lettera da un professore, di Antonio de Martini

Questa è la magistrale lettera che il preside del liceo Volta di Milano, Domenico Squillace, ha scritto a tutti gli studenti della scuola e pubblicato sul sito. Perdete qualche minuto per leggerla: è un capolavoro

AGLI STUDENTI DEL VOLTA

“La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia…..”

Le parole appena citate sono quelle che aprono il capitolo 31 dei Promessi sposi, capitolo che insieme al successivo è interamente dedicato all’epidemia di peste che si abbatté su Milano nel 1630. Si tratta di un testo illuminante e di straordinaria modernità che vi consiglio di leggere con attenzione, specie in questi giorni così confusi. Dentro quelle pagine c’è già tutto, la certezza della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, la razzia dei beni di prima necessità, l’emergenza sanitaria…. In quelle pagine vi imbatterete fra l’altro in nomi che sicuramente conoscete frequentando le strade intorno al nostro Liceo che, non dimentichiamolo, sorge al centro di quello che era il lazzaretto di Milano: Ludovico Settala, Alessandro Tadino, Felice Casati per citarne alcuni. Insomma più che dal romanzo del Manzoni quelle parole sembrano sbucate fuori dalle pagine di un giornale di oggi.

Cari ragazzi, niente di nuovo sotto il sole, mi verrebbe da dire, eppure la scuola chiusa mi impone di parlare. La nostra è una di quelle istituzioni che con i suoi ritmi ed i suoi riti segna lo scorrere del tempo e l’ordinato svolgersi del vivere civile, non a caso la chiusura forzata delle scuole è qualcosa cui le autorità ricorrono in casi rari e veramente eccezionali. Non sta a me valutare l’opportunità del provvedimento, non sono un esperto né fingo di esserlo, rispetto e mi fido delle autorità e ne osservo scrupolosamente le indicazioni, quello che voglio però dirvi è di mantenere il sangue freddo, di non lasciarvi trascinare dal delirio collettivo, di continuare – con le dovute precauzioni – a fare una vita normale. Approfittate di queste giornate per fare delle passeggiate, per leggere un buon libro, non c’è alcun motivo – se state bene – di restare chiusi in casa. Non c’è alcun motivo per prendere d’assalto i supermercati e le farmacie, le mascherine lasciatele a chi è malato, servono solo a loro. La velocità con cui una malattia può spostarsi da un capo all’altro del mondo è figlia del nostro tempo, non esistono muri che le possano fermare, secoli fa si spostavano ugualmente, solo un po’ più lentamente. Uno dei rischi più grandi in vicende del genere, ce lo insegnano Manzoni e forse ancor più Boccaccio, è l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, l’imbarbarimento del vivere civile. L’istinto atavico quando ci si sente minacciati da un nemico invisibile è quello di vederlo ovunque, il pericolo è quello di guardare ad ogni nostro simile come ad una minaccia, come ad un potenziale aggressore. Rispetto alle epidemie del XIV e del XVII secolo noi abbiamo dalla nostra parte la medicina moderna, non è poco credetemi, i suoi progressi, le sue certezze, usiamo il pensiero razionale di cui è figlia per preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità. Se non riusciremo a farlo la peste avrà vinto davvero.

Vi aspetto presto a scuola.
Domenico Squillace

INFLUENZE, INFLUENZATORI E INFLUENZATI

Il governo ha impugnato il provvedimento di chiusura delle scuole adottato dalla regione Marche, ironia della sorte, alla vigilia della firma di un accordo con Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte per trasferire loro una serie di competenze aggiuntive oltre quelle che hanno e che si sono rivelate incapaci di gestire.

Trovo spettacolosa la muliebre contraddittorietà di questi provvedimenti: questa settimana accentriamo e la prossima decentriamo.

L’unico punto in comune tra la Chiesa cattolica e l’Unione Europea é sempre stato l’affermazione periodica del principio di sussidiarietà, ossia che « ogni problema deve essere risolto al livello cui si pone ».

In pratica, un problema regionale come quello dello smaltimento dei rifiuti dovrebbe essere risolto dalla regione, mentre la politica estera dovrebbe essere accentrata a livello nazionale.

Ognuno può constatare come questa affermazione di principio resti sulla carta. In realtà, tutti tendono ad accentrare i quattrini e liberarsi delle responsabilità.

Non c’è sintesi in niente, non c’è arte del governo. Solo fame di suffragi e denari nostri.

Nessuno che abbia detto, ad esempio per la crisi del virus, che abbiamo finora avuto ( nel mondo) 4.200 guariti e 2715 morti.

Chi cerca i quattrini cita solo il numero dei contagiati e chi vuole scaricarsi di responsabilità, i guariti.

Per far ammettere alla TV che i morti erano persone anziane e già ricoverate in ospedale per altre concomitanti e gravi malattie , si è dovuto insistere per quasi una settimana con media di minore impatto, ma non influenzati dal governo.

Tutte le corporazioni succhiasoldi sono all’opera per ottenere benefici : la Coldiretti , una organizzazione fatiscente, ha già fatto il fulmineo conto dei danni inferti dalla epidemia ( che non c’è..) alla zootecnia, dichiarando di aver censito 500 stalle in crisi.

Altra tradizionale coschetta di furbi, gli albergatori che hanno già conteggiato a livello italiano le disdette di prenotazioni nella misura del 70%.

Gli italiani saranno pure influenzati, ma la vicenda grave é che il governo é influenzabile e molto.

A proposito di sussidiarietà, il livello cui porre il problema virus é : il ministro della salute, il commissario alla salute UE, l’OMS.
Tutti « sconosciuti al portalettere » .Tacciono per non fare ombra alla primadonna.

In TV ci va il presidente del Consiglio che vuole influenzare l’elettorato.

Il governo pericoloso di Don Ferrante atto II, di Massimo Morigi

Il governo pericoloso di Don Ferrante II (Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione)
A parte lo scoramento per la situazione venutasi a creare in Italia in seguito alla diffusione
del Corona virus in Italia (se non sbaglio il primo paese del mondo non asiatico per numero di contagi, un brillante risultato dovuto alle ridicole reazioni governative di tutela della salute pubblica messe in campo non appena si ebbe notizia del pericolo), non ci sarebbe molto da aggiungere a quanto già detto sull’ “Italia e il Mondo” ne Il governo pericolooso di Don Ferrante (https://italiaeilmondo.com/2020/02/21/il-governo-pericoloso-di-don-ferrante-dimassimo-morigi/, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20200223110210/https://italiaeilmondo.com/2020/02/21/il-governopericoloso-di-don-ferrante-di-massimo-morigi/) e, sempre sull’ “Italia e il Mondo” da quanto subito dopo ancor più dettagliatamente argomentato da Andrea Zhok sotto il titolo Coronavirus e struzzi politicamente correttti (all’URL
http://italiaeilmondo.com/2020/02/23/coronavirus-e-struzzi-politicamente-corretti-a-cura-digiuseppe-germinario/, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20200223132520/http://italiaeilmondo.com/2020/02/23/coronavirus
-e-struzzi-politicamente-corretti-a-cura-di-giuseppe-germinario/).

Ma, tuttavia, c’è un piccolo dettaglio, che vale la pena mettere in rilievo. Chi ha avuto la stoica sopportazione di seguirmi in questi anni sulle pagine elettroniche dell’ “Italia e il Mondo” si sarà bene accorto del mio rapporto di odio-amore con Carl Schmitt, e questo non perché lo abbia mai giudicato macchiato dai suoi trascorsi nazisti (come invece tuttora fa il politicamente corretto, sempre confondendo il giudizio sul valore di un pensiero con quello di chi lo esprime; estrema putrefazione di questa mentalità: le contestazioni a Roman Polanski per non farlo partecipare a Cannes perché alcuni decenni fa avrebbe forse commesso una violenza carnale) ma, molto semplicemente ed apparentemente sorprendentemente, dal sottoscritto giudicato non sufficientemente decisionista. Ma ci sono momenti in cui il pur “timido” decisionismo di Carl Schmitt è tuttora la stella polare del moderno pensiero filosofico-politico ed è lo strumento principale per conferire il suggello analitico alle situazioni di crisi politica sulle quali ci dobbiamo confrontare come cittadini e come analisti. E, allora, non tanto di fronte alla tardiva reazione governativa del mese appena trascorso, sulla quale abbiamo già detto, ma di fronte all’altrettanto giuridicamente arlecchinesco Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 31- EMERGENZA EPIDEMIOLOGICA DA COVID-2019, emesso in data 23 febbraio 2020 (all’Url http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-delconsiglio-dei-ministri-n-31/14163, Wayback Machine:
http://web.archive.org/web/20200223131934/http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-delconsiglio-dei-ministri-n-31/14163), nel quale, testuali parole si recita: «Il Consiglio dei Ministri si è riunito sabato 22 febbraio 2020, alle ore 19.02, presso la sede del Dipartimento della protezione civile, sotto la presidenza del Presidente Giuseppe Conte. Segretario il Sottosegretario alla Presidenza Riccardo Fraccaro. […] Si introduce, inoltre, la facoltà, per le autorità competenti, di adottare ulteriori misure di contenimento, al fine di prevenire la diffusione del virus anche fuori dai casi già elencati. L’attuazione delle misure di contenimento sarà disposta con specifici decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti i Ministri e il Presidente della Regione competente ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui gli eventi riguardino più regioni. Nei casi di estrema necessità ed urgenza, le
stesse misure potranno essere adottate dalle autorità regionali o locali, ai sensi dell’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, fino all’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.», venie subito alla mente l’immortale sentenza del giuspubblicista di Plettenberg: «Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione.» (Carl Schmitt, Teologia politica, in Le categorie del ‘politico’, a cura di G. Miglio, e P. Schiera, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 33). Già chi è in questo caso il sovrano? e  ha diritto chi di fatto sovrano non lo è più pretendere la sottomissione di coloro verso i quali non sa nemmeno prendere in prima persona provvedimenti eccezionali per difenderli? Se l’attuale epidemia potesse insinuare nella pubblica opinione queste domande, non tutto il male, come si dice, verrrebbe
per nuocere.
Massimo Morigi – 23 febbraio 2019

COSA ABBIAMO IMPARATO, di Antonio de Martini e cosa dovremmo, di Piero Visani

COSA ABBIAMO IMPARATO, di Antonio de Martini

1) Per la difesa della salute, il livello decisionale regionale é privo di senso.
( il regime DC-PSI creando le regioni delegò a queste una competenza sanitaria che i fatti hanno dimostrato avere una valenza spaziale ben più vasta).

2) L’Unione Europea ha perso un’altra occasione per dimostrarsi viva. Non una direttiva e nemmeno linee guida. Nessuna previsione né prevenzione.un tardivo stanziamento per finalità da definirsi.

3) Anche affrancare la protezione civile dalla Difesa si è dimostrato un errore: si tratta di materie ( pianificazione operativa, logistica) capitale umano e mezzi che vengono studiati e impiegati solo dalle forze armate.

Incongrua una dirigenza « civile » : é una duplicazione costosa e inutile, visto che poi – tranne che per le conferenze stampa – si finisce per impiegare i militari, deresponsabilizzandoli con m’ affidamento del comando a estranei , quando non ostili, all’organizzazione principale.

4) Discorso analogo per « L’Unità di crisi » della Farnesina. Di fronte al fatto nuovo, ha reagito utilizzando il criterio usato per gli ostaggi dei terroristi o i reduci da un terremoto: rimpatriando i concittadini ( facendo ricorso all’aeronautica militare) . Anche qui, poco più che un numero verde e comunicati stampa.

Il sovrapporsi di competenze e coordinatori ha prodotto indugi e questi risibili e improvvisati tavoli da sessanta persone visti in TV, mentre sarebbe stato utile uno Stato Maggiore preparato e già affiatato a conoscenza dei limiti e potenziale dei mezzi a disposizione.

L’inferiorità metapolitica, di Piero Visani

       Dal momento che, quando si parla di metapolitica, l’occhio dei “centrodestri” italici si fa ancora più vacuo di quanto non sia abitualmente (e lo è già parecchio…), farò un esempio concreto, di quelli che – “con un piccolo aiuto degli amici”… – magari riusciranno a comprendere, visto che si tiene a debita distanza dal disprezzatissimo pensiero astratto: vi risulta che qualche magistrato si sia mosso onde denunciare qualche membro del governo, dal presidente del Consiglio in giù, per comportamento inizialmente molto omissivo nei riguardi del “Corona virus” e per aver parlato molto di razzismo, più che di altre forme di contagio? No, naturalmente. Come pure nessuna denuncia al Tribunale dei ministri, come accadde in passato a un ministro degli Interni. Tutti silenti, “allineati e coperti”, per nulla attenti alle molte omissioni di controllo e alle troppe restrizioni alla libertà dei cittadini degli ultimissimi giorni.
Non controllare il Deep State, lo “Stato profondo”, e non riuscire a fare politica a causa di tale mancato controllo: questa è inferiorità metapolitica, grave.

