro. La denuncia presentata contro di lui negli Stati Uniti per il presunto omicidio di Khashoggi è stata archiviata.

Ma il giovane piantagrane saudita non si ferma qui. Il 15 marzo 2022 il Wall Street Journal ha riportato la notizia che l’Arabia Saudita stava conducendo colloqui con la Cina per commerciare il petrolio in yuan. Il 17 gennaio 2023, in occasione del Forum di Davos, il ministro delle Finanze Mohammed Al-Jadaan ha dichiarato ai media Bloomberg che il Regno è pronto a commerciare in valute diverse dal dollaro. C’è stato un tempo, non molto lontano, in cui un simile affronto avrebbe potuto finire nel sangue, o almeno essere severamente rimproverato. Ma i tempi stanno cambiando e gli Stati Uniti non godono più della stessa impunità. Qual è dunque il senso delle minacce di Biden? Quali conseguenze potrebbe avere in serbo per MBS e l’Arabia Saudita?

Questo riequilibrio delle forze geopolitiche, che sta gradualmente mettendo un freno all’arroganza statunitense, è previsto da Alexis Collomb in relazione al sistema SWIFT: “In un mondo sempre più conflittuale, con una crescente ‘regionalizzazione’, alla fine dovremmo avere altrettante grandi infrastrutture di messaggistica finanziaria e di pagamento interbancario come zone di influenza, che possono essere interoperabili ma sono autonome nella loro sfera geopolitica. Con il conflitto in Ucraina e la riconfigurazione degli scambi commerciali della Russia con la Cina, l’India e altri partner asiatici e africani, lo sviluppo di alternative regionali a SWIFT sembra inevitabile, insieme a un riequilibrio del sistema finanziario globale “[17 ] Quanto detto sul sistema di transazioni internazionali può essere detto anche sui mezzi di scambio: le valute.

Così, cercando di staccare la Russia dal sistema finanziario internazionale per prosciugarne le capacità economiche e militari, l’Occidente è riuscito a saldare il resto del mondo attorno alla Russia e ad accelerare il proprio declino, con conseguenze indubbiamente molto gravi ma difficili da misurare. Se vuole ancora esistere, l’Europa dovrà ripensare radicalmente la propria strategia politica, militare ed economica, prendendo le distanze dagli Stati Uniti. Le prossime elezioni presidenziali americane, con una vittoria repubblicana, potrebbero rappresentare un’opportunità per dare il via a questo processo.

Per quanto riguarda il dollaro universale, cosa possiamo dire? L’economia è una questione di fiducia. Certo, la moneta americana si basa su un’economia ancora oggi reattiva e su un esercito potente. Ma l’astronomico indebitamento del suo Tesoro ha sfruttato in modo sconsiderato l’interdipendenza globale della sua moneta. In effetti, la loro moneta è “il nostro problema” e il debito degli Stati Uniti è, in un certo senso, il nostro debito. Ma cosa succederebbe se il dollaro americano subisse una crisi di fiducia? La Cina sembra aver anticipato – o creato – questa situazione per alcuni anni e si è notevolmente disimpegnata vendendo i suoi titoli del Tesoro USA, un debito che viene in particolare riacquistato dalla Federal Reserve statunitense. Il punto più alto di possesso cinese del debito pubblico statunitense è stato nel 2011[18]. Un altro argomento che può essere aggiunto al quadro è che, secondo Alexis Toulon, dopo le sanzioni del 2014, la Russia si è ovviamente avvicinata alla Cina e alle sue linee di credito. E conclude: “Di passaggio, la Cina sta approfittando di queste operazioni per mettere in cortocircuito il dollaro negli scambi commerciali tra i due Paesi e rafforzare la posizione dello yuan come moneta di scambio internazionale “[19] Indebitamento faraonico del Tesoro statunitense, messa in discussione dei petrodollari, perdita della supremazia della moneta statunitense nel commercio internazionale, i segni del movimento altalenante sono evidenti.

Come sottolinea Soutou[20 ]: “Le nuove realtà geopolitiche stanno diventando più chiare: la Cina e la Russia si stanno avvicinando in modo decisivo e dall’Asia all’America Latina, passando per l’Africa e il Medio Oriente, molti Paesi si rifiutano di condannare la Russia” . E aggiunge: “L’ambizione dichiarata di Putin di costruire un sistema internazionale alternativo con la Cina e altri partner non sembra più di per sé irraggiungibile “. Aggiungeremmo che questo scenario sembra inevitabile. In effetti, in due articoli, Émile Bouvier ci mostra, nel contesto della guerra in Ucraina, quanto gli Stati Uniti stiano perdendo terreno in Medio Oriente[21], mentre la Russia sta approfondendo l’influenza iniziata nel 2015 con l’intervento in Siria, per salvaguardare il regime di Bashar al-Assad[22]. Dal 2019, la diplomazia americana è riuscita a incidere profondamente nel tradizionale rapporto di fiducia con questa regione (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania, Libano). La Russia, da parte sua, sta stringendo legami politici ed economici e si sta appropriando di mercati, in particolare quello militare, che erano appannaggio degli americani.

Il riavvicinamento tra Russia e Cina è un fatto ovvio che alcuni osservatori sono stati riluttanti a riconoscere. Eppure ci sono stati molti segnali che indicano che potrebbe avvenire. Durante una videoconferenza del 30 dicembre 2022, Putin e Xi Jinping hanno discusso delle loro relazioni, che il presidente russo ha definito “le migliori della storia”. Propaganda, dicono gli scettici. Tuttavia, al centro di questa propaganda c’è la questione della cooperazione tecnico-militare e di una più stretta interazione tra le forze armate russe e cinesi, settori che occupano un posto speciale in questa cooperazione bilaterale. Si parla anche di coordinare l’azione di Mosca e Pechino nella politica internazionale all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, dei BRICS e del G20. Si osserva inoltre che il volume economico annuale degli affari reciproci ha raggiunto il livello record di 180 miliardi di dollari e che, a questo ritmo, l’obiettivo di 200 miliardi di dollari per il 2024 sarà raggiunto prima del tempo. Poco prima, il 29 novembre 2022, in occasione del Forum d’affari Cina-Russia sull’energia, Xi ha dichiarato che “la Cina è disposta a lavorare con la Russia per forgiare una partnership più stretta nella cooperazione energetica[23 ] e ha sottolineato che, in un contesto internazionale difficile che sta sfidando il mondo, la cooperazione sino-russa è stata rafforzata con una partnership strategica globale che ha portato i due Paesi in una nuova era. In concreto, per quanto riguarda l’energia, nel 2024 inizieranno i lavori per il gasdotto Siberian Force 2, con una capacità di 50 miliardi di metri cubi all’anno, a complemento del primo gasdotto, attivo dal 2019. Il 25 ottobre 2022, il quotidiano Les Echos ha riportato che dall’inizio della guerra in Ucraina, le importazioni cinesi di energia dalla Russia hanno superato i 50 miliardi di dollari. Si parla anche di cooperazione nella costruzione di centrali nucleari in Cina e nella produzione di gas naturale liquefatto nell’Artico russo[24]. L’ultimo evento, la visita di Stato di Xi Jinping in Russia dal 20 al 22 marzo 2024, mette a fuoco la realtà della situazione. In questa occasione, i due presidenti hanno dato prova di un’indiscutibile unità, ed è interessante vedere il loro scambio il 20 marzo e l’allestimento del palco davanti alla stampa. Dietro il protocollo diplomatico, vediamo la natura performativa delle dichiarazioni, in particolare quando Xi si rivolge a Putin: “Signor Presidente, la chiamo sempre mio caro amico “, o ancora: “Sono lieto di venire in Russia in visita ufficiale su suo invito, dopo la mia rielezione a Presidente. Questo è il primo Paese straniero che visito. Ho scelto la Russia “.

Durante la sua visita[25], ha discusso della conclusione degli accordi sul gas, della proposta di pace cinese avanzata il 24 febbraio in merito alla guerra in Ucraina – proposta a cui gli Stati Uniti si rifiutano di dare seguito – della sicurezza e dell’attivismo “preoccupante” dell’Occidente ai confini della Russia e nella regione Asia-Pacifico, della guerra nucleare che “non deve mai essere scatenata”, delle attività militari biologiche condotte dagli Stati Uniti sul proprio territorio e oltre, e del dispiegamento dei propri missili.Nella stessa dichiarazione, la Cina ha parlato di sicurezza e dell’attivismo “preoccupante” dell’Occidente ai confini della Russia e nella regione Asia-Pacifico, della guerra nucleare che “non deve mai essere scatenata”, delle attività militari biologiche degli Stati Uniti sul suo territorio e oltre, e del dispiegamento dei suoi missili in diverse regioni del mondo per “mantenere un vantaggio militare unilaterale”. Ciò fa eco alla dichiarazione rilasciata il 30 gennaio da Mao Ning, portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese: “Se gli Stati Uniti vogliono davvero una rapida fine della crisi e hanno a cuore la vita del popolo ucraino, devono smettere di inviare armi e di approfittare dei combattimenti. Gli Stati Uniti devono agire responsabilmente aiutando a smorzare la situazione il prima possibile e creando l’ambiente e le condizioni necessarie per i colloqui di pace tra le parti interessate “. Infine, e questo ci sembra un punto cruciale, Putin difende lo yuan come moneta di scambio contro il dollaro: “Sosteniamo l’uso dello yuan cinese nei pagamenti tra la Russia e i Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina” [26]. Ha inoltre osservato che due terzi degli scambi commerciali tra Mosca e Pechino avvengono in rubli e yuan, una pratica che dovrebbe essere ulteriormente incoraggiata. Questa affermazione è stata sostenuta il 29 marzo dal vicepresidente della Duma di Stato, Alexander Babakov, secondo il quale è necessario stabilire un nuovo rapporto finanziario tra India, Russia e Cina, non legato al dollaro e all’euro. 27 ] Lo stesso giorno, la compagnia petrolifera russa Rosneft ha firmato un accordo con Indian Oil per aumentare le forniture di petrolio all’India e diversificare le sue qualità. 28]Secondo il Ministero del Commercio indiano, nel 2022 la Russia sarà uno dei cinque principali partner commerciali dell’India, con un volume di scambi tra i due Paesi di 38,4 miliardi di dollari.

 

ROTTURA MULTIPOLARE O NUOVA BIPOLARIZZAZIONE DEL MONDO?

 

Questo tentativo di riflessione ci porta alla questione iniziale della rottura storica del conflitto in Ucraina. Sebbene questa guerra abbia assunto una dimensione spettacolare per il suo carattere internazionale, per la copertura mediatica che ha ricevuto e per le grandi questioni che ha cristallizzato, ci sembra molto delicato affermare che siamo di fronte a una rottura fondamentale che, in un rapporto comparativo, porrebbe questo evento al di sopra di tutti gli altri.

Per avere un quadro più chiaro, proviamo a fare un breve riassunto delle date che ci sembrano decisive e che possono costituire altrettanti momenti di rottura. Innanzitutto, il discorso del Presidente Putin del 10 febbraio 2007 alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco ha rappresentato una svolta intellettuale che ha preannunciato la futura agenda geopolitica della Russia. La “primavera” siriana del 2011 è stata l’occasione per Russia e Cina di opporsi all’interventismo occidentale utilizzando il loro diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In questo episodio vediamo una rottura politica e l’inizio di una sfida all’unipolarismo americano. È la prima volta che gli Stati Uniti affrontano un’opposizione decisiva dalla fine della Guerra Fredda. L’Euromaidan ha fatto precipitare gli eventi e ha portato la Russia ad annettere la Crimea nel 2014, innescando il primo episodio di sanzioni occidentali contro l’economia russa. Per questo motivo, analizziamo questo evento cruciale come una rottura economica che ha spinto la Russia verso il mondo asiatico e, più in generale, verso il mondo non occidentale. Non ci siamo concentrati abbastanza sul 2015. Il 30 settembre, su richiesta di Bashar al-Assad, la Russia è intervenuta militarmente in Siria – che aveva vissuto la propria “primavera araba” – contro i vari eserciti salafiti e i loro sostenitori. – contro i vari eserciti salafiti e soprattutto Daech. Questa operazione russa è riuscita a mantenere Assad al potere, spingendo l’Alleanza Atlantica alla periferia di questa “guerra globale” e bloccando l’azione geopolitica russa in Medio Oriente. A differenza del devastante interventismo dell’Occidente, che ha causato il caos in Iraq (2003) e in Libia (2011), ha favorito l’emergere del mostro Daech con tragiche conseguenze in Siria (2011) e ha portato ad azioni terroristiche in Europa, la Russia è vista come una forza stabilizzatrice, un partner affidabile e non ingerente. Per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda, la Russia interviene oltre il perimetro ex-sovietico, oltre il suo “estero vicino”. – Pensiamo alla guerra di prossimità in Georgia (2008) – e vediamo il 2015 come una rottura militare con il passato. Infine, l’anno 2022 è segnato dall’inizio della guerra in Ucraina, che aggiunge un’altra dimensione a quelle già individuate. A nostro avviso, si tratta fondamentalmente di una rottura finanziaria, poiché sanzionando la Russia per la sua capacità commerciale, l’Occidente sta accelerando la fine dell’egemonia del dollaro.

È vero che il conflitto ucraino sembra essere il culmine di una precedente serie di eventi-rotture. Inoltre, sembra condensare dialetticamente tutti i precedenti momenti di crisi (intellettuale, politica, economica, militare), agendo al contempo come un drammatico acceleratore. Infine, questa rottura finanziaria, o meglio monetaria, ci sembra ancora più profonda delle altre rotture analizzate per il suo carattere irreversibile. Qualunque sia l’esito di questa guerra, l’azzardo di Putin ha già dato i suoi frutti: l’ordine americano e il regno universale della sua moneta sono già stati ampiamente messi in discussione. E non sembra esserci modo di fermare questo movimento fondamentale. Più gli Stati Uniti persevereranno in questa guerra, più il loro credito, già fortemente intaccato, si eroderà, dando luogo a un massiccio disconoscimento e a una crescente ostilità anti-occidentale[29], dato che l’Europa sembra fermamente impegnata in questa politica suicida.

Ma la domanda che sorge spontanea, se c’è una rottura, è quella del dopo. Cosa ci riserva il mondo dopo? Avremo a che fare con un mondo multipolare, come chiedono Russia e Cina, o ci stiamo dirigendo verso una nuova bipolarizzazione con l’Occidente relegato alla periferia del mondo? Per rispondere a questa domanda, vorremmo citare Georges-Henri Soutou: “Per i nostri scopi qui, ciò che è essenziale non è l’esito imprevedibile della guerra in Ucraina, ma la prospettiva di vedere il mondo riorganizzato, sulla scia del conflitto, in due grandi gruppi, un gruppo occidentale intorno a Washington e un gruppo sino-russo. Se la Russia segnerà dei punti, l’Occidente si stringerà ancora di più attorno agli Stati Uniti. Se fallirà, sarà ancora più tentato di rafforzare i suoi legami con la Cina e con altri Paesi insoddisfatti della preminenza occidentale, come l’India “[30].

È sorprendente che il 10 marzo 2023 i due nemici giurati del mondo musulmano, l’Iran e l’Arabia Saudita, abbiano annunciato la ripresa delle loro relazioni diplomatiche, interrotte dal 2016, sotto la discreta sponsorizzazione di Pechino, che da due anni partecipa segretamente ai negoziati. La Cina sta così emergendo come nuovo interlocutore in Medio Oriente, un’area tradizionalmente occupata dagli Stati Uniti, che stanno perdendo terreno anche su questo tema.

Contrariamente a certi timori sul mondo del futuro, timori che giustificano la retorica più bellicosa e semplicistica (“la guerra del mondo democratico contro il mondo autocratico”), riteniamo che il riequilibrio delle forze geopolitiche sia necessario e che alla fine sarà benefico. La sfida non è ovviamente la scomparsa dell’Occidente, ma la sua regionalizzazione. La guerra fredda è forse un buon modello per immaginare il futuro rapporto tra due blocchi. Questo episodio storico, costellato di crisi (Berlino nel 1948 e nel 1961, Cuba nel 1962), è stato fondamentalmente un periodo di stabilizzazione delle relazioni internazionali e geopolitiche. Secondo Soutou,[31 ] prevalse una certa prudenza e questo periodo beneficiò di una dialettica Est-Ovest. Con la fine della Guerra Fredda, il mondo fu preso dall’ebbrezza occidentale della vittoria suprema del 1991 e dal suo delirio universalistico. Per tre decenni, questo folle Occidente è sprofondato in una patologia egoistica, chiuso in se stesso e senza bussola. Vediamo quindi il riequilibrio delle forze che si sta svolgendo sotto i nostri occhi come un rimedio. Poco importa se l’antidoto sarà bipolare o multipolare nel prossimo futuro. Ciò che conta è la presenza di un’alterità forte e rispettata. Essa crea una dialettica assolutamente indispensabile per un buon rapporto con l’Altro e quindi con se stessi. D’ora in poi dovremo fare i conti con questo quartiere.

 

 

 


[1] Collomb, Alexis. “SWIFT: da neutralità ad arma geopolitica”, Politique étrangère, vol. 3, 2022, pp. 46-47.

[2] Ibidem, p. 47

[3] de Gliniasty, Jean. “L’Europa vittima collaterale dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia?”, Revue Défense Nationale, vol. 850, n° 5, 2022, pag. 18.

[4] Soutou, Georges-Henri. “Non, la crisi ucraina non è un ritorno alla guerra fredda, ma è sempre un conflitto Est-Ouest”, Revue Défense Nationale, vol. 849, n° 4, 2022, p. 10.

[5] Grekou, Carl, et al. “La dépendance de l’Europe au gaz russe : état des lieux et perspectives”, Revue d’économie financière, vol. 147, n. 3, 2022, pag. 228.

[6] Védrine, Hubert, “Une remise en cause de la vision occidentale de la mondialisation? Una mondializzazione frammentata”, Club 44, 25 ottobre 2022

[7] Soutou, Georges-Henri. “La grande rottura”, Stratégique, vol. 129, n. 2, 2022, p. 28

[8] Hélène Richard, “Des sanctions à double tranchant”, Le Monde diplomatique, martedì 1 novembre 2022, p.17

[9] https://www.liberation.fr/planete/2019/01/14/gazoduc-nord-stream-2-les-etats-unis-accentuent-la-pression-contre-l-allemagne_1702787/

[10] Soutou, G-H. “La grande rottura”, op. cit. pp. 11-30.

[11] Ibidem, pag. 14

[12] Ibidem, p. 29

[13] Ibidem, p. 28

[14] Collomb, Alexis. “SWIFT: dalla neutralità all’arma geopolitica”, Politique étrangère, vol. 3, 2022, pag. 48.

[15] Zaky, Miret, “Scénario catastrophe américain: et si le pétrole se payait en euros?”, Le Temps, 11 febbraio 2004 https://www.letemps.ch/economie/scenario-catastrophe-americain-petrole-se-payait-euros

[16] Chouet, Alain, “Alain Chouet, 35 anni di DGSE, una punta di diamante?”, Thinkerview, 18 maggio 2022 https://www.thinkerview.com/alain-chouet35-ans-de-dgse-une-pointe-de-diamant/

[17] Collomb, Alexis. “SWIFT: dalla neutralità all’arma geopolitica”, Foreign Policy, vol. 3, 2022, p. 49.

