All’intervista del presidente l’altro ieri, segue rapida quella del numero 2 del consiglio di guerra – Dmitry Medvedev – che va ad implementare quanto lo stesso aveva già dichiarato una decina di giorni orsono in studio televisivo, con tanto di nuove mappe politiche alle sue spalle che ridefiniscono i connotati dell’est-europeo per la prima volta dal 1992 (…).
In breve, parla di “resa incondizionata”, come possibile epilogo dello scacchiere ucraino con annullamento dello stato omonimo come entità indipendente. Oppure di partizione (le cui varianti sarebbero molteplici).
Vi è qualcosa di volutamente eccessivo, oserei dire, nell’intervento: termini ed espressioni utilizzate sono radicali al punto tale da coincidere in pieno con la narrativa caricaturale dei media d’occidente in merito alla voracità imperiale del Cremlino (!). Pare quasi che tenti deliberatamente di confermarla che giochi sulle paure pregresse di ucraini e alleati in modo di scuoterli quanto serve e portarli ad ascoltare di più l’ultima intervista del presidente. E allora iniziamo proprio da questo: le uscite (volutamente) esagerate di Medvedev e le sue cartine geografiche a colori vivaci, stridono con il tono assai più calmo, severo e ponderato di Vladimir Putin, che esprime un quadro meno estremo e più realistico……..e soprattutto le seguono a ruota (cioè Medvedev si è espresso immediatamente dopo).
Ad occhio, sono portato a credere in una riedizione – a livello di politica internazionale – della dinamica negli interrogatori di polizia “POLIZIOTTO BUONO e POLIZIOTTO CATTIVO”, di antichissima memoria.
Per aiutare l’opinione pubblica ucraina e di chi li “aiuta” a capire che vale la pena considerare la mano tesa di Putin , gli si presenta anche possibili alternative di carattere catastrofico, su cui riflettere, arrivando alla conclusione logica che la proposta di un paio di giorni fa è in fondo il minore dei mali. Al Cremlino non si ipotizzano seriamente scenari del genere riportato sulla mappa (in basso), non li si pianificano, non li si era mai pianificati….erano più che altro negli incubi di UE-USA e Kiev. Ora si è deciso di usare tali incubi per dare una scossa al nemico, per la serie “Volete che siamo dei mostri ? Possiamo esserlo se vogliamo……” (ecco tutto).
D’altro canto un rischio persiste eccome: che l’oltranzismo di Kiev renda REALE qualcosa che si era solo immaginato nella caricature più estreme. Anche una dozzina di anni fa non ci si immaginava veramente un’operazione russa su larga scala in Ucraina, eppure le circostanze hanno letteralmente obbligato il Cremlino a reagire, dando vita ad un quadro come nessuno si sarebbe sognato.
Come si è detto molte altre volte in passato, se a Kiev vi fosse un governo NORMALE a questo punto si sarebbe già da tempo ai negoziati, le ostilità sarebbero quantomeno state sospese: ma a Kiev è stata messa al potere una giunta che NON rispecchia nemmeno la società ucraina quanto la sua frangia più oltranzista (quella più disposta a battersi fino alla morte), incapace di essere “interlocutore” in alcun modo e forzando di conseguenza la controparte ad azioni sempre maggiori……fino ad ottenere risultati maggiori di quanto avrebbe pianificato.
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Volendo prendere analizzare la mappa in basso…..è chiaramente uno spauracchio: gioca non soltanto sul timore ucraino di essere fagocitata da est (dalla Russia), ma anche dal timore di essere fagocitati da ovest (dalla Polonia). Si direbbe che l’intendo criptico del disegno sia quello di dare una scossa proprio ai nazionalisti ucraini, ricordandogli che l’occidente non è necessariamente così amico e che sarebbe pronto ad annetterli al medesimo modo se il caso lo impone (magari mettendosi d’accordo proprio con il Cremlino….), quanto il fatto che vi sono anche altre componenti etniche NON ucraine pronte a sganciarsi, dalle province prossime a Slovacchia ed Ungheria, sino alla Romania (…).
Sì, forse si tratta di un quadro diretto agli ucraini stessi – pur patrioti – invitandoli a riflettere sul fatto che devono evitare di risultare parcellizzati e disgregati come mai prima.
Il fatto è che se non lo capiscono………..quella che oggi è una provocazione spaccona, rischia di ricalcare (e per davvero) una qualche futura realtà, temo: lo stato di KIEV che si vede al centro, come incarnazione del muro di Berlino per il secolo XXI in Europa (?).
Non so proprio dire.
TRE DICHIARAZIONI DEL MINISTRO DELLA DIFESA
(per chiudere la giornata in modo idilliaco**)
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1# “Oggi Putin ha detto chiaramente che lui la pace non la vuole, non vuole smettere di bombardare in Ucraina.”
(risposta mia)
?!…..ma l’onorevole Crosetto ha ascoltato o letto per conto proprio l’intervista di Putin ? Integralmente ? A giudicare dalla sua replica pare gli abbiano fornito il testo sbagliato o tradotto male i dialoghi (?).
2# “Le provocazioni di Putin – ha aggiunto – sono all’ordine del giorno. Finché spedisce le truppe ai confini (con la Finlandia, ndr) per l’esercitazione va bene, ma il problema è quando glieli fa scavalcare ai carri armati come in Ucraina”
(ris. mia)
Dunque: la Finlandia dopo 80 anni di neutralità, nel contesto criticissimo che osserviamo, decide di ADERIRE alla Nato (che implicherà il posizionamento di armi pericolosissime contro San Pietroburgo ed altri grandi centri della Russia nord-occidentale), blocca il confine al transito usuale di russi e dichiara di costruire un muro di acciaio per tutta la lunghezza del confine (1300 km).
La risposta russa di quale tipo dovrebbe essere ? Invitare a cena il ministro della difesa finlandese ?
3# “Così almeno anche a livello italiano quelli che pensano sia facile dialogare con Putin si renderanno conto che non è facile”.
(ris. mia)
Gli italiani che siano un minimo informati e si ritrovino a leggere cosa dichiara l’onorevole Crosetto…..si renderanno conto che non è facile capire se il ministro della difesa ha la capacità di leggere per conto proprio i comunicati internazionali (…)
Mi dispiace soprattutto per gli italiani, dato che per quanto mi riguarda, Guido Crosetto NON è il mio ministro della difesa.
Il caso del Sudafrica contro Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia . In questo articolo fornirò una ragione plausibile per cui il giudice ugandese ha adottato una posizione più dura rispetto al giudice israeliano ad hoc.
La tragedia dell’Artsakh: l’adempimento della profezia di Evgenij Primakov
Il tango passivo-aggressivo del Kazakistan con la Federazione Russa. Polemica su un Centro di addestramento della Nato ad Almaty, mai esistito.
I media aziendali euro-americani pubblicano una versione riavviata della trama della “Banda dei Sei ucraina” con protagonista un doppelgänger di Max Schreck
#1. SEBUTINDE ALLA CORTE INTERNAZIONALE
Le organizzazioni panafricane e i singoli stati africani sono stati per lo più sommessi nelle loro reazioni ufficiali al comportamento atroce di Israele a Gaza, ma non è sempre stato così.
In effetti, negli anni ’60, ’70 e ’80, molti paesi africani – con il ricordo del giogo coloniale europeo ancora fresco – erano chiaramente in sintonia con i palestinesi, anche se molti di loro mantenevano contemporaneamente cordiali rapporti diplomatici con lo Stato israeliano.
Estratto da un ampio discorso pronunciato dal popolare leader militare del Burkina Faso, il capitano Thomas Sankara, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 4 ottobre 1984
Il sostegno vocale ai palestinesi in Africa raggiunse il suo massimo splendore negli anni ’70, quando alcuni paesi e diverse organizzazioni rivoluzionarie del continente strinsero legami con l’ Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) .
Lo stato israeliano ha investito molto in alcune parti dell’Africa sub-sahariana, costruendo infrastrutture critiche, concedendo borse di studio agli studenti per studiare nelle università israeliane, addestrando i servizi di sicurezza e le forze militari di paesi come il Tanganica , l’Uganda e l’ Impero d’Etiopia .
Nonostante gli sforzi concertati di Israele, i suoi calcolati atti di generosità non sono riusciti a cancellare dalle menti di molti africani l’inquietante somiglianza tra il trattamento riservato ai palestinesi e i capitoli più oscuri dell’oppressione coloniale europea sul continente.
Così, quando scoppiò la guerra dello Yom-Kippur nel 1973, quasi tutti i paesi africani ruppero prontamente le relazioni diplomatiche con Israele in solidarietà con l’Egitto, membro fondatore molto rispettato dell’Organizzazione dell’Unità Africana(1963-2002) , che allora era la più grande sostenitore della causa palestinese.
L’Uganda dichiarò il suo totale sostegno all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) nel 1975. Nello stesso anno, Arafat fu testimone del volubile sovrano militare ugandese Idi Amin durante il suo matrimonio con la sua quinta moglie, Sarah Kyolaba.
Tuttavia, il fervore dell’ondata rivoluzionaria anticoloniale che ha sostenuto la causa palestinese in Africa si è rivelato fugace. Con il passare del tempo e il continente impantanato in un ciclo di colpi di stato militari, guerre civili e povertà, le questioni esterne, come il conflitto israelo-palestinese, sono scomparse dai radar. Solo gruppi radicali come ANC , SWAPO e simili sono rimasti fermi nel loro incrollabile sostegno ai palestinesi.
All’inizio degli anni ’90, molti paesi africani che avevano precedentemente interrotto i rapporti diplomatici con Israele durante la guerra dello Yom Kippur del 1973, li avevano ripristinati.
Con il ripristino delle relazioni diplomatiche, i paesi africani hanno ripreso la pratica di controbilanciare la loro amicizia con Israele con richieste esplicite affinché venga rispettato il diritto palestinese all’autodeterminazione.
Ad esempio, la Nigeria è stata uno dei paesi che ha stabilito relazioni diplomatiche con Israele nel 1960, ha interrotto tali legami nel 1973 in segno di solidarietà con l’Egitto, e poi ha ripristinato le relazioni nel 1992.
BARRA LATERALE: OPERAZIONE DI INTELLIGENZA ISRAELE-NIGERIA (1984)
Alla fine del 1973, solo quattro stati africani mantenevano ancora i loro legami con Israele. Gli altri avevano interrotto le relazioni diplomatiche con Tel Aviv in solidarietà con l’Egitto, che aveva combattuto Israele nella guerra dello Yom Kippur.
La Nigeria era tra la stragrande maggioranza degli stati africani che avevano interrotto i rapporti diplomatici con Israele. Ciononostante, la cooperazione tra i servizi di sicurezza nigeriani e israeliani è continuata senza ostacoli.
Umaru Dikko è stato ministro del governo nazionale eletto di Shagari (1979-1983). Dopo il colpo di stato militare del dicembre 1983 che rovesciò il governo Shagari, fuggì nel Regno Unito. La giunta militare nigeriana post-colpo di stato lo ha accusato di aver rubato 1 miliardo di dollari e voleva che fosse rimpatriato per essere processato.
Nel giugno 1984, non c’erano relazioni diplomatiche tra Nigeria e Israele, ma ciò non impedì un’operazione congiunta del Mossad e dell’Organizzazione per la sicurezza nigeriana nella capitale britannica di Londra per rapire, sedare e trasportare segretamente un fuggitivo ex ministro del governo nigeriano. (Umaru Dikko) torna alla città di Lagos in una cassa di legno etichettata come “carico diplomatico”.
Per dettagli succosi, vedere la voce di Wikipedia su The Dikko Affair .
Le cordiali relazioni della Nigeria con Israele sono bilanciate dai suoi legami amichevoli con l’ OLP . La Nigeria riconobbe immediatamente lo Stato di Palestinadichiarato dall’OLP il 15 novembre 1988 e le ha consentito di istituire un’ambasciata a pieno titolo sul suolo nigeriano. Ciò avvenne quattro anni prima degli Accordi di Oslo (1993) che diedero vita all’inefficace Autorità Nazionale Palestinese .
Come accennato in precedenza, nel gennaio 1990, solo poche organizzazioni radicali nel continente conservavano ancora il sentimento rivoluzionario anticoloniale che caratterizzò il sostegno alla causa palestinese negli anni ’70. Il Congresso Nazionale Africano (ANC)era l’archetipo di tale organizzazione.
Durante il suo periodo come organizzazione di attivisti che combatteva il regime dell’apartheid sudafricano, l’ANC era un forte alleato dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) .
Nel suo annuario ufficiale del 1978 , un regime di apartheid riconoscente disse quanto segue riguardo al suo rapporto con Israele:
Israele e il Sudafrica hanno soprattutto una cosa in comune: entrambi si trovano in un mondo prevalentemente ostile, abitato da popoli oscuri.
Nonostante i dubbi espressi da alcuni ministri, il governo israeliano ha deciso di approfondire le sue relazioni diplomatiche, di intelligence e militari con lo stato dell’apartheid.
Balthazar JohannesVorster (il secondo da destra) fu imprigionato in Sud Africa durante la seconda guerra mondiale per aver apertamente sostenuto la Germania nazista. Come primo ministro del Sud Africa dell’apartheid, visitò Israele nel 1976 e fu accolto dal primo ministro israeliano Menachem Begin (a sinistra) e dal generale in pensione Moshe Dayan (secondo da sinistra)
Nel gennaio 1989, era chiaro alle élite dominanti dell’Afrikaner Broederbond che allo stato sudafricano dell’apartheid non restava che poco tempo da vivere. Stanche di conflitti senza fine, isolamento diplomatico e sanzioni economiche imposte dalle Nazioni Unite, le élite al potere erano pronte a fare grandi concessioni.
Un mese prima, nel dicembre 1988, il regime dell’apartheid aveva accettato di ritirare le sue forze di occupazione dall’Angola e dalla Namibia come parte di un accordo per porre fine alle lunghe guerre di confine sudafricane . L’accordo conteneva anche disposizioni per l’indipendenza della Namibia da 75 anni di dominio sudafricano dell’apartheid.
Non tutti i membri della classe dirigente afrikaner olandese erano contenti delle concessioni fatte agli ex nemici. Il leader intransigente dell’apartheid Pieter Willem Botha – alias “Die Groot Krokodil” – ha tracciato una linea nella sabbia. Niente più concessioni. Il sistema discriminatorio dell’apartheid rimarrebbe in vigore e l’ANC rimarrebbe una “organizzazione terroristica” bandita .
Tuttavia, il dado era tratto e l’irritabile leader politico, noto ai suoi sostenitori come Die Groot Krokodil (Il Grande Coccodrillo), non avrebbe ostacolato la stragrande maggioranza della classe dirigente afrikaner olandese, che aveva già deciso negoziare la fine del sistema discriminatorio razziale che ha preso di mira la maggioranza nera e le minoranze non bianche del Sud Africa.
Il 14 agosto 1989 Pieter Botha fu estromesso dal potere e il suo subordinato più moderato, Frederick de Klerk, assunse la guida. Poco dopo, Federico revocò il divieto sulle organizzazioni politiche anti-apartheid, inclusa l’ANC. L’11 febbraio 1990 rilasciò il leader de facto dell’ANC, Nelson Mandela, detenuto.
Subito dopo il suo rilascio, Mandela fece un tour mondiale. Arrivò negli Stati Uniti d’America per affrontare una raffica di critiche per aver sostenuto Muammar al-Gaddafi, Fidel Castro, Yasser Arafat e la sua Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
Mandela difese con aria di sfida l’alleanza dell’ANC con Gheddafi, Castro e Arafat durante una famosa intervista con il giornalista americano Ted Koppel, come riportato nel mio precedente articolo , a cui è possibile accedere cliccando sulla miniatura qui sotto:
NOTA: Questo breve articolo è il prologo di un articolo più lungo che intendo scrivere in futuro sulla variegata reazione del continente africano al conflitto israelo-palestinese nel corso dei decenni. Oggi pubblico una versione ridotta di un’intervista di Nelson Mandela in cui si discute di varie questioni tra cui il conflitto israelo-palestinese. Per coloro che…
Leggi la storia completa
Quando l’ANC passò da organizzazione di attivisti dell’era dell’apartheid a partito al potere dello stato sudafricano post-apartheid emerso nel maggio 1994, il suo impegno per la liberazione dei palestinesi dal giogo israeliano divenne la politica ufficiale del governo.
Non sorprende quindi che il Sudafrica abbia deciso di portare Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia l’11 gennaio 2024 per il comportamento atroce delle forze militari israeliane nella Striscia di Gaza.
La CPI è un’entità clownesca che è finita sotto l’influenza e il controllo dei successivi governi statunitensi, nessuno dei quali ne riconosce ufficialmente l’autorità. Infatti, il governo degli Stati Uniti è vincolato dall’American Service Members Protection Act (2002)usare la violenza, se necessario, per salvare qualsiasi personale militare americano o di paesi alleati detenuto dalla CPI non riconosciuta.
Per quanto riguarda il governo degli Stati Uniti, l’entità clownesca non riconosciuta (ICC) è semplicemente uno strumento per sottoporre i leader dei paesi nemici a procedimenti giudiziari farsa . Niente di più. Nei rari casi in cui i pubblici ministeri della CPI avevano fatto deboli tentativi di indagare sulle accuse di crimini di guerra contro soldati americani o israeliani, tali sforzi si sono rapidamente interrotti quando i funzionari del governo statunitense hanno lanciato minacce.
A differenza della Corte penale internazionale, la cui autorità non è riconosciuta da molti paesi in tutto il mondo, la Corte internazionale di giustizia ha giurisdizione indiscussa su tutti i paesi membri delle Nazioni Unite. Rispetto alla Corte penale internazionale, la Corte internazionale di giustizia è relativamente indipendente dalle influenze esterne.
L’interno della camera del tribunale dell’ICJ che mostra i diciassette giudici di fronte al team legale sudafricano (a sinistra) e al team legale israeliano (a destra). [Fonte foto: CraigMurray.Org.UK ]
Il caso di genocidio del Sudafrica contro Israele non è stato particolarmente difficile da sottoporre ai giudici della Corte Internazionale di Giustizia.
Non c’era bisogno di presentare davanti ai giudici quelle cupe fotografie che mostravano scene di massacri a Gaza che si estendevano per chilometri, in tutte le direzioni: le strade sterrate, le strade piene di crateri di bombe, interi quartieri rasi al suolo, le macerie di edifici residenziali polverizzati edifici, moschee, scuole, chiese e ospedali, migliaia e migliaia di corpi mutilati e mutilati di uomini, donne e bambini spazzati via dai proiettili israeliani, dai proiettili di artiglieria, dai missili guidati e dalle bombe aeree.
Tutto ciò che gli avvocati del Sud Africa dovevano fare era semplicemente presentare videoclip e trascrizioni scritte di politici, alti funzionari militari e altre persone influenti all’interno di Israele che strillavano sulla necessità di spazzare via i palestinesi dalla faccia della terra o di espellerli in massa dalla loro patria di Gaza. .
Esempi di filmati video e ritagli di notizie dannosi includono:
Isaac Herzog, il cerimoniale presidente di Israele, giustifica il massacro degli abitanti di Gaza suggerendo che i civili non sono innocenti, come mostrato di seguito:
Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, in uno sproloquio disumanizzante, riferendosi ai palestinesi di Gaza come “animali umani” a cui verranno negati cibo, acqua, elettricità e altre necessità di vita. Video qui sotto:
La politica israeliana ed ex funzionario governativo, Ayelet Shaked, afferma che Gaza dovrebbe essere distrutta e la sua popolazione nativa espulsa. Video qui sotto:
Quindi lo stesso Grande Capo, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, tiene un discorso paragonando le sue intenzioni nei confronti dei palestinesi di Gaza al massacro di uomini, donne, bambini e animali del popolo Amalek dell’era biblica. Montaggio video della retorica genocida di vari personaggi pubblici:
Il collegio della Corte Internazionale di Giustizia, composto da quindici giudici ordinari e due giudici ad hoc provenienti dal Sud Africa e da Israele, ha avuto l’opportunità di vedere alcuni di quei video e ritagli di notizie di funzionari israeliani che si autoincriminavano sfacciatamente.
Tuttavia, inizialmente si temeva che i giudici di alcuni paesi – Germania, Stati Uniti, Francia, Australia, Belgio, Giappone – sarebbero stati influenzati dalla posizione filo-israeliana dei governi dei loro paesi d’origine.
Nel suo rapporto, Craig ha espresso il timore che i giudici americani, tedeschi e ugandesi possano essere influenzati dai loro governi nazionali a pronunciarsi a favore di Israele.
Non ero d’accordo con lui nel caso dell’Uganda. Come molti scrittori nello spazio dei media alternativi, Craig sospetta che l’amicizia di un paese africano con Israele e gli Stati Uniti possa essere un segno di sottomissione a Tel Aviv e Washington DC. Nel mio precedente articolo intitolato “ECOWAS: A Primer” , ho sfatato questo tipo di presupposto semplicistico.
Ho commesso un evidente errore tipografico nella mia risposta sopra. Il giudice ugandese è una donna, non un uomo. Ma la cosa importante da notare è che anche i paesi africani con buoni rapporti con gli Stati Uniti e Israele, come l’Uganda e la Nigeria, hanno espresso inequivocabilmente il loro sostegno al caso di genocidio del Sud Africa presso l’ICJ.
Dopo aver ascoltato i team legali sia sudafricani che israeliani, i giudici dell’ICJ hanno emesso una sentenza venerdì 26 gennaio 2024. L’ICJ ha affermato che esisteva un caso plausibile di genocidio contro Israele, ma ha rifiutato di accogliere la preghiera del Sud Africa affinché Israele cessasse ogni attività militari nella Striscia di Gaza. Invece, la corte ha ordinato a Israele di osservare sei misure provvisorie che presumibilmente avrebbero protetto i palestinesi di Gaza dal genocidio.
Le sei misure provvisorie ordinate dalla ICJ sono parafrasate come segue:
Israele deve, in conformità con il diritto internazionale, prevenire il genocidio e desistere dall’uccidere, ferire, distruggere vite umane e impedire le nascite di palestinesi nella Striscia di Gaza
Israele garantirà con effetto immediato che le sue forze armate non commettano gli atti descritti al punto 1 sopra
Israele agirà per prevenire e punire l’incitamento pubblico e diretto a commettere un genocidio nei confronti dei membri del gruppo palestinese nella Striscia di Gaza.
Israele adotterà misure immediate ed efficaci per fornire i servizi di base urgentemente necessari e l’assistenza umanitaria per affrontare le condizioni di vita avverse affrontate dai palestinesi nella Striscia di Gaza.
Israele agirà per prevenire la distruzione e garantire la conservazione delle prove relative alle accuse di genocidio contro i palestinesi a Gaza
Israele presenterà un rapporto all’ICJ sulle azioni intraprese per conformarsi alle misure provvisorie entro un mese dalla sentenza della corte
Le sei misure provvisorie non sono state affatto il prodotto di una decisione unanime di tutti i diciassette giudici. Quindici giudici si sono pronunciati a favore di tutte e sei le misure imposte a Israele, mentre due giudici hanno dissentito su tutte o sulla maggior parte di esse.
Contrariamente alle aspettative di Craig Murray e di altri opinionisti dei media alternativi, i giudici della Corte internazionale di giustizia provenienti da Germania, Stati Uniti, Francia, Australia, Belgio e Giappone non hanno seguito la linea filo-sionista dei loro governi nazionali. Si sono pronunciati tutti a favore delle sei misure.
Non ne sono del tutto certo, ma è possibile che il giudice francese Ronny Abraham, che si è pronunciato a favore di tutte le misure, abbia origini ebraiche Mizrahi.
Nessuno è rimasto particolarmente sorpreso nel vedere che i giudici di Somalia, Slovacchia, Russia, Cina, Sudafrica, Brasile, Libano, Giamaica e Marocco si sono pronunciati a favore di tutte e sei le misure provvisorie.
Allo stesso modo, nessuno è rimasto scioccato dal fatto che il giudice della Corte Suprema israeliana Aharon Barak – seduto al banco della CIG su base ad hoc – si sia pronunciato contro la maggior parte delle misure provvisorie ordinate dalla Corte. Tuttavia, la sua coscienza è stata sufficientemente pungolata da costringerlo ad andare contro la volontà del team legale israeliano e a votare a favore di due delle sei misure.
Ha appoggiato la sentenza maggioritaria della CIG che stabiliva che il suo Paese (Israele) doveva agire per prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio contro i palestinesi. Ha inoltre appoggiato un’altra misura provvisoria che ordinava a Israele di adottare misure immediate ed efficaci per fornire servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari ai palestinesi assediati a Gaza.
Julia Sebutinde è stata la prima donna africana a far parte della Corte internazionale di giustizia. Contrariamente a quanto molti pensano, è sempre stata in contrasto con il suo governo di origine, l’Uganda.
Il giudice ugandese, Julia Sebutinde, è stata ferma nel suo dissenso, respingendo tutte e sei le misure provvisorie, comprese le due misure sostenute dal giudice israeliano.Nel suo dissenso scritto ha affermato che la disputa tra lo Stato di Israele e il popolo palestinese è essenzialmente e storicamente una questione politica. Non si tratta di una controversia legale suscettibile di essere risolta dalla Corte. Ha inoltre affermato che il Sudafrica non ha dimostrato che le azioni di Israele sono state commesse con intento genocida. In altre parole, ha sostenuto che il comportamento di Israele a Gaza non rientra nell’ambito della Convenzione ONU sul genocidio.Ovviamente, tutto ciò che ha detto non ha senso, e non spiega perché non abbia potuto, almeno, sostenere le due misure appoggiate dal giudice israeliano Aharon Barak.Il giudice Julia Sebutinde non ha argomenti giuridici genuini per sostenere il suo rifiuto di un ordine che chiede a Israele di prevenire e punire l’incitamento al genocidio spinto ogni giorno da ministri del governo israeliano, alti ufficiali militari e altri politici potenti. Non ha argomenti legali per giustificare la sua decisione contro l’ordine che Israele faciliti la fornitura di aiuti umanitari ai palestinesi affamati di Gaza.
Ma, a mio modesto parere, potrebbe avere argomenti escatologici inespressi per respingere tutte e sei le misure. Per ovvie ragioni, non avrebbe mai addotto argomenti religiosi davanti a una corte dichiaratamente laica per spiegare il suo dissenso. Quindi, è stata costretta a trovare argomenti secolari deboli e inventati per nascondere le sue vere ragioni per decidere nel modo in cui ha deciso.
Map showing the distribution of Islam (green colour) and Christianity (blue colour) in the continent of Africa. As shown in the map, Islam is strongest in North and West Africa while Christianity is strongest in East, Central and Southern Africa (Source: Pew Research on Religion)
Gli americani che leggono il mio blog probabilmente conoscono i predicatori pentecostali come Benny Hinn,Jimmy Swaggart e Oral Roberts. I miei lettori tedeschi possono conoscere (o meno) il predicatore pentecostale tedesco, Reinhard Bonnke,
che è stato molto popolare in molti Paesi africani, tra cui la Nigeria, dove ha tenuto diversi raduni cristiani revivalistici grandi come stadi, con migliaia di aderenti al Pentecostalismo.
Per ovvi motivi, non mi aspetto che i non africani che leggono questo blog conoscano molti predicatori pentecostali nigeriani, come ad esempio Enoch Adebayo, Benson Idahosa, Ayo Oritsejafor, Temitope Balogun Joshua e Mike Okonkwo—che ha costruito chiese pentecostali con milioni di fedeli sia in Nigeria che in altri Paesi africani.
Quando dico che il pentecostalismo è la fede religiosa in più rapida crescita nel continente, in realtà intendo dire che molti africani cresciuti nelle fedi cattolica, metodista e anglicana, molto più antiche, stanno disertando i predicatori che enfatizzano il “parlare in lingue” e la “guarigione miracolosa delle malattie attraverso le preghiere”.
Quando sento i media aziendali euro-americani affermare che in Africa c’è una competizione tra Islam e Cristianesimo per accaparrarsi i fedeli, mi viene da ridere per queste sciocchezze da ignoranti.
In realtà, è molto improbabile che i musulmani che seguono i principi del Corano li abbandonino a favore degli insegnamenti biblici e del cristianesimo. Allo stesso modo, è relativamente raro che un africano cresciuto nella fede cristiana cerchi improvvisamente di convertirsi all’Islam. In realtà, è comune che i cristiani passino da una denominazione cristiana all’altra. L’Islam non ha nulla a che fare con questo.
Dalla fine degli anni ’80, è diventato sempre più comune per i cristiani africani cresciuti come anglicani e metodisti (e, in misura minore, cattolici) disertare il Pentecostalismo.
Da adolescente cresciuto nella Nigeria orientale, fortemente cattolica, durante gli anni ’90, sono stato personalmente testimone della crescita e della proliferazione di chiese pentecostali in tutta la regione. Queste chiese pentecostali sembravano spuntare dappertutto, facendo massicce incursioni che hanno causato alla Chiesa anglicana pesanti perdite di fedeli. L’impatto sulla Chiesa cattolica è stato relativamente moderato, ma comunque evidente.
La Chiesa cattolica è stata sufficientemente allarmata dalle conquiste del pentecostalismo in Africa da organizzare una conferenza a Roma per discutere la questione il 22 marzo 2017. La conferenza di Roma è stata presieduta principalmente da ecclesiastici cattolici provenienti dalla Nigeria.
Reinhard Bonnke, tedesco di nascita, era molto popolare in Nigeria e in altri Paesi africani. I suoi raduni pentecostali nei Paesi africani riempivano interi stadi di persone. È morto il 7 dicembre 2019 all’età di 79 anni.
Per contestualizzare le cose, ad oggi ci sono circa 609 milioni di cristiani africani contro 581 milioni di musulmani africani.Circa 238 milioni di africani aderiscono specificamente al cristianesimo pentecostale in tutte le sue forme. Si tratta di circa il 39% dei cristiani in Africa e del 17% dell’intera popolazione del continente, che conta 1,4 miliardi di persone.Tre decenni fa, i fedeli africani del pentecostalismo erano meno del 5% della popolazione totale del continente.
Aderenti africani al pentecostalismo che offrono preghiere
È molto probabile che il giudice Julia Sebutinde della Corte internazionale di giustizia sia un’adepta della variante africana del cristianesimo pentecostale, che tende a essere più fanaticamente filo-sionista della versione originale americana.Quando il fermo rifiuto della Sebutinde di tutte e sei le misure provvisorie della Corte internazionale di giustizia è diventato di dominio pubblico, i soliti sprovveduti dei media alternativi hanno iniziato a spacciare affermazioni secondo cui il governo ugandese avrebbe influenzato le azioni del giudice.
Il commentatore francese con sede in Cina, Arnaud Bertrand, è giunto immediatamente alla solita conclusione, frutto di supposizioni ignoranti. Ha pensato che i legami amichevoli dell’Uganda con Israele avrebbero potuto costringere il governo Museveni a dare segretamente istruzioni al giudice Julia Sebutinde di pronunciarsi contro la petizione sudafricana.
Sorprendentemente, Arnaud non era curioso di sapere perché i giudici della Corte internazionale di giustizia degli Stati Uniti, della Germania, della Francia e dell’Australia non fossero stati influenzati dalla stridente posizione filo-sionista dei loro governi nazionali. Non si è nemmeno preoccupato di apprendere che Paesi africani amici di Israele – come Uganda e Nigeria – hanno pubblicamente sostenuto il caso di genocidio del Sudafrica presso la CIG.
Naturalmente, le affermazioni insensate di Arnaud Bertrand e di molti altri media alternativi sono state smentite quando l’ambasciatore dell’Uganda alle Nazioni Unite, Adonia Ayebare, ha dissociato il suo Paese dalla sentenza del giudice Julia Sebutinde in una serie di dichiarazioni pubblicate su Twitter.
Di seguito ho pubblicato il tweet più rilevante:
L’ambasciatore Adonia Ayebare ha spiegato che l’Uganda è solidale con la situazione del popolo palestinese. Ha inoltre spiegato che Sebutinde ha una storia di sentenze che non sono in accordo con la posizione del governo ugandese. Ha ricordato che nel 2022, Sebutinde si era pronunciato contro l’Uganda in un caso portato davanti alla CIG dalla Repubblica Democratica del Congo (RDC).
La RDC si lamentava del fatto che la Forza di Difesa del Popolo Ugandese (UPDF) avesse violato la sua sovranità entrando nel suo territorio per partecipare alla Seconda Guerra del Congo (1998-2003). Quella particolare guerra coinvolgeva gli eserciti governativi di nove Paesi africani e un assortimento di gruppi ribelli provenienti da vari Stati africani.
Il giudice Sebutinde si era unito ad altri giudici della Corte internazionale di giustizia nel pronunciarsi a favore della RDC. Ha ordinato al suo Paese (l’Uganda) di pagare 325 milioni di dollari di risarcimento al governo della RDC per essere stato coinvolto nella guerra civile congolese.
Tra un massacro e l’altro di palestinesi, i soldati dell’occupazione israeliana trovano il tempo di scherzare tra le rovine delle case distrutte di Gaza.
Avendo stabilito che la decisione del giudice Julia Sebutinde non è stata influenzata dal governo ugandese, ci rimane il motivo religioso.Il sionismo fanatico è una caratteristica fondamentale del pentecostalismo, soprattutto della sua variante africana. Se Sebutinde è un’adepta del cristianesimo pentecostale, allora è scontato che la sua fede religiosa influenzi le sue decisioni giudiziarie nei confronti di Israele.I cristiani pentecostali credono che lo Stato di Israele, creato nel 1948, sia una continuazione dell’Israele biblico citato nelle Sacre Scritture cristiane. Secondo la teologia pentecostale del rapimento, il sostegno a Israele è un dovere religioso obbligatorio, necessario per il compimento del “rapimento finale” e della “seconda venuta di Gesù Cristo”.
In quanto aderente al pentecostalismo, Julia Sebutinde sarebbe più estrema nel suo sostegno al sionismo rispetto ai politici israeliani ebrei laici che hanno posizioni agnostiche o atee, come Benny Gantz, Ehud Barak, Yair Lapid e Isaac Herzog.
Oserei dire che probabilmente è più estremista di Benjamin Netanyahu, che non è motivato da un sentito zelo religioso, ma piuttosto da un istinto di sopravvivenza per prolungare il suo mandato di Primo Ministro e schivare le indagini penali che si riaprirebbero una volta che non sarà più alla guida del governo israeliano.
Per i lettori che erano perplessi sul perché il giudice israeliano ad hoc della Corte internazionale di giustizia mostrasse più simpatia per i palestinesi di Julia Sebutinde, spero di aver fornito una ragione plausibile.
Ma nel caso in cui abbiate difficoltà a capire tutto questo, permettetemi di scendere a un livello pedante. In quanto ebreo laico, forse addirittura ateo/agnostico, il giudice Aharon Barak non ha lo zelo religioso fanatico di un pentecostale che crede nella teologia del rapimento. Non pensa che sostenere il regime di Netanyahu sia un suo dovere religioso.
In quanto ebreo ashkenazita liberale, il giudice Aharon Barak – pur essendo un fervente sionista – potrebbe persino essere leggermente imbarazzato dai discorsi genocidi e squilibrati di politici delinquenti come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich. Non sorprende quindi che il giudice israeliano abbia prontamente accettato due misure della Corte internazionale di giustizia che vietano ai funzionari pubblici israeliani di incitare al genocidio contro i palestinesi e ordinano al governo Netanyahu di rimuovere tutti gli ostacoli che impediscono al cibo e ad altri beni di prima necessità di raggiungere gli abitanti assediati della Striscia di Gaza.
Al contrario, il sionismo cristiano fanatico professato dai credenti pentecostali chiede che il destino degli “indesiderabili palestinesi” sia lasciato nelle mani del governo israeliano, che è visto come un moderno rappresentante del “popolo eletto da Dio”.
I seguaci del pentecostalismo, in particolare della sua variante africana, non si spaventano quando Netanyahu insinua che potrebbe sottoporre i palestinesi di Gaza a una rievocazione del genocidio di epoca biblica del popolo di Amalek. Dopo tutto, se Dio ha tollerato il genocidio originale che ha spazzato via uomini, donne e bambini di Amalek, non c’è motivo per cui il regime di Netanyahu – l’attuale rappresentante del “popolo eletto da Dio” – non dovrebbe avere un lasciapassare.
Secondo la stessa logica, non c’è motivo per il giudice Julia Sebutinde di sostenere una sentenza della Corte internazionale di giustizia che ordini ai rappresentanti del “popolo eletto” di desistere da ulteriori incitamenti al genocidio contro i palestinesi. Allo stesso modo non c’è motivo di sostenere la sentenza della Corte internazionale di giustizia che ordina a Israele di eliminare tutti gli impedimenti alla fornitura di cibo e di altri beni di prima necessità ai palestinesi che muoiono di fame.
Fortunatamente, la stragrande maggioranza dei giudici della Corte internazionale di giustizia non è composta da fanatici religiosi. Quindi, le sei misure provvisorie della Corte internazionale di giustizia sono vincolanti per Israele.
Purtroppo, con l’appoggio dei governi dell’Occidente collettivo, in particolare degli Stati Uniti, Israele ha ignorato gli ordini della Corte internazionale di giustizia. Le forze militari israeliane continuano a radere al suolo interi quartieri e a massacrare i palestinesi. La consegna di cibo e di altri servizi di base ai palestinesi affamati di Gaza è deliberatamente ostacolata dal regime di Netanyahu. Personaggi politici israeliani continuano a tenere discorsi pubblici che invocano la pulizia etnica e il genocidio dei palestinesi.
Dopo la sentenza della Corte internazionale di giustizia del 26 gennaio 2024, l’alto funzionario dei servizi segreti del Mossad, Rami Igra, è apparso alla TV israeliana per giustificare il massacro dei palestinesi di Gaza, sostenendo che tutti loro sono responsabili delle azioni di Hamas:
Abbiamo anche una legislatrice israeliana mentalmente squilibrata ed ex funzionario governativo, May Golan – autoproclamatasi “razzista” – che descrive il suo orgoglio per la distruzione di Gaza e dei suoi abitanti in un discorso al Parlamento israeliano:
Recentemente, l’8 marzo 2024, un influente rabbino israeliano della città di Jaffa ha dichiarato apertamente che il genocidio di tutti i palestinesi è “permesso dall’ebraismo”. Egli afferma che i bambini palestinesi non dovrebbero essere risparmiati perché cresceranno per combattere Israele, un sentimento comune espresso da molti personaggi pubblici israeliani della linea dura. Vediamo ora le spiegazioni del rabbino Eliyahu Mali:
Dato che il regime di Netanyahu non ha rispettato nessuna delle sei misure provvisorie, il Sudafrica è tornato alla Corte internazionale di giustizia con un’altra denuncia contro Israele. Questa volta, molti Paesi dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina e persino due nazioni europee si sono rivolti al banco della CIG a sostegno del caso del Sudafrica.Ad eccezione di Belgio, Spagna e Norvegia, l’Occidente collettivo sostiene Israele nel suo pogrom contro gli abitanti palestinesi della Striscia di Gaza.In molti Paesi europei e nordamericani, ampie fasce della popolazione stanno organizzando manifestazioni di protesta contro lo spettacolo dell’orrore che si sta svolgendo a Gaza da cinque mesi. I governi filo-sionisti al comando di questi Paesi stanno facendo il possibile per incoraggiare la polizia locale a reprimere le manifestazioni con il pretesto di combattere l'”antisemitismo pro-Hamas”.
Osservando i funzionari dei governi europei e nordamericani discutere di Hamas nei mass media, ci si potrebbe ingannare:
Che l’oppressione dei palestinesi da parte dello Stato di Israele non esistesse da decenni prima della creazione di Hamas.
che l’estrema crudeltà di Israele nei territori palestinesi occupati non avesse creato le condizioni per l’irruzione della militanza islamista sulla scena
I governi dell’Occidente collettivo sono così impegnati nel tentativo di reprimere il dissenso antisionista all’interno delle loro nazioni che non riescono a riconoscere il disgusto universale con cui il resto del mondo vede la loro complicità nei massacri israeliani di migliaia di palestinesi, molti dei quali sono bambini, e nella continua morte per fame di milioni di persone nella Striscia di Gaza assediata.
La repulsione internazionale per l’atteggiamento insensibile dell’Occidente collettivo nei confronti dei palestinesi che soffrono da tempo ha distrutto ogni superstite vestigia di moralità rivendicata dai sedicenti “Guardiani globali della democrazia”.
In effetti, il disgusto universale verso l’ordine mondiale guidato dagli Stati Uniti – che ha protetto Israele dalle responsabilità e ne ha facilitato l’impunità per diversi decenni – sta già accelerando il passaggio al nuovo mondo multipolare immaginato da Cina e Russia.
Se prima il resto del mondo non era disposto a prendere sul serio le lacrime di coccodrillo versate dall’iper-ipocrita Occidente collettivo per l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ora si limiterà a ridere quando la questione verrà riproposta. Il numero di civili ucraini uccisi accidentalmente nella guerra russo-ucraina è solo una frazione dei numerosi civili palestinesi deliberatamente presi di mira dalle truppe israeliane a Gaza.