Mai sprecare un’arma: la guerra ibrida degli Stati Uniti contro la Cina, di Pepe Escobar

Qui sotto un articolo di Pepe Escobar che ipotizza, praticamente afferma, la natura sintetica del coronavirus la cui diffusione potrebbe essere un atto  proditorio della guerra ibrida ormai in corso tra gli Stati Uniti e le potenze (ri)emergenti, in particolare la Cina, in predicato quest’ultima di soppiantare in tempi brevi gli Stati Uniti nel ruolo di paese guida se non addirittura di potenza egemone. Tuttavia, se è vero che il confronto geopolitico e il conflitto tra stati e formazioni sociali sta assumendo un carattere sempre più virulento, mi pare che l’autore tenda a forzare un po’ troppo l’interpretazione delle dinamiche di un confronto ancora allo stato iniziale e dall’esito in realtà tutt’altro che scontato.

Partiamo dalla ipotizzata natura artificiale del corona virus. E’ vero che a Wuhan, epicentro della epidemia, sono localizzati laboratori batteriologici. Sono siti installati dai francesi e cogestiti da europei, americani e cinesi. Se in una prima fase la manipolazione era di fatto in mano totalmente agli occidentali, da diversi anni in realtà la Cina ha acquisito le abilità necessarie alla manipolazione e di conseguenza è in grado di controllare  attentamente i cicli operativi e le sperimentazioni. Non vanno sottovalutate inoltre le condizioni igieniche particolarmente precarie delle attività agricole, di trasformazione e distribuzione dei prodotti agricoli e animali; un ambiente nel quale virus e batteri trovano alimento e possibilità di mutazione. L’ipotesi quindi di un ciclo naturale trova anch’esso un fondamento anche se le particolari condizioni “favorevoli” non confliggono con l’ipotesi della manipolazione. Quanto al controllo dei processi e all’intenzionalità eventuale del contagio, date le capacità acquisite, sarebbe più riconducibile a qualcosa sfuggito accidentalmente ad opera dei cinesi. La guerra batteriologica, comunque, presenta ancora notevoli controindicazioni legate alla diffusione scarsamente controllabile del virus con tutti i rischi conseguenti a carico degli stessi provocatori. L’autore stesso, del resto, parrebbe in attesa di accertamenti più attendibili da parte delle autorità cinesi. Stessa riserva di giudizio un po’ troppo “ottimistico” sul livello di equilibrio del confronto tra Stati Uniti e Cina. La Cina ha indubbiamente saputo approfittare del processo di globalizzazione e di decentramento dei processi produttivi per acquisire rapidamente una potenza economica ed una capacità tecnologica sorprendente; come d’altronde gli Stati Uniti, per non parlare dei paesi europei ormai geopoliticamente fuori della partita, stanno rischiando seriamente di perdere il controllo di importanti e strategici settori della componentistica e della catena produttiva. La conseguenza di fatto di una visione troppo economicistica del proprio dominio e di una grave sopravvalutazione della propria capacità egemonica. Visione, tra l’altro, che sembra contaminare lo stesso Pepe Escobar quando tende ad assimilare ed identificare la potenza politica e il confronto geopolitico con la competizione e la guerra economica. Per proseguire il ragionamento, la Cina però non ha ancora raggiunto una efficienza ed una dinamicità sistemica tale da poter competere ed eventualmente superare gli Stati Uniti. Soffre ancora di grandi aree ancora depresse e marginali e di un mercato interno insufficiente che solo con l’ultimo piano quinquennale sta cercando di alimentare. Il suo sviluppo tecnologico è ancora settoriale e spesso, dietro i marchi nazionali, nasconde ancora almeno parzialmente il controllo occidentale. Lo stesso dato sui brevetti acquisiti, citato trionfalmente dal saggista, può essere particolarmente fuorviante se non si analizza qualitativamente il fenomeno. Gode di una espansione commerciale estera rilevante se non ridondante, necessaria ad una sorta di accumulazione primitiva, ma non ancora supportata dalla necessaria influenza politica e potenza militare. Parrebbe adottare una modalità operativa più simile a quella delle potenze di fine ‘800, senza per altro gli eccessi interventisti di allora, piuttosto che a quelle ben più sofisticate messe a punto e in opera alla fine del secolo scorso. Quest’ultima, la potenza militare e la capacità di influenza politica, ha raggiunto un livello sufficiente tale da garantire la difesa efficace del paese che prescinda dalla deterrenza nucleare, ma non ha ancora un carattere offensivo e di presidio territoriale, specie dei mari, paragonabile a quello statunitense. Lo stesso progetto di relazioni ed influenza legato alla nuova “via della seta” inizia ad evidenziare importanti contraddizioni e limiti nel relativo sistema di relazioni intessuto con gli altri paesi. Per non parlare della contraddizione politico-economica tra un settore indutriale privato medio-piccolo dipendente ancora dalla tecnologia occidentale ed un sistema di grandi industrie di fatto ristrutturato e molto più autonomo tecnologicamente nonché degli scompensi ricorrenti misconosciuti tra una amministrazione centralizzata e i centri periferici politicamente molto influenti. Gli Stati Uniti d’altro canto, pur con gli scompensi enormi creati dalle delocalizzazioni, non possono essere considerati “un guscio vuoto dedito al gioco d’azzardo”. Più che di un declino assoluto, si deve parlare di un declino relativo tale da indurre in tempi non remoti ad un confronto dall’esito però assolutamente non predeterminato. La truce lotta politica in corso negli Stati Uniti ha assunto questo come posta in palio e da quell’esito dipendono in gran parte le dinamiche geopolitiche mondiali. Una maggior cautela e riserva di giudizio mi paiono quindi opportune._Germinario Giuseppe

Mai sprecare un’arma: la guerra ibrida degli Stati Uniti contro la Cina

Markus 23 Febbraio 2020 , 10:01 Armamenti, Armi batteriologiche, Cina, Deep State, Eurasia, Guerra, Opinione, Pandemia 329 Viste
Pepe Escobar strategic-culture.org
La politica delle nuove vie della seta, o Belt and Road Initiative (BRI), era iniziata con il Presidente Xi Jinping nel 2013, prima in Asia centrale (NurSultan) e poi nel sud-est asiatico (Jakarta).
Un anno dopo, l’economia cinese, a parità di potere di acquisto, aveva superato quella degli Stati Uniti. Inesorabilmente, anno dopo anno dall’inizio del millennio, la quota statunitense dell’economia globale si è andata riducendo, mentre quella della Cina è in costante ascesa.

La Cina è già il centro nevralgico dell’economia globale e il principale partner commerciale di quasi 130 nazioni.
Mentre l’economia degli Stati Uniti è un guscio vuoto e il modo, tipico dei giocatori d’azzardo, con cui il governo degli Stati Uniti si autofinanzia (i mercati dei pronti contro termine e tutto il resto) viene visto come un incubo distopico, lo stato della civiltà avanza in una miriade di aree della ricerca tecnologica, anche grazie al Made in China 2025.
La Cina supera di gran lunga gli Stati Uniti nel numero dei brevetti registrati e produce almeno otto volte più laureati STEM [Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica] all’anno rispetto agli Stati Uniti, guadagnandosi lo status di miglior contributore alla scienza globale.
Una vasta gamma di nazioni in tutto il Sud globale ha sottoscritto accordi per entrare a far parte della BRI, che dovrebbe essere completata nel 2049. Solo l’anno scorso, le aziende cinesi hanno firmato contratti per un valore di 128 miliardi di dollari per progetti di infrastrutture su larga scala in decine di nazioni.
L’unico concorrente economico degli Stati Uniti è impegnato a ricollegare la maggior parte del mondo con la versione del 21° secolo, completamente interconnessa, di un sistema commerciale che era stato al suo apice per oltre un millennio: le vie della seta eurasiatiche.
Inevitabilmente, questa è una cosa che la classe dirigente statunitense non è assolutamente in grado di accettare.
Considerare la BRI come una “pandemia“

Mentre i soliti sospetti si arrovellano sulla “stabilità” del Partito Comunista Cinese (PCC) e dell’amministrazione Xi Jinping, il fatto è che la leadership di Pechino ha dovuto affrontare tutta una serie di problemi estremamente gravi: un’epidemia di influenza suina che ha ucciso la metà dei capi, la guerra commerciale voluta da Trump, la Huawei accusata di estorsione e prossima ad essere esclusa dall’acquisto dei chip prodotti negli Stati Uniti, l’influenza aviaria, il coronavirus che ha praticamente bloccato metà della Cina.
Aggiungeteci l’incessante raffica di propaganda da guerra ibrida del governo degli Stati Uniti, superata solo da una massiccia dose di sinofobia; tutti, dai “funzionari” sociopatici ai consiglieri autonominatisi, stanno consigliando alle imprese di spostare le catene di approvvigionamento globale al di fuori della Cina o si lanciano in vere e proprie richieste di cambio di regime, con ogni possibile forma di demonizzazione intermedia.
In questa offensiva totale, tutto è permesso per tirare calci al governo cinese mentre è a terra.
Alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, una nullità del Pentagono definisce, ancora una volta, la Cina come la più grande minaccia, economicamente e militarmente, per gli Stati Uniti e, per estensione, all’Occidente, costringendo una UE traballante e già subordinata alla NATO a sottomettersi ulteriormente a Washington in questo remix di Guerra Fredda 2.0.

L’intero complesso dei media aziendali statunitensi ripete fino allo sfinimento che Pechino sta “mentendo” e sta perdendo il controllo. Scendendo ai livelli più bassi e razzisti, questi scribacchini arrivano ad accusare la stessa BRI di essere una pandemia, con la Cina “impossibile da mettere in quarantena.”
Tutta roba forte, per non dire altro, che arriva dagli schiavi generosamente ricompensati di un’oligarchia senza scrupoli, monopolistica, estrattiva, distruttiva, depravata, criminale, che usa il debito in modo offensivo per aumentare la propria ricchezza e il proprio potere, mentre le masse proletarie statunitensi e globali sono costrette ad usare il debito in modo difensivo, per cercare di sopravvivere. Come ha dimostrato in modo conclusivo Thomas Piketty, la disuguaglianza si basa sempre sull’ideologia.
Siamo immersi in una feroce guerra di informazioni. Dal punto di vista dell’intelligence cinese, l’attuale cocktail tossico non può essere semplicemente attribuito ad una serie casuale di coincidenze. Pechino ha seri motivi per considerare questa straordinaria catena di eventi come parte di una guerra ibrida coordinata, un attacco alla Cina a tutto campo.
Prendiamo l’ipotesi di lavoro del Dragon Killer: un attacco con un’arma biologica in grado di causare immensi danni economici ma protetta da una plausibile negabilità. L’unica mossa possibile da parte della “nazione indispensabile” sulla scacchiera del Nuovo Grande Gioco, considerando che gli Stati Uniti non possono battere la Cina con le armi convenzionali e non sono in grado di vincere una guerra nucleare contro di essa.

Un’arma da guerra biologica?
All’apparenza, il coronavirus è un’arma biologica da sogno per coloro che sono intenzionati a provocare il caos in tutta la Cina nella speranza di un cambio di regime.
E’ comunque una cosa complicata. Questo articolo fa uno sforzo decente nel tentativo di tracciare le origini del coronavirus. Confrontalo ora con le intuizioni del Dr. Francis Boyle, professore di diritto internazionale presso l’Università dell’Illinois e autore, tra gli altri, di Biowarfare and Terrorism. È la persona che aveva redatto la bozza della proposta di legge antiterrorismo sulle armi biologiche degli Stati Uniti del 1989, approvata da George H. W. Bush.
Il dottor Boyle è convinto che il coronavirus sia un’arma offensiva da guerra biologica uscita dal laboratorio di Wuhan BSL-4, anche se “non dice che era stato fatto deliberatamente.”
Il Dr. Boyle aggiunge: “Tutti questi laboratori BSL-4 di Stati Uniti, Europa, Russia, Cina, Israele sono stati fatti per ricercare, sviluppare, testare agenti per la guerra biologica. In verità, non vi è alcun motivo scientifico legittimo per avere laboratori BSL-4.” A tutto il 2015, le sue stesse ricerche sulle armi batteriologiche erano arrivate a far spendere al governo degli Stati Uniti la bellezza di 100 miliardi di dollari: “Abbiamo oltre 13.000 presunti scienziati che dovrebbero occuparsi di medicina e che qui, negli Stati Uniti, … testano armi biologiche. In realtà, questo va molto indietro nel tempo, anche prima dell’11 settembre.”