[18] https://www.letemps.ch/economie/finance/chine-japon-se-detournent-dette-americaine

https://www.lemonde.fr/economie/article/2019/05/29/pour-la-chine-l-arme-de-la-dette-americaine-reste-difficile-a-activer_5469079_3234.html

http://french.china.org.cn/foreign/txt/2023-01/20/content_85070117.htm#:~:text=A%20ce%20jour%2C%20la%20Chine,plus%20faible%20depuis%20juin%202010.

[19] Tolone, Alexis. “La Russie mise sur la Chine”, Alternatives Économiques, vol. 342, n. 1, 2015, pag. 44.

[20] Soutou, G-H. “La grande rottura”, op. cit. p. 27.

[21] Bouvier, Émile, “La guerra in Ucraina, rivelatrice dell’influenza crescente di Mosca nel Medio Oriente (1/2): una perdita di velocità notevole degli Stati Uniti nella regione”, Les clés du Moyen-Orient, 18 marzo 2022, https://www.lesclesdumoyenorient.com/La-guerre-en-Ukraine-revelatrice-de-l-influence-croissante-de-Moscou-au-Moyen.html#nh17

[22] Bouvier, Émile, “La guerra in Ucraina, rivelatrice dell’influenza crescente di Mosca nel Moyen-Orient (2/2): una presenza russa protettiva”, Les clés du Moyen-Orient, 18 marzo 2022, https://www.lesclesdumoyenorient.com/La-guerre-en-Ukraine-revelatrice-de-l-influence-croissante-de-Moscou-au-Moyen-3502.html#nh27

[23] http://fr ench.xinhuanet.com/20221129/c62d5b87417242b5b85c3ca71331723d/c.html

[24] https://francais.rt.com/economie/102704-chine-entend-renforcer-son-partenariat-energetique-russie

[25] https://francais.rt.com/international/104968-xi-jinping-moscou-chine-russie

[26] https://francais.rt.com/international/104977-poutine-soutient-dedollarisation-echanges-mondiaux

[27] https://t ass.com/economy/1596017

[28] https://francais.rt.com/economie/105163-rosneft-indian-oil-signent-pour-augmenter-livraisons-brut-russe-inde

[29] Alain Gresh, op. cit.

[30] Soutou, G-H, “La grande rottura”, op. cit. p. 13.

[31] Soutou, G-H, La guerre de cinquante ans, op. cit.

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Salvatore Vassallo e Rinaldo Vignati, Fratelli di Giorgia, a cura di Teodoro Klitsche de la Grange

Salvatore Vassallo e Rinaldo Vignati, Fratelli di Giorgia, Il Mulino, Bologna 2023, pp. 291, € 18,00.

Il saggio di Vassallo e Vignati a partire dagli albori della Repubblica analizza l’evoluzione della destra: dal MSI, passando per AN ed arrivare all’oggi, ossia a Fratelli d’Italia. Il tutto realizzato sia attraverso l’analisi di programmi, flussi elettorali, dichiarazioni dei leaders che mediante informazioni raccolte da vari esponenti.

Gli autori distinguono tre fasi, caratterizzate da diverse classi dirigenti. La prima, quella del MSI, dove la classe dirigente del partito era formato da ex appartenenti al PNF e, in particolare da reduci della RSI: cioè un insieme fortemente connotato, distinto dai partiti ciellenisti, ostracizzato e, anche per questo consolidato nella continuità con i valori del fascismo, sia del regime che della fase terminale. Nella seconda, di AN, la classe dirigente è nella totalità o quasi costituita da persone che, per motivi anagrafici – essendo quasi tutti nati dopo il 1945 – col fascismo non avevano avuto rapporti come Fini, Gasparri, La Russa, Alemanno; altri che al massimo erano stati balilla (come Matteoli e Tatarella).

Quanto a FdI “i fratelli di Giorgia erano diventati militanti del MSI all’inizio degli anni Novanta, durante la crisi della Prima Repubblica, e avevano fatto pratica della politica come professione dopo la svolta di Fiuggi in epoca bipolare. Sono loro (la terza generazione della Fiamma) a costituire l’ossatura organizzativa di FdI”. Pur nella continuità con la propria storia “oggi nel codice di condotta di FdI sono esclusi i saluti romani, i pellegrinaggi collettivi a Predappio o l’uso del termine «camerata»”. Soprattutto non c’è in vista alcun pericolo di deriva autoritaria e gli esami e le accuse di fascismo alla Meloni sono del tutto infondati “L’attribuzione a FdI di quella categoria (o di suoi derivati) si fonda sull’uso di definizioni metastoriche, soggettive e concettualmente dilatate del «fascismo»”.

Per cui, scrivono gli autori “a chi si domanda «quanto fascismo c’è oggi in FdI?» suggeriamo di distinguere tra fascisti, neofascisti, postfascisti e afascisti. La prima generazione di fondatori del MSI era formata da fascisti (da persone che avevano avuto un ruolo, piccolo o grande, nel regime, e soprattutto nella sua ultima incarnazione, la RSI) e da neofascisti”. Con la svolta di AN si “compie il passaggio dal neofascismo (via via ridotto, a partire dagli anni ottanta, a puro nostalgismo testimoniale) al postfascismo: afferma cioè la piena integrazione nel sistema democratico”. Con FdI “la generazione di Giorgia Meloni è piuttosto definibile come formata da democratici afascisti: il processo di integrazione democratico è proseguito e il fascismo ha smesso completamente di esercitare una funzione di ispirazione. È stato ormai definitivamente relegato a momento storico di un passato irripetibile, che ha poco o niente da offrire per orientare l’azione politica, che così viene percepito anche dall’elettorato a cui oggi FdI si rivolge”.

Quanto alla democrazia interna, FdI lascia (molto) a desiderare “In pratica l’intera intelaiatura organizzativa è posta nelle mani del presidente e dell’Esecutivo nazionale, dei Presidenti dei Coordinamenti regionali e provinciali”. Per cui “Il sostanziale dissolvimento delle strutture territoriali e degli organi assembleari del partito si accompagna a una direzione fortemente centralizzata nelle mani del leader”.

Per l’appartenenza ideologica, FdI è stata classificata come “destra estrema”, come populista, ma appare meglio riconducibile ad un  partito nazionale conservatore “Giorgia Meloni e i suoi Fratelli, hanno appreso che il patriottismo nazionalista e il conservatorismo, già di fatto elementi chiave del loro bagaglio ideologico, potevano diventare un appropriato/utile «marchio». L’etichetta di conservatore consente di dare un nome alla destra all’interno del campo più largo del centrodestra italiano, conferendole una identità distintiva rispetto alle altre componenti”. Oltretutto il meglio “spendibile” in Europa.

Il saggio è accurato e non partigiano: due caratteri per consigliarne la lettura.

Quello che manca, anche se in un paragrafo gli autori valutano l’incidenza della fortuna e della virtù (le “categorie” machiavelliche) nella valutazione del rapido e travolgente successo di FdI è quanto vi abbia concorso la decadenza sia della società che del sistema politico italiano. Se l’Italia è stata il primo paese dell’Europa occidentale ad avere un governo totalmente anti-establishment (il Conte 1), le levatrici di tale successo, proseguito in quello di FdI sono la peggiore crescita economica dell’Europa, ossia quella italiana e l’incapacità della classe dirigente a garantirla (così come le altre crisi). Un buon favore della Fortuna al governo Meloni.

Teodoro Klitsche de la Grange

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TABULA RASA, di Pierluigi Fagan

Cosa fa una “altra-egemonia”? Assume la posizione dell’egemone, ma col proprio punto di vista, con la propria visione del mondo. C’è una NON sottile differenza tra l’invitare ad uscire dalla NATO e dall’UE e chiederne lo scioglimento ed è nel riferimento. Nel primo caso il riferimento rimane l’egemone, rispetto ad esso che è e rimarrà tale, si marca una distinzione, ma è una distinzione minoritaria per forza di cose, che non intacca la radice dell’egemone, per certi versi la rinforza prevedendone la continuazione di potere. Nel secondo caso, invece, il riferimento è direttamente il potere, ci si pone in forma competitiva con l’egemone per il potere, si avanza una idea di diverso potere o la posizione dell’egemone o la posizione altro-egemonica cha a questo punto perde la sua origine “contro” e diventa “per”. Per un nuovo assetto di potere.
Con quelle sincronie intellettive che promanano dagli invisibili movimenti dentro le immateriali immagini di mondo, pochi giorni fa, Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire, ha invocato con grande tranquillità come fosse evidenza logica improcrastinabile, lo scioglimento dell’alleanza implicita con Israele e lo scioglimento della NATO. Forse Tarquinio candidato PD alle europee, originato in un partitino (DemoS) a suo tempo scisso dai tranquilli Popolari per l’Italia, è diventato un trinariciuto antimperialista? Non necessariamente.
Semplicemente ha preso atto che a tempi nuovi debbono corrispondere assetti nuovi ed è ora di chiudere il dopoguerra saldato ampiamente il debito e con gli americani e con gli ebrei-israeliani. Quindi Tarquinio non ha chiesto all’Italia di uscire da certe alleanze, ha chiesto di sciogliere quelle alleanze.
Così l’articolo di Agamben da me postato e la cui posizione mi son sentito di far mia e così vedo per altri che si sono espressi qui e lì e non solo in Italia, non ha chiesto di uscire dall’euro e dalla UE in occasione delle ultime elezioni di questo week end, ha chiesto di sciogliere queste istituzioni, negargli il riconoscimento. Cominciando dal mandare a vuoto l’invito a votare
>>(ha votato poco meno del 50% in Italia e poco più in Europa)<<
poiché non partecipi ad una cosa che secondo te non dovrebbe esistere. Forse Agamben o io stesso, siamo diventati “sovranisti” stante che da Macron a Scholz in giù sono tutti sovranisti? Non necessariamente.
Semplicemente s’è preso atto che a tempi nuovi debbono corrispondere assetti nuovi ed è ora di chiudere, anche qui, il dopoguerra che impose all’Europa di diventare in blocco un sub-sistema americano contrapposto all’URSS. La diade USA-UE andava forse bene nella guerra fredda anche perché Europa non era minimamente in grado di essere e fare alcunché di diverso. Fu questo allineamento a forzare il processo di ripristino della convivenza subcontinentale, vero una qualche forma prima di mercato comune e poi di “unione”, per quanto il termine stesso sia ambiguo. Ma quella storia è finita, ne è iniziata un’altra con la quale siamo fuori sincrono.
In quei decenni ogni stato convergeva verso la NATO che li riceveva passivamente, oggi è la NATO a decidere cosa, come, quando e perché fare una certa strategia e gli stati, in funzione del legame di alleati, debbono seguire. Il che porta, come rilevato dall’ineffabile Tarquinio, a trasformare una alleanza meramente difensiva che non ha sparato neanche un mortaretto per settantatré anni contro un nemico ideologico manifesto, in una alleanza offensiva contro un nemico neanche ideologico, un semplice competitor geopolitico da fase multipolare. Neanche un competitor degli europei che fino a poco tempo fa vedevano reti comuni da Lisbona a Vladivostok, dei soli americani.
Viepiù se si stanno cambiando i termini dell’alleanza, come fanno gli israeliani trasformandosi nel popolo oggi meno amato delle Terra visto i crimini contro i livelli minimi di umanità reclamati dall’intero parterre delle Nazioni Unite o come fanno gli americani trasformando la NATO in una SuperLeague contro tutto il mondo che si ribella al lungo dominio occidentale volendo dedicarsi ad un proprio futuro di pacifico commercio à la Montesquieu, queste alleanze non possono ritenersi più valide. Come i contratti non sono più validi se si cambiano i termini pattuiti, l’oggetto stesso del patto.
A questo punto, una posizione altro-egemonica deve dichiarare di voler fare tabula rasa, azzerare alleanze, accordi, patti, trattati. Per? Si vedrà, prima si torna all’ora zero, poi si ricomincia a contare daccapo, su altre basi, con altri intenti, chiarendo bene i fini e le proporzioni di potere tra i contraenti nuovi patti. Mi sembra un buon punto da cui ripartire per cercare una strategia adattativa ad un mondo che sta cambiando molto profondamente e molto velocemente. Una posizione altro-egemonica deve dichiarare e pretendere la tabula rasa per poi avanzare una propria idea di come stare nel mondo nuovo. Sciogliere UE, euro e NATO, questo l’inizio delle costruzione di una posizione altro-egemonica. Bisogna cominciare ad aprire spazio per un nuovo pensiero politico.
+ Un approfondimento specifico:
La natura cataclismatica delle ultime elezioni europee, a livello sistemico quindi europeo, è data: 1) affluenza di circa solo il 50% aventi diritto, molti paesi sono sotto questo requisito minimo (Germania e Belgio hanno raggiunto Austria e Malta che hanno sfondato l’età minima del voto a 16 anni, hanno avuto quindi nuovi votanti che hanno mantenuto un po’ l’indice di partecipazione in quei paesi); 2) partito opposizione in Francia ottiene il doppio dei voti di quello di governo, fatto che porterà a nuove elezioni; 3) partito di opposizione in Germania che arriva allo stesso livello dei tre partiti di governo sommati, il che dovrebbe portare a nuove elezioni, le porti poi effettivamente o meno; 4) a seggi, i due partiti che perdono più vistosamente sono liberali e verdi, cuore del New Green Deal neoliberale; 5) c’è una marcata radicalizzazione sbilanciata a destra e questo sembra essere l’unico tratto comune di un sistema che in comune non ha altro sul quale fondarsi. Tale situazione è strutturale ovvero non mostra caratteri contingenti, quindi inutile sperare si riequilibri. L’UE è arrivata al capolinea della sua traiettoria, va sciolta.

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IMPORTANTE: La Russia diventa ufficialmente la quarta economia mondiale, superando il Giappone, di SIMPLICIUS

Molti ricorderanno la notizia dell’anno scorso secondo cui la Russia aveva superato la Germania per il 5° posto nel PPP del PIL. Allo SPIEF, Putin ha annunciato che la Russia ha ufficialmente superato il Giappone per il 4° posto, secondo la Banca Mondiale:

Ma prima un po’ di background:

Questa può sembrare una notizia vecchia, dato che diversi mesi fa le persone hanno pubblicato il presunto sorpasso della Russia sull’economia giapponese. Tuttavia, c’è stata molta confusione poiché la fonte più utilizzata era un sito web del Regno Unito chiamato World Economics , che hanno confuso con la Banca Mondiale ma che in realtà non è una fonte “ufficiale” di alcun tipo.

Quello che è successo ora è che la Banca Mondiale ha annunciato la scorsa settimana di aver rivisto i dati sul PIL dal 2021 in poi, e in quelle revisioni ha scoperto che la Russia aveva già superato il Giappone già nel 2021, e ha continuato ad avanzare fino a Ora.

Ecco il loro comunicato ufficiale: https://www.worldbank.org/en/news/press-release/2024/05/30/global-purchasing-power-parities-data-released-for-2021

WASHINGTON, 30 maggio 2024 — Le nuove parità di potere d’acquisto (PPP), che forniscono un modo standardizzato per valutare il potere d’acquisto relativo di diverse economie, sono state rilasciate oggi dall’International Comparison Program (ICP) per l’anno di riferimento 2021.

Hanno una varietà di collegamenti a vari grafici e visualizzazioni.

E in effetti, la Russia ora sta sempre più superando la Germania, lasciandola nella polvere con 6,45 t contro 5,9 t. Per non parlare del fatto che la cifra dell’India è di 10,9 t, con la Russia che ha solo 1/10 della popolazione indiana ma più della metà del suo potere economico. Inoltre, fonti ufficiali riferiscono che la Russia ha un’economia sommersa di circa il 40%, che non può essere spiegata, praticamente la più alta del mondo:

Ecco un intero articolo russo dell’inizio di quest’anno che ne parla in dettaglio:

Tenete presente che ciò avvenne anche prima dell’annuncio ufficiale della Banca Mondiale del superamento del Giappone da parte della Russia. L’articolo rileva:

L’altro giorno, la Banca Mondiale ha pubblicato un rapporto sull’economia sommersa per paese, secondo il quale essa rappresenta circa il 5% del PIL totale in Giappone, l’8% in America e fino al 39% nel nostro paese, la Russia.

L’indice dell’economia sommersa in Russia è uno dei più alti al mondo, quasi l’84% più alto della media globale. Solo l’Ucraina (46% del PIL, ovvero 1.100 miliardi di UAH), la Nigeria (48% del PIL) e l’Azerbaigian (67% del PIL) hanno un’economia più grande nell’ombra. Al quinto posto c’è lo Sri Lanka con un indicatore del 38%.

Si prosegue spiegando aneddoticamente che molti russi guadagnano fino a un terzo dei loro stipendi dai mercati grigi clandestini, con milioni di annunci per servizi “non ufficiali” che lo attestano.

Ciò significa che la vera potenza economica nascosta della Russia potrebbe essere addirittura molto più elevata e addirittura più vicina a quella dell’India. Ho già sostenuto a lungo che la Russia, essendo il paese più sanzionato, indebolito e terrorizzato economicamente sulla terra, attraverso embarghi e veri e propri sabotaggi industriali come gli attacchi Nordstream, potrebbe non ottenere risultati soddisfacenti, per ora, nascondendo al contempo un’economia molto più potente di qualsiasi altra economia attuale. i registri mostrano. Se si eliminano quegli handicap artificiali che danneggiano ingiustamente l’economia russa, allora è quasi certo che la vera potenza economica non misurata della Russia è quella del terzo posto dietro Cina e Stati Uniti. È notevole che anche sotto un attacco senza pari, la Russia sia in grado di comandare uno dei paesi più veloci economie in crescita e più robuste del mondo.

L’economista Stefan Demetz nota inoltre correttamente che la struttura del debito particolarmente bassa della Russia e l’autosufficienza sotto forma di surplus commerciale rendono il suo valore economico ancora più alto di quanto sembri:

La Banca Mondiale ha recentemente riclassificato i dati relativi al PIL PPA e la Russia è diventata quarta davanti a Giappone e Germania.

Ma considerando il debito molto basso a fronte di alti livelli di riserva e l’autosufficienza in campo energetico, alimentare e militare, la Russia appare migliore di quanto indichino questi grafici.

Ci sono molti che dubitano del significato dell’indice PPP rispetto al PIL nominale, credendo alla menzogna inculcata in Occidente secondo cui il PIL regolare è quello “reale” mentre il PPP è solo una riformulazione “creativa” ma in definitiva spuria. Ma questo è lontano dalla verità, almeno per quanto riguarda i paesi in surplus commerciale, in particolare: per loro la PPP è il vero indicatore economico.

