“Molte questioni “woke” corrispondono all’agenda degli islamisti”, di Eugénie Boilait

FIGAROVOX/ INTRODUZIONE. – In uno studio per la Fondazione per l’Innovazione Politica, Lorenzo Vidino analizza il legame tra wokismo e islamismo. Gli islamisti usano la lotta alla discriminazione per diventare gli interlocutori privilegiati delle istituzioni occidentali, spiega.

FIGAROVOX. – Cosa intendi con “svegliato l’islamismo”? Non c’è una contraddizione in termini?

Lorenzo VIDINO. –  La contraddizione è solo apparente, in realtà il termine descrive una dinamica che si manifesta in tutti i paesi occidentali: gli islamisti, in particolare quelli delle generazioni più giovani, adottano le questioni e il quadro di pensiero del movimento vegliato (ndr, to be woke , sveglio in inglese comprende tutto ciò che riguarda l’ingiustizia e l’oppressione, la cui lotta è portata come standard dai seguaci di questo movimento). Nonostante i loro forti legami con i Fratelli Musulmani e altri gruppi islamisti, la maggior parte di questi giovani attivisti usa raramente riferimenti islamisti e, se lo fa, lo fa in termini sommessi. Piuttosto, parlano il linguaggio della discriminazione, dell’antirazzismo, dell’oppressione interiorizzata, dell’intersezionalità e della teoria postcoloniale. Molte delle cause che abbracciano, come l’ambiente o l’abbassamento delle tasse universitarie, non hanno nulla a che fare con l’islamismo. Altri possono essere visti come lamentele tradizionali sovrapposte dell’islamismo, ma sono inquadrate in termini tipicamente progressisti e senza apparente islamismo. Per esempio,

Lei menziona due gruppi target per gli islamisti occidentali: le comunità musulmane occidentali e le istituzioni occidentali. Perché gli islamisti si rivolgono particolarmente a loro?

Gli islamisti occidentali sono pragmatici e si sono resi conto che l’obiettivo che volevano raggiungere nella maggior parte dei paesi musulmani – creare regimi islamici che obbedissero alle leggi della Sharia – era irraggiungibile in Occidente. I loro obiettivi sono ora adattati al loro ambiente nella maggior parte delle società prevalentemente non musulmane. Il primo obiettivo degli islamisti è quello di diffondere la loro visione sociale, politica e religiosa del mondo alle comunità musulmane e per farlo hanno creato una rete estremamente sofisticata di moschee, associazioni, scuole e altre istituzioni.

Il secondo obiettivo è diventare l’interlocutore esclusivo delle élite europee, i rappresentanti moderati e affidabili a cui i governi europei, i media e la società civile nel suo insieme si rivolgerebbero quando cercheranno di mobilitare la comunità musulmana. Idealmente, diventerebbero persone incaricate dal governo di preparare curricula, scegliere insegnanti per l’educazione islamica nelle scuole pubbliche, scegliere imam nell’esercito, nella polizia o in prigione e ricevere sussidi per amministrare vari servizi sociali.

Questa posizione consentirebbe loro  di fatto  di essere la voce ufficiale dei musulmani nei dibattiti pubblici e nei media, eclissando così le forze in competizione. I poteri e la legittimità loro conferiti dai governi europei permetterebbero loro anche di esercitare un’influenza significativamente maggiore sulla comunità musulmana. Con un giudizioso calcolo politico, i Fratelli Europei desiderano trasformare il loro tentativo di leadership in una profezia che si autoavvera, cercando di essere riconosciuti come rappresentanti della comunità musulmana per diventarlo veramente. Inoltre, questa vicinanza consentirebbe loro di esercitare pressioni su tutte le cause care agli islamisti, sia in politica interna che estera.

Come si spiega il fascino di una certa frangia della sinistra occidentale per l’islamismo?

Va detto che alcune parti della sinistra, in Francia in particolare, non hanno simpatia per l’islamismo, perché sanno che fondamentalmente l’islamismo è un’ideologia di estrema destra, patriarcale e intollerante.

Tuttavia, una certa parte della sinistra, per alcuni decenni, ha cominciato ad ammirare l’islamismo. In Francia, l’esempio perfetto di questo fenomeno è Michel Foucault e il suo fascino per la rivoluzione iraniana, che ha poi riconsiderato. Il potente anticolonialismo dell’islamismo, il suo rifiuto di ciò che percepisce come costrutti sociali ed economici imposti dall’Occidente, il suo antiamericanismo e antisionismo e la sua capacità di mobilitare le masse hanno conquistato l’ammirazione di ampi settori della sinistra occidentale.

Anche altri elementi giocano un ruolo: la mancanza di comprensione della vera natura dell’Islam e dell’Islamismo; l’idea cinica di un sodalizio con gli islamisti per un quid pro quo politico; e l’idea ingenua che solo gli occidentali possano sostenere idee fasciste e intolleranti, concedendo anche agli islamisti un passaggio gratuito quando adottano opinioni che la sinistra avrebbe detestato se fossero stati sostenuti da un movimento occidentale.

Come definiresti il ​​wokismo? E in che modo gli islamisti occidentali hanno abbracciato questa nuova scuola di pensiero?

Il wokismo è un termine controverso, ma va bene vederlo come una forma accresciuta di politica dell’identità. E molte delle questioni risvegliate si adattano perfettamente all’agenda degli islamisti. La tendenza a prendere di mira il bianco e la presunta tendenza dominante dell’uomo bianco e la sua presunta responsabilità per la maggior parte delle disgrazie del mondo si adattano perfettamente, ad esempio, a un’ideologia come l’islamismo, nata nella prima metà del XX secolo in opposizione al colonialismo e che da allora ha accusato l’Occidente di molti dei problemi del mondo musulmano. Allo stesso modo,

Gli islamisti di oggi affermano in un linguaggio perfettamente sveglio e affermano che i musulmani hanno bisogno di “spazi sicuri” per essere protetti dal “razzismo strutturale” e per preservare la loro identità.

Gli islamisti sono davvero convinti delle cosiddette tesi sveglie o le usano come strumenti politici?

È difficile da dire e la risposta molto probabilmente si trova tra i due. Non c’è dubbio che gli islamisti hanno un’enorme flessibilità politica e ora si sono resi conto che il wokismo li aiuta su vari fronti, quindi non è irragionevole vedere questo solo come uno stratagemma cinico. Allo stesso tempo, i giovani attivisti islamisti, in gran parte nati in Europa, hanno trascorso i loro anni di formazione a cavallo di due mondi: un piede nelle reti islamiste tradizionali e l’altro nei circoli accademici progressisti e nella società civile, ed è logico pensare che essi assorbito elementi di entrambi, giustapponendoli e riconciliandoli. Ma stiamo assistendo a un nuovo fenomeno ed è difficile prevedere come si svilupperanno le cose, come reagirà la vecchia guardia islamista se certe tendenze wokiste si spingono troppo oltre e se le nuove generazioni potessero staccarsene. Le interpretazioni possibili sono molte, ma è chiaro che stiamo assistendo a un passaggio generazionale all’interno dell’islamismo europeo e dobbiamo osservare attentamente cosa questo comporta.

https://www.fondapol.org/dans-les-medias/de-nombreuses-problematiques-woke-correspondent-a-lagenda-des-islamistes/

Segue il saggio di

Lorenzo Vidino _ riassunto

Gli ultimi decenni hanno visto un cambiamento nella strategia e nel discorso dell’Islam radicale e dei suoi militanti. Questi cambiamenti sono il risultato della grande e ormai duratura presenza di popolazioni musulmane nel mondo occidentale. Di fronte all’irrealismo di un progetto originale di islamizzazione integrale, i suoi militanti si sono evoluti in una doppia direzione: la ricerca della massima influenza sulle comunità musulmane occidentali e la promozione della loro visione e delle loro rivendicazioni con le istituzioni e le principali istituzioni politiche, economiche, culturali e sociali attori nei paesi ospitanti. Questi attivisti provengono da nuove generazioni, nati e formati in Occidente, il più delle volte nelle scienze sociali, e non più nel campo scientifico e tecnologico come i loro predecessori. Contemporaneamente, questi nuovi islamisti sostengono temi ultraprogressisti, consentendo loro di concludere alleanze con la sinistra radicale. Gli sviluppi più recenti hanno così visto moltiplicarsi i ponti tra l’Islam radicale e quella che oggi viene chiamata “cultura sveglia”, in un contesto di propagazione di contenuti che è stato profondamente modificato dai canali satellitari e dai social network.

Questa nota di Lorenzo Vidino, direttore del programma di ricerca sull’estremismo alla George-Washington University, presenta le strutture, i supporti e i temi di questo “islamismo svegliato” o “islamo-wokismo”, ma anche le reazioni negative, soprattutto in Francia e persino tra i musulmani occidentali.

L’autore mostra che i nuovi attivisti islamisti usano raramente i riferimenti tradizionali ma piuttosto riprendono il linguaggio della discriminazione, dell’antirazzismo, dell’oppressione interiorizzata, dell’intersezionalità e della teoria postcoloniale. È questo nuovo approccio che dà loro accesso al mondo della politica, dei media e della società civile, che i loro predecessori non avrebbero mai osato sperare.

Resta la domanda se un tale cambiamento rifletta un’adozione dei valori occidentali da parte di questa nuova generazione di attivisti, attraverso il progressismo, o se, al contrario, il wokismo stia diventando un potente vettore di influenza islamista nel mondo occidentale.

Lorenzo Vidino,

Direttore del Programma Estremismo presso la George Washington University

Leggi anche

 

STUDIA

L’ideologia woke. Anatomia del wokismo (1)

STUDIA

L’ideologia sveglia. Di fronte al wokismo (2)

L’islamismo nel mondo occidentale ha una storia di quasi settant’anni, che risale all’arrivo in Europa e Nord America tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 dei primi membri della Fratellanza Musulmana, siano essi studenti che seguono un’istruzione superiore nelle università occidentali o alti funzionari in fuga dalla persecuzione a casa. Da allora, attivisti legati a vari rami della Fratellanza Musulmana nel mondo arabo e ad altri movimenti del subcontinente indiano (Jamaat-e-Islami) e della Turchia (Millî Görüş) appartenenti alla grande famiglia della politica islamica hanno stabilito una presenza stabile in l’ovest. Da allora questi movimenti si sono evoluti ideologicamente e organizzativa. Nonostante le loro dimensioni relativamente ridotte,

Alcuni aspetti di questa presenza non sono cambiati molto nel tempo. Ad esempio, il funzionamento interno di molte reti islamiste occidentali, come uno scrupoloso processo di selezione, il segreto interno e la struttura gerarchica, sono virtualmente identici a quelli dei primi tempi, replicando essenzialmente quelli delle strutture madri delle società a maggioranza musulmana.1 . Tuttavia, negli anni, i membri occidentali del movimento islamista, che si caratterizza per la sua flessibilità e pragmatismo, hanno capito che diversi aspetti della loro matrice politica devono essere adattati.

Giudizi

In primo luogo, hanno capito che gli obiettivi che il movimento perseguiva per le società a maggioranza musulmana – l’islamizzazione della società nel suo insieme e l’istituzione di un governo islamico che applicasse la sharia – non potevano essere raggiunti realisticamente in Occidente, dove i musulmani sono solo un piccola minoranza. Gli islamisti occidentali hanno quindi ritenuto più appropriati due obiettivi: da un lato, diffondere la loro visione politico-religiosa del mondo all’interno delle comunità musulmane occidentali; dall’altro, per influenzare le politiche pubbliche ei dibattiti occidentali sulle questioni che li interessano.

Inoltre, nel tempo, gli islamisti occidentali si sono resi conto che non solo i loro obiettivi, ma anche le loro tattiche dovevano essere adattate. Alcune delle narrazioni, dei modelli e del linguaggio che compongono il repertorio tradizionale dell’islamismo sono rimaste invariate. Ciò era particolarmente vero tra gli ex membri affiatati del movimento e anche quando il movimento cercava di raggiungere un pubblico più ampio, ma ancora relativamente piccolo, di simpatizzanti conservatori nelle comunità musulmane occidentali. Ma, allo stesso tempo, gli islamisti occidentali hanno cambiato radicalmente il modo in cui si presentano a due dei loro principali destinatari:

È di fondamentale importanza per gli islamisti occidentali raggiungere questi due gruppi target. Hanno capito fin dall’inizio degli anni ’80 che la loro presenza in Occidente non era temporanea e che potevano usarla non solo come rifugio per sfuggire ai regimi del Medio Oriente, ma anche per raggiungere una nuova serie di Obiettivi. Le comunità musulmane occidentali di recente costituzione e in crescita sono state viste come un pubblico perfettamente ricettivo alla visione religiosa e sociopolitica degli islamisti, e Yusuf Al-Qaradawi, il presunto leader spirituale del movimento islamista globale, ha affermato che “il dovere di il movimento islamico [doveva] non lasciare che questi espatriati [occidentali] fossero spazzati via dal vortice materialistico che prevale in Occidente 2“. Con l’obiettivo di influenzare le istituzioni occidentali, negli ultimi trent’anni gli islamisti hanno costantemente cercato di presentarsi come legittimi rappresentanti delle comunità musulmane locali, come interlocutori affidabili e moderati per i governi, i media e la società nel suo insieme.

Giudizi

Per convincere questi interlocutori alla loro causa, gli islamisti occidentali hanno subito capito la necessità di adattare i loro messaggi ei loro metodi. Questo processo di adattamento linguistico è iniziato diversi decenni fa, ma si è approfondito e accelerato negli ultimi dieci-quindici anni, con l’arrivo di una nuova generazione di giovani attivisti. A differenza della prima generazione di islamisti arrivati ​​dal Medio Oriente, questa nuova generazione ha più familiarità con le sensibilità culturali occidentali perché è nata in Occidente e si è formata principalmente nelle scienze sociali, umanistiche e della comunicazione (mentre la maggior parte degli attivisti di prima generazione tendeva a formazione in discipline come ingegneria e medicina). Molti di coloro che appartengono a questa nuova generazione di attivisti islamici mantengono solo tenui legami formali con le strutture islamiste consolidate. Potrebbero essere cresciuti sotto l’influenza dell’Islam – a volte letteralmente, poiché alcuni di loro sono figli di pionieri dell’Islam in Occidente – essendo attivi in ​​gruppi di giovani islamisti o tenendo spesso conferenze nelle moschee e in occasione di eventi legati alla rete, ma hanno spesso costruito i propri mezzi per amplificare il proprio discorso attraverso la creazione di nuove organizzazioni e una presenza online multipiattaforma. Il loro grado di connessione con le organizzazioni islamiste tradizionali è variabile e può essere piuttosto limitato, almeno formalmente.

Inoltre, la maggior parte di questi giovani attori islamisti usa raramente riferimenti islamisti e, se lo fanno, di solito è in termini alquanto sottovalutati. Piuttosto, parlano il linguaggio della discriminazione, dell’antirazzismo, dell’oppressione interiorizzata, dell’intersezionalità e della teoria postcoloniale. Molte delle cause che abbracciano, come l’ambiente o l’abbassamento delle tasse universitarie, non hanno nulla a che fare con l’islamismo. Altri possono essere visti come lamentele tradizionali sovrapposte dell’islamismo, ma sono inquadrate in termini tipicamente progressisti e senza apparente islamismo. Ad esempio, il recente abbraccio degli islamisti occidentali negli appelli alla “decolonizzazione” dei programmi scolastici corrisponde alla natura anticoloniale intrinseca dell’ideologia,

Questi approcci hanno consentito alla nuova generazione di islamisti occidentali l’accesso, cosa inaspettata per i loro predecessori, ai circoli del mondo politico, dei media e della società civile. Eliminando in gran parte il topoïLinguaggio islamista e abbracciando strutture e cause progressiste, i giovani islamisti occidentali hanno stretto forti alleanze nella società tradizionale e sono stati ampiamente accettati dall’élite occidentale. Molti di loro hanno quindi aderito a partiti politici, pubblicato articoli d’opinione e dibattiti sui media mainstream, si sono candidati alle cariche, hanno stretto alleanze con un’ampia gamma di organizzazioni progressiste e opinion leader. Hanno ricevuto sovvenzioni da fondazioni rispettate e agenzie governative.

Sono finiti i giorni in cui gli islamisti occidentali bruciavano libri pubblicamente, come nell’affare Rushdie 3 nel 1988. Molti islamisti oggi usano metodi, abbracciano cause e stringono alleanze che lasciano perplessi non solo gli osservatori membri di lunga data del movimento, ma anche la prima generazione di pionieri. Alcuni, soprattutto in Europa, hanno iniziato a chiamare questa tendenza “svegliato l’islamismo”. Questo termine è controverso e può essere visto come un po’ peggiorativo 4 , ma è diventato relativamente comune tra gli osservatori e gli anziani della scena islamista in Occidente, descrivendo giustamente una tendenza che ha accelerato notevolmente negli ultimi anni.