Il disgusto provato dal resto del mondo nei confronti dell’Occidente collettivo è esemplificato dal video dell’ottobre 2023 dell’ambasciatore pakistano alle Nazioni Unite Munir Akram che rimprovera l’ambasciatore canadese per aver sostenuto ciecamente la carneficina di Israele a Gaza con il pretesto di combattere Hamas:
Si tenga presente che quando il video è stato registrato, il 29 ottobre 2023, gli israeliani avevano ucciso solo 7.000 palestinesi (metà dei quali erano bambini) con 17.000 feriti. Da allora il bilancio delle vittime è salito a 30.035 morti (di cui 12.300 bambini). Israele ha anche deliberatamente preso di mira e ucciso operatori umanitari palestinesi, personale medico e giornalisti a Gaza.
Un breve estratto di un tweet molto più lungo postato su Twitter dal presidente della Namibia Hage Geingob (ora deceduto) che esprime il suo disgusto nei confronti della Germania per il sostegno cieco al comportamento atroce di Israele
I media aziendali euro-americani hanno cercato di riciclare le menzogne dello Stato israeliano che “combatte solo i militanti di Hamas che usano i civili come scudi umani”. Purtroppo per i media e per Israele, l’avvento di Internet ha reso possibile la condivisione indipendente di immagini e video delle atrocità israeliane in tutto il mondo, quasi in tempo reale.Nessuna propaganda può far sì che il mondo non veda quelle immagini e quei video. Nessuna menzogna può oscurare i filmati di politici squilibrati, personalità dei media, funzionari della sicurezza e alti ufficiali dell’esercito israeliano che parlano apertamente della loro intenzione di massacrare i palestinesi finché non ne rimarrà nessuno.Nessuno con un briciolo di buon senso crede che l’invasione israeliana della Striscia di Gaza serva solo a sradicare Hamas, come sostengono con insincerità i governi filo-sionisti dell’Occidente collettivo e i loro alleati nei media aziendali euro-americani.
A lungo termine, la salvezza per il popolo palestinese arriverà quando il continuo declino dell’Occidente collettivo avrà raggiunto il livello in cui non sarà più in grado di fornire a Israele il denaro e le armi necessarie per sostenere il funzionamento della Macchina della morte sionista. A quel punto, Israele non avrà altra scelta che negoziare una pace giusta con i palestinesi.
Un buon punto di partenza per negoziati autentici sarebbe l’Iniziativa di pace araba del 2002, che ha offerto a Israele la normalizzazione delle relazioni con il mondo arabo in cambio della fine dell’occupazione illegale dei territori palestinesi (confini del 1967), delle Fattorie di Shebaa in Libano e delle Alture del Golan in Siria.
Sarebbe negligente da parte mia terminare la Sezione 1 di questo articolo in più parti senza pubblicare un video storico della Gerusalemme ottomana del 1896, che mostra ebrei Mizrahi, musulmani e cristiani che vivono fianco a fianco in pace, molto prima che l’Impero britannico e i coloni sionisti europei sconvolgessero la situazione:
Ho postato questo video nella speranza che sfatasse le menzogne diffuse dagli influencer dei media sionisti americani – come Ben Shapiro, che blatera, David Reaboi, che si imbottisce di steroidi, e Dave Rubin, che parla senza peli sulla lingua – che vendono il mito dell’odio secolare dei musulmani nei confronti degli ebrei agli americani conservatori che non conoscono il mondo al di fuori dei confini degli Stati Uniti e ignorano il Medio Oriente e la storia del conflitto israelo-palestinese, che dura da 76 anni.
Influencer della destra americana che confondono le manifestazioni di piazza contro le atrocità israeliane a Gaza con le guerre culturali statunitensi, che non sono di alcun interesse per il mondo al di fuori dell’Occidente collettivo. Certo, ci sono conservatori americani come Darryl Cooper, Tucker Carlson e Candace Owens che hanno espresso dubbi su Israele, ma influencer sionisti come Ben Shapiro hanno ancora un vasto pubblico di destra fedele.La propaganda di Shapiro è facilitata dalle guerre culturali statunitensi, che permettono di dipingere il sostegno ai palestinesi come una “causa di sinistra”, dal momento che molti sostenitori autoproclamati della causa palestinese negli Stati Uniti sono liberali che sventolano bandiere palestinesi e al tempo stesso sputano spazzatura razzista sulla “supremazia bianca”, quando molti dei funzionari pubblici israeliani più estremisti sono ebrei Mizrahi originari del Medio Oriente.Itamar Ben-Gvir, Ayelet Shaked e Amihai Eliyahu, tutti di origine ebraica irachena, sono esempi notevoli di tali estremisti.
Le scritte razziste sui cartelli di protesta a Londra rendono facile per i sostenitori pro-Israele nel Regno Unito e negli Stati Uniti associare le proteste di strada contro le atrocità israeliane a Gaza con le guerre culturali statunitensi che si diffondono a macchia d’olio in altre parti dell’Occidente collettivo.
In realtà, ci sono diverse formazioni dell’esercito israeliano che sono dominate da ebrei Mizrahi. La famigerata Brigata Golani, responsabile dell’uccisione di moltissimi palestinesi, è in gran parte composta da soldati ebrei mizrahi. L’ex funzionario del governo, Ayelet Shaked, ha prestato servizio militare nella Brigata Golani.
Non ho nemmeno menzionato i soldati ebrei etiopi dalla pelle scura e i cittadini arabi di Israele dalla pelle olivastra che prestano servizio nell’esercito di occupazione. A differenza degli ebrei israeliani, i cittadini arabi israeliani non sono soggetti alla coscrizione, eppure più di mille di loro si offrono volontari per il servizio militare in Tzahal.
Ci sono molte cose che non vanno in Israele, ma le affermazioni sulla “supremazia bianca” sono semplicemente sciocche. Sono sicuro che Khaled Kabub, George Karra e Salim Joubran, tutti ex o attuali giudici arabi della Corte Suprema israeliana, sarebbero d’accordo. E anche il giudice della Corte Suprema israeliana Abdel Rahman Zuabi, se fosse ancora vivo.
#2. KAZAKH-RUSSIA: UN TANGO PASSIVO-AGGRESSIVO
Questo è in realtà il seguito del mio trattato dell’ottobre 2022 che analizzava le relazioni diplomatiche tra Kazakistan e Russia. Invito coloro che non hanno ancora letto il vecchio articolo a farlo cliccando sulla miniatura qui sotto:
******************************************************************* **Nota dell’autore: questo articolo è stato scritto originariamente nell’ottobre 2022. Sebbene le relazioni tra Kazakistan e Russia non siano direttamente paragonabili a quelle tra Russia e Armenia, questo articolo mi ricorda il risentimento che alcuni piccoli Stati post-sovietici provano nei confronti dell’eminenza, della ricchezza e della …
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Come ho notato nel mio articolo dell’ottobre 2022, gli Stati Uniti hanno cercato di sfruttare il fatto che un ampio segmento delle élite dirigenti kazake teme la portata culturale e linguistica della Russia all’interno del loro Paese e prova un profondo risentimento per l’immenso potere e l’influenza della Russia nella più ampia regione dell’Asia centrale.
Questi sentimenti di risentimento non sono affatto unici per il Kazakistan, ma si sentono in molte repubbliche dell’ex URSS, comprese quelle che sono ufficialmente alleate della Russia e beneficiarie della grazia del Cremlino.
Dopo l’indipendenza nel dicembre 1991, una delle prime azioni dell’Armenia è stata quella di iniziare a chiudere le scuole di lingua russa.
Il Tagikistan ha attuato il proprio progetto di deresponsabilizzazione nonostante abbia accettato sovvenzioni monetarie dal Cremlino e ospiti una base militare russa. Il Presidente del Tagikistan ha dato l’esempio. Ha iniziato con il proprio nome, che ha cambiato da Emomali Sharipovich Rahmonov a Emomali Rahmon. Si è sbarazzato dell'”ov” alla fine del suo precedente cognome russificato e ha rinnegato il suo secondo nome russo. Per quale motivo lo ha fatto? Ha detto che voleva onorare la sua cultura nativa tagica. A quanto pare, nel suo Paese è impossibile far coesistere la cultura tagica e quella russa.
La visita di Emomali Rahmon alla GBAO: perché è importante?
Nel marzo 2007, il Presidente del Tagikistan ha cambiato il suo nome da “Emomali Sharipovich Rahmonov” a “Emomali Rahmon” per eliminare ogni traccia di russificazione.
L’Uzbekistan ha abbandonato il russo come lingua ufficiale nel suo territorio dopo l’indipendenza. Recentemente, il Ministero degli Esteri russo ha convocato l’ambasciatore dell’Uzbekistan a Mosca, Botirjon Asadov, per protestare contro un commento di Sherzodkhon Kudratkhuja (anche Sherzod Qudratxoja), rettore dell’Università di giornalismo e comunicazione di massa della capitale Uzbeka di Tashkent.
Sherzod aveva pubblicamente etichettato come “occupanti” o “idioti” i cittadini dell’Uzbekistan che parlano russo ma non comprendono la lingua uzbeka. Questo ha fatto arrabbiare i funzionari del Ministero degli Esteri russo perché il commento sembrava suggerire che i russi fossero “occupanti coloniali”.
L’ambasciatore uzbeko Botirjon Asadov, convocato, ha appreso dai suoi interlocutori russi che la dichiarazione di Sherzod era “estremamente offensiva” e “assolutamente inaccettabile”.
Sotto la guida di Nursultan Nazarbayev, il Kazakistan ha progressivamente ridotto l’influenza russa e adottato alcuni valori occidentali, modificando anche le leggi nazionali di derivazione sovietica per adattarle meglio alla Common Law inglese.
Mentre faceva tutto questo, Nazarbayev ha mantenuto “buone” relazioni con Vladmir Putin non perché gli piacesse il leader russo, ma perché non era stupido come Mikheil Saakashvili della Georgia e Volodymyr Zelensky dell’Ucraina.
Nursultan sapeva bene cosa sarebbe successo se avesse messo alla prova la pazienza della Russia, soprattutto per quanto riguarda il Kazakistan settentrionale pieno zeppo di etnie russe. Inoltre, una fetta gigantesca del commercio internazionale del Kazakistan avviene con la Federazione Russa e nessun politico kazako tradizionale, per quanto russofobo, cercherebbe mai di metterlo a repentaglio.
Quando il tranquillamente russofobo Nursultan Nazarbayev si è ritirato da Presidente del Kazakistan, presumibilmente per curare la sua salute (cancro alla prostrata), ha fatto in modo di insediare al potere il suo protetto, Kassym-Jomart Tokayev. Tuttavia, i due potenti politici kazaki hanno litigato perché Nazarbayev voleva continuare a tirare i fili della marionetta, mentre Tokayev preferiva tagliare i fili e agire in modo indipendente.
La lotta per il potere tra il presidente in carica Tokayev e l’ex presidente Nazarbayev ribolliva pesantemente sotto la superficie. Per tre anni, Vladimir Putin ha evitato che esplodesse, ma i suoi tentativi di mediare tra Tokayev e il suo estraneo mentore sono falliti.
Nel gennaio 2021, in Kazakistan si sono svolte manifestazioni di piazza contro l’aumento dei prezzi del petrolio. Gli alleati di Nazarbayev colsero l’opportunità di dirottare le proteste e cercarono di usarne la copertura per rovesciare Tokayev.
Di fronte al russofobo (ma filo-cinese) Tokayev e al russofobo (ma filo-occidentale) Nazarbayev, Vladimir Putin decise che Tokayev era la scelta migliore. Le truppe CSTO guidate dalla Russia sono entrate in Kazakistan e hanno distrutto il tentativo di rimuovere Tokayev dal potere.
In seguito, Tokayev ha allontanato molti degli alleati di Nazarbayev che occupavano ancora posti chiave nel governo. Lo stesso Nazarbayev è stato privato della sua posizione di presidente del Consiglio di sicurezza del Kazakistan. E molto più tardi, la capitale del Kazakistan che porta il suo nome è tornata al suo nome originale, Astana.
Non c’è dubbio che Tokayev fosse grato alla Russia per la sopravvivenza del suo governo, ma non ci sono prove che la russofobia di lunga data sia stata cancellata dalla sua mente.
In effetti, ciò che qualsiasi osservatore attento nota è la vena passivo-aggressiva nell’interazione di Tokayev con i russi, i sottili tentativi di irritare i funzionari russi ad ogni occasione.
Molti Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina si sono rifiutati di isolare diplomaticamente la Russia o di applicare una qualsiasi delle numerose sanzioni imposte dai Paesi della NATO. Il Kazakistan si è mosso nella direzione opposta.
Nel settembre 2023, il Presidente Tokayev ha assicurato al Bundeskanzler Olaf Scholz, durante una visita in Germania, che il Kazakistan avrebbe attuato il regime di sanzioni introdotto dai Paesi della NATO contro la Russia.
Il mese successivo, nell’ottobre 2023, il viceministro kazako del Commercio e dell’Integrazione, Kairat Torebayev, ha annunciato che il suo Paese avrebbe vietato l’esportazione di 106 diversi prodotti per la difesa verso la Russia, al fine di rispettare le sanzioni dell’UE e degli USA. Torebayev ha citato droni, elettronica specializzata e microchip come esempi di prodotti di cui il Kazakistan ha vietato l’esportazione in Russia.
Ambassador Daniel Rosenblum
Ambasciatore Daniel Rosenblum
L’ambasciatore statunitense in Kazakistan, Daniel Rosenblum, che parla correntemente il russo, è un uomo che ha trascorso oltre due decenni a creare legami con vari funzionari pubblici e organizzazioni non governative in Europa orientale e Asia centrale. Prima della sua attuale nomina ad Ambasciatore in Kazakistan nel novembre 2022, è stato Ambasciatore degli Stati Uniti in Uzbekistan.
Il 23 ottobre 2023, sui canali Telegram russi è stata diffusa una falsa notizia secondo cui l’ambasciatore Daniel Rosenblum sarebbe stato “invitato ad aprire un centro di formazione NATO ad Almaty, in Kazakistan”.
I funzionari del ministero della Difesa kazako si sono mossi per smentire la storia. Hanno spiegato che l’ambasciatore statunitense era stato invitato dalle autorità kazake a commissionare una nuova sala conferenze all’interno del Centro per le operazioni di mantenimento della pace, una struttura di addestramento preesistente gestita esclusivamente dal Ministero della Difesa kazako dal 2006.
Naturalmente, lo scopo di smontare la bufala della “struttura NATO” diffusa da alcuni siti web russi era quello di presentare un Kazakistan sovrano che si limitava a invitare l’ambasciatore di un Paese amico (gli Stati Uniti) all’inaugurazione di un nuovo edificio di proprietà e gestione esclusiva del Paese centroasiatico.
Gli americani avrebbero potuto stare al gioco, ma non l’hanno fatto. Danny Rosenblum ha deciso di approfondire i sospetti dei russi – e di mettere in imbarazzo i suoi ospiti kazaki – ricordando che il governo statunitense ha fornito parte dei finanziamenti per la struttura di pace preesistente ad Almaty.
A proposito, ecco un video di Danny Rosenblum che taglia il nastro per la messa in funzione della nuova sala conferenze all’interno della struttura di Peacekeeping:
A volte, l’approccio passivo-aggressivo del Kazakistan nei confronti della Russia può assumere una dimensione umoristicamente imbarazzante. Il 9 novembre 2023, Tokayev ha accolto il visitatore Vladmir Putin nella capitale Astana. I colloqui privati si sono svolti a porte chiuse, secondo quanto riferito in lingua russa.
Tuttavia, quando fu il momento della conferenza stampa congiunta tenuta pubblicamente, il Presidente Tokayev passò inaspettatamente all’incomprensibile lingua kazaka, costringendo un sorpreso Putin e la sua sconcertata delegazione russa a cercare gli auricolari per la traduzione.
Nel discorso pronunciato in lingua kazaka, Tokayev ha sciorinato alcuni luoghi comuni sui “valori incrollabili di rispetto e fiducia reciproci” alla base delle relazioni bilaterali tra il suo Paese e la Russia. Ha anche aggiunto che il Kazakistan è “impegnato nella direzione strategica di un ulteriore rafforzamento della cooperazione globale con la Russia”.
Tokayev ha fatto finta di niente. In apparenza, non c’è nulla di male nel fatto che un leader nazionale desideri parlare nella sua lingua madre attraverso un traduttore a un leader straniero in visita. Ma il fatto è che in passato ha sempre parlato in russo con Vladimir Putin e altri funzionari del Cremlino.
La comune decenza e il protocollo diplomatico richiedevano che egli avvertisse i suoi ospiti russi del cambio di lingua prima della conferenza stampa. Ma no, lui aveva intenzione di mettere in imbarazzo Putin e la sua delegazione, e se ne compiaceva.
Guardate il video qui sotto:
Forse è stata la rabbia silenziosa per l’errata pronuncia del nome di Putin a spingere Tokayev a mettere in moto la macchina passivo-aggressiva. Secondo alcuni resoconti, il Presidente russo si era riferito al permaloso leader nazionale kazako come “Kemel Jomartovich” prima di correggersi.
Curiosamente, Putin ha sbagliato a pronunciare il nome più volte in passato. Tokayev potrebbe aver pensato, a torto, che Putin lo stesse prendendo deliberatamente in giro a causa del fermo rifiuto del Kazakistan di riconoscere l’esistenza della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk.
A volte, l’aggressività passiva si manifesta in un russo giocoso, come è accaduto in occasione di una conferenza ospitata dal Valdai International Discussion Club nel 2019. Durante la sessione plenaria della conferenza, il presidente Tokayev ha tentato una sottile critica alla Russia, affermando che il possesso di armi nucleari non è una garanzia di sicurezza e prosperità economica.
Guardate il video clip qui sotto:
In risposta alla dichiarazione di Tokayev, Putin ha risposto: “Anche Saddam Hussein la pensava così”. L’acerbo commento del Presidente russo è un ovvio riferimento alla propensione del governo statunitense a disfarsi dei leader nazionali dei Paesi nemici che hanno rinunciato alle armi di distruzione di massa.
Il capo di Stato iracheno Saddam Hussein ha rinunciato alle armi nucleari dopo la Guerra del Golfo (1990-1991). Tuttavia, il suo regime baathista fu rovesciato durante l’invasione dell’Iraq nel 2003. È stato impiccato il 30 dicembre 2006 da un nuovo governo iracheno imbottito di nemici arabi sciiti e guidato cerimonialmente da un presidente di etnia curda, Jalal Talabani.
Anche il sovrano di lunga data della Libia, Muammar Gheddafi, ha rinunciato al suo nascente programma nucleare nel 2003, nell’ambito del suo riavvicinamento all’Occidente collettivista guidato dagli Stati Uniti.
Nel febbraio 2011, Nicolas Sarkozy (Francia), David Cameron (Regno Unito) e Barack Obama (USA) hanno supervisionato la distruzione dello Stato libico attraverso bombardamenti aerei e la fornitura di armi ai jihadisti libici, falsamente dipinti come “combattenti per la libertà a favore della democrazia” dai media aziendali euro-americani.
Negli ultimi momenti della guerra civile sponsorizzata dalla NATO, nell’ottobre 2011, Gheddafi è stato rovesciato e ucciso. Con lui è morta la Grande Repubblica Araba Libica Popolare Socialista, trasformando il Paese nordafricano da uno Stato ben gestito a un luogo semi-anarchico e distopico, dove due entità in guerra, che pretendono di essere il governo nazionale, si combattono sporadicamente.
Il Governo di Unità Nazionale (GNU) e il rivale Governo di Stabilità Nazionale (GNS) sostengono entrambi di essere la legittima autorità nazionale nel disfunzionale Paese nordafricano. Il GNU è attualmente riconosciuto come il vero governo della Libia dalle Nazioni Unite.
Nel frattempo, i veterani jihadisti della guerra civile libica del 2011 hanno trasferito le armi in dotazione alla NATO a compagni jihadisti nei Paesi della cintura del Sahel e si sono reinventati come mercanti di schiavi specializzati nella vendita all’asta di africani occidentali intercettati prima che potessero raggiungere la costa del Mar Mediterraneo, su gommoni diretti in Italia e a Malta. Quelli abbastanza fortunati da sfuggire ai mercanti di schiavi libici, alla fine salpano verso l’Europa continentale dove diventano migranti clandestini – clandestini, come direbbero gli italiani.
Ma poi, sto divagando…
L’arguta risposta di Putin ha suscitato le risate del pubblico – e dello stesso Tokayev – perché tutti hanno capito l’importanza del commento del leader russo. Senza una pila di armi nucleari in grado di spaventare il governo degli Stati Uniti, è meglio non essere il capo di un Paese considerato un avversario. È una lezione che Kim Jong Un, il giovane sovrano della Corea del Nord, ha imparato dopo la morte di Saddam Hussein e Muammar Gheddafi. Da qui la ragione per cui il programma di armi nucleari della Corea del Nord si è ampliato sotto il suo governo.
Il Mar Caspio non ha collegamenti naturali con alcun oceano. Pertanto, le nazioni del Turkmenistan, dell’Azerbaigian e del Kazakistan, prive di sbocchi sul mare, dipendono in parte dalle rotte di esportazione controllate dalla Russia per accedere al commercio marittimo.
Nonostante l’aggressività passiva e il risentimento nei confronti della Russia, le élite dirigenti kazake sono intelligenti e non hanno nulla da invidiare alle loro folli controparti in Ucraina. I kazaki sono pienamente consapevoli del fatto che la loro nazione centroasiatica condividerà sempre un confine con la Russia, ed è quindi loro interesse cooperare.La necessità di cooperazione è sottolineata dal fatto che il Kazakistan è il più grande Paese al mondo senza sbocco sul mare, poiché il Mar Caspio è simile a un gigantesco lago, essendo un corpo idrico interno senza accesso agli oceani del mondo, attraverso i quali passa il commercio internazionale via mare.Il commercio marittimo internazionale del Kazakistan dipende in parte dal transito attraverso le terre e le vie d’acqua russe, come il canale Volga-Don. Il canale, lungo 101 chilometri e inaugurato nel 1952, collega il Mar Caspio al Mar d’Azov, che a sua volta si collega al Mar Nero.
In alternativa, il greggio kazako, trasportato da petroliere e chiatte, attraversa il Mar Caspio per raggiungere l’Azerbaigian, dove prosegue il trasporto via terra attraverso oleodotti fino al porto georgiano di Batumi, sul Mar Nero.
Dal 2007, il Kazakistan esercita pressioni sulla Russia per la costruzione del Canale Eurasiatico, lungo 692 chilometri. Se realizzata, la via d’acqua interna russa proposta sarebbe quattro volte più lunga del Canale di Suez e otto volte più lunga del Canale di Panama.I vantaggi del proposto Canale Eurasiatico rispetto all’attuale Canale Volga-Don per le nazioni senza sbocco sul mare del Kazakistan, del Turkmenistan e dell’Azerbaigian includono la capacità di accogliere navi più grandi e di gestire volumi di carico più elevati. In altre parole, il canale ha il potenziale per incrementare il commercio e stimolare le economie dei tre Stati del Caspio.
I ministri degli Esteri dei cinque Stati rivieraschi del Mar Caspio Le autorità kazake partecipano volentieri anche ai vertici degli Stati litoranei del Mar Caspio, che riuniscono tutti i Paesi che si affacciano sul mare interno ricco di petrolio, ossia Kazakistan, Iran, Azerbaigian, Turkmenistan e Russia.Questi vertici discutono solitamente della gestione delle risorse idriche e della pesca. Sono particolarmente importanti per il Kazakistan, poiché confina con il tratto più superficiale del Mar Caspio.I vertici hanno anche il potenziale per creare opportunità di raggiungere un accordo sulla gestione delle riserve petrolifere nel bacino del Caspio, che comprendono 48 miliardi di barili di greggio e riserve di gas naturale per 292 mila miliardi di metri cubi.
#3. TRAGEDIA DELL’ARTSAKH: LA PROFEZIA DI PRIMAKOV
Trovo interessante che molti opinionisti politici – soprattutto nello spazio dei media alternativi – continuino a creare l’impressione tra il loro pubblico che i leader armeni che si sono succeduti siano stati filo-russi fino a quando non è arrivato un “uomo malvagio” chiamato Nikol Pashinyan e ha iniettato la russofobia nel mix.
L’attuale Primo Ministro Nikol Pashinyan
L’Armenia post-sovietica non è mai stata un vero alleato della Russia. Come ho affermato nella sezione #2 di questo articolo in più parti, l’Armenia ha chiuso le scuole di lingua russa dopo la sua indipendenza nel dicembre 1991.
Direi che nessuno dei leader nazionali dell’Armenia è mai stato particolarmente amico della Russia, ma aveva un disperato bisogno degli aiuti finanziari e della protezione militare che il Cremlino poteva offrire contro la vicina Repubblica di Turchia. Per comprensibili ragioni storiche, gli armeni temono che i turchi possano attraversare il confine e completare il “lavoro incompiuto del genocidio”.
La differenza tra i precedenti leader armeni e Nikol Pashinyan è che quest’ultimo si è rifiutato di trattenere la sua russofobia dietro uno spesso muro di tranquillo risentimento anti-russo come tutti i suoi predecessori. Lui e i suoi funzionari di governo hanno ostentato apertamente la loro avversione per i russi, che in realtà rispecchia l’atteggiamento di molti armeni comuni che vivono sia in Armenia che in Paesi come Francia, Stati Uniti e Canada.
Ovviamente, escludo i russo-armeni perché non ho visto alcuna prova concreta della loro ostilità nei confronti del Paese (la Russia) in cui risiedono.
Per tutti i trentadue anni della sua esistenza, la Repubblica di Artsakh non è mai stata riconosciuta dal governo armeno come “Stato sovrano”.
Sì, avete sentito bene.
I governi armeni che si sono succeduti hanno difeso il non riconosciuto “Artsakh” che amministrava parti del territorio storico dell’Azerbaigian sovietico – compreso il Nagorno-Karabakh – ma si sono rifiutati di concedergli un riconoscimento ufficiale.
Soldati azeri preparano un drone Bayraktar per l’azione. I droni di fabbricazione turca hanno creato scompiglio tra i separatisti dell’Artsakh e hanno contribuito a far terminare la Seconda guerra del Nagorno-Karabakh a favore dell’Azerbaigian nel 2020.
Spinto da un’intensa russofobia, il primo ministro Nikol Pashinyan ha anche oltrepassato una linea che nessuno dei suoi predecessori si era mai azzardato a percorrere. Ha posto fine alla decennale ambiguità strategica dell’Armenia su come percepisce ufficialmente l'”Artsakh” non riconosciuto, rilasciando una laconica dichiarazione in cui afferma che il suo governo considera l’intero Nagorno-Karabakh come parte de jure dell’Azerbaigian.Pashinyan aveva rilasciato questa straordinaria dichiarazione pubblica come parte di un piano a lungo termine per sottomettere il Nagorno-Karabakh al dominio azero e rendere inutile e obsoleta la presenza delle forze di pace russe in quel territorio – e con un po’ di fortuna, sostenere anche la rimozione di tutte le basi militari russe in Armenia per la stessa ragione di obsolescenza.
Quello che Pashinyan non aveva previsto è che le sue parole sarebbero state colte dal presidente azero Ilham Aliyev per lanciare una campagna militare alla velocità della luce per invadere il Nagorno-Karabakh e porre fine all’esistenza dello Stato secessionista non riconosciuto che lo amministra.
Quando Vladimir Putin ha cercato di intervenire per fermare la campagna, Aliyev gli ha fatto notare che se l’Armenia riconosce il Nagorno-Karabakh come territorio azero, allora non c’è motivo per cui “l’entità illegale chiamata Artsakh continui a esistere”.
Ilham Aliyev ha ignorato l’accordo di cessate il fuoco mediato da Putin tra l’Azerbaigian e l’Armenia nel novembre 2020 e ha ordinato alle sue forze militari, equipaggiate con armi turche e israeliane, di prendere pieno possesso del territorio della fatiscente Repubblica dell’Artsakh.
Armeni etnici dell’Artsakh in fuga dal loro fatiscente Stato secessionista durante l’offensiva militare dell’Azerbaigian nel settembre 2023.
La campagna di alleggerimento delle forze azere ha spinto molti armeni etnici, che temevano per la propria vita, a fuggire dal crollo dello Stato secessionista. Oltre centomila persone sono fuggite dalle loro case nel Nagorno-Karabakh per raggiungere il territorio sovrano dell’Armenia.Gli azeri, umiliati dalla sconfitta totale nella prima guerra del Nagorno-Karabakh (1988-1994), hanno festeggiato la vittoria totale sui nemici armeni. Il loro Presidente, Ilham Aliyev, ha festeggiato usando la bandiera del defunto Artsakh come tappetino, come mostrato qui sotto:
Qual è stata dunque la reazione in Armenia al tradimento dei separatisti dell’Artsakh? I comuni manifestanti armeni hanno istigato un’altra “rivoluzione” per rovesciare Nikol Pashinyan come hanno fatto con Serzh Sargsyan nel maggio 2018? Le forze armate armene hanno messo in atto un vero e proprio colpo di Stato militare? Il Parlamento armeno ha messo sotto accusa Pashinyan? La risposta a tutte le domande è “no, no, no”.
Eppure, molti armeni hanno avuto l’audacia di inveire contro la Federazione Russa per non aver protetto uno Stato secessionista che i successivi governi armeni si erano fermamente rifiutati di riconoscere ufficialmente. L’esercito ufficiale armeno non ha nemmeno partecipato alla difesa dell’Artsakh secessionista durante la Seconda guerra del Nagorno-Karabakh (2020). Inoltre, l’esercito armeno non è intervenuto nella campagna militare dell’Azerbaigian del settembre 2023, volta a porre fine allo Stato secessionista in crisi.
Infatti, il 28 settembre 2020, il giorno dopo che le forze militari azere hanno scatenato la Seconda guerra del Nagorno-Karabakh con l’invasione dell’Artsakh, il governo di Nikol Pashinyan ha vietato agli armeni di età superiore ai 18 anni di lasciare l’Armenia, ostacolando così la capacità dei secessionisti dell’Artsakh di ottenere un numero sufficiente di volontari militari.
Con l’assenza dell’esercito armeno ufficiale sul campo di battaglia e con gli ostacoli frapposti ai cittadini armeni che si offrivano volontari per aiutare i combattenti separatisti dell’Artsakh, le truppe azere, ben equipaggiate, hanno invaso il territorio a una velocità impressionante che probabilmente li ha lasciati senza fiato.
Durante la Seconda guerra del Nagorno-Karabakh, l’Azerbaigian ha impiegato solo un mese e due settimane per conquistare ampie zone del territorio dell’Artsakh. In effetti, se la Russia non fosse intervenuta per convincere l’Azerbaigian ad accettare un cessate il fuoco, l’Artsakh non sarebbe sopravvissuto all’anno 2020.
Nel 2020, il governo armeno si è rivelato del tutto inutile quando l’Azerbaigian ha conquistato ampie porzioni del territorio controllato dall’Artsakh, provocando la fuga di molti armeni di etnia armena che vivevano lì.
Nel 2023, il governo armeno è stato totalmente irresponsabile nel creare le condizioni che hanno dato all’Azerbaigian la scusa perfetta per prendere il pieno controllo del resto del territorio controllato dall’Artsakh, causando la fuga dei restanti armeni di etnia armena.
Ma a chi va la maggior parte della colpa tra i molti armeni? La Russia, ovviamente, secondo i manifestanti davanti all’ambasciata russa a Yerevan:
Ora tornerò alla tragedia dei circa 100.617 armeni che sono fuggiti dalle loro case nel Nagorno-Karabakh perché non volevano mettere alla prova la sincerità dei funzionari del governo azero che garantivano la loro sicurezza.
Nessuna di queste tragedie sarebbe accaduta se i successivi leader armeni non avessero sprecato l’influenza storica che avevano su un Azerbaigian molto più debole negli anni Novanta.
Alla fine degli anni ’80, l’allentamento del controllo del governo nazionale sovietico sugli affari delle regioni e delle repubbliche sovietiche autonome aveva incoraggiato il fiorire di piccoli nazionalismi etnici in tutto il Paese, soprattutto nei territori russi non etnici dell’URSS.
BARRA LATERALE:
La natura di questi piccoli nazionalismi etnici nell’URSS di Gorbaciov sarebbe abbastanza familiare ai cittadini di federazioni multietniche, come la Nigeria e l’Etiopia. Nel caso della Nigeria, si tratta di 250 nazionalità etniche, la maggior parte delle quali parla lingue native reciprocamente incomprensibili, osserva tradizioni culturali diverse e aderisce a religioni diverse.
Le minoranze etniche russe, gagauz e ucraine all’interno della Moldavia sovietica hanno iniziato a fare campagna per la creazione di repubbliche sovietiche separate, perché temevano che gli irredentisti rumeni al comando della Moldavia sovietica avrebbero dichiarato l’indipendenza e si sarebbero uniti alla Romania.
Le successive azioni intraprese dall’etnia russa e dall’etnia ucraina nella Moldavia sovietica portarono infine al conflitto militare e alla creazione dell’entità “Transnistria”. Inizialmente, l’entità esisteva illegalmente come Repubblica Socialista Sovietica Moldava Pridnestrova (P.M.S.S.R) all’interno dell’URSS nel 1990. Poi, è diventata l’attuale Stato non riconosciuto – la Repubblica moldava di Pridnestrovia (P.M.R) – dopo la morte improvvisa dell’URSS il 26 dicembre 1991.
Copiando l’esempio delle altre due minoranze etniche, l’etnia gagauz ha creato la propria Repubblica gagauz nel 1990 come repubblica sovietica illegale al pari della Moldavia sovietica all’interno dell’URSS. Dopo il 26 dicembre 1991, la Repubblica Gagauz ha continuato ad essere uno Stato indipendente de facto fino a quando, nel gennaio 1995, è stata convinta ad aderire alla Repubblica di Moldova come regione autonoma. La situazione in “Transnistria” rimane intrattabile.
Nella vicina Ucraina sovietica, l’etnia russa della Crimea ha indetto un referendum nel gennaio 1991 per costituire una repubblica sovietica separata. Quando l’URSS si è dissolta, undici mesi dopo, l’etnia russa della Crimea è stata costretta ad accettare di diventare parte di un’Ucraina indipendente guidata da Leonid Kravchuk.
Nella Georgia sovietica, due distinte minoranze etniche – gli abkhazi e gli osseti – non volevano far parte di una futura repubblica georgiana indipendente. Finché esisteva l’URSS, il popolo abkhazo desiderava semplicemente una Repubblica sovietica separata, su un piano di parità con la Georgia sovietica. Quando l’URSS è crollata, gli abkhazi hanno spostato le loro aspirazioni verso uno Stato pienamente sovrano. I nazionalisti etnici georgiani si opposero, provocando un conflitto armato e la nascita della Repubblica di Abkhazia, parzialmente riconosciuta, nel 1992.
Anche l’altro gruppo minoritario, l’etnia osseta, ha creato una propria Repubblica sovietica, ma non appena l’URSS si è dissolta, ha combattuto i georgiani e ha ottenuto la sua Repubblica dell’Ossezia del Sud – anche se il sogno finale degli osseti del Sud è quello di essere annessi dalla Russia per riunirsi con i loro fratelli dell’Ossezia del Nord.
La mia mappa dell’URSS nel 1988 mostra l’Armenia sovietica e l’Azerbaigian sovietico, che contiene l’Oblast autonomo del Nagorno-Karabakh (NKAO), dominato dall’etnia armena.
Nell’Azerbaigian sovietico, il conflitto interno che infuriava tra la maggioranza etnica azera e la minoranza etnica armena bloccata nella regione autonoma del Nagano-Karabakh aveva già tre anni e 10 mesi quando l’URSS si disintegrò. Entrambe le parti in conflitto hanno fatto tutto il possibile per ripulirsi etnicamente a vicenda nelle aree in cui avevano la meglio. Ad esempio, gli azeri ripulirono gli armeni da Baku, Sumgait e Kirovabad (oggi Ganja). Gli armeni restituirono il favore a Gugark, Nagorno-Karabakh, Jabrayil, Zangilan, Qubadli, Lachin, ecc.Nel mezzo del conflitto, il 18 ottobre 1991, l’Azerbaigian sovietico si trasformò caoticamente in uno Stato sovrano politicamente instabile. Le sue forze militari erano scarsamente addestrate e poco organizzate.
D’altro canto, la Repubblica di Armenia, da poco indipendente, era meglio organizzata, così come i separatisti di etnia armena all’interno della regione azera del Nagorno-Karabakh, ora riconosciuta a livello internazionale. I separatisti proclamarono la loro Repubblica di Artsakh, non riconosciuta, il 10 dicembre 1991.
La prima guerra del Nagorno-Karabakh, iniziata nel 1988 come uno scontro tra comunità ad alta intensità all’interno dell’URSS, si trasformò rapidamente in una guerra vera e propria nel 1992, con le truppe poco organizzate dell’Azerbaigian appena indipendente che dovevano affrontare la potenza di fuoco dei combattenti secessionisti di etnia armena meglio organizzati, molti dei quali erano ex soldati del defunto esercito sovietico.
All’inizio del 1993, l’Azerbaigian aveva perso il controllo di ampie zone del suo territorio nazionale, ben oltre i confini geografici originari della regione contesa del Nagorno-Karabakh, come mostrato nella mappa sottostante:
Mappa che mostra la situazione nel 1997, molto tempo dopo la scomparsa dell’URSS. Armenia e Azerbaigian sono diventati Stati sovrani. La Repubblica secessionista dell’Artsakh (in azzurro) ha annesso la maggior parte dell’Oblast’ autonoma del Nagorno-Karabakh e si è impossessata di altri territori azeri al di là di essa.
Completamente umiliate da una serie di sconfitte subite dai separatisti dell’Artsakh, le disorganizzate truppe azere si sono ribellate. Nella confusione politica che ne seguì, il presidente Abulfaz Elchibey, estremamente russofobo, fu rovesciato da un colpo di Stato costituzionale organizzato da Heydar Aliyev il 24 giugno 1993.
Il presidente armeno Levon Ter-Petrosyan mentre stringe la mano a un burbero presidente azero Heydar Aliyev nel 1994 (Fonte: Haqqin)
Heydar Aliyev aveva servito l’URSS in varie vesti: ufficiale dei servizi segreti del KGB, membro del Politburo sovietico, capo del Partito Comunista nell’Azerbaigian sovietico, vice premier sovietico e capo dell’assemblea regionale del suo paese natale, il Nakhichevan, prima della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Dopo la dissoluzione, è diventato il sovrano de facto dell’exclave autonoma di Nakhichevan, governando senza il permesso delle autorità nazionali azere a Baku.Una volta che Aliyev ha preso il posto di Elchibey come Presidente nazionale, il flusso di instabilità politica in Azerbaigian è rallentato. Il 5 maggio 1994 Aliyev firmò un accordo di cessate il fuoco con l’Armenia e i separatisti dell’Artsakh nella capitale kirghisa di Bishkek.
Il defunto Yevgeny Primakov è stato il primo direttore dell’Agenzia di intelligence estera russa (SVR), poi ministro degli Affari esteri e infine primo ministro della Russia.
Con il cessate il fuoco del 1994 che congelò per il momento il conflitto nel Nagorno-Karabakh, iniziarono intensi negoziati, con gli americani, gli europei e i russi a fare da mediatori.Di tutti i mediatori di pace nel conflitto del Nagorno-Karabakh, il ministro degli Esteri russo Yevgeny Primakov era il più esperto della regione caucasica. Era cresciuto nella città georgiana sovietica di Tbilisi e aveva studiato nella città sovietica azera di Baku. Nel gennaio 1990 aveva fatto parte di una delegazione nazionale sovietica che si era recata da Mosca a Baku per cercare di fermare i pogrom perpetrati dalla maggioranza etnica azera contro la minoranza etnica armena. Il pogrom a Baku non si fermò. Gli azeri portarono a termine l’orribile lavoro di eliminazione di ogni traccia di etnia armena dalla città.
Mappa della situazione nel 1994. Le parti della NKAO controllate dall’Azerbaigian sono in giallo. La parte della NKAO in mano ai separatisti dell’Artsakh è in rosa. I separatisti hanno conquistato anche altri distretti azeri in rosso: (1) Kalbajar; (2) Lachin; (3) Qubadli; (4) Zangilan; (5) Jabrayil; (6) Fuzuli; (7) Agdam.
Facendo un salto all’era post-sovietica, Primakov è ora un alto funzionario del governo nella Russia di Boris Eltsin. Incontra il presidente armeno Levon Ter-Petrosyan proponendo ai separatisti dell’Artsakh di restituire i sette distretti azeri incontrastati al di fuori dei confini originari dell’Oblast’ autonoma del Nagorno-Karabakh (NKAO).In cambio, il governo di Hayder Aliyev avrebbe dovuto:
Rendere l’Artsakh una repubblica altamente autonoma all’interno dell’Azerbaigian sovrano.
Permettere che il corridoio di Lachin, che collega l’Artsakh all’Armenia, passi sotto il controllo delle forze di pace internazionali.
Condividere parte della ricchezza economica dell’Azerbaigian permettendo a un oleodotto di passare attraverso l’Armenia nel suo percorso verso la Turchia.
Il Presidente Levon Ter-Petrosyan era ricettivo alla proposta, ma alcune figure politiche armene e la maggioranza degli armeni comuni, sia all’interno dell’Armenia vera e propria che nell’Artsakh, si opponevano con veemenza. All’epoca, a metà degli anni Novanta, gli armeni avevano il coltello dalla parte del manico e non volevano fare alcuna concessione agli azeri, militarmente più deboli.
Dopo che Levon Ter-Petrosyan aveva detto a Primakov che “i territori conquistati dagli armeni non possono essere ceduti al nemico”.
