LO SHOW DELLA LIBERAZIONE DI SILVIA ROMANO: UNA UMILIAZIONE INACCETTABILE PER L’ITALIA, di Giuseppe Angiuli

LO SHOW DELLA LIBERAZIONE DI SILVIA ROMANO:

UNA UMILIAZIONE INACCETTABILE PER L’ITALIA

 

 

Un curioso destino ha voluto che la nostra connazionale Silvia Romano, a distanza di circa un anno e mezzo dal suo sequestro avvenuto in Kenya per mano di rapitori mercenari e dopo il suo passaggio nelle mani del gruppo di fanatici terroristi qaedisti di Al Shabaab, sia stata finalmente rilasciata nella notte tra l’8 ed il 9 maggio scorso, ossia a 42 anni esatti di distanza da quella notte del maggio 1978 in cui il nostro insigne statista Aldo Moro trovò la morte al termine di un ben più celebre ed intricato sequestro di persona.

Non disponiamo di molti particolari e dettagli sulle fasi conclusive del rilascio della cooperante milanese ma tutte le fonti giornalistiche appaiono concordi quanto meno su alcuni elementi: il rilascio sarebbe avvenuto in una località a circa 30 chilometri da Mogadiscio (Somalia), avrebbe visto il determinante ruolo dei servizi segreti della Turchia del neo-sultano ottomano Recep Tayyip Erdoğan (che avrebbero preso in consegna la ragazza per poi passarla nelle mani degli uomini del nostro servizio estero, l’AISE) e nell’occasione il Governo italiano avrebbe versato al gruppo di rapitori un ingente riscatto che i più prudenti tra gli analisti quantificano tra i 2 e i 4 milioni di euro.

Come si sa, nel nostro Paese le regole ed i princìpi etico-morali hanno le maglie larghe e trovano applicazione con modalità non sempre coerenti e uniformi.

Nel 1978, quando era in gioco la vita di Aldo Moro, la gran parte della classe politica italiana dell’epoca – con poche eccezioni, tra cui vanno ricordati Bettino Craxi e l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone – si trincerò in una ipocrita e gesuitica “linea della fermezza” onde giustificare al Paese la radicale impossibilità per le istituzioni di avviare una qualsiasi forma di trattativa con le Brigate Rosse: col senno di poi, in tanti abbiamo compreso che l’invocazione di quel severo e rigoroso principio era servito in realtà come foglia di fico per i tanti che a quel tempo smaniavano dalla voglia di liberarsi del troppo ingombrante statista democristiano e che grazie a quel sequestro così anomalo riuscirono a coronare il loro cinico desiderio.

In verità, se vogliamo evitare di prenderci in giro, occorre ammettere che quasi tutti i Governi al mondo, anche quelli apparentemente più ligi al canonico rispetto delle regole, quando viene sequestrato un loro cittadino in contesti di guerra o guerriglia, trattano eccome coi rapitori, ancorchè fingano di non farlo e/o dichiarino di non poterlo fare.

L’opinione pubblica del Belpaese è sempre stata emotivamente partecipe, per ragioni antropologiche congenite, a questo genere di vicende, finendo quasi sempre per immedesimarsi inesorabilmente nella vittima del sequestro, spesso per pure ragioni istintive di genuina empatia umanitaria.

Se così stanno le cose, poniamo subito un punto fermo nella ricostruzione del caso della giovane Silvia Romano, affermando che è stato oltremodo giusto e sacrosanto che il nostro Stato – come peraltro già avvenuto in molti casi analoghi nel recente passato – si sia attivato sul campo per ottenere la sua liberazione, anche al prezzo di avere dovuto attingere ai fondi riservati che ogni Governo solitamente mette a disposizione dei nostri servizi di intelligence per fare fronte a necessità di questo tipo.

Un gruppo di miliziani islamisti del gruppo somalo Al Shabaab, affiliato ad Al Qaeda

 

Pertanto, al fine di sgomberare il campo dai consueti argomenti manipolatori che in questi giorni hanno fatto strappare i capelli ad una certa stampa conformista e ad una certa opinione pubblica di casa nostra, è bene chiarire che, nella vicenda di Silvia Romano, non è stato l’intervento sul campo del Governo Conte a lasciarci perplessi in sé e per sé, né ci ha scandalizzati più di tanto la assai verosimile circostanza dell’avvenuto pagamento di un riscatto quale condizione irrinunciabile per l’ottenimento del rilascio della ragazza.

Piuttosto, in questa vicenda dai contorni assai ambigui, a lasciarci basiti sono state le modalità spettacolari e insolite dell’arrivo della nostra concittadina all’aeroporto di Ciampino, la quale è apparsa tutta agghindata con una vistosa tunica dallo stile castigato, esplicitamente richiamante ai simboli di quel medesimo gruppo di fondamentalisti islamici che l’hanno detenuta quanto meno nella seconda parte del suo sequestro e che infine l’hanno rilasciata nelle mani dei servizi segreti turchi, previo incameramento dei milioni di euro (due? quattro?) di riscatto.