Questo perché il PIL nominale è prezzato in dollari (USD) e quindi è rilevante solo se si utilizzano quei dollari principalmente per acquistare cose, che è ciò che fanno i paesi che importano molte delle loro merci, dal momento che la maggior parte delle merci sui mercati mondiali sono acquistati nella “valuta di riserva” globale del dollaro statunitense. Ma la Russia è in surplus commerciale, il che significa che esporta molto più di quanto importa. È autosufficiente e non ha bisogno di fissare i prezzi in dollari, ma piuttosto nella propria valuta. Fatto ciò, il PIL “nominale” espresso in dollari diventa irrilevante e non si applica. E le poche cose che la Russia importa, ora le regola in altre valute native, come lo Yuan con la Cina, ecc. In breve: per paesi come la Russia, il PIL PPA è l’ unica misura accurata della dimensione e del potere economico, è il PIL nominale che valuta ingannevolmente l’economia del paese target in termini di valuta estera (USD) che non utilizza nemmeno nei suoi mercati interni e che distorce i numeri in base alle fluttuazioni delle valutazioni del cambio valutario.

Puoi leggere molto di più a riguardo nel mio precedente articolo sull’argomento:

La verità sul potere economico della Russia: è davvero così piccolo e debole come sostiene l’Occidente?

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3 APRILE 2023
La verità sul potere economico della Russia: è davvero così piccolo e debole come sostiene l’Occidente?
Prefazione: Il seguente articolo è basato su uno che avevo precedentemente pubblicato sul Saker in questo esatto anniversario, che credo abbia maggiore importanza nel clima odierno. Quindi ho deciso di rivederlo pesantemente e aggiornarlo con i dati più recenti, triplicandone la lunghezza, per renderlo il più attuale possibile. Credo che questo sia io…
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Questa sarà la fine della parte gratuita dell’articolo. Dopo il salto, seguiremo gli attuali sviluppi economici globali, con un focus sugli Stati Uniti in particolare, giustapponendo l’ascesa dei BRICS a quella dell’Occidente in declino, con particolare attenzione ai numeri economici fraudolenti recentemente rilasciati da l’amministrazione Biden e le cupe prospettive che proietta per il futuro dell’intero ordine finanziario occidentale.

Cominciamo con i dati sull’occupazione appena diffusi dal BLS (Bureau of Labor Statistics). I democratici hanno pubblicizzato centinaia di migliaia di “nuovi posti di lavoro creati”, e invece hanno sminuito il fatto che ogni singolo nuovo lavoro è andato ai clandestini, mentre i lavoratori nativi hanno perso l’incredibile cifra di 600.000 posti di lavoro:

L’altra notizia bomba era che tutti i nuovi lavori erano part-time, mentre quelli a tempo pieno continuavano ad essere schiacciati:

Questo è il motivo per cui i rapporti distinguono tra l’uso delle “buste paga” e quello dei “lavoratori”, poiché è possibile aggiungere 10 nuove buste paga con solo 4 nuovi lavoratori se molti di questi “lavoratori” hanno semplicemente ottenuto più lavori part-time.

ZeroHedge illustrato con le visualizzazioni più illuminanti:

Ecco un’altra visualizzazione della composizione del lavoro nell’ultimo anno: 1,2 milioni di posti di lavoro a tempo pieno sono stati persi, sostituiti da 1,5 milioni di posti di lavoro part-time!

Per non parlare dei posti di lavoro federali saliti alle stelle, gonfiando artificialmente l’immagine di un mercato del lavoro in crescita:

Come molti sanno, il governo degli Stati Uniti può indorare artificialmente i rapporti sui posti di lavoro nei momenti chiave semplicemente dando vita a una corsa alle assunzioni. Il governo può schioccare le dita e assumere decine di migliaia di lavoratori dell’IRS o addirittura creare un dipartimento o una divisione completamente nuovi al solo scopo di sostenere i lavoratori temporanei per portare i titoli dei giornali a un momentaneo ottimismo sul lavoro; ma è tutta una farsa, perché tali lavori distorcono il quadro economico reale e organico.

Ecco Chris Hedges che analizza percettivamente il tutto e riconosce la falsità:

Sottolinea inoltre astutamente che anche i dati sulla disoccupazione sono fraudolenti in base all’utilizzo dei dati ufficiali U3 rispetto a U6.

I numeri U3 “ufficiali” del governo non contano nessuno come “disoccupato” se non ha cercato lavoro nelle ultime 4 settimane, il che significa che è una cifra inutile e fraudolenta. L’U6 è leggermente migliore, ma arriva fino al limite di 1 anno. Chiunque non si sia preso la briga di cercare lavoro per 1 anno è considerato un “lavoratore scoraggiato a lungo termine” e non viene più conteggiato nelle statistiche sulla disoccupazione. Sfortunatamente, una parte enorme della forza lavoro si è arresa in questo modo, il che significa che anche i numeri dell’U6 sono fantastici.

In combinazione con il fatto che l’U3 considera i part-time come pienamente occupati mentre molte persone ora devono trovare più lavori, il che gonfia enormemente la percezione della “crescita occupazionale”, dipinge un quadro totalmente fraudolento dell’economia statunitense e della sua presunta ripresa della “salute”. ‘.

Infatti, ZeroHedge riferisce che gli Stati Uniti hanno aggiunto un totale netto pari a zero di posti di lavoro per i lavoratori nativi dal 2018:

Dire che questo è scioccante sarebbe un eufemismo.

È una tempesta perfetta di malessere economico e distruzione sociale: inflazione alle stelle, la maggior parte della crescita occupazionale è costituita da lavori part-time, zero posti di lavoro aggiunti per i lavoratori nativi, ecc.

In altre parole, la “forte crescita dell’occupazione” per i cittadini americani è sempre stata e rimane una favola, e l’ unica crescita di posti di lavoro negli Stati Uniti è per i clandestini, che lavoreranno per un salario inferiore al minimo , il che spiega anche perché l’inflazione non è aumentata. l’anno scorso sono stati assunti milioni di clandestini.

Non c’è da meravigliarsi che debbano fare questo:

Ciò che sta diventando chiaro è che il piano dell’establishment per il prossimo anno prevede di confondere i numeri a un livello storico solo per salvare la reputazione dell’amministratore Biden mentre si carica il massiccio crollo per farlo cadere in grembo alla nuova amministrazione Trump come ultimo gioco di sabotaggio di ultima istanza.

Se dovesse vincere, non appena Trump entrerà in carica, le chiuse si apriranno e l’intero armadio pieno di orrori nascosti verrà fuori per affogare il suo mandato nella crisi. Ciò sarà aiutato dalla maturazione di un’ampia fascia del debito nazionale, che si dice sarà rinnovata con un interesse molto più elevato proprio in quel momento:

Gran parte dei nostri 35.000 miliardi di dollari di debito nazionale sono a breve termine e devono essere rifinanziati al 5% o più entro 12 mesi. Gran parte del debito era inferiore al 2%, ora rifinanziato a oltre il 5%. Il pagamento degli interessi sul debito ammonta a 1,1 trilioni di dollari all’anno. Probabilmente raggiungerà 1,5 trilioni di dollari all’anno nel 2025.

Dall’istituto Kobeissi:

Questo è interessante: un debito federale americano record di 9,3 trilioni di dollari maturerà e dovrà essere rifinanziato a tassi molto più alti nei prossimi 12 mesi. Questo è aumentato di ben 4,7 trilioni di dollari o del 102% in soli 4 anni. Ciò avviene nel momento in cui il Tesoro americano passa all’emissione di obbligazioni con scadenze più brevi con interessi inferiori. Di conseguenza, una quota record pari a circa il 33% del debito in circolazione ha una scadenza inferiore a un anno. Nel frattempo, la Fed ha scaricato circa 1,3 trilioni di dollari di titoli del Tesoro (QT) dal suo bilancio in 2 anni, mentre la domanda dei governi esteri per le obbligazioni statunitensi è diminuita. Chi finanzierà tutto questo debito?

Tutti hanno visto il famoso grafico del debito americano crescere allo stesso livello negli ultimi 4 anni che nei 220 anni precedenti:

Ma la maggior parte continua a credere che non sia un grosso problema – dopo tutto, questo porta il rapporto debito/PIL degli Stati Uniti a un livello record del 123% circa, ma non è nemmeno vicino a quello della Grecia – che è intorno al 170% – o del Giappone, a un livello record. un enorme ~270%. Ma il debito del Giappone è strutturato in modo diverso: con un importo molto maggiore posseduto a livello intragovernativo, il che lo rende un tipo di debito molto più “sicuro” rispetto a quello posseduto da istituzioni straniere.

In secondo luogo, come osserva il blog GlobalMarketInvestor, uno studio del FMI ha rilevato che dal 1800, 51 paesi su 52 con un rapporto debito/PIL superiore al 130% sono andati in default, con il Giappone che è l’ unica eccezione:

Normalmente, questo sarebbe probabilmente rimasto fluttuante negli anni passati, dato che gli Stati Uniti godono dello status di valuta di riserva globale, che consente loro non solo di esportare all’infinito il proprio debito e l’inflazione, ma di garantire che il debito non minacci mai l’Imperium poiché la valuta che lo sostiene rimane sempre suprema. e richiesto. Ma sembra che la situazione sia sempre più destinata a cambiare.

Allo SPIEF (Forum economico internazionale di San Pietroburgo) in corso, Putin ha nuovamente annunciato che i BRICS stanno ufficialmente lavorando su un sistema internazionale di regolamento dei pagamenti e su una valuta:

Secondo quanto riferito, ora ci sono più di 60 paesi che cercano di aderire ai BRICS, la maggior parte dei quali aspira a un nuovo sistema globale equo:

‼️🇷🇺 59 paesi intendono aderire a BRICS, SCO e EAEU, – Consigliere del Presidente della Russia

▪️Circa 30 delegazioni vogliono venire al vertice dei BRICS che si terrà a Kazan dal 22 al 24 ottobre, ha osservato Anton Kobyakov allo SPIEF.

▪️BRICS è attualmente composto da 10 paesi: Russia, Brasile, India, Cina, Sud Africa, Emirati Arabi Uniti, Iran, Egitto, Arabia Saudita ed Etiopia.

Alcuni stanno addirittura adottando misure profilattiche:

Anche l’India ha appena rimpatriato 100 tonnellate del suo oro dalla Banca d’Inghilterra, e altre arriveranno presto:

Per non parlare di:

 

Gli ultimi dati (https://finbold.com/russia-dumps-4-5-billion-in-u-s-bonds-in-2-years/) mostrano che la Russia, membro dei BRICS, ha scaricato un totale di 4,5 miliardi di dollari in obbligazioni statunitensi in due anni. Il sell-off è in linea con il programma dei BRICS di de-dollarizzazione e di taglio dei legami con l’economia statunitense. La mossa aggiunge pressione sul dollaro americano se i Paesi in via di sviluppo iniziano a prendere le distanze dall’economia americana.

Ascoltate il discorso della presidente della banca di sviluppo BRICS Dilma Rousseff allo SPIEF, in cui delinea la visione del mondo sull’orlo della transizione:

Sottolinea l’iniziativa di creare una finanza decentralizzata, cioè lontana dal modello unipolare occidentale, attraverso una distribuzione di centri regionali, piuttosto che l’intero globo governato dalla City di Londra.

Anche l’economista russo e vicepresidente della Duma Alexander Zhukov ha sottolineato l’importanza delle valute nazionali e di un nuovo sistema di pagamento:

Stabilire meccanismi di pagamento all’interno dei BRICS che non dipendano dal sistema bancario occidentale è uno dei temi più urgenti oggi, ha dichiarato il primo vicepresidente della Duma di Stato russa Alexander Zhukov alla sessione SPIEF “Obiettivi dei BRICS nel contesto del nuovo ordine mondiale” sulla cooperazione economica tra i Paesi membri dell’organizzazione.

Anche il presidente boliviano Luis Arce ha invocato la parola d’ordine del multipolarismo, parlando dell’importanza dell’espansione delle valute nazionali. Egli afferma chiaramente che non si può permettere a un’unica banca centrale mondiale di dettare la politica all’intero globo:

Il presidente Luis Arce: “Oggi si sta creando un mondo multipolare. Dobbiamo diffondere le nostre valute nazionali a fini di regolamento tra i diversi Paesi. Non possiamo permettere che un solo Paese diventi la banca centrale del mondo, dettando la politica monetaria in tutto il mondo. Quei tempi sono passati da tempo”.

“Le economie del blocco BRICS sono state in grado di distruggere l’egemonia degli Stati Uniti”, ha dichiarato Arce, sottolineando come il gruppo sia un faro di speranza per la cooperazione internazionale e la complementarità economica. Il Presidente boliviano ha sottolineato che l’ordine mondiale si sta spostando verso un sistema più equo, equilibrato, multipolare e multilaterale. Arce ha inoltre rivelato l’interesse della Bolivia ad aderire ai BRICS, citando le “enormi prospettive di trasformazione e trasfigurazione del blocco e l’accelerazione dell’industrializzazione”.

Si tratta di una rivoluzione degli affari economici, con il mondo che si sveglia di fronte al Golia predatorio dell’ordine monetario occidentale.

Può sembrare un deja vu senza fine, perché per anni abbiamo sentito parlare dello stesso unicorno del multipolarismo e le aspettative sono state naturalmente ridimensionate. Ogni anno si parla della presunta “morte del dollaro” e della spirale del debito e dell’inflazione, che non sembra mai concretizzarsi.

Ma non si può fare a meno di pensare che le cose si stiano davvero muovendo. Uno dei motivi è che per anni si sono limitati a pochi attori chiave che si sono espressi a parole per queste iniziative, ma ora, in occasione di eventi come lo SPIEF, è chiaro che l’intero Sud del mondo sta chiedendo a gran voce questi profondi cambiamenti fondamentali e la transizione globale. Il mondo intero si è stancato della schiavitù economica imposta dall’Occidente e ora anche loro vogliono sedersi alla mangiatoia per avere una possibilità di sviluppo equo.

Di recente ho scritto di come l’intero Occidente anglo-atlantico sia costruito sui principi codificati della sovversione e del sabotaggio per impedire al resto del mondo di svilupparsi parallelamente e a tutti i potenziali concorrenti di essere “messi fuori gioco”; ad esempio il Memorandum 200. È da tempo che i funzionari americani ammettono apertamente che se la Cina dovesse impadronirsi di Taiwan, gli Stati Uniti “eliminerebbero” o “metterebbero fuori uso” il gigante dei chip TSMC.

Questo è palese terrorismo economico ed è il motivo per cui il mondo ne ha abbastanza del “modello occidentale” imperiale.

Pertanto, l’ascesa dei BRICS non può più essere ignorata, in quanto presenta un percorso concreto verso un’etica completamente nuova di sviluppo della civiltà, che sarà delineata nei video che seguono. È solo questione di tempo prima che si raggiunga una “massa critica”, in cui venga adottato un nuovo sistema di insediamenti e un numero sufficiente di Paesi sotto la bandiera dei BRICS scelga di abbandonare in gran parte il dollaro. Questo, unito al grafico parabolico del debito statunitense e alle cifre economiche speculative, porterà alla completa erosione dell’unico strumento di levaglobale degli Stati Uniti .

Nel video dello SPIEF qui sopra, l’ex membro del Bundestag tedesco Hansjorg Muller afferma che in questo momento in tutta la Russia si sta diffondendo un’inequivocabile eccitazione da “corsa all’oro”, mai vista prima. Cita l’iniziativa di Putin di concentrarsi sullo sviluppo dell’economia russa a livello locale e regionale, che Putin ha annunciato nel suo stesso discorso. È una chiara eco di un Piano Marshall del dopoguerra, solo che la visione di Putin inizia a metà della guerra – anche se forse, dalla sua posizione, può vedere l’orizzonte della guerra molto più chiaramente di noi.

Uno dei modi in cui gli Stati Uniti sono stati in grado di rilanciare la propria economia alla fine della Seconda Guerra Mondiale è stato il passaggio graduale di tutte le industrie belliche sovralimentate, le cui fabbriche erano diventate enormi motori di produzione a doppio uso, alla produzione di beni civili, ma con un’infrastruttura notevolmente ampliata. Sembra che la Russia stia facendo la stessa cosa, il che garantirà il suo sviluppo economico a un ritmo accelerato; Putin sta semplicemente “dirigendo” e incanalando questo sviluppo nelle aree giuste, diversificandolo in tutte le regioni necessarie in modo che la crescita sia distribuita in modo uniforme e non centralizzata in zone metropolitane favorite.

A questo proposito, nessun oracolo della transizione è intervenuto allo SPIEF meglio di Sergei Glazyev. Ecco una sintesi delle sue riflessioni come punto finale del percorso:

  • Il sistema americano sta finendo

  • Attualmente stiamo lavorando a un nuovo sistema valutario internazionale che eliminerà la possibilità di usare sanzioni unilaterali e altri tipi di terrore economico contro le nazioni.

  • La Russia, in qualità di presidente dell’organizzazione BRICS per il 2024, contribuirà a promuovere questa iniziativa.

  • Il modello degli Stati Uniti sta vivendo un’agonia mortale: non può più offrire nulla al mondo, né un modello di governance né dei valori.

  • Quest’anno è un anno di svolta, la nostra previsione è che dopo le elezioni americane sarà chiaro che la Pax Americana è giunta al termine.

  • Il rischio principale rimane quello che gli Stati Uniti debbano creare una piccola guerra nucleare locale in Europa per mantenere la loro egemonia.

Consiglio vivamente di guardare il video completo.

Le parole di Glazyev sul fatto che il modello statunitense si è completamente esaurito e non ha più nulla da offrire al mondo in termini di ispirazione per il futuro sono state riprese da Putin in un discorso del 2023, in cui ha detto:

“Senza esagerare, non si tratta nemmeno di una crisi sistemica, ma dottrinale del modello neoliberale di ordine internazionale di stampo statunitense. Non hanno idee per il progresso e lo sviluppo positivo. Semplicemente non hanno nulla da offrire al mondo, se non perpetuare il loro dominio”. – Putin

Come video bonus, anche il presidente e senatore russo Aleksey Pushkov ha approfondito questa traccia, dichiarando che il sistema statunitense sta marcendo a causa del degrado sociale interno, della perdita di competenze istituzionali e di élite, in breve: una decadenza totale. Il video è molto lungo, quindi è adatto solo a chi è particolarmente interessato, ma il relatore ha sollevato molti punti importanti e ha dato un’occhiata all’interno della comprensione penetrante e senza fronzoli della realpolitik che le élite russe hanno dei fallimenti terminali dell’Occidente; per esempio, ha affermato che non sono rimaste figure di un certo calibro in Europa, che ora si trova in un ambiente “a basso livello intellettuale, educativo e politico”.