Lo statista russo rispose notoriamente:
“Gli azeri sanno come lavorare e aspettare. Hanno le risorse necessarie. Passeranno dieci, venti, trent’anni. Acquisteranno forza e prenderanno tutto a voi, armeni”.
Il presidente Levon Ter-Petrosyan sembrava capire che l’Azerbaigian avrebbe potuto mettere la testa a posto e utilizzare le sue vaste ricchezze petrolifere per costruire un potente esercito in futuro. Così, ha fatto pressione sulla miope popolazione di etnia armena sia nell’Armenia vera e propria che nell’Artsakh affinché prendesse in considerazione diverse proposte per un accordo di pace, che richiedevano tutte concessioni territoriali.
Per questo motivo, Levon Ter-Petrosyan fu costretto a dimettersi nel febbraio 1998 da esponenti politici integralisti come Robert Kocharyan, Serzh Sargsyan e l’ormai defunto Vazgen Sargsyan.
I successivi presidenti armeni – insieme ai leader separatisti dell’Artsakh – hanno trascorso la maggior parte del tempo in carica a respingere una proposta di pace dopo l’altra, insistendo affinché l’Azerbaigian concedesse all’Artsakh uno status quasi identico a quello di uno Stato sovrano. Per ovvie ragioni, l’Azerbaigian ha rifiutato.
Nel frattempo, l’Azerbaigian seguì la traiettoria di sviluppo che Primakov aveva previsto. Iniziò a sfruttare le sue ricchezze petrolifere sotto Hayder Aliyev. Hayder morì nel dicembre 2003 e suo figlio, Ilham, ereditò la presidenza.
Sotto il presidente Ilham Aliyev, la posizione dell’Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh e su altri territori azeri detenuti dai separatisti dell’Artsakh è diventata più dura.
A questa linea dura è corrisposto un drastico aumento delle spese governative per modernizzare, addestrare e dotare le forze armate azere dei migliori equipaggiamenti militari che si potessero procurare.
In due brevi campagne militari – la seconda guerra del Nagorno-Karabakh (2020) e la campagna militare del settembre 2023 – l’Azerbaigian di Ilham Aliyev ha tolto tutto agli armeni del Nagorno-Karabakh, realizzando così la profezia fatta da Primakov quasi tre decenni prima.
La sezione #4 di questo articolo in più parti è stata scritta prima che Svezia e Danimarca chiudessero le loro finte “indagini” sul sabotaggio dei gasdotti Nordstream, senza fornire alcuna motivazione convincente. I tedeschi stanno ancora facendo le cose per bene, fingendo di indagare sul sabotaggio.
#4. NORD STREAM: IL RITORNO DI MAX SCHRECK?
(a) TRIVIA : Come ho conosciuto Max Schreck
Come si legge in uno studio condotto dalla Fondazione Friedrich Ebert, la scena dei mass media locali in Nigeria è una delle più vivaci del continente africano.
Nel settore della carta stampata, ci sono più di un centinaio di giornali e riviste che trattano notizie locali, regionali, nazionali e internazionali, nonché pettegolezzi sulle celebrità dell’industria cinematografica nigeriana, di cui ho parlato nella barra laterale di un precedente articolo.
I media elettronici sono ancora più vivaci in Nigeria, soprattutto per quanto riguarda le trasmissioni televisive e radiofoniche, che hanno una lunga storia nel Paese. Il regime coloniale britannico ha introdotto le trasmissioni radiofoniche in Nigeria nel 1932.
Nel 1959, il governo regionale autonomo della Nigeria occidentale, guidato dal premier Obafemi Awolowo, ha fatto la storia istituendo la prima stazione televisiva terrestre indigena in tutto il continente africano, prima dell’Egitto e della Rhodesia, che hanno entrambi istituito le proprie stazioni televisive terrestri nel 1960, e del Sudafrica dell’apartheid, che ha iniziato le trasmissioni televisive a livello nazionale il 5 gennaio 1976.
BARRA LATERALE: MESSA IN FUNZIONE DELLA TV DELLA NIGERIA OCCIDENTALE (OTTOBRE 1959)
Negli anni Cinquanta, la Federazione nigeriana era ancora un protettorato britannico, ma in cui le tre suddivisioni federali – le regioni orientali, occidentali e settentrionali – mantenevano un alto grado di autonomia dal governo centrale.
I politici nigeriani eletti gestivano i governi regionali, le province e le municipalità, mentre il governo centrale era controllato dai coloni britannici in partenza, che avevano l’obbligo di concedere la piena indipendenza il 1° ottobre 1960.
Obafemi Awolowo | Statista, leader politico e attivista nigeriano | Britannica
Il premier Obafemi Awolowo che fondò la WNTV
A metà degli anni Cinquanta, il governo regionale della Nigeria occidentale guidato dal premier Obafemi Awolowo voleva introdurre la televisione terrestre per la popolazione locale della regione. I coloni britannici erano scettici e lo erano anche i politici nigeriani responsabili delle regioni orientali e settentrionali.Ma, con grande sorpresa degli scettici, Obafemi Awolowo riuscì a portare a termine con successo la creazione della Western Nigerian Television (WNTV) nel 1959.
La cerimonia ufficiale di inaugurazione della prima stazione televisiva terrestre dell’Africa si tenne il 31 ottobre 1959. All’evento parteciparono i funzionari regionali della Nigeria occidentale, il personale della WNTV e i coloni britannici che amministravano il governo centrale.
Video della cerimonia di inaugurazione della WNTV nel 1959. Ci scusiamo per la scarsa risoluzione dello schermo:
Oggi, ciascuno dei 36 Stati della Federazione nigeriana gestisce almeno una rete radiofonica e una stazione televisiva. Alcuni governi statali gestiscono addirittura due o più stazioni televisive. Il governo federale gestisce la colossale rete della Nigerian Television Authority (NTA), che possiede 101 stazioni televisive distribuite in tutti i 36 Stati della Federazione.
Esiste anche la vasta rete di stazioni radiofoniche della Federal Radio Corporation of Nigeria, che compete ferocemente per le quote di mercato con le stazioni radiofoniche locali di proprietà statale e privata.
Non mi soffermerò nemmeno sulla BBC World Service Radio, di proprietà straniera, che trasmette in inglese e in diverse lingue locali, la maggior parte delle quali non sono mutuamente intelligibili, il che significa che il governo britannico spende molto per assumere persone del posto che sappiano parlare diverse lingue nigeriane.
Anike Agbaje-Williams è la prima persona, uomo o donna, ad apparire come emittente in una stazione televisiva terrestre indigena in tutta l’Africa. È successo alla Western Nigeria Television (WNTV) il 31 ottobre 1959.
Oltre ai servizi televisivi gestiti dal governo, esiste una pletora di aziende mediatiche nazionali di proprietà privata che offrono servizi di trasmissione televisiva terrestre, televisione via cavo su abbonamento e servizi televisivi satellitari a pagamento.In Nigeria operano anche reti via cavo di proprietà straniera, come la Digital Satellite Television, di proprietà sudafricana, creata nel 1995 per portare canali stranieri nei salotti degli africani subsahariani a un prezzo relativamente accessibile. Anche se non è un canale televisivo, Netflix è ora un concorrente significativo nel settore dell’intrattenimento mediatico in Nigeria.
Qual è il senso di tutto questo mio blaterare? Beh, in un Paese letteralmente coperto da centinaia di stazioni radiofoniche e televisive, c’è un’intensa competizione per l’attenzione del pubblico, una frazione significativa dei 230 milioni di persone che vivono in Nigeria.
La giornalista nigeriana Julie Coker alle prese con le prove per una trasmissione alla Western Nigeria Television (WNTV) nel 1961.
Nella feroce competizione per l’attenzione del pubblico, le reti televisive hanno dovuto essere innovative. Storicamente, le emittenti televisive statali/regionali tendevano a fare tendenza, spesso anticipando le rivali federali meglio finanziate.È stata una stazione televisiva statale della Nigeria centro-settentrionale, chiamata Benue-Plateau Television Corporation (BPTVC), a stabilire un altro record storico il 1° ottobre 1975, come primo canale in Africa a passare in modo permanente dalle trasmissioni televisive in bianco e nero a quelle a colori.
Prima di questa storica pietra miliare, Zanzibar e Mauritius avevano entrambi effettuato trasmissioni televisive a colori temporanee nel 1973 come esperimento. Il BPTVC della Nigeria ha effettuato esperimenti simili nel 1974, prima di passare definitivamente alle trasmissioni a colori l’anno successivo.
Uno degli effetti storici negativi della concorrenza nel mercato televisivo locale nigeriano è stata una forte preferenza per la trasmissione di programmi stranieri. I canali televisivi di proprietà federale e statale erano in competizione tra loro per chi trasmetteva la maggior quantità di contenuti stranieri, spesso a scapito degli spettacoli prodotti localmente.
Un tecnico di trasmissione nella sala di controllo di WNTV nel 1961
Uso il termine “storico” perché dall’inizio degli anni 2000 le reti televisive nigeriane hanno privilegiato la trasmissione di programmi prodotti localmente rispetto ai contenuti stranieri importati.Tuttavia, gli anni ’70, ’80 e ’90 erano un’altra epoca. È stata l’epoca d’oro della programmazione televisiva straniera in Nigeria. In quel periodo, i programmi televisivi prodotti localmente spesso perdevano nella feroce competizione per la messa in onda con i contenuti televisivi importati dall’Europa, dal Nord America, dall’Asia, dall’Australia, dal Sud America e persino dal Sudafrica post-apartheid.
Per i bambini c’erano programmi stranieri come:
Sesame Street, 3-2-1 Contact, Rentaghost, He-Man
Danger Mouse, Count Duckula, Voltron, Tom & Jerry
Power Rangers, Victor & Hugo, Super Ted, Teenage Mutant Ninja Turtles
Per un pubblico più adulto, c’erano serie televisive come:
A-Team, Father Dowling Mysteries, Knight Rider, Get Christie Love!
Doctor Who, Kojak, Santa Barbara, The Wonder Years, Moonlighting
Yes Minister, The Incredible Hulk, Fantasy Island, Egoli, Matlock
The Jeffersons, Fresh Prince of Bel-Air, Another Life, Sanford & Son
Different Strokes, Cosby Show, Quincy M.E., Columbo, Wonder Woman
X-Files, Fall Guy, Buffy The Vampire Slayer, Sabrina The Teenage Witch
“Get Smart” è stato uno spettacolo televisivo popolare in Nigeria dal 1970s al 1980s
Le telenovelas latinoamericane sono state un punto fermo della televisione nigeriana negli anni Novanta. Ne sono un esempio (a) “The Rich Also Cry” di produzione messicana e (b) “Secrets of The Sand” di produzione brasiliana (chiamata anche “Sand Women”).
Al di fuori dell’intrattenimento puro, c’erano le ritrasmissioni di notizie straniere. Ad esempio, ricordo che l’Anambra State Broadcasting Service (ABS) ritrasmetteva il programma The 700 Club del Christian Broadcasting Network di Pat Robertson, che era piuttosto divertente per un adolescente cresciuto nella Nigeria orientale degli anni ’90, fortemente cattolica.C’erano anche ritrasmissioni di ABC World News Tonight con Peter Jennings. Tutto questo accadeva in Nigeria ben prima che i servizi televisivi via cavo e le antenne paraboliche diventassero abbastanza comuni da permetterci di guardare direttamente la CNN International, che non è esattamente la stessa cosa del canale nazionale CNN che trasmette negli Stati Uniti, anche se alcuni conduttori appaiono in entrambi – mi vengono in mente Wolf Blitzer e Christiane Amanpour.
Ricordo ancora le ritrasmissioni di programmi televisivi Transtel dalla Germania Ovest tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Molti di essi erano programmi di scienza, che venivano trasmessi da un’emittente televisiva che non era in grado di trasmettere. Molti di essi erano programmi scientifici, che alla fine mi hanno ispirato a studiare ingegneria meccanica da giovane adulto.
Negli archivi della BBC mancavano più di 100 episodi di “Dr. Who” trasmessi negli anni Sessanta. Nell’ottobre 2013, la BBC è riuscita a recuperare i duplicati di nove episodi originariamente trasmessi nel 1967 e nel 1968 dal polveroso magazzino di una stazione televisiva in Nigeria (clicca qui per i dettagli).
Negli anni Ottanta e Novanta, inoltre, i canali televisivi federali e statali trasmettevano un gran numero di film indiani, di Hong Kong, britannici e americani, di solito nei fine settimana. Uno di questi film era costituito da film horror di genere gotico-vampiresco.Veniva trasmessa una serie di film su Dracula con Christopher Lee, Frank Langella, Gary Oldman e Bela Lugosi nel ruolo del Conte Dracula.
Ho trovato l’interpretazione del Conte di Transilvania da parte di Christopher Lee e Frank Langella autentica e piuttosto spaventosa. L’interpretazione di Dracula da parte di Gary Oldman mi è sembrata piuttosto ridicola, soprattutto per il fatto che poteva muoversi alla luce del giorno.
In senso orario dall’alto: Christopher Lee, Frank Langella, Bela Lugosi e Gary Oldman
L’interpretazione del Conte da parte di Bela Lugosi non era affatto eccezionale. Ho trovato la sua recitazione un po’ legnosa e non c’era molto di spaventoso nel modo in cui si comportava in quei film gotici sui vampiri in bianco e nero degli anni Trenta.
Max Schreck
In Nigeria sono stati trasmessi anche affascinanti documentari sul cinema muto dell’inizio del XX secolo, con filmati del berlinese Max Schreck, che interpretava un personaggio vampiresco simile a Dracula, il Conte Orlok, nel classico film del 1922 Nosferatu: A Symphony of Horror.
(b) REBOOT: Revisione della trama per “La banda dei sei ucraini”.
Se non siete ancora confusi e frustrati e non avete rinunciato a cercare di capire cosa c’entri la storia della TV nigeriana con la distruzione del gasdotto Nord Stream, vi ringrazio per avermi assecondato.
Verso la fine dell’anno scorso, stavo facendo il mio solito giro su varie piattaforme mediatiche, cercando di vedere cosa stava bruciando in varie parti del mondo, quando mi sono imbattuto nella fotografia qui sotto:
La prima cosa che mi è venuta in mente è stata: “Wow, Max Schreck è tornato dal mondo dei morti per perseguitare i soldati ucraini, a cominciare dai due uomini mascherati in felpa nera”.
Ma quando ho zoomato per leggere il testo dell’articolo del Washington Post in cui era ambientata la fotografia, ho capito subito che l’uomo con il maglione nero non era il Max Schreck che appariva di tanto in tanto nei documentari del cinema muto trasmessi nella Nigeria orientale negli anni Ottanta e Novanta. In realtà, si trattava di uno sfortunato ufficiale delle forze speciali ucraine di nome Roman Chervinsky, finito in carcere per un presunto abuso di potere, che sarebbe avvenuto mentre cercava di convincere un pilota dell’aviazione russa a disertare in Ucraina nel luglio 2022.
Il sosia di Max Schreck, un colonnello dell’esercito di 48 anni, pensava di essere la versione ucraina della soave spia britannica James Bond, ma gli agenti dell’FSB che lavoravano con il pilota dell’aviazione russa hanno dimostrato che non era così. In realtà, l’ufficiale delle Forze speciali ucraine si è rivelato un idiota imbranato come la spia britannica Johnny English.
Su ordine dei funzionari dell’FSB, il pilota russo è riuscito a convincere il colonnello Roman Chervinsky a fornire le coordinate esatte di un campo d’aviazione segreto ucraino, provocando un attacco missilistico russo che ha ucciso un soldato ucraino e ne ha feriti altri 17. Il governo ucraino, indignato, ha deciso di non fare nulla.
Il governo ucraino, indignato, arrestò e accusò Chervinsky di abuso di potere. A quanto pare, il colonnello dell’esercito aveva sbagliato un’operazione – non ufficialmente autorizzata dai suoi superiori – per facilitare la defezione di un pilota russo incaricato di pilotare due importanti aerei ad ala fissa, il Sukhoi Su-24 e il Sukhoi Su-34. Entrambi sono velivoli che i funzionari della NATO vorrebbero far volare. Entrambi sono velivoli che i funzionari della NATO calpesterebbero volentieri i vetri rotti per averli in custodia.
Il colonnello Chervinsky, per ovvie ragioni, non è stato contento del suo trattamento scadente, visti tutti i sacrifici che ha fatto per il suo Paese in difficoltà. L’ufficiale militare ha detto di essere stato punito per aver criticato il governo ucraino in generale e Andriy Yermak in particolare.
Ex produttore cinematografico, Yermak è un consigliere anziano del Presidente Zelensky. Si dice che sia un uomo immensamente potente, che potrebbe essere già passato dall’offrire consigli al controllare effettivamente Zelensky.
Ovviamente, accusare un uomo potente come Yermak di spionaggio per la Russia, senza prove concrete, come ha fatto il colonnello Chervinsky, era destinato a provocare una reazione furiosa, come quella di essere sbattuto in una prigione di Kiev mentre veniva perseguito per “abuso di potere”.
Da sinistra a destra: Andriy Yermak, Volodymyr Zelensky and Dmytro Kuleba
L'”abuso di potere” non è stata l’unica accusa mossa a Chervinsky. Mentre si raffreddava in carcere, il colonnello dell’esercito in difficoltà è rimasto scioccato nell’apprendere che i media al di fuori dell’Ucraina gli stavano rivolgendo un’altra accusa.
Nel novembre 2023, i media aziendali europei e nordamericani allineati alla NATO, guidati dal Washington Post, hanno affermato che il colonnello Roman Chervinsky era stato il coordinatore logistico di un’operazione clandestina, in cui erano coinvolti sei ucraini che navigavano su uno yacht, che aveva portato alla distruzione dei gasdotti sottomarini Nord Stream nel settembre 2022.
Chervinsky ha negato con veemenza le accuse. In evidente stato di shock e confusione, ha affermato che “i propagandisti russi” stavano diffondendo una versione frettolosamente aggiornata della vecchia storia della “banda dei sei ucraini”.
Sono certo che una volta che la tempesta di pensieri confusi che offusca la mente del colonnello si sarà schiarita, si renderà conto che sono i propagandisti della NATO a usare un piede di porco per incastrarlo nella versione più recente di una storia che ha debuttato nel marzo 2023, poco dopo la visita di Olaf Scholz negli Stati Uniti.
Olaf Scholz ha incontrato Joe Biden nel marzo del 2023 per chiedere la pubblicazione di una storia di copertura per oscurare la denuncia di Seymour Hersh del coinvolgimento degli Stati Uniti nel sabotaggio del gasdotto Nord Stream, che aveva fatto arrabbiare molti tedeschi.
Da quando il veterano giornalista americano Seymour Hersh ha rivelato che il governo degli Stati Uniti, di concerto con la Norvegia, aveva danneggiato i gasdotti sottomarini Nord Stream, l’amministrazione Biden si è affannata a negare e screditare le rivelazioni di Seymour.All’inizio, la denuncia di Seymour è stata liquidata con un gesto della mano. L’amministrazione Biden e i suoi alleati mediatici hanno continuato a far credere che i russi, inspiegabilmente malvagi, avessero fatto esplodere i loro gasdotti multimilionari.
Ma questa storia era così assurda che alla fine è stata abbandonata, soprattutto quando gli investigatori tedeschi sono apparsi riluttanti ad attribuire esplicitamente la colpa ai russi per la distruzione dei gasdotti.
Titolo del New York Times del 7 marzo 2023
La narrazione originale – senza il personaggio di Roman Chervinsky – era abbastanza enfatica sul fatto che nessuno Stato nazionale fosse coinvolto. Tale narrazione sosteneva che gli attacchi all’oleodotto fossero stati perpetrati da una banda di patrioti ucraini che agivano in modo indipendente, all’insaputa del governo ucraino.Secondo il racconto, la banda di sei ucraini ha noleggiato uno yacht e ha navigato nel Mar Baltico verso una località al largo della Danimarca. Una volta giunti sul posto, due sommozzatori appartenenti alla banda ucraina si sono tuffati in mare, presumibilmente con esplosivi al plastico. Sott’acqua, hanno piazzato gli esplosivi, sono tornati a nuoto in superficie, si sono riuniti ai compagni di cospirazione che li attendevano all’interno dello yacht e sono salpati. Pochi istanti dopo, entrambi i gasdotti Nord Stream sono andati KAAABOOM!!!
Per aggiungere un po’ di carne al fuoco, Der Spiegel ha persino identificato lo yacht presumibilmente utilizzato nell’operazione di sabotaggio con il nome di “Andromeda”. Convenzionalmente, a bordo dello yacht sono stati trovati passaporti ucraini abbandonati, in condizioni immacolate.
La leggenda di quei passaporti ucraini immacolati ricorda il libro nitido e intatto mostrato durante un’intervista della BBC al presidente Isaac Herzog. Il capo di Stato israeliano aveva affermato alla televisione della BBC che il libro, che sembrava in condizioni immacolate, era in realtà una versione in lingua araba del Mein Kampf. Sarebbe stato trovato su un combattente di Hamas deceduto, che giaceva tra le rovine di una camera da letto per bambini a Gaza.
Guardate il video qui sotto:
Ovviamente, gli israeliani stanno disperatamente cercando di convincere il mondo che Hamas è una reincarnazione del partito nazista, che deve essere distrutto, anche a costo di uccidere ogni uomo, donna e bambino nella Striscia di Gaza. Naturalmente, la maggior parte del mondo non si beve la propaganda di Tel Aviv.
Allo stesso modo, il settimanale tedesco Der Spiegel non è stato preso sul serio quando ha pubblicato le foto dell’Andromeda, lo yacht presumibilmente usato dalla Banda dei Sei ucraina negli attacchi all’oleodotto.
I media mainstream europei e nordamericani hanno affermato nel marzo 2023 che l'”Andromeda” è stata usata da sei ucraini – che hanno agito senza il sostegno dello Stato ucraino – per navigare verso il luogo dell’attacco al gasdotto.
La storia originale della banda dei sei ucraini era quasi altrettanto assurda di quella che sostiene che i malvagi russi abbiano navigato verso un’area del Mar Baltico vicina alla Danimarca per far esplodere i propri gasdotti.
Se i russi volessero interrompere le forniture di gas naturale all’Europa continentale, dovrebbero semplicemente spegnere i compressori di gas e chiudere le valvole montate su segmenti di entrambi i gasdotti all’interno della Russia. Non ci sarebbe bisogno di una squadra di sabotatori sostenuti dal Cremlino che navighi nel blu dell’oceano verso la Danimarca per ottenere risultati simili in modo molto più disordinato e con costi elevati per la Russia.
Per ragioni analoghe, la narrazione della Gang of Six ucraina non ha senso. Se un gruppo di ucraini stesse morendo per distruggere i gasdotti russi, perché ignorare i gasdotti russi che passano attraverso il territorio ucraino e imbarcarsi in una missione estremamente difficile per distruggere i gasdotti in una località così lontana dal proprio Paese? Una missione pericolosa che richiede un’immersione profonda nel fondo del mare per raggiungere le condutture.
Ora, che dire della storia dello yacht e dei due sommozzatori? Non so nemmeno da dove cominciare per smontare questa assurdità.
È possibile che le spie della CIA che hanno parlato con Seymour Hersh siano in realtà le stesse che hanno ideato la storia originale della “banda dei sei ucraini” per mettere in imbarazzo Joe Biden con la sua assurdità.
Prima di tutto, lo yacht identificato come l’imbarcazione utilizzata dalla Banda dei Sei non ha nemmeno lo spazio sufficiente per tutte le attrezzature che sarebbero necessarie per una missione che prevede una pericolosa immersione in fondo al mare. Non sono nemmeno sicuro che sia adatta a trasportare la quantità di esplosivo al plastico necessaria per distruggere le condutture.
In secondo luogo, se la Banda dei Sei fosse effettivamente riuscita ad attraversare un tratto del Mar Baltico pesantemente pattugliato dalle navi della NATO e a raggiungere la località al largo della Danimarca, non avremmo mai sentito parlare del sabotaggio di Nord Stream perché i due sommozzatori sarebbero stati incapaci e disorientati prima di avvicinarsi al fondale marino dove erano incastrati i gasdotti. Non avremmo mai saputo di alcun sabotaggio perché la banda dei clown avrebbe interrotto la missione non appena i sommozzatori si fossero trovati in difficoltà dopo essersi immersi in mare.
Come ingegnere meccanico, posso dirvi che gli alti livelli di pressione idrostatica nelle profondità del mare avrebbero causato a entrambi i sommozzatori lesioni da compressione, supponendo che indossassero un’attrezzatura subacquea standard.
I media tedeschi hanno affermato che “due membri del gruppo ucraino erano subacquei esperti”.
Un’affermazione piuttosto insensata da parte dei media se la barca è troppo piccola per contenere una camera di decompressione, oltre a un argano motorizzato contenente bobine di cavi metallici spessi per sollevare e abbassare la camera in mare. L’imbarcazione avrà anche bisogno di un grande serbatoio di gas respiratorio miscelato – una miscela di ossigeno, azoto ed elio – che sarà fornito ai subacquei attraverso lunghi tubi flessibili mentre scendono sul fondo del Mar Baltico.
Naturalmente, i sommozzatori avrebbero potuto indossare una tuta speciale fatta di una lega metallica leggera o di fibra di vetro. In questo caso, non avrebbero avuto bisogno dell’ingombrante camera di decompressione. Ma poi sorgono i problemi legati alla permanenza in una tuta semirigida, una sorta di camicia di forza. Sono necessarie destrezza e mobilità per il delicato compito di scavare le condutture incassate nel fondale marino e posizionare gli esplosivi su di esse.
Anche se si ammette una tuta speciale di metallo leggero o di vetroresina, resta il problema dello spazio sufficiente nello yacht per la grande bombola di gas respirabile miscelato che rifornirà i subacquei mentre vanno sott’acqua. E che dire dello spazio per il verricello motorizzato con le bobine di cavi ombelicali che verrebbero attaccati ai subacquei mentre sono sott’acqua?
Molto probabilmente, questi presuntuosi analfabeti scientifici dei Paesi della NATO pensano che far esplodere queste condutture, a 80-110 metri di profondità, sia una cosa che possono fare dei normali sommozzatori con un’attrezzatura subacquea non complicata. Per questo motivo scrivono audacemente storie infantili inventate nel quartier generale della CIA a Langley, in Virginia.
Ritengo che la storia originale della Gang of Six ucraina sia stata inventata da agenti della CIA che volevano mettere in imbarazzo il Presidente Joe Biden con la sua assurdità.
È persino possibile che siano state proprio le stesse spie che hanno detto segretamente la verità a Seymour Hersh a produrre la schifosa storia della Banda dei Sei ridacchiando alla Casa Bianca.
Titolo Reuters del 6 aprile 2023
Nell’aprile 2023, la versione originale della storia della Gang dei Sei è morta quando gli investigatori svedesi hanno apertamente respinto l’idea che gli attacchi all’oleodotto siano stati eseguiti con il sostegno di un governo nazionale.
Con lo scetticismo svedese ampiamente pubblicizzato, la storia è scomparsa dalla stampa e dai media elettronici dei Paesi della NATO. È scomparsa anche dalle pagine di quei giornali africani anglofoni specializzati nel “copiare” e “incollare” storie dall’agenzia di stampa Reuters, dall’Agence France-Presse (AFP) e dall’Associated Press (AP).
La scena della morte del Conte Dracula. In un film si dissolve in cenere. In un altro film, quelle stesse ceneri si combinano con il sangue per farlo risorgere per la convenienza della trama del sequel.
Ma, proprio come il Conte Dracula di Christopher Lee che continuava a trovare vie di resurrezione dopo essere stato ucciso ripetutamente dal Van Helsing di Peter Cushing, l’assurda storia ucraina della Gang of Six si è rifiutata di rimanere morta nella sua bara.
Con sostanziali miglioramenti alla trama, la storia è stata resuscitata l’11 novembre 2023 dal Washington Post, che ha come editore associato il portavoce non ufficiale della CIA David Ignatius.
In questa versione aggiornata della narrazione della Gang dei Sei, i buchi nella trama sono stati eliminati. L’affermazione problematica contenuta nella versione originale della storia, secondo cui i sei ucraini non avevano alcun sostegno da parte dello Stato nazionale, è stata eliminata.
In questa versione del novembre 2023, la Banda dei Sei non ha agito in modo indipendente. Erano sostenuti dalle risorse dello Stato nazionale ucraino. A quanto pare, il colonnello Roman Chervinsky ha “coordinato” la logistica dell’operazione di sabotaggio agli ordini di alti ufficiali militari ucraini, che alla fine hanno riferito al generale Valery Zaluzhny, dal volto angelico, che ha comandato le Forze Armate dell’Ucraina fino alla sua destituzione l’8 febbraio 2024.
Ho riso mentre leggevo un articolo del Washington Post sul mio smartphone. Ciò che mi ha divertito è stato il modo in cui Chervinsky e Zaluzhny, entrambi ufficiali militari ucraini, caduti in disgrazia con il governo Zelensky, sono stati opportunamente inseriti in una narrazione che assomiglia alla trama di un film mal prodotto.
Naturalmente, nessuna delle identità della vera banda di sei persone è stata ancora resa nota. Il mio sospetto è che i media aziendali stiano ancora aspettando che il governo ucraino fornisca i nomi dei sei individui che hanno offeso Yermak o lo stesso Zelensky.
Per ovvie ragioni, non possono essere sei critici del governo ucraino scelti a caso. Questi sei critici dovrebbero essere individui giovani, sani, in età militare, probabilmente con un passato da sub, in modo che la narrazione risulti convincente.
Probabilmente ci vorrà un po’ di tempo per trovare sei persone sacrificali da incastrare come autori in barca a vela degli attacchi al gasdotto Nord Stream. Credo che nel giro di un paio di mesi i media aziendali pubblicheranno i nomi e le foto di sei sfortunati individui che sono stati incastrati come Chervinsky.
In ogni caso, il personaggio del generale Valery Zaluzhny non giocherà più alcun ruolo nelle future versioni della frottola della Gang dei Sei, ora che è stato licenziato dal suo incarico militare ed esiliato a Londra sotto le spoglie di ambasciatore dell’Ucraina nel Regno Unito.
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Da stamane rimbalzano da un capo ad un altro del web le parole del presidente di Russia nella sua ultima intervista tra le mura del Cremlino (da parte di Ria Novosti).
La quasi totalità delle agenzie di informazione internazionali, a partire dalla Reuters, prontamente riportano nei titoli di testa l’uscita che costerna di più – ossia in merito al possibile utilizzo di armi nucleari da parte di Mosca – cosa che ha un po l’effetto di sviare l’attenzione dal resto del discorso di Putin e quindi sorvolarne il messaggio di fondo (che in realtà è una mano tesa, finchè ancora è possibile).
Procediamo in ordine.
A) Le forze armate di Kiev si trovano nell’oggettiva impossibilità id risolvere il conflitto da sole: non si tratta di materiali (che possono continuare ad arrivare a tempo indeterminato), ma di UOMINI che non si riesce più a coscrivere. A differenza della primavera scorsa nemmeno si annuncia una “grande controffensiva”……per il semplice fatto che non ci sono più le riserve per farne una (piuttosto occorre fare attenzione che non sia la Russia a farla, l’offensiva). La guerra – condotta autonomamente da Kiev – è CONCLUSA, con buona pace di chi ha sostenuto a gran voce l’Ucraina per 2 anni. Cosa che ci porta al punto “B”.
B ) L’unica e sola variante che può alterare l’esito è l’intervento diretto, in forze, di UE/USA/UK, eventualità alla quale Vladimir Putin replica in modo cristallino : in caso l’interferenza con la questione ucraina (che riguarda solo la Russia) dovesse salire di livello, con l’invio di truppe sul campo, le forze russe saranno pronte tanto sul piano convenzionale che quello nucleare. Sul piano convenzionale non c’è da dubitare delle forze armate russe – temprate da 2 anni di guerra terrestre, sanguinosa – che ha visto neutralizzare quasi 400’000 ucraini (la cifra sembrerà alta ai supporter filo ucraini, ma disgraziatamente è autentica).
Putin rimarca con una punta di rammarico – si può sentire – il fatto che ora le forze russe verranno poste al confine con la Finlandia, laddove nemmeno ai tempi della guerra fredda vi erano (la neutralità finlandese fu provvidenziale).
Ora, ammesso che le pacificate, benestanti ed attempate opinioni pubbliche UE siano disposte ad accettare perdite umane pari anche solo ad 1/3 della cifra riportata sopra (senza che i propri governi collassino in successione), allora si passa al livello NUCLEARE….che ci prota al punto “C”.
C ) Putin afferma che non è sua intenzione arrivare a quel punto (e c’è da credergli, poichè in realtà nessuno lo vuole), ma si può al tempo stesso credergli quando dice che lo farà se obbligato perchè è in gioco la sopravvivenza della civilizzazione di cui è a capo: tanti – troppi – tra coloro che leggono, non hanno metabolizzato, recepito, un fatto essenziale…….Russia e Ucraina SONO un’unica civilizzazione, benchè separate da un confine politico amministrativo. Una sola civilizzazione suddivisa in 2 stati (3 aggiungendo la Bielorussia, giustamente). Il confine sulla mappe tra Russia ed Ucraina che ci viene presentato come legittima demarcazione politico-amministrativa, ha un valore diverso nel contesto della storia slavo orientale: in sintesi, ciò che per l’osservatore occidentale è un confine DE JURE tra due differenti stati (secondo il diritto internazionale), costituisce invece solo un labile e mutevole punto di riferimento nella prospettiva della storia politica e culturale slavo orientale, dato che la radice è la medesima (in pratica un confine “leggero”, elastico….che esiste, ma potrebbe anche non esistere affatto, a seconda delle circostanze).
Gli osservatori esterni vedono la guerra in corso in Ucraina come una conflitto tra due nazionalità diverse: quella in corso è invece una grande GUERRA CIVILE. Una guerra civile “sovranazionale” dal momento che le due entità si trovano casualmente demarcate da una linea legale (che in altre ere non sarebbe esistita).
Per la RUSSIA……..questo conflitto, significa sopravvivenza, quanto nessun occidentale riesce a capire, i più obnubilati dalla narrativa dell’aggressione, dell’infrazione del diritto internazionale (il Cremlino in questa guerra non risponde ad un diritto internazionale convenzionalmente concepito, ma ad uno culturale e metastorico: se non si ha la capacità di interfacciarsi con tale logica, allora non sarà possibile trattare con la Russia e si rischia per davvero l’opzione atomica).
D ) Putin si dice “PRONTO AI NEGOZIATI”. Questa è la parte più importante, che i media avrebbero dovuto scegliere per i titoli, anzichè essere accecati dalla parola “nucleare” e metterla in primo piano ottenendo volontariamente o meno di connotare a tinte fosche l’intervista (…).
Il presidente di Russia premette chiaro – come era prevedibile – che quanto è stato annesso in questi anni non tornerà indietro. Può sembrare duro, ma nella logica “economica” della geostrategia è invece naturale: non si restituisce qualcosa che è costata 100’000 vite (e men che meno quando la guerra la sta vicendo). D’altro canto……è una mano tesa. Riflettere su questo.
Il leader di Russia sta – a modo suo – proponendo a chiare lettere di mettere fine ad una collisione che dura da un decennio (quindi sin dal 2014, e deflagrata oltre il limite 2 anni fa) : il paladino dell’etica può storcere il naso, certo, ma il conoscitore della politica internazionale si rende conto invece che tale morale non esiste qui. L’offerta che viene fatta è un REGALO all’Ucraina (considerata l’impossibilità da parte di Zelenskiy di continuare il confronto militare) : l’alternativa è un proseguimento del conflitto che può solo costare al governo di Kiev altre vite ed altre provincie che verrebbero gradualmente conquistate ed assimilate.
Un intervento esterno (UE/US) poi, non farebbe altro che centuplicare il livello di distruzione già esistente adesso, come si è detto all’inizio (il cielo non voglia…)
—
Conclusione:
Non esistono alternative al negoziato. Occorre a tutti, in primo luogo a Kiev, se vuole ancora esistere sulle carte come stato indipendente e non disgregarsi in qualche partizione geopolitica secolare. Utile anche a Washington a questo punto, nel senso che se lo stato ucraino dovesse capitolare in blocco ed essere annesso o subire distruzioni oltre una determinata soglia………allora CHI ripagherebbe le centinaia di miliardi investiti sinora nel paese ?? (si può giurare che gli anglosassoni su questo tasto sono molto zelanti: pochi ideali di libertà e patria, ma conti e calcolatori alla mano: l’Ucraina al momento è il loro debitore n°1 e in quanto tale devono fare in modo che rimanga in vita, perchè se il tuo debitore scompare per un malore (per metterla così) chi rimane a saldare ? Come recupereranno i 300 miliardi bruciati ? Li domandano ai russi vincitori che issano la loro bandiera di regione in regione ?? (il punto è anche questo).
Fermarsi ORA, adesso……….finchè ancora è possibile. Papa Francesco dal canto suo è stato profetico. Quanto inascoltato.
Anche la cartina in basso circola ormai da molti giorni ed è già stata spiegata qua e là, ma ribadiamo qui:
Il “piano” europeo sarebbe quello di schierare proprie unità lungo il tratto di confine con la Bielorussia, come si vede in basso. La cosa non avverrebbe in veste NATO, dal momento che quest’ultima può attivarsi solamente in caso di attacco di un paese estero all’Alleanza Atlantica (famoso ART. 5): quest’ultima si caratterizza come alleanza DIFENSIVA e non mirata alla risposta militare in assenza di offesa ricevuta (…).
Le unità in questione sarebbero quindi inviate “individualmente” cioè come forze nazionali autonome, ma interconnesse, dai vari paesi partecipanti al cordone e senza alcuna precisa direttiva da seguire (questo l’aspetto più enigmatico e pericoloso) : in parole povere tali forze non dovrebbero nè attaccare (non ne hanno la facoltà) nè fare qualcosa di specifico se non rimanere collocate sul posto in modo da creare un cuscinetto vivente che inibisca una potenziale avanzata russa da nord, partendo dalla Bielorussia, in vista di un possibile sfondamento nella primavera-estate.
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L’operazione avrebbe una motivazione concreta immediata: liberare circa 130’000 militari ucraini di guardia al confine bielorusso, per permettergli di essere impiegati verso sud, dove il fronte è in situazione critica, in assenza di uomini (al momento dovrebbero essere schierati solo 9 reggimenti per un totale di 45’000 uomini, se sono aggiornato). In pratica si risolverebbe sul momento la carenza di personale facendo ricorso a tutte le forze disponibili, anche quello al confine bielorusso che non potevano essere tolte da lì: si raschia il fondo del barile.
Tornando tuttavia al punto di prima: la cosa si ottiene schierando un cordone di unità occidentali che hanno l’ordine di rimanere sul posto come se la loro semplice presenza fisica potesse essere un deterrente. Si tratta con ogni probabilità di poche migliaia di elementi (l’UE di certo NON ha 100’000 militari in assetto da combattimento da buttare nella mischia nel giro di pochi mesi), non in grado di respingere alcuna penetrazione russa, se mai dovesse verificarsi………….ma allora a cosa servono ?
L’UE nell’ipotesi di attuare un piano simile pone le basi per potenziali catastrofi. Vero che lo scopo primo non è di combattere al fronte, quanto liberare riserve ucraine che andranno impiegate a sud, ma si tratta comunque di un dispiegamento fisico di unità militari sul territorio di una nazione in stato di GUERRA. Ci si rende conto per un attimo ? Tali unità sebbene “ferme” sono pur sempre militari e quindi identificabili come BERSAGLIO. Possono ritrovarsi in mezzo a situazioni di oggettivo pericolo.
Cosa succede se le forze russe – spinte da qualche circostanza – per davvero penetrano dal confine nord bielorusso, per NULLA inibiti dall’aura di “inviolabilità” dei soldati europei ? Che succede se se li trovano davanti ? Li sorvolano ? Li aggirano…..o ci passano sopra ? (?!?)
Forse che l’UE, consapevole della natura puramente difensiva della Nato, cerca allora un cavillo per dichiarare che la Nato è stata attaccata ? In assenza di un attacco del Cremlino verso un paese dell’alleanza atlantica (che mai ci sarebbe perchè Putin non è stupido) allora cosa fanno ? Fanno in modo di piazzare i propri militari in territorio di guerra, in modo tale che se dovessero essere colpiti si potrà dire che la Russia ha colpito la Nato, potendosi così invocare l’ART. 5 ?
(sorvolando che le unità in questione non si trovano sul posto in veste di forze Nato. Oppure verrebbero considerate tali, retroattivamente ?)
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MORALE : se vuoi attaccare briga, ma il tuo opponente non è così stupido da toccarti per primo………allora fai tu in modo che questo avvenga: metti le tue forze in fila sorridenti, proprio davanti alle artiglierie nemiche, aspettando e sperando che una scheggia o un colpo impreciso colpisca uno dei tuoi, dandoti così il pretesto per dichiararti vittima di un incidente ed invocare aiuto (come buttarsi deliberatamente contro una macchina, per fare in modo di rimediare un danno fisico da poter invocare di fronte ad una compagnia di assicurazioni).
Sono molto dispiaciuto per quei poveretti delle forze UE che verranno usati come bersaglio se questo piano venisse attuato. Ed esiste un alto rischio che tutto questo avvenga, perchè Putin nel suo discorso è stato chiaro: NON verrà dato alle forze di Kiev alcun tempo supplementare per riorganizzarsi (solo per negoziare). Nel momento in cui le forze russe rilevino un movimento al confine nord (ovvero la massa di militari ucraina si libera perchè sostituita da poche unità europee di figura)………si metterebbe in moto subito un’azione preventiva (forse un attacco da nord, come 2 anni orsono).
