Ucraina, il conflitto militare, 4a parte_con Max Bonelli

Il fronte in Ucraina assume sempre più la dinamica di un elastico. Ad un allentamento nella parte Nord corrisponde una tensione crescente al centro ed una pressione stazionaria nella parte sud. Una situazione che dovrebbe protrarsi nella sua forma accesa sino a questa estate. Non mancano i segni di cedimento e di logoramento. L’aspetto epico di questo confronto lo hanno offerto l’assedio di Mariupol. Ben presto la realtà e la scoperta degli antefatti assopiranno gli effetti della retorica eroica, mettendo allo scoperto le nefandezze e i retaggi che hanno obbligato alla resistenza estrema le milizie della Azov assieme alla risolutezza di altri reparti regolari dell’esercito ucraino. Saranno i punti di partenza di un confronto e di una trattativa destinati a protrarsi per anni. Oltre al video nel commento due link riguardanti il trattamento “popolare” riservato ai militi arresisi dell’Azov e un episodio bellico ai danni degli ucraini nella zona di zaporigia https://vk.com/al_im.php?sel=309467818&z=video-61716737_456250943%2F1f03590fe413ba255a%2Fpl_post_-61716737_419568
https://vk.com/al_im.php?sel=309467818&z=video-61716737_456250952%2Fd300b433a1b1393105%2Fpl_post_-61716737_419825
https://vk.com/al_im.php?sel=309467818&z=video555711071_456242310%2F4574b8657bae9f6708%2Fpl_post_555711071_39870

Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v156d5m-ucraina-il-confronto-militare-4a-parte-con-max-bonelli.html

Europa, Unione Europea! Un sinonimo ingannevole_con Antonio de Martini

Due equivoci sui quali un intero ceto politico ed un apparato amministrativo votato al lobbismo è riuscito a pascere per decenni: l’identificazione dell’Europa con l’Unione Europea; l’Unione Europea strumento di indipendenza ed autonomia politica. La realtà che la guerra in Ucraina ci ha ulteriormente sbattuto in faccia è che la UE è sempre più una semplice protesi della NATO che esisterà finché sarà la NATO a reputarla necessaria; è uno strumento che ostacola e impedisce una qualsiasi politica e strategia di emancipazione politica dei popoli e degli stati europei e di sviluppo economico paragonabile ad altre aree geopolitiche. Non è un caso che le rendite di benefici acquisiti nella fase bipolare si stiano esaurendo sino a compromettere una condizione accettabile di equità e benessere. Lo stesso vessillo di libertà di cui ama cingersi è sempre più macchiato dalle versioni peggiori di nazionalismo etnico che afferma di combattere. Una coperta sempre più stretta che la gestione della crisi pandemica prima e la guerra in Ucraina non tarderanno a lacerare ulteriormente. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v153b8r-europa-unione-europea-un-sinonimo-ingannevole-con-antonio-de-martini.html

 

GIUSTIZIA TRIBUTARIA E (CONTRO)RIFORMA, di Teodoro Klitsche de la Grange

GIUSTIZIA TRIBUTARIA E (CONTRO)RIFORMA

Da quanto riporta la stampa mainstream (giuliva come al solito) la riforma della giustizia tributaria sarebbe ai nastri di partenza e dovrebbe principalmente:

– ridurre il contenzioso e la durata del processi

– garantire i diritti del contribuente

Tra i mezzi indicati agli scopi suddetti (oltre a quelli già esistenti nell’ordinamento, onde non si capisce cosa ci sia d’innovativo), ci sarebbero il Giudice monocratico per le liti “bagatellari”, cioè inferiori a € 3.000,00, la riduzione delle possibilità di appello, l’ammissione – almeno in parte – delle prove testimoniali.

Mentre per quest’ultima proposta non si può che concordare, quanto al Giudice monocratico e soprattutto alla riduzione del controllo (di merito) attraverso l’eliminazione – per le “piccole liti” – dell’appello, c’è da obiettare.

È vero che il giudice monocratico è più spiccio e più economico, perché fa da solo quello che fanno in tre; e che già per molti tipi di controversie il giudice è monocratico, senza apprezzabili differenze. Resta il fatto che prescrivere come limite della competenza il valore ha il sapore di una minore attenzione ai contribuenti con liti modeste, i quali sono, presumibilmente, i meno abbienti. Ma che, soprattutto sono, per il numero, quelli che sopportano oneri complessivamente – in linea sempre presuntiva – maggiori. Sembra un accorgimento – indirizzato a garantire il gettito delle imposte più che diritti dei contribuenti. Anche se, comunque, nel sistema italiano c’è di molto peggio.

Dove tale tendenza è manifesta e prevalente è nella riduzione della possibilità d’appello. Qui il contrasto tra i fini di garantire il gettito o i diritti del contribuente è ben più vistoso che per il giudice monocratico. Il doppio grado di giudizio è la garanzia di un doppio esame completo della controversia. Altri mezzi d’impugnazione, come quelli più praticati, cassazione e revocazione, non comportano alcun riesame completo della lite, ma solo – per essere attivati – che la sentenza impugnata sia affetta da tassative tipologie di errori/violazioni (art. 360 e 395 c.,p.c.). Oltretutto una riforma di una decina di anni fa ha ridotto la possibilità di controllo della Cassazione sulla motivazione della sentenza; mentre la revocazione ha l’inconveniente che a giudicare sono giudici dello stesso ufficio di quelli che hanno deciso la sentenza gravata. Manca a tali mezzi l’ampiezza di esame garantita dall’appello.

In conclusione, e salvo ritornare sul tema, l’impressione indotta dalle principali innovazioni che si vorrebbero apportare all’esistente è quella cui ci hanno abituato tutte le “riforme” degli ultimi decenni sul rapporto tra cittadini e P.A.: che si voglia cambiare qualcosa, si, ma riducendo diritti e garanzie delle parti private, addossandone poi la responsabilità – in gran parte – alle istituzioni europee. Tipico espediente di classi dirigenti in decadenza: si tira il sasso, ma si nasconde la mano. Stavolta sarebbe il PNRR a imporre tali innovazioni.

Ma non è così: a leggere le sentenze della Corte europea sulla giustizia italiana, la Carta di Nizza, le stesse reprimende ripetute da politici e commentatori esteri (ad esempio sulla responsabilità dei giudici) l’alternativa tra gettito e garanzie non ha il carattere decisivo, attribuitogli dai centri di potere nazionali.

Piuttosto è confermata la tendenza interna che le riforme della giustizia sono orientate più in funzione del portafoglio pubblico che delle garanzie private. Sono innovazioni ispirate ad una visione ragionieristica più che giuridica. Decidere meno controversie, con costi minori e gettito fiscale maggiore è l’obiettivo reale e perseguito; come se la decisione delle vertenze ne cives ad arma ruant, con prontezza e senso della giustizia, fosse un optional, uno scopo minore rispetto al primo. Il senso dello Stato è costruito sulla partita doppia e non in vista della pace (sociale e politica).  L’intendenza non segue più, come diceva De Gaulle, ma conduce le danze. Illusione, alle lunghe, quanto mai pericolosa.

Teodoro Klitsche de la Grange

Stati Uniti, guerra e primarie senza rete_con Gianfranco Campa

Gli Stati Uniti in tre mesi hanno speso l’equivalente di un anno di guerra in Afghanistan e dei due terzi del bilancio della spesa militare russa. Un investimento enorme. Non è quindi solo Putin ad aver posto un punto fermo invalicabile. Una scelta chce è in realtà una proiezione di quanto sta avvenendo negli Stati Uniti con un Partito Democratico totalmente allineato ed arroccato in questa scelta, una leadership neocon ormai aggrappata agli specchi ed artefice di giochini truffaldini e un movimento che punta a consolidare la propria presenza nel partito repubblicano nei quadri dirigenziali. L’opportunismo e il trasformismo di Sanders non sono una sua esclusiva peculiarità; si sono rivelati la caratteristica di tutta la componente radicale del Partito Democratico. Il prodromo ad una radicale ricomposizione di quel sistema partitico che lascerà parecchi orfani lungo la strada. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v151jt2-stati-uniti-guerra-e-primarie-senza-rete-con-gianfranco-campa.html

Cos’è il Putinismo? di JEAN-ROBERT RAVIOT

Il giorno dopo il lancio dell’offensiva russa contro l’Ucraina, il 24 febbraio 2022, è stata sollevata la questione del sostegno della società russa, e più in particolare delle élite – anche ai vertici – per una guerra di portata senza precedenti sul suolo europeo dalla seconda guerra mondiale, che è più probabile che in Russia sia percepito come fratricidio. Fin dall’inizio, questa offensiva si presenta come una prova per il Putinismo. Studi sociologici indicano che il suo ruolo di signore della guerra avrebbe consentito a Vladimir Putin di estendere e persino rafforzare la base della sua legittimità politica [1] . Tuttavia, l’estensione delle operazioni, anche la sua evoluzione in guerriglia, potrebbe cambiare il punto di vista dei russi, e delle élite russe, sulla strategia scelta dal presidente russo.