E un ultimo video bonus dallo stesso panel, con Konstantin Malofeev di Tsargrad che riprende molti degli stessi punti:

Malofeev: La Pax Americana ha pianificato il caos; hanno bisogno del caos in Medio Oriente; Israele è la loro fortezza; il dollaro USA è il principale strumento di egemonia; Taiwan sarà una continuazione della politica del caos

Per concludere, gli Stati Uniti continuano a crollare internamente con licenziamenti di massa e chiusure di catene di negozi, supermercati e altro:

Con un elenco crescente di banche statunitensi sull’orlo del collasso:

Una delle cose fondamentali che gli ultimi decenni di “globalizzazione” hanno messo in luce in Occidente è che l’emigrazione di massa ha rovinato il futuro degli Stati Uniti e dell’Europa: non c’è modo di competere a lungo termine con società etnicamente e culturalmente omogenee come la Russia e la Cina. Le prospettive per gli Stati Uniti e l’Europa sono quelle del Sudafrica: società divise, culturalmente fratturate, il cui capitale umano è ancora meno efficiente e competitivo della somma delle sue parti a causa delle forti incompatibilità e delle divisioni razziali. Ho detto più volte che gli Stati Uniti sono appesi solo al filo sottile dei loro visti H1-B, oltre i quali tutta l’innovazione si esaurirà con l’arrivo degli immigrati.

Basta guardare l’intervista dimostrativa a un politico tedesco che viene interrogato sul sentimento prevalente dei suoi elettori secondo cui i politici non stanno facendo alcun progresso nel migliorare le condizioni sociali. Sorprendentemente, risponde che si sbagliano perché lui sta lavorando duramente per aumentare il flusso di immigrazione in Germania e creare così un “governo progressista”:

La sordità di tono e il distacco sono sbalorditivi e incredibili.

Questo è lo stato della politica occidentale di oggi: ogni Paese è gestito da un’élite criminale interamente catturata e sovvertita da interessi corporativi transnazionali che odiano i propri cittadini, ignorando sprezzantemente i loro bisogni e le loro preoccupazioni.

Le politiche di migrazione di massa servono solo a frenare momentaneamente il collasso sistemico della decadente frode finanziaria Ponzi dell’ordine bancario occidentale, ma porteranno alla totale perdita di competitività dell’Occidente nei confronti dell’Oriente. La demografia è il destino: l’uniformità culturale e la sua cugina unità sociale prevarranno sempre in modo naturale sulle società lacerate dalle distorsioni sociali e dalla discordia endemica delle politiche di “frontiere aperte” imposte all’Occidente.

L’unica luce alla fine del tunnel per gli Stati Uniti è una potenziale vittoria di Trump, se seguita dall’applicazione della sua promessa di deportare in massa milioni di immigrati clandestini di Biden, ma ovviamente questo risolverebbe solo una parte dei problemi sistemici.

Per quanto riguarda l’Europa, oggi c’è stato un piccolo segnale di potenziale speranza: proprio mentre scriviamo, i partiti di destra europei stanno ottenendo importanti vittorie elettorali nelle elezioni parlamentari europee:

I partiti di destra stanno vincendo le elezioni del Parlamento europeo con un ampio margine in tutta Europa.

CNN a pezzi:

Il bagno di sangue sembra essere appena iniziato: Macron ha persino sciolto l’Assemblea nazionale e ha chiesto elezioni generali anticipate, mentre il premier belga De Croo ha rassegnato le dimissioni:

Il popolo ne ha chiaramente abbastanza. Ma, come altri hanno notato, è ancora troppo presto per entusiasmarsi, poiché le elezioni parlamentari europee non riflettono necessariamente l’andamento delle elezioni nazionali; ma è certamente un forte segnale dei prossimi venti contrari per il progetto globalista.

Purtroppo, ciò significa che i globalisti sono con le spalle al muro, il che fa presagire un periodo di instabilità e di pericolo estremamente accentuato. Quando si renderanno conto che il loro tempo è scaduto e che dovranno affrontare i tribunali nel caso in cui la “sfera della resistenza” ottenga una vittoria schiacciante, non avranno altra scelta che esercitare tutte le loro risorse per fomentare la guerra e fare piazza pulita. Sanno che solo la guerra può assolvere tutti i peccati, perdonare le mostruose malefatte in modo retroattivo – se dovessero essere la parte vincente. Quindi rappresenterà per loro l’occasione perfetta per abbattere l’albero della rivolta populista e reazionaria, sradicando una volta per tutte l’opposizione politica.

Purtroppo per loro, li vedo fallire miseramente e la vittoria senza precedenti della Russia in Ucraina nel 2025 sarà il colpo di grazia che distruggerà le ultime vestigia dell’ordine globalista e segnerà un cambiamento epocale per tutta la storia dell’umanità in una nuova direzione, ma aspettiamo e vediamo cosa succede.


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La diversità religiosa del Medio Oriente, di Vladislav B. Sotirovic

La diversità religiosa del Medio Oriente

Il Medio Oriente è il luogo comune da cui hanno avuto origine tre religioni globali: Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Tutte e tre le confessioni riconoscono il profeta Abramo.

L’ebraismo

L’ebraismo è una religione monoteista del popolo ebraico, cioè con la fede in un unico Dio e con fondamenti negli insegnamenti mosaici e rabbinici. Al popolo ebraico è stato chiesto di accettare l’adorazione di un solo Dio invece di molti (politeismo). La volontà di questo unico Dio, il Creatore, è espressa nella Torah – i primi cinque libri della Bibbia (il Pentateuco) che contiene i Dieci Comandamenti. Questo monoteismo ebraico è stato poi ereditato e adottato sia dal cristianesimo che dall’islam. L’essenza del giudaismo è che gli ebrei credono che, come risultato dell’accordo tra Dio e Abramo, essi, in quanto popolo eletto, abbiano un rapporto unico con Dio. Inoltre, credono che il Messia sarà inviato da Dio con la missione di raccogliere tutti i popoli di Israele nella terra promessa e portare la pace eterna sulla Terra. I cristiani, ma non gli ebrei, credono che Gesù Cristo sia stato un Messia di questo tipo.

Esistono tre forme di ebraismo: Ebraismo ortodosso, Ebraismo liberale e Ebraismo riformato.

L’ebraismo ortodosso insegna che la Torah o i cinque libri di Mosè contengono tutta la rivelazione divina di cui gli ebrei hanno bisogno. Nell’ebraismo ortodosso, la pratica religiosa viene osservata rigorosamente. Tuttavia, quando sono necessarie alcune interpretazioni della Torah, si cerca il riferimento nel Talmud. Gli ebrei ortodossi praticano la separazione dei sessi nelle sinagoghe durante il culto. Molti ebrei ortodossi sostengono il movimento sionista e i suoi progetti politici, ma ne deplorano le origini secolari e sostengono il fatto che Israele dopo il 1948 non sia uno Stato pienamente religioso. Gli ebrei ortodossi riconoscono una persona come ebrea solo se ha una madre ebrea o se si sottopone a un arduo processo di conversione. Tuttavia, la Legge del Ritorno israeliana, che riguarda l’emigrazione in Israele, accetta tutti coloro che hanno una nonna ebrea come potenziali cittadini di Israele.

La diffusione dell’ebraismo liberale è iniziata intorno al 1780 in Germania come risposta alla necessità di ridefinire il significato e l’esecuzione pratica della Torah nella mutata atmosfera sociale dell’epoca dell’Illuminismo dell’Europa occidentale. Pertanto, gli ebrei liberali considerano le rivelazioni dei cinque libri di Mosè come progressive piuttosto che statiche, esprimendo l’insegnamento di Dio piuttosto che la legge di Dio. Come diretta conseguenza pratica di questo atteggiamento, esso ha permesso una significativa evoluzione della legge e della pratica religiosa. Inoltre, ha portato a importanti cambiamenti sia nel cibo che nelle usanze. In Europa, l’Ebraismo liberale è conosciuto anche come Ebraismo progressista, che equivale all’incirca all’Ebraismo di riforma negli Stati Uniti.

L’ebraismo di riforma è stato fondato anche in Germania da Zachariah Frankel (1801-1875) come reazione alla percezione di negligenza dell’ebraismo liberale. Frankel stesso mise in dubbio l’ispirazione divina della Torah, ma mantenne l’osservanza di alcune leggi e tradizioni ebraiche. Negli Stati Uniti, l’ebraismo riformato è inteso come l’insieme della tradizione liberale portata negli Stati Uniti dagli immigrati dalla Germania nel XIX secolo.

Il cristianesimo

Il cristianesimo è l’ultima grande religione globale emersa prima dell’Islam e dopo l’ebraismo. Si basa dogmaticamente sull’ebraismo, originario della Palestina. Diversamente, rispetto al caso di Maometto, è poco conosciuto e scientificamente provato il fondatore cristiano, Gesù di Nazareth, prima che iniziasse a predicare, secondo la Bibbia, il Regno di Dio. Tuttavia, questo era un messaggio che la maggior parte degli ebrei di Palestina aspettava da secoli. Dal momento che il Paese ebraico era stato occupato dai Romani nel 6 d.C., gli ebrei aspettavano il Messia o il Salvatore a lungo promesso, che aveva l’obiettivo di liberare loro e la loro terra. All’inizio gli ebrei seguirono Gesù pensando che fosse il Messia che stavano aspettando. Tuttavia, le autorità ebraiche erano sospettose sul suo ruolo e il suo sostegno popolare diminuì presto. Dopo tre anni di insegnamento e predicazione, Gesù Cristo fu arrestato come falso Messia, consegnato al procuratore romano e infine crocifisso (come rivoluzionario).

La nuova fede cristiana si dimostrò inflessibile, nonostante la morte prematura del suo fondatore. Se Gesù Cristo stesso credesse che Dio (Jehova/Jahve) lo avesse mandato a convertire i gentili (non gli ebrei) non è ancora chiaro secondo le fonti. Tuttavia, fu lasciato a Paolo, un ebreo convertito di Tarso, il compito di mostrare la potenza e l’estensione dell’attrattiva del cristianesimo predicando nelle isole dell’Egeo, in Asia Minore, in Grecia, in Italia e forse fino alla penisola iberica, dove in tutte queste terre erano presenti comunità ebraiche. A partire dai viaggi di San Paolo, le chiese cristiane sorsero in tutto l’Impero Romano. All’epoca delle persecuzioni di Diocleziano (304 d.C.), si erano addensate intorno al Mediterraneo e si erano disperse fino alla Britannia e al fiume Nilo.

In sostanza, il cristianesimo è una religione i cui fedeli seguono gli insegnamenti di Gesù Cristo. In origine, era solo una setta ebraica in Palestina che credeva che Gesù Cristo (Gesù di Nazareth) fosse il Messia (Cristo – una persona con un messaggio divino). Grazie soprattutto all’ex fariseo Saulo di Tarso, divenuto poi San Paolo, il cristianesimo divenne presto un’organizzazione indipendente. I credenti cristiani subirono persecuzioni da parte dello Stato, anche se all’inizio non vi erano chiare basi legali fino al 250 d.C.. Tuttavia, nel III secolo d.C., i cristiani si trovavano in tutto l’Impero romano. L’imperatore Costantino il Grande pose fine alle persecuzioni nel 313 e nel 380 l’altro imperatore, Teodosio, riconobbe il cristianesimo come religione di Stato.

L’Islam

La nascita, l’ascesa e l’espansione dell’Islam sono alcuni degli eventi storici più significativi e di vasta portata e il suo impatto è molto importante anche ai nostri giorni.

L’Islam come religione e filosofia di vita è nato più tardi, nel 570 d.C., con la nascita del profeta Maometto alla Mecca, nella penisola arabica. Il fondatore dell’Islam come personalità era una combinazione di riformatore sociale, generale militare, statista, costruttore di imperi e visionario. L’Islam ha avuto origine dal suo insegnamento che ha racchiuso nel Corano, il libro sacro dei musulmani come la Bibbia per i cristiani o la Torah per gli ebrei. Islam significa l’atto di donarsi a Dio (Allah) e una persona che si comporta e segue gli insegnamenti dell’Islam è chiamata musulmana. Tutti i non arabi, come ad esempio gli iraniani o i turchi, sono legati ai loro fratelli e sorelle musulmani nel mondo dalla comune religione dell’Islam. Più della metà degli 1,6 miliardi di musulmani del mondo non sono arabi in base alla loro origine.

Maometto ha diffuso il messaggio di Dio all’umanità come ultimo Profeta di Dio. I musulmani credono che Dio abbia parlato per bocca di Maometto e che il Corano (recitazione) sia la Parola di Dio. La figura storica di Maometto, secondo il credo musulmano, è il Sigillo dei Profeti e nessun altro Profeta verrà dopo di lui. Tuttavia, egli non è divino, poiché la divinità appartiene solo a Dio. Il suo messaggio al popolo dell’Arabia occidentale era di smettere di adorare gli idoli e di sottomettersi invece alla volontà di Allah.

Subito dopo la morte del Profeta, questa religione si diffuse prima in tutto il Medio Oriente e poi oltre i suoi confini. Al suo apice, l’impero dei credenti islamici è stato più grande dell’Impero romano al suo apice. Formalmente, il Corano contiene i discorsi che Dio ha rivelato al suo Profeta dalla Mecca. Tuttavia, come religione, l’Islam è vario, in quanto ha diverse interpretazioni dei suoi insegnamenti, come i musulmani sunniti in Nord Africa e Arabia Saudita da un lato e i musulmani sciiti in Iran o Iraq, dove la maggior parte dei credenti è sciita. Per un esperto di studi sul Medio Oriente è chiaro che l’Islam possiede un potere estremo sulla vita e sulla cultura delle popolazioni locali fin dal VII secolo; l’Islam è diventato il punto di riferimento tra i popoli del Medio Oriente – è un modo di vivere per loro, ma non solo una religione.

Ci sono cinque pilastri del credo islamico accettati e rispettati da tutti i musulmani (visivamente, questi cinque principi compongono lo stemma della Repubblica Islamica dell’Iran):

1. La professione di fede o Shahadah. Si tratta di un’aperta proclamazione di sottomissione che “non c’è altro Dio all’infuori di Allah e Maometto è il messaggero di Dio”. Nei santuari musulmani – le moschee – questa frase viene cantata cinque volte al giorno.
2. Preghiera o Salah. Nelle ore prescritte, l’adorazione o preghiera rituale deve essere recitata cinque volte al giorno, individualmente se non preferibilmente in gruppo. L’inchino o l’inginocchiamento è verso la Mecca (per i cristiani la preghiera è verso Gerusalemme). La preghiera musulmana deve essere pura, quindi appena lavata e non sporca. Per i musulmani, il venerdì è tradizionalmente un giorno riservato al riposo, in cui le preghiere congregazionali degli uomini a mezzogiorno dovrebbero essere ordinariamente eseguite nella moschea.
3. Dare la carità o Zakah. L’insegnamento dell’Islam prevede che tutti i credenti debbano fare beneficenza. In pratica, oggi si tratta di una somma che va dal 2 al 10% del proprio reddito annuale.
4. Digiuno o Sawm. Ogni musulmano deve astenersi dal cibo e dalle bevande durante il mese lunare di Ramadan, che dura 30 giorni, e praticare la continenza negli altri aspetti, dall’alba al tramonto. Ci sono alcuni Stati musulmani, come ad esempio l’Arabia Saudita, in cui questo obbligo è tutelato dalla legge.
5. Pellegrinaggio o Haj. È un obbligo per tutti i musulmani, almeno una volta, se si è finanziariamente e fisicamente in grado di farlo, compiere questo atto di pietà recandosi alla Mecca come pellegrino durante il mese di Haj. Sono particolarmente rispettati quei pellegrini musulmani che possono rimanere alla Mecca tra gli 8 e i 13 giorni e compiere i riti e le cerimonie.
Va notato che per alcuni musulmani l’esistenza e il sesto pilastro dell’Islam – la guerra santa o Al-Jihad – offre presumibilmente la ricompensa della salvezza. Tuttavia, non è necessario che questo sforzo per promuovere i valori e la dottrina islamica avvenga attraverso la guerra vera e propria, come tradizionalmente è stato erroneamente inteso. Inizialmente, l’Islam non incoraggiava particolarmente la conversione. Il Corano impone ai musulmani di rispettare la “gente del libro”, ossia i membri delle altre religioni monoteiste con scritture scritte. I musulmani sono tenuti a mostrare ospitalità verso gli stranieri, anche se non sono musulmani, e a rafforzare i rapporti familiari. In realtà, la guerra santa islamica praticata oggi da alcune organizzazioni militari e fondamentaliste come l’ISIS o Al-Qaeda è il risultato della globalizzazione, che trascende la politica convenzionale e rappresenta un allontanamento radicale dall’Islam tradizionale e dai valori islamici.

L’Islam è considerato dai suoi seguaci come l’ultima delle religioni rivelate dopo l’ebraismo e il cristianesimo. Maometto della Mecca è considerato l’ultimo dei Profeti dopo Abramo, Mosè e Gesù. Esistono tre significati fondamentali e interrelati dell’Islam:

1. La sottomissione personale/individuale a Dio (Allah).
2. Il mondo islamico è una realtà storica che comprende una varietà di comunità che condividono non solo un fondo comune di eredità culturali.
3. Il concetto di comunità musulmana ideale è fissato nel Corano e in alcune sue fonti di supporto.
Esistono due tipi fondamentali di Islam: i musulmani sunniti e i musulmani sciiti.

L’Islam sunnita (in arabo sunna significa tradizione) è il credo e la pratica in opposizione all’Islam sciita. I musulmani sunniti costituiscono oggi oltre l’80% di tutti i musulmani del mondo e seguono la sunna – un codice di pratica basato sugli hadith raccolti nei Sihah Satta – sei libri autentici della tradizione sul Profeta Muhammad. Il termine sunna può significare costume, codice o uso. In sostanza, significa tutto ciò che il Profeta Maometto ha dimostrato come comportamento ideale da seguire per un musulmano. Di conseguenza, integra il Corano come fonte di linee guida legali ed etiche. I musulmani sunniti riconoscono l’ordine di successione dei primi quattro califfi e seguono una delle quattro scuole di legge. In Medio Oriente (e in Pakistan) prevale la scuola Hanafi.

I musulmani sciiti o sciiti (dall’arabo – settari) sono la divisione minoritaria all’interno dell’Islam (tra il 15% e il 20%). Sono in maggioranza in Iran (dove l’Islam sciita è la religione ufficiale di Stato), nel sud dell’Iraq, in Azerbaigian, in alcune parti dello Yemen, in Libano, in Siria, in Africa orientale, nell’India settentrionale e in Pakistan. La loro origine è lo Shiat Ali (il “partito di Ali”), cugino e genero di Maometto. L’essenza è che i musulmani sciiti considerano Ali e i suoi discendenti come gli unici eredi giusti di Maometto come leader dei musulmani. I musulmani sciiti si differenziano dai sunniti soprattutto per l’importanza che attribuiscono all’autorità continua degli imam – interpreti autentici della sunna o delle usanze, il codice di condotta basato sul Corano seguito dagli hadith o dai detti e dalle azioni di Maometto. Credono anche in un significato interno e nascosto del Corano.

Il sufismo è l’aspetto mistico della religione islamica. È emerso come reazione alla rigida ortodossia islamica. I sufi cercano l’unione personale con Dio e ci sono molti poeti e studiosi sufi seguiti da ordini o confraternite organizzate sufi.