Questa nota cerca di analizzare alcune delle dinamiche chiave alla base dell’islamismo svegliato in Occidente, dalle sue origini alle sue numerose manifestazioni. L’analisi di questo nuovo islamismo è relativamente recente ed è complessa perché l’evoluzione non è la stessa da un Paese all’altro, il che rende impossibile una valutazione completa dei suoi aspetti e delle sue implicazioni. Nonostante queste difficoltà, questa nota mira a far luce su un fenomeno che sta cambiando in modo significativo il volto dell’islamismo in Occidente e che quindi deve essere compreso sia dagli accademici che dai responsabili politici.

Giudizi

Il rapporto tra sinistra e islamismo – due termini che, ovviamente, racchiudono una gamma molto diversificata di opinioni e correnti politiche – è complesso. Anche limitando la nostra analisi all’Occidente, è impossibile coglierne anche lontanamente le molteplici sfaccettature. In ogni caso, si tratterebbe di un compito che esula dallo scopo di questo lavoro 5 . Eppure è giusto dire che una delle tendenze più salienti che ha caratterizzato il rapporto tra alcuni di questi elementi più progressisti, e talvolta più radicali, della sinistra e l’islamismo è la simpatia e il desiderio di collaborare.

A sinistra, molte voci, anche negli ambienti più progressisti, adottano un approccio nettamente diverso, evidenziando le molte questioni su cui i due movimenti differiscono nettamente e opponendosi a qualsiasi visione favorevole dell’islamismo . Ma il fascino per l’islamismo ha attanagliato gran parte della sinistra occidentale dagli anni ’50. Il potente anticolonialismo dell’islamismo, il suo rifiuto di ciò che percepisce come costrutti sociali ed economici imposti dall’Occidente, il suo antiamericanismo e il suo antisionismo, nonché la sua capacità di mobilitare le masse ha conquistato l’ammirazione di ampi settori della sinistra occidentale.

Questa simpatia, insieme alla percezione di nemici comuni, ha portato ad ammettere un’alleanza con gli islamisti. Questo punto di vista è stato condiviso, apertamente o meno, da molti membri della sinistra occidentale, che vanno da personalità eminenti a certi gruppi marginali e violenti di estrema sinistra . Molte di queste teorie hanno trovato poca o nessuna realizzazione. Tuttavia, negli ultimi vent’anni, diversi casi di alleanza (a volte indicati come rosso-verde) hanno avuto luogo in circoli di sinistra più tradizionali in vari paesi occidentali. Molti considerano l’alleanza emersa nel Regno Unito all’inizio degli anni 2000 attorno alla Stop the War Coalition (STWC) come un tipico esempio di questa dinamica 8 .

Giudizi

9.

Intervista a Kamal Helbawi, Londra, dicembre 2008, e Richard Phillips, art. Citazione

10.

Ibidem .

11.

Vedi Richard Phillips, s. cit.

In origine era una partnership tra varie organizzazioni guidate dal Partito Socialista dei Lavoratori e dal Partito Comunista Britannico. Con l’avvicinarsi della guerra in Iraq nel 2003, STWC ha fatto appello alla Muslim Association of Britain (MAB), fondata e guidata da importanti attivisti della Fratellanza Musulmana con sede nel Regno Unito come Kamal Helbawy, Azzam Tamimi e Anas al-Tikriti. Impressionati dall’affluenza alle urne a una manifestazione anti-israeliana che il MAB aveva organizzato nel centro di Londra nell’aprile 2002, i leader del STWC chiesero al MAB di unirsi alla coalizione. Va notato che la manifestazione anti-israeliana del MAB è stata ampiamente criticata per la presenza degli emblemi di Hamas e Hezbollah e per l’incendio delle bandiere israeliane e americane .

L’offerta ha acceso un vivace dibattito interno, con i leader del MAB che hanno valutato i vantaggi di estendere il loro messaggio a un livello molto più ampio e i potenziali costi che un’alleanza con marxisti, atei e omosessuali avrebbe potuto causare loro, soprattutto tra i segmenti più conservatori dell’Islam comunità . Alla fine, MAB ha accettato di entrare in una forma di partenariato tra pari, cooperando strettamente ma rimanendo costituito come un blocco autonomo con una propria agenda. L’associazione ha anche imposto come condizioni necessarie per la sua partecipazione la presenza di cibo halal, alloggi adeguati alla sua pratica religiosa, nonché incontri e manifestazioni in cui uomini e donne sarebbero stati separati 11. Nonostante le proteste di alcuni dei suoi membri, i vertici dello STWC avrebbero accettato tutte queste condizioni 12 .

La cooperazione tra MAB e STWC è stata un successo, poiché centinaia di migliaia di manifestanti hanno partecipato ai loro vari eventi. Ha anche portato alla formazione di un partito politico, Respect/The Unity Coalition, che ha comunque ottenuto scarso successo alle urne. Tra i suoi candidati c’erano leader di estrema sinistra come il deputato laburista George Galloway e il leader trotskista del Partito socialista operaio Lindsey German, membri del MAB come Anas al-Tikriti e altri attivisti musulmani come Salma Yaqoob e Yvonne Ridley, una giornalista britannica che si è convertita all’Islam dopo tenuto prigioniero dai talebani.

Giudizi

Forme di cooperazione piuttosto simili si sono verificate in altri paesi occidentali negli ultimi vent’anni. Tuttavia, nell’ultimo decennio, alcune delle frazioni più progressiste della sinistra occidentale hanno adottato temi, modelli e retorica nettamente diversi da quelli tradizionalmente utilizzati. La politica dell’identità, l’intersezionalità, le preoccupazioni per le ingiustizie e i pregiudizi sistemici sono diventati i temi predominanti tra gli attivisti di sinistra, soprattutto tra le giovani generazioni. Il termine “svegliato”, sebbene contestato da alcuni per essere diventato in qualche modo peggiorativo della tendenza, è spesso usato per descrivere questo approccio all’attivismo politico.

Il wokismo, nelle sue varie manifestazioni, costituisce indubbiamente un perfetto vettore politico per gli islamisti. La tendenza a incolpare il bianco e la presunta tendenza dominante dell’uomo bianco e la sua presunta responsabilità per la maggior parte delle disgrazie del mondo, ad esempio, si adattano perfettamente a un’ideologia come l’islamismo, nata nella prima metà del XX secolo in opposizione al colonialismo e che da allora ha accusato l’Occidente di molti dei problemi del mondo musulmano. Allo stesso modo, le forme radicali di politica dell’identità si adattano perfettamente alla pretesa di lunga data degli islamisti occidentali secondo cui le comunità musulmane occidentali dovrebbero avere il diritto a proprie strutture sociali, educative e legali distinte. Se, nei suoi scritti degli anni Novanta,13 ”, le politiche identitarie contrastanti di oggi forniscono argomenti agli islamisti per sostenere che i musulmani hanno bisogno di spazi sicuri 14 per essere protetti dal “razzismo strutturale” e preservare la loro identità.

Inoltre, il wokismo fornisce agli islamisti occidentali un’arma retorica potente e versatile: l’islamofobia. Certo, l’odio e la discriminazione nei confronti dei musulmani sono purtroppo problemi abbastanza diffusi, che si manifestano in tutto l’Occidente sia in modi subdoli che, a volte, in spettacolari azioni violente. Ma gli islamisti tendono ad amplificare e strumentalizzare il problema per servire i propri obiettivi diversi, ma comuni. Insieme alle comunità musulmane, gli islamisti occidentali cercano di utilizzare la carta dell’islamofobia per promuovere una forte identità islamica e ritagliarsi una leadership. Gli islamisti occidentali hanno capito da tempo che nessun altro fattore ha un impatto maggiore sulla formazione di un’identità collettiva dell’esistenza o della percezione di una forza esterna che minaccia la comunità. Hanno anche dimostrato grande abilità nell’affermarsi come principali sostenitori di cause che hanno indignato la maggior parte dei musulmani, anche quelli che non condividevano tendenze islamiste. Dall’affare Rushdie ai cartoni animati danesi15 , dal conflitto israelo-palestinese alle controversie sul velo in vari paesi europei, gli islamisti occidentali hanno utilizzato le loro vaste risorse e capacità di mobilitazione per guidare le proteste contro gli eventi che hanno descritto come parte di un modello di aggressione occidentale contro i musulmani e l’Islam.

Giudizi

17.

“Aggiungere la prima linea di difesa dell’Islam e dei musulmani di tutto il mondo” (MAB).

Promuovendo l’idea che i musulmani siano assediati, discriminati e vittimizzati, gli islamisti occidentali si sono presentati come le uniche voci disposte e in grado di difendere la comunità. Presentandoli in un modo che li servisse, hanno sfruttato le crisi politiche globali, le innegabili forme di discriminazione che hanno afflitto i musulmani occidentali e le tensioni culturali che sono sorte costantemente nella maggior parte dei paesi occidentali negli ultimi vent’anni. Una “comunità assediata”, per usare un’espressione spesso usata nei circoli dei Fratelli Musulmani dopo l’11 settembre, è chiamata a stringere i ranghi, rafforzare la propria identità comunitaria e fare affidamento su leader aggressivi e competenti che possano difendere 16. Avendo coltivato questa cultura del vittimismo, gli islamisti occidentali, in quanto abili imprenditori dell’identità, hanno costantemente sfruttato le lamentele dei musulmani occidentali e si sono descritti come l’unica forza in grado di “agire come la prima linea di difesa” dell’Islam e dei musulmani di tutto il mondo 17 »

Esternamente, l’islamofobia ha due scopi principali nell’agenda degli islamisti occidentali. Il primo è creare un’ampia gamma di alleanze con altre comunità che subiscono discriminazioni e con organizzazioni che la combattono. Gli islamisti occidentali hanno sempre più inquadrato l’islamofobia come parte delle ingiustizie strutturali che ritengono affliggono le società occidentali e su questa base hanno stretto alleanze con organizzazioni ampiamente disparate che combattono contro la discriminazione. Ciò include entità appartenenti a gruppi a cui il movimento islamista ha storicamente mostrato ostilità, come organizzazioni ebraiche o LGBTQ.

E gli islamisti occidentali usano anche l’islamofobia per stigmatizzare qualsiasi critica non solo all’Islam e ai musulmani, ma anche qualsiasi critica che li riguardi loro stessi. Qualsiasi esame dell’ideologia islamista e del comportamento dei suoi attori può essere facilmente etichettato come razzista o presentato come un tentativo da parte di gruppi sociali privilegiati di mettere a tacere le persone di colore emarginate. Questa accusa è rivolta anche a coloro che, di origine musulmana, criticano l’islamismo, e non è raro che vengano accusati anche loro di essere islamofobi.

IIParte

Le reti islamiste investono nel wokismo

Giudizi

Mentre il wokismo si è diffuso nelle società occidentali nell’ultimo decennio del nostro secolo, anche gli islamisti occidentali lo hanno abbracciato. Hanno sostituito sempre più spesso in questo nuovo quadro molti dei loro problemi storici, come la Palestina o la discriminazione anti-musulmana. Questo nuovo quadro progressista a volte accompagna, ma più spesso sostituisce, il quadro islamista, almeno in apparenza. Hanno anche abbracciato nuovi temi tradizionalmente estranei o addirittura contrari al discorso islamista, come l’agenda anticapitalista per combattere il cambiamento climatico o persino l’uguaglianza di genere.

Questo nuovo approccio solleva la questione della sua sincerità. Un osservatore scettico potrebbe obiettare che questa è pura apparenza, che gli islamisti stanno usando il linguaggio della sinistra progressista semplicemente per essere percepiti come moderati, per liberarsi della cattiva immagine che offusca i circoli islamisti da cui provengono e per essere accettati nel mainstream cerchi. Il timore dei critici è che gli islamisti non abbiano abbandonato le loro opinioni e abbiano semplicemente astutamente adottato il wokismo come strumento politico per promuovere meglio i loro obiettivi che, in realtà, hanno poco a che fare con le cause progressiste.

Come abbiamo visto, questi nuovi attivisti sono nati in Occidente. Hanno fatto il loro debutto nei circoli islamisti occidentali. Studiarono principalmente nelle università di scienze umane e sociali, e non nelle università tecniche, a differenza dei pionieri del movimento. Spesso hanno preso parte alle attività di associazioni non islamiste. Tutto questo, nel suo insieme, significa che i nuovi islamisti erano profondamente esposti al wokismo. Potrebbero aver effettivamente adottato almeno alcuni elementi della sua visione del mondo e della sua struttura interpretativa. Fondamentalmente, non è impossibile che i giovani islamisti occidentali abbiano veramente integrato vari aspetti del wokismo,

Conversione sincera o discorso di facciata, è impossibile determinare quale delle due posizioni sia quella giusta. Ovviamente ogni caso va considerato singolarmente. Diversi esempi mostrano che una posizione di mezzo è probabilmente più appropriata, quella che vede gli islamisti occidentali sia abbracciare cause e strutture progressiste per convinzione genuina, ma anche usarli in modo più cinismo per portare avanti la propria causa.

Ciò che sembra chiaro in questa tendenza relativamente nuova e fiorente è che mentre i singoli attivisti possono abbracciare il wokismo personalmente e in modo indipendente, anche organizzazioni e reti con legami chiari e di lunga data con l’Islam svolgono un ruolo importante nel facilitare questo processo. In sostanza, in quello che sembra essere uno sforzo abbastanza concertato, gruppi o strutture islamiste affermate hanno messo in contatto attivisti, con o senza origini islamiste, che prendono posizioni intrise di wokismo che possono promuovere gli obiettivi del movimento islamista. . Hanno offerto loro una piattaforma e li hanno supportati finanziariamente. In sostanza, mentre l’adozione del wokismo può essere stata spontanea, ci sono ampie prove che le strutture islamiste cercano di incoraggiarlo.

Gli esempi di questa dinamica abbondano. Uno dei più eloquenti è quello di Al Jazeera+ (meglio noto come AJ+), che afferma di lanciare “uno sguardo di giustizia sociale in un mondo in lotta per il cambiamento”: “AJ+ è una piattaforma di narrativa e notizie digitali del marchio unica e globale dedicata a diritti umani e uguaglianza, detenendo il potere di rendere conto e amplificando le voci delle comunità emarginate che cercano di far conoscere e ascoltare le loro storie. […]

Lanciato nel 2014, AJ+ è l’idea innovativa e pionieristica di menti giovani, creative e instancabili dell’Unità di Incubazione e Innovazione di Al Jazeera, che ha visto prima di chiunque altro l’opportunità di raggiungere la generazione Y con un prodotto informativo video diffuso attraverso piattaforme di social media. […] AJ+ fa parte della rete di media Al Jazeera, un’entità editorialmente indipendente finanziata dal governo del Qatar nell’ambito di un investimento per promuovere il “bene pubblico” – in modo simile ai contribuenti britannici che finanziano la BBC 18 . »

Giudizi

20.

Samantha Grasso, ” La vera storia di Alamo “, ajplus.net, 25 agosto 2021.

21.

William Shoki, ” Il capitalismo è una malattia “, ajplus.net, 20 maggio 2021.

26.

Samantha Grasso, “ Su COVID, India e privilegio ”, ajplus.net, 12 maggio 2021.

Al Jazeera Arabic, l’entità madre del gruppo, è noto per essere composto da molti membri e simpatizzanti dei Fratelli Musulmani e per trasmettere regolarmente punti di vista islamisti, che hanno portato al bando del canale in diversi paesi arabi e a subire dure critiche in Occidente. AJ+, che ha una forte presenza sui social media in quattro lingue (inglese, spagnolo, arabo e francese), si rivolge a un pubblico molto diverso da quello del canale principale e adotta un approccio radicalmente opposto. AJ+, infatti, presenta regolarmente storie incentrate su questioni centrali del movimento progressista e inquadrate in modo tipicamente sveglio.