Ufficialmente la Russia sta portando avanti un’operazione di liberazione dell’Ucraina, posta sotto il giogo di leader qualificati come “cricca di usurpatori” . Questa operazione è scandita da misure presentate come un’eliminazione mirata occasionale delle forze nazionaliste ucraine più radicali, qualificate come “naziste”.. Finora la propaganda ufficiale russa che accompagna le operazioni sembra dare i suoi frutti, nel senso che la dimensione offensiva di questa guerra resta nascosta agli occhi dei russi. L’uso della forza attinge dalle fonti del Putinismo. Non è quindi illogico che agisca, inizialmente, come un bagno di giovinezza. Perché il Putinismo non è né un’ideologia (conservatrice, nazionalista, eurasista), né un progetto politico (vendetta sulla storia, neoimperialismo, neosovietismo). Il Putinismo si presenta dapprima come una strategia politica volta a mostrare la propria forza, e talvolta a farne uso, al fine di rafforzare un potere cremlinocentrico [2] e cremlinocentripeto .con un obiettivo principale, che non cambia mai: difendere lo Stato russo dalle forze ostili che lo minacciano, dall’interno e dall’esterno. Il Putinismo è figlio della perestrojka e del crollo dell’URSS e del pronipote della rivoluzione russa e del crollo dell’Impero russo.

Il cesarismo di Putin

L’immagine ha fatto il giro del mondo. La scena si svolge a Mosca il 21 agosto 1991. Boris Eltsin, eletto presidente della Russia due mesi prima a suffragio universale, raggiante, è appollaiato su un carro armato, con sullo sfondo la bandiera tricolore russa. Annuncia trionfante il fallimento del golpe contro Gorbaciov. Imponendo la sua autorità ai ministeri sovrani dell’URSS, il primo presidente russo ha accelerato la cacciata di Gorbaciov e la caduta dell’URSS, avvenuta quattro mesi dopo. Due anni dopo, nell’ottobre 1993, Eltsin sciolse il Parlamento. Ordina alle forze di sicurezza interna di prendere d’assalto l’edificio, in cui si sono rifugiati alcuni oppositori armati. L’offensiva uccide 150 persone. Eltsin dichiara lo stato di emergenza, sospende le istituzioni e convoca un referendum per adottare, poche settimane dopo, la prima Costituzione liberale e democratica nella storia della Russia. Il liberalismo e la democrazia, nella nuova Russia, sono dunque segnati dal sigillo indelebile del cesarismo.

 

Erede designato da Boris Eltsin prima di essere consacrato a suffragio universale, Vladimir Putin si impossessa della torcia delle origini Cesariste. L’attacco va poi contro i focolai terroristici del Caucaso settentrionale. Questa seconda guerra interna in Cecenia (dopo quella del 1994-1996) ha fondato il Putinismo. Pone l’immagine mediatica del nuovo presidente, allora del tutto sconosciuto ai russi, come un signore della guerra a cui attribuiamo l’intenzione di ristabilire l’ordine, l’autorità dello Stato, il potere della Russia. Sostenuto, a differenza del suo predecessore, da una forte maggioranza parlamentare, Vladimir Putin consolidò la sua autorità. Se la Costituzione russa rimane essenzialmente liberale, la pratica del potere assume una svolta autoritaria sempre più assertiva. Il cesarismo di Vladimir Putin combina una forma democratica di legittimità con una realtà monarchica di potere. Il gioco democratico è limitato dall’ultra-maggioranza detenuta dal partito al governo, Russia Unita, in Parlamento e in quasi tutte le regioni dal 2004. Le forze di opposizione devono accettare di limitare le loro critiche solo alla politica economica e sociale, in mancanza della quale sono escluse il gioco elettorale e dallo spazio pubblico. Oggi l’opposizione non di sistema non ha più visibilità in Russia. in mancanza sono esclusi dal gioco elettorale e dallo spazio pubblico. Oggi l’opposizione non di sistema non ha più visibilità in Russia. in mancanza sono esclusi dal gioco elettorale e dallo spazio pubblico. Oggi l’opposizione non di sistema non ha più visibilità in Russia.

L’élite del potere e l’oligarchia di stato

Il Putinismo non si limita a un modo autoritario di esercitare il potere, a un discorso politico conservatore o all’espressione del desiderio di ripristinare il potere della Russia sulla scena internazionale. È anche un sistema di potere che si basa su una leale élite di potere, uno zoccolo duro ristretto attorno a una Guardia Pretoriana [3] composta da uomini che, per molti di loro, provengono dal municipio. Pietroburgo dove Vladimir Putin ha compiuto l’inizio della sua carriera politica negli anni 1990-1996. Troviamo questo nocciolo duro oggi ai vertici dello stato russo, in posizioni sovrane chiave (sicurezza, interni, difesa, giustizia e procura generale) così come in posizioni chiave nella korpokratura, questi nuovi grandi capi dell’apparato statale, posti dal presidente a capo di grandi gruppi e conglomerati statali (o controllati dallo stato) per orientare al meglio i settori strategici dell’economia (energia, tecnologie d’avanguardia, armamenti , infrastrutture e filiere, ecc.). La nascita di questa nuova oligarchia di Stato, verso la fine degli anni 2000, testimonia il fatto che Vladimir Putin è riuscito a capovolgere l’equilibrio di potere tra lo Stato russo e gli oligarchi che si era instaurato negli anni ’90. , nel contesto della Russia debolezza ed elevato indebitamento esterno, molto a favore di quest’ultimo.

Il ritorno del potere russo

 

Negli anni 2000, il “ripristino della verticale del potere” di Putin ha coinciso internamente con un’impennata del prezzo degli idrocarburi sul mercato mondiale, che ha consentito alla Russia di operare un vero decollo economico e di considerare, al di là della riduzione del debito, una strategia di modernizzazione e sviluppo economico. Il benessere economico consente un netto miglioramento del tenore di vita medio della popolazione, con il quale l’ascesa politica di Putin coincide con il potere d’acquisto e l’accesso ai consumi. Per molti russi, il Putinismo è sinonimo di una vita quotidiana migliorata e di uno stile di vita che si avvicina agli standard occidentali. Nel complesso, questo boom economico offre alla Russia e ai russi vendetta per le umiliazioni subite negli anni ’90,

 

Il discorso pronunciato da Vladimir Putin nel febbraio 2007 a Monaco di Baviera ha segnato una svolta nella politica estera russa. Il presidente russo afferma una volontà di potere e utilizza un vocabolario offensivo senza precedenti, che solo successivamente verrà rafforzato. Si tratta di opporsi al mondo unipolare (dominato da Washington) del dopo Guerra Fredda e di fare della Russia uno dei maggiori poli in divenire del mondo multipolare. Mosca aveva già contestato la pretesa americana di consolidare il proprio dominio unipolare, nel 1999 – opposizione agli attacchi della NATO contro la Serbia – e nel 2003 – veto contro la guerra americano-britannica in Iraq. Dopo Monaco, la Russia fa un passo avanti. Durante il vertice della NATO a Bucarest (2008), Mosca ha protestato contro la possibile adesione della Georgia e/o dell’Ucraina alla NATO, percepito come una minaccia alla sicurezza nazionale. Adattando l’azione alla parola, la Russia interviene militarmente in Georgia per sostenere la repubblica secessionista dell’Ossezia del Sud contro Tbilisi. Nel 2014, la destituzione del presidente ucraino Yanukovich è stata analizzata, a Mosca, come un colpo di stato non frutto di una rivolta popolare, ma di un lavoro approfondito delle ONG che erano state a lungo utilizzate dagli stati occidentali per far cadere l’Ucraina nella loro campo. Dopo questo cambio di potere, ritenuto illegittimo, a kyiv Mosca annesse la Crimea, dopo un inequivocabile referendum favorevole all’annessione della penisola alla Federazione Russa, poi sostenne, per otto anni, la ribellione armata delle repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk nell’Ucraina orientale,

Il consenso di Putin ha un futuro?

Il consenso della società russa attorno al Putinismo è stato costruito su un rapporto di fedeltà, piuttosto che di adesione al potere. Se l’entrata in guerra contro l’Ucraina sembra, all’inizio di questa, provocare il consolidamento di questo consenso, molti elementi portano a interrogarsi sulla sostenibilità nel lungo periodo di questo consenso putiniano. Va ricordato che la fase ascendente del putinismo ha corrisposto a un periodo di forte sviluppo economico: tra il 2000 e il 2020 il PIL russo è triplicato e il PIL pro capite, che nel 2000 rappresentava appena un terzo di quello francese, sale oggi a più di metà di quella della Francia [4]. Questo benessere economico è stato accompagnato da un forte aumento del prestigio internazionale della Russia, in particolare agli occhi dei russi stessi. Tuttavia, oggi gli indicatori socioeconomici sono molto peggiori. Sebbene sia ancora presto per misurare l’impatto delle sanzioni occidentali sulla popolazione russa, sembra indiscutibile che provocherà almeno una stagnazione del tenore di vita e un calo dei consumi. Questa crisi prevedibile sarà percepita come un ulteriore deterioramento nel contesto di un tenore di vita in costante calo, per la maggior parte dei russi, dalla metà degli anni 2010. percepito? Il ”  Volta a oriente “, cioè verso la Cina, della politica estera russa, evoluzione che dovrebbe accelerare a causa della guerra in Ucraina, riuscirà a produrre dividendi economici palpabili per la popolazione? Riusciremo, in una società dei consumi come quella russa, a fare a meno dei marchi occidentali e ad accontentarci dei marchi cinesi? Che dire di una Russia, anche prospera, totalmente riorientata verso l’Asia? Quali sono i limiti di un autoritarismo politico che, grazie a questa “operazione speciale”, si è rafforzato fino a bandire dalla scena pubblica tutte le voci dissidenti? Che dire di un gruppo d’élite consolidato attorno alla testa del Cremlino, ma che invecchia, e che ora deve organizzare imperativamente la sua successione?