Nel mondo ci sono 42 nazioni a maggioranza musulmana, di cui Iran, Sudan e Mauritania sono Stati ufficialmente islamici in base alla legge islamica. La diversità religiosa è abbastanza visibile in tutte le nazioni mediorientali, a causa della presenza di diverse minoranze religiose come l’ebraismo e/o il cristianesimo e le loro ramificazioni (sette). La maggior parte dei musulmani è distribuita in un’ampia fascia che va dal Marocco all’Indonesia e dall’Asia centrale alla Tanzania. Tuttavia, il centro storico e culturale dell’Islam è il Medio Oriente, in particolare la penisola arabica.

La diffusione della religione islamica al di fuori della penisola arabica iniziò subito dopo la morte del profeta Maometto, nel 632. Nel 711, gli eserciti arabi attaccarono il Sind, nel nord-est dell’India, e si prepararono ad attraversare la penisola iberica. In pratica, le conquiste arabo-islamiche in Oriente superarono quelle in Occidente sia per dimensioni che per importanza. Nel 750, quando la dinastia degli Abbasidi sostituì quella degli Omayyadi, l’Impero islamico da loro governato era la più grande civiltà a ovest della Cina. Dopo la sottomissione del Maghreb, nel 711 le forze arabe attraversarono lo Stretto di Gibilterra e occuparono la Penisola iberica. Ci furono ulteriori avanzamenti nel sud della Francia, ma l’esercito arabo fu sconfitto a Poitiers nel 732 e nel 759 si ritirò a sud dei Pirenei.

Dr. Vladislav B. Sotirovic
Ex professore universitario
Ricercatore presso il Centro di Studi Geostrategici
Belgrado, Serbia
www.geostrategy.rs
sotirovic1967@gmail.com © Vladislav B. Sotirovic 2024
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L’avvento del neotribalismo, di AURELIEN

L’avvento del neotribalismo.

Di onore, di gangster, di tribù nomadi e, naturalmente, di politica identitaria.

Anche se questi saggi saranno sempre gratuiti, potete comunque sostenere il mio lavoro mettendo like e commentando e, soprattutto, trasmettendo i saggi ad altri e i link ad altri siti che frequentate. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️

E grazie ancora a coloro che continuano a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta pubblicando anche alcune traduzioni in italiano, e ha creato un sito web dedicato a queste traduzioni .Grazie infine ad altri che sempre più spesso pubblicano traduzioni e riassunti in altre lingue. Sono sempre lusingato e felice che ciò accada: chiedo solo che me lo diciate e che me ne diate atto. E ora…

Negli ultimi due anni ho scritto molto sugli effetti distruttivi del liberismo senza catene sulle società occidentali e sulla conseguente disgregazione sociale. Non mi ripeterò molto in questa sede, ma cercherò piuttosto di affrontare un punto consequenziale: quello che considero un tentativo disastrosamente sbagliato e in definitiva inutile di riempire il vuoto lasciato dal liberismo trionfante con una forma di tribalismo identitario ascrittivo, perché e come è iniziato, e come ha preso piede negli ultimi anni. Mi rifarò a studi antropologici, alla psicologia individuale e di gruppo, alla criminologia e persino al lavoro di un famoso storico e sociologo arabo del XIV secolo. Ma solo in modo non minaccioso e nella misura in cui sono utili.

Gli esseri umani devono cooperare per sopravvivere. Può non sembrare così al giorno d’oggi, quando si ordina tutto via telefono e Internet, ma ovviamente se non ci fosse nessuno a preparare e consegnare la pizza istantanea, non si mangerebbe. Sapete come coltivare il cibo e siete in grado di farlo? Sapete come rendere sicura l’acqua potabile? Sapreste riscaldarvi in assenza di energia elettrica? (Se non lo sapete, potreste scoprirlo prima di quanto pensiate). In effetti, la società moderna si basa su una divisione del lavoro quasi infinita, tanto che un problema molto piccolo (ad esempio, lo sciopero dei benzinai) può paralizzare un’intera economia. Quindi dobbiamo cooperare per sopravvivere, come abbiamo sempre fatto.

Ma ovviamente questi legami economici e la cooperazione sono solo una parte della storia. Le persone tradizionalmente vivevano in comunità allargate ed è stato sostenutoin modo persuasivo che la resistenza di queste comunità, e la loro capacità di imparare e adattarsi, è ciò che distingue gli esseri umani dagli altri animali. L’unità più elementare è la famiglia e il gruppo di parentela (anche quando ero piccolo, la maggior parte delle famiglie allargate viveva almeno nella stessa città o paese). In origine, queste comunità erano come microstati: economicamente autosufficienti e capaci di organizzazione collettiva e di autodifesa. Molte di esse (e oggi tendiamo a dimenticarlo) vivevano a un passo dall’estinzione: un cattivo raccolto di riso in alcune zone dell’Asia e il villaggio poteva morire di fame. La cooperazione era letteralmente una questione di vita o di morte.

Gli antropologi hanno studiato le società tribali fino al XX secolo e abbiamo una buona idea di come funzionassero (e in alcuni casi funzionano ancora, come i Tuareg del Sahel). Le loro osservazioni si accordano molto bene con le strutture e i comportamenti descritti nella Mudaddimah, la grande opera di storia e teoria politica e sociologica dell’intellettuale arabo del XIV secolo Ibn Khaldûn, che, come la maggior parte degli scrittori politici che vale la pena di leggere, aveva un’esperienza pratica e diretta di ciò che descriveva. E coincidono anche con quanto possiamo scoprire dalla letteratura epica come l‘Iliade, Beowulf e le Saghe norrene.

La tribù è inizialmente un gruppo di parentela esteso, che trae origine da un unico individuo. Quanto più indietro la tribù può risalire, tanto più grande è la tribù e più forte è la sua posizione. Come disse Ibn Khaldûn (e come hanno scoperto gli antropologi moderni), in una società di questo tipo le uniche persone su cui si può davvero contare in caso di emergenza sono quelle con cui si gode di un senso di solidarietà di gruppo (la Asabiyah araba e in primo luogo sono quelle che hanno legami di sangue (da qui, per inciso, l’importanza della castità femminile). Il famoso detto beduino “io contro i miei fratelli, io e i miei fratelli contro i miei cugini, io e i miei fratelli e i miei cugini contro il mondo” è spesso visto come un esempio di solidarietà progressiva, ma naturalmente la logica si applica anche al contrario. Io prendo la parte di mio fratello contro mio cugino, di mio cugino contro mio cugino di secondo grado, del mio parente di cinque generazioni dal capostipite contro il mio parente di sei generazioni, senza alcuna scelta reale, e fino alla morte se necessario. La risposta alla domanda di Carl Schmitt: “chi è il mio nemico?” è, potenzialmente, chiunque in qualsiasi momento.

Un sistema politico di questo tipo è essenzialmente anarchico e tutto ciò che tiene unito un gruppo di parentela esteso sono i legami di sangue e l’impulso alla sopravvivenza contro i nemici reciproci. Non esistono “leggi” normative universali come le intendiamo noi: l’omicidio o la rapina di estranei è onorevole e lodevole. Le tribù sono democrazie approssimative, dove nessuno ha il potere di imporre l’obbedienza. C’è spesso una figura venerata, di solito il maschio più anziano, il cui compito è cercare di trovare un consenso ed evitare pericolosi conflitti (questa è l’origine della credenza nel “patriarcato”, tra l’altro). L'”autorità” in questi contesti deriva essenzialmente dall’esperienza e dalla conoscenza: l’uomo che ha partecipato a quaranta raccolti, la donna che ha avuto quattro figli e ha contribuito a metterne al mondo altre decine, vengono ascoltati e i loro consigli seguiti. Spesso le donne anziane e rispettate fungono da emissari e negoziatori per risolvere i problemi personali e coniugali prima che diventino una minaccia per la pace della tribù (una pratica che si ritrova ancora nei patti dell’Asia).

Queste società hanno coesistito con gli Stati organizzati per migliaia di anni e il rapporto è stato conflittuale, come lo è ancora oggi, ad esempio, nel Sahel. Lo Stato è storicamente percepito come uno strumento di oppressione, che sottrae risorse senza fornire nulla in cambio. Quindi rubare allo Stato, rifiutarsi di pagare le tasse e i dazi doganali, attaccare e uccidere i suoi agenti, è considerato un comportamento onorevole. Non sorprende quindi che oggi la criminalità organizzata in Europa sia in gran parte nelle mani di immigrati provenienti da queste società (Kosovo, Cecenia…), che portano con sé un patrimonio di sfiducia e inimicizia nei confronti dello Stato e delle sue regole.

Alla fine, un potere centrale, di solito una monarchia, fu in grado di affermare e imporre il proprio controllo su queste comunità, soprattutto su quelle che vivevano in aree geograficamente accessibili. Ma questo non vuol dire che gli esseri umani iniziarono immediatamente a comportarsi come cifrari indistinguibili nella migliore maniera liberale: tutt’altro. Ancora oggi, nonostante gli sforzi dei governi, le persone sono orgogliose delle identità collettive: delle tradizioni, dei dialetti e degli accenti locali, delle credenze e delle fedi tradizionali, della storia, delle origini e della cultura comuni. Inoltre, si sono sviluppate forme di adesione volontaria: alle chiese, ai sindacati, alle associazioni comunitarie, ai partiti politici, alle associazioni professionali, persino alle squadre di calcio amatoriali e alle società ricreative. Dall’identificazione con la città natale (si pensi al disperato desiderio di Dante di tornare a Firenze) alla fedeltà alle regioni, ai governanti e infine ai gruppi etnici e agli Stati nazionali, le persone hanno sempre cercato di trovare un gruppo al di sopra e al di fuori di loro con cui identificarsi.

Il liberalismo ha passato gli ultimi duecento anni a cercare di distruggere tutto questo, e ora ci è in gran parte riuscito. Il liberalismo, lo ricordiamo, è un’ideologia di individualismo radicale: sarebbe più giusto chiamarla ideologia dell’interesse personale, o anche semplicemente dell’egoismo. L’individuo è la misura di tutte le cose e non c’è valore più alto della libertà individuale, soprattutto nella sfera economica. Ma ovviamente, in ultima analisi, la vostra libertà può implicare la mia mancanza di libertà, e l’esercizio dei miei diritti spesso impone degli obblighi a voi. Il liberalismo è essenzialmente un gioco a somma zero, una competizione per esercitare la nostra libertà e imporre obblighi agli altri, con la vittoria di chi ha più potere e denaro. Questo era un problema minore finché il liberalismo rimaneva l’ideologia d’élite che era in origine, ma qualsiasi tentativo di generalizzarlo alla società nel suo complesso era destinato a creare problemi. Da qui l’apparente paradosso che le società liberali, apparentemente votate alla libertà personale, hanno spesso leggi altamente repressive. Ma il paradosso è solo apparente: quando il liberalismo raggiunge il suo apogeo, come in questo momento, si trasforma in una guerra di tutti contro tutti e minaccia una sorta di anarchia hobbesiana, regolata solo dai tribunali e dai media. Non sorprende che alcuni abbiano definito Hobbes un liberale precoce: le società liberali di oggi si stanno avvicinando al suo mondo di anarchia temperata dall’assolutismo con una rapidità spaventosa. In realtà, il problema della libertà illimitata era già stato intuito da Robespierre e dai suoi compagni liberali della Rivoluzione francese, ad esempio, che introdussero leggi molto severe sulla moralità e resero obbligatorio il culto dell’Essere Supremo, per combattere quella che vedevano come una pericolosa deriva verso l’ateismo puro.

Non ho intenzione di spendere altro tempo per criticare il liberalismo: è stato fatto con sufficiente competenza da scrittori sia didestra che di sinistra. Voglio solo discutere i danni che il liberalismo ha causato alle strutture intermedie tradizionali delle società occidentali e che hanno provocato i disastrosi tentativi di rimediare attraverso la politica dell’identità o, come preferirei chiamarla, la politica della lamentela.

Alcuni di questi problemi potrebbero essere legittimamente descritti come effetti collaterali. Il culto della proprietà e l’incoraggiamento della speculazione hanno spinto la gente comune ad abbandonare le città e a disperdere le famiglie in tutto il Paese, ovunque potessero permettersi di vivere. La finanziarizzazione dell’economia ha distrutto intere industrie, ha devastato intere comunità, ha reso più difficile ottenere l’assistenza sanitaria e l’istruzione, ha distrutto le carriere e la stabilità che le accompagnava. La preferenza dei governi per le automobili e le autostrade piuttosto che per il trasporto pubblico ha distrutto i centri cittadini, l’abolizione delle barriere ai movimenti di merci, capitali e persone ha prodotto una corsa al ribasso di cui non ha beneficiato quasi nessuno. Eppure, anche se qualcuno si è arricchito grazie a questi sviluppi e se c’è stato sicuramente chi ha visto un profitto politico in alcuni di essi, la maggior parte dei liberali comuni che li ha seguiti lo ha fatto per un’ingenua fiducia nella “libertà” e nella capacità del mercato di risolvere tutto. Ancora oggi, alcuni si aggrappano disperatamente alla convinzione che la “flessibilità” di qualche tipo, o una maggiore istruzione, o la tecnologia dell’informazione, o l’intelligenza artificiale, o altro, rimetteranno le cose a posto.

Ma ci sono anche cose che sono state deliberatamente volute dall’eredità liberale. Il liberalismo era insofferente al passato e voleva spazzare via tradizioni, superstizioni, religione, storia, persino le nazioni, per sostituire tutto con calcoli razionali e matematici del bene comune. Così, al posto della compassione abbiamo gli anni di vita corretti per la qualità, invece di essere un bene pubblico e un mezzo per il miglioramento personale, l’istruzione è un freddo investimento destinato a produrre un flusso di entrate in un secondo momento. Invece di cittadini, con diritti e responsabilità, abbiamo residenti che potrebbero anche essere clienti, che pagano tasse ai governi e beneficiano di servizi, come gli azionisti di una società.

Tra il deliberatamente voluto e il malignamente inavvertito, la maggior parte dei punti attraverso i quali gli individui erano precedentemente in grado di collocarsi rispetto agli altri è semplicemente scomparsa. In Europa si è cercato in ogni modo di sopprimere la storia, se non nella misura in cui può essere usata per indurre sentimenti di colpa e di vergogna. In Francia, ad esempio, un interesse eccessivo per il lato drammatico e popolare della storia – battaglie, guerre, rivoluzioni, re e leader famosi – è sempre più visto come un sostegno all’estrema destra. Il testo di storia attualmente in voga, intitolato LaFrancia nel mondo, menziona la storia francese solo nella misura in cui coinvolge altre nazioni, di solito in modo negativo. Ma la logica concomitante, un genuino senso di eredità e cultura europea comune insegnata a tutti, è ugualmente inaccettabile, poiché è vista come neocolonialista e “bianca” da Bruxelles. Per uno degli scherzi più sardonici della storia, la maggior parte degli immigrati recenti in Europa arriva con un senso molto forte della tradizione, della storia, della religione e della cultura, e quando questo è in conflitto con i valori democratici e con le idee liberali, non può essere messo in discussione perché razzista. È solo questione di tempo, però, prima che i leader europei si rendano finalmente conto che se si insegna ai bambini a disprezzare il loro Paese, la sua storia e la sua cultura, pochi saranno disposti a morire per i vostri errori.

Nelle generazioni precedenti, la famiglia era il primo meccanismo attraverso il quale i bambini iniziavano a capire che vivevano in un mondo che si estendeva oltre il loro Io. La famiglia forniva modelli di ruolo buoni e cattivi, cose da emulare e da cui dissentire, modelli da seguire o da evitare, esperienze di vita da trasmettere e, soprattutto, qualcosa contro cui ribellarsi e con cui raggiungere un accordo finale, come parte del processo per diventare un individuo. Le famiglie allargate fornivano esempi positivi o negativi di nutrimento dei giovani e di cura degli anziani. Il liberalismo, con la sua convinzione che tutte le relazioni debbano essere in ultima analisi transazionali, non si è mai trovato a suo agio con la famiglia allargata e, già da Locke, ha cercato di trasformare la famiglia in nient’altro che un insieme di relazioni contrattuali tra vicini. (La narrativa inglese dalla Austen a Galsworthy non può essere compresa senza apprezzare la profondità con cui il liberalismo ha trasformato il matrimonio della classe media in un affare di contratti matrimoniali legali e lotte di successione per le eredità). Alcuni liberali della Rivoluzione francese, prendendo spunto da Rousseau, volevano liberare completamente i bambini dalle catene della famiglia e conferire loro diritti assoluti “sui loro corpi”. (Questo ha portato alla pressione per la depenalizzazione della pedofilia negli anni ’70; un’idea che sembra essere di nuovo all’ordine del giorno).

In effetti, la dottrina liberale dei diritti, la cosa più vicina a una religione per il liberalismo, è un mostro di Frankenstein: una volta che si inizia ad attribuire diritti, non c’è un punto logico in cui fermarsi. Recentemente abbiamo visto attribuire diritti agli animali, alla natura, alla Terra, persino a procedure mediche come l’aborto. Ma è chiaro che se si applicano il discorso e i presupposti dei diritti alle relazioni umane senza alcuna qualificazione, non si ottiene altro che una serie di individui alienati che vanno in giro con una lista della spesa alla ricerca di altri individui che soddisfino tutte o la maggior parte delle caselle. Il concetto di mutualità in qualsiasi tipo di relazione, di chiedersi non solo cosa voglio, ma anche cosa devo dare, è scomparso con il trionfo del liberalismo. La crescente disintegrazione delle famiglie tradizionali, in parte come sottoprodotto delle tensioni economiche, in parte come risultato sociale voluto, ha lasciato ai giovani di oggi un’esperienza spesso negativa delle relazioni personali vere e proprie, e opportunità molto ridotte di osservare gli altri, di vedere e cercare di capire cosa funziona e cosa non funziona, quali sono i comportamenti corretti e quali quelli da evitare. Oggigiorno non è insolito incontrare persone tra i venti e i trent’anni che non hanno una “famiglia” nel senso tradizionale del termine. Possono essere o meno in contatto con entrambi i genitori biologici, che possono essere o meno in contatto tra loro, e la loro vita personale sarà costellata di sensibilità, argomenti e persone da evitare.

Ora si potrebbe obiettare che questa è solo una sfortuna, che è una fase dell’evoluzione sociale umana e che in linea di principio qualcuno dovrebbe fare qualcosa affinché i bambini crescano comunque con un senso di appartenenza personale. Si tratta della stessa scuola di pensiero che ha chiuso gli ospedali psichiatrici sulla base del fatto che qualcuno si sarebbe preso cura dei detenuti nella comunità, e che le scuole erano istituzioni repressive che potevano essere chiuse e sostituite da qualcosa che qualcuno avrebbe fornito. Ma ciò che ha fatto è stato di rimettere i giovani nelle loro mani, in tutte le questioni, da quelle più banali a quelle più esistenziali. Chiedete a vostro zio, un fanatico dell’automobile a cui siete sempre stati legati, un consiglio sull’acquisto di un’auto, sapendo che l’attuale compagno di vostra madre lo detesta? Forse no, e allora vi rivolgete a Internet: ma a chi credete? (Per un’altra maligna ironia storica, i bambini asiatici hanno un successo sproporzionato nella vita grazie alla persistenza di forti legami e norme familiari. Senza dubbio, le loro società finiranno per allontanarsi da queste norme).