La maggior parte degli argomenti di AJ+ hanno poco o nulla a che fare con questioni legate all’Islam, ma accusano costantemente le società occidentali di un modello pervasivo di ingiustizia e discriminazione nei confronti di vari gruppi di vittime, che vanno dalle minoranze etniche e religiose alla comunità LBGTQ. Questi temi, che costituiscono la spina dorsale della linea editoriale di AJ+, sono integrati da altri articoli che trattano temi più vicini agli interessi tradizionali degli islamisti, come i vari conflitti in Medio Oriente oi sentimenti anti-musulmani in Occidente. Inserirli in una narrazione più ampia e utilizzare un linguaggio simile per affrontarli è chiaramente mirato a rendere i punti di vista islamisti appetibili al pubblico di AJ+,

Ad esempio, AJ+ English demonizza regolarmente il governo degli Stati Uniti per vari illeciti passati e attuali con articoli o rapporti filmati come “The Government Plot To Erase Native Languages ​​​​19 “, “The Real Story of the Alamo 20 “, “Il capitalismo è un Malattia 21 ” o “Il viaggio di Raoul Peck nel cuore della bianchezza 22“. Possiamo anche citare “Fleeing to the Heart of the Empire”, un articolo che mette a confronto le esperienze dei profughi vietnamiti e afgani in America (“il cuore dell’impero”): “Ancora una volta, leggiamo nell’articolo, coloro che sono stati colpiti Le avventure imperialiste americane si stanno rivoltando, cercando di sfuggire alla conflagrazione mentre le truppe si ritirano. E ancora una volta si scontrano con l’indifferenza generale 23 . Tra gli altri articoli possiamo citare anche “Resistance and the War on Terror in East Africa 24 ”, “I Palestinesi stanno colpendo per combattere l’apartheid 25 ” o “On COVID, India and Privlege 26 ”.

Giudizi

28.

Ibidem .

29.

Francese AJ+, messaggio Twitter , 19 gennaio 2018.

Una dinamica simile è visibile per la versione francese di AJ+ 27 . Il francese AJ+ ha lanciato o promosso attivamente una serie di campagne, molte intrise di cultura pop vicino ai millennial e ai loro fratelli minori, per esporre incidenti considerati razzisti nella più pura espressione del pensiero sveglio. Questi includono la promozione dell’hashtag #BlackHogwarts per evidenziare che le persone di colore sono gravemente sottorappresentate nella serie di Harry Potter 28 , denunciando il twerking di Miley Cyrus e l’acconciatura di Kylie Jenner come appropriazioni culturali 29o per criticare la Federcalcio francese per aver proposto un giocatore bianco, Antoine Griezmann, come principale testimone della sua campagna contro il razzismo.

Accompagnando questi messaggi, che non hanno alcuno scopo islamista se non quello di ritrarre i paesi occidentali come irrimediabilmente razzisti e potenzialmente indebolire l’attaccamento al loro paese che i giovani possono provare, il canale francese AJ + trasmette messaggi più coerenti con le tradizionali visioni islamiste. Il canale, ad esempio, ha promosso attivamente la campagna a sostegno di Tariq Ramadan, legato ai Fratelli musulmani, dopo essere stato accusato dalle autorità francesi di violenze sessuali contro diverse donne 30. Negli ultimi due anni, mentre il governo di Emmanuel Macron ha iniziato a prendere posizioni più dure sull’islamismo, l’AJ+ francese ha intensificato la sua retorica anti-francese. Quindi, ad esempio, un articolo confronta la Francia con l’Afghanistan, l’Arabia Saudita e l’Iran, sostenendo che le leggi anti-hijab del paese europeo sono identiche a quelle dei paesi che dettano alle donne cosa dovrebbero indossare.

Mentre AJ+ è una brillante piattaforma multimediale rivolta alla generazione TikTok con messaggi brevi e semplici ma prodotti professionalmente, altre entità con un passato islamista indiscusso cercano di diffondere una versione più accademica del wokismo islamista. Un perfetto esempio di questa dinamica è il Center for Islam and Global Affairs (CIGA), un “istituto di ricerca e politica pubblica indipendente, senza scopo di lucro con sede a Istanbul, in Turchia, e affiliato con l’Università Zaim di Istanbul 31“. Da un inizio modesto, quando è stata fondata nel 2010, l’Università di Zaim è stata strettamente affiliata al Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) al potere in Turchia. Ha beneficiato di ingenti finanziamenti governativi e ha quindi registrato una crescita notevole, raggiungendo in pochi anni il numero di 10.000 studenti iscritti 32 .

Giudizi

33.

Vedi CIGA , “Coordinatore”.

39.

Vedi CIGA, ” Islamofobia “.

La CIGA è stata creata a Zaim dall’eminente studioso e attivista palestinese Sami al-Arian 33 , una figura ben nota negli ambienti islamisti e che è stato al centro di una vicenda di terrorismo molto pubblicizzata negli Stati Uniti 34 . È stato arrestato nel febbraio 2003 in Florida con un atto d’accusa con diciassette capi di imputazione. Alla fine si è dichiarato colpevole di uno dei conteggi. È stato condannato a cinquantasette mesi di carcere per aver cospirato per violare una legge federale che vieta di fare o ricevere contributi di fondi, beni o servizi aoa beneficio della Jihad islamica palestinese (PIJ), classificata come SDT (Specially Designated Terrorist) 35. Secondo il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, “nella sua dichiarazione di colpevolezza, al-Arian36 ha ammesso che durante il periodo dalla fine degli anni ’80 all’inizio e alla metà degli anni ’90 è stato associato alla Jihad islamica palestinese, con molti dei suoi co-cospiratori. Ha anche ammesso di aver fornito vari servizi al PIJ nel 1995 e successivamente, sapendo che il PIJ era stato classificato come SDT e che stava compiendo atti di violenza orribili e omicidi .

Dopo il suo rilascio, al-Arian ha ottenuto asilo politico in Turchia, dove ha aperto la CIGA 38 . Sotto la guida di al-Arian, la CIGA si è affermata come un importante centro di studi sull’islamofobia. Dal 2018, la CIGA organizza ogni anno un’importante conferenza sull’islamofobia, riunendo decine di accademici e attivisti che sono tra i più impegnati nella ricerca e nella denuncia dell’islamofobia 39 . L’analisi degli ospiti, degli sponsor e dei temi delle conferenze della CIGA mostra chiaramente una commistione tra islamismo tradizionale e ultraprogressismo, ovvero la perfetta combinazione del wokismo islamista.

Giudizi

41.

Vedi CIGA, “ Prof. Dott. Farid Hafez, PhD ”.

42.

“ Un progetto di ricerca pluriennale sull’islamofobia ” (“The Bridge Initiative”).

Il convegno CIGA 2021 che, a causa della pandemia di Covid-19, si è svolto online, ha messo in luce con chiarezza queste caratteristiche 40. L’evento è stato co-sponsorizzato, tra gli altri, dall’Università Ahmed-bin-Khalifa del Qatar e da Cage, un’organizzazione britannica molto controversa creata all’inizio degli anni 2000 per difendere il rilascio dei detenuti di Guantanamo Bay e che da allora ha abbracciato diverse cause islamiste. . Tra i relatori figuravano persone con evidenti legami con l’islamismo, come Yasin Aktai, consigliere senior del presidente dell’AKP in Turchia; Chafika Attalai, membro di spicco del Collettivo contro l’islamofobia in Francia (CCIF), organizzazione sciolta dal governo francese in seguito all’assassinio dell’insegnante di francese Samuel Paty; e Moazzam Begg, di Cage, lui stesso ex detenuto di Guantanamo. Molti altri oratori non avevano un background islamista, erano per lo più accademici,

La persona che in qualche modo incarna il wokismo islamista universitario transnazionale della CIGA è un giovane studente universitario austriaco, Farid Hafez, borsista della CIGA e presente alle tre edizioni della conferenza della CIGA sull’islamofobia 41 . È anche membro della Bridge Initiative, un progetto di ricerca pluriennale sull’islamofobia 42ospitato dall’Alwaleed Bin Talal Center for Muslim-Christian Understanding (ACMCU) presso la Georgetown University. Secondo il sito web dell’università: “Il Center for Muslim-Christian Understanding […] è stato istituito nel 1993 con la missione di rafforzare i legami di cooperazione tra musulmani e cristiani e di migliorare la comprensione del mondo islamico attraverso l’Occidente. Nel dicembre 2005 Georgetown ha ricevuto una donazione di 20 milioni di dollari da Sua Altezza Reale il Principe Alwaleed Bin Talal dell’Arabia Saudita per sostenere e sviluppare il centro 43 . »

Giudizi

44.

Vedi “ Jonathan Brown ”.

Il centro è diretto da due eminenti studiosi di studi islamici con note simpatie islamiste, John Esposito e Jonathan C. Brown 44 . È interessante notare che questi due accademici hanno stretti legami con Sami al-Arian, il fondatore della CIGA. Esposito ha pubblicamente descritto al-Arian come un “buon amico”. Durante il processo di al-Arian negli Stati Uniti con l’accusa di terrorismo, John Esposito ha fornito ai giudici una lettera in cui lo elogiava, descrivendolo come “un accademico e intellettuale militante straordinariamente brillante ed eloquente, un uomo di coscienza con un forte impegno per la pace e la società giustizia 45“. Quanto a Brown, è sposato con Leila al-Arian, figlia di Sami al-Arian e, per inciso, produttrice di Al-Jazeera. La posizione di Hafez in entrambi i centri non è quindi sorprendente.

Hafez è una stella nascente negli studi sull’islamofobia. Insegna in istituzioni su entrambe le sponde dell’Atlantico e collabora con molti altri ricercatori del circolo. Il suo approccio all’argomento adotta schemi progressivi per discutere la questione dell’islamofobia. Pertanto, l’ultima pubblicazione che ha curato è intitolata in modo rivelatore Das ‘andere’ Österreich. Leben in Österreich abseits männlich-weiß-heteronormativ-deutsch-katholischer Dominanz 46 (“L’“altra” Austria. La vita in Austria oltre la dominazione cattolica tedesca eteronormativa maschile bianca”). Ma Hafez è anche una figura molto controversa a causa dei suoi legami con gli islamisti. Nel novembre 2020, ad esempio, Hafez è stato arrestato nell’ambito dell’operazione Luxor 47, la più grande operazione antiterrorismo mai realizzata in Austria. Secondo le autorità austriache, gli indagati facevano parte di una rete austriaca a sostegno dei Fratelli musulmani e di Hamas. Hafez ha costantemente affermato la sua innocenza e ha affermato che il caso era infondato e politicamente motivato. Alcune delle sue difese hanno suscitato polemiche, come quando in uno dei suoi articoli ha paragonato le azioni del governo austriaco nell’operazione Luxor alla persecuzione degli ebrei da parte del regime nazista e al trattamento brutale degli uiguri da parte del governo cinese 48 . L’articolo ha suscitato forti critiche da parte delle organizzazioni ebraiche, sia in Austria che negli Stati Uniti 49. Hafez è comunque diventato una figura famosa nei circoli islamisti e progressisti, scatenando petizioni online e raccolte fondi a suo sostegno.

Giudizi

50.

Vedi “ Ibrahim Kalin ”.

A livello accademico, Hafez ha guadagnato l’attenzione internazionale per il suo ruolo di co-editore dell’annuale European Islamophobia Report (EIR). Lanciato nel 2015, l’EIR registra presunti incidenti e sviluppi della discriminazione anti-musulmana in vari paesi europei. È significativo che la copertina dell’ultima edizione di questo rapporto (2021), un’opera di oltre 900 pagine che copre 31 paesi, riporti in copertina il presidente Emmanuel Macron, il che indica chiaramente che gli obiettivi dell’EIR non sono solo gli individui e attori che si impegnano in un palese odio anti-musulmano, ma anche personaggi pubblici che mettono in discussione l’influenza dell’islamismo.

I redattori di EIR hanno stretti legami con la Turchia, un paese il cui regime, sotto il governo del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP), negli ultimi anni ha ripetutamente accusato l’Europa di diffusa islamofobia. Il co-editore del rapporto è Enes Bayrakli, che è stato direttore degli studi europei e coordinatore dell’ufficio di Bruxelles di Siyaset, Ekonomi ve Toplum Araştırmaları Vakfı (SETA, “Fondazione per la politica economica e la ricerca sociale”). Ufficialmente indipendente, la SETA è considerata da molti osservatori il braccio propagandistico dell’AKP. Il suo fondatore è İbrahim Kalın, portavoce del presidente Erdoğan e recentemente coautore di un libro con John Esposito, direttore della Bridge Initiative presso la Georgetown University 50. Kalin è anche membro dell’ACMCU di Georgetown, l’istituzione madre della Bridge Initiative.

Da diversi anni l’EIR è pubblicato da SETA 51 e finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del Dialogo Unione Europea-Turchia Società Civile 52 . Ciò ha creato polemiche e diversi governi europei, nonché deputati europei, si sono pubblicamente opposti all’uso di fondi europei per finanziare un tale rapporto sull’islamofobia pubblicato da un think tank collegato all’AKP. L’edizione 2020 dell’EIR non è più stata pubblicata da SETA ma dal Leopold-Weiss Institute di Vienna. L’istituto non ha un sito web e non è noto che organizzi alcuna attività, ma una ricerca nelle banche dati austriache mostra che il suo direttore è Farid Hafez.

Il ruolo della Turchia nelle precedenti edizioni dell’EIR era evidente, ed è particolarmente interessante notare come politici turchi di alto rango abbiano partecipato agli eventi di lancio dell’EIR e siano stati anche attori chiave. I risultati dell’EIR sono stati spesso utilizzati anche dai politici turchi per sostenere le loro posizioni. Ad esempio, in occasione del lancio dell’edizione 2018 dell’EIR, Faruk Kaymakci, viceministro degli affari esteri e direttore degli affari europei della Turchia, ha affermato che l’ascesa dei movimenti di estrema destra e la crescente islamofobia sono state le principali sfide per l’Unione europea, sostenendo che l’adesione della Turchia all’Ue potrebbe essere l'”antidoto” a questi problemi: “Con l’adesione della Turchia, l’Ue può cambiare la sua immagine”, ha dichiarato. Le istituzioni dell’UE possono raggiungere il mondo musulmano; altrimenti l’UE sarà percepita come un club cristiano imperialista53 . »

IIIParte

Possibili reazioni e sviluppi

Giudizi

Come abbiamo detto sopra, sia che l’adozione da parte degli islamisti occidentali delle domande sveglie e degli schemi di pensiero sia sincera o simulata, ha portato molti dei suoi attivisti ad essere accettati in circoli ultra-progressisti, cosa che i pionieri del movimento islamista in Occidente avevano non ho potuto fare. Dalle strutture antirazziste ai media mainstream, dalle agenzie governative che finanziano la lotta contro la discriminazione e la diversità ai circoli e alle chiese intellettuali progressisti, gli islamisti occidentali hanno stretto alleanze preziose che danno loro maggiore visibilità e un migliore accesso all’opinione pubblica. Inoltre, la loro stessa vicinanza a questi ambienti li protegge in parte dalle accuse di islamismo mosse dai critici.

Allo stesso tempo, negli ultimi anni, il fenomeno dell’islamismo sveglio ha ricevuto crescenti attenzioni e critiche. Ciò è particolarmente vero in Francia e, più in generale, nel mondo francofono, dove le preoccupazioni per l’islamismo e il suo impatto sulla società sono state probabilmente più forti che in qualsiasi altra parte dell’Occidente. Inoltre, in Francia, sono state diffuse le preoccupazioni per la diffusione del wokismo in generale, che è ampiamente visto come un’importazione culturale americana divisiva e il presidente Macron ha pubblicamente dichiarato di essere “contro la cultura sveglia 54 “.

In questo contesto, non sorprende che le discussioni sul termine controverso islamo-gauchismo si stiano svolgendo ai massimi livelli del governo e della cultura francesi. Ricordiamo il ministro francese dell’Istruzione superiore Frédérique Vidal che ha dichiarato che “l’islamo-sinistra sta mangiando la nostra società nel suo insieme 55 “.

Un articolo su Le Figaro su questo argomento descrive come il Forum della European Muslim Youth And Student Organization (Femyso, “Forum européen des organization muslims de jeunes et d’études”), un’organizzazione studentesca e giovanile con sede a Bruxelles fondata dai principali leader della Fratellanza Musulmana in Occidente e guidata storicamente dai discendenti di eminenti leader della Fratellanza e leader di gruppi studenteschi legati ai Fratelli Musulmani in tutta Europa, ha ricevuto importanti finanziamenti dall’Unione Europea per realizzare campagne contro l’islamofobia e pro-hijab 56. Femyso ha formulato molti dei suoi slogan nello stile tipico dell’islamismo svegliato. Ad esempio, descrive uno dei suoi progetti, “Project Meet”, come un “programma globale finanziato dall’Unione Europea volto a combattere l’islamofobia di genere”, che descrive come “discriminazione intersezionale subita da donne e ragazze musulmane, basata principalmente su etnia, religione e genere .