Anche da leggere

Putin, il gas e l’Europa

[1] Cfr. studio del Centro Levada, 30 marzo 2022: https://www.levada.ru/2022/03/30/odobrenie-institutov-rejtingi-partij-i-politikov/

[2] Jean-Robert Raviot, Chi gestisce la Russia? , Linee di riferimento, 2007.

[3] Jean-Robert Raviot, “Il pretorismo russo: l’esercizio del potere secondo Vladimir Poutine”, Hérodote , n . 166/167 , 2017.

[4] Dati della Banca Mondiale, in PPP. Vedi https://data.worldbank.org

https://www.revueconflits.com/quest-ce-que-le-poutinisme/

UCRAINA: Sciocco per Finlandia e Svezia che aderiscano alla NATO, di Jan Oberg

Non è il momento di prendere decisioni in un momento di isteria storica e panico, scrive Jan Oberg. 

La transnazionale

Ecco cosa l’Occidente è intellettualmente incapace di vedere, nel mezzo del suo umore militarista e ipocrita:

La politica di espansione della NATO ha creato — ed è responsabile — del conflitto.

La Russia ha creato – ed è responsabile –  della guerra . Non esiste violenza che non sia radicata nei conflitti sottostanti. Le persone alfabetizzate in conflitto e pace, quindi, parlano di entrambi. 

E se vogliono la pace, non aumentano i sintomi — la guerra  — affrontano  la vera causa, il conflitto  e chiedono alle parti in conflitto di raccontare cosa temono e cosa vogliono e poi si muovono, passo dopo passo verso un soluzione. 

Ma né i media mainstream né i politici hanno il coraggio civile di affrontare  il conflitto.  Riguarda solo la guerra e solo la Russia e il presidente Vladimir Putin che devono essere puniti, indipendentemente dal prezzo che dovranno essere pagati dalle generazioni future. Se sopravviviamo. 

È una banalità sottolineare che ce ne vogliono almeno due per entrare in conflitto. Ma questo è il livello intellettuale e morale che i decisori, i media e gran parte del mondo accademico operano in questi tempi bui.

Questo approccio non ha futuro e non potrà mai portare la pace. Periodo. 

Le decisioni prese con questo approccio irrazionale e l’emotività non faranno che peggiorare le cose. Come la Svezia e la Finlandia che aderiscono alla NATO sulla base del panico isterico del momento: semplicemente non esiste uno scenario credibile e realistico che porterebbe a un attacco russo isolato e fuori dal comune su nessuno dei due se rimanessero non allineati come lo sono da decenni. 

Che alcune persone meno informate – o persone che parlano per l’adesione alla NATO – abbiano parlato anche di un attacco isolato e inaspettato all’isola svedese di Gotland è una politica dei Monty Python.

Allora perché la Finlandia e la Svezia ora prenderanno una decisione disastrosa e crescente di tensione di aderire alla NATO? Ecco alcuni dei possibili motivi:

Forte pressione

Entrambi sono stati sottoposti a forti pressioni da parte della NATO e degli Stati Uniti in particolare. Il primo ministro svedese, Olof Palme, è stato assassinato, un uomo che sosteneva l’obiettivo delle Nazioni Unite del disarmo internazionale, dell’abolizione del nucleare e del concetto intelligente di sicurezza comune. Gli ambasciatori statunitensi hanno tenuto incontri segreti con i parlamentari svedesi, ci sono molti canali, richieste e ricompense.

L’unica peggiore sfida per la sicurezza della Svezia è stata il sottomarino russo U 137 Whisky on the Rocks. Era russo, sì, ma l’operazione era una PSYOP americana – operazione psicologica – condotta dall’“esperto di navigazione” di bordo, l’unico mai intervistato in Svezia e che poco dopo scomparve. 

Il sottomarino sovietico U 137 si incagliò il 27 ottobre 1981 sulla costa meridionale della Svezia vicino a una grande base navale. (Marinmuseum, CC BY 4.0, Wikimedia Commons)

Era un PSYOP inteso a far riconoscere alla Svezia che l’Unione Sovietica era una minaccia, che la sua difesa contro l’Est era carente e che avrebbe dovuto cercare protezione dall’Occidente stesso. Questo è estremamente ben documentato dal professore emerito, l’eminente ricerca pluridecennale di Ola Tunander, l’ultima pubblicata nel libro,  Navigations-Expert . Hur Sverige lät sig bedras av U 137   ( L’esperto di navigazione. Su come la Svezia ha accettato di essere ingannata dall’U 137 ).

Passo dopo passo, la Svezia è stata guidata nella giusta direzione. Alcuni politici svedesi sapevano cosa stava succedendo, ma i media e la gente no.

Corteggiato da USA e NATO 

Entrambi i paesi si sono mossi per essere corteggiati dagli Stati Uniti e dalla NATO. Negli ultimi 20 anni si sono impegnati con la NATO in tutti i modi – quindi, come si suol dire, perché non sposarsi ora?

In altre parole, Finlandia e Svezia ora si uniscono perché hanno – in modo incrementale – preso una decisione sbagliata dopo l’altra, si sono dipinti in  un angolo “senza scelta tranne la NATO” e hanno abdicato a ogni grammo della loro storica, indipendente mente creativa straniera pensiero politico. E ha smesso di criticare la guerra e il militarismo.
Ciò è stato possibile anche perché l’input intellettuale critico, o alternativo, indipendente nei ministeri degli affari esteri è stato tagliato e sostituito da vari tipi di marketing politico filoamericano.

Per decenni, la NATO Echo Chamber ha definito il pensiero di gruppo nazionale pro-NATO. Nessuno poteva entrare per chiedere: dove diavolo ci stiamo dirigendo, diciamo, tra 25 anni? 

Complesso militare-industriale-media-accademico

Inoltre, Svezia e Finlandia si stanno ora unendo perché le élite legate al Complesso Militare-Industriale-Media-Accademico, MIMAC, in entrambi i paesi, piuttosto che le persone, decidono questioni di sicurezza e politica estera.

Naturalmente, c’era estremamente poca  discussione pubblica aperta  ; non era voluto. I decisori sapevano che la fondazione della NATO per le armi nucleari e le guerre di contatto dei suoi membri, in particolare in Medio Oriente, erano considerate fondamentalmente malvagie tra i cittadini. 

Pressione del tempo

Da sinistra: il ministro degli Esteri finlandese Pekka Haavisto, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg e il ministro degli Esteri svedese Ann Linde il 6 aprile.   (NATO)

I media liberali suggeriscono che non può esserci un referendum perché c’è una tale pressione di tempo – presumibilmente prima dell’invasione russa di Svezia e Finlandia – e, quindi, prendi in fretta la più importante decisione politica estera e di sicurezza dal 1945 ora che c’è oltraggio alla Russia — il nemico amato e necessario. 
I decisori svedesi ovviamente sanno che non ci sarà mai una maggioranza del 75% circa per la NATO, che è ciò che dovrebbe esserci per prendere una decisione così fondamentale e fatale. Tanto, si può dire, per la democrazia, ma nessun nuovo membro della NATO ha tenuto un referendum in cui la NATO e altre alternative sono state discusse liberamente e una maggioranza del 75% si è espressa a favore. (Secondo la svedese Svenska Dagbladetogni giorno del 6 maggio, il 48 per cento pensa che la Svezia si unirà, ma in una sola settimana coloro che non sanno cosa pensare sono aumentati dal 22 al 27 per cento). 
L’opinione pro-NATO della Finlandia sembra essere cresciuta dal 53% di febbraio al 76% di maggio 2022. Era il 19% nel 2017 secondo un rapporto del Wall  Street Journal . L’Ucraina ha svolto il suo ruolo.

Disarmo intellettuale

Un ulteriore motivo per aderire è il disarmo intellettuale che ha lasciato i decisori unificati attorno a un’alternativa; dimenticato di lasciare altre porte aperte e alternative deliberatamente represse.

Il discorso della pace – nei media, nella politica e nella ricerca – è scomparso. La pace è diventata sinonimo di armi, deterrenza, sempre di più insieme a cieca lealtà con ogni guerra USA/NATO.

Ad esempio, il governo dell’allora primo ministro socialdemocratico Göran Persson ha deciso rapidamente di disabilitare la legislazione svedese sul divieto di esportazione di armi nel 2001 per poter continuare ad esportare armi negli Stati Uniti durante l’invasione dell’Iraq.
Questo disarmo intellettuale pluriennale è evidente e tende sempre a favorire i mezzi militari rispetto ai civili, oltre alla diplomazia. E non solo in questi paesi, ovviamente.

2022 Fondo Primavera 2022

Un istituto come il SIPRI – Stockholm International Peace Research Institute – è decaduto intellettualmente in qualcosa che dovrebbe piuttosto essere chiamato Stockholm International Military Security Research, SIMSI –  come ho suggerito anni fa .

In altre parole, la creatività politica necessaria per condurre una politica indipendente di neutralità, non allineamento e disarmo globale unita a una forte fede nel diritto internazionale è svanita anni fa. 
È più facile seguire il gregge, soprattutto quando, a quanto pare, il partito socialdemocratico oggi esiste solo di nome.

Media 

Senza esaurire tutte queste – tragiche – ragioni, un’ultima ragione da menzionare è il ruolo dei media. Come ovunque, i media da sinistra a destra si sono uniti attorno a una politica filo-occidentale e non neutrale. L’attuale propaganda pro-NATO, non da ultimo nel liberale Dagens Nyheter, è pervasiva.