Il Dr. Boyle accusa direttamente “il governo cinese di Xi e dei suoi compagni” di una copertura “fin dall’inizio. Il primo caso segnalato si era verificato il 1° dicembre, e avevano temporeggiato fino a quando non era stato più possibile. E tutto ciò che vi stanno dicendo è una bugia. È propaganda.”
Per il Dr. Boyle anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è d’accordo: “Hanno approvato molti di questi laboratori BSL-4 (…) Non potete fidarvi di ciò che dice l’OMS perché sono tutti comprati e pagati da Big Pharma e lavorano in combutta con il CDC [Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie], che è il governo degli Stati Uniti e lavorano in combutta con Fort Detrick.” Fort Detrick, ora un laboratorio all’avanguardia per la guerra biologica, in precedenza era un noto centro di ricerca della CIA per gli esperimenti sul controllo mentale.
Basandosi su decenni di ricerca nel campo della guerra biologica, il Deep State statunitense ha una notevole familiarità con tutta la gamma delle armi biologiche. Da Dresda, a Hiroshima e Nagasaki alla Corea, al Vietnam e a Falluja, i dati storici mostrano che il governo degli Stati Uniti non batte ciglio quando si tratta di scatenare armi di distruzione di massa su civili innocenti.
Da parte sua, la Defense Advanced Research Project Agency (DARPA) del Pentagono ha investito una fortuna nelle ricerche sui pipistrelli, sui coronavirus e sulle armi biologiche per l’editing genico. Guarda caso, proprio adesso, come se questa fosse una forma di intervento divino, gli “alleati strategici” della DARPA sono stati scelti per sviluppare un vaccino genetico.
La Bibbia dei Neoconservatori del 1996, il Progetto per un Nuovo Secolo Americano (PNAC), affermava in modo inequivocabile che “le forme avanzate di guerra biologica in grado di ‘colpire’ genotipi specifici possono far uscire la guerra biologica dal regno del terrore e trasformarla in uno strumento politicamente utile.”
Non c’è dubbio che il coronavirus, finora, sia stato uno strumento politicamente utile inviato dal Cielo, permettendo di raggiungere, con il minimo investimento (rafforzato da un’offensiva propagandistica senza sosta), gli obiettivi della massima potenza globale, gli Stati Uniti, mentre la Cina si è ritrovata relativamente isolata e con l’economia semi paralizzata.
Però bisogna vedere le cose in prospettiva. Il CDC ha stimato che durante la stagione influenzale 2018-2019, negli Stati Uniti si erano ammalate 42,9 milioni di persone. 647.000 erano state state ricoverate in ospedale. 61.200 erano morte.
Questo articolo descrive in dettaglio la “guerra popolare” cinese contro il coronavirus.
Tocca ai virologi cinesi decodificare la sua origine, probabilmente sintetica. Il modo in cui la Cina reagirà, a seconda dei risultati, avrà conseguenze sconvolgenti, letteralmente.
Preparare il palcoscenico per i Ruggenti Anni Venti

Dopo essere riusciti, a loro vantaggio, a trasferire in Eurasia le catene di approvvigionamento commerciali e a svuotare il continente americano, le élite statunitensi (e quelle occidentali subordinate) stanno ora fissando il vuoto. E il vuoto sta guardando verso di loro. Un “Occidente” guidato dagli Stati Uniti si trova ora di fronte all’irrilevanza. La BRI è in procinto di invertire almeno due secoli di dominio occidentale.
In nessun modo l’Occidente e soprattutto il “leader di sistema,” gli Stati Uniti, lo consentiranno. Tutto era iniziato con le operazioni sporche che avevano causato problemi nella periferia dell’Eurasia, dall’Ucraina alla Siria al Myanmar.
Ora è il momento in cui il gioco si fa davvero duro. L’assassinio mirato del Magg. Gen. Soleimani e in più il coronavirus, l’influenza di Wuhan, hanno davvero preparato il palcoscenico per i Ruggenti Anni Venti. In realtà, il nome giusto dovrebbe essere WARS, Wuhan Acute Respiratory Syndrome. Questo smaschererebbe immediatamente il gioco, facendo capire che si tratta di una Guerra contro l’Umanità, indipendentemente dalla sua provenienza.
Pepe Escobar
Fonte: strategic-culture.org Link: https://www.strategic-culture.org/news/2020/02/21/no-weapon-leftbehind-the-american-hybrid-war-on-china/

https://comedonchisciotte.org/mai-sprecare-unarma-la-guerra-ibrida-degli-stati-uniti-contro-la-cina/

Coronavirus e struzzi politicamente corretti, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto la pubblicazione di alcune incisive considerazioni di Andrea Zhok e Vincenzo Cucinotta, tratti da facebook, riguardanti le implicazioni e la gestione di una eventuale se non probabile diffusione epidemica o peggio pandemica del coronavirus. L’argomento meriterà sicuramente ulteriori riflessioni sulla falsariga di quanto sottolineato da Zhok e sostenuto a più riprese, ormai da anni, da questo blog a proposito della fragilità e della sempre più incipiente crisi di un sistema globalizzato di relazioni fondato su una visione unipolare ed economicistica del sistema di relazioni. Al momento preme sottolineare due aspetti della gestione casereccia di questa situazione di crisi.

  • L’atteggiamento della stampa e del sistema di informazione nella loro quasi totalità. I telegiornali ormai dedicano pressoché le intere edizioni alla crisi in atto. In realtà non fanno che soffermarsi ossessivamente sul numero dei casi, sulla condizione dei pazienti e sulle misure di isolamento dei soggetti e delle comunità implicati. Nessuna seria azione di vigilanza, puntualizzazione e critica dell’azione governativa a cominciare dalla verifica dei poteri di vigilanza e di efficacia di azione conferiti alla Protezione Civile e agli altri organismi preposti. Con il pretesto di evitare di concedere spazio alla strumentalizzazione politica, in parte effettiva, operata in particolare da Matteo Salvini, non fa che riportare pedissequamente e diligentemente l’azione governativa. Un atteggiamento di apparente neutralità ed oggettività che nasconde la funzione surrettizia di sostegno politico a questi ultimi; una mistura esplosiva di allarmismo sterile e conformismo politico innescata da un meccanismo a scoppio ritardato dalle conseguenze potenzialmente disastrose.
  • L’atteggiamento delle forze al governo. La preoccupazione primigenia di costoro è stata quella di lanciare “messaggi di inclusione” a contrasto e in polemica con un razzismo di fatto inesistente e irrilevante, almeno per il momento, nel nostro paese. Una strumentalizzazione politica peggiore di quella degli avversari e un messaggio che rischia di sminuire l’azione individuale di prevenzione. Lasciamo perdere per il momento il tema del ridimensionamento, deperimento delle strutture amministrative e di servizio del paese. Con tutti gli strumenti invasivi di controllo individuale disponibili, legati all’uso di carte di pagamento, di pedaggi e prenotazioni e via dicendo, pare che siano stati utilizzati strumenti più approssimativi e informali di individuazione dei focolai primigeni con conseguenti ritardi e carenze che costringeranno probabilmente a modificare la natura e la drasticità degli interventi futuri riguardo ad una patologia preoccupante più che per la mortalità per la contagiosità e l’oneroso trattamento medico necessario in buona parte dei casi il cui corso potrebbe portare al collasso il sistema ospedaliero.

Non pare, quindi, per chiosare Zhok, che il Governo sia consapevole della posta in palio e se lo è preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto piuttosto che andarsene.

Andrea Zhok

Qualche osservazione sparsa e da profano sugli ultimi eventi relativi al ‘coronavirus’.

1) Il problema fondamentale rappresentato da una possibile epidemia di Covid-19 non sta nella mortalità, che è di poco superiore ad una normale influenza, ma nella pesantezza del decorso, che richiede spesso ricovero ospedaliero.

2) Quindi l’impatto problematico del Covid-19 si manifesta (potenzialmente) in primo luogo sulle strutture ospedaliere, che incidentalmente sarebbero lì per occuparsi di una pluralità di problemi, e che si possono trovare rapidamente al collasso. – In quest’ottica si comprende sia la sollecitudine (e mostruosa efficienza) cinese nella costruzione di nuovi ospedali, sia la preoccupazione di molti operatori ospedalieri italiani in un settore scarnificato dai tagli negli ultimi anni.

3) In seconda battuta, l’impatto del Covid-19 è particolarmente severo sull’intero sistema delle transazioni, sul ‘libero movimento di merci e persone’. In quest’ottica poche cose illustrano in modo più plastico di questa epidemia il sistema di interconnessioni ed interdipendenze globali. Al contempo ciò mostra l’immensa strutturale fragilità di sistemi produttivi così estesi, che dopo essere stati più volte messi sotto accusa per le ripercussioni ambientali di questa ‘frenesia di movimento’, e per le loro ripercussioni in termini di destabilizzazione economica (delocalizzazioni, ecc.), ora mostrano anche la corda nei termini di fragilità del controllo nazionale (quando il controllo nazionale è l’unica cosa cui puoi ricorrere, come in caso di epidemia).

4) Nel caso italiano temo che il rischio di essere il vaso di coccio del sistema sia altissimo. Paesi come la Cina giocano le loro carte sull’export, ma hanno un forte controllo nazionale, e ciò gli consentirà plausibilmente, nonostante una situazione inizialmente assai più grave, di rimettersi in carreggiata tra uno o due mesi. Se la curva dei contagi, come sembra, continua a ridursi, la Cina riprenderà (non senza strascichi) il suo ruolo attuale di ‘fucina del mondo’.
Altri paesi, come gli USA, hanno un mercato interno forte, che risentirà relativamente di eventuali prolungate interruzioni delle ‘supply chains’ mondiali.
I paesi europei sono quelli destinati a soffrire di più nel caso di un prolungarsi od aggravarsi della situazione, e l’Italia più di tutti, perché dipende più di ogni altro dalle proprie relazioni internazionali (sia come export, che come settore turistico).

5) Sul piano strettamente empirico, in Italia, in questo quadro c’è un particolare che finora mi sembra curiosamente assente dalla discussione. Siamo di fronte a due focolai distinti, di cui uno ha un possibile paziente zero (ma per ora non confermato), mentre nell’altro caso non mi risulta che ci sia alcun paziente zero.
Ora, la mancata individuazione dei focolai originanti dell’infezione è un evento di straordinaria gravità. Se il/i soggetto/i che diffonde il virus non viene isolato può contagiare un numero indefinito di persone, che visti i tempi di incubazione (da 2 a 15 giorni, sembra), potrebbe provocare una condizione pandemica in capo a un paio di settimane.

Ci si potrebbe trovare, e non è una proiezione particolarmente pessimistica, con una situazione di dimensioni ‘cinesi’. Scarsa consolazione sembra provenire dalla presunta stagionalità del virus, giacché a quanto pare si sta diffondendo anche in aree calde. Un quadro del genere può significare per l’Italia essere tagliati fuori come anelli dell’approvvigionamento europeo e come destinazione turistica.

Il tutto in una cornice già economicamente logorata e socialmente tesa.

E, per inciso, senza la possibilità di poter ricorrere a pratiche di autofinanziamento statale (per la ben nota deprivazione della potestà sulla propria erogazione di moneta).

Direi la tempesta perfetta.

Spero vivamente che chi ci governa abbia chiaro davanti agli occhi questo scenario, al momento non solo di principio possibile, ma significativamente probabile. Non è un momento in cui si può aspettare e stare a vedere cosa succede, per poi metterci delle toppe. Le toppe sono già quasi finite, e potremmo essere solo all’inizio.

 Vincenzo Cucinotta

Conte dice “stiamo facendo tutto il possibile”.
Il punto è che non si fa mai tutto il possibile, perchè se ciò che si fa esaurisce tutto il possibile, allora, non ci sarebbe nulla da decidere.
Quel Conte mi pare l’emblema stesso di questo aspetto più ignobile dell’italianità, questa approssimazione, questo volemose bene, uno che dice che gli italiani possono stare tranquilli perchè il governo sta facendo del suo meglio.
Vedo che non ci sono grandi consensi alla mia posizione “estrema”, cioè affrontiamo il contagio senza illuderci di poterlo contenere, ma credo che non sia chiaro che ogni battaglia che si intraprende, lo si fa per vincerla.
Mi chiedo allora coloro che sono nel panico per ogni possibile estensione del contagio, a quali sacrifici estremi siano pronti, a rimanere barricati in casa fino a esaurimento delle scorte, e poi affidarsi a lanci di derrate alimentari da elicotteri? Non so, non capisco, forse non è chiaro a tutti che ormai abbiamo una pluralità di fonti di contagio, molte delle quali tuttora ignote, e ognuna di queste può rapidamente dar luogo a numerosissime fonti di contagio. Come possiamo davvero credere che si riesca a controllarle tutte?
Mi chiedo se siano così scemi o se siano solo furbi, e invece di puntare a delimitare il contagio, stiano solo tentando di difendere la propria immagine dicendo appunto che “hanno fatto tutto il possibile”. A noi, che facciano tutto il possibile non interessa per niente, vogliamo risultati, e quindi se qualcuno ha un’idea in proposito, che adottino una strategia ben definita e articolata, sennò sarebbe meglio che non facessero nulla, il possibile di cui parlano può essere molto pernicioso.

http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-31/14163

Il   Governo pericoloso di Don Ferrante, di Massimo Morigi

                                               

 

Il Governo pericoloso di Don Ferrante

 

La vita e le dinamiche delle società cosiddette avanzate, altrimenti dette democrazie industriali, molto spesso impongono difficoltà di analisi e giudizio le quali, almeno da un punto di vista strettamente tecnico, si rivelano per la pubblica opinione difficilmente comprensibili ma anche di assai difficile approccio per coloro che, come lo scrivente, sono a malapena dotati di qualche flebile competenza filosofico-politica.