Giudizi

Ma aspre critiche all’islamismo sveglio sono arrivate anche da figure non governative, molte delle quali sono di origine musulmana. Naëm Bestandji, autore franco-tunisino, ha sostenuto che l’islamismo è un’ideologia di estrema destra per eccellenza, ma che il movimento ha capito che collaborare con la sinistra progressista è una tattica più promettente: “Infiltrarsi nei circoli antirazzisti è quindi essenziale, ha spiega. Per questo, devi trasformare una religione in una “razza”. Qualsiasi critica alla loro ideologia, presentata come giusto Islam, sarebbe quindi un attacco agli individui. È la creazione di una bestemmia propria dell’Islam attraverso la deviazione della lotta contro il razzismo. Questa è l’arte del termine “islamofobia”. La lotta religiosa e la lotta al razzismo si intrecciano poi. Il secondo serve da pretesto per l’avanzata del primo. È un colpo da maestro58 . »

Un altro modo di interpretare questa sovrapposizione razza-religione e quindi razzismo-islamofobia è interpretarla non come uno stratagemma calcolato ma come un fenomeno reale che sarebbe l’occidentalizzazione dell’islamismo. Probabilmente, stiamo assistendo a un processo generazionale che porta i nuovi attori islamisti con sede in Occidente a liberarsi di alcuni aspetti dell’islamismo tradizionale e ad abbracciare sinceramente elementi di altre ideologie. Ciò potrebbe potenzialmente portare a una diluizione e atomizzazione dell’islamismo, poiché vari militanti potrebbero abbracciare correnti ideologiche diverse e intraprendere percorsi altrettanto diversi.

Naturalmente si tratta di teorie e scenari puramente ipotetici, difficili da verificare, ammesso che la tendenza continui e sia accolta dalla corrente principale dei movimenti islamisti occidentali. Ma sia tatticamente o effettivamente abbracciato, il wokismo islamista è diventato una preoccupazione per molti. L’apprensione per le implicazioni di questa dinamica è stata formulata in modo appropriato dall’attivista belga Dyab Abou Jahjah. Il background di Abu Jahjah rende il suo punto di vista particolarmente interessante. Nato in Libano nel 1971, ha combattuto con le milizie sciite prima di stabilirsi in Belgio nel 1991. È lì che ha fondato la Lega Araba Europea, un gruppo di attivisti che divenne particolarmente controverso negli anni immediatamente successivi agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, con Abu Jahjah che espresse sostegno implicito all’attacco e varie opinioni anti-occidentali, facendogli guadagnare il soprannome di “nemico pubblico numero 1” del Belgio. Da allora ha lasciato l’attivismo e ha lavorato come insegnante, ma è rimasto un attento osservatore delle scene islamiste e musulmane in Belgio.59 .

Come scrive Abu Jahjah sul suo blog: “È meglio che gran parte degli islamisti oggi abbraccino la politica ultraprogressista che il fascismo jihadista. Tuttavia, l’attacco alla modernità e alla maggior parte dei suoi valori, compreso il secolarismo, è condotto in modo più raffinato ed efficace e all’interno di un’alleanza ampia con un serio potenziale di mobilitazione. Questa strategia non mira a creare uno Stato islamico, ma può portare a una frammentazione della società lungo linee identitarie in modo che ognuno possa “essere se stesso”. Questo nuovo islamismo risvegliato, insieme al resto del movimento progressista estremo (spesso chiamato “svegliato”), sogna un arcipelago di “spazi sicuri” che interagiscono in giustizia ed equità.

Insieme ad altre tendenze risvegliate, i neo-islamisti risvegliati decostruiscono l’“universalismo” a favore dell’“intersezionalità” delle eccezioni. Così, un giorno, tutte le eccezioni potrebbero finire per diventare la regola. Quando l’eccezionalismo, non l’universalismo, diventa la pietra angolare della cittadinanza, chi osa allora sfidare le richieste di tribunali separati e persino leggi separate? 60 ”

È difficile valutare la previsione di Abu Jahjah sull’evoluzione dell’islamismo risvegliato. Ciò che è chiaro, come questo articolo ha tentato di descrivere sommariamente, è che c’è una tendenza crescente all’interno dei circoli islamisti occidentali ad adottare temi e linguaggi ultra-progressisti/svegliati ea stringere alleanze con entità provenienti da questo ambiente. Le domande relative a questo sviluppo senza precedenti sono numerose, sia che si tratti di sapere se ci troviamo di fronte a una metamorfosi sincera o finta, autentica o tattica dell’islamismo; se questo islamismo risvegliato sia in grado di causare divisioni nei ranghi islamisti, poiché alcune delle sezioni più conservatrici potrebbero sentirsi a disagio nell’abbracciare alcune cause ultra-progressiste; o se non sono certi circoli progressisti che abbracceranno l’islamismo risvegliato. Queste dinamiche possono manifestarsi in modi diversi in circostanze e paesi diversi. Ma è chiaro che il movimento dell’islamismo-woke merita di essere seguito da vicino.

https://www.fondapol.org/etude/la-montee-en-puissance-de-lislamisme-woke-dans-le-monde-occidental/

I cinesi sono ora alla testa della locomotiva. E non hanno intenzione di perdere di nuovo, di Simone Pieranni

I cinesi sono ora alla testa della locomotiva. E non hanno intenzione di perdere di nuovo l’appuntamento con la storia.

Cos’è WeChat?

Dopo anni in cui la Cina ha imitato tutto ciò che è prodotto in Occidente, ora è l’Occidente che guarda alla Cina per nuove idee.

Mentre faccio colazione a casa, controllo WeChat per le notizie del giorno. Quindi esco e, attraversato l’ hutong (nome dato ai vecchi vicoli della capitale sopravvissuti ai tanti cambiamenti in atto in città) prenoto un taxi con WeChat per andare a un incontro in un bar in cinese quartiere dello shopping di elettronica della capitale. All’interno del bar, utilizzando il WeChat ID, metto in carica il mio smartphone in apposite cabine all’ingresso del locale, e incontro la persona con cui ho appuntamento. Poi prendo il mio smartphone e pago i miei consumi con WeChat. Ho fame. Non appena esco dal bar, cerco nell’app un ristorante mongolo nelle vicinanze, uno dei miei piccoli piaceri a Pechino. WeChat me ne mostra uno a poche centinaia di metri dalla mia posizione, all’interno di un centro commerciale. Quando arrivo, mi infilo in coda.

Nel frattempo compro online i biglietti del cinema per il giorno dopo, e pago a qualcuno quello che gli devo, sempre con WeChat. Dopo l’appuntamento esco e mi fermo davanti a un piccolo baracchino gestito da una coppia di cinesi del sud, compro i ravioli che pago con WeChat, grazie al QRcode appeso accanto alla porta che porta in cucina. Poi, con WeChat, prenoto un biglietto del treno per Shanghai e una stanza in hotel. Infine, vado a un evento in uno dei grattacieli Jianguomen, che si trovano su entrambi i lati della strada che porta a Piazza Tienanmen . L’invito mi è stato inviato da un amico tramite WeChat, mentre ero ancora in Italia: nella nostra chat, posso trovare il luogo del nostro incontro, il biglietto elettronico e la ricevuta di pagamento (che ho salvato apposta, sempre su WeChat – che ti aiuta anche a gestire i tuoi account). Arrivato sul posto, scannerizzo il QRcode e ricevo tutta la documentazione relativa all’evento (una conferenza sui rapporti tra Cina e Stati Uniti). Oltre alla documentazione, mi ritrovo automaticamente aggiunto ad una conversazione di gruppo con tutti i presenti (inserisco i contatti grazie ad una funzione speciale di WeChat, che rende più semplice la gestione di tutte queste informazioni).

Al termine della conferenza, cenerò con alcuni dei partecipanti. Improvvisamente, tutti i nostri occhi sono sugli schermi dei nostri cellulari: WeChat richiede un aggiornamento per le nostre informazioni. Ed eccoci qui: un intero tavolo impegnato nella loro migliore posa selfie per consentire a WeChat di aggiornare i propri dati biometrici. Alla fine della cena, WeChat divide il conto per noi. Sulla via del ritorno, ripenso al mio incontro mattutino: nel quartiere dei negozi di elettronica, nell’area delle start-up di intelligenza artificiale, ho incontrato un giovane manager cinese. Ad un certo punto della nostra conversazione, toccando l’ennesimo esempio di come WeChat fa risparmiare tempo e denaro (file in banca, uffici statali, cinema e molti altri luoghi), gli ho chiesto in cosa secondo lui si spendeva tutto quel tempo. “Probabilmente al cellulare,” rispose con un sorriso. In effetti, in un’intera giornata, non ho usato una volta un portafoglio, un’e-mail o un browser Internet. Quando trovo il mio computer a casa, appoggiato sul tavolo della cucina, per me è solo una semplice macchina da scrivere, ma meno rumorosa. Prima di addormentarmi, un’ultima cosa: ordino una tazza di tè (consuetudine di tutte le case cinesi) per il giorno dopo, ovviamente tramite WeChat . Tutto il giorno, non ho mai lasciato WeChat. E questo per un semplice motivo: in Cina lo smartphone è WeChat.

WeChat (“  Weixin  ” in mandarino) è un’applicazione, una “super-app” come viene spesso definita, grazie alla quale in Cina, come mostra il corso della giornata appena descritto, è possibile fare di tutto. È diventata una presenza totalmente pervasiva nella vita quotidiana dei cinesi. Grazie alla sua massiccia diffusione, la super-app cinese ha iniziato a diventare interessante, per la quantità di dati che produce e contiene, non solo per il Partito Comunista Cinese (PCC), ma anche per Facebook, il social network più famoso. e più diffuso nel mondo occidentale. Secondo The Economist , non ci sarebbero dubbi: Facebook aspirerebbe a diventare la “WeChat of the West”. Zuckerberg, che parla un ottimo mandarino, e la cui moglie, Priscilla…Chan, nata da genitori di etnia Hoa, minoranza sino-vietnamita di lingua cantonese, non ha solo un interesse personale e culturale per la Cina.

Negli ultimi anni, infatti, ha visitato la Cina con una certa regolarità con uno scopo preciso: capire meglio come funziona l'”applicazione delle applicazioni”, ed estrarre da questo modello cinese vincente strategie e idee da applicare su Facebook (e altri social network di proprietà del gruppo Facebook, inclusi Instagram e WhatsApp). WeChat, infatti, segue un modello di business che permette di generare molti soldi, in modo più vario rispetto a quello di Facebook, e di monetizzare (e raccogliere) dati in modo molto più redditizio. Mark Zuckerberg è anche interessato ad alcuni aspetti di WeChat, come la messaggistica diretta, la gestione dei big datae, soprattutto, la possibilità di mantenere gli utenti in un “mondo” WeChat. Non è un caso che Zuckerberg, nel marzo 2019, abbia commentato l’articolo What Facebook Could Learn From WeChat , di Jessica E. Levin, pubblicato su Facebook nel 2015, scrivendo: “Se solo avessi ascoltato il tuo consiglio quattro anni fa…”.

L’interesse del più grande social network occidentale per WeChat mostra che siamo alla fine di un’avventura e sull’orlo di un nuovo mondo: dopo anni di imitazione da parte della Cina di tutto ciò che è stato prodotto in Occidente, ora è l’Occidente che guarda alla Cina per trovare nuove idee e nuovi usi per le sue “invenzioni”. La Cina ha ripreso il suo posto al centro di questo nuovo mondo, come suggerisce il nome, Zhongguo (中國) letteralmente un “paese di mezzo”.

Per i cinesi, questa non sarebbe una novità. Gli europei iniziarono a conoscere la Cina a partire dal II secolo aC, quando la seta iniziò ad affluire nei mercati dell’Asia centrale prima, poi di tutto il Mediterraneo, fino a far letteralmente impazzire i romani, innamorati di questo prezioso tessuto di una terra così lontana. È una storia ben ricordata dai cinesi: l’apertura di quelle rotte commerciali che sarebbero diventate famose come la “Via della Seta”, e poi sfociate nelle imprese di esploratori, geografi e archeologi, impegnati a depredare la ricchezza culturale delle attuali regioni dello Xinjiang e Gansu. A Pechino il mondo era allora diviso in due: da una parte i cinesi, dall’altra i “barbari”, cioè il resto del mondo, compresi gli europei. I primi gesuiti che riuscirono ad arrivare nell’Impero rimasero stupiti dal grado di sviluppo del paese. Nel 18° secolo, secondo Kant, la Cina era “l’impero più colto del mondo”.

Ma nel tempo questo luogo amministrato da mandarini, selezionati per concorso, finì per diventare terra di conquista dei “barbari”. Approfittando delle debolezze dell’impero cinese, incapace alla fine del XIX secolo di far fronte al progresso occidentale derivante dalla rivoluzione industriale, questi “barbari” si stabilirono nel cuore del potere cinese, espropriando il territorio della sua ricchezza e di intere regioni attraverso l’oppio, le armi, i sotterfugi e le infamie come i famosi “trattati ineguali”. La Cina è diventata la persona malata dell’Asia; ha attraversato la sua fase storica più umiliante. Nel profondo del cuore di ogni cinese, qualcosa di tutta questa storia è rimasto. Oggi i cinesi ripropongono le antiche Vie della Seta come simbolo dell’epoca che cambia a cui stiamo assistendo, dello spostamento da Ovest a Est del centro del potere economico e tecnologico: ora sono alla testa della locomotiva. E non hanno intenzione di perdere di nuovo l’appuntamento con la storia.

https://legrandcontinent.eu/fr/2020/07/07/wechat/

 

 

 

Tre uomini in treno, a cura di Giuseppe Germinario e di Claudio Martinotti Doria

Abbiamo appreso dai giornali della missione congiunta di Macron, Draghi e Scholz in treno verso Kiev. In questo sito abbiamo offerto una vasta testimonianza del dibattito e dei tormenti che stanno affliggendo le classi dirigenti e gli analisti statunitensi, russi e cinesi a proposito del conflitto ucraino. Esiste un angolo di mondo pervaso invece da certezze granitiche, pari solo alla scarsa consapevolezza riguardo all’inarrestabile declino cui sta scivolando. Gli unici coerenti, indefessi ed imperterriti nel proseguire a prescindere sulla loro linea di rigore morale, anche al prezzo di qualsiasi sacrificio se non proprio, delle proprie popolazioni, sono i nostri autorevoli statisti europei, nella quasi totalità. Dall’immagine l’allegra compagnia sembrerebbe in procinto di impegnarsi in un acceso confronto a briscola. La triade a capo della confraternita sembra in realtà essere stata colta da un sussulto di realismo. Pare che vogliano indurre Zelenski a più miti consigli. Ma delle due l’una:

  • hanno sbagliato direzione. Avrebbero dovuto allungare il viaggio verso Mosca per poi solcare l’Atlantico su un boat-love, destinazione Washington, le due sedi di insediamento dei veri decisori dei destini dell’Ucraina
  • sono stati in realtà mandati in avanscoperta da chi, comodamente insediato a Washington, come suo solito usa lanciare l’esca e nascondere la mano per concedersi ogni mano libera, anche nei confronti del proprio burattino a Kiev. Trattandosi di un pesce particolarmente grosso il pescatore ha appeso agli ami ben tre molluschi.

Staremo a vedere.

Nel frattempo abbiamo ricevuto da un volonteroso un dettagliato piano di pace che riflette la situazione sul campo, ma che sicuramente risulterà indigesto ad una parte dei commensali. Il buon esito dipenderà dall’afflizione da astinenza che perseguiterà sempre più uno dei due contendenti sul campo. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Ipotesi di un piano di pace che ponga fine al conflitto in Ucraina, che un ministro degli Esteri italiano serio e competente e con una visione realistica e prospettica della situazione avrebbe potuto fornire alle parti in causa.

Di Claudio Martinotti Doria

Ci sarebbero molte premesse da fare prima di enucleare seppur sinteticamente i punti della proposta del piano di pace, ma non voglio ripetermi, le ho scritte già una miriade di volte nei miei articoli precedenti, per cui mi limiterò a ripetere solo l’essenziale in poche righe.

Se questo piano di pace non fosse accettato dalla leadership ucraina (e dai loro burattinai anglosassoni e occidentali in genere) il conflitto proseguirà a tempo indeterminato. La Russia può reggerlo senza problemi (l’Ucraina no, fra breve sarà allo stremo) e se ulteriormente provocata potrebbe esserci un’escalation che ridurrebbe le infrastrutture ucraine a ruderi, le forze armate ucraine collasseranno, la miseria e penuria saranno sempre più gravi e irrimediabili, i razionamenti non saranno sufficienti e i prezzi saliranno alle stelle, la popolazione si rivolterà, ci saranno sommosse e la guerra civile esploderebbe ovunque nel paese, non solo nelle regioni del sud-ovest (perché di guerra civile si tratta). Inoltre se questo piano di pace non fosse accettato la Russia proseguirebbe nell’Operazione Militare Speciale fino a ricongiungersi con la Transnistria togliendo ogni sbocco al mare all’Ucraina distruggendo quel poco di economia residua che gli rimane. Vorrei che questo fosse chiaro.

Ecco in sintesi il piano di pace per ottenere quantomeno un “cessate il fuoco”, prolungato e controllato.

1-      L’Ucraina riconosce la Crimea come uno stato facente parte della Federazione Russa.