Le voci critiche vengono emarginate e gli “spiegatori” dell’informazione pubblica sono ridotti ad alcuni fatti di base simili a quelli delle scuole superiori accoppiati con FOSI, Fake + Omission + Source Ignorance. La Svezia è in grado di organizzare tavole rotonde televisive in cui, di fatto, tutti i partecipanti sono più o meno pro-NATO, escludendo così gran parte dell’opinione pubblica. *)

Le conseguenze

1 novembre 2018: esercitazione congiunta della NATO nell’Atlantico settentrionale e nel Mar Baltico. (NATO, Flickr)

Ce ne sono potenzialmente così tanti – alcuni più probabili di altri – che non possono essere elencati tutti in un’analisi breve e puntuale come questa. Ma mi permetto di citare:

  • Gli svedesi ei finlandesi diventeranno meno sicuri Come mai? Perché ci sarà un confronto e una polarizzazione più duri invece di confini morbidi e atteggiamenti di mediazione. In una grave crisi, a tutti gli effetti pratici, saranno occupati e gli verrà detto cosa fare dagli USA/NATO. 
  • Nella misura in cui, ad un certo punto in futuro, ai due paesi verrà chiesto di ospitare basi statunitensi – come la Norvegia e la Danimarca ora – non potranno dire “No!” Tali basi saranno gli obiettivi di primo ordine della Russia in una situazione di guerra. 
  • Da un punto di vista russo, ovviamente, la loro adesione alla NATO è estremamente fonte di tensione e conflittuale. La Russia ha l’8% (66 miliardi di dollari) delle spese militari dei 30 membri della NATO. Ora ci sarà un enorme riarmo in tutta la NATO. La sola Germania prevede di aumentare fino a quasi il doppio delle spese della Russia. L’Ucraina riceverà circa 50 miliardi di dollari. Aggiungiamo una Svezia e una Finlandia riarmate e vedremo la Russia precipitarsi al 4% delle spese della NATO e continuare a essere definita una formidabile minaccia.
  • In Europa non rimarranno praticamente più meccanismi di rafforzamento della fiducia e di risoluzione dei conflitti. Non sarà possibile discutere su un nuovo sistema di pace e sicurezza tutto europeo. E che venga compresa e rispettata o meno, la Russia si sentirà ancora più intimidita, isolata e, in una certa situazione, diventerà ancora più disperata. Come fa, normalmente, la parte più debole in un conflitto asimmetrico. Stiamo vivendo tempi molto pericolosi e questi due paesi della NATO non faranno che aumentare il pericolo, non c’è modo che possa ridurlo.
  • Se Finlandia e Svezia vogliono così fortemente essere “protette” dagli Stati Uniti e/o dalla NATO, non è assolutamente necessario che questi due paesi si uniscano perché, in caso di grave crisi, gli USA/NATO arriveranno in ogni circostanza a “proteggere” o meglio utilizzare i propri territori per essere più vicini alle repubbliche baltiche. Ecco di cosa trattano gli accordi di supporto per la nazione ospitante.
    L’unico motivo per aderire sarebbe il paragrafo 5, ma lo svantaggio è che il paragrafo 5 richiede che la Finlandia e la Svezia partecipino a guerre che non riguardano la loro difesa e forse anche in future guerre che violano il diritto internazionale come quelle in Jugoslavia , Iraq e Libia. Quindi, i giovani finlandesi e svedesi verranno uccisi in future guerre tra paesi della NATO? Sono pronti per questo?
  • Costerà una fortuna convertire la loro infrastruttura militare alla piena adesione alla NATO e quando si saranno uniti, pagheranno qualunque prezzo si rivelerà essere. Inoltre, ci sarà molto meno potere decisionale sovrano de facto – qui de jure è quasi irrilevante. Ed era già molto autolimitante prima che si unissero.
  • In quanto membri della NATO, Finlandia e Svezia non possono non condividere la responsabilità delle armi nucleari, la deterrenza e il loro possibile utilizzo da parte della NATO. È anche ovvio che le navi della NATO possono portare armi nucleari nei loro porti – ma ovviamente non lo chiederanno nemmeno – sanno che la risposta arrogante degli Stati Uniti è che “non confermiamo né neghiamo questo genere di cose”. 
    Questo va contro ogni fibra del popolo svedese e la decisione della Svezia di non sviluppare armi nucleari risalente a circa 70 anni fa.
  • I giorni in cui Svezia e Finlandia possono, almeno in linea di principio, lavorare per alternative sono contati. Vale a dire, per il trattato delle Nazioni Unite sull’abolizione del nucleare e gli obiettivi delle Nazioni Unite di disarmo generale e completo, qualsiasi concetto politico alternativo come la sicurezza comune, la sicurezza umana , un’ONU forte ecc. Non saranno in grado di fungere da mediatori, come, ad esempio, Austria e Svizzera. Nessun membro della NATO può rendere omaggio a tali nobili obiettivi. La NATO non è un’organizzazione che incoraggia le alternative. Invece, cerca il monopolio e il dominio regionale e globale.
  • Finlandia e Svezia dicono sì al pensiero militarista, a un paradigma di “pace” intriso di armi, armamenti, offensività (lungo raggio + grande capacità distruttiva), deterrenza e continue minacce: la NATO è l’organizzazione più militarista della storia umana. Il suo leader, gli Stati Uniti d’America, è stato in guerra 225 su 243 anni dal 1776 . Ogni idea sulla nonviolenza, la disposizione della Carta delle Nazioni Unite di fare la pace con mezzi prevalentemente pacifici (articolo 1 della Carta) sarà fuori dalla finestra.
  • L’attenzione politica, così come i fondi, tenderanno a spostarsi su questioni militari, lontano dal contribuire a risolvere i problemi più urgenti dell’umanità. Ma – lo sappiamo ora – la scusa sarà l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin. C’è qualche cambiamento enorme che non può essere giustificato con riferimento a questo?
  • Mentre tutti sanno che l’Artico sarà una regione di sicurezza centrale e preoccupazioni per la pace nel prossimo futuro, questo problema è stato appena discusso in relazione all’adesione dei due paesi alla NATO. Tuttavia, non richiede molta esperienza per vedere che l’accesso USA/NATO a Svezia e Finlandia è un chiaro vantaggio nel futuro confronto con Russia e Cina lì.

(Mappa GRID-Arendal Circolo Polare Artico, Flickr, CC BY-NC-SA 2.0)

  • In quanto membri della NATO, Svezia e Finlandia non solo accettano, ma rafforzano decenni di odio nei confronti del popolo russo, di tutto ciò che la Russia include la cultura russo-europea. Dirà di sì alla punizione collettiva (illegale) sconsiderata e istintiva dell’Occidente di tutta la Russia, la cancellazione della Russia a tutte le dimensioni.

Una volta, invece, il Presidente della Finlandia Urho Kekkonen sosteneva politiche di neutralità attiva, un ruolo di intermediario e l’avvio dell’OSCE. La Finlandia era orgogliosa del fatto che la sua gente ritenesse che né l’Oriente né l’Occidente fossero nemici, prevalendo vari tipi di equidistanza. E  questo  avvenne durante il culmine della Prima Guerra Fredda, quando il Patto di Varsavia era circa 10 volte più forte nei confronti della NATO rispetto alla Russia di oggi. Come e perché? Uno dei motivi era che le politiche avevano un fondamento intellettuale e i leader una consapevolezza di cosa significasse la guerra. Non così oggi.

1975: il presidente finlandese Urho Kekkonen a destra alla Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa a Helsinki. (Tapio Korpisaari, CC BY 4.0, Wikimedia Commons)

  • La prospettiva di cui nessun sostenitore della NATO parla è questa: con ogni probabilità, abbiamo visto solo il duro inizio di una guerra estremamente fredda con un rischio sempre crescente anche di una guerra calda. È lo scopo dichiarato degli Stati Uniti – e questo significa della NATO – indebolire militarmente la Russia in Ucraina in modo che non possa risollevarsi mai più e minare la sua economia in patria attraverso le sanzioni più dure, illimitate e incondizionate della storia – cioè le sanzioni che non sarà revocato in una vita o più.
  • E, infine, unendosi alla NATO, i due paesi saranno costretti a schierarsi con il più grande Occidente nel futuro cambiamento dell’ordine mondiale in cui Cina, Medio Oriente, Africa e Sud America, nonché enormi associazioni regionali non occidentali acquisiranno forza . 

La priorità degli Stati Uniti n. 1 è la Cina. In quanto membri della NATO, Svezia e Finlandia non saranno in grado di camminare su due gambe in futuro – una occidentale e una non occidentale – e decadranno e cadranno con l’Occidente – l’Impero degli Stati Uniti e la NATO in particolare.

Se pensi che sia uno scenario troppo audace e pessimista, non stai seguendo sviluppi e tendenze al di fuori dell’Occidente stesso. Inoltre, per favore, considera che  gli Stati Uniti, l’UE e la NATO divisi e lacerati da problemi si sono appena riuniti per un motivo: la politica negativa di odiare la Russia e coprire la sua chiara corresponsabilità per il conflitto che ci ha portato dove abbiamo ora sono. 

L’Occidente non ha più una visione positiva. Le sue azioni riguardano il riarmo, le minacce, le sanzioni, la demonizzazione, l’ipocrita “non abbiamo mai fatto niente di sbagliato” e la concomitante proiezione dei propri lati oscuri sugli altri, in particolare sulla Cina.

Per i piccoli paesi mettere tutte le uova nello stesso paniere quando hanno alternative e agire senza la minima idea dei prossimi 5-10 anni è sempre stata una ricetta per il disastro, per la guerra. 