Vedo all’orizzonte un’evoluzione potenzialmente incalcolabile (come i vertici europei nemmeno immaginano, chiusi nelle loro torri d’avorio, convinti che basti la semplice presenza UE a intimorire una superpotenza convenzionale e nucleare spalleggiata dalla CINA……).
Abbiamo leader – mi riferisco a chi è europeo – che vivono tra le nuvole, tra raccolta firme per salvare i delfini e parate LGBTQ, party e meditazioni spirituali……….e non su campi di battaglia con migliaia di mutilati e caduti.
Pensate a reparti olandesi, norvegesi e ITALIANI, sperduti tra le paludi nei pressi di Chernobyl, mentre fischiano missili ipersonici e altre diavolerie tutto attorno (non dico altro).
Bruxelles contro il Cremlino ? Immaginatevi – su un piano di tenuta psicologica – l’Europa arcobaleno del 2024 contro l’Europa Stahlhelm (chiodo prussiano, meglio) del 1914, che fanno a pugni tra loro e avrete un’idea.
Vladimir Putin: la Russia è su un percorso strategico di sviluppo e non si allontanerà da esso
Интервью Владимира Путина Дмитрию Киселеву
1:37:12
Leggi ria.ru in
La cosa più importante è soddisfare le richieste della società, afferma il Presidente russo Vladimir Putin. In un’intervista con il giornalista Dmitry Kiselev, ha parlato dei criteri per un lavoro di successo, degli obiettivi economici e sociali per i prossimi sei anni, del futuro della Russia, delle relazioni con l’Occidente e se si considera un maestro dei destini.
– Vladimir Vladimirovich, quando ha pronunciato il suo discorso, ha figurativamente tirato fuori dalla manica un trilione dopo l’altro. E in questo modo ha proposto un piano per lo sviluppo del Paese che è assolutamente sorprendente: questa è una Russia diversa, con un’infrastruttura diversa, un sistema sociale diverso – beh, proprio il paese dei sogni. Beh, viene voglia di chiedere. Per fare la domanda preferita di Vysotsky: “Dove sono i soldi, Zin?”. Li abbiamo guadagnati?
– Sì , innanzitutto, tutto questo è stato realizzato grazie a un lavoro minuzioso: da parte della comunità di esperti, degli specialisti del governo e dell’amministrazione. Tutto è pienamente in linea con le regole di bilancio e in realtà è piuttosto conservativo. Perché alcuni esperti ritengono che ci dovrebbero essere e ci saranno più entrate, il che significa che avremmo dovuto pianificare più spese, perché questo dovrebbe influire direttamente sulle prospettive di sviluppo economico. Nel complesso, è corretto. Ma nel 2018 abbiamo anche previsto di stanziare altri ottomila miliardi per lo sviluppo dell’economia e della sfera sociale, e poi abbiamo aumentato queste spese. Penso che sia abbastanza probabile che se tutto funziona come dicono gli ottimisti di questo ambiente, che ho detto, gli esperti, allora possiamo, e dobbiamo, e saremo in grado di aumentare queste spese in vari settori.
E lasciamo che il mondo aspetti: la Russia si prenderà cura di sé.
29 febbraio, 15:33
– Quindi stiamo parlando di un periodo di sei anni?
– Esatto. Stiamo parlando di un periodo di sei anni. Ora stiamo elaborando un bilancio per un periodo di tre anni, per un periodo di pianificazione triennale, come diciamo noi, ma, naturalmente, quando stavamo preparando il messaggio – dico, stavamo preparando il messaggio, perché un intero team stava lavorando – abbiamo proceduto dal fatto che avremmo calcolato le nostre entrate e le nostre spese in quelle aree che consideriamo chiave, prioritarie, per sei anni.
– Tuttavia, ci sono alcuni progetti letteralmente sbalorditivi. Per esempio, l’autostrada Sochi-Dzhubga. Centotrenta chilometri, di cui 90 in galleria e il resto probabilmente in ponte, a giudicare dal paesaggio. Tre miliardi… Un miliardo e mezzo solo nei primi tre anni. E l’autostrada dovrebbe essere idealmente pronta nel 2030. Insomma, quanto di tutto questo è necessario e sarà sufficiente per vincere?
– La gente ha bisogno di questa autostrada. Dopo tutto, le famiglie con bambini non possono raggiungere Sochi in auto. Tutti si fermano da qualche parte vicino a Gelendzhik o Novorossiysk. Perché l’autostrada è molto difficile, una serpentina. Ci sono diverse opzioni di costruzione. Ne discuteremo letteralmente l’altro giorno, nei prossimi giorni. O la facciamo fino a Dzhubga, o la facciamo prima da Dzhubga a Sochi. Alcuni membri del governo suggeriscono di procedere per gradi. Altri ritengono che dovremmo fare tutto in una volta, perché altrimenti ci sarebbe un collo stretto da Dzhubga a Sochi. La prima parte, se si guarda da Novorossijsk, è più o meno decente e la copertura non è male. Ma è molto stretta. E se arriveremo a Sochi come la prima parte, allora in questo piccolo spazio potrebbero esserci degli ingorghi, che ora ci sono abbastanza. In generale, lo stabiliremo. Con gli specialisti. Come, in quali fasi. Ma dobbiamo farlo. È necessario determinare, ovviamente, il costo finale del progetto, per garantire che tutti rimangano nell’ambito di questi piani finanziari. Prima di tutto, gli interessi delle persone. E dell’economia. Lo sviluppo del territorio nel sud del Paese è molto importante.
In lineaDiscorso di Putin all’Assemblea federale. Dichiarazioni chiave
29 febbraio, ore 11:01.
– Se possiamo permetterci investimenti di tale portata, significa che il Paese si sta rapidamente arricchendo. Tanto più nelle condizioni della SWO, nelle condizioni di quasi 15.000 sanzioni assolutamente selvagge, e tanto più se ci poniamo il compito di ridurre la povertà, compresa quella delle famiglie numerose. Non è forse troppo audace?
– No. Sentite, quando – se torniamo a questa strada – ho discusso con i membri del governo, beh, come sapete, il Ministero delle Finanze – è sempre così avaro in senso buono, molto conservatore sulle spese, e il Ministro delle Finanze mi ha detto, quasi testualmente, che coloro che non hanno mai viaggiato su questa strada oggi sono contrari alla costruzione di questa strada. E ha ragione, perché, beh, è soprattutto per le famiglie con bambini. Quanto al fatto che stiamo diventando più ricchi o meno, l’economia sta crescendo, questo è un dato di fatto. Ed è un fatto che è stato registrato non da noi, ma dalle organizzazioni economiche e finanziarie internazionali.
Путин: “Минфин – всегда такой в хорошем смысле скупердяй”
0:17
In effetti, in termini di parità di potere d’acquisto, abbiamo superato la Repubblica Federale Tedesca, ne abbiamo preso il posto, siamo la quinta economia del mondo. L’anno scorso l’economia tedesca si è ridotta di uno zero virgola, credo tre decimi di punto percentuale. Noi siamo cresciuti del 3,6%. Il Giappone è cresciuto di una piccola percentuale. Ma se tutto continua a svilupparsi allo stesso ritmo di oggi, abbiamo tutte le possibilità di prendere il posto del Giappone e diventare la quarta economia mondiale. E in una piccola prospettiva, in un futuro non troppo lontano. Ma, e qui dobbiamo essere onesti, oggettivamente c’è una differenza tra le qualità della nostra economia. In termini di parità di potere d’acquisto, cioè in termini di volume, siamo effettivamente quinti ora, e abbiamo tutte le possibilità di prendere il posto del Giappone. Ma la struttura delle loro economie, ovviamente, si confronta con la nostra. E abbiamo ancora molto da fare per garantire una posizione dignitosa non solo in termini di parità di potere d’acquisto, ma anche pro capite. Primo. E la seconda è che la struttura stessa cambi, in modo da diventare molto più efficiente, più moderna, più innovativa. È su questo che lavoreremo. Per quanto riguarda i redditi, in base alla parità di potere d’acquisto, si tratta di un indicatore molto importante. È il volume, la dimensione dell’economia. Significa che lo Stato ha a disposizione fondi attraverso il sistema fiscale a tutti i livelli per risolvere problemi strategici. Questo ci dà l’opportunità di svilupparci come crediamo sia necessario per il nostro Paese.
“Факт, который зафиксирован не нами”: Путин о росте экономики
1:52
– A proposito, lei parla di struttura, della necessità di cambiamenti strutturali nella nostra economia. Ma questo è esattamente ciò che il vostro messaggio prevede, e questo è il compito che vi siete prefissati: che le industrie innovative crescano più velocemente dell’economia media.
– Beh, sì, certo. L’ho già detto: è sulla struttura che dobbiamo lavorare. E molto dipende da essa, il futuro della nostra economia dipende da essa. Il futuro della forza lavoro, l’efficienza, la produttività del lavoro. Ecco uno dei compiti principali di oggi: aumentare la produttività del lavoro, perché con la carenza di lavoratori, di risorse lavorative, abbiamo solo un modo per svilupparci efficacemente, aumentare la produttività del lavoro. Questo, a sua volta, significa che dobbiamo aumentare gli inizi innovativi dell’economia. Diciamo che dobbiamo aumentare la densità della robotizzazione. Oggi abbiamo dieci robot, credo, ogni diecimila lavoratori. Dobbiamo avere almeno mille robot per diecimila lavoratori. Credo che questo sia il caso del Giappone. E per far sì che le persone siano in grado di lavorare con queste nuove attrezzature, non solo di usare la robotica, ma anche altri moderni mezzi di produzione, dobbiamo formarle. C’è un altro problema: la formazione del personale. A questo scopo, abbiamo un’intera direzione, che comprende la formazione ingegneristica. Sicuramente l’avrete notato: abbiamo già lanciato 30 scuole di ingegneria moderna in tutto il Paese e quest’anno ne lanceremo altre 20. E saranno 50. E saranno 50. E abbiamo in programma di lanciarne altre 50 nei prossimi anni. Pertanto, ci muoveremo e ci svilupperemo in questi settori, che sono il futuro del nostro Paese.
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08:00
– Ebbene, per porre fine alle sanzioni. Molti hanno espresso l’idea di creare un organismo speciale che si occupi delle sanzioni, della loro riflessione e, in generale, della difesa dalle sanzioni. È prevista una cosa del genere o non ha senso?
– Non c’è bisogno di fare solo. Noi analizziamo – e il governo, la Banca Centrale, il Consiglio di Sicurezza – analizziamo tutto ciò che fanno i nostri nemici. Molte cose non vengono fatte nemmeno per motivi politici o militari, anche se se ne discute, ma semplicemente per motivi competitivi….
– Concorrenza sleale e senza scrupoli.
– Concorrenza sleale con il pretesto di considerazioni politiche o militari. Questo è stato il caso dell’industria aeronautica e di molti altri settori. Ebbene, noi viviamo nel mondo così com’è, ci siamo adattati, abbiamo capito con chi abbiamo a che fare e finora, come si può vedere dai risultati del nostro lavoro, siamo stati abbastanza efficaci.
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5 marzo, 08:00
– Ma la perfidia dell’Occidente non si esaurisce con le sanzioni. Ecco una citazione diretta dal suo discorso: “L’Occidente sta cercando di trascinarci in una nuova corsa agli armamenti per logorarci e ripetere il trucco che gli è riuscito negli anni ’80 con l’URSS”. Quanto è grande il nostro margine di sicurezza nelle condizioni di una corsa agli armamenti?
– Dobbiamo fare in modo che per ogni rublo investito nella difesa si ottenga il massimo rendimento. In effetti, in epoca sovietica, nessuno contava queste spese, nessuno, purtroppo, inseguiva l’efficienza. La spesa per la difesa era circa il 13% del PIL del Paese – l’Unione Sovietica. Non farò riferimento alle nostre statistiche, ma a quelle dell’Istituto di Stoccolma (Stockholm International Peace Research Institute). – N.d.T.), l’anno scorso la nostra spesa per la difesa era del 4%, quest’anno è del 6,8%. In altre parole, siamo aumentati del 2,8%. In linea di principio, si tratta di un aumento notevole, ma non è assolutamente critico. Ebbene, nell’Unione Sovietica era del 13%, mentre ora siamo al 6,8%.
Devo dire che le spese per la difesa stimolano l’economia, la rendono più energica, ma ovviamente ci sono dei limiti, lo capiamo. L’eterna domanda – cosa sia più redditizio, le armi o il petrolio – ce l’abbiamo in mente, anche se, ripeto, la nostra moderna industria della difesa è buona in quanto non solo influenza indirettamente le industrie e la produzione civile, ma utilizza anche le innovazioni necessarie per la difesa per produrre prodotti civili. Questo è un aspetto estremamente importante. Ma, prima di tutto, le nostre spese, ovviamente, non sono paragonabili a quelle degli Stati Uniti, sono 800….
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9 marzo, 08:00
– Già sotto i 900 miliardi, sì.
– …sotto i 900, beh, 860 – 870 miliardi, sì, non è assolutamente paragonabile alla nostra spesa.
– Penso che sia stato segato lì perché non hanno ipersonico, niente, cos’è…
– Vi spiegherò di cosa si tratta. Il punto è che spendono una quantità enorme di denaro per la manutenzione, e non solo per gli stipendi, ma anche per la manutenzione delle basi in tutto il mondo. E tutto finisce in un buco nero, non si può contare. È lì che viene spesa la maggior parte del denaro. Anche se nella produzione di mezzi di difesa e di armi in generale, anche lì si spende denaro, che è difficile da stimare.
Se si calcola quanto è costato loro, diciamo, il famoso sistema di difesa missilistica, sì, e uno dei componenti principali del superamento della difesa missilistica da parte nostra – Avangard, un missile intercontinentale, un’unità di pianificazione a raggio intercontinentale. Non è paragonabile. E abbiamo sostanzialmente annullato tutto ciò che hanno fatto, tutto ciò che hanno investito in questo sistema di difesa missilistica. Questo è il modo in cui dobbiamo agire, ma naturalmente, senza alcun dubbio, l’economia stessa delle nostre forze armate deve soddisfare le esigenze di oggi.
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8 febbraio, 08:00
– Vladimir Vladimirovich, la parola “giustizia” è una parola magica per la lingua russa. Lei la usa con molta attenzione, ma nonostante ciò, una volta ha pronunciato questa parola nel suo messaggio. È suonata come un fulmine. Lei ha detto che la distribuzione del carico fiscale dovrebbe diventare più equa in Russia e ha suggerito al governo di pensarci. In che direzione dovremmo pensare?
– La distribuzione di questo carico fiscale dovrebbe essere più equa, nel senso che le società, le persone giuridiche e gli individui che guadagnano di più dovrebbero destinare di più all’erario generale per la soluzione dei problemi nazionali e, soprattutto, per la soluzione dei problemi di riduzione della povertà.
– Un’imposta progressiva?
– Beh, sì, essenzialmente un’imposta progressiva. Non vorrei entrare nei dettagli ora, dobbiamo lavorarci su. E dobbiamo costruire questo sistema in modo che dia davvero un grande ritorno per risolvere, prima di tutto, le questioni sociali e i compiti che lo Stato deve affrontare in questo settore. Abbiamo in programma di ridurre l’onere fiscale, ad esempio, per le famiglie con molti figli, e ci sono molti altri passi da fare in questa direzione.
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29 febbraio, 14:34
Mi sembra che la società la prenderà in modo assolutamente normale. In primo luogo, e in secondo luogo, l’azienda stessa. Cosa ci chiedono? Ci chiedono di decidere sul sistema fiscale, ma di non toccarlo più, di renderlo stabile. Questa è la richiesta e la domanda più importante delle imprese. È di questo che il governo deve occuparsi nel prossimo futuro e presentare proposte insieme ai deputati della Duma di Stato.
– Vladimir Vladimirovich, imposta progressiva – non spaventeremo nessuno? Avevamo paura di spaventare qualcuno con questa imposta progressiva.
– No, non credo. In linea di principio, abbiamo questo sistema. Anche coloro che erano ardenti sostenitori di questa scala piatta, gli autori di questa scala piatta, ora ritengono che nel complesso siamo maturi per agire in modo molto più selettivo.
“Просят, чтобы мы определились с системой налогообложения” – Путин о требованиях со стороны бизнеса
2:06
– Durante il suo discorso, lei ha ringraziato i suoi colleghi di governo. Questa era la formulazione. Questo significa che il governo Mishustin rimarrà al suo posto in caso di vittoria?
– Tuttavia, dovremmo parlarne dopo le elezioni, dopo che i voti saranno stati contati. Mi sembra che ora sia semplicemente scorretto. Ma nel complesso il governo sta lavorando, come vediamo, i risultati sono evidenti, sono dati oggettivi, sta lavorando in modo abbastanza soddisfacente.
“Работает вполне удовлетворительно” – Путин о правительстве
0:15
– Lei ha parlato di ridurre l’onere fiscale sulle famiglie numerose. In generale, i bambini e la situazione demografica: questi argomenti sono stati molto approfonditi nel suo discorso. In effetti, la questione è piuttosto dolorosa, perché demograficamente la Russia si sta sciogliendo. E l’anno scorso si è registrato un tasso di natalità contrario al record.Ebbene, come sapete, ora…
– Il tasso di natalità, credo sia 1,31 o 1,39….
– 1,39 figli per donna in grado di partorire.
– In età fertile.
– Forse dovremmo idealmente raddoppiare, forse (il coefficiente – NdR)tre, perché questo è letteralmente un disastro per la società. Tuttavia, lei ha proposto un programma su larga scala per sostenere la maternità e questi stimoli demografici. È sicuro che queste misure cambieranno la traiettoria da discendente a ascendente?
– Nel complesso, se procediamo con tutte le misure di sostegno alle famiglie con bambini, prevediamo di spendere fino a 14 mila miliardi di rubli nei prossimi sei anni attraverso vari canali. Si tratta di una cifra enorme. Le aree di sostegno alle famiglie con bambini sono molteplici. A cominciare da quelli sociali generali: costruzione o ristrutturazione di asili, costruzione di nuove scuole, riparazione di quelle vecchie e loro aggiornamento. Sostegno alle donne dalla gravidanza ai 18 anni. Oggi sono quasi 400.000 le donne che ricevono sussidi. Si tratta praticamente di una donna su tre in attesa di un figlio. E più di dieci milioni di bambini ricevono sussidi. È una cosa seria.
Abbiamo continuato il sistema di emissione e fornitura di capitale di maternità. Abbiamo continuato a pagare, ora che la decisione è stata presa, 450.000 rubli per famiglia, se c’è un terzo figlio, per rimborsare un prestito ipotecario. Abbiamo mantenuto le agevolazioni per i mutui ipotecari per le famiglie con bambini. In generale, c’è tutta una serie di aree molto diverse per sostenere le famiglie. E naturalmente, lo avete già detto, si tratta anche della lotta alla povertà, perché, ovviamente, le famiglie con figli sono molto più difficili di quelle senza figli. È comprensibile, i costi sono elevati. Tuttavia, siamo riusciti a fare molto in questo campo. Se guardiamo a 20 anni fa, credo che il 29% della popolazione fosse al di sotto della soglia di povertà. Si tratta di 42 milioni di persone. Ora è il 9,3%, secondo gli ultimi dati. Ma si tratta anche di 13,5 milioni di persone! Certo, è molto. Ovviamente dobbiamo fare di tutto per ridurlo almeno al 7%. E la cifra per le famiglie numerose è più modesta, ma dovrebbe essere aumentata. Ma da dove partiamo quando parliamo di problemi con il tasso di natalità? L’ho già detto molte volte, e lo dicono anche gli esperti. Sono cose oggettive. In particolare, abbiamo avuto due cali molto consistenti del tasso di natalità: durante la Grande Guerra Patriottica, nel 1943-1944. C’è stato un calo analogo subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Uno uguale all’altro. Lo stesso calo del tasso di natalità.
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7 gennaio, 08:00
È chiaro perché il sistema di sostegno sociale è crollato: per quanto debole fosse nell’URSS, se possiamo parlarne, c’era ancora. E dopo il crollo dell’Unione Sovietica è scomparso quasi completamente. E la povertà ha iniziato a essere totale. Che cosa devo dire? Non ce n’è nemmeno bisogno. In ogni caso, l’orizzonte della pianificazione familiare in questi anni diminuì. E il tasso di natalità diminuì fino agli anni della guerra. Poi c’è stata una ripresa. E ora abbiamo un numero abbastanza elevato di bambini, giovani che tra qualche anno entreranno nell’età adulta e nell’età fertile. E presumiamo che anche i nostri indicatori aumenteranno.
Quello che lei ha detto è una tendenza globale. Sono pochi i Paesi con economie sviluppate che mostrano dinamiche demografiche positive. In tutti gli altri Paesi, tutto sta andando in territorio negativo. Si tratta di un problema complesso legato all’economia e alle priorità di vita delle donne. È meglio non entrare nel merito ora, lasciare che i demografi facciano del loro meglio per dirci e suggerirci le soluzioni. Ma sapete cosa ci mette di buon umore: l’umore della società. Abbiamo il 70% degli uomini e il 72% delle donne che vogliono avere due o più figli, e lo Stato dovrebbe sostenerli. Stiamo pianificando un’ampia serie di misure di sostegno. Devono essere attuate, e lo faremo.
– Tuttavia, Vladimir Vladimirovich, non c’è ancora alcuna certezza che queste misure possano ribaltare la situazione. Alla fine degli anni ’90, come è noto, lei stesso ha raccontato, ha salvato i suoi figli da un incendio, entrando letteralmente in una casa in fiamme al primo piano, e poi si è ricordato che c’erano dei soldi da qualche altra parte. Quel denaro è bruciato nell’incendio. Questo la dice lunga sulle sue priorità. Prima i bambini, poi i soldi. Forse ora dovremmo sputare su tutto, non solo su 14 trilioni di rubli (trilioni di rubli – N.d.T.). E creare un programma che garantisca l’inversione della situazione.
– È necessario guardare al corso degli eventi, come viene chiamato. All’inizio degli anni Duemila abbiamo compiuto una serie di passi nell’area demografica, tra cui l’introduzione del capitale di maternità e una serie di altre misure che hanno avuto un evidente risultato positivo. Questo significa che possiamo raggiungere gli obiettivi normali di cui abbiamo bisogno.
– Vuoi dire che hai esperienza in questo campo?
– Abbiamo esperienza, naturalmente. E grazie a questa esperienza e ad altri sviluppi moderni, dovremmo comunque aspettarci di raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. Con l’evolversi degli eventi, modificheremo queste misure o aggiungeremo qualcos’altro alle misure che applicheremo. Per esempio, ora abbiamo dichiarato l’Anno della famiglia e abbiamo un nuovo progetto nazionale chiamato “Famiglia”. Ha elementi che non abbiamo mai usato prima. Ad esempio, 75 miliardi di euro saranno destinati alle regioni in cui il tasso di natalità è inferiore alla media nazionale, soprattutto le regioni centrali della Russia e il Nord-Ovest. Settantacinque miliardi sono una discreta somma di denaro, dobbiamo solo gestirla con saggezza. C’è un’altra componente, come l’assistenza agli anziani, e ci sono altre misure di sostegno. Dobbiamo aumentare il tasso di natalità e la speranza di vita, così stabilizzeremo la popolazione del Paese. Naturalmente, questo è l’indicatore integrale più importante del nostro lavoro di successo. O forse è un lavoro che richiede ulteriore attenzione da parte di tutti i livelli amministrativi e delle autorità.
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28 gennaio, 08:00
– Ovunque nel mondo esiste anche un terzo strumento per risolvere i problemi demografici, ovvero l’immigrazione. Di quali cifre possiamo parlare in questo semestre e cosa significa un lavoro sistematico?
– Se parliamo di immigrati per motivi di lavoro, non ne abbiamo così tanti rispetto ad altri Paesi: sono il 3,7% del totale dei lavoratori. Ma si concentrano nelle regioni in cui la vita economica è più attiva, e lì sono, ovviamente, molto più numerosi. Si tratta della regione di Mosca, di Mosca, della regione del Nord-Ovest, di alcune regioni del Nord, dove il livello dei salari è decente. Ma senza dubbio si tratta di un problema che richiede un’attenzione particolare da parte delle autorità locali, regionali e federali.
Ecco cosa vorrei dire. Una cosa molto importante, perché quando attraggono lavoratori immigrati, parlano sempre della necessità di farlo a causa della carenza di manodopera. I nostri imprenditori devono rendersi conto che la situazione per loro in termini di disponibilità di manodopera non cambierà in meglio nei prossimi anni. Dovranno affrontare la carenza di manodopera. Quindi, per risolvere questo problema in modo cardinale, tornando a ciò di cui abbiamo già parlato, dobbiamo aumentare la produttività del lavoro e ridurre il numero di lavoratori nei settori in cui è possibile farlo, ottenendo risultati ancora maggiori grazie all’introduzione di tecnologie moderne. Per farlo, dobbiamo investire in questo ambito e formare il personale. Ne abbiamo già parlato. Questa è la cosa più importante a cui dobbiamo pensare.
Ma in generale, la politica migratoria è uno strumento importante per l’economia. Non è un peccato guardare all’esperienza di altri Paesi. Prima di tutto, ovviamente, dovremmo parlare del rimpatrio dei nostri connazionali. Che cosa sia il rimpatrio e che cosa siano i connazionali è già riflesso nel nostro quadro normativo. Non è necessario ripeterlo in questa sede. Qui dobbiamo parlare di attrarre persone che magari non intendono trasferirsi nella Federazione Russa, ma che in virtù delle loro qualifiche e dei loro talenti in vari settori possono dare un contributo significativo allo sviluppo del nostro Stato e allo sviluppo della Russia. Saremo lieti di attrarre anche queste persone.
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14 dicembre 2023, 17:19
Per quanto riguarda i tradizionali immigrati per motivi di lavoro, dobbiamo anche pensare a come prepararli a venire in Russia. Anche con i nostri partner nei Paesi in cui vivono. Ciò significa imparare la lingua russa, le nostre tradizioni, la nostra cultura e così via. Dobbiamo assicurarci che qui si prendano cura di loro e che vengano trattati in modo umano. In modo che si integrino nella nostra società in modo naturale. Tutto questo insieme dovrebbe avere un effetto corrispondente, spero, positivo.
Naturalmente, tutti devono osservare le nostre tradizioni, le leggi della Federazione Russa e, ovviamente, il rispetto delle norme sanitarie e così via è molto richiesto. La sicurezza dei cittadini della Federazione Russa dovrebbe essere al primo posto.
– I russi sono probabilmente la nazione più divisa al mondo. Lei ha avuto una conversazione con i leader russi e uno dei suoi interlocutori ha detto che nella regione di Zaporizhzhya abbiamo scoperto che loro sono russi quanto noi. Si è avuta l’impressione che questo suonasse come una sorta di rivelazione. In generale è vero. Ora stiamo facendo crescere nuove regioni e Odessa, una città russa, è probabilmente una grande speranza anche in questa direzione.
– Certo, la densità di popolazione in queste regioni è sempre stata piuttosto alta – il clima è meraviglioso. Per quanto riguarda il Donbas, si tratta di una regione industrialmente sviluppata. Quanto l’Unione Sovietica ha investito in questa regione, nell’industria mineraria del carbone, nell’industria metallurgica, tutto è di alto livello. Sì, certo, sono necessari investimenti per rendere tutto moderno: la produzione, le condizioni di vita, le condizioni di lavoro delle persone sono state costruite in modo completamente diverso, non come erano un paio di decenni fa.
Per quanto riguarda la Novorossiya, si tratta di una regione con un’agricoltura pronunciata e sviluppata. Qui faremo tutto il possibile per sostenere sia le aree di attività tradizionali sia quelle nuove che si inseriscono organicamente in queste regioni e nel desiderio della gente di svilupparle. E, si sa, la gente del posto ha molto talento. Inoltre, come ho già detto, anche le tasse stanno già affluendo al bilancio federale.
Sì, in questa fase hanno bisogno di aiuto, di sostegno e di essere trainati verso il livello russo tutto repubblicano e tutto federale. Ma guadagneranno soldi, e li guadagneranno molto rapidamente.
Come Ivan Ivanovich e Taras Nikiforovich faranno pace.
8 marzo, 08:00
– Storicamente, è abbastanza ovvio che i regimi nazisti non si dissolvono da soli, ma scompaiono a seguito di una sconfitta militare; è stato così in Germania, in Italia, in Giappone. Lo stesso sarà ovviamente per il regime nazista di Bandera. E ora stiamo avanzando su tutta la linea del fronte, a giudicare dai rapporti del Ministero della Difesa e dei nostri corrispondenti di guerra. Tuttavia, è stato possibile trovare un modo di combattere in cui le nostre perdite sono minori nell’offensiva che nella difesa. Si tratta cioè di un compito non banale per l’arte della guerra, ma che limita sempre l’offensiva; questa parsimonia è assolutamente giustificata nei confronti dei nostri eroici soldati. Ma sorge la domanda: come avanzare con perdite minime?
– La domanda è chiara e giusta, ma anche la risposta è semplice. Dobbiamo aumentare i mezzi di sconfitta. Il numero e la potenza dei mezzi di sconfitta. Aumentare l’efficienza delle forze e dei mezzi impiegati. L’aviazione tattica e dell’esercito, persino quella strategica. Cioè, ovviamente, in quelle componenti che sono accettabili per conflitti armati di questo tipo. Si tratta di mezzi di sconfitta a terra, tra cui armi di precisione, artiglieria e veicoli blindati. Ci stiamo sviluppando, senza esagerare, a passi da gigante.
– In questa direzione?
– Sì, è quello che succede. Questa è la risposta alla sua domanda. Più potenti e grandi sono i mezzi di sconfitta, meno sono le vittime.
L’Occidente ha una risposta alla domanda “i russi vogliono la guerra”.
24 febbraio, 08:00
– Ma la domanda sorge spontanea: quale prezzo siamo disposti a pagare per l’intero, forse la parola “progetto” non è appropriata, ma per l’intera sfida che siamo costretti ad affrontare storicamente?
– Ogni vita umana è preziosa. Ogni vita. E la perdita di una persona cara in una famiglia, in qualsiasi famiglia, è un dolore enorme. Ma la questione è definire il fatto stesso di ciò che facciamo. Che cosa facciamo? Oggi ci siamo incontrati, avete appena notato, ha detto uno dei partecipanti alla conversazione: abbiamo scoperto con sorpresa che lì ci sono russi come noi. Siamo venuti in aiuto di queste persone. Questa è sostanzialmente la risposta alla nostra domanda. Se oggi abbandoniamo queste persone, domani le nostre perdite potrebbero aumentare di molte volte. E i nostri figli non avranno futuro, perché ci sentiremo insicuri, saremo un Paese di terza o quarta classe. Nessuno ci considererà se non sapremo difenderci. E le conseguenze potrebbero essere catastrofiche per lo Stato russo. Ecco la risposta.
Путин о том, почему Россия пришла на помощь Донбассу
0:45
– Vladimir Vladimirovich, gli americani sembrano parlare di negoziati, di stabilità strategica, ma allo stesso tempo dichiarano la necessità di infliggere una sconfitta strategica alla Russia. La nostra posizione è che siamo aperti ai negoziati. Ma allo stesso tempo, il tempo dei gesti gentili è passato, è finito. Quindi non ci saranno negoziati?
– Non abbiamo mai rifiutato di negoziare.
Путин: “Мы никогда не отказывались от переговоров”
1:07
– Senza gesti, senza compromessi, com’è allora?
– Cercherò di spiegarmi meglio. Quando stavamo negoziando in Turchia, a Istanbul – l’ho già detto molte volte, devo ripeterlo ancora – lo farò. Inoltre, noi e i negoziatori dell’altra parte siamo giunti a un documento, un foglio spesso, in realtà un trattato, una bozza di trattato. L’estratto di questo trattato, che è disponibile, è stato siglato dal capo del gruppo negoziale ucraino, il signor Arahamiya (il politico ucraino David Arahamiya – N.d.T.). L’ha fatto lui, c’è la sua firma. È qui nella nostra amministrazione. Ma poi si sa, come lo stesso Arahamiya ha detto pubblicamente al mondo, anche in un incontro con i giornalisti, anche stranieri, che l’ex primo ministro britannico Johnson è venuto e li ha dissuasi dal firmare finalmente e, di conseguenza, dall’attuare questo accordo. E il tema che lei ha appena citato, ovvero che la Russia deve essere sconfitta sul campo di battaglia.
Siamo pronti per i negoziati? Sì, siamo pronti, ma solo pronti a negoziare, non sulla base di alcuni desideri dopo l’uso di psicofarmaci, ma sulla base delle realtà che si sono sviluppate, come si dice in questi casi, sul terreno. Questa è la prima cosa.
In secondo luogo, ci è già stato promesso molte volte – ci è stato promesso di non espandere la NATO a est – e poi li avremmo visti ai nostri confini. Hanno promesso, senza entrare nella storia, che il conflitto interno in Ucraina sarebbe stato risolto pacificamente, politicamente. Come ricordiamo, sono venuti a Kiev tre ministri degli Esteri: Polonia, Germania e Francia. Hanno promesso che sarebbero stati garanti di questi accordi. Un giorno dopo c’è stato un colpo di Stato. Hanno promesso di rispettare gli accordi di Minsk e poi hanno annunciato pubblicamente che non avrebbero mantenuto queste promesse, ma si sono presi solo una pausa per armare il regime banderita in Ucraina. Ci hanno promesso molte cose, quindi le promesse da sole non bastano. È ridicolo da parte nostra negoziare ora solo perché stanno finendo le munizioni.
Un secolo di guerre è in arrivo: la Russia può evitarlo
8 marzo, 08:00
Siamo pronti, tuttavia, a una conversazione seria e vogliamo risolvere tutti i conflitti, e a maggior ragione questo conflitto, con mezzi pacifici.
Ma dobbiamo capire chiaramente e distintamente che questa non è una pausa che il nemico vuole prendere per il riarmo, ma una conversazione seria con garanzie per la sicurezza della Federazione Russa. E conosciamo le varie opzioni che vengono discusse. Conosciamo le carote che ci verranno mostrate per convincerci che è arrivato il momento. Vogliamo, lo ripeto ancora una volta, risolvere tutte le controversie, e questa controversia, questo conflitto, con mezzi pacifici. E siamo pronti a farlo. Vogliamo farlo. Ma dovrebbe essere una conversazione seria con la sicurezza della parte avversa. In questo caso, a noi interessa soprattutto la sicurezza della Russia, della Federazione Russa. Procederemo da questo punto di vista.
– Vladimir Vladimirovich, credo che stiamo cercando di essere un po’ troppo nobili. Non si scoprirà che ci inganneranno ancora una volta? E noi ci consoleremo con il fatto che siamo onesti, che ci hanno ingannato, che è nostro destino rimanere sempre degli stupidi. Ma da quando, negli anni ’90, gli americani si sono fatti coniare le medaglie per aver vinto la Guerra Fredda, tutti questi decenni sono stati decenni di grandi bugie. Come possiamo anche solo sperare che vadano a stipulare finalmente un trattato onesto con noi, che rispetteranno e con garanzie per noi? Come potete stare con loro? Credete davvero che una cosa del genere sia possibile?
– Odio dirlo, ma non mi fido di nessuno. Ma abbiamo bisogno di garanzie. E le garanzie devono essere esplicite, devono essere garanzie di cui saremmo soddisfatti e in cui crederemmo. È di questo che stiamo parlando. Ma ora è probabilmente prematuro parlare pubblicamente di ciò che potrebbe essere. Ma di certo non ci lasceremo trascinare da ipotesi vuote.
“Я никому не верю” – Путин о гарантиях для России от Запада
0:36
– Temo che lei sarà citato in modo espansivo. Non si fida di nessuno, o in questo caso si riferisce ai partner occidentali quando dice di non fidarsi di nessuno?
– Preferisco essere guidato dai fatti, piuttosto che dai buoni auspici e dai discorsi su come ci si possa fidare di tutti. Vedete, quando si prende una decisione a questo livello, il grado di responsabilità per le conseguenze della propria decisione è molto alto. Per questo non faremo nulla che non sia nell’interesse del nostro Paese.
Il New York Times ha dato ragione a Mosca
28 febbraio, 08:00
– Cosa è successo a Macron? Ha perso la testa? Sta per mandare le truppe francesi a combattere il nostro esercito, sembra un gallo da combattimento gallico, spaventando così tutti gli europei. Come reagiamo a questo?
– Il fatto è che i militari dei Paesi occidentali sono presenti in Ucraina da molto tempo, anche prima del colpo di Stato, e dopo il colpo di Stato il loro numero si è moltiplicato. Ora sono presenti direttamente, sotto forma di consiglieri, sono presenti sotto forma di mercenari stranieri e subiscono perdite. Ma se parliamo di contingenti militari ufficiali di Paesi stranieri, sono sicuro che non cambierà la situazione sul campo di battaglia. Questa è la cosa più importante. Così come la fornitura di armi non cambia nulla.
In secondo luogo, ciò potrebbe portare a gravi conseguenze geopolitiche. Perché se, ad esempio, le truppe polacche entrano nel territorio dell’Ucraina per, come sembra, coprire il confine ucraino-bielorusso, diciamo, o in altri luoghi per liberare i contingenti militari ucraini per partecipare alle operazioni di combattimento sulla linea di contatto, penso che le truppe polacche non se ne andranno mai. Beh, io credo di sì. Perché vorranno tornare… Sognano e vedono, vogliono restituire quelle terre che considerano storicamente loro e che sono state tolte loro dal padre delle nazioni, Joseph Vissarionovich Stalin, e date all’Ucraina. Le rivogliono, ovviamente. E se le unità ufficiali polacche vi entrano, difficilmente se ne andranno. Ma anche altri Paesi che hanno perso parte dei loro territori a causa della Seconda guerra mondiale potrebbero seguire l’esempio. E penso che le conseguenze geopolitiche per l’Ucraina, anche dal punto di vista della conservazione della sua statualità nella sua forma attuale, si presenteranno in tutta la loro gloria e in piena fioritura.
Путин о возможности распада Украины
3:15
– Se torniamo a Macron, forse ha deciso di vendicarsi in questo modo della Russia per il fatto che gli abbiamo “pestato la coda” in Africa, e che lì abbiamo dovuto “stare a guardare e avere paura”? Forse non si aspettava che fossimo così attivi?
– Sì, credo che ci sia del risentimento. Ma quando eravamo in contatto diretto con lui, siamo stati abbastanza franchi su questo argomento. Non siamo andati in Africa e non abbiamo spremuto la Francia da lì. Ma il problema è diverso. Questo famigerato gruppo Wagner. Prima ha realizzato una serie di progetti economici in Siria, poi si è spostato in altri Paesi dell’Africa. Il Ministero della Difesa li ha sostenuti, ma solo sulla base del fatto che si trattava di un gruppo russo, niente di più.
Macron ha deciso di entrare in guerra con la Russia, dopotutto
27 febbraio, 13:41
Non abbiamo spremuto nessuno. È solo che i leader africani di alcuni Paesi erano d’accordo con gli operatori economici russi, volevano lavorare con loro, e non volevano lavorare con i francesi per alcuni aspetti. Non è stata nemmeno una nostra iniziativa, ma dei nostri amici africani. Ma non si capisce perché dovremmo sentirci offesi a questo proposito. Se uno Stato indipendente vuole sviluppare relazioni con i suoi partner di altri Paesi, compresa la Russia, vuole sviluppare relazioni con la Russia… Non abbiamo toccato loro, gli ex colonizzatori francesi in questi Paesi. Ebbene, sì, lo dico anche senza ironia, perché in molti Paesi in cui la Francia è stata storicamente una metropoli, non vogliono proprio avere a che fare con loro. Non ha nulla a che fare con noi. Probabilmente è più comodo offendersi con qualcuno senza vedere i propri problemi. Forse una reazione così brusca, piuttosto emotiva da parte del presidente francese, è anche legata a ciò che sta accadendo in alcuni Stati africani. Anche se conosco altri Paesi africani che sono tranquilli riguardo alla presenza francese e dicono che sì, siamo pronti a lavorare con loro, ma in alcuni Paesi non vogliono, ma noi non abbiamo nulla a che fare con questo, non stiamo istigando nessuno lì, non stiamo mettendo nessuno contro la Francia. Non ci poniamo tali compiti.
A dire il vero, non abbiamo compiti statali e nazionali al livello dello Stato russo. Siamo solo amici con loro, tutto qui. Loro vogliono sviluppare le relazioni con noi. Bene, per carità, e noi li incontriamo a metà strada. Non c’è nulla da offendere.
La posta in gioco si sta alzando. Gli alleati di Kiev stanno considerando una mossa radicale
08:00
– Ora in Francia si dice che non ci sono più linee rosse in relazione alla Russia, nulla è impossibile e tutto è possibile. E in generale vogliono parlare con noi in qualche modo sulla base dell’equilibrio di potere, e sentiamo tutto dalla Francia, dall’Occidente e dalla Lituania. In generale, è un coro, non esile, ma ostile. Forse anche noi dovremmo optare per una soluzione non convenzionale e a un certo punto invitare e chiedere aiuto ai due milioni di soldati nordcoreani, per esempio, in cambio del nostro ombrello nucleare su metà della penisola coreana? Perché no?