2-     L’Ucraina riconosce la Repubblica Popolare di Doneck e di Lugansk, nella loro estensione territoriale dell’intero Donbass, come stati facenti parte della Federazione Russa.

3-     L’Ucraina riconosce il diritto degli Oblast’ di Zaporižžja e di Cherson di aderire alla Federazione Russa se la maggioranza della popolazione manifestasse questo desiderio.

4-     L’Ucraina concederà il riconoscimento di regione autonoma, dotata di piena autonomia, con un proprio statuto e un proprio governo ai seguenti oblast’:

–          Odessa;

–          Mykolaïv;

–          Dnipropetrovs’k;

–          Kharkiv;

–          Poltava;

–          Sumy

–          Černihiv;

5-     Gli oblast’ elencati al punto precedente dovranno essere interamente e permanentemente “smilitarizzati”, nessun insediamento di Forze Armate ucraine sarà consentito, potranno operare solo le Forze dell’Ordine, in numero adeguato e non eccessivo, armate solo per le funzioni di servizio istituzionale. Non dovranno esserci depositi di armi di alcun genere, nessuna milizia territoriale a scopi bellici.

6-    Quanto contemplato al punto precedente si dovrà estendere a tutti i territori a ovest del fiume Dnepr negli oblast’ di Čerkasy e di Kiev.

7-     Mai e per nessun motivo le Forze Armate ucraine dovranno oltrepassare il fiume Dnepr in nessun punto del suo percorso, che svolgerà il ruolo di confine naturale tra l’Ucraina Occidentale e le regioni autonome smilitarizzate.

8-     L’Isola dei Serpenti nell’oblast di Odessa rimarrà sotto il controllo della Federazione Russa;

9-     A garanzia del rispetto di questo piano di pace, se e quando verrà sottoscritto dalle parti, stanzieranno in posizione strategica a ovest del fiume Dnepr, in particolare negli oblast autonomi, Forze di Pace di paesi Nato non invisi alla Federazione Russa e di paesi non facenti parte della NATO ma su mandato dell’ONU, con la stessa condizione precedente di non essere invisi alla Federazione Russa.

Per maggiori dettagli il sottoscritto rimane a disposizione.

15 giugno 2022

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it 

Maria Zakharova: in Italia? Il totalitarismo liberale è evidente

L’articolo è parte delle dichiarazioni russe che hanno scatenato le ire del nostro impavido Ministro degli Esteri, particolarmente risentito dalle accuse di scarsa moralità, ma del tutto indifferente e distratto rispetto a quelle di servilismo, almeno stando ai resoconti giornalistici. Non solo le ire funeste sue, ma anche le reazioni piccate dei ventriloqui che infestano irrimediabilmente il sistema mediatico italiano. Da rileggere, a proposito, il brillante e acuto articolo di Teodoro Klitsche de la Grange apparso sul nostro sito. http://italiaeilmondo.com/2022/06/10/servilita-di-teodoro-klitsche-de-la-grange/ Buona lettura, Giuseppe Germinario
Maria Zakharova_Ricordate la recente vicenda della denuncia da parte dell’ambasciatore russo in Italia, Sergei Razov, alla procura di Roma contro il quotidiano italiano La Stampa e il suo autore Domenico Quirico? La denuncia per aver pubblicato l’articolo del 2 marzo “Il presidente. Se uccidere un tiranno fosse l’unica via d’uscita”, in cui si discuteva con tutta serietà delle possibilità, delle opportunità e degli ipotetici autori dell’assassinio del Presidente della Federazione Russa?
L’art. 414, comma 1 e comma 3 del codice penale italiano prevede “l’istigazione a delinquere”.
L’Ambasciatore russo ha richiamato questo articolo della normativa italiana. Ma i “miracoli della democrazia” non finiscono mai di stupire.
L’altro giorno sullo stesso giornale c’era la notizia che la domanda dell’Ambasciatore era stata respinta dal giudice delle indagini preliminari di Torino. Contrariamente alla prassi, non abbiamo ancora ricevuto una risposta ufficiale alla causa. A giudicare dall’articolo del giornale, la corte fa riferimento al fatto che, secondo quanto asserito, “non esiste un principio costituzionale sull’esistenza di un atto illecito”. La descrizione di un omicidio non “rappresenta una minaccia per la sicurezza dello Stato” (di chi? Nostro o dell’Italia?) e non sono “un invito a commettere un reato”, poiché “non sono stati individuati segni materiali di reato”.
Che classe, eh?
Sulla base di queste conclusioni, il caporedattore di Stampa ha dichiarato con orgoglio che il giornale ha le sue convinzioni, per le quali si batte: “le convinzioni della democrazia liberale”.
Su questo non c’è il minimo dubbio. Il totalitarismo liberale è evidente.
Non è la prima volta che scopriamo che la democrazia liberale nell’accezione occidentale moderna non escluda, ma, al contrario, addirittura incoraggi, sulle pagine di un quotidiano nazionale a grande tiratura la discussione sulla possibilità e l’opportunità dell’eliminazione fisica di un capo di uno Stato estero.
La base del pensiero liberale è la cultura della cancellazione. Se è possibile “cancellare” intere nazioni intese come fenomeno storico, allora in questa logica ben si adatta anche l’“abolizione fisica” degli statisti.
Abbastanza democratico per gli standard occidentali: il fascismo prima bruciò libri nelle piazze, bandì il dissenso e poi iniziò a eliminare le persone nelle camere a gas. La filosofia è la stessa. Questa scuola di pensiero giustifica l’abolizione della lingua madre, l’abolizione di coloro che sono contrari all’abolizione della lingua madre, l’abolizione della difesa dei propri valori se non si adattano all’attuale congiuntura dei demoni che si nascondo nel neoliberismo a stelle e strisce.
A proposito, non abbiamo trovato un punto interrogativo nel titolo dell’articolo, contrariamente a quanto affermato dal giornale, e questo non ha richiesto l’aiuto di un traduttore qualificato, cosa che il giornale ci ha consigliato di fare. Ora che c’è una soluzione legale (contro le aspettative, sorprendentemente veloce), la conclusione è ovvia: nell’Italia moderna sono state rimosse non solo le regole morali ma anche legali alla diffusione di tali materiali provocatori.
A proposito, il codice penale italiano prevede una severa punizione (fino a 1,5 anni di reclusione) per aver offese all’onore e alla dignità del Presidente della Repubblica italiana.
A mio modesto avviso, non puoi assolutamente offendere nessuno. Che sia il presidente dell’Italia, un cittadino italiano o un residente e cittadino di un altro Paese. Cosa ne pensa il liberalismo?
Ve lo dico io. Libertà è la possibilità di ideare, creare, realizzare atti meritevoli e utili. L’attuale liberalismo procede dall’ideologia opposta, glorificando la libertà come impunità per le abomini commessi.
(dal canale Telegram di Maria Zacharova)

 

Confronto USA o cooperazione cinese? Mentre l’Asia-Pacifico contempla la sua sicurezza futura, la scelta è ovvia

Mentre i capi della difesa di Stati Uniti e Cina si dirigono a Singapore per promuovere le loro strategie di sicurezza per l’Indo-Pacifico, i paesi della regione devono affrontare una scelta
Dato il loro desiderio di sviluppo e cooperazione, l’attenzione degli Stati Uniti sull’esclusività e la rivalità offre poco rispetto alla visione cinese della comprensione reciproca

Complessi cambiamenti stanno avvenendo nella sfera della sicurezza internazionale. Disordini civili in Africa e problemi regionali in Medio Oriente stanno emergendo uno dopo l’altro, mentre la guerra Russia-Ucraina mette l’Europa nell’occhio del ciclone, anche se solo pochi mesi fa molti pensavano che la guerra fosse lontana dall’Europa.

In confronto, l’Asia-Pacifico, nonostante alcune incertezze, ha mantenuto la pace e la stabilità generali, con lo sviluppo e la cooperazione che rimangono l’obiettivo principale.

Tuttavia, nel contesto dell’accelerazione delle tensioni tra le grandi potenze e della mancanza di fiducia reciproca strategica, molti sono preoccupati per quanto tempo possano durare questa pace e stabilità e lo slancio positivo che favorisce lo sviluppo.

Il Dialogo Shangri-La si terrà a Singapore questo fine settimana, tornando dopo tre anni, e la questione di come mantenere la pace e la sicurezza nell’Asia-Pacifico tornerà sotto i riflettori. Sia il ministro della Difesa cinese che il segretario alla Difesa americano parteciperanno all’incontro, che è destinato ad attirare l’attenzione di alto livello.

Il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin dovrebbe tenere un importante discorso sulla politica di difesa degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico, mentre il Consigliere di Stato cinese e Ministro della Difesa Nazionale, il generale Wei Fenghe, parlerà della visione della Cina per l’ordine regionale nell’Asia-Pacifico.

Di recente abbiamo assistito a molti sviluppi sulla strategia indo-pacifica da parte dell’amministrazione Biden. Il 12 febbraio, la Casa Bianca ha emesso la sua tanto attesa strategia indo-pacifica. Ulteriori annunci – la “Dichiarazione congiunta dei leader USA-ROK”, “Dichiarazione dei leader congiunti USA-Giappone” e “Dichiarazione dei leader congiunti quad” – sono stati fatti durante la visita del presidente Joe Biden nel nord-est asiatico dal 21 al 24 maggio.

Il 26 maggio, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha tenuto un discorso alla George Washington University, delineando l’approccio dell’amministrazione alla Cina. È molto probabile che il segretario Austin esponga in modo completo la parte militare della strategia indo-pacifica degli Stati Uniti a Singapore.

Sebbene sia ancora in via di formazione, la strategia ha già una struttura chiara. Con la premessa che la Cina sia concorrente strategica degli Stati Uniti, è composta da tre pilastri.

Il primo è rafforzare le alleanze. Sulla base delle loro alleanze militari bilaterali con Giappone, Corea del Sud, Australia, Filippine e Thailandia, gli Stati Uniti sono ora concentrati su Quad e Auku. Sta anche tentando di espandere la Nato nell’Asia-Pacifico.

Il secondo è promuovere l’Indo-Pacific Economic Framework (IPEF). Nato dagli Stati Uniti, con altri 12 Stati membri fondatori, l’IPEF ignora i due quadri esistenti della regione, il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) e l’Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (CPTPP).

Il terzo pilastro è intensificare l’azione militare su tutti i fronti. Gli Stati Uniti stanno mostrando i muscoli e alimentando i problemi di sicurezza nella regione attraverso le loro “operazioni di libertà di navigazione” nel Mar Cinese Meridionale, i transiti di alto profilo attraverso lo Stretto di Taiwan ed esercitazioni militari congiunte nell’Oceano Pacifico occidentale.

Questa combinazione può aiutare a difendere gli interessi egemonici degli Stati Uniti in una certa misura, ma non può in alcun modo mantenere la pace e la sicurezza regionali vantaggiose per tutti i paesi della regione.

Le alleanze militari sono di natura esclusiva, il che significa che le garanzie di sicurezza che gli Stati membri si forniscono a vicenda devono prendere di mira una terza parte. Pur salvaguardando i vantaggi in termini di sicurezza di un piccolo blocco, le alleanze militari creano rivalità non necessarie e rischiano di alimentare divisioni, scontri o persino conflitti.
Qual è lo scopo dell’iniziativa marittima indo-pacifica del Quad?
8 giugno 2022

Nel frattempo, l’IPEF è in sostanza una forma di protezionismo. Incoraggia la circolazione interna all’interno di un piccolo blocco, mettendo a repentaglio la struttura cooperativa regionale esistente, ostacolando il libero scambio e invertendo la tendenza all’integrazione regionale.

Accendere la fiamma delle questioni relative agli hotspot di sicurezza può essere visto come una creazione aperta di conflitti, aggravando le tensioni regionali e offuscando lo sviluppo della regione con pesanti oneri per la sicurezza.


L’incrociatore missilistico guidato della US Navy USS Port Royal (CG 73) attraversa il Mar Cinese Meridionale, come parte di un dispiegamento programmato nella regione, il 9 aprile 2021 Foto: Dispensa della US Navy

Dopotutto, dietro la strategia indo-pacifica degli Stati Uniti c’è una mentalità da guerra fredda che applica percezioni obsolete alla prospera Asia-Pacifico di oggi. Eppure le due guerre mondiali e la Guerra Fredda del 20° secolo sono la prova che il confronto e il conflitto possono solo portare al disastro, e un futuro luminoso è sempre guidato da una cooperazione vantaggiosa per tutti.

Distintamente diversa dalla mentalità superata della strategia indo-pacifica degli Stati Uniti, la Cina ha avanzato una serie di proposte piene di saggezza cinese, con in mente il futuro di tutta l’umanità e le attuali tendenze di sviluppo.

Ad esempio, la Cina ha proposto di costruire una “comunità con un futuro condiviso per l’umanità”, un’iniziativa che incoraggia gli Stati a rispondere alla chiamata del tempo, trattarsi alla pari e impegnarsi nella consultazione e nella comprensione reciproca, invece di ricorrere a alleanze esclusive e confronto. Crea un percorso per la costruzione di una partnership inclusiva e costruttiva che non crea alcun nemico immaginario né prende di mira terze parti.

Anche l’iniziativa Belt and Road, incentrata su una maggiore connettività, è guidata dai principi di ampia consultazione, contributo congiunto e benefici condivisi. Ad aprile, sono stati firmati oltre 200 documenti di cooperazione tra la Cina e 149 paesi e 32 organizzazioni internazionali.

La Global Security Initiative sostenuta dalla Cina delinea sei impegni: per la visione di una sicurezza comune, globale, cooperativa e sostenibile; al rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i paesi; al rispetto degli scopi e dei principi della Carta delle Nazioni Unite; prendere sul serio le legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi; risolvere pacificamente le divergenze e le controversie tra paesi attraverso il dialogo e la consultazione; e al mantenimento della sicurezza in entrambi i domini tradizionali e non tradizionali.

Queste nuove idee rappresentano gli sforzi significativi della Cina per esplorare un approccio per promuovere il progresso della civiltà umana. Sono più rilevanti che mai alla luce dei profondi e complessi cambiamenti nella sicurezza internazionale.

Ora l’Asia-Pacifico si trova a un bivio. La scelta tra un gioco a somma zero e una cooperazione win-win può portare la regione su strade completamente diverse, verso prospettive molto diverse. Che si tratti di salvaguardare la sicurezza regionale a vantaggio di tutti e mantenere lo slancio dello sviluppo e della prosperità, o di percorrere il sentiero battuto delle guerre calde e fredde con un confronto connivente, c’è motivo di credere che tutti i paesi della regione possano fare la scelta giusta.

Il colonnello senior Zhao Xiaozhuo è un membro anziano dell’Accademia delle scienze militari, PLA, Cina

https://www.scmp.com/comment/opinion/article/3180836/us-confrontation-or-chinese-cooperation-asia-pacific-contemplates?fbclid=IwAR0izVzFuzjvqgxdVAo7nelmoRoJIjBOo9smGZqKwMGiT3PuWPDhHHhl_2I

LA CINA NELL’INTERREGNO, di Hu Wei

Questo articolo, sia pure al momento in gran parte contraddetto dal prosieguo degli eventi, rappresenta plasticamente l’esistenza e la vivacità del dibattito presente tra i decisori cinesi riguardo alla collocazione geopolitica del paese e in particolare al rapporto da tenere nei confronti soprattutto degli Stati Uniti e quindi, in subordine, della Russia. Non è certamente il segno di un confronto politico esploso ora, in particolare con il conflitto militare in Ucraina.