Sia la NATO che l’UE agiscono in questi giorni come facevano i passeggeri nel ristorante dell’elegante e lussuoso RMS Titanic.

C’erano enormi problemi che avrebbero dovuto essere risolti per la sopravvivenza dell’umanità: clima, ambiente, povertà, disuguaglianza, militarismo, armi nucleari, ecc. Ora sono dimenticati. Sono seguite crisi economiche e interruzioni, poi è arrivato il virus Corona e ha messo a dura prova tutti i tipi di risorse ed energie. E, infine, ora questa guerra in Europa con il suo sottostante conflitto creato dalla NATO.

Non è il momento di prendere decisioni in un momento di isteria storica e panico. Questo è davvero un momento per mantenere la calma. 

Si può solo deplorare che Svezia e Finlandia non abbiano il potere intellettuale per vedere il quadro più ampio nel tempo e nello spazio. La NATO ha avuto il tempo dal 1949 per dimostrare che può fare la pace. Ora sappiamo che non può. Aderirvi, quindi, è un grande dono per il militarismo e la guerra futura. 

Jan Oberg è un ricercatore indipendente sulla pace e il futuro con esperienza internazionale e fotografo d’arte, editorialista, commentatore e mediatore. 

Questo articolo è di  The Transnational.

Quando il tuo tassista è un ufficiale dei servizi segreti esteri russi in pensione… di gilbertdoctorow

Diversi mesi fa, parlando del modo in cui tutti in Russia hanno affrontato difficoltà economiche subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il presidente Vladimir Putin ha parlato per la prima volta di come questo lo abbia colpito: per diversi mesi ha dovuto accettare lavoro come tassista solo per poter sfamare la sua famiglia e pagare le bollette.

Quei giorni di indigenza generalizzata nella popolazione russa all’inizio degli anni ’90 sono ormai lontani. Ma gli ufficiali in precedenza ben posizionati nella comunità dell’intelligence sovietica e in altri rami del siloviki si dedicano ancora alla guida dei taxi per guadagnare un reddito supplementare e per riempire le loro giornate con conversazioni interessanti. Lo so per esperienza diretta, come quello che sto per condividere con te.

Ho osservato molto tempo fa che per me i tassisti sono sempre stati una fonte importante di informazioni su come le persone vivono davvero qui. Questo vale per i nostri “normali”, ovvero i conducenti individuali che possono lavorare per flotte di taxi ma si affezionano a noi quando siamo qui per diverse settimane e ci portano nei nostri viaggi più lunghi, nel centro di Pietroburgo o nella dacia. È tanto più vero per gli autisti che ci vengono inviati dagli spedizionieri automatizzati delle grandi flotte quando siamo in giro per Pietroburgo. In un contesto di completo anonimato, dato che non ci incontreremo mai più, questi conducenti sono spesso particolarmente loquaci e informativi.

Ieri è stato un esempio calzante.

Il nostro autista della flotta in “livrea verde”, Taksovichkoff, si è rivelato essere un ufficiale in pensione dell’intelligence estera sovietica/russa (GRU), come ci ha detto verso la fine del viaggio. Ci è venuto a prendere nelle ore di punta. Il traffico del centro è stato rallentato dai colli di bottiglia e abbiamo trascorso quasi 40 minuti nella sua macchina in una conversazione che almeno inizialmente era intrigante.

Ha aperto dicendo che è molto preoccupato che la guerra nucleare sia ora una vera minaccia e possa porre fine alla civiltà. Ma se ciò accadrà dipenderà da chi colpisce per primo. Se gli americani si lanciano per primi, allora davvero tutto andrà all’inferno a livello globale. Ma se i russi colpiscono per primi, credono di poter contenere i rischi e l’umanità andrà avanti. Dice che i consiglieri di Putin lo stanno esortando a considerare un primo attacco ma che il presidente si sta trattenendo. “Non vuole passare alla storia come colui che l’ha fatto”. L’ultimo punto suona molto come una battuta della conversazione nella War Room tra Peter Sellars come Presidente degli Stati Uniti e il suo generale senior nel film sempre rilevante, Il dottor Stranamore .

In caso contrario, anche l'”operazione militare speciale” in Ucraina è stata un argomento del nostro scambio. Mantiene i contatti con gli ex compagni di servizio e quindi prendo la sua storia con un alto grado di fiducia.

Il nostro ufficiale del GRU in pensione ha affermato che i primi cinque giorni di “operazione militare speciale” sono stati un disastro, con pesanti perdite di vite umane da parte russa. Tutto era dovuto, disse, all’incompetenza dei maggiori generali di Mosca che erano incaricati dell’invasione. Considerata la debacle, li accusa di tradimento. In effetti, furono rimossi dal comando giorni dopo e deviati da un lato. Ma il nostro autista insiste che avrebbero dovuto sparare a tutti loro.

Perché erano incompetenti? Perché dovevano il loro lavoro alla corruzione, non al merito. I maggiori generali erano esperti da poltrona, mentre le forze armate russe avevano molti generali semplici che si erano dimostrati sul campo d’azione. Inoltre, gli esperti dell’intelligence sono stati tenuti fuori dall’operazione, il che spiega il suo inizio con false premesse sul nemico.

Ho cercato di confortarlo osservando che l’incompetenza e la corruzione nei ranghi più alti del governo e dell’esercito sono problemi che esistono anche in molti paesi, compresi gli Stati Uniti. Non stava ascoltando: “avrebbero dovuto essere fucilati tutti”, ha ripetuto.

La mia domanda su come stanno andando le cose ora è stata accolta dal silenzio.

Dopo aver condiviso queste osservazioni e opinioni, il nostro autista ha deciso che era ora di andare avanti e ha indirizzato la conversazione su un argomento completamente diverso, le sue preoccupazioni per il riscaldamento globale, dicendoci che i suoi amici esperti nelle alte sfere credono che il cambiamento climatico sia ormai irreversibile qualunque sia noi facciamo. Le emissioni di metano dagli oceani sono in aumento e travolgeranno i migliori sforzi dell’umanità per fermare il processo. Poi si è rivolto alla speculazione sull’intervento divino che avrebbe portato la Russia fuori da situazioni disperate, anche sul campo di battaglia, in passato, risalendo alla battaglia di Borodino durante la guerra con Napoleone. A questo punto, ho spento il mio registratore mentale.

“Le labbra sciolte affondano le navi” come si diceva negli States. Nonostante il Terrore, in epoca sovietica i russi blateravano parecchio. Nell’era di Putin, questo è stato in gran parte tagliato alla fonte. Il Boss prende tutte le grandi decisioni da solo, in modo da escludere la possibilità di fughe di notizie.

Le chiacchiere dei tassisti possono raccontare ciò che sentono dagli amici in alto. Queste élite, ovviamente, non sono in pieno accordo tra loro. Ma le loro opinioni stabiliscono i limiti a ciò che il Boss può fare in entrambi i modi.

Prima di concludere, riconosco che non tutti i tassisti sono patrioti. L’altro giorno, un pilota della stessa “flotta in livrea verde” ha detto poco prima di lasciarmi in un hotel: “Spero davvero che gli americani vincano in Ucraina”. Forse pensava che si sarebbe ingraziato con me, un evidente straniero. Forse è quello in cui crede veramente. Ma ero perplesso all’idea di come la sconfitta del suo paese potesse servire i suoi interessi, finanziari o meno.

©Gilbert Doctorow, 2022

LA GUERRA DELL’INFORMAZIONE IN OCCIDENTE E IN ORIENTE HANNO UN CREDO IN COMUNE, di Antonio de Martini

TRA LA COMUNICAZIONE DI MASSA E L’INDIVIDUO, ORA C’E’ LA TRIBU’ E I SUOI CAPI. E I GRANDI MEDIA USCIRANNO SCONFITTI.

DA LEGGERE:UNO DEI RARI TITOLI IMPORTANTI EDITI DALLA ERI, L’EDITRICE DELLA RAI TV. DOPO MEZZO SECOLO ANDREBBE RISTAMPATO DATA L’ATTUALITÀ’ PROVOCATA DALLA GUERRA UCRAINA E LA BELLA INTRODUZIONE DEL PROFESSOR FERRAROTTI.

Elihu KATZ insegnava sociologia alla Università di Chicago e Paul LAZERFELD alla Columbia, entrambi di origini europee e quest’ultimo considerato il miglior sociologo del suo tempo.

All’indomani dello sbarco di Normandia ( 5 giugno 1944) seimila soldati USA furono sottoposti a un questionario che sostanzialmente mirava ad appurare come mai un giovanotto dell’Oklahoma avesse affrontato ostacoli e pallottole per sbarcare su una spiaggia di cui nemmeno conosceva il nome. Indagavano sul mistero dell’obbedienza…

Le risposte, una volta codificate, lasciarono tutti di stucco.

Alla domanda ” chi te lo ha fatto fare”, le risposte non si rifacevano mai alle comunicazioni ufficiali: Niente crociata contro il nazismo, meno che mai lotta per la Democrazia o liberazione dell’Europa.

Nessuno che abbia citato il Presidente e nemmeno il generale Eisehnower.

Ogni singola risposta di ogni G.I: si rifaceva a una sorta di piccola tribù entro la quale il soldato ritrovava la sua vita e le sue sicurezze: ” ammiravo molto il mio capitano, lui ha detto avanti, ragazzi ! ed io ho obbedito”. Oppure :” il mio sergente é un uomo molto tosto; temevo , disobbedendo, che mi prendesse a calci davanti a tutti”. Meglio ancora: “negli ultimi mesi sono sempre stato assieme al mio compagno di branda, lanciatosi lui, l’ho seguito”: stava nascendo, dalla guerra, la “ teoria degli opinion leaders” che trovò la sua prima applicazione pratica nel campo della moda. Poi, a seguire, cinema, beni di consumo domestici e infine, affari pubblici.