Ovviamente, vedi il caso delle attuali classi dirigenti italiane per le quali la permanenza nell’Euro è una sorta di mantra per coprire le loro storiche manchevolezze, non è difficile emettere un giudizio negativo ma questo, inevitabilmente – per ragioni sia di mancanza di competenze economiche specifiche da parte di chi emette il giudizio (tanto per non andare lontano: sempre lo scrivente), sia per il fatto che decisioni come la permanenza nell’Euro che non sono solo economiche ma, soprattutto, di tipo storico e destinale per una comunità nazionale e che quindi più che l’intelletto nel giudicarle richiedono un uso massiccio della hegeliana ragione, la quale, come si sa o come si dovrebbe sapere è posseduta da tutti e da nessuno –  si risolve, alla fine in una petitio principii, che certo non è, come comunemente si crede, un errore logico, anzi!, ma sicuramente è contestabile da  contrarie ed altrettanto legittime prese di posizione (anche se, mi permetto di aggiungere, malefiche per le sorti della nostra nazione).

Ma vi sono casi in cui queste difficoltà svaniscono come neve al sole ed è sufficiente l’uso del semplice intelletto per emettere il giudizio. Come nel caso del Coronavirus, per il quale il nostro beneamato governo, (nonostante tutti gli appelli di buonsenso contrari alla sua linea, per non dire altro,  lassista,  vedi virologo Roberto Burioni) ha ritenuto di non dovere imporre la quarantena obbligatoria per coloro che sono stati esposti a rischio di contagio ma solo, ora sembra, per coloro che sono di ritorno dalla Cina.

E a questo punto,  per trovare una spiegazione a tanto “coraggio”  indecisionista bisogna però di nuovo ricorrere alla hegeliana ragione e avanzare l’ipotesi che chi ha paura delle scie chimiche, forse giustamente vuole proporre una riabilitazione del manzoniano Don Ferrante che, profondo nella scienza astrologica, morì per aver voluto negare la peste, ma la cui morte, può sempre ribadire il cultore della scia chimica, è stato solo un fatto letterario e voluto dal quell’arcigno ed aristocratico scrittore che rispondeva al nome di Alessandro Manzoni.

Il Manzoni, noi aggiungiamo, del tutto verosimilmente non avrebbe  nemmeno speso  un pensiero di commiserazione per un governo composto  dagli smandrappati scappati di casa seguaci del cielo stellato e dagli sfiancati e geneticamente modificati epigoni di una rivoluzione che fu grande e che, pur con tutti i suoi orrori,  di fronte a grandi sfide seppe imporre anche grandi ed efficaci risposte e non blaterare ad ogni piè sospinto la pappa del cuore del politicamente corretto. Pappa del cuore che non è solo propaganda ma infetta anche la loro mente e che fa sì che non si prendano misure draconiane, per limitare questa nuova peste, per paura che gli italiani si rivelino razzisti contro i cinesi, mentre è di tutta evidenza che rischi xenofobi si correrebbero proprio nel caso la situazione dovesse sfuggire di mano.   

 

Massimo Morigi 

 

 

 

Il momento e il modo opportuni, di Roberto Buffagni

La minaccia di uscire dall’euro non è uno strumento di pressione adeguato per una trattativa volta a ottenere migliori condizioni all’interno del quadro UE, perchè è un ultimatum, che dunque si può usare una volta sola, e a cui si è costretti a dare corso in caso di risposta negativa.

L’uscita dall’euro fa saltare il quadro UE attuale, del quale l”euro è il principale strumento politico (l’archetipo di tutti i “piloti automatici” con i quali l’oligarchia UE governa).

L’uscita dall’euro, implicando (comunque sia gestita) la fine del sistema UE vigente, è dunque una rivendicazione antisistemica, che può essere soltanto imposta, non trattata in vista di un compromesso tra pari che condividono e vogliono preservare il medesimo quadro politico d’insieme.

L’analogia più calzante mi pare quella con il meccanismo della dissuasione nucleare “du faible au fort”, studiata dal generale Gallois in vista dell’istituzione della force de frappe nucleare voluta da de Gaulle.

Sintesi: quando il debole fornito di armamento nucleare vede minacciati i suoi interessi vitali, minaccia il forte di usare le sue armi atomiche, a prescindere dal fatto che il forte sia in grado di rispondere con un contrattacco nucleare di maggiore potenza, in grado di devastarlo ed eventualmente di annichilirlo. In presenza di attori razionali del conflitto, il forte si troverà di fronte a un rapporto costi/benefici sfavorevole, e recederà. Egli può infatti annichilire il nemico, ma subendo danni immensi, politicamente ingiustificabili. Perchè la dissuasione “du faible au fort” funzioni, è imperativo che il decisore sia:

a) la massima autorità del paese debole, che nell’emergenza ha poteri pressochè dittatoriali

b) che la massima autorità del paese debole sia credibile, cioè a dire che il nemico creda che egli non esiterà a usare l’arma nucleare di cui dispone.

Quando si minaccia di uscire dall’euro, si dice implicitamente alla controparte che COMUNQUE VADA la trattativa, il quadro politico UE vigente è finito: non “che finirà”, ma che è GIA’ finito. L’unico margine di trattativa che resta, dopo la minaccia-ultimatum, è sul COME finisce il quadro politico vigente. Se la controparte cede, l’uscita dal quadro politico UE avviene in modo concordato. Qui si che si aprono gli spazi di trattativa, politica e diplomatica: una trattativa che sarà durissima, scorretta, dolorosa, ma resterà una trattativa, cioè un conflitto regolato dalle leggi nel quale si può cercare un punto di compromesso accettabile per tutti (anche se non è detto che lo si trovi). Se la controparte non accetta l’uscita concordata dal quadro UE vigente, chi ha proposto l’uscita dall’euro è costretto, dalla logica dell’ultimatum, a uscire unilateralmente, a far saltare comunque il quadro UE, e ad aprire una fase di conflitto che solo in seguito, una volta chiaritisi i nuovi rapporti di forza, potrà dare luogo a trattative.

Insomma: uscire dall’euro significa aprire una fase di guerra economica e psicologica APERTA. Il che all’Italia non solo conviene, ma è indispensabile, perchè nell’attuale fase di guerra economica e psicologica COPERTA il ceto dirigente italiano collabora con il nemico, e il popolo, che ne è ideologicamente plagiato e disinformato, non reagisce o reagisce a sproposito.
Postato da Roberto Buffagni in Goofynomics alle 21 agosto 2014 12:20

Bagnai:

Chapeau! Comunque, io che ho detto? Siamo perfettamente d’accordo. Non ci sono margini di trattativa, l’euro è un aborto, la volontà politica di tenerlo in piedi non c’è (vedi il discorso di Bolkestein), quindi chi parla di “pugni sul tavolo” è un imbecille. Semplicemente si va lì, con un bel sorriso, senza l’attitudine minacciosa da pugile suonato che ci consigliano i nostri migliori economisti e i nostri più fini politici, e si dice, se possibile in tedesco (Jorg si offre volentieri):

“Noi ce ne andiamo, e questa volta lo scherzetto dello spread non ce lo facciamo fare (NdR: ad esempio rifinanziando pro tempore il nostro debito con la stampa di euro, come propone Jacques Sapir nel suo piano di uscita, che trovate nella sezione “Per cominciare“, o anche semplicemente ridenominandolo in tempi sufficientemente rapidi – oggi ci sono i computer, mi dicono…). Voi che fate? Cooperate, o no? Perché tanto l’euro è finito, quindi, da creditori intelligenti, mi sa tanto che vi conviene cooperare. Volete attaccare la nuova lira? Fatelo! Quanto più scende, tanto più la vostra industria ci perde. Mi sa che vi conviene sostenerla e mantenere i mercati ordinati, così voi ci fate uno sconto non eccessivo sui nostri debiti, noi ci facciamo uno sconto non eccessivo sulla vendita all’estero delle nostre merci, e dopo staressimo tutti meglio. Cosa? La risposta? No, guardi, lei è tanto gentile, signora Merkel, ma io ho da fare, devo salvare il mio paese, quindi, non lo prenda come uno sgarbo o una mancanza di rispetto, ma la sua risposta è del tutto irrilevante. Bella pe’ tte”.

Cioè: non si va a dire “se non fate così l’euro è morto!”. Oh, no, sarebbe un gravissimo errore, sarebbe una minaccia, e la minaccia del debole non funziona, salvo nel caso molto particolare messo opportunamente in evidenza dal brillante intervento di Roberto. Si va a dire: “l’euro è morto, quindi fate come vi pare, ma è meglio se fate così”, che è una semplice applicazione del principio che chi mena per primo mena due volte (il che, se sei più piccolo, ti conviene).

La Costituzione francese prevede esattamente il tipo di leadership della quale Roberto parla (vedi sempre il discorso di Sapir nel suo piano di uscita). La nostra no. Il nostro Presidente della Repubblica non ha i poteri di quello francese, il che è tutto sommato un bene, visto che Napolitano si è più volte esplicitamente schierato a difesa degli interessi dei creditori esteri (lo dico rispettosamente, è un dato di fatto, evidentemente lui ora la pensa così…).

Basta solo trovare un Presidente del Consiglio che abbia voglia di passare alla storia, magari in un modo diverso da quello che vi facevo vedere, a testa in giù, qualche post fa. Sembra impossibile, ma siccome deve succedere, succederà. E chi non lo avrà fatto si mangerà le mani…

Assolutamente condivisibile.
Ovvio che trovare un simile Presidente del Consiglio comporti alternativamente due presupposti… che sia appoggiato da un forte schieramento politico che la pensi come lui (ma per quanto mi sforzi di guardare lontano quel termine “forte” appare ancora una chimera) ovvero che si comporti come fece quel poco simpatico signore con i baffetti ridicoli tanti anni fa (il che non mi sembra uno scenario auspicabile).
Io ancora spero su Marine proprio in virtù di quella peculiarità della costituzione francese accennata dal Professore…peccato che ancora manchi un bel pò di tempo, a meno che i “galletti” non trovino il modo di anticipare la faccenda.

Non riesco ad immaginare un nostro rappresentante rischiare il tutto per tutto in un braccio di ferro con i poteri forti a livello europeo/mondiale – e pure di casa. Se qualcosa – e sicuramente i nostri nemici hanno gli strumenti per farlo – andasse storto, allora si’ che subirebbe il noto rovesciamento prospettico, perche’ il nesso causa-effetto sarebbe cosi’ palese per le masse.. Lietissimo di sbagliare, ma proprio perche’ e’ improbabile l’esistenza (gomblotto) di una singola oligarchia organizzata, bensi’ di molte in conflitto perenne, queste non molleranno mai il loro pezzettino d’osso per una visione lungimirante, esempio non perdere milioni di clienti ricchi, perche’ sarebbero fagocitate all’istatte dalle altre oligarchie. Ci spoglieranno di tutti i risparmi, delle nostre case con i mutui inversi che saranno l’unico modo di mantenere i figli. Poi si dilegueranno, i pesci piccoli saranno presi, gli altri ci faranno ricostruire le loro fabbriche, grazie. Immagino che il Prof. non si interessi alla lotta di classe semplicemente perche’ non esiste, al contrario del conflitto di classe.

Paul Krugman sul NYT e già il titolo è un programma: “The Euro Catastrophe”.
E rimanda a questo articolo apparso sul Washington Post:

Worse than the 1930s: Europe’s recession is really a depression

http://www.washingtonpost.com/blogs/wonkblog/wp/2014/08/20/worse-than-the-1930s-europes-recession-is-really-a-depression/

E come se non bastasse, ecco il fratello di Belzebù

Italy’s Downward Spiral di Hans-Werner Sinn

https://www.project-syndicate.org/commentary/hans-werner-sinn-argues-that-the-economy-s-long-slump-reflects-the-failure-of-officials-to-address-the-real-problem

Ultima segnalazione: uno dei più brillanti pezzi comici dell’anno si trova su voxeu.org

How to jumpstart the Eurozone economy
Francesco Giavazzi, Guido Tabellini, 21 August 2014

In una sola notte, sono passati da “tagliare, tagliare, tagliare!!” a “spendere, spendere, spendere!!”… il sipario si sta per aprire e non sarà un bello spettacolo.