Gli albori si sono potuti intravedere già a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, in una fase di piena ostilità della Cina nei confronti della Unione Sovietica e di virulento confronto interno. I termini della discussione di allora erano del tutto diversi e riguardavano, tra le altre cose, il ruolo della pianificazione centralizzata, il rapporto centro/periferia e città/campagna, quello tra grande industia centralizzata, sul modello sovietico e sistema industriale decentrato fondato sulle comuni agricole. A farne le spese fu Liu Shaoqi, ex presidente della Repubblica Popolare Cinese; a guadagnarne, all’ombra di Mao Tze Tung, fu in realtà Zhou enLai, il vero artefice cinese dell’accordo con Nixon e Kissinger. Fu una svolta prettamente politico-diplomatica con pochi riflessi sulle scelte politiche interne al paese, quasi del tutto indipendenti. Il vero mutamento radicale avvenne alla fine degli anni ’80 con l’avvento di una politica economica aperta agli investimenti esteri e al mercato mondiale e la concretizzazione in economia della scelta di rapporti privilegiati con gli Stati Uniti. Fu una modalità di apertura paragonabile più che a quella di tanti paesi africani, dell’America Latina e dell’Europa Orientale, che portò ad una sorta di colonizzazione di quei paesi, quanto a quella piuttosto di paesi del Sud-Est Asiatico contemporanei e, storicamente, a quella degli stessi Stati Uniti, della Germania e del Giappone a fine ‘800. In quel periodo si assistette ad una sorta di congelamento della disastrata grande industria cinese e alla creazione di zone economiche aperte sulla fascia costiera, la più importante a Shangai, ma molto selettive dal punto di vista del controllo e dell’acquisizione delle capacità tecnologiche e imprenditoriali occidentali e del controllo politico del processo di trasformazione. E’ in quelle aree che si è formata una classe dirigente e una élite politica strettamente legata, anche culturalmente, ai centri decisori statunitensi e molto attiva nella lotta politica interna, usualmente molto aspra e spesso sanguinosa. La fase di ristrutturazione, sviluppo e potenziamento tecnologico dei grandi colossi industriali, piuttosto che la loro liquidazione così come avvenuta nei paesi dell’Europa Orientale, fu l’indizio e il segnale di affermazione definitiva di una classe dirigente dalle ambizioni sempre più distinte e assertive, ormai conflittuali con i disegni strategici statunitensi. Merito senza dubbio dei centri decisori dominanti cinesi, ma anche della “dabbenaggine” e presunzione, in realtà espressione anch’essa di un acceso confronto interno, statunitense. Quando si parla di “affermazione definitiva”, ci si riferisce ad una fase e non si vuole eludere l’esistenza in Cina di centri decisori in conflitto e quindi di uno scontro politico dall’esito mutevole. E’ l’esistenza dello stesso articolo qui sotto in qualche maniera a certificarlo e a collocare sotto un’altra luce l’attuale politica statunitense, avventurista sì, ma non irrazionale. Le elezioni presidenziali nel 2024, forse anche quelle di medio termine nel prossimo novenbre negli Stati Uniti e il Congresso del Partito Comunista Cinese a fine anno ci potranno dire qualcosa di più chiaro in merito all’esito del confronto. Non solo negli Stati Uniti, ma anche nella Cina stessa. La posizione espressa dall’autore è di fatto minoritaria; avrebbe però il vantaggio della soluzione in termini di conservazione e semplificazione di alcuni attuali dilemmi geopolitici storici della Cina, soprattutto nei confronti di India, Pakistan e Sud-Est Asiatico. A quale prezzo rispetto all’autonomia politica dagli Stati Uniti, è tutto da vedere. E’ la riprova ancora una volta, ma poco evidenziato da gran parte degli analisti, che il confronto geopolitico tra stati passa attraverso un confronto tra centri decisori tra di loro ostili e interconnessi nell’agone internazionale. Buona Lettura, Giuseppe Germinario

Le Grand Continent_Questo articolo, inviato dall’autore in lingua cinese al sito Usa-Cina Perception Monitor dove è stato pubblicato il 5 marzo e poi tradotto in inglese il 12 marzo, è da allora oggetto di acceso dibattito. Il suo autore, Hu Wei, è uno studioso cinese che occupa una posizione speciale nell’ecosistema delle relazioni internazionali a Shanghai. Viene presentato come vicepresidente del Centro di ricerca sulle politiche pubbliche dell’Ufficio del Consiglio di Stato, presidente dell’Associazione di Shanghai per la ricerca sulle politiche pubbliche e presidente del comitato accademico del Chahar Institute.

In questo breve testo, Hu Wei presenta possibili scenari per il resto della guerra, dieci giorni dopo l’inizio dell’offensiva russa. Per lui, il fatto che l’invasione dell’Ucraina distolga l’attenzione dagli Stati Uniti non deve essere preso troppo ottimisticamente: la Cina ha interesse a sostenere Putin se vincerà, ma Putin perderà sicuramente questa guerra e isolerà ulteriormente la Russia dal resto del Paese. il mondo. Per Hu la conseguenza sarebbe poi lineare: l’egemonia degli Stati Uniti si estenderà, parallelamente alla loro influenza sui loro alleati europei che potranno dire addio ai loro sogni di autonomia strategica; La Cina sarà isolata contro un Occidente di fronte unito; cadrà una “nuova cortina di ferro”, questa volta non più confinata in Europa ma separando le democrazie dai regimi autoritari su scala globale.

Non solo un tale risultato non distoglierebbe l’attenzione degli Stati Uniti dalla Cina nell’Indo-Pacifico, ma rafforzerebbe questo lavoro di “accerchiamento”, sia militare (NATO, Quad, AUKUS) che ideologico attraverso il sistema di valori occidentale. Drammatizzando questa sequenza come quella di una scelta storica, Hu identifica una finestra di opportunità “da una a due settimane” in cui la Cina dovrà fare una “scelta strategica” – in questo caso, smettere di sostenere Vladimir Putin.

Se non si deve dare troppa importanza all’autore negli ambienti decisionali di politica estera in Cina, il suo testo è stato censurato in questa lingua e non ha mancato di suscitare reazioni e risposte denunciando l'”eccessiva” attenzione riservata a questo articolo come un -op” guidato dall’occidente a dividere Russia e Cina… Tanti indizi che sono il segno che questo testo punta appunto ad una serie di elementi al centro del dilemma cinese che presiede gli arbitrati in questi giorni. Anche se è incerto se la Cina deciderà presto di abbandonare la sua neutralità o di smettere di alimentare la sua ambiguità strategica, come rivela la mappa delle reazioni globali all’invasione dell’Ucraina prodotto dal Geopolitical Studies Group – l’incontro di lunedì tra Jake Sullivan e Yang Jiechi potrebbe aiutare a districare alcune incognite, mentre la Russia ha chiesto aiuti economici e militari a Pechino.

Hu Wei_La guerra russo-ucraina è il conflitto geopolitico più grave dalla seconda guerra mondiale e avrà conseguenze globali di gran lunga maggiori rispetto agli attacchi dell’11 settembre . In questo momento critico, la Cina deve analizzare e valutare attentamente la direzione della guerra e il suo potenziale impatto sul panorama internazionale. Allo stesso tempo, per lottare per un ambiente esterno relativamente favorevole, la Cina dovrebbe reagire in modo flessibile e fare scelte strategiche in linea con i suoi interessi a lungo termine.

L’operazione “militare speciale” della Russia contro l’Ucraina ha suscitato aspre polemiche in Cina, con i suoi sostenitori e oppositori divisi in due campi implacabilmente opposti. Questo articolo non rappresenta nessuna delle parti ma intende fornire spunti di riflessione e costituire un punto di riferimento per il più alto livello decisionale in Cina. Presenta un’analisi obiettiva delle possibili conseguenze della guerra e delle opzioni di contromisura a nostra disposizione.

I. Prevedere il futuro della guerra russo-ucraina

1. Vladimir Putin potrebbe non essere in grado di raggiungere gli obiettivi che si è prefissato, che metterebbe la Russia in una situazione delicata. L’obiettivo dell’attacco di Putin era risolvere completamente la questione ucraina e distogliere l’attenzione dalla crisi interna della Russia sconfiggendo l’Ucraina in una guerra lampo, sostituendo i suoi leader e alimentando un governo filo-russo. Tuttavia, la guerra lampo è fallita e la Russia non è in grado di sostenere una guerra prolungata e gli alti costi che essa comporta. Lo scoppio di una guerra nucleare porrebbe la Russia in totale antagonismo con il resto del mondo e sarebbe quindi invincibile. Anche la situazione all’interno e all’esterno del Paese è sempre più sfavorevole. Anche se l’esercito russo è riuscito a occupare Kiev, la capitale dell’Ucraina, e a creare un governo fantoccio a caro prezzo, non significherebbe la vittoria finale. A questo punto, l’opzione migliore per Putin è quella di porre fine alla guerra in modo decente attraverso colloqui di pace, che richiedono all’Ucraina di fare concessioni sostanziali. Tuttavia, ciò che non è raggiungibile sul campo di battaglia è anche difficile da ottenere al tavolo delle trattative. In ogni caso, questa azione militare costituisce un errore irreversibile.

2. Il conflitto potrebbe intensificarsi ulteriormente e non si può escludere un possibile coinvolgimento occidentale nella guerra. L’escalation della guerra sarebbe certamente costosa, ma è molto probabile che Putin non si arrenderà facilmente dato il suo carattere e il suo potere. La guerra russo-ucraina potrebbe intensificarsi oltre l’Ucraina e potrebbe anche includere la possibilità di un attacco nucleare. Se ciò accadesse, gli Stati Uniti e l’Europa non potrebbero restare fuori dal conflitto, che scatenerebbe una guerra mondiale, anche nucleare. Il risultato sarebbe una catastrofe per l’umanità e una resa dei conti tra Stati Uniti e Russia. Questa resa dei conti finale, nella misura in cui la potenza militare russa non può competere con quella della NATO, sarebbe anche peggio per Putin.

3. Anche se la Russia riuscirà a conquistare l’Ucraina dopo una scommessa disperata, sarà comunque una “patata bollente” politica. La Russia avrebbe quindi portato un pesante fardello e sarebbe stata sopraffatta. In queste circostanze, indipendentemente dal fatto che Volodymyr Zelensky sia vivo o meno, molto probabilmente l’Ucraina istituirà un governo in esilio per affrontare la Russia a lungo termine. La Russia sarà soggetta sia alle sanzioni occidentali che a una ribellione sul territorio ucraino. Le linee del fronte si allungheranno. L’economia nazionale non sarà redditizia e alla fine sarà trascinata al ribasso. Questo periodo non supererà alcuni anni.

4. La situazione politica in Russia può cambiare o esplodere nelle mani dell’Occidente. Dopo il fallimento della guerra lampo di Putin, le speranze di una vittoria russa sono deboli e le sanzioni occidentali hanno raggiunto il massimo storico. Poiché i mezzi di sussistenza delle persone sono gravemente colpiti e le forze contro la guerra e contro Putin si uniscono, la possibilità di un ammutinamento politico su vasta scala in Russia non può essere esclusa. Con l’economia russa sull’orlo del collasso, sarebbe difficile per Putin sostenere una situazione così pericolosa, anche escludendo una sconfitta nella guerra russo-ucraina. Se Putin dovesse essere estromesso dal potere a causa di disordini civili, un colpo di stato o per qualsiasi altro motivo, la Russia sarebbe ancora meno propensa a confrontarsi con l’Occidente.

II. Analisi dell’impatto della guerra russo-ucraina sul panorama internazionale

1. Gli Stati Uniti riguadagnerebbero la leadership nel mondo occidentale e l’Occidente ne emergerebbe più unito. Attualmente l’opinione pubblica pensa che la guerra in Ucraina significhi il completo crollo dell’egemonia americana, ma la guerra riporterebbe infatti Francia e Germania, che entrambe volevano staccarsi dagli Stati Uniti, in un’architettura di difesa sotto l’egida della NATO , distruggendo il sogno dell’Europa di realizzare una diplomazia indipendente e un’autonomia strategica. La Germania aumenterebbe significativamente il suo budget militare; Svizzera, Svezia e altri paesi rinuncerebbero alla loro neutralità. Con il Nord Stream 2 sospeso a tempo indeterminato, la dipendenza dell’Europa dal gas naturale statunitense aumenterebbe inevitabilmente.

2. Una “cortina di ferro” cadrebbe di nuovo, non solo dal Mar Baltico al Mar Nero, ma più in generale in una resa dei conti finale tra il campo dominato dall’Occidente ei suoi concorrenti. L’Occidente tratterà il confine tra democrazie e stati autoritari, definendo il divario con la Russia come una lotta tra democrazia e dittatura. La nuova cortina di ferro non sarà più tracciata tra i due campi del socialismo e del capitalismo e non si limiterà alla Guerra Fredda. Sarà una battaglia all’ultimo sangue tra chi è a favore e chi è contro la democrazia occidentale. L’unità del mondo occidentale sotto la cortina di ferro avrà un effetto di travaso sugli altri paesi: si consoliderà la strategia indo-pacifica degli Stati Uniti,

3. La potenza occidentale crescerà in modo significativo, la NATO continuerà ad espandersi e l’influenza degli Stati Uniti nel mondo non occidentale aumenterà. Dopo la guerra russo-ucraina, per quanto la Russia realizzi la sua trasformazione politica, indebolirà notevolmente le forze anti-occidentali in tutto il mondo. La scena successiva agli sconvolgimenti sovietici e orientali del 1991 potrebbe ripetersi: le teorie sulla “fine dell’ideologia” potrebbero riapparire, la rinascita della terza ondata di democratizzazione perderebbe slancio e altri paesi del Terzo Mondo abbraccerebbero l’Occidente. L’Occidente otterrebbe più “egemonia”, sia in termini di potenza militare che in termini di valori e istituzioni. Il suo duro potere e il suoil soft power raggiungerà nuove vette.

4. In questo contesto, la Cina sarebbe più isolata. Per i motivi di cui sopra, se la Cina non adotta misure proattive per rispondere, dovrà affrontare un ulteriore contenimento da parte degli Stati Uniti e dell’Occidente. Una volta caduto Putin, gli Stati Uniti non dovranno più confrontarsi con due concorrenti strategici, ma dovranno solo bloccare la Cina nel contenimento strategico. L’Europa si staccherà ancora di più dalla Cina, il Giappone diventerà l’avanguardia anti-cinese, la Corea del Sud cadrà ancora di più nelle mani degli Stati Uniti, Taiwan si unirà al concerto anti-cinese e il resto del mondo dovrà scegliendo da che parte stare seguendo una logica gregaria. La Cina non sarà solo circondata militarmente dagli Stati Uniti, dalla NATO, dal Quad e dall’AUKUS, ma sarà anche sfidato dai valori e dai sistemi occidentali.

[Dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con le nostre mappe, analisi e traduzioni annotate abbiamo aiutato più di 1,5 milioni di persone a comprendere le trasformazioni geopolitiche di questa sequenza. Se trovi utile il nostro lavoro e pensi che meriti supporto, puoi  iscriverti qui .]

III. La scelta strategica della Cina

1. La Cina non può essere legata a Putin e deve staccarsi da lui il prima possibile. Nel senso che un’escalation del conflitto tra Russia e Occidente aiuta a distogliere l’attenzione degli Stati Uniti dalla Cina, la Cina dovrebbe essere felice della situazione e persino sostenere Putin, ma solo se la Russia non cade. Essere sulla sua stessa barca avrà un impatto sulla Cina se perde il potere. A meno che Putin non riesca ad assicurarsi la vittoria con il sostegno della Cina, una scarsa prospettiva per ora, la Cina non ha il potere di sostenere la Russia. Una delle leggi della politica internazionale dice che non ci sono «né eterni alleati né perpetui nemici», ma che «i nostri interessi sono eterni e perpetui». Nelle attuali circostanze internazionali, La Cina può solo salvaguardare i propri interessi, scegliere il male minore e scaricare il peso della Russia il prima possibile. Al momento, si stima che ci sia una finestra di una o due settimane prima che la Cina perda il respiro. La Cina deve agire con decisione.

2. Deve evitare di giocare contemporaneamente da entrambe le parti, rinunciare alla neutralità e scegliere la posizione dominante nel mondo. Al momento, la Cina ha cercato di non offendere nessuna delle due parti e ha preso una posizione intermedia nelle sue dichiarazioni e scelte internazionali, inclusa l’astensione dal voto in Consiglio di sicurezza e Assemblea generale delle Nazioni Unite. Tuttavia, questa posizione non soddisfa le esigenze della Russia e ha fatto infuriare l’Ucraina, i suoi sostenitori e simpatizzanti, mettendo la Cina dalla parte sbagliata di gran parte del mondo. In alcuni casi, l’apparente neutralità è una scelta saggia, ma non si applica a questa guerra, dove la Cina non ha nulla da guadagnare. Poiché la Cina ha sempre sostenuto il rispetto della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale, può solo evitare un ulteriore isolamento schierandosi con la maggior parte dei paesi del mondo. Questa posizione è anche favorevole alla risoluzione della questione di Taiwan.

3. La Cina deve realizzare la più grande svolta strategica possibile e non essere ulteriormente isolata dall’Occidente. Tagliarsi fuori da Putin e rinunciare alla neutralità aiuterà a costruire l’immagine internazionale della Cina e ad alleggerire le sue relazioni con gli Stati Uniti e l’Occidente. Sebbene sia difficile e richieda grande saggezza, è la migliore opzione possibile per il futuro. L’idea che un conflitto geopolitico in Europa innescato dalla guerra in Ucraina ritarderà in modo significativo il perno strategico statunitense dall’Europa alla regione indo-pacifica non può essere trattata con eccessivo ottimismo. Negli Stati Uniti si stanno già levando voci per dire che l’Europa è importante ma che la Cina lo è di più, e che l’obiettivo principale degli Stati Uniti è impedire alla Cina di diventare la potenza dominante nella regione indo-pacifica. In queste circostanze, la priorità assoluta della Cina è apportare di conseguenza gli adeguamenti strategici appropriati, cambiare gli atteggiamenti ostili degli americani nei suoi confronti e salvarsi dall’isolamento. La cosa principale è impedire agli Stati Uniti e all’Occidente di imporre sanzioni congiunte alla Cina.