La differenza tra la tribù del paleolitico e quella moderna é che, un tempo, il capo era l’opinion leader per ogni cosa: dalla caccia al cibo, agli accoppiamenti, alla medicina.

La tribù moderna si è parcellizzata: l’opinion leader dell’eleganza è Filippo, ma quello per gli investimenti è l’amico che lavora in banca, al quale mai ci sogneremmo di chiedere consigli per la salute…

Si constatò che il mondo intero è costituito da microentità di cento/centocinquanta persone , diverse per ogni ramo dello scibile che per le loro decisioni, scelte, acquisti, fanno riferimento a un ” capo” – detto ormai leader d’opinione- al cui parere si rimettono spesso fideisticamente.

Avviene anche in politica e , a maggior ragione, in tempi di guerre e/o calamità. Ma funziona?

Col tempo si è constatato che la situazione ideale si ha quando i mass media e gli opinion leaders remano nella stessa direzione, mentre, se queste due correnti di pensiero si contrastano – contro ogni previsione della vigilia- prevale l’avviso degli opinion leaders, anche se per esplicare al massimo la loro influenza serve molto più tempo. A livello planetario circa quindici anni.

Ecco che, alla luce dei recenti avvenimenti, prendono significato i toni isterici dei mass media che tendono a supplire con la quantità alla mancanza di credibilità. La narrativa dei mass media iniziata nel 2011, resisterà al massimo fino al 2016 per poi soccombere al crescendo critico dei capi tribù che la contrastano.

Il paradosso politico cui stiamo assistendo dal 1947 é che i due concorrenti alla leadership mondiale si sono scambiati più volte i ruoli: prima la Russia puntava sulla comunicazione di massa e gli Stati Uniti sugli opinion leaders. Ora si sta verificando il contrario: in molti casi: gli USA gestiscono l’86% ( Brezinsky dixit)della comunicazione mondiale mentre il blocco orientale punta sugli influencer ( nuovo termine) per indicare ipotetici capi tribù virtuali.

In pratica, ognuno finisce per non credere nelle scelte che ha fatto e dopo un certo periodo di tempo, tenta una nuova strada…

Già, adesso la sfida é se il capo tribù virtuale abbia la stessa influenza di uno reale. Facebook crede di si e punta tutto il suo sviluppo in questa direzione. Io credo di no ed è per questa ragione che ho ripreso a scrivere su questo blog. Credo negli individui, e non nella massa, credo nella realtà e non nel virtuale. Credo negli uomini e non nelle macchine. Compratevi il libro ( su amazon.it magari lo trovate ancora) , leggetelo e sappiatemi dire.

https://corrieredellacollera.com/2022/05/14/la-guerra-dellinformazione-in-occidente-e-in-oriente-hanno-un-credo-in-comune/

Pensare la potenza. Intervista a Rémi Brague #4 di REMI BRAGUE

Rémi Brague è professore di filosofia medievale all’Università di Parigi I Panthéon-Sorbonne e all’Università di Louis-et-Maximilien a Monaco di Baviera. Specialista in filosofia greca, araba ed ebraica, è autore di numerosi libri di consultazione su questo argomento. 

Intervista condotta da Louis du Breil. 

In Europa, la strada romana , spieghi che il contenuto dell’Europa è essere un contenitore, essere aperto all’universale. Il potere dell’Europa è stato costruito su questa cultura dell’apertura e della trasmissione?

Il libro che siete così gentili da citare celebrerà quest’anno il trentesimo anniversario della sua prima edizione e la sua diciassettesima traduzione. Non potendomi accontentare a stento di farne riferimento, mi costa un po’ tornare sulle sue tesi principali, anche se da allora non ho smesso di difenderle, anche di approfondirle. Nel mio libro, quindi, stavo solo ripetendo un gioco di parole dovuto al filosofo spagnolo José Ortega y Gasset. Nella sua lingua continente significa sia “continente” che “contenitore”. Detto questo, nel mio stesso lavoro, difficilmente concepivo la cultura dell’Europa, poiché è tutto ciò di cui parlo lì, in termini di potere.

In ogni caso, questa apertura all’universale che lei giustamente accenna è per me il risultato di un’apertura più fondamentale alle proprie fonti, e di un rapporto con il precedente che è ben lungi dal fomentare un sentimento di potere. . Al contrario, l’Europa si sentiva inferiore ai suoi antichi riferimenti culturali. Solo l’anno scorso ho scoperto, con mia grande vergogna, che l’idea era già stata lanciata, molto prima di me, in un libro che non avevo letto, dello storico tunisino Hichem Djaït, morto lo scorso giugno: l’umiltà dell’Europa ha stata la paradossale molla del suo sviluppo. Secondo lui, è perché l’Europa si è trovata umile davanti all’Antichità, che ha esaltato, e davanti al cristianesimo a cui è stata sottoposta, che ha potuto andare oltre la prima e mantenere la distanza dalla seconda (Europa e Islam , Parigi, Seuil, 1978, p. 157).

Molto concretamente, l’Europa ha avuto il talento di utilizzare e portare a compimento ciò che le veniva da altrove e che altre civiltà hanno trascurato. Questo vale sia per la civiltà materiale che per la vita dello spirito. I cinesi hanno inventato quasi tutto ciò che è tecnico, carta, bussola, ecc. Hanno anche “inventato la polvere da sparo”, per esempio, ma è stata l’Europa che ha saputo farne un uso militare (potremmo pentirci, tra l’altro…). Gli arabi avevano una grande filosofia, ma furono i cristiani e gli ebrei d’Europa che usarono i commenti di Averroè, dimenticato nella sua civiltà originaria. In breve, l’Europa ha fatto le pattumiere di altre civiltà. Per questo dovevi chinarti. Potrebbe anche essere ovvio che fosse arrogante. Ma alla radice di tutto,

Qual è il posto del cristianesimo in questa singolarità europea?

Dovremmo ancora insistere sull’evidenza che lo storico e filosofo italiano Benedetto Croce, che era egli stesso agnostico, ricordava nel 1943: “non possiamo non chiamarci cristiani”? Il posto del cristianesimo è cruciale, perché il cristianesimo è una seconda religione rispetto alla religione di Israele, quella di cui testimoniano gli scritti di quello che chiamiamo Antico Testamento, religione da cui proveniva anche l’ebraismo rabbinico. Abbiamo pensato abbastanza a questa stranezza della Bibbia cristiana, che inizia con la Bibbia ebraica e quindi che abbiamo allo stesso prezzo i libri sacri di due religioni? Il “Nuovo Testamento” è in gran parte una reinterpretazione dell’Antico alla luce del fatto nuovo rappresentato dall’insegnamento, dalla passione e dalla risurrezione di Gesù.

Reinterpretare l’antico è ciò che la cultura europea ha fatto per secoli, non solo con il primo dei suoi due libri sacri, ma anche con tutto il patrimonio dell’antichità greco-latina. In un piccolo trattato, ottimamente ripubblicato da Arnaud Perrot (Les Belles Lettres, 2012), San Basilio di Cesarea (m. 379) spiegava come sfruttare la letteratura antica, cioè spogliandola della sua dimensione religiosa, “pagana”. se volete, e riducendolo alla sua dimensione puramente pedagogica, morale, dunque. In questo modo, quella che io chiamo la “secondarietà” culturale dell’Europa è resa possibile dal suo ancoraggio al livello più alto, al livello stesso del rapporto con l’Assoluto-religione, per dirla semplicemente.

Secondo te, la separazione tra spirituale e temporale nella civiltà europea si spiega con la dualità delle fonti dell’Europa: Atene e Gerusalemme. Come mai ?

Questa separazione infatti è già dalla parte di “Gerusalemme”. La famosa frase di Cristo su cosa dare a Cesare e cosa appartiene a Dio è stata intesa in questo senso. I fatti hanno aiutato potentemente i cristiani a distinguere tra lo spirituale e il temporale. Infatti, durante i primi tre secoli della sua storia, lo Stato, all’epoca Stato Romano, li perseguitò. Non è troppo difficile sentirsi diversi dal tuo aguzzino. Successivamente, con Costantino, e soprattutto con Teodosio, alla fine del IV secolo, il cristianesimo assunse lo stato. Ma non fu mai puramente e semplicemente confuso con lui. La cosa divertente, è stato lo stato che avrebbe visto questa confusione in buona luce: la fede cristiana diventò l’ideologia ufficiale dell’Impero Romano e si sostituì alla religione “pagana” che sentivamo al limite della sua fune… La tentazione era forte per il popolo della Chiesa, e molti furono coloro che vi cedettero, come Eusebio di Cesarea, che lodava Costantino, nel quale vedeva, non senza ragione, una specie di «zar liberatore». Tuttavia, la Chiesa finì per secernere istituzioni che fungevano da contrappesi: il diritto canonico, il papato e il movimento monastico che le fornì le sue truppe d’assalto. Grazie a loro, nel XII secolo, al tempo della Litiga per le investiture (Chi ha nominato i vescovi?), la Chiesa seppe resistere agli imperatori d’Occidente e mantenere la propria autonomia. che lodava Costantino, nel quale vedeva, non senza ragione, una specie di “zar liberatore”. Tuttavia, la Chiesa finì per secernere istituzioni che fungevano da contrappesi: il diritto canonico, il papato e il movimento monastico che le fornì le sue truppe d’assalto. Grazie a loro, nel XII secolo, al tempo della Litiga per le investiture (Chi ha nominato i vescovi?), la Chiesa seppe resistere agli imperatori d’Occidente e mantenere la propria autonomia. che lodava Costantino, nel quale vedeva, non senza ragione, una specie di “zar liberatore”. Tuttavia, la Chiesa finì per secernere istituzioni che fungevano da contrappesi: il diritto canonico, il papato e il movimento monastico che le fornì le sue truppe d’assalto. Grazie a loro, nel XII secolo, al tempo della Litiga per le investiture (Chi ha nominato i vescovi?), la Chiesa seppe resistere agli imperatori d’Occidente e mantenere la propria autonomia.