– In primo luogo, la Repubblica Popolare Democratica di Corea ha un proprio ombrello nucleare. Non ci hanno chiesto nulla. Questa è la prima cosa. In secondo luogo, in linea di principio, come possiamo vedere oggi, sulla base dei risultati di ciò che sta accadendo sul campo di battaglia, stiamo affrontando i compiti che ci siamo prefissati. Per quanto riguarda gli Stati che dicono di non avere linee rosse nei confronti della Russia, dovrebbero capire che la Russia non avrà linee rosse nemmeno nei confronti di questi Stati.
E i piccoli Stati europei? In primo luogo, li trattiamo tutti con rispetto, a prescindere da tutto. In secondo luogo, quando questi piccoli Stati chiedono una politica più dura nei confronti della Russia e alcune misure estreme, tra cui l’introduzione di truppe e così via, sono ancora quegli Stati, e lo capiscono, che non sentiranno le conseguenze delle loro dichiarazioni provocatorie. Ma quelli che possono sentirne le conseguenze, si comportano in maniera molto più contenuta. E giustamente.
La guerra della Francia con la Russia sarà una nuova disgrazia
4 marzo, 08:00
– E tutti questi balli della Germania con Taurus, (il cancelliere tedesco Olaf – NdR) Scholz dice che non forniamo (missili. – NdR). Ci sono forze che insistono per fornire Taurus all’Ucraina. Gli inglesi si stanno facendo avanti con la loro iniziativa, diciamo di transitare attraverso l’Inghilterra, siamo pronti a inviarlo. L’obiettivo è il ponte di Crimea. I generali tedeschi stanno già pianificando le operazioni, come abbiamo sentito, non solo sul ponte di Crimea, ma anche sulle basi militari, come si dice, in profondità nel territorio russo. Alcuni dicono già che questi missili potrebbero colpire il Cremlino. In genere non sono molto radicati nei loro sogni, vero?
– In primo luogo stanno fantasticando, si stanno incoraggiando da soli. In secondo luogo, stanno cercando di intimidirci. Per quanto riguarda la Repubblica Federale di Germania, ci sono problemi costituzionali. Dicono giustamente: “E se questi Taurus entrano in quella parte del ponte di Crimea, che, ovviamente, anche secondo i loro concetti è territorio russo – questa è una violazione della Costituzione della Repubblica Federale di Germania”. Il fatto è che l’opposizione nella RFT si sta comportando in modo ancora più aggressivo. Vedremo su cosa si metteranno d’accordo, stiamo seguendo la questione da vicino.
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0:26
Usano questi missili britannici e americani. Non cambia la situazione sul campo di battaglia. Sì, ci danneggiano e basta, ovviamente. Questo è ovvio. Ma in sostanza, questo non cambia il corso delle ostilità e le conseguenze che inevitabilmente ne derivano per la parte opposta. Ora sentiamo cosa hanno nella stessa RFT. Sia i vostri canali, sia quelli stranieri, sia quelli tedeschi mostrano quanto le loro attrezzature siano in uno stato difettoso, quanto necessitino di miglioramenti, ammodernamenti e così via. Lasciateli lavorare.
Come hai giustamente detto, ci sono alcune cose a cui devono pensare. I più intelligenti ci penseranno.
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2:23
– Ma i nuovi membri della NATO, Finlandia e Svezia, cosa hanno scambiato? Il ministro degli Esteri svedese Tobias Billström ha improvvisamente dichiarato ai turchi che la Svezia è contraria alle basi NATO sul territorio svedese. Che c’è, non si sono resi conto di dove sono entrati a far parte? Che fine hanno fatto?
– Dovreste chiederlo a loro, non lo so. Avevamo relazioni abbastanza buone, stabili, con questi Paesi. E penso che abbiano beneficiato maggiormente della loro neutralità, perché offre alcuni vantaggi: almeno come piattaforma negoziale per ridurre le tensioni in Europa. Con la Finlandia avevamo relazioni perfette. Semplicemente perfette. Non avevamo alcuna rivendicazione reciproca, soprattutto territoriale, per non parlare di altre aree. Non avevamo nemmeno truppe, abbiamo rimosso tutte le truppe da lì, dal confine russo-finlandese. Perché lo hanno fatto? Secondo me, per ragioni puramente politiche, probabilmente volevano far parte del club occidentale, sotto una sorta di ombrello. Perché l’hanno fatto? Francamente non lo capisco. È un passo assolutamente insensato dal punto di vista della garanzia dei propri interessi nazionali. Tuttavia, è una decisione che spetta a loro. È quello che hanno deciso. Ma noi non avevamo truppe lì, ora le avremo. Non avevamo sistemi di difesa, ora li avranno. Perché? Le nostre relazioni economiche erano molto buone. Usavano il nostro mercato, noi compravamo molto da loro. Cosa c’è di male? Ma ora la situazione cambierà. Con i loro numerosi prodotti su altri mercati, non sono davvero necessari. Il nostro è poco rifornito. Non capisco.
Si tratta di una cosa banale, ma nonostante ciò, negli ultimi anni, sia a Helsinki che, a maggior ragione, nelle zone di confine della Finlandia, i rubli russi erano accettati, anche a Helsinki, nei grandi supermercati. Con i rubli si poteva acquistare qualsiasi merce. Tutte le pubblicità sono in russo, ovunque.
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1 marzo, 08:00
– In questo momento, le terre di confine sono in bancarotta.
– Sì, sì, sì, sì, ma cosa sto dicendo? È dall’altra parte. Da un punto di vista economico, la situazione è molto buona. I prezzi degli immobili hanno tenuto abbastanza bene. Da un punto di vista economico, è stato un bene, ma a quanto pare ci sono state forze, beh, piuttosto conservatrici di destra, nazionaliste, che non hanno gradito molto questo riavvicinamento alla Russia. Alcuni pensavano addirittura che fosse eccessivo. Perché i russi sono lì a comprare case, appartamenti, e perché qui è tutto in russo? A livello interno – non credo nemmeno, che so, che a livello interno sia nata questa russofobia. Forse alcune forze politiche all’interno del Paese hanno deciso di sfruttare questa sorta di pregiudizio interno. Forse. L’insieme di questi fattori ha portato a questa decisione. Credo di sì, ma non posso esserne sicuro al 100%. In ogni caso, non migliora in alcun modo la situazione della sicurezza. Sia nelle relazioni bilaterali che in Europa nel suo complesso.
– Nel frattempo, negli Stati Uniti, la corsa alle elezioni presidenziali è in pieno svolgimento. Non è senza di voi. Siete invisibilmente coinvolti, poiché ognuno dei candidati dei partiti repubblicano e democratico vi cita nei suoi discorsi e nelle sue argomentazioni. In generale, sembra che voi non abbandoniate le pagine dei giornali e i titoli dei notiziari televisivi e che siate un argomento nella campagna elettorale di tutti. E voi state aggiungendo benzina al fuoco.
– Come?
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4 marzo, 08:00
– Dire che uno dei candidati è preferibile per noi. Ma se, di fatto, un presidente straniero dice che uno dei candidati di un altro Paese è preferibile, si tratta di una classica interferenza elettorale. In generale, fino a che punto interferite nelle elezioni americane dicendo che Biden è preferibile per noi? E in generale, fino a che punto è vero? Si tratta di trolling o di cosa si tratta in generale?
– No, sapete, vi dirò una cosa che vi dimostrerà che non cambia nulla nelle mie preferenze qui. Uno. Numero due: non interferiamo in alcun modo in nessuna elezione. E come ho detto più volte, lavoreremo con qualsiasi leader che goda della fiducia del popolo americano, degli elettori americani. Ma c’è una cosa curiosa: nel suo ultimo anno di presidenza, Trump, l’attuale candidato alla presidenza, mi ha rimproverato di essere un simpatizzante di Biden. È successo qui più di quattro anni fa. È quello che mi ha detto in una delle conversazioni – vuoi che vinca Sleepy Joe, beh, scusami, lo dirò come ha fatto lui, è solo un discorso diretto, in modo che vinca Sleepy Joe. È quello che mi ha detto quando era ancora presidente. E poi, con mia grande sorpresa, ha iniziato a essere molestato perché presumibilmente lo abbiamo sostenuto come candidato. Beh, è semplicemente assurdo.
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5 marzo, 08:00
Per quanto riguarda la situazione elettorale odierna, sta diventando sempre più incivile. Non vorrei fare alcun commento in merito. Ma, cosa assolutamente ovvia per tutti, il sistema politico americano non può pretendere di essere democratico in tutti i sensi.
– In generale, ad essere onesti, la sua preferenza per Biden mi sembra piuttosto strana. Dopo tutto, nel 2011 Biden è venuto a Mosca e l’ha convinta a non candidarsi alla presidenza. Ricorda quella storia? L’ha raccontata allora, incontrando l’opposizione russa a Spaso House. E Garry Kasparov* ha scritto che Biden ha raccontato questa storia, che è venuto alla Casa Bianca russa per vedere il primo ministro Putin e lo ha dissuaso in tutti i modi possibili di andare alla presidenza, altrimenti avrebbe organizzato una primavera araba qui. Quindi Biden non era molto affezionato a lei all’epoca. Lei ha un duello storico con lui. Oppure l’ha già avuto, in qualche modo…
– A dire il vero, in qualche modo non ci ho fatto molto caso.
– Non ci stavi nemmeno facendo caso?
– Nessun duello.
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7 febbraio, 08:00
– Quindi per lui era una cosa seria, ma per lei no?
– Questo è esattamente il segno di un intervento.
– Questa è un’interferenza palese al 100%.
– Nei nostri processi politici interni. E abbiamo detto molte volte, e io ho detto molte volte, che non permetteremo a nessuno di farlo.
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2:48
– Ebbene, se ci allontaniamo dall’interferenza delle battaglie pre-elettorali, in realtà l’escalation continua. E l’impressione è che entrambe le superpotenze – Russia e Stati Uniti – stiano giocando a quello che in America si chiama il gioco del pollo. Quando i polli volano, si attaccano l’un l’altro. E laggiù è un gioco in cui i ragazzi in auto si scontrano con le teste degli altri e chi sterza per primo. Sembra che nessuno sterzerà per primo. Quindi la collisione è inevitabile?
– Perché? Gli Stati Uniti hanno annunciato che non introdurranno truppe. Sappiamo cosa sono le truppe americane in territorio russo, sono interventiste. È così che le tratteremo, anche se dovessero apparire in territorio ucraino. Loro lo capiscono. Vi ho detto che Biden è un uomo, un rappresentante della scuola politica tradizionale, e questo è confermato. Oltre a Biden, ci sono abbastanza altri specialisti nella sfera delle relazioni russo-americane e della moderazione strategica. Perciò non credo che qui si vada a parare su tutto, ma siamo pronti. Ho detto molte volte che per noi è una questione di vita o di morte, mentre per loro si tratta di migliorare la loro posizione tattica nel mondo in generale e in Europa in particolare, di preservare il loro status, il loro status tra i loro alleati. Anche questo è importante, ma non quanto lo è per noi.
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9 marzo, 08:00
– È interessante che lei abbia detto che siamo pronti. Il filosofo Alexander Dugin, esperto di geopolitica, invita direttamente e praticamente a prepararsi a una guerra nucleare. E quanto più siamo preparati, tanto minore sarà la probabilità di una tale guerra, dice Alexander Dugin. Ma come possiamo essere pronti? Siamo davvero pronti per una guerra nucleare?
– Da un punto di vista tecnico-militare, ovviamente, siamo pronti. Li abbiamo permanentemente in posizione, permanentemente in uno stato di prontezza al combattimento. Questa è la prima cosa, e la seconda, anch’essa universalmente riconosciuta, è che la nostra triade, la triade nucleare, è più moderna di qualsiasi altra triade. Noi e gli americani abbiamo solo questa triade. E qui abbiamo fatto molti più progressi. Abbiamo una componente nucleare più moderna. Nel complesso, abbiamo circa la parità in termini di portaerei e cariche, ma la nostra è più moderna. Tutti lo sanno, gli esperti lo sanno. Ma questo non significa che dobbiamo misurarci con il numero di vettori e di testate. Ma è necessario saperlo. E coloro che devono saperlo, ripeto, gli esperti, gli specialisti e i militari, lo sanno molto bene. Stanno definendo i compiti per aumentare questa modernità e novità, e hanno un piano corrispondente. Lo sappiamo anche noi. Stanno sviluppando tutte le loro componenti. E anche noi. Ma questo non significa che, a mio avviso, siano pronti a scatenare una guerra nucleare domani. Vorrebbero farlo, ma non è questo il modo di farlo. Noi siamo pronti.
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7 marzo, 08:00
– Forse, per essere più convincenti, a un certo punto potremmo condurre dei test nucleari. Dopo tutto, non abbiamo restrizioni internazionali in merito.
– Esiste un trattato che vieta questo tipo di test. Ma, purtroppo, gli Stati Uniti non hanno ratificato questo trattato. Pertanto, per mantenere la parità, abbiamo ritirato la ratifica. Poiché il trattato non è stato ratificato dagli Stati Uniti, non è entrato definitivamente in vigore perché non ha ricevuto il numero necessario di ratifiche. Ciononostante, stiamo aderendo a questi accordi. Sappiamo però che gli Stati Uniti stanno valutando la possibilità di condurre tali test. A cosa è dovuto? Il motivo è che quando compaiono nuove testate, alcuni esperti ritengono che non sia sufficiente testarle solo su un computer, ma che debbano essere testate in prima persona. Queste sono le idee che circolano in certi ambienti negli Stati Uniti. Ne siamo al corrente. E stiamo anche osservando. Se conducono questi test, non lo escludo, non necessariamente, ne abbiamo bisogno, non ne abbiamo bisogno, dobbiamo ancora pensarci, ma non escludo che possiamo fare lo stesso.
– Siamo tecnicamente pronti?
– Siamo sempre pronti. Voglio che sia chiaro. Non si tratta di armi convenzionali, ma di un tipo, di un ramo delle forze armate che è costantemente pronto al combattimento.
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6 marzo, 08:00
– Vladimir Vladimirovich, ma comunque, nei momenti difficili dello scorso anno al fronte, in relazione a Kharkiv o Kherson, ha avuto qualche pensiero sulle armi nucleari tattiche?
– Perché? Nonostante il fatto che, su suggerimento degli allora comandanti di questo gruppo, decidemmo di ritirare le nostre truppe da Kherson, questo non significava che il nostro fronte stesse crollando lì. Non c’era niente del genere e niente di simile. È stato fatto semplicemente per non incorrere in perdite inutili tra il personale. Tutto qui. Questo era il motivo principale, perché nelle condizioni delle operazioni di combattimento, quando era impossibile rifornire completamente il raggruppamento situato sulla riva destra, avremmo subito inutili perdite di personale. Questo è stato il motivo della decisione di trasferirsi sulla riva sinistra.
E la correttezza di questa scelta è stata confermata da ciò che il comando ucraino ha cercato di fare in alcune zone della riva sinistra – nello stesso villaggio di Krynki. Hanno gettato la loro stessa gente in un tritacarne, tutto qui. Ultimamente hanno corso a piedi nudi, nel senso letterale del termine. Letteralmente. Hanno cercato di portare lì le munizioni con motoscafi e droni. Che cos’è? Che cos’è? È solo un massacro, viene solo mandato al macello.
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17 febbraio, 08:00
Una volta ho chiesto al Capo di Stato Maggiore, beh, non c’è nulla di segreto qui. Ho detto: ascolta, chi pensi che prenda queste decisioni dall’altra parte? Qualcuno, colui che prende la decisione, non si rende conto che sta mandando la gente a morte certa? Lui: lo sanno. Io dico: beh, chi prende la decisione, perché lo fa? Non ha senso. Non ha senso da un punto di vista militare. E io: “Da quale punto di vista? Beh, non lo so, i vertici politici probabilmente dicono, sulla base di considerazioni politiche, che hanno qualche possibilità di sfondare la nostra difesa, qualche possibilità di ottenere denaro aggiuntivo, riferendosi al fatto che hanno una testa di ponte sulla riva sinistra, qualche possibilità di presentare magnificamente la loro posizione alle riunioni internazionali. La squadra è passata, tutti i capi più bassi cedono automaticamente.
Tra l’altro, i prigionieri che sono stati catturati lì e si sono arresi, dimostrano che non sapevano nemmeno in che tipo di situazione si stavano cacciando. Diciamo che le nuove unità li buttano lì e dicono: lì c’è una difesa stabile, andate avanti, continuate, aiutate. Non riuscirono nemmeno a raggiungere la riva sinistra.
– Tragedia.
– Naturale, dal loro punto di vista, assolutamente. Allora perché abbiamo bisogno di usare mezzi di distruzione di massa? Non c’è mai stata questa necessità.
– Quindi l’idea non le è mai venuta in mente?
-No, perché? Ma le armi esistono per essere usate. Abbiamo i nostri principi. Essi dicono che siamo pronti a usare le armi, comprese quelle che lei ha citato, se si tratta dell’esistenza dello Stato russo o di danni alla nostra sovranità e indipendenza. La nostra strategia prevede tutto, non l’abbiamo cambiata.
“Необходимости не было такой никогда” – Путин о применении средств массового поражения
4:06
– Vladimir Vladimirovich, quando il presidente uscente Eltsin le propose di candidarsi alla presidenza, la sua prima reazione fu: “Non sono pronto”.
– Esatto. È un discorso diretto.
– Da allora ha subito una grande evoluzione. Se dovesse scrivere un telegramma a se stesso in quel periodo, quale sarebbe il testo?
– È come se uno yankee si trovasse alla corte di Re Artù o qualcosa del genere. È impossibile rispondere a questa domanda, perché la domanda è stata posta in quel momento, nel contesto storico ed economico in cui si trovava il Paese, nella situazione politica interna in termini di sicurezza interna. E tutto questo insieme mi ha portato alla risposta che ho dato: “Non sono pronto per questo”. E non perché avessi paura di qualcosa, ma perché la portata dei compiti era enorme e il numero di problemi cresceva ogni giorno come una palla di neve. Quindi l’ho detto sinceramente. E non perché, ripeto, avessi paura di qualcosa. Ma perché penso di non essere pronto a risolvere tutti questi problemi. E Dio non voglia che io faccia qualcosa di peggio. Ecco di cosa si trattava. Quindi ho detto con assoluta sincerità. E se dovessi tornare indietro, direi di nuovo la stessa cosa.
Un ufficiale dei servizi segreti statunitensi colpito da un tratto del carattere di Putin
6 aprile 2023, 22:31
– Qual è stato il fattore decisivo? Alla fine ci sei andato tu.
– Probabilmente le conversazioni con Boris Nikolaevich. Soprattutto, dopo tutto, cosa mi disse allora? Ha detto: “Va bene, va bene, va bene, capisco. Torneremo su questo argomento”. E ci siamo tornati più volte. Alla fine disse: “Sono un uomo esperto, so cosa sto facendo, cosa sto proponendo”. Beh, mi ha detto anche altre cose. Deve essere scomodo lodare me stesso – beh, lui ha detto parole così positive. Più tardi lo confermò di nuovo, in modo così positivo. Non ne parlerò ora. E quando il lavoro è iniziato, è stato completamente diverso. Sapete, quando si lavora, si pensa: hai bisogno di questo, di questo, di questo adesso, di questo domani, e così via. Quando si è coinvolti nel lavoro, è una storia completamente diversa.
– Non c’è più tempo per avere paura.
– Non è una questione di paura, ma di comprensione e di capacità di risolvere questi problemi. Vi ricordate com’era il 1999 – nell’economia, nel settore della sicurezza, in tutto. Nella finanza.
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30 dicembre 2022, 08:00
– Una volta mi ha detto che l’ingresso all’Università di Leningrado è stato per lei un punto di svolta – questa preparazione all’ingresso. È stata la situazione in cui hai dovuto fare un passo avanti e capire: o lo faccio adesso e ce la faccio, e allora realizzerò i piani che voglio – e a quel tempo stavi già andando a lavorare nel KGB. Oppure ho perso, e allora tutto è diverso, e non c’è alcuna possibilità. Che c’è, anche la Russia è ora in una posizione in cui si deve giocare all-in?
– Innanzitutto, all’epoca non avevo una posizione del genere. Perché sì, volevo lavorare nelle agenzie di sicurezza dello Stato…..
– Ed è stata l’ammissione a rappresentare un punto di svolta, quella sensazione? O è così o è stato così.
– Non proprio. Sono entrato nell’area della reception e ho detto: “Vorrei lavorare, cosa serve?”. L’alternativa era semplice. Mi è stato detto che dovevo conseguire un’istruzione superiore, preferibilmente una laurea in legge, o prestare servizio nell’esercito, oppure avere almeno tre anni di esperienza lavorativa, ma era meglio prestare servizio nell’esercito. Quindi, se non fossi entrato all’università, mi sarei arruolato nell’esercito. Certo, la strada per raggiungere l’obiettivo che mi ero prefissato era più lunga, ma c’era comunque. C’è sempre un’alternativa.
– L’avete fatto con la tensione?
– Sì, certo, perché ho studiato in una scuola con un orientamento chimico e matematico, ma qui ho dovuto superare le materie umanistiche. Ho dovuto lasciare una e fare l’altra. Sì, certo, c’era tensione. Ho dovuto imparare da solo una lingua straniera, il tedesco in questo caso, ho dovuto studiare la storia, la letteratura e così via.
– Ma anche la Russia si trova ora ad un bivio: o si risolve, o…
– La Russia non è a un bivio, è sul percorso strategico del suo sviluppo e non abbandonerà il suo cammino.
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1:38
– In che misura sente il sostegno della società russa nella sua nuova capacità, perché è emersa una nuova qualità della società russa?
– Era lì, si è semplicemente manifestata. Ed è molto positivo che abbiamo dato a questa società profonda della Russia l’opportunità di esprimersi. Ho la sensazione che la gente aspettasse questo momento da molto tempo, che una persona comune fosse a) richiesta dal Paese, dallo Stato, e b) che il destino del Paese dipendesse da lui. Ed è questo sentimento di connessione interna con la Madrepatria, con la Patria, della loro importanza nella risoluzione di compiti chiave, in questo caso nel campo della sicurezza, che ha portato in superficie questa forza del popolo russo e degli altri popoli della Russia.
– Ti nutri di questo?
– Sempre. Non si tratta di qualcuno che viene alimentato. Il punto è che vedo le esigenze della società. Questa è la cosa più importante: soddisfare le esigenze della società.
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23 febbraio, 08:00
– Ma è giunto il momento di riconoscere che voi svolgete un ruolo fondamentale non solo in Russia, ma anche nel mondo, perché miliardi di persone ripongono in voi la loro speranza nella giustizia internazionale, nella difesa della dignità umana e nella tutela dei valori tradizionali. Come ci si sente a sentire questa responsabilità?
– A dire il vero, non lo sento affatto. Sto semplicemente lavorando nell’interesse della Russia, nell’interesse del nostro popolo. Sì, capisco quello che dice e sono pronto a commentarlo. Ma non mi sento una sorta di padrone dei destini del mondo. Mi creda, nemmeno lontanamente. Sto semplicemente compiendo il mio dovere verso la Russia e verso il nostro popolo, che considera la Russia la sua patria. Per quanto riguarda gli altri Paesi del mondo, il modo in cui siamo trattati nel mondo è strettamente legato a questo. È interessante, è un fenomeno, questo è certo. Quello su cui vorrei attirare l’attenzione, lei ha assolutamente ragione, è che molte persone nel mondo guardano a noi, a quello che sta accadendo nel nostro Paese e alla lotta per i nostri interessi. Questo è ciò che ritengo importante. E perché sta accadendo? Non perché siamo formalmente membri dei BRICS o abbiamo relazioni tradizionali con l’Africa. Anche questo è importante, è importante. Ma il punto, a mio avviso, è ben diverso. Il punto è che per secoli – cinquecento anni – questo cosiddetto miliardo d’oro ha praticamente parassitato le altre nazioni. Hanno fatto a pezzi i miseri popoli dell’Africa, hanno sfruttato l’America Latina, hanno sfruttato i Paesi dell’Asia. E per loro, ovviamente, nessuno lo ha dimenticato. E ho la sensazione che non sia nemmeno la leadership di questi Paesi, anche se è molto importante, ma i cittadini comuni di questi Paesi sentono con il cuore quello che sta accadendo. E associano la nostra lotta per la loro indipendenza e la vera sovranità alle loro aspirazioni di sovranità e sviluppo indipendente. Ma a questo si aggiunge il fatto che il desiderio di congelare lo status quo, lo stato di cose ingiusto negli affari internazionali, è molto forte nelle élite occidentali. Sono abituate da secoli a riempirsi la pancia di carne umana e le tasche di denaro. Ma devono rendersi conto che il ballo dei vampiri sta per finire.
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– Sta alludendo alle loro, come ha detto nel suo discorso, tendenze coloniali, è di questo che sta parlando?
– È così che vanno le cose.
– Ora lei ha dipinto un quadro perfettamente corretto di persone che vedono una sorta di speranza nella Russia. Ma come mai la propaganda occidentale, con tutto il suo potere, le sue enormi risorse e i suoi strumenti, non è stata in grado di avvolgere la Russia, di isolarla e di creare una falsa immagine di essa, anche se ci ha provato, nella mente di miliardi di persone? Come è successo?
– E poiché questo è ciò che ho appena detto, è più importante per le persone. Le persone di tutto il mondo lo sentono nel cuore. Non hanno nemmeno bisogno di spiegazioni pragmatiche per ciò che sta accadendo.
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2 marzo, 08:00
– Intende dire che, nonostante il fango di cui sopra, non è stato possibile ottenere un risultato soddisfacente?
– Sì, sì, ma anche nei loro Paesi ingannano la gente e questo ha un effetto. In molti Paesi credono che questo sia nel loro interesse, perché non vogliono avere ai loro confini un Paese enorme come la Russia – il più grande al mondo in termini di territorio, il più grande in Europa in termini di popolazione. Non una popolazione così grande nella dimensione mondiale, non paragonabile alla Cina o all’India. Ma la più grande in Europa in termini di popolazione. E ora è la quinta economia del mondo. Perché abbiamo bisogno di un tale concorrente? Pensano che no, è meglio dividerlo in tre o quattro o cinque parti, come hanno suggerito alcuni esperti americani, così sarà meglio per tutti. Procedono da questo punto di vista.
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E loro, accecati da questa – beh, una parte di queste élite occidentali, comunque – accecati dalla loro russofobia, hanno gioito quando ci hanno portato a quella linea, dopo la quale sono iniziati i nostri tentativi di fermare con la forza la guerra in Ucraina scatenata dall’Occidente dal 2014, quando siamo passati a un’operazione militare speciale. Si sono persino rallegrati, credo. Perché pensavano che ora avrebbero finito con noi, ora sotto questa raffica di sanzioni, praticamente una guerra di sanzioni dichiarata contro di noi, con l’aiuto delle armi occidentali e della guerra per mano dei nazionalisti ucraini, avrebbero finito con la Russia. Da qui è nato lo slogan: infliggere alla Russia una sconfitta strategica sul campo di battaglia.
Ma poi si è capito che era improbabile, e ancora più tardi si è capito che era impossibile. E ci si rese conto che, invece di una sconfitta strategica, ci si trovava di fronte all’impotenza. E si sono trovati di fronte all’impotenza nonostante la loro fiducia nella forza dell’onnipotenza degli Stati Uniti. Hanno affrontato l’impotenza di fronte all’unità del popolo russo, ai fondamenti del sistema finanziario ed economico russo, alla sua sostenibilità e alle crescenti capacità delle forze armate della Federazione Russa.
Путин о бессилии Запада перед единством российского народа
6:02
Ed è allora che si è cominciato a pensare – beh, quelli più intelligenti – che sarebbe stato necessario cambiare qualche tipo di strategia nei confronti della Federazione Russa. È allora che hanno cominciato a emergere idee sulla ripresa del processo negoziale, sulla ricerca di modi per porre fine a questo conflitto, sulla ricerca dei veri interessi della Russia. Tra l’altro, si tratta di persone pericolose. Perché chi è guidato da principi così bassi è più facile da combattere.
Vi ricordate cosa si diceva in Russia? La felicità di alcune persone a livello quotidiano consisteva in: “nutrito, ubriaco e con il naso nel tabacco”. Con queste persone è più facile. Nutrito, ubriaco – cioè pieno, ubriaco. Naso nel tabacco perché si usava il tabacco da fiuto. Ora il naso è nella cocaina, non è vero? Ma non importa, è più facile.
Путин об оппонентах в переговорном процессе
1:42
E con i furbi è più difficile, sono più pericolosi, perché influenzano la coscienza della società, compresa la nostra. Con il pretesto di una carota per noi, ci propineranno ogni sorta di desiderio. Lei ha già richiamato l’attenzione su questo aspetto quando ha posto una domanda sulla possibilità di un processo negoziale. Tuttavia, è qui che sono sorte le contraddizioni all’interno della comunità occidentale. È una cosa ovvia, lo vediamo. Non abbiamo intenzione di creare spaccature, lo faranno loro stessi. Ma certamente ci impegneremo affinché i nostri interessi siano rispettati.
Путин о том, с кем проще иметь дело
0:43
– Non posso fare a meno di chiedere, Vladimir Vladimirovich, questi attacchi alle regioni di Belgorod e Kursk, solo le azioni militari che si stanno svolgendo nelle nostre regioni. Si comportano in modo più sfacciato, sentono qualcosa? Da cosa è causato?
– La spiegazione è molto semplice. Tutto questo avviene in un contesto di fallimenti sulla linea di contatto, in prima linea. Non hanno raggiunto nessuno degli obiettivi che si erano prefissati l’anno scorso. Inoltre, l’iniziativa è stata completamente presa in mano dalle nostre forze armate. Tutti lo sanno, tutti lo riconoscono, credo di non dire nulla di nuovo. Ma sullo sfondo di questi fallimenti, devono dimostrare qualcosa, e l’attenzione principale dovrebbe essere rivolta al lato informativo delle cose. Sulla linea di confine dello Stato, il nemico ha cercato di attaccare innanzitutto con gruppi di sabotaggio – ecco l’ultimo rapporto dello Stato Maggiore – che hanno coinvolto fino a 300 persone, compresi mercenari stranieri. Le perdite del nemico sono state più di 200, circa 230 persone. Degli otto carri armati utilizzati, il nemico ne ha persi sette, dei nove veicoli blindati, nove, di cui sette erano Bradley di fabbricazione americana. Sono stati utilizzati anche altri veicoli blindati, ma soprattutto per portare il personale: lo portano, lo buttano fuori e se ne vanno immediatamente. Questo è il tratto di confine di Belgorod. C’è un po’ più in basso, credo, in un punto, con forze molto più piccole. Ma comunque l’obiettivo principale, non ho dubbi, è se non quello di disturbare le elezioni presidenziali in Russia, almeno quello di impedire in qualche modo il normale processo di espressione della volontà dei cittadini. Primo. Il secondo è l’effetto informativo, di cui ho già parlato. Ma la terza cosa è ottenere una possibilità, un argomento, una carta vincente in un possibile futuro processo negoziale: bene, noi vi restituiamo questo e voi ci restituite quello. Vi ho detto che le persone che sono guidate dai principi di “nutriti, ubriachi e con il naso in materiale conosciuto” sono più facili da trattare, perché potete contare su ciò che faranno. È quello che cercheranno di fare anche su altri siti. Ma lo vediamo.
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6 marzo, 08:00
– Vladimir Vladimirovich, abbiamo ricordato l’episodio in cui ha salvato dei bambini da un incendio. Dopo tutto, lei ha già dei nipoti. Che tipo di Paese vorrebbe lasciare ai suoi nipoti?
– In una prima fase dobbiamo realizzare tutto ciò che è stato detto nel discorso all’Assemblea federale di qualche giorno fa. Abbiamo grandi piani, e sono piuttosto specifici: nell’area dello sviluppo economico, nella sfera sociale, nel sostegno alla maternità, all’infanzia, alle famiglie con bambini, e nel sostegno ai pensionati. Di recente ne abbiamo parlato poco o per niente, ma stiamo facendo in modo che anche qui vengano messe in campo le risorse necessarie, tra cui l’indicizzazione delle pensioni, vari sussidi e l’assistenza a lungo termine per le persone che ne hanno bisogno. In generale, vorrei dire che le persone della generazione più anziana sono quelle grazie alle quali oggi abbiamo uno Stato e un’economia abbastanza solidi e stabili, tra le altre cose. Perché nonostante tutte le vicissitudini, le prove più difficili per l’economia negli anni ’90, essa è sopravvissuta grazie al loro eroico lavoro dopo la Grande Guerra Patriottica e durante la ripresa economica. Pertanto, non dovremmo mai dimenticare i meriti della vecchia generazione. Dovremmo sempre ricordarlo e rendergli omaggio, assicurando il loro benessere oggi. Ma il futuro è dei bambini, per cui ho già parlato di programmi nella sfera della maternità e dell’infanzia. Ma tutto questo si fa solo sulla base dell’economia. Mi aspetto che sia più tecnologica, più moderna, basata sulle moderne conquiste della scienza, della tecnologia, dell’informatica, dell’intelligenza artificiale, della robotica, della genetica e così via. La nostra agricoltura si sta sviluppando e anche lì abbiamo bisogno di tecnologie moderne. Le stiamo usando attivamente e continueremo a usarle. E naturalmente il Paese sarà autosufficiente nel garantire la propria sicurezza e difesa. Dovremo moltiplicare tutto questo insieme e il futuro sarà assicurato.
– Grazie, Vladimir Vladimirovich, la sua fiducia è contagiosa. Auguri per le sue nobili imprese.
– Grazie.
– Grazie.
* Un individuo che svolge le funzioni di agente straniero in Russia.
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Il cast può cambiare, ma lo spettacolo è lo stesso.
La scorsa settimana è arrivata la notizia che, dopo una lunga e storica carriera, Victoria Nuland si è dimessa dalla carica di sottosegretario di stato per gli affari politici presso il Dipartimento di Stato americano. Nel corso degli anni si è guadagnata la reputazione di intransigente neoconservatrice, avendo, tra gli altri ruoli, lavorato come assistente principale dell’intransigente anti-russo Strobe Talbott; come consigliere per la sicurezza nazionale del vicepresidente Dick Cheney; e come portavoce del Segretario di Stato Hillary Clinton. La reputazione di Nuland derivava in parte (e forse ingiustamente) anche dalla famiglia con cui si era sposata. Quindi c’è una comprensibile tentazione da parte dei sostenitori del realismo e della moderazione di tirare un sospiro di sollievo per la sua partenza dal servizio governativo.
Ma bisogna chiedersi: la defenestrazione figurata della Nuland ha davvero importanza?
La Nuland ha meritatamente ricevuto molte critiche ( non ultimo da chi scrive ) per aver inserito il fronte e il centro degli Stati Uniti nelle dispute geopolitiche che affliggono l’Ucraina. È opinione diffusa che prima, durante e dopo la rivoluzione Maidan, abbia guidato sia l’amministrazione Obama che quella Biden verso una linea più aggressiva di quanto fosse consigliabile. Ma questo forse gonfia la sua influenza; dopo tutto, sia Obama che Biden sono stati molto aggressivi da soli su questioni al di fuori della Russia-Ucraina; basta considerare le loro azioni in Libia, Siria, Yemen e Palestina.
Le speculazioni informate sull’importanza delle dimissioni della Nuland ci impongono di considerare almeno tre domande:
Dove viene prodotta la salsiccia? A questo proposito, l’attuale amministrazione non è molto diversa dai suoi immediati predecessori. La politica emana dal Consiglio di Sicurezza Nazionale sotto la direzione della Casa Bianca. Secondo tutti i resoconti disponibili, il consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, Jake Sullivan, è primus inter pares tra gli uomini del presidente. La quasi sublime incompetenza di Antony Blinken ha richiesto al presidente di inviare Sullivan, il direttore della CIA William Burns e l’inviato israelo-americano Amos Hochstein come emissari in delicate missioni diplomatiche. Per apprezzare la misura in cui lo Stato è stato declassato, l’estate scorsa, un membro emergente dell’establishment della politica estera, Jon Finer, è stato indicato come possibile candidato per ricoprire il ruolo di vice segretario di Stato, il numero del dipartimento due posizioni. Eppure, alla fine, è stato ritenuto troppo prezioso per lasciare la sua attuale posizione di vice consigliere per la sicurezza nazionale. In altre parole, mentre la Nuland occupava una posizione stimata all’interno della gerarchia del Dipartimento di Stato, le vere decisioni vengono prese altrove.
Cosa pensano realmente coloro che formulano le politiche? Ciò è relativamente semplice, dal momento che il presidente e il suo principale consigliere per gli affari esteri, Jake Sullivan, ce lo hanno detto ripetutamente. Intervenendo a Meet the Press alla fine di febbraio, Sullivan ha espresso il suo punto di vista secondo cui “l’Ucraina ha ancora la capacità se forniamo loro gli strumenti e le risorse di cui hanno bisogno per essere in grado di prevalere in questa guerra”. E il presidente, in un esempio quasi perfetto di quello che George F. Kennan una volta definì “emotività patriottica”, ha utilizzato il discorso sullo stato dell’Unione di giovedì scorso per paragonare Vladimir Putin, ancora una volta , ad Adolf Hitler, dichiarando: “Oltremare, la Russia di Putin è in marcia, invadendo l’Ucraina e seminando il caos in tutta Europa e oltre. Se qualcuno in questa sala pensa che Putin si fermerà all’Ucraina, vi assicuro che non lo farà. Ma l’Ucraina può fermare Putin se stiamo al suo fianco e forniamo le armi di cui ha bisogno per difendersi”. Sembra davvero probabile, quindi, che il presidente e i suoi consiglieri si ritireranno di buon grado dall’Ucraina ora che la signora Nuland se n’è andata?
Per amor di discussione, supponiamo che il Dipartimento di Stato abbia effettivamente un ruolo di primo piano nel processo di elaborazione delle politiche dell’amministrazione Biden. Cosa significano, allora, le nomine di Kurt Campbell (al lavoro ambito dalla Nuland) e di John Bass (al lavoro che la Nuland ha appena lasciato) per la politica ucraina? Ebbene, sulla base delle loro dichiarazioni e registrazioni passate, non molto. Bass, come Nuland, servì da aiutante sia a Strobe Talbott che a Dick Cheney. E Campbell, il nuovo vice segretario di Stato, ha appena tenuto un discorso a Vienna in cui ha dichiarato : “Gli Stati Uniti, i nostri alleati e partner rimangono uniti nel sostegno all’Ucraina. E, francamente, dobbiamo essere vigili e attenti a quei paesi che sostengono privatamente o silenziosamente la Russia nella sua guerra contro l’Ucraina, e ciò include la Corea del Nord e la Cina. Continueremo a denunciare i crimini di guerra e le atrocità della Russia. Non dimenticheremo la complicità della Bielorussia nella guerra della Russia”.
Alla fine, sarebbe un trionfo della speranza sull’esperienza per noi aspettarci troppo (se non altro) dalla partenza di Victoria Nuland dal servizio governativo.
Le ragioni attuali del tentennamento, di fatto l’ostracismo, delle élites europee ed europeiste ad una integrazione della Turchia nella Unione Europea sono riconducibili, anche a ragioni religiose, ma prevalentemente alla riviviscenza di stampo ottomano tesa a creare una propria area di influenza ed un campo allargato di azione in aperto conflitto con le dinamiche geopolitiche di tanti paesi europei, al peso demografico ed economico e allo spirito identitario di quel paese, alle ambizioni sull’area turcomanna. Ambizioni e politiche che potranno essere ridimensionate e ricondotte all’ordine solo nel caso improbabile di riaffermazione dell’unipolarismo statunitense o di una forma addomesticata di bipolarismo. L’uso della religione, da parte di Erdogan, aspetto comunque fondamentale della vita e dell’immaginario turco, pare soprattutto strumentale, anche se molto spesso si rischia di rimanere vittime dei propri stessi strumenti. Restano molto importanti ed interessanti, comunque, le considerazioni e le ricostruzioni del professor Sotirovic. Buona lettura, Giuseppe Germinario
La questione della minoranza alevita in Turchia e la sua identità religiosa
Introduzione
Fino ad oggi, la possibilità di organizzare un referendum nazionale sull’adesione della Turchia all’Unione Europea (UE), non ancora espressa dal Presidente della Turchia R.T. Erdoğan, ha aperto molte questioni di natura diversa, seguite da problemi vecchi e nuovi.
L’attuale preoccupazione politica europea si riflette in molte questioni controverse e una delle più importanti riguarda la decisione dell’UE di accettare o meno la Turchia come Stato membro a tutti gli effetti (è uno Stato candidato dal 1999). Da un lato, la Turchia è governata come una democrazia laica da leader politici islamici moderati, che cercano di svolgere un ruolo di ponte tra il Medio Oriente e l’Europa. Dall’altro lato, però, la Turchia è un Paese quasi al 100% musulmano con una marea crescente di radicalismo islamico (soprattutto dopo l’aggressione israeliana del 2023 a Gaza e la pulizia etnica dei palestinesi gazani), circondato da vicini con un problema simile.
Tutti coloro che si oppongono all’ammissione della Turchia nell’UE hanno due argomenti fondamentali: 1) i cittadini turchi musulmani (70 milioni) non si integreranno mai adeguatamente nell’ambiente europeo, che è prevalentemente cristiano; e 2) in caso di adesione della Turchia, si riaccenderanno gli scontri storici tra i turchi (ottomani) e i cristiani europei. In questa sede faremo riferimento solo a una dichiarazione contro l’adesione della Turchia: “significherebbe la fine dell’Europa” (ex presidente francese Valéry Giscard d’Estaing) – una dichiarazione che riflette chiaramente l’opinione dell’80% degli europei intervistati nel 2009, secondo cui l’ammissione della Turchia all’UE non sarebbe una buona cosa. Allo stesso tempo, solo il 32% dei cittadini turchi ha un’opinione favorevole dell’UE e, pertanto, è molto probabile che il processo di ammissione, per il quale sono stati avviati negoziati formali e rigorosi già nel 2005, sia definitivamente interrotto.