Hai capito benissimo, temo.
E lo sa bene anche il Prof.!
Noi oggi siamo oltre il 130% di rapporto debito/PIL.
La porzione di debito eccedente il 60%, cioe’ oltre il 70%, cioe’ circa 1550 miliardi di Euro, verra’ presumibilmente conferita nell’ERF (in cambio della possibilita’ di spendere ed aumentare ancora il debito per mantenere in vita l’Euro), fornendo come garanzia il patrimonio pubblico (tutto il demanio, il territorio dello Stato, il presunto gettito fiscale futuro, i flussi contributivi previdenziali obbligatori, le residue aziende e partecipazioni pubbliche, CDP inclusa).
La modifica del titolo V della Costituzione permettera’ inoltre al Governo di togliere a Comuni e Regioni le aziende municipalizzate dei servizi e di conferire nell’ERF anche i futuri flussi di cassa di IMU, TASI & TARI.
Ogni essere vivente residente in Italia (perche’ in questo scenario non ci saranno piu’ cittadini ma solo abitanti), opportunamente identificato col suo codice fiscale, dovra’ pagare ‘per sempre’ ai creditori esteri una cifra minima annuale, per il solo fatto di vivere sul territorio di quella che un tempo fu la Repubblica fondata sul lavoro e che i ben noti traditori della Patria hanno condotto a questo punto.
E’ questo il patto scellerato, il novello ‘Armistizio di Citta’ della Pieve’ (a Cassibile non c’era purtroppo nessuna villa di Draghi), che il plenipotenziario delle potenze creditrici Alleate Mefistofele Draghi ha imposto al Generale Renzie Badoglio perche’ sia annunciato lunedi’ 8 Settembre… (ogni riferimento storico e’ ricercato).
http://www.italiachiamaitalia.it/articoli/detalles/23235/StoraceO%20LaODestra%20%20O%20accordoODraghi-RenziOOLaOUeOvuoleOilOnostroOpatrimonioOnazionaleE.html

Non necessariamente . Si potrebbe finire anche a testa in su , tipo Calvi al Ponte dei Frati Neri o alla maniera di Mattei . Tenga presente che Farage per molto meno ci è andato vicinissimo .
Un Presidente del Consiglio avveduto questo deve metterlo in conto .
Tengo a precisare che non sono un complottista .
Voglio solo dire che vi dovete scordare di una uscita unilaterale , qualunque sia il Paese dell’ eurozona che voglia farlo . Un gruppo di Paesi è più razionale .
L’ipotesi fatta da Buffagni e condivisa dal Professore si basa su agenti economici razionali , e sono pareri condivisibili , e se così fosse a quest’ora saremmo già fuori dall’euro .
Ma l’euro ha anche una valenza politica . Quella di far muovere TUTTI i Paesi del eurozona all’unisono quando ci sono conflitti politici .
Vedete la storia d’ ITALIA . Quando era divisa in stati autonomi non solo non c’era il problema del mezzogiorno , ma ogni stato italiano faceva alleanze diverse con le varie nazioni europee .
Con l’unità italiana è sorto il problema del sud e ci hanno portati in massa in due guerre mondiali senza che ci fosse una regione italiana che si potesse dissociare . Dove ci hanno detto di andare siamo andati . TUTTI .
Senza tenere in conto che i mega stati producono duci e imperatori a iosa.
Personalmente una Europa politicamente unita la ritengo una calamità per la democrazia .
Per me il fascismo è il figlio diretto dell’ Unità d’Italia . IL Principe tanto vagheggiato alla fine è arrivato .
Tengo a precisare che non sono leghista , anche se su consiglio del Professore, ma anche di decisione autonoma ho votato per Borghi . Se poi è stato eletto Borghezio sti cazzi . IL problema è della Lega non mio.
Sintesi : non si va a battere i pugni sui tavoli ( comportamento infantile ) , ma non si fa nemmeno una uscita UNILATERALE ( comportamento autolesionista ) ovviamente non dal punto economico .
Comunque l’Italia non ha chance né politiche e né economiche autonome .
Come ci hanno portato dentro così ci porteranno fuori .
I pochi hanno scienza ma non potere . I molti hanno potere , ma non scienza .

Quoto:

“Noi ce ne andiamo”

Non c’è un “noi”, questo mi pare sia il senso del post di Buffagni.

Riquoto:

“Basta solo trovare un Presidente del Consiglio”

Non esiste il “noi” che elegga questo Presidente del Consiglio (cioè il “noi” che questo Presidente del Consiglio dovrebbe rappresentare a meno che, come accenna Roberto nel suo post, non si parli di “poteri dittatoriali”); inoltre appena un partito serio che si presenti alle elezioni col programma di uscire dall’euro riesce a guadagnare un consenso tale da far ipotizzare una sua quasi sicura vittoria l’euro crolla in maniera disordinata.

Le analisi del professor Bagnai sono corrette ma restano analisi economiche ossia non indicano un progetto realizzabile politicamente.

Temo che dal 2015 le cose cominceranno ad andare per i fatti loro, per così dire.

Preciso il mio pensiero. Le condizioni politiche per uscire dall’euro, nell’Italia di oggi non ci sono, per molte ragioni, la maggiore delle quali è la disgregazione del centrodestra dopo il fallimento-tradimento di Silvio B. (a mio parere, solo una forza politica di centrodestra può guidare l’uscita dall’euro, perchè solo nella cultura politica del centrodestra sopravvive, bene o male, l’idea di nazione: e la battaglia contro l’euro è una battaglia nazione vs. sovrannazione).
E’ possibile che ci siano in Francia, se il FN continua il trend positivo.
E’ anche possibile che nei prossimi anni, le condizioni politiche cambino in modo sensazionale anche qui, perchè le forze euriste hanno vinto per abbandono dell’avversario, e la situazione sociale oggettiva è quel che è (molto negativa). La questione centrale è la leadership del centrodestra. Se il Signore volesse richiamare a sè Silvio B., ci renderebbe un segnalato favore.

 

  • Ma figurati! Solo che siamo in Italia, dove “volontà” non si dice “proposta”. La proposta c’è, costa 17 euro in libreria. La volontà verrà. Mica penserai che il Pd faccia il 40% alle prossime elezioni, vero? Ci vuol altro che Fubini!

  • Quoto Buffagni:

    “E’ possibile che ci siano in Francia, se il FN continua il trend positivo.”

    E’ vero e significa appunto che una decisione simile potrà essere presa solo con un vasto consenso elettorale o alternativamente con poteri quasi dittatoriali cose che non esistono in Italia.
    Il problema secondo me è che appena si profilerà concretamente questa eventualità in uno dei paesi che contano l’euro crollerà in maniera disordinata, per questo dico che l’uscita non è una reale proposta politica anche se “teoricamente” è l’unica strada percorribile.
    Sono d’accordo che si stia andando verso un conflitto nazione vs. sovranazione ma sarà appunto un “conflitto”, prima sociale e poi forse anche qualcos’altro ma non una “soluzione”.

    Non è questione di primato della politica ma di assenza totale di prospettiva politica alternativa se non questi ritorni di fiamma dei nazionalismi che sono sostenuti principalmente da elettori impolitici; credo che nel 2015 ci renderemo conto della gravità di questa mancanza.

    Un’uscita unilaterale dall’euro con gli attuali attori e nel vigente sistema istituzionale è purtroppo irrealizzabile, in quanto richiederebbe necessariamente l’apporto comune di almeno due soggetti: presidente della Repubblica e presidente del consiglio dei ministri. Infatti, per i noti motivi più volte richiamati in questo blog, l’uscita potrebbe essere attuata solo con un decreto legge, mediante cioè l’unico mezzo di produzione normativa avente quelle caratteristiche di immediatezza e incisività operativa assolutamente indispensabili per impedire alcune delle conseguenze indesiderabili di tutta l’operazione. Il decreto legge, però deve essere deliberato dal consiglio dei ministri ed emanato dal presidente della Repubblica, il quale può rifiutarsi di farlo, come peraltro è già recentemente avvenuto proprio ad opera di Napolitano. Considerato che il convinto sostegno all’euro dell’attuale perdente della Repubblica non può certamente essere messo in discussione, mi sembra evidente che rebus sic stantibus un’uscita dalla moneta unica in via unilaterale dell’Italia è semplicemente impossibile e lo sarà nel futuro a prescindere dal capo del governo, anche se avessimo la fortuna di eleggerne uno antieuro. Mi dispiace, ma sono molto, molto pessimista sul destino del nostro meraviglioso Paese.

    Due cose che riguardano la (in)capacità di giocare la mano di poker.
    A) Renzi, secondo me ha già ricevuto la lettera con la lista della spesa (da tagliare), al primo punto c’ è il recupero di circa 4/5 MLD dal comparto pensioni, cosa su cui si sta applicando, in maniera davvero scomposta, visti danni che produrrà sui consumi e a catena sull’ economia, e non tanto per i tagli in se, ma perchè la confusione sul come, sul chi e sul quanto, su un argomento tanto delicato produrrà l’ arresto dei consumi oltre lo stretto necessario da parte di una platea molto più ampia di quella che sarà alla fine toccata (sempre con l’ avviso che l’ alta Corte di sicuro boccerà il prelievo);
    B)Come insegnava un antico adagio, non ricordo più di quale provenienza, per fare grandi cose, bisogna essere supportati dall’ alto e dal basso; dall’ alto siamo messi male e già ne ho parlato, dal basso invece, se possibile siamo messi anche peggio, pensate ai consensi del cosidetto Premier, pensate alla razza PDina, pensate a tutte le razze di elettori ed a chi li orienta, vi sembra possible un supporto dal basso? No, il masochismo, perchè di questo si tratta, non ha confini; se in Grecia, Spagna, Portogallo, hanno dei solidi argomenti per accettare tutto o quasi, in Italia le cause non possono essere che altre, cioè legate ad una inconscia ricerca del piacere attravrso il dolore e le sofferenze

    Questo post, come pure alcuni precedenti, manifestano quello che il carrista “testa matta” di un film di molti anni fa chiamava un “radioso ottimismo”.

    Il “radioso ottimismo” di riuscire a trovare nel panorama politico italiano attuale le forze necessarie per attuare una uscita volontaria, concordata o no, dall’euro.

    Evidentemente non si tratta della Lega, che pure ha dato la sua testimonianza, anche se con qualche cedimento allo statoladro, ad esempio, o di una eventuale conversione del Movimento 5 Stelle, a Casaleggio piacendo. Non si tratta neppure del radioso sole dell’avvenire che finalmente sorgerà e di un tardivo ma sempre auspicato passaggio al socialismo.

    La mia impressione è che dall’euro non usciremo volontariamente se la classe dirigente italiana non avrà risolto il problema che non è stata capace di risolvere negli anni ’70.

    Federico Caffè scrisse nel 1978 che l’adesione allo SME, il vincolo esterno, era “seguire “programmaticamente” il ricatto dell’appello allo straniero”, proporsi “come modelli di efficienza paesi che scaricano le difficoltà cicliche sui lavoratori stranieri [allora erano i lavoratori stranieri], o associano le virtù tecnocratiche alla più elevata maldistribuzione del reddito”.

    Il vincolo esterno ha funzionato: ha imposto la ristrutturazione industriale dei primi anni ’80 che ha eliminato la base sociale del movimento operaio, chiudendo la crisi sociale iniziata alla fine degli anni ’60, ha condannato i partiti politici che avevano edificato la Repubblica all’estinzione, ha consentito la distruzione dell’economia mista con le privatizzazioni degli anni ‘90, e infine ha ridotto lo Stato al rango di un debitore al quale lo strozzino di Francoforte può inviare lettere minatorie.

    Incapace di individuare una soluzione più avanzata al problema della modernizzazione del paese presentatosi nelle forme più gravi negli anni ’70, la classe dirigente italiana, quella liberale-liberista arroccata intorno alla Banca d’Italia e quella social-liberista post-comunista, hanno trovato nel vincolo esterno una soluzione più arretrata.

    Ripristinare la durezza del vivere (cfr. Padoa Schioppa) come unica alternativa possibile all’incapacità di governare una società opulenta finalmente possibile (cfr. Kalecki e Galbraith).

    E’ lì la radice del problema: “non vorrete mica tornare agli anni ‘70” è la frase che ripetono sia Draghi che Fassina, e a pappagallo i gggiovani gggiornalisti. E’ ribadendo la necessità del vincolo esterno che il Corriere ha chiuso il dibattito sull’uscita dall’euro nel 2012. E’ l’idea di un regime oligarchico quella che viene difesa persino da chi contesta la ristrutturazione renziana della Costituzione, come Zagrebelsky.

    Dall’euro non usciremo volontariamente, perché il vincolo esterno sta operando ora in profondità distruggendo quello che rimane della società creata, nel bene e nel male, negli anni della “prima” Repubblica, cioè della vera Repubblica.

    Se l’obiettivo che De Gasperi si poneva, nel 1943, era quello di “abolire” il proletariato, oggi si sta realizzando l’obiettivo opposto di abolire il ceto medio ovvero di proletarizzare il popolo italiano.

    La possibilità di governare, o meglio di controllare lo Stato, con pieni poteri finora mai sperimentati, anche con i voti del 40% del 50% degli elettori e l’assenza, al momento, di credibili alternative, assicura alle forze politiche che dovrebbero decidere un’uscita volontaria dall’euro un ricco bottino rimanendo nell’euro.

    A chi si sta immiserendo rimarrà sempre l’alternativa di non andare a votare, come avviene nei paesi a oligarchia più avanzata. Se poi è proprio necessario, si troverà un altro ragazzo immagine (ma non del complesso militare-industriale perché quello ce lo siamo già giocati molto tempo fa).

     

  • a Gianni Barbato e Giorgio D.M.

    Caro Barbato,
    grazie per la replica, e grazie anche per l’informazione sulla sepoltura di Fortuyn, non lo sapevo. Ti rispondo brevemente, e al punto 1 replico anche a Giorgio D.M.