Invocare le due città simbolo che hai citato, e ciò che rappresentano, risale a Tertulliano, nel 3° secolo, poi rifiorito nel 19° secolo con Matthew Arnold e Henri Heine, e nel 20° secolo con Leon Chestov e Leo Strauss. Mettiamo di seguito varie opposizioni: fede e ragione, etica ed estetica, ecc. Ma il semplice fatto che i due poli così messi in tensione siano sopravvissuti entrambi, senza che l’uno inghiottisse l’altro, è già un fenomeno eccezionale, che va spiegato. Qui tutto è capovolto: è piuttosto la separazione del temporale e dello spirituale che ha permesso ai due modelli culturali di sussistere nella loro autonomia e di entrare in un proficuo dialogo.

Infatti è proprio “Gerusalemme” che ha saputo accogliere “Atene”. Per dirla in termini biblici, Sem (mitico antenato degli Ebrei) fece posto nella sua tenda a Iafet (antenato dei Greci) (Genesi, 9, 27). Della Torah, San Paolo decise di mantenere solo il Decalogo nel suo senso letterale. Tutti gli altri 613 comandamenti riconosciuti dai rabbini sono da intendersi in senso allegorico. I Dieci “Comandamenti” riuniscono i principi di base che consentono a una società umana di sopravvivere e di essere pienamente umana, motivo per cui il loro contenuto si trova ovunque, in Mesopotamia come in Cina. Era fondamentale come kit di sopravvivenza, ma non bastavano le regole morali per costruire nel dettaglio un intero sistema di norme in grado di regolare una città, a differenza dell’halakha ebraica e della sharia islamica. Occorreva quindi conservare il diritto romano, la letteratura greca e la filosofia, in una parola preservare, accanto alla “religione”, qualcosa come quella che poi sarebbe stata chiamata “cultura”.

Qual è l’influenza di quella che lei chiama “modernità” sulla concezione europea del suo potere?

La parola “modernità” non è in alcun modo una mia invenzione. In lingua francese ricevette le sue lettere nobiliari da Baudelaire, che ne arrischiò una definizione. D’altra parte, ciò che è importante è che usiamo l’aggettivo “moderno” per designare una caratteristica essenziale e permanente del nostro tempo, a differenza dell’uso medievale, dove modernus significava semplicemente “recente”. Questo utilizzo è più vecchio di Baudelaire. Basti pensare alla famosa “Querelle des Anciens et des Modernes” a Parigi alla fine del XVII secolo. Ho abbozzato questa storia nel mio Moderately Modern.

Ciò che ha cambiato il modo in cui l’Europa ha inteso il proprio potere non è stata l’era moderna, un semplice riferimento cronologico, ma quello che, nel mio Regno dell’uomo, ho chiamato, dopo altri, il “progetto moderno”. Sogna un nuovo inizio da zero, un’umanità basata solo su se stessa, che elimini la dipendenza dal divino e padroneggi sempre meglio il fondamento naturale della sua esistenza: il proprio corpo, e questo tipo di “corpo esterno” (Fichte) che costituisce la biosfera.
In questa prospettiva, il potere diventa dominio, prima sulla natura, poi sul resto dell’umanità, a cominciare dalle donne. La ricezione dell’altro si trasforma in una bulimia di conquista.

Le virtù romane sono oggi indispensabili per uscire da quella che si impone come impotenza europea?

I romani non avevano virtù che fossero solo loro. Non si può inventare una virtù. È importante ricordarlo, perché immaginarlo fomenta un relativismo che, in fondo, corrompe tutte le virtù senza eccezioni. Quando Nietzsche distingue la virtù dei Greci: «mostrarsi ogni volta migliori ed essere superiori agli altri» (Iliade, 6, 208), quella degli Ebrei: onorare il proprio padre e la propria madre (Esodo, 20, 12), quella di i Persiani: non mentono e tirano bene con l’arco (Erodoto, I, 136, 2) (Così parlò Zarathustra, I: Dei mille e uno gol), vuole farci credere che le virtù sono relative e che possiamo creare nuovi. Ma nessuno dei tre popoli prende ad esempio considerava le virtù predilette degli altri due come vizi da evitare. Al massimo si può, come hanno fatto loro, sottolineando questa o quella virtù più di questa o quell’altra, a seconda del tipo di vita che si conduce. I romani insistevano su coraggio, senso civico, frugalità, virtù adatte alla dura vita di contadini e soldati.

Quella che ho chiamato la “strada romana” è un atteggiamento che ho isolato dal comportamento dell’élite di Roma, dal II secolo a.C., il “secolo degli Scipioni”, cioè poco dopo la loro vittoria militare sui Greci. Riconobbero la loro inferiorità culturale rispetto a coloro che avevano soggiogato e si misero coraggiosamente nella loro scuola, arrivando a creare un “impero greco-romano” ( Paul Veyne ). Questo è ciò che le élite europee fanno da secoli. Educarono la loro progenie facendo loro imparare il latino e il greco, cioè i classici di una civiltà che non era la loro, a differenza dei mandarini, che furono reclutati sulla loro conoscenza dei classici cinesi.

In questo momento è chiaro che l’Europa ha perso importanza: nella demografia vive di un’infusione di immigrati, nell’economia ha rilocalizzato la sua industria, nella diplomazia non gioca più nelle grandi serie, che convengono di passare oltre esso. Si ha però l’impressione che gli europei mascherino tutto questo con un eccesso di autocompiacimento. “Certo, siamo deboli, ma siamo gentili. Almeno non siamo bigotti e razzisti come gli americani, fanatici e macho come i musulmani, “formiche gialle” ossessionate dal lavoro come i cinesi, russi come i russi, ecc. Tutte queste persone ci danno dei crupper, ma pensiamo di non avere nulla da imparare da loro. Al contrario, sono loro che dobbiamo illuminare e civilizzare, ad esempio alzando la bandiera dei diritti fondamentali.

Di fronte a tutto questo, le tre virtù romane che ho citato sopra, coraggio, civismo, frugalità, potrebbero esserci di buon aiuto. La cittadinanza, ad esempio, potrebbe permetterci di temperare il nostro individualismo con la preoccupazione per il bene comune e la frugalità, aiutarci a resistere alla corsa frenetica al consumo.

Scrivi che la cultura non è un’origine pacificamente posseduta, ma una fine conquistata attraverso una dura lotta. Come combattere bene?

Ci sono molte prove lì. La cultura è qualcosa che acquisisci attraverso il duro lavoro. Anche usi e costumi, a cominciare dal linguaggio, non vengono semplicemente ricevuti nella culla e poi lasciati lì, abbandonati alla spontaneità dei bambini. Non dobbiamo accontentarci di canticchiare i canti della nostra nutrice; devi imparare a cantare secondo la teoria musicale. Non dobbiamo accontentarci di parlare “come ci viene spinto il becco”, secondo l’espressione tedesca; devi imparare a parlare la tua lingua madre secondo la grammatica, anche a scrivere poesie. Non devi solo camminare mettendo un piede davanti all’altro e ricominciando da capo; bisogna imparare, per esempio, a camminare al passo – c’è un bel passaggio su questo in Nietzsche del 1872 (Sul futuro delle nostre istituzioni educative, 2a lezione) – oppure, meglio, ballare. Tutto ciò richiede impegno, e quindi coraggio. Questa è un’altra virtù romana da cui dovremmo imparare. Non c’è battaglia più nobile di quella che combatti contro te stesso, contro la tua stessa pigrizia.

Lei scrive che la storia dell’Europa può essere vista come quella di una serie quasi ininterrotta di rinascite. Ci stiamo dirigendo verso un nuovo rinascimento?

Ho solo raccontato una storia, quella della cultura europea, una storia che ovviamente è solo una parte della storia dell’Europa, che ha dimensioni economiche, sociali, politiche e altre. in cui preferisco non entrare, per mancanza della necessaria competenza. È un dato di fatto che si sono susseguiti risvegli dal momento in cui, coincidenza interessante e forse significativa, abbiamo cominciato a prendere la parola “Europa” nel senso di entità politico-culturale — con questo sacro Carlo Magno e soprattutto il suo Ministro di Educazione Nazionale (o meglio Imperiale), Alcuino di York. Dopo la rinascita carolingia, abbiamo quella del XII secolo con il culto di Ovidio, l’ingresso del sapere greco e arabo nel XIII secolo, l’Italia dei grandi scrittori fiorentini, poi, nel XV secolo, l’ingresso della letteratura greca prima e dopo la caduta di Costantinopoli e il platonismo dei Medici, poi il classicismo di Weimar. E come continua di tutto questo, l’attività dei filologi di redigere, commentare, tradurre.