Fondamentalismo islamico e ammissione della Turchia all’UE
La questione dell’ammissione della Turchia all’UE è vista dalla maggioranza degli europei attraverso la lente del fondamentalismo islamico come una delle sfide più gravi alla stabilità e soprattutto all’identità europea, che si basa principalmente sui valori e sulla tradizione cristiana. Il fondamentalismo islamico è inteso come un tentativo di minare le pratiche statali esistenti per la stessa ragione per cui i musulmani militanti (come ISIS/ISIL/DAESH) combattono per ristabilire il Califfato islamico medievale e l’istituzione di un’autorità teocratica sulla comunità islamica globale – la Umma. Tuttavia, il fondamentalismo religioso si è imposto per la prima volta all’attenzione della parte occidentale della comunità internazionale nel 1979, quando in Iran una monarchia assoluta filoamericana è stata sostituita da una semi-teocrazia musulmana sciita (Shiia) antiamericana. In altre parole, i chierici musulmani sciiti iraniani, che erano sempre stati i leader spirituali degli iraniani, divennero ora anche i loro leader politici. La rivoluzione islamica iraniana del 1979 ha fatto pensare a possibili rivolte simili in altre società musulmane, seguite da azioni preventive contro di esse da parte di altri governi.
Lo scenario più pericoloso per la Turchia, dal punto di vista europeo, in caso di fallimento dei negoziati di adesione, è probabilmente quello di una virata turca verso il mondo musulmano, seguita da un’influenza crescente del fondamentalismo islamico che può essere adeguatamente controllata dall’UE se la Turchia diventa uno Stato membro del club? Questo è, probabilmente, il fattore di “sicurezza” più importante da notare per quanto riguarda le relazioni UE-Turchia e i negoziati di adesione. In particolare, dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre (a Washington e New York), è diventato sempre più chiaro che era meglio avere la Turchia (islamica) all’interno dell’UE piuttosto che come parte di un blocco anti-occidentale di Stati musulmani.
In generale, per i governi occidentali e soprattutto per le amministrazioni statunitense e israeliana, i musulmani sciiti sono stati considerati, dopo la rivoluzione islamica (sciita) iraniana del 1979, come i più potenziali fondamentalisti islamici e terroristi religiosi. Pertanto, l’oppressione delle minoranze sciite da parte delle maggioranze sunnite in diversi Paesi musulmani non viene deliberatamente registrata e criticata dai governi occidentali. Il caso degli Alevi in Turchia è uno dei migliori esempi di questa politica. Tuttavia, allo stesso tempo, l’amministrazione dell’UE sta prestando la massima attenzione alla questione curda in Turchia, richiedendo persino il riconoscimento dei curdi da parte del governo turco come minoranza etnoculturale (diversa dall’etnia turca). Perché gli Aleviti sono discriminati da questo punto di vista dalla politica dell’UE sulle minoranze in Turchia? La risposta è che i curdi sono musulmani sunniti, mentre gli aleviti sono considerati una fazione turca della comunità musulmana sciita (militante) all’interno del mondo islamico.
Nei prossimi paragrafi, vorrei fare maggiore chiarezza sulla questione di chi sono gli Alevi e di cosa sia l’Alevismo come identità religiosa, tenendo conto del fatto che la religione, senza dubbio, è diventata sempre più importante sia negli studi che nella pratica delle relazioni internazionali e della politica globale. Dobbiamo anche tenere presente che l’identità religiosa è stata predominante rispetto alle identità nazionali o etniche per diversi secoli, essendo in molti casi la causa cruciale dei conflitti politici.
Che cos’è l’alevismo?
Gli Alevi sono quei musulmani che credono nell’Alevismo, che è, di fatto, una setta o una forma di Islam. Soprattutto in Turchia, l’alevismo è una seconda setta comune dell’Islam. Il numero di Aleviti si aggira tra i 10-15 milioni. Il nome della setta deriva dal termine Alevi che significa “seguace di Ali”. Alcuni esperti di studi islamici sostengono che l’alevismo sia un ramo dello sciismo (Islam sciita), ma, di fatto, la umma alevita non è omogenea e l’alevismo non può essere compreso senza un’altra setta islamica – il bektashismo. Ciononostante, la cultura alevita ha prodotto molti poeti e canzoni popolari, oltre al fatto che il popolo alevita sta affrontando molti problemi di vita quotidiana per vivere secondo il proprio credo nell’Islam.
Gli Aleviti (turco: Aleviler o Alevilik; curdo: Elewî) sono una comunità religiosa, sub-etnica e culturale turca che rappresenta allo stesso tempo la più grande setta dell’Islam in Turchia. L’alevismo è una forma di misticismo islamico o sufismo che crede in un unico Dio accettando Maometto come Profeta e il Sacro Corano. Il popolo alevita ama l’Ehlibeyt – la famiglia del Profeta Muhammad -, unificare la preghiera e la supplica, pregare nella propria lingua, preferire la persona libera anziché la Umma (comunità musulmana), preferire l’amore per Dio anziché il timore di Dio, superare la Sharia raggiungendo il mondo reale, credere alla genuinità del Sacro Corano anziché alla rasatura. L’Alevismo ha trovato la sua cura nell’amore umano; essi credono che le persone siano immortali perché una persona è manifestata da Dio. Donne e uomini pregano insieme, nella loro lingua, con la loro musica che viene suonata via bağlama, con il semah. L’alevismo è un insieme di credenze che dipende dalle regole dell’Islam che si basano sul Sacro Corano, secondo gli ordini di Maometto; interpretando l’Islam con una dimensione universale, apre nuove porte ai popoli della terra. Il sistema di credenze degli Aleviti è islamico con una tripletta composta da Allah, Maometto e Ali.
Ci sono molte argomentazioni forti sul rapporto tra alevismo e sciismo. Alcuni ricercatori affermano che l’alevismo è una forma di sciismo, mentre altri sostengono che l’alevismo è settario. Dobbiamo tenere presente che lo sciismo è il secondo tipo di Islam diffuso nel mondo dopo il sunnismo. Si tratta di un ramo dell’Islam che viene chiamato Partito di Ali per il motivo che riconosce la pretesa di Ali di succedere a suo cugino e suocero, il Profeta Maometto, come leader spirituale dell’Islam durante la prima guerra civile nel mondo islamico (656-661). Nella maggior parte dei Paesi islamici i sunniti sono in maggioranza, ma gli sciiti comprendono circa 80 milioni di fedeli, ovvero circa il 13% di tutti i musulmani del mondo. Gli sciiti sono predominanti in tre Paesi: Iran, Iraq ed Emirati Arabi Uniti. Tuttavia, l’alevismo non può essere inteso come identico al sufismo, che è l’aspetto mistico dell’Islam sorto come reazione alla rigida ortodossia religiosa. I sufi cercano l’unione personale con Dio e i loro omologhi cristiano-ortodossi nel Medioevo erano i bogumil.
Indubbiamente, l’alevismo ha alcuni temi simili a quelli dello sciismo ma, allo stesso tempo, ci sono molte differenze per quanto riguarda la pratica generale dell’Islam. Tuttavia, in alcuni testi occidentali, l’alevismo viene presentato come un ramo dello sciismo o, più specificamente, come una via turca o ottomana dello sciismo.
Scissione all’interno dei musulmani
Dobbiamo tenere presente che l’espansione islamica nel VII e nell’VIII secolo è stata accompagnata da conflitti politici che hanno fatto seguito alla morte del Profeta Maometto, e la questione di chi abbia il diritto di succedergli sta dividendo il mondo musulmano ancora oggi. In altre parole, alla morte del Profeta fu scelto un califfo (successore) per governare tutti i musulmani. Tuttavia, poiché il califfo non aveva l’autorità profetica, godeva di un potere secolare ma non di un’autorità nella dottrina religiosa. Il primo califfo fu Abu Bakr, che insieme ai suoi tre successori è considerato il califfo “giustamente guidato” (o ortodosso). Essi governarono secondo il Corano e le pratiche del Profeta, ma in seguito l’Islam si divise in due rami antagonisti: Sunniti e Sciiti.
La divisione tra sunniti e sciiti ebbe inizio quando Ali ibn Abi Talib (599-661), genero ed erede di Maometto, assunse il califfato dopo l’assassinio del suo predecessore Uthman (574-656). La guerra civile si concluse con la sconfitta di Ali e la vittoria del cugino di Uthman e governatore di Damasco, Mu’awiya Ummayad (602-680) dopo la battaglia di Suffin. Tuttavia, quei musulmani (come gli aleviti, ad esempio) che sostenevano che Ali fosse il legittimo califfo presero il nome di Shiat Ali – i “Partigiani di Ali”. Essi ritengono che Ali sia stato l’ultimo califfo legittimo e che, pertanto, il califfato debba passare solo a coloro che sono discendenti diretti del Profeta Maometto attraverso sua figlia Fatima e Ali, suo marito. Il figlio di Ali, Hussein (626-680), rivendicò il Califfato, ma gli Ummayadi lo uccisero insieme ai suoi seguaci nella battaglia di Karbala nel 680. Questa città, oggi nell’Iraq contemporaneo, è il luogo più sacro per i musulmani sciiti (sciismo). Nonostante il fatto che la linea familiare del Profeta Maometto si sia conclusa nell’873, i musulmani sciiti credono che l’ultimo discendente di Maometto non sia morto, poiché è piuttosto “nascosto” e tornerà. Queste interpretazioni sciite di base della storia dell’Islam sono seguite dal popolo alevita e, pertanto, molti ricercatori considerano l’alevismo semplicemente come una fazione dello sciismo.
Il ramo dominante dell’Islam è quello sunnita. I musulmani sunniti, a differenza dei loro avversari sciiti, non chiedono che il califfo sia un discendente diretto del Profeta Maometto. Accettano anche le usanze tribali arabe nel governo. Secondo il loro punto di vista, la leadership politica è nelle mani della comunità musulmana in quanto tale. Tuttavia, di fatto, il potere religioso e politico dell’Islam non fu mai più unito in una comunità politica dopo la morte del quarto califfo.
L’alevismo nell’Islam
Gli aleviti credono in un unico Dio, Allah, e quindi l’alevismo, come forma di Islam, è una religione monoteista. Come tutti gli altri musulmani, gli aleviti comprendono che Dio è in ogni cosa che circonda la natura. È importante notare che ci sono aleviti che credono negli spiriti buoni e cattivi (e in una sorta di angeli) e, quindi, spesso praticano la superstizione per trarre beneficio da quelli buoni ed evitare danni da quelli cattivi. Per questo motivo, per molti musulmani l’alevismo non è un vero e proprio Islam, ma piuttosto una forma di paganesimo intriso di cristianesimo. Tuttavia, la maggioranza degli aleviti non crede in questi esseri soprannaturali, affermando che si tratta di un’espressione del satanismo.
L’essenza dell’alevismo sta nel fatto che gli aleviti credono che, secondo il testo originale del Corano, Ali, cugino e genero di Maometto, doveva essere il successore del Profeta come vice-reggente di Dio sulla terra o califfo. Tuttavia, essi sostengono che le parti del Corano originale relative ad Ali sono state eliminate dai suoi rivali. Secondo gli aleviti, il Corano, in quanto libro sacro fondamentale per tutti i musulmani, deve essere interpretato esotericamente. Per loro, nel Corano ci sono verità spirituali molto più profonde delle rigide regole e norme che appaiono sulla superficie laterale. Tuttavia, la maggior parte degli scrittori aleviti cita singoli versetti coranici come appello all’autorità per sostenere il proprio punto di vista su un determinato argomento o per giustificare una certa tradizione religiosa alevita. Gli aleviti in genere promuovono la lettura del Corano piuttosto in lingua turca che in arabo, sottolineando che è di fondamentale importanza per una persona capire esattamente ciò che sta leggendo, cosa che non è possibile se il Corano viene letto in arabo. Tuttavia, molti aleviti non leggono il Corano o altri libri sacri, né basano le loro credenze e pratiche quotidiane su di essi, poiché considerano questi libri antichi irrilevanti al giorno d’oggi.
Gli aleviti leggono tre libri diversi. Se secondo loro non c’è un’informazione corretta nel Corano, poiché i sunniti hanno corrotto le parole autentiche di Maometto, è necessario rivelare i messaggi originali del Profeta attraverso letture alternative. Pertanto, i credenti aleviti si rivolgono (1) al Nahjul Balagha, le tradizioni e i detti di Ali; (2) ai Buyruk, le raccolte di dottrina e pratiche di diversi dei 12 imam, in particolare di Cafer; e (3) ai Vilayetnameler o ai Menakıbnameler, libri che descrivono eventi della vita di grandi aleviti come Haji Bektash. Oltre a questi libri fondamentali, ci sono alcune fonti speciali che partecipano alla creazione della teologia alevita, come i poeti-musicisti Yunus Emre (13-14° secolo), Kaygusuz Abdal (15° secolo) e Pir Sultan Abdal (16° secolo).
Il fondamento dell’alevismo è l’amore per il Profeta e l’Ehlibeyt. I dodici Imam sono glorificati come divinità dagli aleviti. In attesa della ricomparsa dell’ultimo Imam (capo religioso musulmano), i musulmani sciiti hanno istituito un consiglio speciale composto da 12 studiosi religiosi (Ulema) che eleggono un Imam supremo. Ad esempio, l’Ayatollah (“Uomo Santo”) Ruhollah Khomeini (1900-1989) godeva di questo status in Iran. La maggior parte degli aleviti crede che il 12° Imam, Muhammed Mehdi, sia cresciuto in segreto per essere salvato da coloro che volevano sterminare la famiglia di Ali. Molti aleviti credono che Mehdi sia ancora vivo e/o che un giorno tornerà sulla terra. Secondo gli aleviti, Ali era il successore previsto di Muhammed, e quindi il primo califfo, ma i concorrenti gli hanno sottratto questo diritto. Muhammed intendeva che la guida di tutti i musulmani derivasse perennemente dalla sua linea familiare (Ehli Beyt), a partire da Ali, Fatima e i loro due figli, Hasan e Hüseyin. Ali, Hasan e Hüseyin sono considerati i primi tre Imam, mentre gli altri nove dei 12 Imam provengono dalla linea di Hüseyin. Per ricordare, i nomi e le date approssimative di nascita e morte dei 12 Imam sono:
İmam Ali (599-661)
İmam Hasan (624-670)
İmam Hüseyin (625-680)
İmam Zeynel Abidin (659-713)
İmam Muhammed Bakır (676-734)
İmam Cafer-i Sadık (699-766)
İmam Musa Kâzım (745-799)
İmam Ali Rıza (765-818)
İmam Muhammed Taki (810-835)
İmam Ali Naki (827-868)
İmam Hasan Askeri (846-874)
İmam Muhammed Mehdi (869-941).
Per gli aleviti, essere una persona veramente buona è una parte inalienabile della loro filosofia di vita. È importante notare che gli Aleviti non si rivolgono alla Pietra Nera (Kaaba) che si trova alla Mecca, nell’Arabia Saudita sunnita, e, come è noto, i membri della comunità musulmana devono visitarla per il Hajj almeno una volta nella vita. Il primo digiuno degli aleviti non è nel Ramadan, ma nel mese di Muharram e dura 12 giorni, non 30. Il secondo digiuno per loro è dopo la Festa del Sacrificio per 20 giorni e un altro è il digiuno Hizir. Nell’Islam c’è una regola per cui se una persona ha abbastanza soldi, dovrebbe donare a un povero una somma specifica, ma gli aleviti preferiscono donare denaro alle organizzazioni alevite e non ai singoli. Poiché non si recano alla Mecca per il Hajj, visitano alcuni mausolei, come quello di Haji Bektaş (a Kırşehir), Abdal Musa (nel villaggio di Tekke, Elmalı, Antalya), Şahkulu Sultan (a Merdivenköy, İstanbul), Karacaahmet Sultan (a Üsküdar, İstanbul) o Seyit Gazi (a Eskişehir).
Bektashismo
Haji Bektash (Bektaş) Wali era un turkmeno nato in Iran. Dopo essersi laureato, si era trasferito in Anatolia. Educò molti studenti e lui e i suoi studenti prestarono molti servizi religiosi, economici, sociali e marziali ad Ahi Teşkilatı. Haji Bektash iniziò gradualmente ad essere popolare tra il distaccamento militare d’élite ottomano – i giannizzeri. Tuttavia, egli non era di origine alevita, ma adottò le regole dei credenti aleviti nella sua vita personale. Questa setta, o forma di Islam, fu fondata nel nome di Haji Bektash Wali i cui membri dipendono dall’amore di Ali e di dodici imam. Il Bektashismo era popolare in Anatolia e nei Balcani (soprattutto in Bosnia-Erzegovina e in Albania) ed è vivo ancora oggi.
Nel corso del tempo, il Bektashismo si è perfezionato prendendo alcune caratteristiche delle vecchie credenze dell’Anatolia e della cultura turca. Tuttavia, il Bektashismo è la parte più importante dell’Alevismo, poiché molte regole del Bektashismo sono incorporate nell’Alevismo. Per i credenti aleviti, il mausoleo di Haji Bektash Wali a Nevşehir, in Anatolia, è un punto importante del pellegrinaggio. Infine, in Turchia, il Bektashismo e l’Alevismo non possono essere trattati come concetti diversi della teologia islamica.
Problemi e difficoltà degli aleviti nella storia ottomana e in Turchia
Quando lo Stato ottomano fu fondato alla fine del XIII secolo e all’inizio del XIV secolo, non vi erano frizioni settarie all’interno dell’Islam. A quel tempo, gli aleviti occupavano molte poltrone nelle istituzioni statali. I giannizzeri (in origine la guardia del corpo del Sultano) erano membri del Bektashismo, il che significa che anche il Sultano tollerava pienamente questo modo di interpretare il Corano e la prima storia dell’Islam. Tuttavia, quando lo Stato ottomano fu coinvolto nel processo di trasformazione imperialistica con l’annessione di province e Stati circostanti, il sunnismo divenne sempre più importante perché i musulmani sunniti stavano diventando una netta maggioranza del Sultanato ottomano e, quindi, il sunnismo era molto più utile per l’amministrazione statale e il sistema di governo. Lo Stato ottomano fu coinvolto a est nella catena di conflitti con l’Impero Safavide (Persia, oggi Iran, 1502-1722) – un Paese con una netta maggioranza di musulmani che esprimevano lo sciismo, una forma di Islam molto simile all’alevismo. Il gruppo Alevi, che si lamentava di essere più sunnita nel Sultanato ottomano, divenne simpatizzante dello scià safavide İsmail I (1501-1524) e del suo Stato, che si basava sull’alevismo. L’astio tra gli aleviti ottomani e le autorità ottomane divenne più evidente nel 1514, quando il sultano ottomano Selim I (1512-1520) giustiziò circa 40.000 aleviti insieme al popolo curdo durante la decisiva battaglia di Chaldiran (23 agosto) in Iran contro lo scià Ismail I. Fino alla fine del Sultanato ottomano, nel 1923, gli aleviti sono stati oppressi dalle autorità in quanto credenti settari che non si adattavano alla teologia ufficiale sunnita dell’Islam.
Dopo la fine dell’Impero Ottomano, nel 1923, gli aleviti sono stati accolti con gioia nei primi anni della nuova Repubblica di Turchia, che proclamava dichiaratamente la segregazione della religione dallo Stato, il che significava in pratica che non esisteva alcuna religione di Stato ufficiale nel Paese. La popolazione alevita della Turchia ha appoggiato la maggior parte delle riforme con la speranza di migliorare il proprio status sociale. Tuttavia, dopo i primi anni del nuovo Stato, hanno iniziato a sperimentare alcune difficoltà in quanto, di fatto, minoranza religiosa. Gli anni Sessanta furono molto importanti per la società turca per almeno tre motivi: (1) l’inizio dell’immigrazione dalle aree rurali a quelle urbane in seguito a un nuovo processo di industrializzazione; (2) l’immigrazione all’estero, soprattutto verso la Germania occidentale, in base all’accordo turco-tedesco, il cosiddetto Gastarbeiter Agreement; (3) un’ulteriore democratizzazione della vita politica. Di conseguenza, nel 1966 gli aleviti hanno fondato un proprio partito politico, il Birlik Partisi (Partito dell’Unità). Nel 1969, gli aleviti, in quanto gruppo minoritario, hanno inviato otto membri al Parlamento in base ai risultati delle elezioni parlamentari. Tuttavia, nel 1973, il partito aveva inviato solo un membro al Parlamento e infine, nel 1977, aveva perso la sua efficienza. Nel 1978, a Maraş e nel 1980, a Çorum, centinaia di aleviti sono stati uccisi come conseguenza del conflitto con la popolazione a maggioranza sunnita, ma il più noto massacro alevita è avvenuto nel 1993, il 2 luglio, a Sivas, quando 35 intellettuali aleviti sono stati uccisi nell’hotel Madimak da un gruppo di fondamentalisti religiosi.
Indubbiamente, i credenti aleviti devono affrontare ancora oggi molti problemi in Turchia in relazione alla libertà di espressione religiosa e al riconoscimento come gruppo culturale separato. Ad esempio, i programmi di studio religiosi non contengono informazioni sull’alevismo, ma solo sul sunnismo, il che significa che l’alevismo non viene studiato regolarmente in Turchia. L’Alevismo è profondamente ignorato dall’amministrazione turca, ad esempio dalla Presidenza degli Affari Religiosi (nata nel 1924), un’istituzione che si occupa di questioni e problemi religiosi ma che, in pratica, opera secondo le regole dell’Islam sunnita. D’altro canto, però, la vita culturale alevita è migliorata, ad esempio con l’apertura di molte fondazioni e di altre istituzioni pubbliche civiche che la sostengono. Tuttavia, gli aleviti, come i curdi, non sono riconosciuti come gruppo etnoculturale o religioso separato in Turchia a causa della concezione turca di nazione (millet) ereditata dal Sultanato ottomano, secondo la quale tutti i musulmani in Turchia sono trattati come turchi etnolinguistici. La situazione può essere modificata dal momento che la Turchia sta cercando di aderire all’UE e, pertanto, devono essere accettati alcuni requisiti dell’UE, tra cui la concessione di diritti di minoranza per gli aleviti e i curdi.
Conclusioni
L’alevismo è una setta dell’Islam che presenta molti punti in comune con lo sciismo. Tuttavia, non si può dire che faccia parte dell’islam sciita nel suo complesso. La cultura alevita ha un ricco patrimonio di poesie e musicisti grazie al loro stile di culto. In Anatolia, il Bektashismo è solitamente collegato all’Alevismo.
Il popolo alevita ha vissuto nel Sultanato ottomano e nella successiva Repubblica di Turchia con problemi, poiché la sua religione non si adattava all’espressione ufficiale dell’Islam (sunnita).
Oggi gli aleviti in Turchia lottano per essere rispettati come gruppo religioso-culturale separato che può manifestare liberamente il proprio stile di vita peculiare. Di fatto, il popolo alevita non ha potuto esprimersi liberamente per secoli, compresa l’attuale Turchia, che dovrebbe imparare a praticare sia i diritti delle minoranze che la democrazia.
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Le tesi di Uriel Araujo, esposte nel suo articolo, ma particolarmente diffuse nell’area del dissenso qui in Italia, ma anche nel movimento dei BRICS, sono particolarmente significative su almeno quattro aspetti:
ha certamente ragione quando sottolinea l’ingenuità di quelle componenti che vedono in Trump, in particolare nella sua passata ed eventualmente prossima amministrazione, il salvatore delle patrie altrui, il sostenitore ed il fiero paladino del multipolarismo e dell’isolazionismo. Trump è espressione rigorosamente statunitense e sintesi particolarmente conflittuale di due componenti, una delle quali più presente tra i centri decisori, l’altra più radicata nel movimento popolare a loro supporto e condizionamento di questi e dell’emersione di nuove élites decisorie. Al meglio Trump, tutto dipende da come si evolverà il confronto interno alla sua compagine, potrà prendere atto dell’affermazione del multipolarismo, piuttosto che di un bipolarismo dai rapporti di forza squilibrati e propugnerà un confronto più improntato alla attività diplomatica, corroborata da esibizione di forza puntuale e dosata, piuttosto che ad un improbabile isolazionismo o ad un uso generalizzato e destabilizzante della forza e delle attività sovversive. È, per altro, il filo logico che ha percorso le intenzioni e in parte la condotta pratica della passata presidenza di Trump e che, probabilmente, percorrerà quella futura, sempre che riesca in qualche maniera, a dispetto dei malintenzionati, a conseguirla. Si vedrà allora, a sua volta, con quale coerenza.
ha torto, gravemente torto, a parere dello scrivente, quando definisce in maniera univoca ed unidirezionale il rapporto tra centri decisori, specie quelli presenti e annidati nei settori cruciali dello Stato e la compagine di Governo. Nella fattispecie degli Stati Uniti tra i centri decisori presenti in particolare nelle centrali di intelligence, negli apparati militari e nel complesso militare-industriale-finanziario e la compagine governativa. Ha torto per vari motivi, tra i quali due essenziali: 1- la funzione del Governo e della sua compagine amministrativa non è solo e puramente di immagine e di offerta di un volto presentabile a centri decisori “occulti”. Ha il compito di regolare la circolazione, l’esecuzione, l’accettazione e la pervasività delle decisioni dei centri decisori nel rapporto circolare che si determina tra vertici e base popolare ed intermedia e che si dirama partendo e ritornando solitamente ai vertici 2- riveste, o quanto meno contribuisce a rivestire in maniera determinante, una funzione di sintesi politica e di coerenza delle azioni conseguenti nella gestione dei rapporti di cooperazione/conflitto tra centri decisori all’opera nei vari apparati. Su questo aspetto, Nicos Poulantzas, Louis Althusser e Theda Skocpol, negli anni 70/80, pur non arrivando alla distinzione tra funzione degli apparati e azione dei centri decisori all’interno di essi, esplicitati successivamente ad esempio in Italia dal professor Gianfranco La Grassa, hanno comunque scritto pagine egregie di segnalazione e denuncia degli scompensi e delle fibrillazioni e, in fase acuta o di incancrenimento, eventualmente dei punti di crisi acuta e di dissesto che si creano nel funzionamento dello stato quando parte di questi apparati si atrofizzano, si destabilizzano o si dissociano dagli orientamenti e dall’azione comune e di sintesi a seguito di dinamiche interne ed esterne sfuggite al controllo sino, a volte, a creare condizioni di rivolgimento rivoluzionario
Arajuio, ma non è purtroppo il solo, ha torto, quindi, nel presentare l’azione politica di Trump assimilandola e uniformandola in un unico coacervo a quella della Amministrazione e governo di Trump. A corroborare la propria tesi Arajuio adduce numerosi esempi che in realtà offrono il destro a interpretazioni opposte. Cita l’episodio gravissimo dell’assassinio del generale iraniano Suleimani, ma ignora il fatto che fu una reazione all’atteggiamento gradasso e troppo spregiudicato della dirigenza iraniana nell’assalto all’ambasciata statunitense a Bagdad e dell’umiliazione legata all’ostentazione televisiva dei marinai americani fatti prigionieri e liberati dopo un attacco ad una unità navale della flotta del Golfo Persico sino a scatenare l’istinto di vendetta tra le truppe del quale si era fatto espressione il Generale Flynn ed abile profittatore Pompeo. Atteggiamento che, di fatti, la dirigenza iraniana si è guardata bene dal ripetere in un contesto geopolitico successivo, per altro, ad essa ben più favorevole. Lo stesso Trump, nelle more, è stato colui che, con un atto di imperio, ha bloccato la missione degli aerei ormai in volo, su ordine del suo Segretario Pompeo, per bombardare l’Iran. Lo stesso dicasi per l’analogo contrasto alla decisione di Pompeo di eliminare fisicamente Maduro, in Venezuela e creare una situazione di golpe e di guerra civile; e ancora della citazione del bombardamento, come azione guerrafondaia piuttosto che atto simbolico e senza vittime, di una base siriana dell’esercito di Assad a seguito della montatura dello scandalo dell’uso di gas tossici. Quanto all’atteggiamento bellicoso nei confronti della Cina, l’impostazione originaria di Trump, diversa da quella di parte della sua amministrazione, è stato quello di un confronto duro, ma di carattere diplomatico e prettamente rivolto agli aspetti economici delle relazioni sino-statunitensi. Sulla successiva e progressiva prevalenza della componente più propensa ad un confronto militarista, per altro in combutta sempre più sodale e saldata con la componente di confronto aggressivo e destabilizzante dell’integrità della Russia, ha per altro influito la probabile illusione della dirigenza cinese di poter procrastinare le dinamiche di globalizzazioni sino a quel momento a lei così favorevoli. Illusione resa verosimile dall’atteggiamento più comprensivo manifestato inizialmente nei confronti di Biden e della sua componente demo-neoconservatrice. Quanto all’approccio con la dirigenza russa e all’ostilità crescente con la Russia il discorso è troppo complesso per essere affrontato compiutamente in questa chiosa. Va sottolineato, però, che i centri decisori della NATO, i nuclei decisori rappresentati dal quartetto Nuland, Kagan, Blinken, Sullivan e dei quali fanno parte a pieno titolo la quasi interezza delle élites europee ed europeiste in una particolare scala gerarchica, hanno avuto, durante la Presidenza Trump, un ruolo del tutto autonomo e proattivo sia nel condurre la propria politica russofoba, sia nel sabotare ed infiltrare ulteriormente l’amministrazione presidenziale. Quanto si sta muovendo attualmente in casa Europa non fa che presagire e confermare per il futuro tale attivismo. Nelle more, le recenti annunciate dimissioni di Nuland dalla sua carica, rappresentano certamente una presa d’atto della situazione vacillante in Ucraina, ma potrebbero nel contempo rappresentare un nuovo riconoscimento delle sue note capacità di destabilizzatrice e di fomentatrice di “rivoluzioni colorate” questa volta ad uso interno agli Stati Uniti, in previsione di una nuova presidenza di Trump e della necessità di distrugger, una volta per tutte il movimento MAGA. Queste sono, infatti, le voci ricorrenti in Europa e, soprattutto, negli Stati Uniti.
Araujo sbaglia, quindi e a mio parere, nel presentare l’azione dell’amministrazione di Trump come una serie di atti coerenti, piuttosto che contraddittori, legati alle vicende interne e antitetiche della sua compagine e al conflitto cruentemente ostile, ma sordo con la compagine neocon ancora presente nel Partito Repubblicano ed esplicito con quella neocon-democratica esterna molto ben rappresentate tra i centri decisori e radicati nella società statunitense. Va ricordato, tra l’altro, che il movimento MAGA e Trump non sono riusciti ancora ad assumere il controllo del comitato del Partito Repubblicano che gestisce i fondi, non ostante il crescente radicamento popolare e la presenza sempre più pervasiva negli apparati degli stati federali. Tutto questo a prescindere dalle capacità indubbie, ma anche dalla evidente inadeguatezza sulle motivazioni e sui tanti aspetti delle scelte di Trump. Non a caso il comitato promotore della prima candidatura di Trump, che avrebbe dovuto supportarlo auspicabilmente nell’azione presidenziale, si sciolse a pochi mesi dal suo insediamento e si dissolse dopo la defenestrazione di Flynn da Segretario di Stato.
Non si tratta, quindi, di adottare un atteggiamento falsamente disincantato o partigiano verso un possibile “Podestà Straniero” più o meno benevolo. Atteggiamento, purtroppo, particolarmente diffuso in ambienti così immaturi politicamente come quelli cosiddetti “sovranisti” in Europa, ma presenti anche nei pochi livelli decisori più elevati diffusi nel mondo.
Al contrario si tratterebbe di valutare come l’azione di forze politiche mature, eventualmente presenti in Europa e soprattutto in Italia, visto che qui viviamo e siamo presenti, può approfittare delle contraddizioni e dell’aspro conflitto politico nel paese egemone e contribuire in qualche misura, mi si perdoni il velleitarismo, a determinare l’esito di quello scontro.
La forza e la chiarezza di intenti del movimento MAGA, solo parte delle componenti che sostengono, tollerano o prendono atto del ritorno di Trump e, possibilmente, dell’ascesa di nuovi leader più capaci, sono i fattori in grado di cambiare gli equilibri tra i centri decisori del paese egemone e la formazione di nuovi centri basati su nuove componenti e nuove gerarchie sociali, politiche ed economiche.
Al contrario si tratta di comprendere che solo da un rivoluzionamento e da una destabilizzazione della situazione negli Stati Uniti potranno nascere, assieme ai rischi intrinseci, le condizioni oggettive di una riduzione della presa sul nostro continente e sull’Italia e di una acquisizione di maggiore autonomia, di indipendenza e potenza politica.
Condizioni oggettive, appunto. Quanto a quelle soggettive, ancora più determinanti, quanto, allo stato, scoraggianti, saranno il parametro indispensabile in grado di discernere tra un élite e una classe dirigente in cerca di nuovi padroni cui asservirsi ed una con ambizioni di autonomia in grado di costruire e ricostruire un blocco sociale, una formazione sociale ed uno stato coesi, dinamici, equilibrati e più equi. Un blocco sociale nel quale dovranno trovare posto tutte le figure sociali, ma con pesi e gerarchie diverse.
Per finire, come sottolinea giustamente Urie, ci sono dei limiti nell’efficacia dell’azione di un Presidente, per quanto influente come quello statunitense, sia in politica estera che interna, contano sempre più le dinamiche geopolitiche e le forze esterne al paese, pesano i centri decisori interni, ma i suoi atti non possono essere semplicemente ridotti a pure rappresentazioni scenografiche e semplici espressioni eterodirette. Giuseppe Germinario
Uriel Araujo, ricercatore specializzato in conflitti internazionali ed etnici
L’accademico indiano Pratap Bhanu Mehta, ex presidente del Center for Policy Research, scrive che un’elezione di Trump rappresenterebbe una minaccia per la democrazia negli Stati Uniti. Altri esperti hanno sostenuto che Trump potrebbe mettere in pericolo la NATO e riportare indietro l’isolazionismo americano. Le cose potrebbero non essere così semplici, però.
Come ho scritto di recente, oltre alla tanto discussa questione dell’allargamento della NATO, bisogna considerare anche l’espansione della famigerata Central Intelligence Agency (CIA) statunitense: secondo un recente articolo del New York Time, negli ultimi dieci anni l’Agenzia ha sostenuto un La “rete di basi di spionaggio” in Ucraina, che comprende “12 luoghi segreti lungo il confine russo” e una “partnership segreta di intelligence”, ha trasformato il Paese in “uno dei più importanti partner di intelligence di Washington contro il Cremlino”. Commentando ciò , Mark Episkopos, ricercatore sull’Eurasia presso il Quincy Institute for Responsible Statecraft, sottolinea il fatto che tale partnership tra CIA e Ucraina in realtà “si è approfondita sotto l’amministrazione Trump, smentendo ancora una volta l’idea infondata secondo cui l’ex presidente Trump era in qualche modo incline agli interessi della Russia mentre era in carica”.
Inoltre, nel dicembre 2017 l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha venduto a Kiev armi “difensive” che, secondo il professore di scienze politiche dell’Università di Chicago John Mearsheimer, “certamente sembravano offensive per Mosca e i suoi alleati nella regione del Donbas”. Naturalmente, i legami ucraino-americani sono cresciuti sotto il presidente in carica degli Stati Uniti Joe Biden, con le provocazioni dell’Operazione Sea Breeze del 2021, la Carta USA-Ucraina sul partenariato strategico dello stesso anno, e molto altro ancora, fino alla crisi odierna. Il punto, tuttavia, è che, sebbene meno palesemente ostile a Mosca (in alcune aree), sarebbe inesatto descrivere la precedente presidenza Trump come qualcosa di lontanamente simile a un’amministrazione “filo-russa”.
È vero che il mese scorso, parlando a una manifestazione, Trump ha affermato di aver detto una volta a un anonimo alleato della NATO che, in qualità di presidente, non avrebbe difeso gli alleati che non rispettassero gli obblighi di spesa per la difesa dell’Alleanza. Secondo lui stesso ha detto: “Non hai pagato? Sei delinquente? No, non ti proteggerei. In effetti, li incoraggerei a fare quello che diavolo vogliono. Devi pagare. Devi pagare le bollette. Questo tipo di retorica, tuttavia, tipico dello stile dell’ex presidente, dovrebbe piuttosto essere interpretato come retorica pre-elettorale per infiammare la sua base – oltre che come una valida critica, dal punto di vista americano, del fatto che la maggior parte dei paesi della NATO non non riescono a raggiungere l’obiettivo di spesa concordato di utilizzare almeno il 2% del loro PIL in spese militari.
Ciò ovviamente sovraccarica Washington, a scapito dei suoi contribuenti. Il punto (retorico) di Trump è stato denunciato da molti come una seria minaccia di lasciare che la Russia “conquisti” gran parte dell’Europa. Nel mondo reale, però, Mosca non ha alcun obiettivo di conquistare l’Ucraina (come vi dirà qualsiasi esperto serio – le sue preoccupazioni principali riguardano l’allargamento della NATO), tanto meno alcun interesse a invadere i paesi NATO dell’Europa occidentale e provocare così la Terza Guerra Mondiale. – e, anche se così fosse, gli Stati Uniti, con o senza Trump, avrebbero ovviamente le proprie ragioni strategiche per opporsi a tale ipotetico scenario intervenendo in difesa dei propri alleati europei, siano essi delinquenti o meno.
Nel mondo immaginario dei propagandisti pro-Biden, Trump è una sorta di “agente russo” determinato a distruggere l’egemonia americana a livello globale e quindi a lasciare prevalere il “male”. Le fantasie di alcuni degli analisti più ingenui di convinzione “antimperialista” sono abbastanza simili, con l’unica differenza che percepiscono ciò come una buona cosa e immaginano il favorito repubblicano come un campione del multipolarismo, della pace mondiale e persino del Sud del mondo, se vuoi ( i venezuelani potrebbero non essere d’accordo ). Niente di tutto ciò dovrebbe essere preso sul serio, ma sfortunatamente, nell’era della propaganda e della guerra dell’informazione, spesso lo fa.
Retorica a parte, lungi dall’essere una posizione marginale, l’idea che la vittoria militare in Ucraina sia irraggiungibile sta lentamente guadagnando terreno nell’establishment americano. Trump potrebbe probabilmente essere un po’ più veloce nel lasciar perdere, ma questo è tutto. James Stavridis, ex comandante supremo alleato in Europa della NATO, scrivendo per Bloomberg nel novembre 2023, ad esempio, ha sostenuto che Washington dovrebbe imparare dalle “lezioni della Corea del Sud” e negoziare un accordo “terra in cambio di pace” per porre fine ai combattimenti in Ucraina. Questo scenario implicherebbe una sorta di ritirata strategica, da una prospettiva occidentale, per poi investire nell’Ucraina occidentale, per così dire, in modo da coltivarla come una sorta di Corea del Sud dell’Europa orientale (con una presenza persistente della CIA, ci si potrebbe aspettare). .
Non è sempre finita, anche quando è “finita”: uno scenario del genere chiaramente non farebbe molto per la stabilità regionale o la pace nel lungo periodo. Come ho scritto in più di un’occasione, anche dopo il raggiungimento della pace, finché la minoranza russa rimarrà emarginata in Ucraina e finché continuerà l’allargamento della NATO, ci sarà ancora ampio spazio per tensioni e conflitti.
C’è ancora un’altra questione: con l’escalation del conflitto in Palestina, il centro di gravità delle tensioni globali è cambiato. Anche la campagna militare in corso di Israele a Gaza e in Cisgiordania, così come le sue operazioni in Siria e Libano, fanno parte della “guerra non ufficiale” dello Stato ebraico contro l’Iran , con conseguenze globali . L’attuale crisi nel Mar Rosso, che coinvolge gli Houthi, è in gran parte un effetto collaterale della disastrosa campagna israeliana nel Levante, sostenuta dagli Stati Uniti. Ebbene, si scopre che Trump è, a detta di tutti, un sostenitore incondizionato di Israele più di Biden, indipendentemente da quante linee rosse siano oltrepassate dallo Stato ebraico in Medio Oriente. Si potrebbe ricordare, ad esempio, che fu allora il presidente Trump ad assassinare il generale iraniano Soleimani . Recentemente, Trump ha notoriamente affermato che Tel Aviv deve “risolvere il problema”.
Quando è stato intervistato per un articolo del Boston Globe intitolato “ Vota tutto quello che vuoi. Il governo segreto non cambierà ”, nel 2014, Michael J. Glennon, professore di diritto internazionale alla Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts University (e autore di “National Security and Double Government”), spiegava che gran parte del I “programmi” di politica estera degli Stati Uniti sono, come disse una volta John Kerry, “con il pilota automatico” e che “una politica dopo l’altra continuano tutte praticamente allo stesso modo in cui erano durante l’amministrazione George W. Bush”. Questa situazione viene spiegata da questo analista con il concetto di “doppio governo”, così descrive un apparato di difesa e sicurezza nazionale quasi autogovernato che opera negli Stati Uniti senza molta responsabilità. Il suddetto libro di Glennon è stato elogiato da ex membri del Dipartimento di Stato, del Dipartimento della Difesa, della CIA e della Casa Bianca. Non c’è motivo di ritenere che le sue conclusioni siano meno vere oggi.