    1) Non sono “ottimista”. Il mio breve intervento vuole soltanto descrivere la natura dell’uscita dall’euro, sottolineando il fatto che è impossibile usarla come strumento di pressione all’interno di una trattativa; il che non vuol dire che sia facile, o anche solo politicamente possibile, uscire dall’euro. Nel momento attuale, l’unica cosa sicuramente possibile è il lavoro di corretta informazione e di demistificazione della propaganda avversaria, bianca e nera. Uno dei principali frames della propaganda avversa è quello del “battere i pugni sul tavolo” usando la minaccia dell’uscita dall’euro come strumento di pressione. C’è chi lo usa in buonafede, e va fatto riflettere. C’è chi lo usa in malafede, e va smentito con l’analisi.

    2) Sì, effettivamente il politico che voglia far saltare il quadro politico UE e che si avvicini a riuscirci deve mettere in conto la possibilità di essere distrutto, politicamente e/o fisicamente. Al fondo della dimensione politica, c’è sempre il conflitto a morte.

    3) Attribuisco la principale responsabilità della disgregazione del centrodestra a B., perchè ne era, e purtroppo ne è ancora, il leader carismatico. Nel 2011 si è lasciato dimettere senza aprire bocca, e da quel momento in poi ha collaborato con le forze avverse per salvarsi. Così agendo, o non agendo, si è reso responsabile di un errore di portata storica, aggravato dal fatto che non lo ha commesso per ignoranza, ma per viltà (B. è un caso evidente di politico che, sul punto di toccare il filo dell’alta tensione, viene minacciato negli averi, negli affetti e probabilmente anche nella vita fisica). Quanto a Fini, il mio giudizio sulla sua persona è tale da non poter essere espresso senza rischiar di incorrere in querele, e quindi lo ometto.

    4) Ad impossibilia nemo tenetur. Le cose possibili, invece, vanno fatte. Oggi si può fare quello che sta facendo Alberto Bagnai, insieme a non molti altri. Sarebbe anche importante che, nel dibattito pubblico, cominciasse a entrare il seguente concetto: che siamo in guerra, che abbiamo dei nemici, e che questa guerra e questi nemici non sono la guerra e i nemici che ci hanno abituati a individuare. La guerra non viene condotta con le armi, i nemici non portano la divisa di un popolo straniero: però, guerra e nemici ci sono, ci sono eccome.

  •  

  • Caro Buffagni
    Ho appena finito di leggere la tua risposta al mio post di ieri .
    Sei una persona notevole e non devi ringraziarmi di nulla .
    Ci troviamo in sintonia . Anche ’io su Fini ho lasciato perdere per non essere sommamente volgare .
    Devi sapere che lo ‘’ conosco ‘’ da una vita ,cioè da quando era il ‘’ pupo ‘’ di Almirante ,perché io ti scrivo da Latina ex Littoria fascista come tu sai , e mi ricordo molto bene i suoi discorsi da una tribuna alta almeno tre metri fasciata dal tricolore .
    Sul berlusca non vi ho fatto mai affidamento già dalla sua ‘’ discesa ‘’ in campo perchè è lampante che pensa solo al suo patrimonio , e i suoi interessi non coincidono con quelli dell’ITALIA .
    Mentre di italianità si è sempre riempito la bocca Fini .
    Ma sul giudizio politico di questi due campioni del nulla concordiamo sostanzialmente , differiamo solo su sfumature irrilevanti .
    Mi dici che siamo in guerra . Vuoi sapere da quando sono al fronte ?
    Dal 1999 prima dell’entata nell’euro ( la mia classe è 1952) .
    In piazza del Popolo attaccai violentemente dalla sinistra estrema, ( a quei tempi ero di Rifondazione Comunista) Prodi che ci stava portando al massacro economico . IL mio discorso completamente inaspettato mi danneggiò su due fronti . Quello con i compagni del partito e quello con la polizia per le mie intemperanze verbali . Ma non giganteggiamo, mi chiesero i documenti e mi fecero un sermoncino per le intemperanze verbali .
    Con i compagni dopo una litigata li mandai a fanculo e non mi sono mai più fatto vedere .
    Tre anni fa ho scoperto Goofynomics di Bagnai , credo di essere fra i primissimi lettori del suo blog, e per me è stata una boccata di ossigeno . Ma come dice giustamente il Professore le risposte erano già dentro di noi . Con la differenza che ora hanno delle solide basi di appoggio .
    Caro Roberto spero di non averti annoiato con questo excursus sulla mia vita privata , ma come si diceva nei miei verdi anni ‘’ il privato è politico ‘’ . Ma è anche testimonianza .
    Ti saluto con Stima .

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Già pubblicato su https://goofynomics.blogspot.com/2014/08/come-negoziare-ai-politici.html?fbclid=IwAR0-3wKMLzTwFJZtm8qO8i6mwh7Ho7qKzi1GaT6e4EUsFW81R4k0A-O31q4

Orazio M. Gnerre, Prima che il mondo fosse, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Orazio M. Gnerre, Prima che il mondo fosse , Mimesis Ed. 2018, pp. 106, € 10,00.

“Alle radici del decisionismo novecentesco” è il sottotitolo di questo denso saggio, che non rende poi tutto ciò che vi si legge, dato che analizza, sotto l’aspetto decisionistico, la concezione antropologica dell’uomo moderno e, di conseguenza, il pensiero politico della modernità, connotato dal processo di secolarizzazione, dal divorzio tra cielo e terra, tra sacro e potere.

La ricerca di senso, anche in carenza del sacro tuttavia non si arresta: l’uomo moderno  cerca e trova dei surrogati, nella nazione, nel popolo, nella classe proletaria, nel Führer. Il Dio onnipotente, cui corrisponde l’onnipotenza giuridica del sovrano, è “messo tra parentesi” da Sieyès il quale ne dà la formula “La Nazione è tutto ciò che può essere per il solo fatto di esistere”, la quale contiene lo spinoziano “tantum juris quantum potentiae”. Proprio l’abate sosteneva che la Nazione non può essere sottomessa ad alcun vincolo giuridico o forma positiva “una nazione è indipendente da qualunque forma; e in qualunque modo essa voglia, è sufficiente che questa sua volontà si manifesti, perché ogni diritto positivo venga meno dinanzi ad essa che è la fonte e l’arbitro supremo di ogni diritto positivo”. La volontà nazionale si muove in uno spazio vuoto dal diritto, il quale ne è il prodotto ma non il limite.  Non è – in questo senso – vincolata da nulla. Ma che cos’è “il nulla”? La risposta è che “il nulla è l’estremo oblio del mondo reale nella posizione formale di un ordinamento. Il nulla è l’irrazionalismo del fondamento che Kelsen pone all’apice del proprio Stufenbau internazionale” (dalla prefazione di A. Sandri). Così la dottrina giuridica del XX secolo innova al giusnaturalismo dei secoli precedenti, un ordine razionale astratto “non scalfito dalla politica durante il secolo XIX”. Mentre nella prima metà del secolo scorso nasce “l’idea che l’unità reale del popolo e la sua immediata connessione con il leader costituiscano il nuovo presupposto, difficilmente inquadrabile nelle regolarità della legge dello Stato liberale di diritto, della decisione politica, dell’organizzazione amministrativa dello Stato”, idea la quale si diffonde nelle dottrine politiche e costituzionali, dal nazionalsocialismo al comunismo, ma lambisce anche le teorie socialdemocratiche; in Italia, la concezione di Costantino Mortati.

Così il decisionismo ha avuto un ruolo non esclusivamente giuridico: “Il decisionismo è stata la declinazione di una temperie generale, da un lato, e dall’altro la formalizzazione di una nuova teoria giuridica che potesse fornire alcune risposte… a una definizione dell’immagine di una modernità che, per l’uomo dell’epoca, risultava sempre più asfissiante”. Tale periodo storico – scrive Gnerre rifacendosi a Del Noce – è dal filosofo torinese “identificato come il periodo sacrale della secolarizzazione, in contrapposizione all’epoca seguente, da lui chiamata invece l’epoca secolare profana, che coinciderebbe con l’avvento (anche in campo sovietico) di una società che dava preminenza al consumo ed al benessere e che, con il crollo del Blocco Est ha visto la nascita di una société consumériste mondiale”.

Ma, in detta epoca (prima della guerra fredda, poi del post-comunismo) occorreva rimuovere il periodo “sacrale” “Questo grande rimosso è il fenomeno totalitario, che ha rappresentato senza alcun dubbio una modalità diversa di immaginazione della modernità, una modalità che ha perso ogni legittimità ed è stata cancellata dalle possibilità storiche, avendo perduto la sfida all’edificazione del futuro dell’umanità in un più vasto momento di una guerra mondiale, combattutasi anche sui fronti culturali, economici e giuridici e conclusasi col collasso dell’esperimento comunista sovietico”. Tuttavia, scrive l’autore: “il periodo sacrale della secolarizzazione non è ancora un capitolo chiuso della storia dell’umanità”.

La tecnica, la macchina, lo “spirito rappreso” del XX secolo non soddisfano – ieri, come ancora oggi – la domanda di senso. Ma, con ciò, e con il progressivo prevalere dell’economico sul politico, non si attinge solo la pace ossia la fine del polemos, ma, proseguendo conseguenzialmente, anche della Polis. E così arriviamo ai giorni nostri dove è in corso il tentativo – già in parte riuscito – di depotenziare lo Stato nazionale a favore dell’economia e della governance globale.

La tesi di Gnerre ricorda quelle esposte da Karl Löwith nel saggio (pubblicata in Italia con lo pseudonimo di U. Fiala) dal titolo Decisionismo politico sul pensiero di Carl Schmitt, per cui “Schmitt, con riferimento a ciò, dice che l’essenza dello Stato si riduce necessariamente ad una decisione assoluta, creata dal nulla e non giustificabile; e che questo “attivo nichilismo è invece peculiare solo allo Schmitt e a quei tedeschi del XX secolo che gli sono spiritualmente affini”.

E nel concetto di dittatura sovrana cui Schmitt riconduce le concezioni dei giacobini e, soprattutto, dei bolscevichi è riassunta l’opera di innovazione radicale del totalitarismo, che azzera l’esistente e crea una nuova comunità umana, attraverso lo strumento di una dittatura che, al contrario di quella classica romana, non è istituita “per serbare gli ordini” (Machiavelli) ma per rompergli. In funzione di una società nuova, per un uomo nuovo; cioè fondata (anche) su una diversa concezione antropologica.

Questo e molto altro c’è nel saggio di Gnerre; dati i limiti di una recensione ci si contiene a una breve considerazione sul pensiero politico-giuridico della modernità classica e di quella tarda (o post)moderna, in relazione sia al rapporto tra ideale e reale, sia a quella tra esistente e  normativo. Nella “prima” modernità, ossia quella del liberalismo ottocentesco, la concezione dell’uomo rimane quella “classica” cioè di un’antropologia (relativamente) pessimistica, ossia realista, onde la necessità di governi – e di controlli sui governi, come scritto nel Federalista (la novità in ciò è quella del controllo sui governi). Nella modernità “totalitaria” c’è un passo decisivo: il comunismo proclama di avere scoperto la formula per cambiare la natura umana. Da qui la necessità di una dittatura sovrana per metterla in opera. Nel pensiero post-moderno, poi, il problema antropologico è messo in sordina; tuttavia lo si considera risolto con la governance, la tecnocrazia e soprattutto l’obliterazione/negazione del politico. Anche qui, in modo indiretto, si crede di risolvere il problema del dominio politico, negandolo. Solo che l’uomo è Zoon politikon a dispetto della governance, e continua ad esserlo. E la realtà prevale sulle aspirazioni (esternate).

L’altra che, s’inverte il rapporto tra esistente e normativo. Se alla prima modernità era evidente (v. Sieyès) che era l’esistente a legittimare il normativo, nella tarda modernità è questo a legittimare quello. Ad Hegel tesi consimili sembravano riempire le teste di vento (id est aria fritta): nella post-modernità le gonfiano senza limite. Finché, e se ne hanno le avvisaglie, almeno quelle dei governati scoppiano.