Bene o male, i bambini delle generazioni precedenti sono cresciuti nella consapevolezza di essere parte di un insieme più grande, che potevano accettare o rifiutare, in tutto o in parte, ma mai ignorare. (Gli effetti di frammentazione e di alienazione del liberalismo sono stati limitati, successivamente e in una certa misura parallelamente, dal conservatorismo sociale ereditato dalla gente comune, dalla cultura protestante severa e sobria orientata al dovere di gran parte dell’Occidente, dai nascenti movimenti socialisti e sindacali con la loro cultura della responsabilità collettiva e, non da ultimo, dai timori delle élite per il successo elettorale dei partiti politici di sinistra e comunisti. Ma con la conversione degli ultimi partiti di sinistra in macchine di potere da boutique negli anni Novanta e la fine del sindacalismo organizzato, la strada è stata finalmente libera per il liberismo, che ha dilagato nell’economia e nella società.

A questo proposito, è importante ricordare che il liberalismo è sempre stato interessato al potere. È nato, infatti, come ideologia borghese volta a sottrarre e mantenere il potere all’aristocrazia. Sebbene si tratti di una nozione di “libertà”, ha prodotto, come ho suggerito, una società libera in cui la quantità di libertà dipende dal potere e dalla ricchezza, e si cercano solo doveri, non responsabilità. I liberali sono quindi storicamente contrari ai sindacati, ai partiti politici di massa e a qualsiasi altra espressione di solidarietà di gruppo. E logicamente, l’ideologia liberale ha portato individui e gruppi a cercare di “liberare” se stessi e talvolta altri da restrizioni sociali “superate”.

In alcuni casi, ciò è stato del tutto lodevole: I liberali hanno avuto un ruolo di primo piano nelle iniziative per la depenalizzazione dell’omosessualità e dell’aborto e per la messa al bando della discriminazione razziale negli anni Sessanta, ad esempio. Tuttavia, questi sforzi hanno avuto successo perché sono stati visti non come richieste di parte da parte di singoli individui, ma piuttosto come un necessario adattamento della società nel suo complesso ai tempi che cambiano. Allo stesso modo, il passaggio delle donne istruite della classe media al mercato del lavoro fu visto come un risultato inevitabile dell’aumento dei posti all’università, della crescente domanda di laureati e della crescente tendenza delle donne della classe media a desiderare il tipo di carriera e di status che avevano i loro padri. Niente di tutto ciò era particolarmente controverso e in un’economia in espansione c’era spazio per tutti.

Tuttavia, in tutto questo c’era già un forte sottofondo dell’ideologia liberale del potere. L’idea di interpretare il mondo in termini di potere non era nuova: il Black Power era nato negli Stati Uniti negli anni ’60 e la sua iconografia era stata ripresa dalle prime femministe con il simbolo del pugno chiuso. In ogni caso, c’era un bersaglio identificato (i bianchi, gli uomini) a cui – alla maniera dei liberali – dovevano essere tolti benefici e potere. Come ho sottolineato più volte, gran parte di questa ideologia si basava su una comprensione incoerente dei libri e degli articoli tradotti di Michel Foucault, che scriveva di pouvoir, la capacità di ottenere le cose, e non di puissance, ovvero la cruda coercizione con la forza. Foucault era interessato al funzionamento delle società e delle organizzazioni e ai meccanismi con cui le persone si adattano ai desideri degli altri.

In effetti, le regole informali con cui funzionava la società erano ben comprese all’epoca. Ad esempio, quella che all’epoca veniva chiamata “battaglia dei sessi” era un tropo culturale popolare: La guerra tra uomini e donne era una formula verbale comune prima di diventare il titolo di una commedia romantica hollywoodiana del 1972 con Jack Lemmon e Barbara Harris, basata su vignette di James Thurber. In effetti, è impossibile comprendere la cultura popolare anglosassone di quell’epoca senza ricordare l’immagine pervasiva del marito borghese brontolone, che ogni mattina viene portato in ufficio dalla moglie. L’immensamente popolare serie comica della BBC della fine degli anni ’70 , The Good Life, con Penelope Keith nel ruolo di Margo Leadbetter, l’arrogante dal cuore d’oro, deve gran parte del suo successo al fatto che tutti potevano associare Margo e il suo simpatico ma inefficace marito Jerry a coppie che conoscevano realmente.

Ma tutto questo non riguardava ilpotere, bensì ilmodo in cui le persone prendevano accordi pragmatici tra loro, spesso non dichiarati, per poter vivere insieme. Eppure, nelle ultime due generazioni, il clima intellettuale dell’Occidente si è gradualmente adattato all’idea che, in realtà, tutte le relazioni riguardano il potere, e nient’altro che il potere. Anche a livello sociale, c’è un’ossessione per il “potenziamento” di vari gruppi presumibilmente “impotenti” e per le azioni delle persone “potenti”. Il potere, inteso nel senso puramente formale di stipendi enormi, molto personale, grandi uffici e capacità di dettare le vite degli altri, è diventato l’indice universale per misurare il successo, compreso il “successo” dei “gruppi emarginati”. Nient’altro conta, né l’apprendimento, né la competenza o la saggezza, né l’esempio morale. Naturalmente, questo attira psicopatici di ogni provenienza interessati al potere e al piacere di esercitarlo a spese degli altri.

Eppure la maggior parte delle persone non cerca il potere sugli altri, a nessun livello, ed è per questo che al giorno d’oggi le persone più capaci nelle organizzazioni raramente salgono ai vertici. Ma l’ossessione di descrivere tutto in termini di potere ha devastato anche le relazioni personali. Quella che un tempo era una teoria accademica audace, radicale e di influenza continentale, secondo la quale tutte le relazioni erano espressioni di potere, si è trasformata in uno stereotipo della cultura popolare, rafforzato da leggi e pratiche istituzionali. Ma se tutte le relazioni sono in ultima analisi incentrate sul potere, qual è l’interesse di intraprendere una relazione di qualsiasi tipo, soprattutto se la vostra cerchia sociale o l’istituzione in cui lavorate scrutano continuamente la vostra relazione per cercare un uso inappropriato di quel potere che si suppone abbiate? Non c’è da stupirsi che molte persone preferiscano stare da sole.

E questo è il nocciolo del problema. Tutti i fattori di cui abbiamo parlato si sono combinati per produrre una società che, in qualunque modo la si descriva esattamente – fratturata, alienata, frammentata – è fondamentalmente infelice, ed è resa ancora più infelice dagli effetti disintegratori della cultura popolare e politica. Ci troviamo in una situazione paradossale in cui la società e i suoi membri non hanno mai goduto di così tanti diritti, ma non sono mai stati così infelici. Il punto, naturalmente, è che la “libertà” in senso astratto non è una base adeguata per costruire la propria vita, e più “libertà” fittizia abbiamo tutti, più leggi autoritarie sono necessarie per impedire che la società degeneri nell’anarchia. La “liberazione” degli anni Sessanta e Settanta sembra ormai un sogno ingenuo di molto tempo fa. Per esempio, qualche anno fa c’è stata un’ondata di storie su come cinquant’anni di femminismo non abbiano reso le donne più felici. Questo può essere vero, ma ignora il fatto che il femminismo non ha mai avuto l’intenzione di rendere le donne felici: come tutti i movimenti di mobilitazione politica di questo tipo, mirava a rendere le persone infelici e risentite, in modo che seguissero i leader autoproclamati nelle lotte contro altri gruppi. La storia degli ultimi cinquant’anni è stata un’aspra competizione tra gruppi di interesse, prima per dividere la società e poi per governarla. Non c’è da stupirsi che la gente sia infelice.

Ma la società è come un vaso di porcellana rotto: non si può mai rimettere insieme come prima, e le fatue iniziative “comunitarie” sognate dai governi non potranno mai avere successo in assenza di comunità reali. Così, mentre la fredda consapevolezza di ciò che il liberismo ha fatto si insinua nella spina dorsale della Casta Professionale e Manageriale (PMC), l’unica soluzione è formalizzare gli sviluppi di cui ho appena parlato attraverso la creazione di comunità virtuali e ascrittive. queste mi riferisco come tribù, o più propriamente neo-tribù, poiché sono artificiali e non naturali.

Ricordiamo la discussione precedente sulle tribù. In effetti, negli ultimi decenni si è assistito alla ri-creazione di tribù, come espediente disperato per creare in qualche modo gruppi in cui identificarsi. In alcuni casi (gruppi di discussione online su film e videogiochi, per esempio) possono essere relativamente benigni e assomigliare a gruppi di affinità. Altri, invece, sono neo-tribù ascrittive che cercano di assegnare alle persone delle identità e di obbligarle a seguire delle regole. C’è un’inevitabile competizione tra gli aspiranti leader nell’ascrivere le persone a diversi gruppi, poiché tutti noi abbiamo diversi modi di identificarci e questi modi possono essere in contrasto con il modo in cui gli esterni vogliono classificarci. Per esempio, in Gran Bretagna esiste una categoria ascrittiva “neri, asiatici e minoranze etniche” (BAME), meglio descritta come “non bianchi”. Tuttavia, i suoi membri non hanno chiesto di essere inseriti in questa categoria e anche le parti che la compongono presentano problemi: le relazioni tra indiani e pakistani, tra immigrati dall’Africa e quelli dai Caraibi, per non parlare di quelle tra neri e asiatici, sono sempre state problematiche.

In entrambi i casi, però, queste neo-tribù presentano alcune delle stesse caratteristiche delle tribù tradizionali. La prima è la tendenza alla guerra intestina in assenza di un nemico esterno comune. Vediamo questo fenomeno del “me contro il mio fratello” nelle situazioni più banali: i fan di Star Trek lo difenderanno fino alla morte contro altre serie televisive di fantascienza, ma si impegnano in violente flame war tra di loro per le serie e gli episodi che preferiscono. Il crescente tribalismo è quindi il motore essenziale della progressiva disaggregazione della società e del passaggio da interessi universali a interessi altamente particolari. Anzi, si può affermare -bn Khaldûn lo pensava certamente- che si tratta della sequenza naturale degli eventi, a meno che una figura dominante non riesca a imporre il tipo di solidarietà di gruppo descritto in precedenza. Per lui, naturalmente, questa ideologia era l’Islam, che consentiva di dirigere verso l’esterno le forze altrimenti anarchiche del tribalismo, poiché “la guerra santa è un dovere religioso, a causa dell’universalismo della missione musulmana e (dell’obbligo di) convertire tutti all’Islam con la persuasione o con la forza”. Alcuni scrittori hanno visto l ‘attuale disunione fratricida nel mondo arabo come il risultato della fine effettiva di questa ingiunzione, per non parlare della lunga storia di sconfitte e occupazioni. Si potrebbe ipotizzare, infatti, che la popolarità dell’Islam politico, anche nelle sue manifestazioni violente, sia un tentativo di recuperare questa solidarietà perduta, non da ultimo tra le comunità musulmane immigrate in Europa. Dopo tutto, il nemico è inequivocabilmente presente a tutti: Stati laici, scuole in cui ragazzi e ragazze vengono educati insieme, incontri sociali misti, abiti immodesti e altre blasfemie.

La civiltà occidentale si trova oggi ad affrontare lo stesso problema essenziale, in assenza di un punto di riferimento interno o esterno, di una religione, di una tradizione o di un’ideologia per la solidarietà di gruppo. La società si frammenta quindi continuamente in frammenti sempre più piccoli – le neo-tribù di cui ho parlato – ognuno dei quali si definisce principalmente contro gli altri. Il caso più noto è la rigogliosa profusione di orientamenti e preferenze sessuali minoritarie, ormai troppo numerose per essere elencate facilmente. Obbedendo alla logica del tribalismo e in assenza di qualsiasi solidarietà di gruppo, questi gruppi si sono suddivisi in unità sempre più piccole. Anche se in teoria possono avere un unico nemico generale (la comunità eterosessuale, suppongo), questo nemico è a un livello troppo alto e troppo generale per essere di grande utilità pratica. E naturalmente devono competere ferocemente, non solo tra di loro, ma anche con altri gruppi autoidentificati o ascrittivi, non in modo violento come sarebbe accaduto in precedenza, ma per lo status di vittima e quindi per il potere.

Ad esempio, in Francia, come nella maggior parte dei Paesi, negli ultimi mesi le notizie sono state piene di Gaza. Tuttavia, la maggior parte dei pronunciamenti del governo non ha riguardato le sofferenze dei palestinesi, ma il rischio di atti antisemiti come la deturpazione di monumenti. Il governo ha persino promesso un’applicazione che consenta di segnalare tempestivamente tali atti. Sebbene ciò rifletta il potere politico della lobby ebraica in Francia, questa non è l’unica potente. I leader di vari gruppi di minoranze sessuali hanno affermato che c’è un’emergenza senza precedenti nell’odio e nella discriminazione che stanno subendo. Nel frattempo, altri gruppi di interesse stanno cercando di difendere i loro modelli di business: in un’università in cui talvolta insegno, ci sono manifesti ovunque che denunciano un’epidemia senza precedenti di violenze e molestie sessuali, con metodi semplici per denunciarle alle autorità. Ora, in qualsiasi cultura politica, ci sono gruppi di interesse in competizione con i loro modelli di business. Ma il problema della nostra cultura odierna è che non esistono più grandi questioni, ma solo piccole questioni che cercano di essere grandi. Questo è esattamente il tipo di comportamento che si riscontra nelle tribù, dove, quasi per definizione, nessuna questione extra-tribale può avere importanza. E, come le tribù ancora oggi, i gruppi di lamentele competono tra loro per saccheggiare le risorse dello Stato.

Ma la somiglianza più interessante risiede nel concetto di onore. È importante capire che non stiamo parlando dei moderni concetti occidentali di onore. Non si tratta, in altre parole, di un comportamento corretto nella vita e nei confronti degli altri, né dell’applicazione di un codice etico universale. Piuttosto, “onore” qui significa qualcosa come Ego, o status. Ad esempio, si dice spesso chel’Iliade racconti “l’ira” o “la collera” di Achille, e in effetti il greco Mênis è la prima parola del poema. Achille è arrabbiato con Agamennone per avergli portato via la schiava Briseide, che gli spettava di diritto. Generazioni di critici hanno liquidato Achille come un ragazzo che tiene il broncio dopo aver perso il suo giocattolo, ma in realtà il vero problema era uno scontro inconciliabile tra Agamennone (comandante di fatto perché aveva la forza maggiore) e Achille, riconosciuto da tutti come il miglior guerriero. Achille era frustrato e arrabbiato per quella che considerava l’inettitudine di Agamennone a comandare, e alla fine si infuriò per questa dimostrazione di potere arbitrario che minava il suo status e il suo onore. All’inizio voleva uccidere Agamennone, ma poi cambiò idea e ritirò i suoi Mirmidoni dalla battaglia, aiutando così di fatto i Troiani.

In queste società tribali (i cui resti sono ancora presenti) il concetto di onore, sia individuale che collettivo, è di fondamentale importanza. Una volta perso, può essere riconquistato solo con grande difficoltà, e in un conflitto tra tribù la parte sconfitta deve necessariamente perdere il proprio onore. Piccole cose, come nel caso di Achille, possono scatenare combattimenti letali tra gruppi e individui: fino al XIX secolo, gli aristocratici combattevano duelli mortali per insulti banali. Questo è comprensibile, nel senso che in alcuni contesti l’Onore, o Ego, è centrale per la vita, molto più del denaro o del potere formale. Lo stesso accade oggi: lo psichiatra James Gilligan ha trascorso molti anni a contatto con i criminali più violenti nelle carceri americane e ha scritto una serie di libri sulle sue esperienze. È sorprendente che la maggior parte di coloro che ha curato abbiano ucciso per motivi apparentemente banali: insulti o comportamenti di altri che consideravano inaccettabili. Anche se si rendevano conto di rischiare una punizione severa, non potevano agire diversamente senza, a loro avviso, distruggersi psicologicamente. ( Le bande di immigrati nell’Europa occidentale oggi si comportano in modo simile: di recente in Francia si sono verificati una serie di omicidi in seguito a incidenti apparentemente banali nei campi da gioco delle scuole, quando intere famiglie sono venute a punire qualcuno di un’altra tribù. L’onore è una cosa collettiva: una ragazza che indossa abiti occidentali o si mette con un ragazzo non musulmano merita di essere picchiata, o addirittura uccisa, perché ha disonorato la sua intera comunità.

Spero che possiate capire dove si va a parare. Nonostante decenni di implacabile positività (“puoi essere tutto ciò che vuoi!”) e di infinite iniziative di “empowerment”, le ultime generazioni affermano di sentirsi senza precedenti deboli e vulnerabili, e ferite dalla più piccola minaccia al loro ego. E suppongo che se si ha una posizione temporanea in un centro di ricerca scarsamente finanziato, tra persone che non si amano, senza amici affidabili e senza un futuro sicuro, il fragile senso del proprio Io è tutto ciò che si ha. Così l’onore è stato riconcettualizzato come difesa del proprio fragile Ego: le micro-aggressioni sono i nuovi insulti che chiedono di essere soddisfatti in un duello. Ma poiché non ci sono più duelli, né tanto meno guerre di Troia, la soddisfazione deriva dalla distruzione di un membro di un’altra tribù, o di un membro più lontano della propria, scagliando fulmini sui media. Le conseguenze, ovviamente, non sono necessariamente meno distruttive.

La scrittura occidentale moderna tende a presupporre uno sviluppo lineare e progressivo delle società, e che il tipo di comportamento descritto sopra sia solo un bizzarro anacronismo. Ma gli storici più antichi, appartenenti a culture diverse, erano ben consapevoli che le società sorgevano e cadevano. Ibn Khaldûn pensava che nessun regime potesse durare più di tre generazioni prima di diventare decadente e declinare. Se ha ragione, allora stiamo entrando nella terza generazione di liberismo sfrenato e il neo-tribalismo potrebbe essere il modello del futuro, mentre la società si disintegra in gruppi sempre più piccoli, sia elettivi che ascrittivi, alla ricerca di sicurezza tra i pochi su cui credono di poter contare. Non è una prospettiva felice.

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Il futuro del continente in gioco nelle elezioni europee, di Gladden Pappin

Il futuro del continente in gioco nelle elezioni europee

Le priorità dell’America First sono meglio servite da un rilancio della forza europea.

 

Europa è malata. Stremata da una guerra nel vicinato che non vede soluzione, affamata di una leadership disposta ad affrontare le sue sfide principali, l’Europa sta rapidamente diventando il “malato dell’Occidente”. Ma con le elezioni del Parlamento europeo che si svolgeranno da giovedì a domenica, gli elettori dei ventisette Stati membri dell’UE hanno la possibilità di essere l’atto iniziale nello sviluppo di un’Europa più forte che, a sua volta, sarebbe un partner migliore per l’America.

Negli ultimi anni, il consenso “atlantista” a lungo regnante, basato sull’allineamento degli interessi tra Stati Uniti ed Europa, ha assunto forme sempre più insostenibili. Spinta dalla militanza d’oltreoceano, l’Europa ha seguito un percorso bellico completamente dipendente dal sostegno militare americano, ma dagli esiti sempre più precari e incerti. Una politica di sanzioni è stata attuata con scarso riconoscimento dei suoi effetti sui cittadini comuni e i processi politici europei mostrano scarsa propensione al dibattito pubblico su questioni strategiche.