Per riassumere, ci sono dei limiti alla quantità di cambiamenti che un presidente degli Stati Uniti, da solo, può apportare al sistema di “doppio governo” della superpotenza in termini di difesa e politica estera. Il centro di gravità delle tensioni globali sta cambiando e, per dirla senza mezzi termini, l’Ucraina non è più così importante. Infine, il passato di Trump come ex presidente non consente in alcun modo di descrivere la sua amministrazione come “isolazionista” o “filo-russa”.
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L’ultima volta abbiamo parlato dell’improvvisa ondata di retorica minacciosa che sale dal sepolcro in rovina della Vecchia Europa.
Non ho altra scelta se non quella di legare una riga alla precedente, poiché non appena il mio inchiostro si è asciugato sull’ultimo rapporto, nuovi effluvi di escalation sono fuoriusciti dalle bocche incrostate della Vecchia Europa.
Dopo che Macron ha scatenato la tempesta di fuoco con i suoi commenti strampalati, è seguita una farragine di segnali contrastanti di “correzioni” e chiarimenti. In primo luogo, Macron ha cercato di rimangiarsi le parole:
Ma allo stesso tempo, su un altro vettore ha lanciato una bomba ancora più grande della precedente: la Francia potrebbe essere costretta a intervenire se le forze russe iniziassero ad avvicinarsi a Odessa o a Kiev:
Fabien Roussel, rappresentante del Partito Comunista Francese, ha dichiarato dopo l’incontro che “Macron ha fatto riferimento a uno scenario che potrebbe portare all’intervento [delle truppe francesi]: l’avanzamento del fronte verso Odessa o Kiev”.
Ha osservato che il Presidente francese ha mostrato ai parlamentari le mappe delle possibili direzioni dei colpi delle truppe russe in Ucraina.
Dopo l’incontro, Jordan Bardella del partito di estrema destra National Rally ha osservato che “non ci sono restrizioni né linee rosse” nell’approccio di Macron.
Manuel Bompard del partito La France Insoumise ha espresso maggiore preoccupazione dopo l’incontro.“Sono venuto all’incontro preoccupato e ne sono uscito ancora più preoccupato”, ha detto.
Proprio così, gente. Ancora una volta abbiamo la conferma della mia più antica previsione che la NATO avrebbe tracciato la sua linea rossa a Odessa e sarebbe potenzialmente intervenuta se le truppe russe fossero state realisticamente posizionate per catturare la città. Si parla molto di come l’Europa ritenga che gli Stati Uniti li abbiano piantati in asso e che debbano agire unilateralmente contro la Russia, in particolare perché gli Stati Uniti detenevano la maggior parte delle carte in termini di forniture e finanziamenti critici: senza di essi, l’Ucraina crollerà e l’Europa si troverà di fronte a una scelta definitiva.
Questo fatto è stato specificamente citato nel nuovo articolo dell’AP:
In questo caso, il tirapiedi dei Rothschild, Macron, sembra intenzionato a guidare dal fronte con una campagna velleitaria volta a generare solidarietà attorno alle sue “audaci” dichiarazioni.
Come si legge nell’articolo di Politico, Berlino si è opposta fermamente a questa direzione. Il ministro della Difesa tedesco Pistorius chiarisce:
Tuttavia, allo stesso tempo, il membro del Bundestag tedesco Kiesewetter ha esortato ad attaccare direttamente Mosca, prima di mentire stranamente e rimangiarsi le sue parole:
Il politico tedesco Kiesewetter vuole attaccare Mosca! Dice che il ministero della Difesa e il quartier generale dell’FSB a Mosca dovrebbero essere attaccati. -> Poi gli viene chiesto se Mosca dovrebbe essere attaccata e lui dice di no. Come ho detto, Kiesewetter non è intelligente. Dice le cose perché suonano bene.
E il ministro della Difesa francese ha controbattuto alle parole del suo stesso capo, il che sembra suggerire che Macron stia facendo dichiarazioni non approvate dai suoi militari:
Anche il Ministero della Difesa italiano sembra escluderlo:
Il Ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, ha criticato le dichiarazioni di Francia e Polonia sulla possibilità di inviare truppe NATO in Ucraina: “Francia e Polonia non possono parlare a nome della NATO, che fin dall’inizio si è formalmente e volontariamente astenuta dall’intervenire nel conflitto”, ha dichiarato in un’intervista al quotidiano La Stampa. Crosetto ritiene che questo sarebbe un passo verso un’escalation unilaterale, che priverebbe il conflitto della possibilità di una soluzione diplomatica. Secondo il ministro, l’Italia continuerà a sostenere l’Ucraina, ma è necessario “intensificare i canali diplomatici”.
Ma naturalmente Macron ha continuato a seminare il terreno per future provocazioni in una direzione abbastanza facile da vedere:
La cosa più importante da chiarire in tutto questo è che alcuni stanno fraintendendo l’intento della NATO riguardo al dispiegamento delle truppe. Non dispiegherebbero le truppe per iniziare immediatamente ad attaccare le forze russe e dare inizio alla terza guerra mondiale. La teoria corrente è che, inizialmente, i membri della NATO cerchino di liberare le risorse ucraine nella parte occidentale del Paese, in un momento in cui il numero di truppe di prima linea dell’Ucraina è ridotto a livelli critici.
Ecco le opinioni di due analisti:
In Francia e nei Paesi baltici si sente sempre più spesso la minaccia di inviare le proprie truppe in Ucraina se il fronte delle Forze armate ucraine “si sgretolerà”. Non vedremo i francesi su barche anfibie sotto Krynki, ma possono assumere le funzioni di retroguardia, liberando unità delle Forze armate ucraine da inviare al fronte – la storia mondiale conosce già esempi del genere. Il nemico sta anche aumentando la produzione di vari tipi di droni d’attacco. Sia per gli attacchi sul territorio della Russia, sia per gli attacchi in prima linea, sia per le opzioni navali. Nonostante si dica che la Russia stia iniziando a superare le Forze Armate ucraine in termini di numero di droni prodotti, in realtà la situazione è molto più complicata, e quantità non significa qualità/funzionalità. C’è molto lavoro da fare.
E il secondo:
Nel segmento estero del social network X (ex-Twitter), sono apparse le prime proposte di invio di truppe straniere nel territorio ucraino. Naturalmente, tutte le immagini di questo tipo hanno lo status di non ufficiali, ma il loro significato è già compreso. L’essenza delle proposte per il dispiegamento di truppe straniere sul territorio dell’Ucraina (almeno per ora) si riduce al fatto che le forze NATO non entrerebbero in combattimento diretto con le Forze Armate russe, ma verrebbero dispiegate lungo il confine settentrionale dell’Ucraina con la Bielorussia e, anche se in misura minore, nelle vicinanze di Odessa (apparentemente per proteggere i porti). Il dispiegamento di truppe NATO lungo il confine con la Bielorussia, secondo questa idea, dovrebbe aiutare le Forze Armate ucraine a liberare le truppe di stanza su una linea lunga 1,3 mila km. Al momento, ciò è impossibile da realizzare, presumibilmente a causa della minaccia di azioni offensive da parte delle Forze Armate russe da nord.
Queste sono solo voci che alcuni hanno già “sfatato”, ma a me sembra molto probabile che una cosa del genere sia il vettore iniziale. Ricordiamo la nostra ultima discussione sul fatto che l’Ucraina ha un presunto numero di 700.000 uomini “nelle retrovie” che svolgono vari compiti e sorvegliano vari siti e confini. Se le truppe della NATO potessero alleggerirli, non solo libererebbero più carne da macello per il fronte, ma potrebbero raggiungere un secondo importante obiettivo: bloccare le “probabili” vie d’invasione russe, come le aree a nord di Kiev, per dissuadere un’altra offensiva russa dal nord, e portare anche la Bielorussia in una stretta costrittiva lentamente minacciosa.
Un’altra “voce” di questo tipo proviene dal canale ufficiale TG di Ria Novosti e risale a un paio di settimane fa; l’ho già postata in precedenza, ma voglio includerla di nuovo per consolidare le informazioni:
Una fonte esperta di RIA Novosti ha fornito i dettagli del piano britannico per una forza di spedizione della NATO in Ucraina, per la creazione di una no-fly zone e per “minare” le capacità offensive della Russia: la preparazione di tale scenario per l’attuazione a Londra dovrebbe essere completata entro il maggio 2024; si prevede di trasferire segretamente in Ucraina grandi forze NATO altamente manovrabili dalle regioni di confine della Romania e della Polonia per occupare le linee difensive lungo la riva destra del Dnieper; non è escluso un attacco preventivo da parte delle forze armate di Moldavia e Romania sulla Transnistria; per “disperdere” le forze e i beni delle Forze armate russe, si prevede di schierare un contingente di forze NATO e gli eserciti di singoli membri del blocco sul territorio di Norvegia e Finlandia; Allo stesso tempo, potrebbero essere sferrati colpi alle infrastrutture strategiche nelle regioni settentrionali della Russia; in seguito, secondo il piano britannico, le truppe della NATO creerebbero una “zona cuscinetto” all’interno delle posizioni occupate, compreso il confine con la Bielorussia e il territorio intorno a Kiev, e le forze liberate dell’esercito ucraino dovrebbero ritirarsi nella zona del Distretto militare nord-occidentale.
In sostanza, le idee sembrano delineare un potenziale tentativo di imporre alla Russia uno “scenario coreano”, nel caso in cui la Russia rifiutasse tutte le offerte di cessate il fuoco e di insediamento al momento opportuno. Quel momento arriverebbe quando l’AFU sarà finalmente vicina al collasso totale, il che potrebbe avvenire da un paio di mesi a questa parte fino al primo trimestre del 2025.
Ma anche se non è ancora plausibile che la NATO osi una manovra del genere, non bisogna sbagliare: se decidesse di farlo, la Russia non potrebbe fare nulla per fermarla. Sarebbero in grado di portare i loro distaccamenti “di blocco” in qualsiasi area vogliano, e la Russia sarebbe probabilmente costretta a una sorta di impasse. Dimenticate le puerili storie da fumetto sulla Russia che colpisce le capitali europee o che fa volare le bombe atomiche. La Russia non inizierebbe la Terza Guerra Mondiale attaccando per prima le risorse della NATO in questo modo. Perché? Perché, tecnicamente, le forze della NATO non sarebbero illegali o fuori luogo agli occhi del diritto internazionale. Dopo tutto, se non stanno attaccando la Russia per primi, allora stanno semplicemente attraversando il territorio del loro alleato, con il pieno permesso dell’Ucraina. È lo stesso motivo per cui gli Stati Uniti non possono fare nulla contro le forze russe che li molestano in Siria.
Quindi, sì: la NATO può entrare in azione e mettere delle forze di blocco e in pratica “sfidare” la Russia a passare attraverso di loro, sapendo che la Russia non può farlo senza attaccarli prima e dare alla NATO un casus belli senza precedenti – e tutto ciò sarebbe perfettamente legale agli occhi del diritto internazionale. La Russia ha fatto la stessa cosa a Pristina nel 1999.
Ma, naturalmente, farlo sarebbe politicamente molto rischioso per i leader della NATO, e probabilmente estremamente impopolare tra gli elettori, per cui c’è la possibilità che stiano solo bluffando al fine di plasmare il dominio psicologico della guerra.
Il polacco Sikorsky potrebbe aver svelato parte di questo gioco nella sua intervista di cui sopra, in cui ha sostanzialmente lasciato intendere che queste recenti mosse potrebbero far parte di una sorta di strategia asimmetrica di destabilizzazione per rendere la Russia meno a suo agio nelle proprie mosse, mettendo tutto in secondo piano. In effetti, tutte le recenti azioni della NATO sono state apparentemente finalizzate a creare un senso di tensione e di paura, per rendere la Russia meno sicura di sé. Questo, ovviamente, risale ai giorni del famigerato rapporto RAND sullo strangolamento della Russia con una tensione gradualmente crescente.
Questa strategia si è vista chiaramente questa settimana nel seguente rapporto:
Per la prima volta da quando il Paese è entrato a far parte della NATO, un aereo militare svedese ha volato vicino ai confini della Russia, riferisce il portale di monitoraggio dei voli aerei militari Itamilradar.Come nota il portale, a bordo dell’aereo ci sono diverse apparecchiature in grado di intercettare e analizzare messaggi e altri segnali elettronici.
E naturalmente in generale sappiamo che i Paesi della NATO stanno lentamente cercando di prepararsi a una guerra europea molto più ampia in futuro:
Siamo informati che in Francia diverse basi militari precedentemente in disuso sono attualmente in fase di riabilitazione, ma utilizzando offuscamenti amministrativi destinati ad attirare i curiosi. Ad esempio, a Chateaudun la base in disuso è stata ceduta dall’esercito al comune per farne, secondo la versione ufficiale, un aeroporto privato destinato ad accogliere aerei di tipo Falcon. Il sito dispone di una pista principale lunga 2.300 m e di una pista trasversale creata dai tedeschi durante l’ultima guerra e rimasta abbandonata. Ci sono più di 70.000 m2 di magazzini, uffici ed edifici abitativi che verranno riabilitati, e verrà creata una centrale elettrica fotovoltaica di 80 ettari. Tutto questo per ospitare qualche Falcon? Questo è solo un esempio, ci sono diverse basi in questo caso. L’obiettivo sembrerebbe infatti quello di creare basi discrete per le operazioni militari della NATO, per evitare di avere tutto raggruppato nelle basi “principali” in caso di attacchi.
Dico “tentare” perché ho già sottolineato la natura ciclica di queste escalation. La NATO ha minacciato quasi tutte queste azioni per anni, come la famigerata “forza di dispiegamento rapido di 300.000 uomini al confine con la Russia”, senza che nessuna di esse si realizzasse, perché le iniziative effettive si trasformano in vapore sotto l’esame di quanto costerebbe tutto ciò e di quale sforzo titanico richiederebbe in realtà. In realtà, si può dire che la NATO si indebolisce di anno in anno, con continui tagli alle forze in tutti i settori. Quindi, le ultime minacce di rafforzamento si riveleranno valide? Probabilmente no, perché secondo me la NATO ha più probabilità di crollare che di reinventarsi come superpotenza.
Big Serge, a proposito, ha un buon thread sulle capacità militari della Francia a proposito del potenziale intervento in Ucraina:
Serge conclude:
Il bilancio delle cose è che Macron sta cercando di far credere che sta prendendo una posizione dura nei confronti della Russia, sapendo che il veto della Germania e dell’America gli impedirà di dover effettivamente procedere. Minacciare di entrare in guerra se la Russia arriva a Odessa è come dire: “È meglio che non picchi il mio fratellino, se gli fai perdere i sensi ti picchio”. Non aspetteresti che il tuo fratellino sia già stato polverizzato per intervenire.
Con l’intervento di altri:
Ma per ricordare che le truppe della NATO sono già presenti in Ucraina, c’è questa nuova nota con mappe complementari che mostrano le operazioni americane dal 2014:
Come promemoria per coloro che stanno seriamente discutendo sul fatto che “le truppe NATO appariranno in Ucraina nel 2024” o “appariranno dopo il 2022”, le truppe regolari americane operano in Ucraina dalla primavera del 2014. E questo ha riguardato non solo la preparazione delle Forze Armate dell’Ucraina e della NSU, ma anche diverse operazioni sul territorio ucraino.
Ma continuiamo a chiederci: perché queste minacce disperate da parte della NATO? Esaminiamolo ancora un po’.
Zelensky è appena arrivato in Turchia, dove secondo alcuni potrebbe essere impegnato in colloqui segreti per una soluzione del conflitto. È stato fatto notare, ad esempio, che di recente ha emesso un decreto di parziale smobilitazione per i soldati di leva:
Il succo della questione è che le persone mobilitate durante il periodo iniziale possono essere rilasciate nella riserva, ma la “fregatura” – almeno a quanto ho capito – è che non possono essere ri-mobilitate per 12 mesi. Si tratta quindi, in effetti, di una “rotazione” che concede loro una potenziale tregua di 12 mesi. Alcuni hanno interpretato questo provvedimento come un’intenzione di Zelensky di chiudere la guerra, ma in realtà sembra più una misura per raffreddare il furore su questo tema, che ha provocato molte proteste da parte delle famiglie dei soldati.
Tuttavia, la pressione su Zelensky sta chiaramente aumentando. Il leader di Settore Destro Yarosh ha recentemente minacciato Zelensky:
In sostanza, egli afferma che Zelensky sta distruggendo l’Ucraina e che l’opposizione deve presto riunirsi come un’unica forza patriottica e trascorrere l’intero anno 2024 creando un’unificazione di questa avanguardia per creare un nuovo maidan.
L’orientamento generale è stato ripreso da Mosiychuk di Aidar, secondo il quale il mandato presidenziale di Zelensky ha ancora pochi mesi e le forze si stanno lentamente consolidando attorno a Zaluzhny:
Per quanto riguarda le voci di colloqui di pace segreti in Turchia, Zelensky ha rilasciato una dichiarazione che respinge completamente qualsiasi vertice di pace con la Russia:
Tuttavia, è sembrato sottintendere che lascerà che sia l’Occidente a prendere l’iniziativa e a creare una sorta di condizioni per un incontro con i rappresentanti russi.
Questo dopo che il Papa ha esortato l’Ucraina a issare bandiera bianca:
Naturalmente, poi c’è il fatto che la Matrona di Maidan – o è la Fanciulla di Maidan? – Nuland sta per essere cacciata:
Ed è stato sostituito con colui che è stato frettolosamente incaricato di occuparsi del “disastroso” ritiro dall’Afghanistan:
Il che, naturalmente, ha portato molti a concludere che l'”uomo delle pulizie” è stato portato qui per mettere la parola fine al progetto ucraino. Tuttavia, si tratta solo di un sostituto “temporaneo”, e Biden ha infatti nominato l’esperto di Asia Kurt Campbell per il posto di vertice. Questo insinua ulteriormente un perno dell’amministrazione Biden verso il teatro cinese e lontano dal disastroso teatro ucraino.
Kurt Campbell ha svolto un ruolo chiave nello sviluppo del “perno verso l’Asia” del presidente Barack Obama nella strategia indo-pacifica del presidente Biden”, ha dichiarato a Kommersant Yuri Tavrovsky, presidente del consiglio di esperti del Comitato per l’amicizia, la pace e lo sviluppo russo-cinese. “In termini pratici, è stato particolarmente attivo nella creazione del blocco militare anticinese AUKUS (Australia, Regno Unito e Stati Uniti) e nel rafforzamento della componente militare del gruppo QUAD (Quadrilateral Security Dialogue – Australia, India, Stati Uniti e Giappone)”, ha detto Tavrovsky. “La nomina di Campbell alla seconda carica del Dipartimento di Stato dimostra che la Casa Bianca ha deciso di contenere la Cina a lungo termine, nonostante le parole e i gesti che sembrano voler riconciliare”. Secondo Tavrovsky, “il secondo posto al Dipartimento di Stato non è andato al più grande odiatore della Russia, ma al più grande odiatore della Cina”.
Alcuni, come la russa Zakharova, ritengono che l’estromissione di Nuland sia un segno che, all’interno dell’amministrazione Biden, è stato riconosciuto che il percorso neocon sull’Ucraina era diventato un vicolo cieco, in particolare quando a Nuland è stata data una tale “mano libera” per condurre quel teatro a suo piacimento.
Ora, per approfondire la questione dell’improvvisa escalation retorica della NATO, scorriamo il fecondo campo degli ultimi titoli dei media, per avere un indicatore della temperatura a cui si trovano le cose:
“Le forze armate ucraine non sopravvivranno al conflitto con la Russia senza l’aiuto dell’Occidente. I russi hanno più di tutto. Carri armati, artiglieria, uomini e aerei. “Noi ne abbiamo molto meno. E si stanno preparando per questo conflitto da molto tempo. Purtroppo noi non l’abbiamo fatto. Potremo sopravvivere solo se l’Occidente verrà in nostro aiuto e ci darà più armi”, ha dichiarato un ufficiale delle Forze armate ucraine. Il comandante delle Forze armate ucraine ha paragonato senza mezzi termini il Presidente russo a Machiavelli: “Putin è un ingannatore. Vuole ottenere risultati. Crede che il fine giustifichi i mezzi”, ha osservato. Ha dichiarato che la democratica Kiev sta combattendo contro la totalitaria Mosca. Ha previsto che l’esito della più grande guerra in Europa dal 1945 determinerà quale sistema politico o “polo” dominerà il prossimo secolo.
“
Il titolo di cui sopra, tra l’altro, proviene da questo affascinante rapporto della CNN che descrive nei dettagli quanto la forza aerea russa, presumibilmente “distrutta” e “inetta”, stia distruggendo l’AFU:
Poi c’è l’Abrams, il cui quarto esemplare è stato distrutto oggi, con i combattenti russi che avrebbero posato per dei selfie davanti ad esso:
Senza contare che la Russia ha catturato un Leopard 2A6 completamente intatto:
Il rappresentante russo delle Nazioni Unite Polyanskiy:
Poi abbiamo gli sviluppi più importanti di tutti:
La Russia ha fatto una vera e propria strage di sistemi di difesa aerea della NATO e di altri sistemi “di prestigio”, con il Patriot che sarebbe stato l’ultima vittima ieri, come confermato da Forbes:
A proposito, non è interessante come i Patriot abbiano facilmente “abbattuto” tutti quei Kinzhal – una versione molto superiore e aggiornata dell’Iskander – sopra Kiev, mentre qui un misero Iskander ha messo fine alle sofferenze del Patriot? È solo uno spunto di riflessione.
Ma qual è il punto? Gli HIMARS, gli Abrams, i Patriot e tutto ciò che sta in mezzo vengono cancellati ogni giorno. Il tempo sta per scadere, con l’opposizione ucraina che complotta apertamente contro Zelensky, che molti si aspettano venga rovesciato a maggio. Nel frattempo, la Russia continua a rafforzarsi, con una produzione in costante aumento.
È quindi naturale che la NATO stia valutando tutte le opzioni di emergenza a sua disposizione per salvare l’Ucraina all’ultima ora. L’unica domanda è: quando sarà quell’ora, esattamente? A giudicare dall’urgenza delle recenti azioni della NATO, sembra che si stia avvicinando a pochi mesi.
Una delle ragioni è che continuano a circolare voci, ora anche dall’Occidente, secondo cui la Russia intende lanciare una nuova offensiva su larga scala all’inizio della primavera, dopo l’esaurimento di Rasputitsa:
Da Rezident UA:
L’MI6 ha trasmesso nuove informazioni all’Ufficio del Presidente e allo Stato Maggiore, secondo cui l’esercito russo sta aumentando le scorte di missili e UAV per una grande controffensiva, che potrebbe iniziare a maggio-giugno di quest’anno. L’intelligence britannica ipotizza che il colpo principale sarà sferrato su Selidovo-Pokrovsk, per creare un trampolino di lancio per una futura operazione di taglio del fronte ucraino”.
E il recente articolo di Bloomberg cita il famigerato dilatorio Michael Kofman con l’urgente osservazione che l’Ucraina potrebbe iniziare a perdere definitivamente la guerra quest’anno.
Molto presto le truppe russe prenderanno completamente l’iniziativa nella zona di difesa libera. Il generale polacco Bohuslav Pacek si è detto fiducioso in questo senso in un’intervista alla stazione radio RMF FM. “Il punto di svolta della situazione a favore della Russia si verificherà, a mio parere, alla fine di aprile – maggio, quando ci saranno le condizioni meteorologiche favorevoli per questo”, ha detto il generale.Bohuslav Pacek ha notato che l’assistenza militare degli alleati americani ed europei all’Ucraina non è chiaramente sufficiente.
Se a questo si aggiungono le voci di una nuova linea d’attacco della Russia da nord, è facile capire perché la NATO sia così costretta a cercare di salvare la sua preziosa capra da mungere.
Ricordiamo le previsioni dei membri del Congresso americano, come Schumer e altri, secondo i quali l’Ucraina potrebbe trovarsi di fronte a una situazione “catastrofica” entro due mesi o poco più, e dovrebbe iniziare a prendere decisioni critiche su “quali città tenere e quali abbandonare”.
Ma anche se questo dovesse accadere entro maggio-giugno e la Russia dovesse lanciare una robusta serie di offensive, le linee ucraine potrebbero iniziare a crollare, ma Odessa e Kiev probabilmente non sarebbero minacciate ancora per un bel po’. Anche in caso di crollo totale delle linee, il massimo che la Russia potrebbe sperare nel futuro a medio termine è di raggiungere il fiume Dnieper, e la probabilità che ciò accada quest’anno è molto bassa.
Questo per dire che la NATO ha ancora tempo prima che la situazione diventi così critica da mettere Odessa nel mirino. Ma, come si leggeva in una delle voci precedenti, se le cose si mettessero davvero male per l’Ucraina, c’è la possibilità che la NATO fornisca una via di fuga posizionando le sue forze sul Dnieper, permettendo all’AFU di fuggire dietro il fiume e tracciando al fiume la demarcazione della nuova DMZ in stile coreano.
Detto questo, ecco un recente resoconto di un militare ucraino su una potenziale nuova incursione russa dal nord: l’AFU sostiene di avere tutto sotto controllo:
Chi non mi ha chiamato o scritto sulla minaccia di un’invasione russa dalla direzione di Sumy. Sì, c’è un gruppo di diverse decine di migliaia di truppe russe lì. Noi, naturalmente, lo vediamo e rafforziamo le nostre forze, loro vedono che noi rafforziamo le nostre e diventano più attivi. I nostri soldati vicino ai confini vedono l’attività, chiamano i loro parenti ed è così che nascono le voci. Ho già scritto che nell’era dei satelliti e degli UAV è impossibile nascondere qualcosa (soprattutto i movimenti di equipaggiamento). Andranno lì attraverso il confine? E chi li conosce. Dopo il 24 febbraio 2022, nulla potrà più sorprendere.
Dato che l’Occidente finanzia interamente l’Ucraina, la guerra non ha avuto un impatto sulla società ucraina come sarebbe normalmente accaduto. Ciò significa che finché Zelensky – o chiunque sia al comando qualche mese più tardi – riuscirà a mantenere una parvenza di controllo, l’Ucraina potrebbe potenzialmente continuare a funzionare e a ottenere mobilitazioni sufficienti a mantenere l’avanzata russa. Si continua a discutere di nuovi pacchetti:
I legislatori repubblicani degli Stati Uniti stanno elaborando una proposta di legge che prevede l’erogazione di alcuni aiuti non militari all’Ucraina sotto forma di prestito, anziché di regalo, secondo quanto riportato venerdì da NBC News. Mentre il Partito Repubblicano considera il piano come un compromesso tra le fazioni pro e contro Kiev, i Democratici insistono sul fatto che la loro proposta di legge sugli aiuti da 60 miliardi di dollari, senza vincoli, è “l’unica strada percorribile”.
Secondo quanto riferito, la Francia si sta dando da fare per fornire all’Ucraina altri equipaggiamenti, non regalando i propri materiali ad altri Paesi: una mossa molto eloquente che rivela l’esaurimento degli equipaggiamenti rimasti in Francia:
La Francia sta negoziando con i Paesi arabi la restituzione delle armi francesi vendute per il loro ulteriore trasferimento all’Ucraina. Il Presidente francese Emmanuel Macron lo ha annunciato durante una conferenza stampa. Macron ha dichiarato che il suo Paese non fornirà più granate e sistemi di artiglieria al Qatar e all’Arabia Saudita per concentrarsi sul sostegno all’Ucraina.
Un combattente ucraino scrive che anche se un nuovo ciclo di mobilitazione dovesse avvenire ora, i suoi effetti non si farebbero sentire per mesi. Dice di lasciare al lettore la conclusione su cosa significherebbe, riportando un aneddoto su come la situazione sia così grave sul fronte che i comandanti dell’AFU mentono sulle loro posizioni:
A giudicare dal suo commento finale, la speranza è eterna, o almeno così dicono.
Inoltre, l’Ucraina ha intensificato i suoi tentativi di costruire la propria versione della linea Surovikin. Qui si possono vedere alcuni dei presunti risultati:
Alcuni ultimi articoli:
Il leader del partito estone ISAMAA spiega come l’Occidente “democratico” dovrebbe trattare le elezioni russe:
Ancora umiliazioni per i britannici:
👀Il Challenger 2 britannico dell’82ª Brigata speciale aviotrasportata delle Forze armate ucraine è annegato in una buca durante le dimostrazioni al campo di addestramento davanti ai giornalisti britannici del The Sun, che hanno filmato il processo di evacuazione del carro armato bloccato da un altro Challenger. Tuttavia, abbiamo precedentemente affermato che l’enorme peso dei Challenger 2 britannici, a partire da 63 tonnellate e in grado di raggiungere le 75 tonnellate con l’installazione di una corazzatura aggiuntiva, porterà inevitabilmente a problemi con la manovrabilità e l’evacuazione di questi carri armati a causa della mancanza di un numero sufficiente di moderni BREM occidentali.Vale anche la pena notare che i moderni L27A1 CHARM 3 BOPS da 120 mm con un nucleo di uranio impoverito sono stati visti nel rack di munizioni del carro armato bloccato. Senza contare che, secondo l’Ucraina, metà dei Challenger in dotazione sono già considerati fuori uso:
Mercenario britannico in Ucraina si impicca dopo essere tornato nel Regno Unito.
Dopo l’udienza, la sua famiglia ha spiegato che la decisione di andare in Ucraina era stata motivata dai commenti controversi di Liz Truss, deputato locale e all’epoca ministro degli Esteri, che aveva dichiarato di sostenere “assolutamente” i britannici che volevano andare a combattere i russi, sostenendo che si sarebbero uniti a una battaglia “per la democrazia”.
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Con tutto il furore della mobilitazione in corso in Ucraina, quest’uomo ha un’idea originale per le donne che dicono con tanta leggerezza agli uomini di andare al fronte:
Il prossimo:
Gli ucraini trasferiscono i pezzi del museo eretti come monumenti al fronte:
Il prossimo:
L’ex viceministro della Difesa ucraino Malyar rivela che l’Occidente ha accordi segreti in cui non vuole che l’Ucraina mostri le sue attrezzature danneggiate:
L
astutamente:
Alla luce di tutti i discorsi sull’entrata in guerra della NATO contro la Russia, il giornalista russo Kharchenko sottolinea astutamente che questo aprirebbe il vaso di Pandora, perché la società russa è stata così condizionata contro la battaglia “Armageddon” di livello escatologico contro la NATO – e sono incidentalmente così uniti ora nella solidarietà – che la guerra sarebbe quasi accolta con favore, assumendo la bandiera di una nuova Grande Guerra Patriottica che galvanizzerebbe tutta la società russa come mai prima. Nessuno in Europa saprebbe di essere colpito, poiché gli europei si trovano in uno dei punti moralmente più bassi della loro storia. Sarebbe un disastro per l’Occidente e probabilmente una replica del 1917, con l’Europa che reciterebbe la parte dell’Impero russo al momento della rivoluzione – sono pienamente d’accordo con questo sentimento:
Macron non immagina nemmeno quale regalo ci farà introducendo truppe in Ucraina. Un passo così francamente stupido non fermerà la guerra, ma la motivazione delle truppe russe aumenterà di molte volte. L’apparizione degli Abrams e dei Leopard non ha spaventato i nostri soldati, anzi, c’è una gara per lo sterminio di macchine stravaganti. Ogni anticarro vuole ottenere questo prezioso trofeo. Anche se la divisione francese occupa un settore del fronte, allora molti chilometri di volontari si metteranno in fila negli uffici di arruolamento militari russi, che chiederanno di mandarli a distruggere i francesi.La guerra contro la NATO unirà finalmente la nostra società. La guerra contro la NATO unirà finalmente la nostra società. E se vedremo la NATO sul campo di battaglia, allora numerosi segnali ideologici nei nostri cervelli si accenderanno contemporaneamente.Il popolo russo si imbriglia da tempo. E ora Macron può tirare il freno a mano. La guerra si trasformerà finalmente in resistenza popolare. Con tali premesse, possiamo facilmente realizzare la seconda e la terza ondata di mobilitazione. La guerra contro la NATO nella coscienza russa non è affatto una guerra contro l’Ucraina. E gli “esperti” occidentali non lo sentono. Osate dunque un discendente dei moschettieri, o oltre alle parole forti, non siete più capaci di nulla? Alexander Kharchenko
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Cosa ci insegna l’intervento alleato nella guerra civile russa sull’Ucraina di oggi.
A cura di Theodore Bunzel, Managing Director e responsabile della Consulenza geopolitica di Lazard.
La Russia settentrionale deve aver fatto sentire un freddo pungente ai soldati statunitensi, anche se quasi tutti provenivano dal Michigan. Il 4 settembre 1918, 4.800 truppe statunitensi sbarcarono ad Arkhangelsk, in Russia, a sole 140 miglia dal Circolo Polare Artico. Tre settimane dopo, si trovarono a combattere contro l’Armata Rossa tra imponenti foreste di pini e paludi subartiche, a fianco di inglesi e francesi. Alla fine, 244 soldati statunitensi morirono in due anni di combattimenti. I diari delle truppe statunitensi dipingono un quadro straziante del primo contatto:
Ci imbattiamo in un nido di mitragliatrici, ci ritiriamo. [I bolscevichi continuano a bombardare pesantemente. Perry e Adamson della mia squadra sono feriti, un proiettile mi colpisce la spalla da entrambi i lati. … Sono terribilmente stanco, affamato e tutto sommato anche il resto dei ragazzi. Le vittime di questo attacco sono 4 morti e 10 feriti.
Queste anime sfortunate rappresentavano solo una parte del vasto e sfortunato intervento alleato nella guerra civile russa. Dal 1918 al 1920, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Giappone inviarono migliaia di truppe dai Baltici alla Russia settentrionale, dalla Siberia alla Crimea – e milioni di dollari in aiuti e forniture militari ai russi bianchi anticomunisti – nel tentativo abortito di strangolare il bolscevismo nella sua culla. Si tratta di uno dei più complicati e spesso dimenticati fallimenti di politica estera del XX secolo, raccontato in modo accattivante e dettagliato da Anna Reid nel suo nuovo libro, A Nasty Little War: The Western Intervention Into the Russian Civil War.
I dettagli del conflitto, che Reid intreccia brillantemente con i diari personali dei partecipanti, sembrano spesso ultraterreni. Le truppe giapponesi occuparono Vladivostok nell’Estremo Oriente russo. I mercuriali francesi – all’inizio i più falchi a favore dell’intervento tra tutti gli Alleati – guidarono l’occupazione dell’Ucraina meridionale, contendendo ai rossi città ormai familiari ai lettori: Mykolaiv, Kherson, Sebastopoli, Odessa. I britannici – che avevano investito di più nell’intervento, con 60.000 soldati – si muovevano ai margini della Russia: difendevano Baku dai turchi in arrivo, conducevano sabotaggi navali contro i bolscevichi nei Baltici e, infine, evacuavano i bianchi dai porti del Mar Nero che si sgretolavano di fronte all’assalto dell’Armata Rossa.
L’inquietante domanda che aleggia sull’eccellente libro di Reid è se l’Occidente sia destinato a ripetere la storia. L’intervento è fallito e, se si strizza l’occhio, l’intervento odierno in Ucraina può apparire altrettanto futile di fronte a una Russia vasta e determinata con un pozzo apparentemente infinito di materiali, uomini e volontà politica. Questo è ciò che i repubblicani di estrema destra al Congresso, Viktor Orban in Ungheria e l’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump vorrebbero far credere. Un senso di disperazione articolato da Edmund Ironside, il comandante britannico delle forze alleate nel nord della Russia durante l’intervento: “La Russia è così enorme che dà una sensazione di soffocamento”.
Ma nonostante i forti echi storici, le differenze tra i due interventi sono più istruttive delle loro somiglianze. Uno studio approfondito pone forse una domanda ancora più grande: Quali sono le condizioni per il successo di un intervento straniero? Sì, gli Alleati hanno commesso dei pasticci, ma, in tutta onestà, hanno fallito soprattutto a causa di ciò che era fuori dal loro controllo, piuttosto che di ciò che lo era. Il fattore più limitante era costituito dagli alleati della Russia Bianca, un gruppo eterogeneo di socialisti antibolscevichi e di ex ufficiali zaristi incompetenti che in fondo erano autocrati della Grande Russia. Non avevano il consenso né della popolazione russa né, cosa fondamentale, dell’arazzo di minoranze etniche della Russia zarista – dagli ucraini ai baltici – che cercavano di riportare sotto il tallone della Russia.
Oggi le circostanze sono molto più favorevoli. Gli Stati Uniti e l’Europa hanno un partner unito e determinato nell’Ucraina di Volodymyr Zelensky, in una lotta di accecante chiarezza morale. L’economia russa può essere in condizioni di guerra, ma collettivamente l’Occidente ha a disposizione molte più risorse. E il compito di difendere un’Ucraina motivata da un’invasione ostile è molto meno ambizioso del tentativo di rovesciare il governo del più grande Paese del mondo. Un sobrio confronto tra i due interventi dovrebbe infatti rafforzare la convinzione dell’Occidente di poter portare a termine l’Ucraina, a patto che la sua volontà politica, in calo oggi come allora nelle capitali occidentali, non si metta di traverso.
Un’immagine storica dell’atterraggio degli interventisti americani a Vladivostok, in Russia.
Interventisti americani sbarcano a Vladivostok, in Russia, nel 1918. ARCHIVIO STORICO UNIVERSALE/VIA GETTY IMAGES
Gli ingredienti critici di qualsiasi intervento straniero sono obiettivi chiari e raggiungibili, alleati affidabili sul campo, un avversario attaccabile, mezzi materiali e la volontà politica di portare a termine il lavoro. L’intervento alleato in Russia è stato fatalmente carente sotto tutti i punti di vista.
La cosa forse più sorprendente della narrazione di Reid è che spesso non è chiaro cosa esattamente le truppe alleate dovessero fare in Russia. Certo, tutti i governi occidentali detestavano il bolscevismo e temevano il suo potenziale espansionistico e infettivo. Ma al di là di questo, c’era ben poco in termini di strategia o scopo condiviso. In effetti, le truppe occidentali furono inizialmente inviate per sorvegliare le ferrovie e i depositi militari alleati nella Russia settentrionale e orientale, che si temeva potessero arrivare nelle mani dei tedeschi. Ma la situazione si complicò leggermente dopo la resa della Germania nel novembre 1918. Come disse George F. Kennan nel suo magistrale volume Ladecisione di intervenire, “le forze americane erano appena arrivate in Russia quando la storia invalidò in un colpo solo quasi tutte le ragioni che Washington aveva concepito per la loro presenza lì”.
Gli zelanti ufficiali britannici sul campo – sostenuti da ministri falchi in patria come il Segretario alla Guerra Winston Churchill, che quasi esaurì il proprio capitale politico sostenendo la donchisciottesca avventura russa – presero presto l’iniziativa di intervenire attivamente e combattere i rossi. In altre aree, tra cui l’Ucraina meridionale, la missione fu più chiara a sostegno delle forze bianche locali, anche se la Francia si perse rapidamente d’animo e tornò a casa nell’aprile 1919 dopo aver subito una serie di battute d’arresto e ammutinamenti.
A racchiudere questa ambiguità furono le istruzioni per l’intervento militare degli Stati Uniti, scritte personalmente in un promemoria del luglio 1918 dal Presidente Woodrow Wilson, il quale era tipicamente tormentato dalla decisione e “sudava sangue su ciò che è giusto e fattibile fare in Russia”. Egli aprì il promemoria avvertendo che l’intervento militare avrebbe “accresciuto l’attuale triste confusione in Russia piuttosto che curarla”, ma poi impegnò le truppe statunitensi ad aiutare la Legione Ceca che operava in Siberia e a recarsi nella Russia settentrionale per “rendere sicuro per i corpi russi riunirsi in corpi organizzati nel nord”. Non è certo una cosa chiarificatrice.
Gli ufficiali statunitensi accolsero queste istruzioni con perplessità. Il generale William Graves, responsabile degli 8.000 soldati in Siberia, era decisamente scettico sul ruolo degli Stati Uniti nel conflitto e interpretò le istruzioni di Wilson come se gli permettessero solo di sorvegliare le ferrovie, non di combattere i rossi. In seguito scrisse nelle sue memorie che non aveva idea di cosa Washington stesse cercando di ottenere. Tutto ciò fu motivo di disappunto per i suoi colleghi britannici più favorevoli all’intervento in Siberia, che invece aiutarono in modo proattivo il “capo supremo” dei bianchi, mostruosamente incompetente, l’ammiraglio Alexander Kolchak, ex capo della flotta russa del Mar Nero, che si trovò incongruamente a combattere nel profondo della Siberia senza sbocco sul mare. (Tra l’altro, era anche un sosia dell’attuale presidente russo Vladimir Putin).
Il comandante della Russia bianca, l’ammiraglio Alexander Kolchak
Il comandante della Russia Bianca, ammiraglio Alexander Kolchak, ispeziona le sue truppe a Omsk, in Siberia, nel 1919. UNIVERSAL IMAGES GROUP VIA GETTY IMAGES
Il che ci porta ai russi bianchi. Forse la conditio sine qua non di qualsiasi intervento straniero, soprattutto se ambizioso come quello occidentale in Ucraina e nella guerra civile russa, sono gli alleati sul campo. È la differenza tra il caos che ha seguito l’intervento occidentale in Libia e il successo dell’intervento nei Balcani. Su questo punto, i bianchi hanno fallito miseramente.