Teodoro Klitsche de la Grange

Lega Nord e Unione Europea, a cura di Giuseppe Germinario

Continuiamo ad affrontare il tema del sistema di relazioni tra i paesi europei. E’ la volta della mozione congressuale presentata da Giancarlo Giorgetti ed approvata al Congresso della Lega Nord del maggio 2017. Si tratta probabilmente del testo più critico e compiuto tra le elaborazioni prodotte dai partiti presenti in parlamento. Il documento non si limita ai soliti cavalli di battaglia: la politica monetaria, quella di austerità e la moneta unica.  Appare però incerto sulla natura delle istituzioni europee e glissa sulla postura geopolitica di tali realtà. Rimane il problema dei passi necessari ad affrontare con buone probabilità di successo il conseguente confronto e scontro politico. Non è poco alla luce di quanto già successo in Grecia con Tsipras, con la Brexit in corso e con i recenti aggiustamenti nella Lega di Salvini._Giuseppe Germinario

MOZIONE CONGRESSUALE N° 4

Presentata da Giancarlo Giorgetti – Presidente Lega Nord – Lega Lombarda

VERSO UNA NUOVA ALLEANZA DI NAZIONI E POPOLI EUROPEI LIBERI E SOVRANI

CONSIDERATO: A. che sessant’anni fa nasceva l’Unione Europea, soggetto politico che, oggi, ha tradito i propri scopi di “promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli” mirando “alla piena occupazione e al progresso sociale” ;

B. che oggi in Europa si contano 120 milioni di disoccupati , dei quali 116 milioni vivono nell’eurozona, con una cronaca impietosa di fabbriche che chiudono e produzioni storiche smantellate, di lavoratori licenziati, con famiglie sul lastrico e grandi tensioni sociali;

C. che, per la prima volta, in Europa assistiamo ad un saldo negativo del tasso di natalità tra la popolazione residente, e che la domanda interna è sostenuta sempre di più ricorrendo, ed erodendo, il risparmio delle famiglie;

D. che l’Unione Europea ha modellato, attraverso l’euro e le regole monetarie da un lato e l’accondiscendenza nei confronti dell’immigrazione di massa dai Paesi extracomunitari dall’altro, un modello di sviluppo che basa la sua competitività sulla compressione dei salari e sull’eliminazione dei principali diritti sociali, costringendo interi settori produttivi a dover competere a prezzi analoghi a quelli delle aree meno avanzate del mondo;

E. che le regole monetarie sulle quali si basa l’Euro e gli stessi parametri di Maastricht non sono rispettati da alcuni Stati membri con la più completa connivenza delle Istituzioni europee e degli istituti di vigilanza, amplificando così il loro vantaggio competitivo e di surplus commerciale nei confronti degli altri Paesi dell’UE;

F. che l’UE ha manifestamente dimostrato di interferire direttamente nei processi democratici elettorali di alcuni Stati membri con la propria esposizione a favore di capi di Governo, anche non eletti dai cittadini europei, che portassero avanti le “riforme necessarie” e applicassero le regole di austerità utili alle proprie politiche monetarie;

G. che queste ultime, pubblicizzate all’opinione pubblica come necessarie al contenimento del debito degli Stati, implicano l’impossibilità per gli stessi di intervenire direttamente non solo nei settori privati dell’economia, ma anche per l’erogazione dei servizi pubblici fino alle situazioni di emergenza come le calamità naturali, e che, a questa stregua, qualsiasi Governo, indipendentemente dall’orientamento politico, è di fatto ingessato nella propria azione e nella tutela degli interessi dei propri cittadini e del loro futuro;

H. che, di fatto, è in atto una sostituzione delle popolazioni residenti attraverso l’immigrazione di massa incontrollata; questa, oltre ad essere funzionale al modello di sviluppo dell’UE, rappresenta uno dei principali vettori per il terrorismo islamico e pregiudica la possibilità di dedicare adeguata protezione ai rifugiati e a chi merita diritto di asilo (3% del totale, il resto sono dunque immigrati economici);

I. che l’UE, a causa di una produzione normativa eccessiva e rispondente agli interessi di pochi grandi gruppi multinazionali, ha distorto il concetto e il sistema stesso delle regole del Mercato Interno impedendo che i consumatori e le piccole e medie imprese legate al territorio in cui operano potessero giovare dell’indicazione di origine obbligatoria sui prodotti; che le norme europee non permettono lo sviluppo di appalti a beneficio delle aziende locali e la limitazione di pratiche pericolose come il ricorso eccessivo allo strumento del sub-appalto e che l’UE, forte delle prerogative conferitele dai Trattati, non permette agli Stati e alle Regioni di supplire in ragione del principio di sussidiarietà a queste gravi mancanze;

J. che la Commissione Europea ha competenza esclusiva in materia di politica commerciale e che, anziché concentrare la propria attenzione sulla protezione anti-dumping per combattere la concorrenza sleale di chi penetra i nostri mercati non rispettando alcuna regola sociale e ambientale e ricevendo sovvenzioni pubbliche, al contrario, negozia senza soluzione di continuità nuovi accordi di libero scambio che si rivelano pericolosi per la salute dei consumatori e per la tenuta del tessuto di piccole e medie imprese fondamentale per i nostri territori, prevaricando, inoltre, le competenze di Stati Membri e Regioni con potestà legislativa specialmente in materia di tutela, informazione e salute dei cittadini;

K. che la prima parte della nostra Costituzione definisce il modello sociale dove si parla di “lavoro” e non di mercato, e che questo entra in contrasto con l’obbiettivo di una “economia sociale di mercato” sancito dai trattati europei che definisce un modello incompatibile con i principi fondamentali delle costituzioni scaturite dalla vittoria sul nazifascismo;

L. che i finanziamenti comunitari, lungi dallo svolgere il compito di compensazione degli squilibri fra le diverse Regioni d’Europa sono invece diventati un meccanismo che li ha amplificati a causa del principio del cofinanziamento, della strutturalità che li rende assai non flessibili e della condizionalità a politiche definite a Bruxelles, ovvero lontano dagli Stati Membri e ancor più lontano dalla Regioni che le subiscono senza poter incidere concretamente nella loro definizione;

M. che, di conseguenza, i cicli di programmazione pluriennale non soddisfano le priorità delle Regioni, ma rappresentano un controllo eterodiretto delle loro possibilità di spesa, un obbligo al conseguimento di obiettivi programmatici non condivisi, il tutto nell’ambito di una mancanza di flessibilità che non tiene in alcun modo conto del continuo mutare del contesto macro-economico;

N. che la programmazione delle politiche UE dei settennati, che ricorda molto da vicino i piani quinquennali sovietici, ha fallito nel suo obiettivo principale, ossia nella politica di coesione, come dimostrato dai dati macroeconomici fallimentari come quelli relativi alla mancata crescita e alla disoccupazione in specie quella giovanile;

O. che, nell’ambito di un processo iniziato a Maastricht nel 1992 e rafforzato inesorabilmente a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, i Parlamenti Nazionali e Regionali svolgono ormai gran parte della propria attività normativa per il recepimento e l’applicazione della normativa europea a carattere vincolante, con un contestuale ridimensionamento delle proprie politiche di bilancio al fine di rispettare il vincolo esterno;

P. che per rispondere ai limiti degli Stati nazionali non si può assecondare il disegno che ci vorrebbe parte di un “superstato” e che è necessario e urgente fare alcuni decisi passi indietro nel fallito processo di “integrazione europea” sovranazionale in favore di nuove forme di cooperazione tra Nazioni e Regioni europee libere e sovrane;

Q. che a seguito della “Brexit” l’Unione perderà i contributi di uno dei pochi (insieme all’Italia) contributori netti al bilancio UE e tenuto presente che i partiti e le lobbies europeiste hanno intenzione di proporre di utilizzare i seggi che saranno lasciati vacanti dai Parlamentari Europei Britannici per la creazione di un collegio elettorale “pan-Europeo”.

CONSIDERATO, ALTRESI:

R. che gli eventi storico-politici degli ultimi decenni hanno fatto sì che la Lega Nord in Parlamento Europeo abbia tenuto collocazioni diverse passando da una breve esperienza nel gruppo liberale ad una ancor più effimera con alcuni partiti autonomisti, alla compagine dei non iscritti, al gruppo dei nazionalisti e, in seguito, ad una prima famiglia di euroscettici per giungere, infine, sotto la Segreteria di Matteo Salvini, alla formazione di un gruppo autonomo composto da sovranisti, identitari ed autonomisti uniti dalla necessità politica che si riassume nel motto di “padroni a casa nostra” rispetto all’eurocrazia di Bruxelles;

S. che è dunque l’esigenza politica e le priorità delle diverse fasi storiche a “collocare naturalmente” la Lega Nord e le sue istanze autonomiste all’interno dei gruppi politici europei; che oggi è prioritario svincolarsi dalle appartenenze ideologiche per giocare un ruolo da protagonisti nel confronto tra globalizzazione e identità, tra l’interesse del grande capitale e quello dei popoli e delle loro peculiarità;

T. che i partiti indipendentisti in Parlamento Europeo – per ragioni diverse, scarsa collaborazione e differenze di ordine ideologico – siedono in Gruppi Politici differenti che vanno dall’estrema sinistra, ai Verdi, ai Popolari, all’Europa delle Nazioni e della Libertà (ENL) di Lega Nord e Vlaams Belang;

U. che essere critici nei confronti dell’Unione Europea non significa essere contro l’Europa, autarchici, isolazionisti; che il libero mercato, quando governato da regole giuste, è un valore inderogabile e i popoli continueranno a commerciare e scambiare le merci come è sempre avvenuto fin dall’alba del genere umano, ma su ritrovate basi di equa reciprocità, affinché i benefici possano ricadere sulla totalità dei cittadini e dei lavoratori;

V. che la pace e il benessere possono essere perseguiti efficacemente soltanto se viene ripristinato il corretto flusso della ricchezza, dall’alto verso il basso, dove la distribuzione viene garantita non certo da meccanismi di esproprio o di sussistenza imposti dall’alto (lo Stato, o un’entità sovranazionale a-democratica), bensì dal reddito da lavoro, ossia da un capitalismo nuovamente fondato sulla manifattura prodotta in loco: non più l’ingegneria finanziaria scatenata dalla “libera circolazione” del capitale, bensì l’industria e l’artigianato, i due fattori che hanno sancito l’affermazione della piccola Europa nel mondo;

W. che l’UE nella sua attuale conformazione è modellata per rispondere esclusivamente agli interessi del grande capitale trans-nazionale e delle grandi multinazionali, ovvero di soggetti che hanno la necessità di superare ogni confine Statale e Regionale per eliminare ogni diversità e peculiarità, per giungere alla completa omologazione e standardizzazione del Mercato Interno UE;

IL CONGRESSO FEDERALE

Il ruolo della Lega Nord

1. conferma con convinzione l’attuale collocazione della Lega Nord nel Gruppo ENL insieme ai partiti sovranisti, identitari e indipendentisti che ne fanno parte, pone l’obiettivo di allargarne gli orizzonti ai cosiddetti “Stati di Visegrad” e a tutti gli altri movimenti identitari ed eurocritici con la consapevolezza del fatto che finché l’attuale UE non sarà ricostruita, non vi sarà libertà né democrazia per i popoli Europei;

2. afferma con convinzione che, a partire dalla prossima legislatura europea, la Lega Nord e il Gruppo ENL dovranno porsi l’obiettivo di costituire una minoranza di blocco nei confronti di ogni azione ostile (legislativa e non) messa in atto da parte della burocrazia UE nei confronti degli Stati Membri e delle Regioni, specificando sempre che le alleanze del Movimento sono tattiche su punti precisi di programma e che l’impegno politico è finalizzato a rispondere alle esigenze dei popoli, svincolandosi da posizioni ideologiche e di parte; La necessità dell’avvio di una revisione dei Trattati

3. impegna il Movimento a richiedere, nelle sedi e nei modi consentiti, l’attivazione di una procedura di revisione ordinaria dei trattati volta a restituire sovranità agli Stati membri e alle Regioni con potestà legislativa, intervenendo 5 con abrogazione e/o modifica secondo le seguenti condizioni minime:

a) sovranità monetaria ed economica

  •  Unione Economica e Monetaria (UEM).
  •  Competenza esclusiva sulla politica commerciale.

b) sovranità territoriale

  • Principio di libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali.
  • Politica estera comune ossia del SEAE.
  • Ripristino del pieno controllo di ciascuno Stato sulle proprie frontiere, ossia abrogazione di Schengen e del regolamento di Dublino.

c) sovranità legislativa

  • Supremazia del diritto degli Stati membri su quello dell’Unione.
  • Corte di Giustizia dell’UE.
  • Personalità giuridica dell’UE, ossia del potere di concludere accordi internazionali a nome degli Stati membri.

 

d) ripristino della sussidiarietà

  • Riportare all’esclusiva competenza degli Stati membri la maggior parte delle competenze concorrenti e tutte le competenze di sostegno.
  • Accrescere il potere di controllo dell’applicazione del principio di sussidiarietà e proporzionalità in capo ai parlamenti nazionali e alle Regioni.