4. La Cina dovrebbe prevenire lo scoppio di guerre mondiali e nucleari e dare un contributo insostituibile alla pace mondiale. Poiché Putin ha esplicitamente incaricato i deterrenti strategici della Russia di entrare in uno stato di speciale prontezza al combattimento, la guerra russo-ucraina potrebbe sfuggire al controllo. Una giusta causa attira molto sostegno, una causa ingiusta trova poco. Se la Russia è l’istigatore di una guerra mondiale o addirittura di una guerra nucleare, sicuramente metterà il mondo in subbuglio. Per dimostrare il suo ruolo di grande potenza responsabile, la Cina non solo non può schierarsi con Putin, ma deve anche adottare misure concrete per prevenire il suo possibile avventurismo. La Cina è l’unico paese al mondo con questa capacità e deve sfruttare appieno questo vantaggio unico. La fine del sostegno cinese a Putin molto probabilmente porrà fine alla guerra, o almeno gli impedirà di intensificarla. Di conseguenza, la Cina riceverà sicuramente molti elogi internazionali per il mantenimento della pace nel mondo, che potrebbe aiutarla a evitare l’isolamento, ma anche trovare un’opportunità per migliorare le sue relazioni con gli Stati Uniti e il mondo.

CREDITI
L’articolo originale è disponibile qui in inglese e francese: https://uscnpm.org/2022/03/12/hu-wei-russia-ukraine-war-china-choice/

Iniziano le prove spettacolo, Di Kenneth R. Timmerman

Lo spettacolo vergognoso di giovedì sera inventato dai Democratici al Congresso e dai media passerà alla storia, ma non nel modo in cui intendevano.

Lungi dallo scioccare gli americani con la “nuova” testimonianza di Ivanka Trump visibilmente terrorizzata o di un agente di polizia del Campidoglio ignorante che ha descritto gli scontri del 6 gennaio come “una scena di guerra”, cosa che certamente non era, lo spettacolo di giovedì ha solo rafforzato il divario tra i sostenitori di Trump, i Democratici e le élite dei media.

Anche gli strateghi democratici e i commentatori dei media ammettono che le audizioni non mirano a cambiare l’opinione pubblica. “Invece, il lavoro del comitato è più chiaramente rivolto ai vertici del Dipartimento di Giustizia che decideranno se sporgere denuncia contro Trump e i membri della sua cerchia ristretta”, ha scritto Jonathan Allen  in un commento per NBC News.

Questo di per sé dovrebbe essere sufficiente a terrorizzare qualsiasi americano che ha vissuto la Guerra Fredda, o che legge Kafka al liceo o all’università.

Siamo entrati in un’era di processi farsa, proprio come le stravaganze prodotte dal dittatore sovietico Joseph Stalin negli anni ’30.

L’obiettivo del processo farsa è intimidire e deviare. In questo caso, i Democratici vogliono intimidire Donald Trump e i suoi sostenitori, minacciandoli di essere processati con l’accusa di sedizione per presunta pianificazione, incoraggiamento e sostegno ai rivoltosi. (Questo è senza dubbio il motivo per cui Ivanka Trump sembrava un cervo alla luce dei fari nel videoclip di 16 secondi della sua testimonianza Rep. Liz Cheney trasmessa all’udienza su uno schermo gigante sopra le teste dei membri del comitato).

Il pezzo di deviazione è ciò che i Democratici non vogliono che tu veda, e dal 3 novembre 2020 hanno cercato disperatamente di impedire agli americani di guardare.

Fin dall’inizio, hanno usato la frase “Grande bugia”, un termine introdotto dal capo della propaganda di Hitler, Josef Goebbels, per descrivere gli sforzi del presidente Trump per richiamare l’attenzione sulle prove dilaganti di irregolarità elettorali. Non puoi leggere o guardare la copertura delle notizie dei media d’élite sulle elezioni che non si riferiscono alle “menzogne ​​non dimostrate di Trump” sulle elezioni.

Ma più il popolo americano guardava, più credeva al presidente Trump e ai suoi occhi bugiardi. Com’è stato, nel paese più esperto di tecnologia del mondo, che la maggior parte di noi è andata a letto a mezzanotte la notte delle elezioni con le immagini televisive degli inattaccabili margini di vittoria di Trump in tutti e cinque gli stati oscillanti con il 98% dei voti contati, e ti sei svegliato la mattina dopo per vedere che quei margini erano crollati e in qualche modo solo il 92% o il 94% percento dei voti era stato contato?

Nei mesi tra le elezioni e il 6 gennaio, abbiamo visto dozzine di azioni legali intentate in questi stati oscillanti, con migliaia di dichiarazioni giurate di testimoni oculari, presentate sotto pena di falsa testimonianza, che descrivono evidenti violazioni della legge elettorale, e tutte sono state archiviate. Come ho scritto all’epoca, molti americani hanno perso la fiducia nel nostro sistema di giustizia.

Quando arrivò il 6 gennaio, gli americani erano arrabbiati, frustrati e disillusi. Credevano di essere stati derubati del loro voto e del loro presidente, ma non sapevano cosa fare al riguardo. In effetti, il nostro sistema aveva deluso le persone che era stato progettato per proteggere.

Poiché gli americani non avrebbero – e non lo faranno – lasciar andare la loro convinzione che le elezioni del 2020 siano state rubate, non importa quanto i media d’élite li abbiano martellati di bugie, i Democratici del Congresso hanno messo sotto accusa il presidente Trump una seconda volta dopo aver lasciato l’incarico.

 

Ma anche questo non bastava. Trump semplicemente non se ne andrebbe, e nemmeno i suoi sostenitori. Quindi i Democratici al Congresso dovevano andare long. Hanno creato un comitato ristretto e lo hanno dotato di poteri di polizia incostituzionali per intimidire gli addetti ai lavori di Trump come Peter Navarro, trascinandolo giù da un aereo e bloccandolo con i ferri alle gambe, anche se aveva discusso con gli ufficiali dell’FBI su come presentare una testimonianza al comitato pur mantenendo il privilegio esecutivo.

Tre nuovi documenti di alto profilo stanno facendo impazzire i Democratici e incoraggiano loro e i repubblicani che odiano Trump a raddoppiare con le udienze del 6 gennaio.

Il 6 aprile, l’ex consigliere di Trump e presidente di Citizens United David Bossie ha pubblicato Rigged , una denuncia di come Mark Zuckerberg abbia acquistato una vasta burocrazia elettorale per 450 milioni di dollari.

Un mese dopo, grazie a un’indagine fenomenale di True the Vote, Dinesh D’Souza pubblicò 2000 Mules , che mostrava i soldi di Zuckerberg in azione, riempiendo le schede elettorali nei distretti chiave dell’altalena in tutta l’America.

Pochi giorni dopo, l’ex senatore dello stato del Michigan Patrick Colbeck ha pubblicato The 2020 Coup , che ha esaminato i difetti strutturali dei sistemi elettorali decentralizzati americani, come potevano essere manipolati, e poi li ha abbinati agli eventi a cui lui e altri avevano assistito sul campo e presentati davanti a vari tribunali di tutto il paese.

Colbeck ha descritto la “rasatura delle schede elettorali”, un processo di manipolazione dei voti con un piccolo margine in modo da non attirare l’attenzione o attivare un audit. Ho mostrato come ha funzionato questo processo nel mio romanzo di agosto 2020, The Election Heist , che prevedeva molti degli schemi effettivamente accaduti nelle elezioni del 2020.

Colbeck sostiene che gli americani scopriranno la verità – e inizieranno a sanare le profonde divisioni causate dal furto delle elezioni del 2020 – solo se gli sceriffi della contea e altre autorità giudiziarie condurranno indagini forensi complete sulle elezioni.

Nel frattempo, ogni volta che senti che un supervisore elettorale di contea o statale ha intentato una causa per impedire il rilascio di registri elettorali, o ha distrutto tali registri prima dei 22 mesi previsti dalla legge federale per conservarli, comprendi che hai appena assistito a un complice di frode elettorale.

I Democratici sapevano che Trump avrebbe ottenuto una vittoria schiacciante il 3 novembre 2020 e hanno concepito un intricato piano a livello nazionale per rubare quella vittoria, non generando nuovi elettori, ma inventandoli e, quando non ne avevano abbastanza. , introducendo algoritmi di giuntura del voto nei tabulatori elettorali la notte delle elezioni. Si sono persino vantati dei loro sforzi dopo il fatto.

Ora, con il Comitato del 6 gennaio, sperano di completare l’insabbiamento. Prevedo che falliranno, perché il popolo americano ha già visto attraverso di loro. Ma nel frattempo, potrebbe diventare molto brutto.

Il dodicesimo libro di saggistica di Ken Timmerman , And the Rest is History: Tales of Hostages, Arms Dealers, Dirty Tricks, and Spies , sarà pubblicato da Post Hill Press il 31 agosto. Il suo sito web è kentimmerman.com

https://www.americanthinker.com/articles/2022/06/the_show_trials_begin.html

Economia e guerra, di George Friedman

L’economia americana, la più grande e dinamica del mondo, è una questione geopolitica. E in questo momento, è in un prevedibile periodo di disfunzione. È stato paragonato – giustamente, secondo me – al tumulto degli anni Settanta. La disoccupazione ha raggiunto l’8,2% nel 1975, i tassi di inflazione hanno raggiunto il 14,4% nel 1980 e i tassi di interesse erano dell’11,2% nel 1979. Ho comprato la mia prima casa nel 1978 con un interesse del 19%. Fu un periodo difficile, intimamente legato alla guerra del Vietnam.

Lyndon B. Johnson ereditò quella guerra e la intensificò. Gli Stati Uniti stavano affrontando un’elezione nel 1964 e un’altra nel 1968. A quel punto, le cose in Vietnam non stavano andando bene. Probabilmente più importante per Johnson era quella che chiamava la Great Society, un tentativo massiccio e molto costoso di dichiarare guerra alla povertà. Dovette scegliere tra “pistole e burro”. Un massiccio programma sociale e una guerra su vasta scala erano incompatibili, ma Johnson era ideologicamente impegnato nel programma sociale e non poteva abbandonare la guerra. Ha deciso di fare entrambe le cose. Fu a quel punto che iniziò la crisi economica che sarebbe scoppiata negli anni ’70.

Pistole e burro significavano o massicci prestiti o un massiccio allentamento da parte della Federal Reserve. Tutti volevano unirsi a Johnson per mangiare la sua torta e anche per mangiarla. Il risultato è stato sia la stampa di denaro che l’indebitamento, creando un’inflazione massiccia e un indebolimento del dollaro.

Richard Nixon fu eletto in seguito, ereditando non solo la guerra del Vietnam, ma anche un’economia che sembrava essere fuori controllo. Nell’agosto del 1970 fece due cose quasi contemporaneamente: impose un blocco dei prezzi e dei salari per 90 giorni e abbandonò il gold standard, che era stato stabilito dall’accordo di Bretton Woods. Quell’accordo obbligava Washington a convertire i dollari in oro a 35 dollari l’oncia. L’improvviso blocco dei prezzi ha immobilizzato l’economia e l’abbandono del gold standard ha reso il dollaro più volatile. In generale, è diminuito di valore e ha portato all’inflazione.

Il tasso di disoccupazione è aumentato perché il licenziamento era l’unico modo per gestire le spese. I tassi di interesse e l’inflazione sono aumentati. Sembrava che tutto fosse fuori controllo, ma il vero colpo doveva ancora arrivare. Nell’ottobre 1973, con Nixon che si crogiolava nello scandalo Watergate, l’Egitto e la Siria colsero di sorpresa Israele con un attacco sbalorditivo e inaspettato. Gli Stati Uniti si sono trattenuti dal sostenere Israele, ma quando Israele ha iniziato a esaurire i proiettili di artiglieria e altre necessità, gli Stati Uniti hanno iniziato a trasportare rifornimenti in aereo. I produttori arabi di petrolio hanno risposto ponendo un embargo petrolifero agli Stati Uniti e agli altri sostenitori di Israele, in particolare in Europa. È stato un duro colpo per l’economia statunitense, dove i prezzi del petrolio non solo sono aumentati, ma il petrolio è diventato indisponibile. Le stazioni di servizio che avevano carburante avevano linee di macchine allineate per mezzo miglio. Il petrolio era un bene essenziale, e non era disponibile. L’inflazione è aumentata. La disoccupazione è aumentata vertiginosamente con la chiusura delle attività. I tassi di interesse sono aumentati poiché le banche hanno protetto le riserve. L’embargo petrolifero è continuato per mesi tra alcuni produttori. Non è eccessivo dire che l’economia americana e altre economie si stavano dirigendo verso il tracollo. Le manovre politiche che avevano avuto un impatto sull’economia statunitense negli anni precedenti sembravano ora modeste.

Ciò che iniziò con la guerra del Vietnam accelerò con la guerra arabo-israeliana. Il vero dolore non è arrivato fino all’inizio degli anni ’80, quando un nuovo paradigma politico si è confrontato con l’idea che l’inflazione e gli alti tassi di interesse non solo influivano sulla vita privata, ma limitavano drasticamente gli investimenti e, a loro volta, aprivano le porte alle esportazioni giapponesi. Un cambiamento del codice fiscale che ha aumentato gli investimenti e diminuito i consumi ha risolto i problemi creati prima dalla guerra e poi dalla politica. Ronald Reagan era presidente e attuava politiche che non aveva altra scelta che attuare. Ciò che è iniziato con pistole e burro è finito nella capitale che ha guidato il boom tecnologico.

È facile incolpare Johnson e Nixon, ma hanno eseguito le politiche richieste dal pubblico. Il pubblico voleva che i problemi fossero risolti senza alcun costo per loro. Poiché ciò era impossibile, il sistema politico ha generato l’illusione di una soluzione. Quell’illusione ha soddisfatto le richieste pubbliche a breve termine, le richieste che spesso finiscono in un dolore maggiore di quanto immaginassero.

In altre parole, la guerra ha generato una conseguenza non intenzionale. Un’altra guerra ha imposto un disagio straordinario ma ha portato a uno sconvolgimento del sistema politico. Come ho scritto altrove, è così che funziona la nostra cultura. Nella nostra era, la fine del ciclo è iniziata con il COVID-19, che ha avuto lo stesso effetto dirompente di una guerra e ha creato la stessa rabbia furiosa. Questa è stata seguita da un’altra guerra, l’Ucraina, che sta avendo un effetto enorme sul sistema economico globale. L’inflazione è in aumento e i tassi di interesse in aumento.

Se il mio modello seguirà il corso, il sistema politico non sarà in grado di risolvere i problemi prima della fine del decennio. Ovviamente daremo la colpa ai politici per quello che succede, poiché questa è una tradizione americana. Il processo irresistibile crea il dolore e i miracoli richiesti dal pubblico peggioreranno le cose. I politici saranno incolpati. Ma cancella il sistema e ci prepara per il futuro.

https://geopoliticalfutures.com/economies-and-war/?tpa=N2Q5ODdlMDY0MjYxMDc4ZWUyY2Y2MDE2NTU5OTg1NTJlNWFmOGM&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/economies-and-war/?tpa=N2Q5ODdlMDY0MjYxMDc4ZWUyY2Y2MDE2NTU5OTg1NTJlNWFmOGM&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

LA PRIMA GUERRA DEL METAVERSO, di Shi Zhan

Una intervista  molto interessante; probabilmente un po’ troppo ottimistica sulle virtù del metaverso. Intanto bisogna distinguere sulla funzione all’interno e quella all’esterno di un paese, sia che si parli di metaverso, che della comunicazione, che in maniera più riduttiva di propaganda. Il successo di queste pratiche registrato in Ucraina e nel mondo occidentale sta producendo specularmente l’effetto contrario in Russia, visto l’evidente rafforzamento della sua dirigenza. La stessa tanto decantata flessibilità nelle tattiche ucraine di conduzione della guerra sta incontrando il limite della necessità della difesa del territorio e dell’estremo valore politico e motivazionale della difesa dell’integrità territoriale. Non a caso sta tornando in auge la dottrina militare classica con gli evidenti segni di logoramento dell’esercito ucraino.  Un ritorno in auge che deve comunque tener conto delle novità brillantemente esposte nel saggio. Buona lettura, Giuseppe Germinario

DAVID OWNBY_Nato nel 1977, Shi Zhan è Professore di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e Direttore del World Politics Research Center presso la China Foreign Affairs University. Il lavoro di questo giovane accademico molto prolifico è interessante sotto diversi aspetti. In primo luogo nel mettere in discussione le nozioni tradizionali di cosa significhi “Cina”, ma anche nell’osservare l’impatto degli algoritmi e del metaverso sull’economia globale e sul potere degli stati nazione. Per un’introduzione al lavoro di Shi, vedere la breve recensione che ho scritto del suo libro più recente隔离,信任与未来( Coming Out of the Cocoon, Isolation, Trust and the Future , Changsha: Hunan Wenyi Chubanshe, 2021).