È difficile sapere da dove cominciare. Oltre a Kolchak, c’era l’inarrivabile generale Anton Denikin che guidava le forze bianche nella Russia meridionale e che dissimulava ai governi alleati gli orribili pogrom contro la popolazione ebraica dell’Ucraina perpetrati dai bianchi sotto il suo controllo. Oltre a operare su un fronte impossibilmente ampio e scollegato che copriva l’intera periferia della Russia – un Paese con 11 fusi orari – le diverse fazioni bianche agivano essenzialmente come signori della guerra, con scarsa lealtà o coordinamento tra loro.
Altrettanto fatale per i bianchi fu una vistosa mancanza: un’ideologia coerente o convincente. Antony Beevor, nella sua nuova favolosa storia della guerra civile russa, attribuisce la sconfitta dei bianchi sia alla loro mancanza di programma politico sia alla loro natura frammentaria: “In Russia, un’alleanza assolutamente incompatibile di rivoluzionari socialisti e monarchici reazionari aveva poche possibilità contro una dittatura comunista dalla mente unica”.
Tutto ciò è in contrasto con i rossi. Essi controllavano il cuore industriale di Mosca e San Pietroburgo, operando dall’interno verso l’esterno con linee di comunicazione interne più forti. Questo permise al commissario Leon Trotsky – che, nota Reid, “si trasformò in un leader di guerra quasi geniale: accorto, deciso e di un’energia sconfinata” – di salire sul suo treno blindato per puntellare i fronti in crisi mentre i bianchi avanzavano da est e da sud. I bolscevichi, pur attuando politiche economiche rovinose e iniziando le prime ondate di terrore in patria, erano motivati e possedevano una chiara ideologia che esercitava, almeno in quel momento, un certo fascino sulla popolazione locale.
E, fondamentalmente, la loro volontà era molto più forte di quella dei bianchi o dell’Occidente. Dopo le devastazioni della Prima Guerra Mondiale, i governi alleati temevano la diffusione del bolscevismo, ma non riuscirono a trascinare con sé le loro opinioni pubbliche esauste. In questo caso, gli echi storici sono più preoccupanti. Il sostegno pubblico è comprensibilmente diminuito e le pressioni di bilancio sono aumentate. Come disse il Daily Express britannico nel 1919, riecheggiando la retorica repubblicana di oggi negli Stati Uniti: “La Gran Bretagna è già il poliziotto di mezzo mondo. Non sarà e non può essere il poliziotto di tutta l’Europa. … Le pianure ghiacciate dell’Europa orientale non valgono le ossa di un solo granatiere britannico”. Le battute d’arresto dei bianchi in Siberia e nella Russia meridionale sono state il chiodo fisso. Allora, come oggi in Ucraina, il sostegno politico straniero all’intervento dipendeva soprattutto dalla sensazione di slancio sul campo di battaglia.
Un’immagine storica di bare avvolte dalla bandiera.
Le bare avvolte dalle bandiere di 111 militari americani uccisi in Russia arrivano a bordo di una nave a Hoboken, nel New Jersey, intorno al 1920. HULTON ARCHIVE/VIA GETTY IMAGES
Il compito dei responsabili della politica estera è quello di distinguere tra ciò che è in e ciò che è fuori dal loro controllo. Nella misura in cui intuiscono le condizioni favorevoli – gli alleati, la geografia, la vulnerabilità del nemico – allora il compito è quello di concentrarsi e ottimizzare le cose che possono gestire: la strategia e gli obiettivi, la mobilitazione della volontà politica, la fornitura dei materiali per sostenere lo sforzo e il coordinamento con gli alleati.
Nonostante il pessimismo che pervade le capitali occidentali, l’odierna guerra in Ucraina presenta alcune delle circostanze più propizie che un politico possa sperare di trovare, a differenza di quelle affrontate dagli alleati durante la guerra civile russa. L’Ucraina è un alleato degno e competente, che combatte per difendere il proprio territorio con una popolazione altamente motivata. La causa ucraina è giusta, con una qualità manichea facilmente spiegabile al pubblico occidentale. Sebbene la volontà personale di Putin di vincere sia forte, è chiaro dalle sue azioni e dalla sua esitazione a mobilitare completamente la società russa che egli percepisce un limite massimo a ciò che può chiedere alla sua popolazione. Sebbene la forza lavoro e il materiale della Russia siano maggiori di quelli dell’Ucraina, la quantità necessaria per mantenere l’Ucraina armata e in lotta è del tutto gestibile. Un supplemento di aiuti di 60 miliardi di dollari da parte degli Stati Uniti – attualmente bloccati dai repubblicani di estrema destra alla Camera dei Rappresentanti – è un’inezia se paragonato ai ritorni: mantenere la linea sulle norme internazionali; difendere gli ucraini e, così facendo, i valori occidentali; impantanare la Russia in una voragine strategica e ridurre la sua capacità di minacciare il resto del fianco orientale della NATO; fortificare l’alleanza transatlantica. Oggi le capitali occidentali sono molto più unite di quanto non lo fossero nel 1918 e il coordinamento della difesa tra loro è forte. Anche se possono affinare il senso condiviso di una partita finale in Ucraina, tutti sanno che il conflitto si concluderà con una sorta di soluzione negoziata: si tratterà di stabilire a quali condizioni.
Se gli Stati Uniti e i loro alleati riusciranno a evitare le insidie dell’intervento occidentale nella guerra civile russa – sviluppando una chiara strategia a lungo termine, continuando a coordinarsi strettamente e rafforzando il sostegno interno facendo leva sulle proprie popolazioni – allora avranno una reale possibilità di prevalere su Putin. Date le condizioni favorevoli, il principale, forse unico ostacolo al successo a lungo termine è la volontà politica di portare a termine il lavoro.
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Theodore Bunzel è amministratore delegato e responsabile della consulenza geopolitica di Lazard. Ha lavorato nella sezione politica dell’ambasciata statunitense a Mosca e presso il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.
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Israele non ha intenzione di inviare sistemi di allarme rapido all’Ucraina per solidarietà, ma sta davvero cercando di ingraziarsi maggiormente gli Stati Uniti mentre la sua guerra con Hamas raggiunge la fine dei giochi, anche se Tel Aviv sta mascherando le sue vere intenzioni come un segnale di dispiacere nei confronti di Mosca. atto di bilanciamento tra Israele e Hamas.
Il rappresentante permanente di Israele presso le Nazioni Unite ha annunciato alla fine del mese scorso che il suo paese sta “lavorando per fornire all’Ucraina sistemi di allarme rapido”, seguito da un parlamentare intransigente che ha promesso che “Israele adotterà una posizione più aggressiva contro la Russia”. Ciò è avvenuto dopo che il nuovo ambasciatore israeliano in Russia ha causato uno scandalo all’inizio di febbraio descrivendo in modo errato la politica regionale russa, di cui i lettori possono saperne di più in questa analisi qui che collega ipertestuali a quasi due dozzine di articoli rilevanti al riguardo.
La portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha reagito a questo sviluppo lamentando “ il fatto che gli abitanti della regione, soprattutto i politici israeliani, percepiscano e seguano il percorso imposto loro dagli ‘eccezionalisti’ – gli Stati Uniti”, che ha “esacerbato e avvicinato questa situazione catastrofica nella regione, dato uno slancio inquietante, l’ha provocata”. Sebbene Israele sia ancora legalmente considerato un paese “amico” dalla Russia, la situazione potrebbe presto cambiare a seconda di ciò che farà.
Tuttavia, finché si asterrà dall’inviare armi offensive, potrebbe non figurare in quella lista. Anche se lo facesse, la Russia potrebbe comunque tenersi lontana da lì per ora, al fine di esplorare se la diplomazia può portare al raggiungimento di una “nuova normalità” tra loro prima che le tensioni sfuggano al controllo, in modo simile allo spirito per cui la Russia non ha designato Turkiye nonostante abbia inviato droni d’attacco all’Ucraina. Le relazioni con Ankara sono rimaste gestibili e per la maggior parte reciprocamente vantaggiose , quindi i legami con Tel Aviv potrebbero finire allo stesso modo.
Tuttavia, questo cambiamento nell’approccio di Israele nei confronti del procuratore della NATO La guerra alla Russia attraverso l’Ucraina – che è già una guerra calda non dichiarata ma limitata dopo che il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha inavvertitamente rivelato che le truppe occidentali sono segretamente sul terreno lì – non viene condotta per solidarietà con Kiev. Piuttosto, superficialmente sembra dovuto al dispiacere di Israele per l’azione di equilibrio della Russia tra esso e Hamas, ma in realtà è un tentativo di Tel Aviv di ingraziarsi Washington mentre la sua guerra con Hamas raggiunge la fine dei giochi.
Due resoconti dettagliati dei media americani a fine novembre possono essere interpretati come un’evoluzione della campagna di pressione dell’amministrazione Biden contro il primo ministro Benjamin “Bibi” Netanyahu. Il Washington Post ha informato il pubblico di come ha consentito al Qatar di finanziare Hamas, mentre il New York Times ha affermato che Israele era presumibilmente a conoscenza dei piani di attacco a sorpresa di Hamas più di un anno prima del suo attacco a sorpresa di inizio ottobre . Entrambi sono dannosi e potrebbero alimentare ulteriori proteste contro di lui una volta terminato il conflitto.
A proposito di questi, l’amministrazione Biden è già stata coinvolta negli eventi nazionali senza precedenti che hanno scosso Israele la primavera scorsa, che sono stati qui analizzati come motivati dall’opposizione ideologica dei liberali-globalisti al governo nazionalista-conservatore dell’autoproclamato Stato ebraico. Anticipando il ripetersi di quegli eventi alla conclusione di un altro cessate il fuoco prima del Ramadan, è molto probabile che Bibi abbia cercato di prevenire ulteriori ingerenze accettando di inviare quei sistemi in Ucraina.
Nella sua mente, questa mossa disperata potrebbe potenzialmente alleviare parte della pressione popolare prevista su di lui in quello scenario, influenzando gli Stati Uniti a esercitare un maggiore grado di autocontrollo e a non coinvolgersi più di tanto in qualsiasi imminente tornata di disordini della Rivoluzione Colorata . Il pretesto pubblico con cui vengono utilizzati questi sistemi di allerta precoce è il dispiacere di Israele per l’azione di equilibrio della Russia tra esso e Hamas al fine di distogliere l’attenzione dalle sue vere motivazioni.
Dopotutto, non c’è alcun credito all’affermazione che la Russia abbia sostenuto l’attacco furtivo di Hamas, sia militarmente che politicamente. Il Cremlino lo ha ripetutamente condannato come atto di terrorismo, ma ha condannato anche la punizione collettiva dei palestinesi da parte di Israele. L’accoglienza da parte di Mosca dell’ala politica di Hamas ha l’unico scopo di rilanciare i colloqui di pace e garantire il rilascio degli ostaggi, compito quest’ultimo “sotto il controllo personale del presidente della Federazione Russa”, secondo un alto diplomatico .
Per quanto Israele possa non gradire questa politica a causa del suo desiderio che tutti i paesi si schierino rispetto a Hamas in base alla scelta a somma zero che è costretto a fare, ciò potrebbe continuare ad essere trasmesso attraverso mezzi diplomatici convenzionali invece di intensificare la situazione inviando unilateralmente tali sistemi a Kiev. Il motivo per cui l’esportazione da parte di Israele di questi equipaggiamenti di allarme rapido è così preoccupante per la Russia è perché potrebbe portare a un “avanzamento progressivo” a cui seguirebbero presto sistemi di difesa aerea e possibilmente armi offensive.
Qualsiasi miglioramento significativo delle capacità di difesa aerea dell’Ucraina, sostenuto da Israele, potrebbe portare a un miglioramento simmetrico di quelle della Siria, sostenuto dalla Russia, anche se questa analisi sostiene che Mosca non rischierà una guerra più ampia per fermare gli attacchi sempre più frequenti di Tel Aviv contro Damasco. In ogni caso, questi due potrebbero scivolare in un pericoloso dilemma di sicurezza poiché ciascuno potrebbe accusare l’altro di ostacolare i loro attacchi contro quelli che considerano obiettivi militari legittimi nelle nazioni vicine.
Le conseguenze potrebbero vedere la Russia e Israele intensificare i rispettivi attacchi in Ucraina e Siria in modo da sfondare in modo più efficace queste nuove difese lì. Ciò non cambierà le dinamiche strategico-militari del conflitto ucraino , ma potrebbe rischiare un peggioramento della crisi dell’Asia occidentale se l’Iran si sentisse abbastanza a suo agio da attaccare Israele dalla Siria sotto l’ombrello fornito dalla Russia. In tal caso, Israele potrebbe reagire con un’operazione di terra o addirittura lanciarne una preventiva.
Dal punto di vista politico egoistico di Bibi, estendere la guerra alla Siria con qualsiasi ruolo di terra o di forza speciale potrebbe perpetuare la crisi dell’Asia occidentale a suo vantaggio interno e internazionale. Sul fronte interno, sarà probabilmente in grado di sfruttare questa mossa per rimanere al potere ed evitare accuse di corruzione (magari guidate politicamente), mentre su quello straniero potrebbe vedere gli Stati Uniti allentare la pressione potenzialmente imminente della Rivoluzione Colorata su di lui a causa di Israele più direttamente. contenere l’Iran in Siria secondo i loro interessi comuni.
Non è chiaro se abbia pianificato tutto fino ad ora, e anche se lo avesse fatto, non si può dare per scontato che gli eventi si evolveranno in quella direzione e non saranno compensati da alcune variabili finora imprevedibili. Indipendentemente da quali siano i suoi piani e per quanto lontano guardi al futuro, il nocciolo della questione è che il parziale rispetto da parte di Israele delle richieste anti-russe degli Stati Uniti rischia di rovinare i legami con Mosca, e questo potrebbe rapidamente riverberarsi in tutta l’Asia occidentale, a seconda della situazione. la traiettoria dello scenario.
Provocazioni di questo tipo potrebbero esacerbare le divisioni preesistenti dando falsa credenza ai radicali islamofobi che vogliono una cosiddetta “Russia per i russi”.
Giovedì l’FSB ha arrestato un ramo della cellula terroristica ISIS-K con sede in Afghanistan che stava pianificando un attacco a una sinagoga di Mosca, cosa che avrebbe potuto innescare discordie interreligiose se l’attacco non fosse stato sventato. La Russia è uno stato-civiltà storicamente cosmopolita, il cui popolo ha un forte senso di unità nazionale, ma c’è sempre la possibilità che provocazioni di questo tipo possano esacerbare le divisioni preesistenti dando falsa credenza ai radicali islamofobi che vogliono una cosiddetta “Russia per i russi”. .
Il defunto Navalny aveva abbracciato un tempo quell’ideologia tossica, che è severamente repressa dai servizi di sicurezza ai sensi dell’articolo 282 del codice penale russo, ma che purtroppo continua a circolare tra alcuni elementi marginali della società. L’incidente dello scorso ottobre all’aeroporto di Makhachkala nella repubblica autonoma russa del Daghestan a maggioranza musulmana, di cui i lettori possono saperne di più qui se non lo avessero seguito in quel momento, ha minacciato di infondere nuova vita a questo movimento fascista.
L’ottica era tale che sembrava che alcuni musulmani russi locali avessero abbracciato visioni estremiste , la cui impressione prestava falsa credenza ai radicali islamofobi precedentemente menzionati che vogliono una cosiddetta “Russia per i russi” consentendo la separazione della maggioranza- Regioni musulmane. Le autorità hanno rapidamente chiarito che i canali di social media stranieri gestiti dalle agenzie di intelligence erano responsabili della manipolazione di queste persone, ma è stato comunque arrecato un certo danno alla percezione che avevano di loro.
Se l’ultimo complotto dell’ISIS-K non fosse stato fermato e gli ebrei fossero stati massacrati nella loro sinagoga come alcuni dei suddetti locali manipolati implicavano l’intenzione di massacrare i presunti arrivi ebrei all’aeroporto diversi mesi fa, allora il sentimento islamofobo reazionario avrebbe potuto aumentare tra alcuni nella società. . L’incidente avrebbe anche potuto sconvolgere il delicato equilibrio tra Israele e Hamas tra Russia e Israele se Tel Aviv lo avesse sfruttato come pretesto per inviare armi letali all’Ucraina sulla falsa base che Mosca non è abbastanza forte da proteggere gli ebrei.
A differenza di fine ottobre, questo attacco sventato all’inizio di marzo è collegato a un gruppo terroristico straniero, ed è avvenuto meno di due settimane dopo che il ministro della Difesa Shoigu aveva messo in guardia sulle minacce terroristiche provenienti dall’Afghanistan. L’ISIS-K aveva già bombardato l’ambasciata russa a Kabul nel settembre 2022, ma il tentativo di attacco di questo mese a Mosca è la prima volta che prende di mira direttamente il suolo di quel paese, e potrebbe non essere nemmeno l’ultima.
Ciononostante, il portavoce talebano Zabihullah Mujahid ha rimproverato Shoigu sostenendo che “Due anni e mezzo di dominio talebano hanno dimostrato che nessuna minaccia proveniente dall’Afghanistan prende di mira nessuno”, ma ora ha le uova in faccia dopo che l’FSB ha affermato che i terroristi erano collegati a un Cellula ISIS-K con sede in Afghanistan. Ciò dimostra che l’Afghanistan è ancora un rifugio sicuro per il terrorismo internazionale, nonostante i migliori sforzi dei talebani per eliminare queste minacce. Se non fosse stato per le sanzioni americane, forse avrebbero avuto più successo.
Nel complesso, i risultati di questo incidente sono che: 1) le continue sanzioni statunitensi ostacolano gli sforzi antiterroristici dei Talebani; 2) che a loro volta fanno sì che l’Afghanistan continui a rappresentare una minaccia per tutti; 3) ISIS-K si sta ora concentrando nuovamente sulla Russia; e 4) sta pianificando attacchi progettati per innescare al massimo la discordia interreligiosa; ma 5) quest’ultimo è stato fermato grazie alla diligenza dell’FSB. Guardando al futuro, si prevede che si materializzeranno ulteriori minacce e quelle che non verranno fermate potrebbero avere un impatto politico enorme.
La ripresa dei colloqui di pace è improbabile, ma la mediazione di una terza parte fidata e neutrale potrebbe comunque evitare lo scenario peggiore della Terza Guerra Mondiale per errore di calcolo se le possibili false percezioni di ciascun attore sui piani degli altri venissero corrette prima che sia troppo tardi.
Papa Francesco ha esortato Zelenskyj a riprendere i colloqui di pace con la Russia in parte di un’intervista precedentemente registrata i cui estratti sono stati appena pubblicati nel fine settimana. Ha detto: “Penso che il più forte sia quello che vede la situazione, che pensa alla gente e ha il coraggio della bandiera bianca, e quello che negozia. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno bene, devi avere il coraggio di negoziare”.
Ha aggiunto che “il negoziato non è mai una resa, ma il coraggio di non portare il Paese al suicidio”, concludendo: “Potreste vergognarvi, ma quanti morti ci saranno alla fine? Negoziare in tempo, cercare i paesi con cui mediare”. Le sue parole sono arrivate poco dopo che il Comitato di intelligence ucraino ha messo in guardia sullo scenario peggiore, dal loro punto di vista, in cui la Russia otterrebbe una svolta militare attraverso la linea di contatto (LOC) in coincidenza con il collasso politico del paese.
Con quelli politici e militari sopra menzionati coincidono altri due sviluppi narrativi. Il Wall Street Journal (WSJ) ha improvvisamente condiviso i termini della bozza del trattato di pace russo-ucraino della primavera 2022 e poi la CNN ha citato fonti americane anonime per riferire in esclusiva che gli Stati Uniti pensavano seriamente che la Russia avrebbe potuto usare armi nucleari tattiche alla fine del 2022 dopo aver subito una serie di battute d’arresto. che ha spinto la LOC verso est. Tutti questi eventi recenti coltivano una chiara impressione sullo stato attuale delle cose.
Da un lato, è chiaro che la situazione lungo la LOC è probabilmente destinata a peggiorare nei prossimi mesi, a giudicare dalle previsioni dello scenario peggiore del Comitato di intelligence ucraino e da Macon che parla apertamente delle condizioni in cui la Francia potrebbe intervenire convenzionalmente. Gli Stati Uniti probabilmente si aspettano che quest’ultima possa aumentare il rischio di una terza guerra mondiale anche per errori di calcolo, a causa della soglia relativamente bassa che i suoi funzionari ritengono che la Russia abbia per l’uso di armi nucleari tattiche.
D’altra parte, tuttavia, questa sequenza di eventi forse apocalittici potrebbe essere evitata preventivamente se Zelenskyj ascoltasse le sagge parole di Papa Francesco sulla ripresa dei colloqui di pace anche a scapito della cessione de facto del territorio per smettere di commettere un suicidio nazionale. Il rapporto del WSJ menzionato in precedenza ha dimostrato indirettamente quanto il presidente Putin sia pragmaticamente flessibile, a differenza del modo in cui l’Occidente lo dipinge come una sorta di ideologo incrollabile.
Nel complesso, la netta impressione che si resta è che la finestra per la ripresa dei colloqui di pace si stia rapidamente chiudendo poiché diventa più probabile che la Russia possa ottenere una svolta da qualche parte lungo la LOC, che potrebbe a sua volta indurre il minacciato intervento della Francia. È a questo punto che una terza parte neutrale e fidata come Papa Francesco o l’India potrebbe intervenire diplomaticamente dietro le quinte per sondare gli interessi di tutte le parti a riprendere i colloqui o almeno scoprire fino a che punto ciascuna è disposta a spingersi in determinati scenari.
Se né la Russia, né l’Occidente, né l’Ucraina sapessero come reagirebbero gli altri due nello scenario peggiore menzionato in precedenza dal punto di vista di Kiev, allora diventerà più probabile che almeno uno di loro faccia male i calcoli, possibilmente in modo disastroso. È quindi nel loro interesse che una terza parte neutrale di cui tutti si fidino apprenda le nozioni di base sulle loro posizioni e le trasmetta agli altri allo scopo di evitare che la guerra calda NATO-Russia in Ucraina, non dichiarata e finora limitata, peggiori. .
Ciò non significa che Zelenskyj ascolterà Papa Francesco sventolando bandiera bianca e fermando il suicidio del suo Paese, che è lo scenario migliore per tutte le parti interessate responsabili, ma solo che lo scenario peggiore potrebbe essere compensato con maggiore sicurezza se tutti avevano più chiarezza sulle motivazioni reciproche. La Russia potrebbe non essere nemmeno interessata ad avanzare su Kiev (di nuovo) e/o Odessa, ma la falsa percezione che stia complottando in tal senso potrebbe spingere la Francia a intervenire, aggravando così inutilmente le tensioni.
Allo stesso modo, Zelenskyj potrebbe rifiutarsi di riprendere i colloqui anche se la linea del fronte dovesse crollare, purché presuma che una “coalizione di volenterosi” interverrà per bloccare l’avanzata della Russia, ma questo potrebbe anche essere un errore poiché tale coalizione potrebbe non essere imminente o almeno non nelle condizioni che si aspetta. In tal caso, anche se Kiev e/o Odessa potrebbero non essere minacciate dalla Russia, potrebbe comunque rischiare di perdere più territorio oltre i confini amministrativi di quelle quattro regioni che hanno votato per unirsi alla Russia (come intorno a Kharkov).
Se la Russia sospetta che l’Ucraina e l’Occidente stiano escogitando il pretesto per giustificare l’intervento convenzionale di quest’ultimo nel conflitto, come la proposta di Macron di schierare ufficialmente truppe lì per scopi “non combattenti”, allora potrebbe intensificare la sua speciale azioneoperazione ad una guerra totale per impedirlo. Finora è stato relativamente moderato e sensibile alle vittime civili, ma entrambe le caratteristiche potrebbero rapidamente diventare un ricordo del passato se ritiene che sia “ora o mai più” sfondare la LOC.
È per questi motivi che una terza parte neutrale e fidata dovrebbe intervenire diplomaticamente dietro le quinte per ottenere informazioni sui loro calcoli e poi trasmetterli agli altri con il loro permesso in modo da gestire in modo più responsabile la “nebbia di guerra” in questo momento cruciale. nel conflitto. La ripresa dei colloqui di pace è improbabile, ma ciò potrebbe comunque evitare lo scenario peggiore della Terza Guerra Mondiale a causa di errori di calcolo se le possibili false percezioni di ciascun attore sui piani degli altri venissero corrette prima che sia troppo tardi.
Ci sono infatti piani per un intervento occidentale convenzionale in Ucraina nonostante le smentite dei loro leader nelle ultime due settimane, ma devono ancora formarsi completamente e la loro esecuzione non può essere data per scontata, ma non può nemmeno essere esclusa. O.
Il dibattito provocato dal presidente francese Macron sulla questione se la NATO debba o meno intervenire convenzionalmente in Ucraina ha messo in luce l’esistenza di due distinte scuole di pensiero su questo tema all’interno dell’Europa. Francia, Stati baltici e Polonia sembrano essere favorevoli a “dispiegamenti non combattenti” per missioni di sminamento e addestramento, che potrebbero essere effettuate attraverso una “coalizione di volenterosi”, mentre il resto del blocco sostiene la posizione della Germania che ciò non dovrebbe accadere in nessun caso.
Nessuno si lasci ingannare pensando che la Francia e gli altri quattro paesi che sembrano favorevoli a questo scenario siano interessati esclusivamente alle missioni di sminamento e di addestramento. Piuttosto, il loro intento sembra essere quello di preparare queste forze sul campo ad avanzare verso est nel caso in cui si materializzi lo scenario peggiore dal punto di vista di Kiev, in cui la linea del fronte crolla e la Russia inizia ad avanzare verso ovest. Questi membri della NATO cercherebbero quindi di tracciare una linea rossa il più lontano possibile per salvare l’Ucraina.
È improbabile che gli Stati baltici e la Polonia partecipino ad un intervento convenzionale in Ucraina senza la partecipazione ufficiale di una potenza nucleare perché temono di restare a secco nello scenario in cui si scontrassero con la Russia all’interno della fatiscente ex repubblica sovietica. In questo risiede l’importanza strategica del coinvolgimento della Francia, che potrebbe placare le preoccupazioni circa la possibilità che Parigi ricorra al rischio calcolato nucleare con Mosca nel caso in cui le sue stesse truppe prendessero parte ai suddetti scontri.
Il Regno Unito non resterebbe in disparte in quell’evento poiché sta già svolgendo un ruolo di primo piano nel mandato della NATO guerra alla Russia attraverso l’Ucraina e in precedenza aveva firmato un patto di sicurezza trilaterale con Kiev e Varsavia nella settimana prima che l’ultima fase di questo conflitto decennale iniziasse a metà febbraio 2022. Come la Francia, anche il Regno Unito non vuole vedere la ripresa della Germania. la sua traiettoria da superpotenza, ed entrambi potrebbero scommettere che otterranno l’approvazione degli Stati Uniti per il loro intervento o lo faranno unilateralmente per renderlo un fatto compiuto.
La Francia non fa ancora parte dello “Schengen militare”, il che potrebbe ostacolare la sua capacità di spostare grandi quantità di truppe ed equipaggiamenti in Ucraina, quindi potrebbe presto aderire a questo patto o negoziare la propria versione con Polonia e/o Grecia -Bulgaria . -La Romania completerà il suo nuovo accordo con la Moldavia . L’“ autostrada Moldava ” della Romania , costruita in modalità “emergenza”, sta creando un nuovo corridoio militare nei Balcani da cui la Francia può contrastare la crescente influenza militare della Germania in tutto il continente.
Questo corridoio emergente greco-ucraino è già una delle rotte logistiche più importanti dell’Occidente per perpetuare la guerra per procura dopo che quello tradizionale polacco è diventato inaffidabile a seguito delle proteste degli agricoltori. Ha quindi perfettamente senso non solo investire in esso solo per questo motivo, ma anche che paesi come Francia e Regno Unito rafforzino la loro influenza lungo il percorso al fine di creare lì la propria “sfera di influenza” per rallentare la traiettoria della superpotenza tedesca.
Questo è esattamente ciò che la Francia sta facendo attraverso il suo nuovo accordo sulla sicurezza con la Moldavia, che porterà a legami di sicurezza più stretti del tipo “Schengen militare” con Romania, Bulgaria e Grecia al fine di facilitare l’invio di “addestratori” in quel paese senza sbocco sul mare. Il Regno Unito può seguire l’esempio in qualche modo o raddoppiare la propria influenza negli Stati baltici e in particolare in Polonia, culminando eventualmente con l’intervento convenzionale delle sue truppe in Ucraina attraverso quest’ultima, mentre la Francia entra dalla Romania-Moldavia.
La possibilità che Francia e Regno Unito ricevano l’approvazione degli Stati Uniti per questo intervento o lo facciano unilateralmente come “coalizione di volenterosi” per renderlo un fatto compiuto potrebbe spingere la Germania a partecipare per non essere lasciata fuori e costretta a intervenire. “sembrare debole”. I suoi ufficiali dell’aeronautica militare hanno già affermato nella registrazione trapelata precedentemente citata che i missili che quei due hanno inviato in Ucraina li spingono a fare lo stesso con il Taurus, quindi viene stabilito il precedente per cui potrebbero pensare la stessa cosa in quel caso.
Anche se inizialmente sembra controintuitivo che Francia e Regno Unito possano volere che la Germania partecipi a questo intervento, quando uno dei motivi per cui lo stanno probabilmente tramando è quello di rallentare la traiettoria della superpotenza appena ripresa, in realtà c’è una logica chiara in questi calcoli. Un coinvolgimento più profondo della Germania in questo conflitto potrebbe ridurre ulteriormente le già tristi possibilità di un riavvicinamento con la Russia dopo che tutto finirà, cosa che molti falchi temono ancora sia possibile e vogliono disperatamente impedire.
Potrebbe anche sovraestendersi in un certo senso e quindi perdere la presa strategico-militare che ha recentemente ottenuto, creando così aperture per Francia e Regno Unito per indebolire l’influenza della Germania rispettivamente nei Balcani e nei Paesi Baltici al fine di mantenere in qualche modo l’ascesa del loro storico rivale. sotto controllo. Berlino potrebbe non abboccare all’esca, dato che Scholz deve ancora approvare l’invio di missili Taurus lì con lo schieramento di truppe clandestine che richiedono, quindi c’è la possibilità che rimanga fedele alle sue armi.
Se la Germania restasse formalmente fuori dalla mischia mentre Francia e Regno Unito vi si infilano con risultati disastrosi o almeno insignificanti, compresi quelli che vedono i loro “partner minori” baltici e polacchi sfruttati come carne da cannone, allora la Germania potrebbe effettivamente trarne grandi benefici. L’approccio di questi due sarebbe screditato, e questa eventualità potrebbe essere la ragione per cui gli Stati Uniti sembrano finora riluttanti ad approvare la loro “coalizione dei volenterosi”, e per contro dare credito all’approccio della Germania.
La “fortezza Europa” potrebbe quindi essere costruita a un ritmo ancora più rapido all’indomani di questo conflitto, poiché le uniche due forze eventualmente controbilancianti per tenere sotto controllo la sua influenza si sarebbero screditate. D’altro canto, un intervento convenzionale franco-britannico parzialmente “riuscito” in Ucraina potrebbe screditare la Germania se finisse letteralmente per salvare l’Ucraina dal collasso e fermare il rullo compressore russo. In tal caso, la “Fortezza Europa” potrebbe essere costruita in modo molto diverso da quanto previsto dalla Germania.
Invece di far funzionare l’UE nel suo insieme come un blocco per procura filo-USA guidato dalla Germania nella Nuova Guerra Fredda , Berlino dovrebbe accettare la “sfera di influenza” di Londra nei Paesi Baltici e un condominio con essa in Polonia mentre Parigi avrebbe il suo propria “sfera” nei Balcani. Invece di fare affidamento su un paese per governare l’UE per procura, gli Stati Uniti dipenderebbero da tre, con il vantaggio che ci sarebbero meno possibilità che la Germania diventi una “canaglia”, ma a scapito di ciò sarebbe più complesso. gestire.
Resta da vedere se Francia e Regno Unito riusciranno a portare a termine questo gioco di potere ucraino proprio sotto il naso della Germania, ma non ci sono dubbi che questo sia ciò che stanno pianificando. Gli Stati Uniti potrebbero, tuttavia, disapprovare e quindi non avere la fiducia necessaria per intervenire convenzionalmente attraverso la propria “coalizione dei volenterosi”. C’è anche la possibilità che gli Stati Uniti prendano l’iniziativa in questo senso se la Russia riuscisse a ottenere una svolta prima che le più grandi esercitazioni della NATO degli ultimi tre decenni finissero a giugno.
Sarebbe più facile per gli Stati Uniti farlo da soli con tutti gli altri che lo seguono piuttosto che dipendere da altri, ma questo potrebbe rischiare la Terza Guerra Mondiale a causa di errori di calcolo molto più che se Francia e Regno Unito intervenissero convenzionalmente mentre gli Stati Uniti “guidano da dietro”. ”, da qui l’attrattiva di quest’ultimo scenario. In ogni caso, il risultato principale di questa analisi è che esistono effettivamente piani per un intervento occidentale convenzionale in Ucraina, ma devono ancora formarsi completamente e la loro esecuzione non può essere data per scontata.
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Riceviamo e pubblichiamo. Gli spunti offerti impetuosamente dall’autore sono numerosi e, a mio parere, francamente opinabili. Sono, comunque, l’espressione di una area importante della cosiddetta componente “sovranista” della quale si deve tenere, in qualche maniera, conto.
I punti critici sono numerosi. Ne sottolineo alcuni:
la confusione tra scienza, scientismo e metodo scientifico
la contrapposizione tra scienza e filosofia, piuttosto che la riflessione sulla loro relazione
la ricerca e l’imposizione di un assoluto che nella dinamica delle relazioni umane, quindi della società, in realtà non esiste, partendo ciascun individuo e/o ciascun gruppo da un punto di vista e da una propria rappresentazione limitata della realtà
la riduzione del politico alla lotta tra il bene e il male
la critica del democraticismo che si rifugia nell’opposto della visione elitistica dell’azione politica
una visione della società e delle sue dinamiche interne che nel suo impeto olistico ne cancella e ne ignora le contraddizioni, le articolazioni e le dinamiche cooperative/conflittuali sulle quali ogni forza politica dovrà agire
una critica al “capitalismo assoluto” che induce ad ignorarne il carattere dinamico e pervasivo, per questo presente di fatto in tutte le formazioni sociali, anche in quelle antagoniste al mondo occidentale e, quindi, ad ignorare, tra le tante cose, il ruolo che la grande impresa e chi la gestisce dovranno avere in una qualche nuova forma di società
Non mi pare la strada più praticabile per sconfiggere le nefandezze della ideologia neoliberale, tra l’altro ormai solo parte dell’armamentario delle attuali élites occidentali, compresa l’ultima appena decisa praticamente all’unanimità dal parlamento francese. Giuseppe Germinario
GUERRA EPISTEMOLOGICA E QUARTA TEORIA POLITICA
Lotta all’unipolarismo culturale
Il contributo di Alexander Dugin per il mondo del dissenso europeo è assolutamente
inestimabile sotto diversi punti di vista. Dal “marxismo nero” al tradizionalismo integrale,
dall’idealismo magico alla critica della scienza, l’opera del “filosofo più pericoloso del
mondo” costituisce la più alta e completa enciclopedia del pensiero rossobruno e
l’espressione più all’avanguardia del “Nuovo Medioevo eurasiatico”.
Il Soggetto Radicale e il Sole di Mezzanotte
Sempre a Dugin si deve inoltre la codificazione di una nuova figura sacrale ed escatologica,
che appare nel momento più buio a risollevare le sorti della trascendenza in un mondo
relegato alla volgarità e all’interesse: essa è il Soggetto Radicale, il guerriero post-moderno, il rappresentante dell’élite spirituale, che può crescere in ognuno di noi, allorché imbracciamo la lotta assoluta, l’AMORE RADICALE contro i tiranni plutocrati ed individualisti.
Egli vede speranza e luce dove altri incontrano solo rassegnazione e abbandono; vede il Sole dove altri solo l’ombra. Questo Sole è il Sole di Mezzanotte, invisibile eppure esistente, il raggio eroico dello Spirito che infonde nel cuore il coraggio e la fede. Ove tutto sembra perduto, esso brilla nell’oscurità, accecante, a memoria eterna della nostra provenienza, della nostra natura divina.
È in questo senso che si configura l’opposizione estremista, il senso nascosto del nazionalbolscevismo e dell’incontro tra sinistra e destra: con la società aperta o contro la società aperta. La famosa distinzione di Sir Karl Popper tra amici della democrazia e nemici della democrazia si rivolge contro se stessa: il Soggetto Radicale ha ora la propria via, il proprio credo. In un iper-idealismo che non conosce egoismi, egli si schiera contro tutti i dogmi della modernità capitalistica, portando avanti quella rivoluzione-conservatrice anti-borghese e anti-americana che coniuga la spada degli eroi e il martello del lavoro. Da una parte la cultura occidentale, la società aperta meccanizzata, orizzontale e appiattita, dall’altra la cultura sacrale, verticale, eurasiatica, ove la comunità vale più dei singoli.
Anti-liberalismo contro liberalismo, civiltà organica contro civiltà del mercato: qui si gioca la partita della Quarta teoria politica e del sovranismo integrale.
Guerra epistemologica
Tuttavia la strada per abbattere l’Impero dei mercanti con un Impero spirituale è assai lunga e, nonostante i primi accenni favorevoli, ancora sembra in Italia non afferrarsi il punto nodale, la vera scaturigine della soggettività radicale, la spinta interiore alla rivoluzione metafisica.
Il nemico infatti non possiede solo armi politiche ed economiche, ma anche e soprattutto armi filosofiche e culturali. Non illudiamoci che la controinformazione da sola possa portare ad un cambio di rotta: abbiamo già assistito alla tragica fine del governo giallo-verde, incapace di assicurare concretezza all’idea sovranista.
Prima di tutto occorre sviluppare una dottrina, un’ideologia capace di distruggere le basi su cui si fonda il discorso dominante, l’irritante intellettualismo borghese e l’apologia del consumo. Solo se facciamo seguire la lotta epistemologica alla lotta politica possiamo garantire solide difese contro l’unipolarismo e l’imposizione dei valori americani alla nostra civiltà.
Una delle intuizioni più geniali di Dugin sta infatti nell’aver indicato come principale nemico della Quarta Teoria Politica il “totalitarismo liberale”, il neo-liberalismo che predica tolleranza e libertà ma solo per chi accetta i suoi dogmi: la scienza e il libero mercato. Attraverso dunque una critica dell’atomismo e del metodo scientifico, Dugin ci mostra la strada per recuperare il senso della Verità nel mondo post-moderno, attraverso il platonismo e l’idealismo assoluto. Solo così il “Noi” può veramente risorgere, spezzare le catene della razionalità capitalistica verso un olismo che comprenda tutto il popolo, al di là di destra e sinistra, verso l’affermazione di uno Stato forte, che controlli l’economia e assicuri la giustizia sociale.
Dobbiamo renderci conto che mai l’intellighenzia liberale accetterà una tale ridefinizione del paradigma e che senza una chiara avversione ai diritti civili, ai valori dell’Illuminismo e del libero scambio, il fronte del dissenso non riuscirà mai a opporre, gramscianamente, una contro-egemonia al potere liberale.
La nostra libertà
La post-modernità ci insegna che il sostegno alle classi meno agiate, la lotta all’immigrazione, la difesa delle identità culturali non sono dati di fatto ma una chiara antitesi ai valori che la società occidentale ha eletto come baluardi della democrazia e della libertà individuale.
Che cos’è se non una limitazione alla libertà di impresa evitare la delocalizzazione, imporre forti tasse alle multinazionali e adottare una moneta sovrana? Cosa se non una limitazione della libertà di genere sostenere la famiglia naturale e soprattutto auspicare a un’immagine della donna come madre e moglie? Cosa significa assicurare maggiori sussidi alle famiglie se non un affronto al mercato mondiale?
Non è un caso che si venga tacciati di fascismo non appena si provi a controbattere al politicamente corretto. Esiste ormai un’ opposizione inconciliabile tra i nemici dell’umano e i suoi veri difensori. Se l’accusa di fascismo può anche non riferirsi direttamente all’esperienza novecentesca, rimane comunque appropriata, a mio giudizio, per indicare le tendenze antagoniste al Grande Reset e al Nuovo ordine mondiale.
L’Occidente permette una “sua” libertà nel recinto della società aperta, come il lavoro flessibile, la libertà sessuale e di arricchirsi facendo impresa. Questa libertà può essere negata.
Ma se Dugin ancora propende per una democrazia dal basso, io ritengo che da queste premesse solo un governo autoritario, sostenuto da una propria idea di Stato e che imponga dei valori assoluti e una Verità unica, può proteggere ciò che noi riteniamo giusto, noi anti-liberali, e difendere dalla distruzione ciò che NOI riteniamo prezioso ed intoccabile. Qui entra in gioco il nostro sentimento individuale.
Non esistono più riforme o compromessi: combattere o sparire nel nulla. Il significato della soggettività radicale sta proprio in questo: siamo disposti a batterci contro un mondo che vuole annientarci e si stringe attorno a noi come in una morsa? Allora, sicuri di vincere, bisogna organizzarsi e combattere, impugnando la Quarta teoria politica per difendere la nostra libertà!