4. sottolinea la necessità di tornare quantomeno allo status pre-Maastricht, ovvero a una forma di libera e pacifica cooperazione tra Stati di natura prettamente economica; ritiene tuttavia indispensabile una profonda correzione del funzionamento del mercato interno, tesa a: debellare i fenomeni di dumping interno all’Unione, a cominciare dalle norme sulla mobilità dei lavoratori; abolire le norme aliene alle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri; arrestare l’eccesso di omologazione, che uccide le biodiversità e favorisce unicamente le produzioni su scala multinazionale. Un sistema di regole a misura delle nostre imprese

5. sostiene la necessità di ridisegnare il Mercato Interno per puntare allo sviluppo e all’innovazione salvaguardando al contempo le caratteristiche di alto livello degli standard produttivi europei e per valorizzare la qualità del nostro “saper fare” e delle nostre eccellenze industriali e agro-alimentari;

6. chiede con forza che l’Unione riduca e semplifichi il complesso sistema di regole che rende sempre più difficile raggiungere il vero potenziale del Mercato Interno UE e che la Lega Nord continui l’impegno per giungere a una vera indicazione di origine obbligatoria sui prodotti destinati ai consumatori a tutela dei produttori onesti e quale strumento fondamentale per rendere efficace la lotta contro la contraffazione, la violazione dei marchi e la circolazione del falso “made in Italy”;

7. denuncia la volontà politica da parte della Commissione Europea di non tutelare i legittimi interessi di chi sceglie di non delocalizzare altrove la propria produzione attraverso accordi di libero scambio e sistemi di preferenze commerciali dannosi per il nostro sistema industriale ed agricolo e sottolinea, inoltre, come in questo ambito occorra al più presto istituire, sul modello Statunitense, un sistema di regole per la promozione del consumo e dell’acquisto locale, e norme di difesa commerciale efficaci, rapide e severe. Più democrazia e coinvolgimento dei territori

8. esorta il Movimento a supportare tutte le iniziative volte alla definizione di una nuova “governance” per un maggiore controllo democratico sulle istituzioni europee, assegnando al Parlamento il potere d’iniziativa legislativa, anche parziale , garantendo alle Regioni una rappresentanza effettiva, attraverso l’elezione del Parlamento su base regionale ; ciò permetterebbe alle Regioni di mediare in maniera effettiva con gli Stati rappresentati nel Consiglio, anche in sede di iter legislativo;

9. evidenzia l’opportunità di valutare l’istituzione di un nuovo strumento di cooperazione militare che superi la NATO, a esclusivo scopo di mutua difesa e di deterrenza verso l’esterno , con la conseguente creazione di una filiera industriale 8 di sistemi d’arma “made in Europe” la quale sarebbe parte del rilancio dell’industria di alta gamma necessario al fine della ripartenza della domanda interna grazie all’aumento dei salari;

Meno denaro, meno sprechi, più sussidiarietà, più autonomia

10. chiede che il Movimento imponga la massima attenzione nei confronti della programmazione UE post 2020 e sottolinea che il mancato apporto del contributo Britannico dovrà imporre una conseguente riduzione della dotazione finanziaria del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale;

11. afferma che, contrariamente alla volontà che sta emergendo da parte della Commissione Europea, si dovrà evitare ogni ulteriore accentramento decisionale o passaggio di competenze a Bruxelles e che l’intera programmazione dovrà essere ridotta a quanto davvero necessario per obiettivi di sviluppo e innovazione realizzabili;

12. chiede con forza che la contribuzione che ogni Stato destina al funzionamento generale dell’UE sia notevolmente ridotta, che i seggi che saranno lasciati vacanti dai Parlamentari Europei Britannici siano eliminati e si oppone alla costituzione di qualsivoglia collegio pan-europeo che non risponderebbe al controllo dei cittadini e ai loro bisogni di rappresentanza e vicinanza tra elettore ed eletto. L’opzione inevitabile senza riforme è l’uscita

13. avverte tuttavia che, in assenza di condizioni o di volontà politica affinché questi passaggi siano decisi in maniera concordata tra gli Stati membri, allora come misura estrema non resterà che l’alternativa di un negoziato bilaterale tra Italia e UE ricorrendo alla clausola di rescissione ; avverte inoltre che, a differenza del Regno Unito, l’Italia è soggetta a molti più vincoli, derivanti dall’appartenenza alla zona euro, per cui spetterà al Governo italiano adottare contestualmente tutti i provvedimenti necessari e urgenti, secondo i poteri affidatigli dalla Costituzione, per permettere all’Italia di affrontare il negoziato in una posizione che non sia di svantaggio o sudditanza, come accaduto per la Grecia.

Il Presidente Nazionale Lega Nord – Lega Lombarda

Giancarlo Giorgetti

GALLEGGIANDO NELL’INCUBO TEDESCO, di Andrea Zhok

Con le riflessioni di Andrea Zhok pubblicate in calce iniziamo la pubblicazione delle considerazioni politiche e delle analisi riguardanti l’Unione Europea in qualche maniera utili a definire la collocazione e la funzione di questa istituzione frutto di un collasso degli stati nazionali europei, di una occupazione militare e di un processo di progressiva subordinazione politica. Questo sito ha dedicato all’argomento numerosi articoli sulla scia di quanto già prodotto in precedenti esperienze redazionali. Sta di fatto che ogni ribaltamento di politica economica, compreso il tema della promozione della domanda interna non può partire che da un processo di emancipazione politica delle formazioni sociali e degli stati europei. Va ricordato che l’attuale organizzazione istituzionale europea, compresa la struttura lobbistica dei suoi centri amministrativi è nata dal modello e dall’imposizione di modelli istituzionali americani e nei suoi aspetti impropriamente “federalisti” tedeschi, questi ultimi a sua volta imposti nel dopoguerra dagli Stati Uniti stessi, vincitori del conflitto mondiale. Lo stesso successo economico tedesco è stato alimentato e consentito, ponendo però dei limiti precisi nelle dimensioni delle imprese e nell’agibilità nei settori strategici, sino al momento in cui gli squilibri e la fragilità del sistema hanno rischiato di mettere in crisi la coesione della formazione sociale americana. L’avvento di Trump vuole essere una risposta a questi squilibri e può essere la molla principale che può portare alla fine di questa Unione. Con una avvertenza. Se la UE non può fare a meno della NATO (art 42 del Trattato di Lisbona tra i tanti), non è necessariamente vero il suo contrario_Giuseppe Germinario
GALLEGGIANDO NELL’INCUBO TEDESCO
Andrea Zhok·Domenica 16 febbraio 2020·Tempo di lettura: 6 minuti

La forma presa dal progetto europeo sotto la guida della Germania sta portando a picco l’eurozona, e in maniera particolarmente accentuata alcuni paesi, come l’Italia.
Comprendere ciò che sta accadendo è indispensabile per immaginare una via d’uscita e non rimanere a galleggiare in un incubo senza porte né finestre.
Tale comprensione passa attraverso due prese di coscienza, riguardanti rispettivamente
1) la storia tedesca recente, e 2) l’attuale stadio della globalizzazione economica.
In breve.
1) La Germania uscita dalla seconda guerra mondiale era un paese umiliato, devastato e cui veniva vietato di fatto di costituirsi in entità statale indipendente (presenza di basi americane, limitazioni alla ricostituzione dell’esercito). In questo contesto i tedeschi hanno immaginato una forma diversa di ‘rivalsa’, che ha preso l’aspetto di ciò che può essere chiamato ‘neomercantilismo’. Qui l’idea di fondo, semplificata, è che se non posso acquisire potere nella forma classica della potenza militare, allora lo farò a colpi di merci, conquistando progressivamente quote di mercato. Invece di invadere militarmente gli altri per togliergli risorse, gli sottrarrò risorse con la qualità e convenienza dei miei prodotti, che creeranno un perenne trasferimento asimmetrico di denaro nelle mie casse. Intorno a questa sostituzione simbolica del valore militare (centrale in Germania sin dall’unificazione tedesca sotto la Prussia) con la conquista economica si è costruita un’intera concezione del bene e del male, del vizio e della virtù.
L’intera architettura dell’Unione Europea è nata adattando le teorie neoliberali dominanti negli anni ’80 e ’90 a questo paradigma etico, dove idealmente non c’è bisogno di uno stato, se non come funzione economica. Non a caso la Germania è lo stato che prima di ogni altro rende indipendente la propria banca centrale (1957), ponendo la politica come dipendente per la propria legittimazione dall’economia.
L’idea che il debito sia indice di una forma di debolezza morale è qui fondante, così come l’idea che solo chi abbia messo prima da parte un capitale con il sudore della propria fronte, può poi investirlo meritoriamente. Si tratta di una visione etica ritagliata sulla dimensione della vita di una famiglia (e assai funzionale a quel livello), ma profondamente estranea a prospettive e responsabilità di natura statale.
È questa matrice quella che vincola tutte le fondamentali regole europee, così come hanno preso forma nei trattati e così come vengono stabilite ai vertici europei. Le sue implicazioni sono:
a) È legittimato ad investire solo chi ha una condizione economica già florida (si pensi alle direttive recenti sul cosiddetto Green New Deal europeo);
b) Se non si possiedono capitali, ci si deve rendere attrattivi al capitale estero fornendo un ambiente che garantisca elevati profitti agli investitori privati;
c) Se non ci sono margini per incrementare la produttività attraverso gli investimenti, la via maestra per acquisire nuove risorse è la compressione delle condizioni di lavoro, sia in termini salariali che di garanzie. Se si fanno le ‘riforme’ con sufficiente perseveranza, ad un certo punto si raggiungerà un livello in cui si vince la battaglia dell’export e si sfrutta la propria bilancia commerciale positiva per conquistare mercati e capitali.
L’intero sistema è concepito a livello europeo in modo da fare dell’Europa un centro produttivo capace di conquistare il mondo a colpi di merci.
2) E a questo punto entra sciaguratamente in questo ‘sogno tedesco’ la realtà dell’odierno mondo globalizzato, che trasforma il sogno tedesco nell’incubo europeo.
Quali sono i tasselli che mancano in quel quadro immaginato dal ‘revanscismo mercantile’ dei tedeschi dopo il 1945?
Manca innanzitutto la comprensione che il gioco del ‘libero commercio’ era un gioco che avveniva per gentile concessione degli USA, che si facevano carico delle funzioni tipiche degli stati tradizionali in maniera vicaria: erano gli americani a provvedere alla difesa europea, permettendo così agli europei di dedicarsi al gioco del libero mercato. Gli americani – naturalmente non gratis – operavano da stabilizzatori e garanti legali del sistema. Il fatto di non doversi occupare seriamente della questione militare ha creato nella cultura europea una sorta di infantilismo perenne, in cui fantasticherie astratte di matrice illuminista e liberale hanno prodotto un quadro fittizio di irenismo mondiale. I tedeschi, e di rimando gli europei tutti, hanno pargoleggiato per anni immaginando che il mondo fosse lì pronto a riconoscere cavallerescamente le virtù commerciali e produttive europee, facendosi gaiamente conquistare a colpi di merci.
Il secondo tassello mancante è un’implicazione del primo. Un sistema come quello europeo, che è di fatto un coacervo di interessi economici senza alcuna politica statale comune, senza un popolo comune, senza un governo con legittimazione democratica, e senza nessuna delle tradizionali competenze degli stati, trae (proprio come la Germania del dopoguerra) la propria intera legittimazione dal successo economico. E tale successo, però, dipende in maniera massiva dal successo della politica neomercantilista. (Ad esempio nei confronti dei soli USA il saldo commerciale europeo è positivo per oltre 170 miliardi di dollari – dati 2018). Ma con un sistema di scambi che oramai ha raggiunto estensione planetaria, emergono con sempre maggiore chiarezza due ordini di problemi.
Il primo è che – surprise, surprise – molti paesi, Stati Uniti in testa, mostrano insofferenza a subire un drenaggio costante di risorse da parte europea, e possono perciò chiedere un riequilibrio a colpi di tariffe e dazi.
Il secondo è che estensioni mondiali delle catene di approvvigionamento (supply chain) sono, proprio per la loro estensione e capillarità, sempre più massicciamente esposte a turbative, come mostra il caso attuale dell’epidemia di coronavirus. E se non è un virus sarà un conflitto armato che minaccia il trasferimento merci o, appunto, una guerra commerciale, o altro.
Entrambe queste tendenze sono destinate ad esacerbarsi con il passare del tempo, perché il funzionamento ordinario e autoregolato del commercio mondiale crea continuamente differenziali di potere, squilibri, crisi locali, che chiedono maleducatamente risoluzione. E di fronte a traffici mondiali che hanno già raggiunto un livello estremo di capillarità e libertà (nessun’altra epoca nella storia ha avuto tassi maggiori di libero commercio) la tendenza non può che essere verso un riflusso (più o meno accentuato).
Il quadro che si presenta all’organizzazione chiamata Unione Europea è dunque tale per cui il sogno tedesco di vincere la battaglia per la conquista del mondo a colpi di merci sta arrivando alla sua Waterloo. Per salvare un sistema europeo sarebbe necessaria una inversione di rotta radicale dello spirito che ha nutrito dall’inizio la storia dell’Unione Europea: da coacervo di interessi economici rivolti alla conquista di nuovi mercati esterni, a coordinamento di iniziative politiche rivolte ad alimentare il mercato interno. Dunque l’ordine delle priorità dovrebbe andare allo sviluppo interno e alla piena occupazione, e non alla compressione dei costi di produzione e alla stabilità monetaria. Questo spostamento richiederebbe una completa riscrittura dei trattati, a partire dallo statuto della BCE.
È idealmente possibile un tale stravolgimento? Sì, di principio lo è.
È concretamente plausibile che gli attuali plenipotenziari dell’UE, e specificamente la Germania, accettino una tale prospettiva? No, non lo è affatto.
Dunque ci avviamo ad altri anni, forse decenni, di stagnazione o contrazione progressiva, massimamente concentrata nelle aree di subfornitura alla Germania, e la cui produzione ha minore valore aggiunto.
E questo è l’identikit dell’Italia.
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