Il testo che qui traduciamo è stato pubblicato per la prima volta sull’account WeChat di Shi Zhan – destinato, quindi, ai suoi iscritti. È stato poi ripubblicato sul sito Exploration and Free Views , un grande quotidiano con un pubblico consistente. Il primo interesse di questo testo è quindi che non appartiene alla categoria delle pubblicazioni che sarebbero riuscite a sfuggire alla censura cinese. Anzi: i direttori di una grande testata hanno ritenuto opportuno pubblicarlo considerando che quanto Shi aveva da dire sarebbe stato di interesse per i lettori. Alla lettura, questo punto invita alla riflessione poiché Shi sembra spingere lontano la sua tesi sull’interazione tra il mondo offline e quello online.

Come una serie di altri testi emersi in Cina dopo l’invasione dell’Ucraina, la pubblicazione di Shi Zhan non rientra direttamente nel quadro utilizzato dal regime e dai suoi organi di propaganda per affrontare questa questione. Non difende né condanna nessuna delle parti. Shi vede la guerra dal punto di vista delle piattaforme e delle reti, osservando le interazioni dei mondi online e offline in battaglia e l’immagine restituita dalla guerra, in particolare l’immagine di Zelensky. Queste osservazioni lo portano a questa conclusione stupefacente: organizzando la sua resistenza, l’Ucraina avrebbe capito come si vinceranno le guerre future nell’era del metaverso.

SHI ZHAN_La guerra russo-ucraina si svolge sia online che offline, con le due dimensioni fortemente integrate e che si plasmano a vicenda, con la caratteristica di essere profondamente interconnesse . Si potrebbe dire che questa è semplicemente una guerra del metaverso, piena di metafore.

La parola che Shi usa qui è分布式, che letteralmente significa “distribuito”, come in “calcolato distribuito”. “Connesso” o “in rete” sembra avere più senso qui.

Nei miei post più recenti (“La performance è guerra”, “Ognuno è un talk show”, “Un momento in cui devi mettere le carte in tavola”), ho spiegato in più occasioni come la partecipazione in rete nell’era dei social network rendono la guerra un’esperienza individuale – e non più collettiva – il che implica una ridefinizione della guerra. Trasforma anche la politica. In termini di social media, la performance interattiva a due vie di Zelensky in un piccolo teatro è stata migliore della performance unilaterale e centralizzata di Putin sul grande schermo, perché quando Zelensky ha messo in scena la sua opera per il mondo intero, ha condotto una guerra che i suoi fan potrebbero seguire. È una metafora del metaverso.

In uno scenario del genere, il potere dei valori diventa più importante che mai. A prima vista i valori sembrano essere solo parole, come bolle galleggianti, ma sono proprio i valori che guidano l’ordine in rete che può raggiungere individui che non avrebbero mai avuto la possibilità di incontrarsi offline, mobilitandoli online in diverse forme di azione collettiva, trasformandole in una forza che è ovunque e da nessuna parte, rimodellando costantemente i confini comportamentali delle parti coinvolte (ho analizzato questo fenomeno nel mio post “Un’età per giocare a carte in tavola” attraverso diversi esempi) , che è senza precedenti. Molte persone pensano che il metaverso sia solo un espediente, nient’altro che una bozza calda, ma non capiscono che nell’era delle reti, la potenza di questa “aria calda” è maggiore di quella della nostra immaginazione tradizionale. L’era del metaverso è costruita su queste fondamenta e riorganizzerà la nostra tradizionale comprensione di elementi fondamentali come acqua, terra e fuoco.

La comunicazione in rete ha rafforzato il ruolo dei valori – attraverso la narrazione che accompagna la distribuzione delle immagini e attraverso la ludicizzazione del conflitto, che incoraggia la partecipazione e la mobilitazione in tutta la rete.

Il vice primo ministro ucraino e ministro per la trasformazione dei dati Mykhailo Albertovych Fedorov (nato nel 1991), sulla trentina, era proprietario di una società di marketing su Internet prima di entrare in politica e conosce tecniche di comunicazione di rete perfette. Quella che inizialmente sembrava una scelta strana da parte di Zelensky si è rivelata un colpo da maestro nella Guerra del Metaverso. Fedorov è estremamente fantasioso e sa come utilizzare i social media per trasformare la tragedia in commedia, come ludicizzare ciò che sta realmente accadendo, seguendo la logica di base della comunicazione nel metaverso. Esaminiamo alcuni esempi.

Volodymyr Zelensky è nel cuore del campo di battaglia di kyiv, ma può rivolgersi al Congresso degli Stati Uniti, al Parlamento europeo e ad altri, ottenendo un enorme sostegno senza fare un passo fuori dalla capitale, che è essa stessa una sorta di integrazione delle realtà online e offline in un moda del metaverso. Un breve video pubblicato dopo il suo discorso al Congresso degli Stati Uniti ha messo a confronto la bellezza della Kiev prebellica con la miseria attuale che, insieme alla commovente musica di sottofondo, ha brillantemente tradotto in termini artistici la tragedia in corso.

Secondo Shi, i mezzi di comunicazione in rete hanno il potere di fare della guerra un’esperienza individuale, poiché le immagini dei campi di battaglia possono arrivare direttamente sullo smartphone di chiunque, senza alcuna forma di mediazione da parte dei governi o dei media. Non è certo la prima volta che succede una cosa del genere, e molto si è detto sul potere dei social media nelle varie rivoluzioni colorate avvenute negli ultimi decenni. Detto questo, l’amministrazione di George W. Bush una volta ha vietato le fotografie delle bare dei soldati americani morti nella guerra in Iraq, che era solo uno dei tanti sforzi per controllare le immagini e la storia della guerra. Le comunicazioni in rete permetterebbero di “mettere le carte in tavola”, secondo la descrizione appropriata di Shi, e alla fine potrebbe rendere obsoleta la strategia di messaggistica televisiva unidirezionale impiegata dalla Russia.

Mi ha ricordato fotografie che avevo visto prima, immagini scattate da fotoreporter ucraini di parlamentari che litigavano nel palazzo del parlamento, che qualcuno ha detto gli ricordava Caravaggio, che parla a lungo della visione artistica degli europei dell’est. Nell’era del metaverso, usare la tensione delle forme d’arte per trasmettere rappresentazioni, mentre si utilizzano i social media per ottenere una circolazione virale, consente di trasmettere l’essenza di un problema, che è una capacità chiave. Ne ho discusso in dettaglio nel mio recente post intitolato “Representation as Essence, Performance as War”.

Il riferimento ai dipinti di Caravaggio potrebbe riferirsi a una tendenza Reddit, indagata in un articolo del Guardian .

Il principio del metaverso è ludicizzare la realtà . I giochi sono una potente forza trainante nella natura umana. L’uso di metodi di ludicizzazione può attirare grandi folle per costruire l’ordine del metaverso in rete a basso costo. La concorrenza è anche un potente motore della natura umana e la guerra è la forma definitiva di competizione. Il metaverso giocherà quindi la guerra per stimolare il desiderio di partecipazione delle persone; quello che stiamo vedendo oggi in Ucraina è una versione beta di quello.

Giocare alla guerra in questo modo fa sì che ancora più persone pensino e facciano rete. Un artista di Chicago ha creato le figure Lego di Zelensky che vengono vendute online per raccogliere fondi per l’Ucraina. È probabile che vedremo più situazioni di questo tipo di iniziative e tutti i giochi che le persone giocano diffonderanno di nascosto determinati valori, cambiando inconsciamente la comprensione del mondo da parte delle persone, spingendo i confini della legittimità di vari comportamenti – esattamente cosa fa il metaverso .

Il Metaverse non è solo un mondo parallelo online, ma esiste come integrazione della costruzione reciproca di mondi online e offline . Tornando alla dimensione offline della guerra del metaverso tra Russia e Ucraina, la natura in rete del metaverso si riflette in vari modi.

Innanzitutto, l’Ucraina sta conducendo la guerra in un modo molto diverso rispetto al passato. Durante le riforme militari degli ultimi anni, il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov (nato nel 1966) ha sciolto le unità combattenti al di sopra del livello di battaglione, in modo che le unità da combattimento di base diventassero estremamente disperse e appiattite, e allo stesso tempo ha notevolmente migliorato le capacità di scansione e intelligence del sistema di comando.

Il sistema di comando dell’esercito ucraino è come una super piattaforma, supportata da informazioni aerospaziali integrate, sulla base della quale piccole unità di combattimento disperse vengono schierate in attacchi flessibili, utilizzando missili guidati Javelin e Stinger, che costano centinaia di migliaia di dollari, per abbattere carri armati e aerei russi del valore di milioni, se non decine di milioni di dollari. L’esercito ucraino fa tutto il possibile per evitare battaglie frontali concentrate, e invece fa la guerra in modo disperso e frammentato, una guerra altamente asimmetrica di Davide contro Golia. Le operazioni interne dell’esercito ucraino sono a basso costo e scarsa fornitura in termini di campo di battaglia; la situazione dell’esercito russo è esattamente l’opposto .

I concetti alla base di questo nuovo metodo di guerra – disperso, digitalizzato, in rete e intelligente – fanno sembrare i metodi russi di condurre una guerra su larga scala, rispecchiando le tattiche della seconda guerra mondiale, goffi e superati. L’organizzazione dell’esercito ucraino lo rende totalmente inadatto alle guerre straniere, ma altamente adatto alle guerre locali di autodifesa, e le filosofie militari e politiche dietro di esso sono in linea con i valori in rete, in cui l’online e l’offline si fondono a livello concettuale e organizzativo, a loro volta supportati da piattaforme digitali e high-tech online e offline. La tecnologia stessa è neutra, ma certe caratteristiche di certe tecnologie spesso risuonano con particolari orientamenti valoriali o logiche organizzative, facilitando così la diffusione di specifici valori e forme organizzative, come abbiamo visto tante volte nella storia; il metaverso oggi è solo un altro esempio.

La comunicazione in rete, metaversale, secondo Shi, incoraggerebbe scelte strategiche intelligenti nel confronto di Davide contro Golia, almeno in questa guerra. Non è il primo commentatore a evidenziare il contrasto tra una strategia ucraina basata sull’agilità tattica e lo stile dell’esercito russo della seconda guerra mondiale. Questo è l’ultimo messaggio che Shi Zhan sembra voler trasmettere ai suoi lettori: schierarsi dalla parte degli ucraini, non perché siano dalla parte giusta, ma perché sono i più intelligenti.

Questa logica organizzativa permette anche di mobilitare pienamente la popolazione. Di recente ho letto qualcosa – che deve ancora essere verificato – che l’Ucraina ha lanciato un’app che il pubblico può utilizzare per fotografare le truppe russe che vedono, consentendo all’app di caricare la loro posizione e quindi all’esercito ucraino di reagire. Ancora una volta, non so se sia vero o no, ma se è vero, è estremamente ‘metaverso’, nel senso che l’online e l’offline sono completamente collegati in rete, mettendo l’esercito russo contro forze che sono ovunque e da nessuna parte, che sono difficili da combattere. Quindi, anche se l’app non esiste ancora, ci sono buone probabilità che alla fine lo sarà.

Un’altra informazione: due studenti americani, i cui nomi sembrano provenire dall’Europa dell’Est, anche se non so se siano ucraini, hanno sviluppato un sito web che consente ai rifugiati ucraini e alle famiglie europee che desiderano accogliersi di ritrovarsi rapidamente. È una specie di Airbnb in tempo di guerra, tranne per il fatto che trasforma la gig economy in gig disaster relief , in cui i valori della rete possono diventare una grande motivazione per le persone a mettersi in gioco.

L’ esperienza online può cambiare i confini del comportamento, ma è ancora nel mondo offline che le cose accadono. La guerra è tutt’altro che finita e tutto ciò che dobbiamo fare è guardare e aspettare. Lo stesso vale per il futuro metaverso, in quanto il mondo online ridefinirà il mondo offline, anche se il mondo online non può sfuggire alle varie risposte e vincoli del mondo offline: il processo è infatti reciprocamente costitutivo . In questo senso, la guerra russo-ucraina può essere vista come una versione beta del futuro, un futuro molto metaversale.

I tempi stanno cambiando.

https://legrandcontinent.eu/fr/2022/06/07/la-premiere-guerre-du-metavers/?mc_cid=905dc3d0f8&mc_eid=4c8205a2e9

BUROCRAZIA E INFALLIBILITÁ, di Teodoro Klitsche de la Grange

BUROCRAZIA E INFALLIBILITÁ

Ha suscitato stupore l’affermazione del direttore dell’Agenzia delle Entrate che in Italia ci sono 19 milioni di evasori fiscali. Ma non è stato notato – o notato poco – che non era tanto l’esternazione del dr. Ruffini ad essere discutibile ma- assai di più – il “ragionamento” di cui era il risultato.

Chi scrive è convinto che i 19 milioni di evasori di Ruffini siano una stima per difetto: in effetti ho l’impressione che il numero degli evasori sia poco inferiore all’intera popolazione maggiorenne italiana, cioè 45 milioni (almeno). Ciò per due motivi: il primo è che è l’appetito del fisco a creare l’evasione. Più è predatorio quello, più è diffusa questa, secondo la curva di Laffer, così sconosciuta nelle stanze del potere italiano. La seconda è la mediocre efficienza della pubblica amministrazione: per cui c’è da presumere che ai diciannove milioni di evasori sagacemente “tassati” dal fisco, ve ne siano altrettanti – o giù di li – che se la godono nella clandestinità. Anche perché il sistema principale per “recuperare l’evasione” collaudato da trent’anni è assai semplice: far pagare di più chi già paga. La seconda imposta per gettito, cioè l’IVA, compie quest’anno 50 anni: per “recuperare l’evasione” l’aliquota nello stesso periodo è stata quasi raddoppiata: dal 12% al 22%. Ad ogni aumento il solito coro di giubilo “paghiamone tutti, paghiamone meno” ma in effetti nella realtà sono sempre i soliti a pagare.

Ma ciò che rende debole e profondamente illiberale l’argomento di Ruffini è l’equivalenza tra pretese fiscali e fondatezza (anche giuridica) delle stesse. In altre parole si presuppone che 19 milioni siamo debitori perché gli impiegati dell’Agenzia fiscale hanno emesso dei titoli esecutivi a loro carico. Che è proprio il contrario di quanto da oltre due secoli i teorici dello Stato di diritto sostengono: tra i tanti basti citare il Federalista (come faccio spesso) in cui si sostiene che i controlli sul governo (cioè in termini moderni e “continentali”  sull’amministrazione pubblica) non sarebbero necessari se a governare fossero angeli, ossia moralmente irreprensibili e intellettualmente infallibili. Ma siccome non è così, scrivevano gli autori del “Federalista”, i controlli sono necessari. E l’intera costruzione dello Stato di diritto (e anche, meno coerentemente di altri “tipi” di Stato) si basa proprio su tale realistico giudizio sull’antropologia umana, e quindi burocratica.

La diffusione e l’istituzionalizzazione di limiti e controlli al potere, in primo luogo la giustizia nell’amministrazione, non è che la conseguenza di quello.

Credere il contrario non è soltanto manifestamente smentito dai fatti: è qualcosa che neppure gli ordinamenti più autoritari – forse (del tutto) neanche quelli totalitari – ammettono. Se il Papa è infallibile lo è solo quando parla ex-cathedra e in materie limitate. Ma l’infallibilità del Sommo Pontefice non emana verso uffici, impiegati, vescovi e parroci, mentre (pare che) quella fiscale si comunica per via gerarchica, dal Direttore agli impiegati di concetto (se non anche più in giù). Per cui il ragionamento di Ruffini, sulla cui fondatezza non insistiamo, è sicuramente il contrario di quanto sostenuto dai teorici (e pratici) del Rechtstaat.

Ma qualche conseguenza positiva la può avere: se è vero che gli evasori fiscali sono 19 milioni (come calcolato dal direttore) o molti di più, la conseguenza è che se vanno tutti a votare, e lo fanno coerentemente, i tempi del fisco predatorio sono agli sgoccioli: con una maggioranza così schiacciante un condono tombale (al minimo) è a portata di mano. Una riforma verso un fisco meno predatorio, probabile.

Ricordate, gente, ricordate.

Teodoro Klitsche de la Grange

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