Ci sarà una nuova rinascita? Per temperamento, non sono proprio quello che viene chiamato “ottimista”. Se questo richiede di tornare allo studio delle lingue classiche, non credo che si cominci bene: da sessant’anni buoni, le autorità che pretendono di governarci hanno escogitato di renderlo impossibile; e ora negli Stati Uniti, alcune delle stesse persone che insegnano loro stanno iniziando a segare il loro ramo. Infatti è proprio l’idea di “classico”, indipendentemente dalla distanza linguistica, temporale, culturale, ecc., che ce ne separa, che dovremmo riscoprire: realtà più belle, più vere, migliori di noi, e da cui dobbiamo imparare. Ma ciò suppone un decentramento rispetto a se stessi, smettere di credersi molto scaltri, insomma una virtù meno romana che cristiana, l’umiltà…

https://www.revueconflits.com/penser-la-puissance-entretien-avec-remi-brague/

CRISI RUSSO-UCRAINA: TRA I 27 DELLA UE, OGGI IL VERO STATISTA È ORBAN_di Marco Giuliani

CRISI RUSSO-UCRAINA: TRA I 27 DELLA UE, OGGI IL VERO STATISTA È ORBAN

 

Da più di due mesi a questa parte stiamo prendendo atto, a margine della tragedia in corso tra Russia e Ucraina, che quelle poche voci dissenzienti circa l’utilità di peggiorare un’escalation pericolosissima, non fanno parte dell’universo riformista o liberaldemocratico, titoli platonici di cui si sono fregiati molti leaders europei. Senza scomodare il farneticante Johnson, al quale la risposta l’hanno già data gli elettori inglesi alle amministrative del 5 maggio (una delle sue ultime uscite è stata quella di «armare l’Ucraina per poter colpire Mosca entro il suo territorio»), si rende necessario discernere su ciò che sta emergendo, sul piano politico, in merito al conflitto in atto nell’Est europeo.

La UE ha dato l’ennesima prova della sua debolezza e della grave carenza di iniziativa diplomatica per porre un argine al disastro (non solo materiale, ma anche umanitario, energetico ed economico)) che sta coinvolgendo in primis la stessa Ucraina. Non sono bastati due anni di pandemia e le enormi difficoltà accusate per rinsavire i cosiddetti “traini” dell’unione, i quali, anzi, sembrano depauperati da qualsivoglia intervento migliorativo e appaiono quindi molto logori, specie sotto l’aspetto politico. I vari Macron, Sholtz e Borrell, solo per citarne alcuni, eccetto timidissimi segnali di perplessità rispetto all’ipotesi di un ulteriore accerchiamento di Putin, hanno mostrato la totale subalternità alle pretese degli Usa, e di conseguenza della Nato. La Casa Bianca, come sappiamo, sta facendo di tutto per creare uno scontro frontale con il Cremlino, il quale provocherebbe senza dubbio una drammatica condizione di non ritorno. Il problema vero (e grave) è che questo processo lo si sta perpetrando proprio ai danni dell’Europa in quanto istituzione, ovvero un soggetto giuridico di una diversità abissale dagli interessi finanziari e guerrafondai dell’ormai anziano e claudicante Biden.

C’è tuttavia chi si è fermamente sottratto a questo gioco pericoloso – vedi Victor Orban – mostrando di curare gli interessi della propria nazione, di chi lo ha votato e anche dell’Europa stessa, dichiarandosi incondizionatamente favorevole alla pace e contrario al fitto smercio di armi che transitano verso Kiev. Lo sappiamo, non si tratta di un fautore del sinistrismo idiomatico che si professa a favore di riforme pseudo-moderniste spesso formali e poco sostanziali, ma di un conservatore puro. Ciò non toglie che sul piatto della bilancia, nel momento in cui l’unione sembra essere giunta a un bivio epocale, le carte migliori in politica interna vengono poggiate proprio dal premier ungherese. Essere statisti significa non solo assolvere il mandato secondo l’impegno preso con la propria gente e nel rispetto del proprio elettorato, bensì anche (e soprattutto) ispirarsi a una profonda condanna per ogni soluzione non pacifica delle contese internazionali, opponendosi a qualsiasi modello di propaganda bellicista a protezione dei propri (e altrui) interessi. Essere statisti significa rifiutarsi di seguire la linea piatta delle sanzioni – o meglio dell’embargo – da e verso Mosca, che sta mettendo in ginocchio l’economia europea; significa non seguire il livellamento verso il basso di Draghi (volutamente non menzionato tra i “traini dell’unione” poiché l’Italia è oggi uno dei paesi a non aver alcun peso in relazione alla ipotetica soluzione della crisi), che da due mesi non risponde neanche al Parlamento. Ripudiare l’idea di una guerra a tutti i costi significa dissociarsi da Von der Leyen e Stoltemberg, che appaiono chiusi a qualsiasi forma di dialogo e anzi, forse per sincera incapacità o per secondi fini, stanno inibendo le residue chances di stemperare la tensione.

Per fortuna si è manifestato, nel nostro paese, quel fenomeno positivo che la scienza pedagogica definisce “vicarianza”, ovvero il ricorso, qualora un meccanismo funzioni male, a un mezzo ausiliario che svolga le stesse funzioni e sopperisca alle carenze evidenziate. Detto fenomeno è riferito al paese reale, ovvero a quella maggioranza degli italiani che si sta rifiutando di seguire il Presidente del Consiglio nel suo atono percorso di fedeltà a Washington. Una maggioranza che, come molti sondaggi hanno certificato, ha espresso un netto rifiuto nei confronti dell’invio di armi a Zelensky e della recrudescenza della guerra. Orban, che poche settimane fa ha stravinto le nuove elezioni nazionali, è stato tacciato, ma solo dalla stampa più asservita, di essere un ostruzionista; è un aggettivo inappropriato, se si è in buona fede. Domanda: essere ostruzionisti significa opporsi al colossale passaggio di armi (per un valore di decine di miliardi di euro) sul proprio territorio e dichiararsi contrario all’embargo del petrolio russo quando l’Ungheria dipende per gran parte dalle forniture di Mosca? Altra domanda: ostruzionismo significa dissociarsi da una malaugurata espansione della guerra?

Budapest ha mostrato, negli anni, una maggiore attenzione per i suoi cittadini e di essere in grado di dare luogo a un robusto rilancio delle sue attività produttive. Si è trattato di un cambiamento iniziato a partire dagli anni immediatamente successivi al clima di guerra fredda, durante i quali le società dell’Europa orientale uscite dall’esperienza sovietica dovettero attuare quei cambiamenti adatti a raggiungere un’economia di mercato che potesse sviluppare benessere. Le difficoltà affrontate nel nuovo percorso, oltre a provocare una frammentazione politica molto accentuata, comportarono il varo di numerose riforme inerenti a diverse liberalizzazioni di mercato, compresa l’adesione, nel marzo 1999, alla Nato. Orban, già leader del partito Fidesz, , divenne Primo ministro dal 1998 al 2002, e fu da subito al centro dell’attenzione internazionale per via della sua politica conservatrice; il suo governo impose infatti una serie di restrizioni le quali scoraggiarono, in parte, maggiori investimenti di capitali esteri. In ogni modo, se da un lato la leadership ungherese ha applicato alcuni divieti di carattere religioso ed etico, dall’altro, nello stabilire il tetto massimo del debito pubblico e nel deliberare norme contenitive in materia di immigrazione, ha di fatto inibito un’eccedenza delle uscite e posto uno stop all’incontrollato traffico di esseri umani che interessa l’Europa da almeno un trentennio.

All’insegna del cuius regio eius religio, nonostante l’applicazione all’Ungheria dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona che sanziona i casi di violazione dello stato di diritto, il premier magiaro è andato avanti per la sua strada eludendo i contraccolpi delle misure a suo danno (per inciso: la UE sembra ormai diventata più una fucina di punizioni disciplinari che un soggetto giuridico rappresentativo) con un ulteriore accentramento dei poteri. Oltre al progressivo abbandono delle politiche liberiste e il ricorso al rafforzamento strutturale del settore pubblico, sono stati nazionalizzati i fondi d’investimento restituendo una parte dei proventi ai creditori ungheresi. La tassazione diretta sui profitti privati e l’introduzione della fiscalità sui redditi bancari e sulle telecomunicazioni hanno fatto il resto. D’altronde, restando ininterrottamente al governo dal 2010 con un netto scarto sulle opposizioni (alle politiche dell’aprile 2022 Orban ha ottenuto il 54% dei consensi), Fidesz ha continuato a dare un’immagine di compattezza. Ciò sta succedendo anche nel momento più difficile, cioè da quando la guerra si è affacciata alle porte dell’Europa e ne ha fiaccato l’economia comunitaria, creando dissidi tra i membri e gravi contrasti di ordine ideologico che rischiano di lacerarne la ormai ultrasessantenne identità. L’Ungheria, per ora, si tiene fuori dalla mischia.

 

                       MG

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

G.Giardina – G. Sabbatucci – V. Vidotto, L’età contemporanea, Roma/Bari, Laterza, 2000 –

ISPI, sondaggi del 6 aprile 2022 reperibili su www.ispionline.it, sezione Guerra in Ucraina: cosa pensano gli italiani?

Enciclopedia Treccani, biografia di Victor Orban reperibile su www.treccani.it al link https://www.treccani.it/enciclopedia/viktor-orban/

  1. Hosbawn, Il secolo breve 1914-1991, Milano, Bur, 2000 –

Wall Street Italia, sondaggio del 28 marzo 2022 reperibile su www.wallstreetitalia.com, sezione Sondaggio Mikaline: italiani contrari (57%) all’invio di armi in Ucraina –

 

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