Un programma “America First” non deve necessariamente essere in contrasto con un’Europa più sovrana e autosufficiente. Anzi, possono essere complementari. Ma come arrivarci dipende dagli sviluppi europei nei prossimi mesi e da quelli americani in seguito. A che punto è la situazione?

Gli europei comuni si rendono conto che c’è qualcosa di profondamente sbagliato. Secondo l’ultimo sondaggio di Semafor, gli elettori di Francia e Germania hanno iniziato a dubitare dell’impegno degli Stati Uniti per la sicurezza europea. Tuttavia, questo sentimento non è bellicoso. Contrariamente ai politici europei mainstream, i cittadini dell’Europa occidentale sono favorevoli a una soluzione negoziata in Ucraina, ritengono che l’Europa debba essere maggiormente responsabile della propria difesa e sono favorevoli a un rapporto più equilibrato con gli Stati Uniti. Allo stesso modo, il 69% dei cittadini europei si oppone all’invio di truppe in Ucraina.

Questi punti di vista ordinari, tuttavia, non si riflettono a livello di politica europea. Invece, sempre più spesso, la malattia dell’Europa comincia ad assomigliare a una febbre. Lungi dall’indurre a riconsiderare la guerra, lo stato di stallo del conflitto ucraino ha solo spinto i leader europei a raddoppiare il loro impegno militare. La scorsa settimana, il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che l’Ucraina potrà utilizzare alcuni missili francesi per colpire obiettivi all’interno della Russia. Il segretario generale della NATO ha portato l’organizzazione vicino a superare le proprie linee rosse contro il coinvolgimento diretto nel conflitto.

La politica in Europa è ancora nazionale, ma le istituzioni di Bruxelles godono di un potere enorme. Questa disgiunzione ha causato una paralisi nella definizione del ruolo internazionale dell’Europa. Il “voto locale, con conseguenze internazionali non gestite” si è rivelato un evidente fallimento. Mentre le élite europee desiderano un “momento hamiltoniano” che possa trasformare l’Europa in un’entità politica unificata, in pratica intendono preferire le istituzioni europee isolate dall’insoddisfazione popolare.

Che cosa ha significato negli ultimi anni? Il coinvolgimento nel conflitto ucraino è stato adottato come un momento decisivo della politica europea, ma con un contributo minimo o nullo da parte dei cittadini europei. L’agenda verde favorita dalle élite di centro-sinistra è stata promossa dalla Commissione europea, di fatto l’organo di governo dell’Europa. Sono state avviate indagini sullo “Stato di diritto” contro l’Ungheria e, in passato, contro il governo conservatore polacco, rafforzando la politicizzazione delle istituzioni europee. La più recente svolta sovranista in Europa – il ritorno del primo ministro slovacco Robert Fico – ha provocato il più grave attentato politico europeo a memoria d’uomo. La conseguenza di tutte queste tendenze è stata un continente sull’orlo del declino economico, con istituzioni politicizzate e in calo di credibilità, un modello sociale distrutto dalla migrazione illegale incontrollata e un modello politico di grande fragilità.

L’Europa non ha molto tempo per iniziare a risolvere questo problema – e non può farlo da sola. Dopo aver subito le conseguenze di una politica migratoria disastrosa e aver subito il peso di una politica di sanzioni energetiche fallimentare, le riserve dell’Europa si stanno esaurendo. Manca anche il contesto istituzionale per risolvere questi problemi. A differenza della maggior parte dei parlamenti, il Parlamento europeo (PE) non propone nuove leggi, ma, nella struttura bizantina dell’UE, vota sulle politiche proposte dalla Commissione europea e dal Consiglio. Poiché l’appartenenza della Commissione è votata dal Parlamento europeo, i suoi effetti sulla definizione delle politiche europee sono indiretti ma reali.

Sotto la guida di Ursula von der Leyen, la Commissione ha rispecchiato un’agenda “centrista” nello stesso modo in cui il “centro” americano ha riflesso, nel tempo, un’agenda sempre più radicale. Come è giusto che sia, la Commissione von der Leyen è stata anche una fedele riproduttrice dell’agenda liberal-atlantista dello Stato profondo americano.

In questo caso, la possibilità di cambiamento si basa sull’inclinazione a destra del Parlamento europeo e sulla speranza che i partiti di destra possano unirsi e dare forma a una Commissione più conservatrice e reattiva. Al momento, il Parlamento europeo è dominato da un’alleanza tra i gruppi di centro-destra del PPE e di centro-sinistra S&D. Nelle ultime elezioni del 2019, tenutesi sulla scia della Brexit e della crisi migratoria, i partiti sovranisti sono cresciuti di forza. Ma la Commissione von der Leyen è stata infine eletta con un’alleanza “centrista” di centro-destra e centro-sinistra.

I sondaggi attuali indicano che l’esito probabile delle elezioni è un’inclinazione a destra. Ricucire i partiti e i gruppi partitici europei corrispondenti è un’altra questione: oltre al PPE, i gruppi partitici europei di destra, i Conservatori e Riformisti Europei (ECR) e Identità e Democrazia (ID), sono dominati rispettivamente da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e dal Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen. L’ID ha recentemente espulso dalle sue fila il partito tedesco AfD; anche in questo caso, le esigenze di politica interna potrebbero ostacolare le alleanze tra i partiti di destra. In Ungheria, il partito Fidesz di Viktor Orbán non è legato ad alcun raggruppamento di partiti e ha espresso l’intenzione di aderire all’ECR. Ma solo i risultati delle elezioni mostreranno quali combinazioni sono possibili.

Gli scettici americani sul coinvolgimento nel conflitto ucraino hanno talvolta gettato asperità sulla destra europea (in particolare sull’italiana Meloni) per non essere stata più coraggiosa nel sostenere una risoluzione rapida e pacifica del conflitto. Ma fino a quando l’Europa dipenderà fortemente dal sostegno esterno, sarà velleitario aspettarsi che la maggior parte dei politici europei si discosti dal consenso transatlantico. Una vera trasformazione della politica europea verso la ricerca di una soluzione pacifica richiede un cambio di leadership e lo sviluppo di una più forte capacità di difesa nazionale.

A prescindere da ciò che accadrà nelle elezioni, la capacità europea di perseguire i propri obiettivi di politica estera richiederà un delicato equilibrio da parte di qualsiasi corrispondente risorgenza conservatrice negli Stati Uniti. Il triste dato di fatto è che il dibattito europeo sul suo ruolo internazionale si è ridotto a uno stato molto degradato, con poche discussioni su questioni strategiche di guerra e di pace. In altre parole, l’Europa ha svuotato le proprie casse per sostenere lo sforzo militare dell’Ucraina senza alcun piano per la conclusione del conflitto. Quando i politici europei parlano come se avessero il vento in poppa, lo fanno sulla base del percepito sostegno americano e non sulla base della forza geopolitica dell’Europa.

Lo stato di necessità della difesa europea e i limiti della proiezione militare globale americana hanno spinto molti esponenti della destra americana a insistere su un ruolo maggiore dell’Europa nella propria autodifesa. Tuttavia, se un’amministrazione Trump dovesse perseguire questo approccio, dovrà favorire le condizioni necessarie affinché i leader politici europei identifichino gli interessi strategici europei e sviluppino modi per calcolare la natura della propria sicurezza e difesa. Non basterà semplicemente dire che l’Europa dovrebbe occuparsi della propria difesa. I conservatori americani dovranno aiutare direttamente le forze sovraniste europee a ripensare le priorità strategiche dell’Europa.

La natura sempre più militante del consenso transatlantico ha tuttavia ostacolato lo sviluppo di questa mentalità strategica in Europa. Attualmente, i politici europei perseguono volentieri il disaccoppiamento dai mercati energetici russi o cinesi se l’imperativo viene da Washington che lo richiede in nome della sicurezza occidentale.

In altre parole, le aspettative “realiste” americane non si realizzeranno per l’Europa se non si darà all’Europa la possibilità di definire i propri interessi e di avere le condizioni economiche e politiche necessarie per realizzarli.

Molti scettici americani dell’intervento si sono preoccupati del fatto che gli spostamenti a destra non abbiano portato a una riconsiderazione della guerra. Ma è difficile per un’Europa economicamente indebolita, militarmente sottosviluppata e socialmente lacerata sviluppare il quadro di una solida autodifesa. La guerra è costata finora all’Europa circa 100 miliardi di euro (gli Stati Uniti hanno contribuito con una cifra analoga), oltre a un costo di opportunità incalcolabile, dato che i prezzi dell’energia sono aumentati e gli affari e il commercio si sono esauriti.

Con Trump pronto a superare la candidatura di Biden alla Casa Bianca, il posto dell’Europa nell’alleanza occidentale sarà presto al centro della scena. Se Trump andrà al potere, il ruolo dell’America in Europa potrà essere gestito solo con la forte presenza di forze sovraniste in Europa.

L’agenda America First potrà affermarsi negli Stati Uniti solo se i patrioti europei avranno la possibilità di sostituire l’unipartito europeo con forze sovraniste intenzionate a definire e realizzare un percorso che abbia senso per l’Europa. Tale percorso sarebbe costruito su nazioni forti, un’economia interconnessa, un processo decisionale strategico e un nesso culturale ripristinato.

Nei prossimi giorni scopriremo quali sono le forze politiche che l’Europa ha a disposizione in questa lotta fondamentale.

Putin fornisce la prima idea ufficiale delle perdite russe dall’inizio dell’SMO, + ulteriori informazioni dallo SPIEF_di SIMPLICIUS

Ieri allo SPIEF ufficiale (Forum economico internazionale di San Pietroburgo) Putin ha tenuto una tavola rotonda aperta di 3 ore estremamente rivelatrice con giornalisti stranieri. Farò un’analisi di alcune delle clip e degli estratti sonori più interessanti, anche se puoi vedere l’ intero incontro importante qui.

Ma prima parliamo della più interessante delle rivelazioni:

Il MOD russo ha smesso di elencare le perdite ufficiali intorno a maggio del 2022, probabilmente dopo che è diventato evidente che il conflitto si sarebbe trascinato e le perdite sarebbero cresciute a un livello inadeguatamente doloroso.

Ora allo SPIEF, Putin ha dato la prima indicazione da allora sulle perdite russe quando ha affermato che la Russia perde 1 soldato ogni 5 ucraini, oltre a fornire una cifra esatta per i prigionieri di guerra, che afferma come segue:

Ci sono 1.348 soldati e ufficiali #russi prigionieri in #Ucraina, e 6.465 di questi #ucraini in #Russia, ha detto #Putin.

C’è molto da digerire e disfare qui, quindi facciamolo una cosa alla volta.

Innanzitutto spieghiamo esattamente cosa dice:

  • Entrambi i paesi perdono 50.000 uomini al mese perdite irrecuperabili e sanitarie, ovvero le vittime totali includevano feriti, KIA, ecc.
  • Il rapporto tra i loro feriti e KIA è 50/50, il che significa che su 50.000, 25.000 di loro sono effettivamente KIA. (nota: questa è un’elevata percentuale di KIA rispetto ai feriti a causa della relativa mancanza di medicine sul campo di battaglia dell’Ucraina che causa la morte di molti più feriti, per non parlare dell’uso da parte della Russia di potenti attacchi aerei/bombe che in proporzione uccidono semplicemente molti più soldati sul colpo)
  • L’Ucraina mobilita 30.000 nuovi uomini al mese dalla strada.
  • Il rapporto tra le perdite russe e ucraine è di 1:5 a favore della Russia.
  • Il rapporto tra i prigionieri di guerra è di 1.348 a 6.465 a favore della Russia.

Ora iniziamo a scomporlo:

Il conteggio ufficiale del MOD russo delle perdite totali ucraine è di circa 500.000 secondo l’ultimo rapporto, poco più di un mese fa:

Pertanto, dato che la cifra di 500.000 è una cifra ufficiale del MOD russo che Putin presumibilmente non contraddirebbe, possiamo solo supporre che le perdite russe siano quindi 1/5 di quella cifra, che sarebbe di circa 100.000.

Ricordiamo che MediaZona/BBC hanno i nomi russi presumibilmente confermati di quelli che ora sono circa 54.000 KIA. Affermano che si tratta solo di truppe russe e non contano DPR/LPR, che secondo loro sono altri circa 23.000 morti. Hanno inoltre estrapolato il conteggio dei nomi confermati di 54.000 per un totale di circa 84.000 morti, basandosi sul presupposto che non possono confermare ogni morte effettiva.

Pertanto, utilizzando quanto sopra, possiamo supporre che il KIA da parte russa potrebbe essere qualcosa del tipo: 54k (Russia) + 23k (LDNR) = 77k; o la loro stima estrapolata di 84k + 23k = ~107k.

Tuttavia, questo è solo KIA. Ciò non tiene conto delle “perdite irrecuperabili” della Russia, che sono persone mutilate o troppo ferite per combattere ancora. Gli irrecuperabili della Russia sono molto più piccoli di quelli dell’Ucraina a causa della medicina russa sul campo di battaglia di gran lunga superiore e della capacità di evacuare le truppe ferite in tempo per salvarne gli arti, ecc. Ciò è dovuto alla maggiore disponibilità di elicotteri e altri mezzi di trasporto. Anche così, possiamo stimare che ci debbano essere almeno altri 20-40.000 irrecuperabili, se non di più, e ho visto alcune cifre credibili correlate che indirettamente mi portano a credere che non sia molto di più.

Quindi, se si calcola che i KIA/irrecuperabili rappresentano tipicamente circa il 25-35% di tutti i feriti, possiamo supporre che i feriti totali possano essere altri 150-250.000, il che ovviamente si riferisce non solo a persone ferite così leggermente da ritornare in guerra, ma che contano anche due, tre o più volte nel conteggio perché vengono feriti più volte nel corso della guerra. Pertanto, ad esempio, 300.000 “feriti” potrebbero in realtà rappresentare solo 100-200.000 persone reali; ci sono molte persone che possono ottenere più “cuori viola”.

Il punto che sto cercando di sottolineare è che il numero ufficiale delle “vittime” statunitensi per la Russia è qualcosa come 350.000, e contando i feriti leggeri questo potrebbe benissimo essere relativamente accurato. Tuttavia, se si contano anche i feriti in Ucraina, il totale delle “vittime” di ogni tipo potrebbe superare il milione. L’Ucraina potrebbe avere 350.000 morti con probabilmente altri 150.000 irrecuperabili/disabili (costituendo così le 500.000 perdite totali “irrecuperabili” dei dati ufficiali del MOD russo), e poi altre centinaia di migliaia di feriti regolari che sono costretti a tornare in combattimento. Ricordiamo che Putin ha affermato che il rapporto è 50/50, il che comporterebbe 500.000 feriti aggiuntivi per un totale di vittime di 1 milione.

POW

Secondo Putin, la disparità ufficiale dei prigionieri di guerra è di 1.348 soldati russi prigionieri in Ucraina e 6.465 soldati ucraini prigionieri in Russia.

Primo: questo numero sembra stranamente basso dato che abbiamo avuto molti numeri precedenti che indicavano un numero molto più alto di prigionieri di guerra ucraini, che ho riportato qui – quindi cosa succede?

Ad esempio, anche l’agenzia di stampa ufficiale russa TASS ha riferito che ben 10.000 prigionieri di guerra ucraini sono stati catturati subito dopo la messa in onda del canale Volga nell’estate 2023, durante la grande “controffensiva”:

Secondo questo, si tratta di ben 10.000 persone che si arrendono in soli 3 mesi.

Proprio il mese scorso, ho trattato questo rapporto in cui si afferma che la Russia ha oltre 20.000 prigionieri dell’AFU mentre l’Ucraina ha 800 prigionieri di guerra russi e 5.000 LDPR:

Allora perché questa discrepanza?

Diverse ragioni possibili:

  1. Putin si riferisce solo ai prigionieri ucraini che la Russia ha, cioè sul territorio nominale russo .

È noto da tempo che i prigionieri di guerra ucraini vengono tenuti separati sia nel Donbass dalle autorità LPR/DPR che in Russia, a seconda delle accuse e di chi li ha catturati. Nonostante ora l’LDPR faccia ufficialmente parte della Russia, Putin potrebbe ancora riferirsi solo ai prigionieri di guerra sul territorio russo. Per vago ricordo, l’ultima volta che ho sentito cifre credibili molto tempo fa è stato detto che nel Donbass c’erano migliaia di prigionieri di guerra ucraini e che ce n’erano altre migliaia anche in Russia.

  1. La Russia spesso effettuava scambi sfavorevoli, ad esempio da 100 a 50, ecc., quindi potrebbe aver ridotto il conto alla rovescia dei prigionieri AFU molto di più rispetto ai prigionieri di guerra russi prigionieri ucraini.
  2. La Russia ha concesso l’amnistia a molti prigionieri di guerra quando il loro background è stato controllato e si è scoperto che non erano radicali/nazionalisti ideologici, e sono stati rimossi dalla lista o addirittura concesso asilo e cittadinanza in Russia.

Ad esempio, ecco una storia commovente di Pasha, un prigioniero ucraino che si rifiutò di essere riportato in Ucraina. Invece, ha giurato fedeltà alla Russia e gli è stato permesso di trasferirsi a Mosca con la sua euforica fidanzata:

E ce n’erano molti altri come questo.

  1. In relazione a quanto sopra, come molti sanno, la Russia ha formato diversi battaglioni – e forse anche molto di più – interamente di prigionieri dell’AFU che scelgono di combattere ora per la Russia e sono ora considerati uomini liberi – o almeno dopo il loro servizio.

Uno di questi famosi battaglioni ha anche una propria wiki e una propria fonte di dati: https://en.wikipedia.org/wiki/Bogdan_Khmelnitsky_Battalion

Il battaglione Bogdan Khmelnitsky (russo: Батальон Богдана Хмельницкого), o battaglione Bohdan Khmelnytsky, è, secondo i media statali russi, un “battaglione di volontari” russo formato nel febbraio 2023, presumibilmente da prigionieri di guerra ucraini che hanno disertato passando all’esercito russo.

E ce n’è un altro conosciuto chiamato battaglione Maxim Krivonos, anch’esso composto interamente da disertori dell’AFU, che ha appena pubblicato un nuovo video questa settimana e ha il proprio canale Telegram .

⚡⚡⚡️ Esclusivo!

Squadra che prende il nome da Maxim Krivonos.

Il personale militare delle Forze armate ucraine passato dalla parte della Federazione Russa, insieme ad un’altra unità, fa prigionieri altri militari delle Forze armate ucraine.

Un combattente con il nominativo “Bianco” racconta l’intera storia attraverso il prisma di un uomo che è stato dall’altra parte e ora sta combattendo per questo…

Anche un altro combattente della stessa squadra ha rilasciato un’intervista al nostro amico.

Dato che un battaglione può avere fino a 400-800 uomini e la Russia ne ha potenzialmente formati diversi, possiamo concludere che diverse migliaia di prigionieri di guerra ucraini furono rimossi dal conteggio dei prigionieri in questo modo.

  1. Ci sono centinaia, e forse anche migliaia, di prigionieri di guerra dell’AFU che sono già stati giudicati colpevoli e condannati al carcere per i loro crimini, in particolare i vari soldati Azov di Mariupol. In effetti, proprio questa settimana è arrivata la notizia di un altro gruppo condannato al carcere. Questi ovviamente non sono più prigionieri di guerra e ora sono soggetti a titolo definitivo dei penitenziari federali.

Come potete vedere, con una combinazione dei metodi di cui sopra, la Russia avrebbe eliminato almeno diverse migliaia di prigionieri di guerra dal conteggio ufficiale.

In ogni caso, la cifra di Putin da 1.348 a 6.465 corrisponde alla disparità generale di 1:5 delle vittime che ovviamente corrisponde perfettamente e ci dà più fiducia che le vittime regolari siano davvero 1:5 a favore della Russia.

Mobilitazione

Questa parte è molto interessante e forse più pertinente alla guerra in corso.

Putin ha annunciato che l’Ucraina perde 50.000 persone al mese, con un rapporto di 25.000 feriti irrecuperabili e 25.000 feriti recuperabili. Ma afferma che l’Ucraina è riuscita a mobilitare efficacemente circa 30.000 uomini al mese.

Ciò ovviamente significa che l’Ucraina è, per ora, in grado di mantenere il suo potenziale di combattimento, anche se con qualità delle truppe progressivamente peggiori.

Ricordiamo come i rapporti precedentemente dichiarati dagli stessi funzionari dell’AFU concordano con ciò. Ad esempio, Zaluzhny ha affermato che l’Ucraina ha bisogno di 20.000 uomini al mese solo per tenere il passo, mentre altri come Budanov hanno dichiarato più di 30.000 uomini:

Molti altri ufficiali e funzionari ucraini hanno affermato che l’Ucraina ha bisogno di mobilitare un totale di 250.000 per l’intero anno 2024, ovvero circa 20.000 al mese, come ha fatto il comandante dell’unità d’élite dei Lupi di Da Vinci:

Mentre un nuovo dispaccio di un parlamentare ucraino afferma che servono 110mila:

Siamo a metà anno e, poiché si tratta di una nuova versione, possiamo supporre che intenda 110.000 in più oltre a quanto già mobilitato nella prima metà dell’anno, che avrebbe potuto già essere 5 x 20-30.000 .

A proposito, l’Ucraina ha più di 21 “regioni”, ciascuna con dozzine di paesi, città, villaggi, ecc. Se si analizza questa cifra di 20-30.000 al mese, ogni regione deve mobilitare 1.000 uomini al mese, ovvero circa 30 al giorno.

Considera quanto sia fattibile: ogni regione ha dozzine di paesi/città e necessita solo di 30 uomini al giorno in totale. Ciò significa che in ogni città i commissari devono solo trovare uno o due uomini e gettarli sul retro dell’autobus. Moltiplicalo per una dozzina di città e avrai 30 città nella regione. Moltiplicalo per 30 giorni e avrai i tuoi 1000 per quel mese. Moltiplicalo per 20 regioni e avrai i tuoi 20.000 al mese.

Il problema è che le persone hanno reagito in massa : ecco l’ultima raccolta di proprio ieri:

Un esempio di rapporto di oggi che mostra l’intensità della caccia al foraggio:

A Chernivtsi la situazione è critica , a causa della mobilitazione la città rischia di crollare nei servizi pubblici. Il sindaco Klitschukh ha detto che solo nell’ultima settimana Vodokanal ha ricevuto 52 convocazioni, 25 convocazioni al dipartimento filobus e 70 convocazioni al mercato. Nelle stazioni ferroviarie e degli autobus, gli spazzini danno la caccia alle persone con tale attività che presto nessuno verrà in città.

Per quanto riguarda le perdite, considera questa ripartizione:

I 25.000 KIA mensili dell’Ucraina equivalgono a circa 800 KIA al giorno.

Nella guerra, ci sono circa 5 fronti principali: la zona di Kupyansk-Kremennaya-Seversk, la nuova regione rivoluzionaria di Kharkov, la zona di Donetsk (che comprende Bakhmut, l’area di Avdeevka e altre), il fronte di Zaporozhye e il fronte di Crimea/Kherson.

Esempio dimostrativo, meno Kharkov:

Ciascuno di questi 5 fronti principali è composto da circa 15-20 brigate ucraine per una lunghezza totale del fronte di circa 1.200 km. Questo si riduce a circa 100+ brigate che coprono spazi di 10 km ciascuna.

Ora quei 5 fronti divisi per 800 perdite equivalgono a circa 160 KIA per fronte al giorno. Poiché ogni fronte ha circa 15-20 brigate, possiamo dire in modo molto approssimativo che questo distribuisce circa 8-10 KIA per brigata.

Ora pensiamo un po’ più a fondo a quante reali battaglie granulari, assalti, ecc. hanno luogo su ogni particolare fronte.

Prendiamo ad esempio il fronte di Donetsk:

Mentre parliamo, a Chasov Yar sono in corso importanti battaglie che coinvolgono più brigate, reggimenti, dozzine di battaglioni separati ecc. Ci sono assalti quotidiani lì con ciascuna parte che combatte aspramente e perde uomini. Stessa cosa poi nella zona di Avdeevka, attorno a Ochertino, con gli assalti che ieri sono avvenuti a Sokol e in altri villaggi vicini.

Un po’ più in basso, ieri abbiamo avuto diverse battaglie intorno a Karlovka vicino a Neteilove, a Krasnogorovka più a sud, a Georgievka nelle vicinanze e a Konstantinovka vicino a Novomikhailovka.

Questa è solo una regione, tutte con le proprie brigate separate in combattimento attivo, che dovrebbe avere 160 KIA totali secondo i nostri numeri. Ci sono battaglie più piccole che non ho nemmeno elencato, ma anche solo tra quelle sopra indicate, significa che l’AFU deve subire solo circa 20-30 vittime per battaglia. Ciò può essere fatto con un singolo lancio di una bomba FAB o solo con pochi minuti di lavoro con i droni; e ricordate, la Russia sta ora lanciando centinaia di Fab al giorno, con alcuni fronti che ne dichiarano 40-80 solo sul proprio fronte, come recentemente a Kharkov. Ricordiamo che solo diversi giorni fa in uno dei miei articoli recenti ho pubblicato due rapporti diretti in prima linea dell’AFU che elencavano “diverse dozzine” di vittime proprio per quel battaglione proprio in quel giorno segnalato. Ricorda, un singolo BMP/portatruppe fatto saltare in aria può causare istantaneamente circa 10 vittime.

Espandilo a tutte le battaglie granulari di ciascuna regione e puoi facilmente arrivare a 160 KIA per regione e ~ 800 KIA in totale per la giornata.

Per convalidare la spiegazione di cui sopra, ecco le perdite ucraine ufficiali del MOD russo per oggi, 6 giugno: nota come i numeri della ripartizione regionale corrispondono a ciò che ho descritto:

Dal riepilogo del Ministero della Difesa della Federazione Russa del 6 giugno 2024 Le perdite del nemico ieri ammontavano a:

⏺1.490 militari 12 veicoli corazzati, inclusi 2 carri armati 26 sistemi di artiglieria, di cui 5 cannoni semoventi

⏺25 unità di veicoli speciali

⏺48 UAV

⏺stazione di guerra elettronica “Bukovel-AD”

➖ Sono stati distrutti due depositi di munizioni dell’AFU in direzione di Donetsk.

➖ Sono interessati: un magazzino di stoccaggio per imbarcazioni senza equipaggio, un luogo per l’addestramento e il lancio di veicoli aerei senza equipaggio del tipo di un aeroporto, nonché luoghi temporanei per mercenari stranieri.

➖ Sette razzi HIMARS e Alder, nonché un missile antinave Neptune, sono stati abbattuti da mezzi di difesa aerea.

Anche:

L’Ucraina potrebbe semplicemente tenere il passo con le perdite, secondo i numeri di Putin, ma ciò significherebbe che si sta ancora effettivamente riducendo rispetto alla Russia. Questo perché l’esercito russo sta crescendo poiché sta reclutando un numero netto positivo di soldati rispetto alle proprie perdite. Ciò può essere facilmente confermato da tutti i recenti rapporti dell’UA secondo cui la Russia sta stazionando centinaia di migliaia di nuovi uomini nel nord, per non parlare delle richieste, in preda al panico, della NATO di inviare truppe per liberare tutti gli ucraini che non sono in prima linea. Che, a proposito: si dice che il rapporto baionetta/truppe da combattimento rispetto alle truppe di retroguardia/non combattenti ( rapporto denti-coda ) dell’Ucraina sia già del 50%, il che è estremamente anomalo. Gli eserciti moderni in genere hanno un rapporto di truppe da combattimento del 10-30% circa. Ciò significa che l’Ucraina ha già sfruttato gran parte dei suoi ruoli essenziali non combattenti in prima linea. Detto questo, l’Ucraina è in grado di mantenere un rapporto così folle grazie al fatto che la NATO agisce effettivamente come “coda” delle AFU, in particolare nella critica operazione logistica di retroguardia polacca dove transita la stragrande maggioranza dei rifornimenti dell’Ucraina.

In definitiva, ciò significa che man mano che l’esercito russo cresce, la parità delle forze peggiorerà sempre di più per l’Ucraina poiché è in grado di pareggiare le perdite solo ogni mese mentre le forze armate russe accumulano un importante netto positivo.

Come ultimo esperimento mentale, ora che disponiamo di cifre credibili sulle perdite dell’Ucraina, possiamo teoricamente calcolare quando l’Ucraina potrebbe rimanere senza uomini disponibili. Ho pubblicato questi numeri qualche rapporto fa:

Nei prossimi mesi, dopo aver abbassato la leva a 25 anni, altri 100mila uomini nati nel periodo 1998-1999 saranno arruolati nelle forze armate ucraine. In questi anni sono nati 416.349 maschi. Circa la metà di loro sono già all’estero. Evoca la metà rimanente.

Ricerche superficiali mi mostrano che l’Ucraina ha avuto una media di circa 100-150.000 nascite maschili all’anno durante la maggior parte degli anni ’90.

Possiamo quindi dedurre che passando da 25 a 18, come Putin dice di voler fare, renderemmo disponibili altri 7 x 100.000 = 700.000 uomini, o 7 x 150.000, otteniamo ~ 1 milione.

All’attuale tasso di consumo di 30.000 al mese, ci vorrebbero 33 mesi o circa 2,5 anni per ridurre la quantità “generosa” del loro potenziale di combattimento maschile. Per il numero 700k ci vorrebbero solo 23 mesi o poco meno di 2 anni. Inoltre, questo non tiene conto, come afferma la citazione sopra, del presupposto che la metà o più di questi siano già fuggiti da tempo, il che ridurrebbe tali cifre a meno di 1 anno o circa un anno e qualche mese, nel caso generoso.

Naturalmente, molte altre ragioni sociali, economiche e morali potrebbero probabilmente portare a un collasso ancora più rapido se anche solo una parte di quel gruppo rimanente di uomini fosse divorata dall’esercito russo.

I punti salienti di Putin

Diamo un’occhiata ad alcuni dei suoni più importanti:

Sul tema della mobilitazione, Putin afferma che l’amministrazione statunitense sta ora facendo pressioni sull’Ucraina affinché abbassi l’età di mobilitazione fino a 18 anni e, cosa più critica, che hanno solo bisogno di Zelenskyj come capro espiatorio per approvare la legge per farlo. Una volta che lo costringeranno ad abbassarlo a 18, si libereranno di lui. Putin fornisce anche la tempistica esatta: crede che ci vorrà circa un anno a partire da oggi, ed entro la prossima primavera cacceranno Zelenskyj poiché ci sono molti “altri candidati” che hanno in mente:

Inoltre va notato che nella sezione immediatamente successiva, egli afferma che tutto ciò è dovuto alle perdite in corso e che le 50.000 mensilità citate in precedenza sono “solo le perdite che possiamo vedere (confermare) sul campo di battaglia”. Afferma che probabilmente ci sono molte più perdite anche più in profondità nella profondità strategica dove la Russia non può stimarle:

E ricordate, implicito nella proiezione di un anno di Putin per la caduta di Zelenskyj è il messaggio che Putin crede che la guerra ucraina andrà avanti anche più a lungo. Se crede che ci vorrà un anno solo perché scendano a 18 anni, allora ci vorrà un po’ di tempo prima che la Russia possa superare l’ultima fase di mobilitazione. Detto questo, la mia previsione a lungo termine per la fine della guerra era da qualche parte nel secondo trimestre o a metà del 2025, quindi potrebbe essere in linea con questo.

Putin chiarisce che, sebbene la Russia non “agiti il ​​testimone nucleare”, la sua dottrina nucleare è lì per una ragione e la Russia di fatto utilizzerebbe armi nucleari se la sua dottrina venisse violata:

In una nota umoristica, Putin dice che è positivo che l’Occidente lo veda come un mostro: “Lascia che abbiano paura”.

Putin dice che gli specialisti francesi e britannici devono inserire tutte le coordinate e “automatizzare” i compiti di volo dei missili da crociera franco-britannici per l’Ucraina, il che implica la loro partecipazione alla guerra:

Ciò ovviamente ha portato al segmento più discusso di tutti. Putin ha proposto lo scacco matto asimmetrico all’impero anglo-occidentale affermando che se l’escalation continua, la Russia sarà libera di fornire le proprie armi a qualsiasi avversario ostile degli Stati Uniti e dei suoi vassalli. Ciò ovviamente implica missili da crociera balistici avanzati o assassini di navi destinati agli Houthi per distruggere una volta per tutte le risorse della Marina americana nel Mar Rosso, ecc.:

Il pensiero di un analista:

Dove può mettere la Federazione Russa i suoi sistemi a lungo raggio, ecc.?
Sì, nello stesso Yemen o Libano, ecc.
Lo Yemen li batterà nel commercio marittimo, il Libano in Israele, ecc.

C’è ancora il Venezuela. Molto scomodo per gli Stati Uniti in momenti diversi.
Supponiamo che più razzi vadano a Cuba o in Africa.
Sì, in futuro ci saranno nuove guerre in cui si combatterà contro qualcuno e poi, seguendo l’esempio della crisi ucraina della Federazione Russa o di altri paesi, gli avversari potranno trasferire ufficialmente le armi.

Ci sono opzioni.
Ricordate, abbiamo scritto che l’Occidente ha violato gli accordi taciti del kuloir per i casi militari. Permettere colpi alla Russia è solo da qui.

Parte di questa azione di escalation è già stata vista poiché la Russia ha ora annunciato una flottiglia navale a Cuba e nei Caraibi, dove verranno eseguite esercitazioni di carattere ovviamente dimostrativo proprio accanto agli Stati Uniti.

Che a quanto pare includerà il sottomarino nucleare di classe Yasen con capacità ipersonica Zircon:

Due ultime parti di interesse:

Putin rimprovera l’Occidente per i suoi pregiudizi:

Putin spiega cosa significa la denazificazione per l’Ucraina:

Putin paragona la situazione del Kosovo a quella del Donbass, citando l’ipocrisia e i doppi standard della NATO nel rispondere alle due crisi:

Per la cronaca, rispetto alla situazione delle armi occidentali, un Biden dall’aspetto decrepito ha ora chiarito di aver autorizzato l’uso di armi americane solo nella regione russa delle ostilità vicino al confine, non nelle profondità della Russia:

Allo stesso modo, anche se non ho ancora visto una verifica completa, Macron avrebbe autorizzato l’uso di Storm Shadows sul territorio russo, ma “solo per colpire siti da cui provengono gli stessi missili/attacchi russi”.


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Ripensamenti ai poli_ Con Max Bonelli, Ivan Santacroce, Alfio Krancic

Negli anni ’70 tra gli ambienti classicamente istituzionali, con la parziale eccezione del Partito Socialista, imperava nelle bocche e nella penna degli esponenti politici l’epiteto della “convergenza tra gli opposti estremismi”. Un vero e proprio anatema che intendeva esorcizzare ed accomunare due aree politiche in realtà ferocemente distinte e contrapposte in nome della difesa della democrazia nei proclami, degli assetti sostanziali di potere e delle alleanze internazionali nella sostanza. Un esorcismo che tendeva da una parte a disconoscere il ruolo politico di quelle due aree politiche, salvo contrattarne la partecipazione discreta, ma occasionale nelle varie contingenze, necessaria alla gestione delle costanti fibrillazioni interne agli schieramenti dominanti; dall’altra ad accomunare, quindi a screditare ed additare al pubblico ludibrio, le componenti più mature di ciascuno di quei due poli alle frange più distruttive e nichiliste del terrorismo, puntando il dito senza appello sulle pur esistenti zone d’ombra di contiguità, con il solo scopo di disconoscere le basi sociali e culturali di quei fenomeni e di quegli avvenimenti. Fatto ancora più rilevante, ad accomunare le componenti disposte ad assecondare le mire egemoniche degli stati egemoni all’epoca con quelle attente rispettivamente all’indipendenza nazionale e all’emancipazione sociale. Ci ha pensato il tempo ad evidenziare, comunque, i limiti e i paradossi di quelle realtà. Da circa dieci anni stiamo assistendo ad una riproposizione di questo esorcismo sotto l’egida della condanna del cosiddetto “sovranismo” e il ripudio delle formazioni politiche “rosso-brune”. I paladini sono, di fatto, gli epigoni di buona parte dello schieramento politico di quei tempi, ma con una adesione ancora più piatta e univoca all’atlantismo. Gli argomenti attuali, in realtà, a sostegno delle pratiche esorcistiche, sono molto più fragili. Il termine “sovranismo”, letteralmente non fa che riproporre l’importanza delle prerogative dello stato nelle dinamiche geopolitiche e nella gestione interna delle formazioni sociali. Un termine in realtà troppo generico per definire un programma politico unificante, ma il cui utilizzo come anatema rivela inconsapevolmente la postura dimessa e servile degli alfieri di tale narrazione. Nella realtà politica odierna emerge, però, una novità. Il tema dell’interesse nazionale, della sua definizione, della collocazione internazionale in una fase di incipiente multipolarismo sta portando effettivamente ad un avvio di dibattito comune tra aree un tempo acerrime avversarie ed incomunicabili. La contingenza delle elezioni politiche da adito al sospetto di operazioni affrettate ed opportunistiche che più volte hanno già portato ad esiti nefasti. Un tema appunto prettamente politico per il cui svolgimento e conseguimento gli stessi operatori economici, tra essi i tanto celebrati operatori della finanza, assumono un ruolo in primo luogo politico in condominio, piuttosto che in posizione di predominio, con gli altri attori. Qualche traccia di una sedimentazione più seria del dibattito politico-culturale si comincia a notare, anche se dannatamente in ritardo rispetto all’incalzare degli eventi. Determinata più che da dinamiche interne, dalla crescente uniformità politica, culturale e dalla conseguente sterilità e strumentalità degli argomenti della compagine degli esorcisti Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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