Sono apparse altrettanto stupefacenti le dichiarazioni che la ragazza milanese ha rilasciato a caldo, appena dopo avere abbracciato i suoi congiunti, sotto lo sguardo compiaciuto del nostro Presidente del Consiglio e dell’inquilino della Farnesina, quando ha alluso, nell’ordine, all’ottimo trattamento ricevuto dai suoi rapitori, ad una sua presunta e sbandierata conversione all’islam e al suo non celato desiderio di fare rientro appena possibile nello stesso contesto in cui è maturato il suo sequestro.

Nella civiltà delle immagini e della comunicazione, soprattutto in casi delicati come questo, ogni particolare assume inevitabilmente un significato politico e allora sorgono spontanei i seguenti quesiti: come è stato possibile che a nessuno degli uomini della nostra intelligence sia venuto in mente di riferire a Silvia Romano, a ridosso della sua presa in consegna, che non era proprio il caso di presentarsi allo scalo di Ciampino con indosso degli abiti che richiamano esplicitamente non già all’islam in quanto tale (né tanto meno ai costumi tradizionali delle donne somale) bensì alla tenuta ufficiale della formazione islamica fondamentalista Al Shabaab, ossia la filiale somala della galassia terroristica di Al Qaeda?

Donne somale libere dai condizionamenti del fondamentalismo islamico con indosso il tipico abito locale Dirac

 

E che dire del nostro ineffabile Presidente del Consiglio Giuseppe Conte (così smanioso di annunciare su twitter la liberazione della ragazza e di correre a farsi fotografare con lei sulla pista di Ciampino) nonché del nostro Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio? E’ mai possibile che essi non abbiano provato nessun imbarazzo nel fare da contorno, col loro pesante ruolo istituzionale, a quello che è stato oggettivamente un atto di propaganda mediatica a favore di una tra le più brutali organizzazioni del fanatismo jihadista?[1]

A questo proposito, è bene chiarire che non è stata nemmeno la conversione di Silvia alla religione di Maometto (vera o falsa che sia) ad averci scandalizzati in sé e per sè.

Anche l’islam merita tutto il nostro rispetto in quanto cultura religiosa millenaria.

Ma si dà il caso che i rapitori della nostra connazionale non pratichino l’islam autentico bensì una forma di islam spurio, artificiale, creato in laboratorio per evidenti finalità di destabilizzazione geopolitica, un tipo di islam fondamentalista e fanatico che, da quando è stato messo in circolazione sotto la regia dello spregiudicato turco Erdogan e della vecchia amministrazione USA Clinton-Obama, agendo col terrore e con le stragi, ha seppellito decenni di conquiste e di diritti civili di molti dei popoli dell’Africa e del medio oriente.

Trattasi peraltro di quella stessa branca di islam jihadista che spesso ha agito impunemente – giacchè purtroppo munito di alcune coperture inconfessabili – anche nel cuore dell’Europa, con l’obiettivo di creare caos e terrore, come i numerosi attentati di questi ultimi anni (che fino ad ora hanno colpito prevalentemente Parigi e la Francia ma che molto presto, Dio non voglia, potrebbero interessare anche l’Italia) stanno a dimostrare.

Inoltre, trattasi di quella stessa forma di islam oppressivo e jihadista che la Turchia di Erdogan promuove e supporta non solo nel Corno d’Africa ma anche in Libia, dove il nostro Paese, dopo avere subito ignominiosamente e passivamente (agendo contro i suoi stessi interessi) la defenestrazione di Gheddafi nel 2011, vede oggi legare i suoi destini proprio a quelli del Governo filo-islamista di Al Serraj, uomo prediletto da Erdogan e arroccato a Tripoli per gestire il presente e il futuro della ex colonia italiana nel cuore del Mediterraneo.

E allora, una volta chiarito che la tunica verde indossata da Silvia Romano al momento del suo arrivo in Italia non c’entra un bel nulla con i costumi tradizionali delle donne somale bensì è identificabile unicamente con l’abito che i miliziani fondamentalisti di Al Shabaab impongono di indossare alle povere donne che finiscono tra le loro mani ed una volta accertato il ruolo di protagonisti rivestito dai servizi segreti turchi nella risoluzione del suo sequestro, ecco allora che la sceneggiata o show di Ciampino svela tutto il suo significato propagandistico tanto ripugnante quanto inquietante.

Abbiamo più di una buona ragione per potere ipotizzare che la conversione all’islam di Silvia Romano, esibita dinanzi alle telecamere e a cui ha poi fatto eco la rivendicazione compiaciuta dei miliziani somali di Al Shabaab, possa avere fatto parte integrante del riscatto, cioè sia stata tra le condizioni imposte dai sequestratori jihadisti e dai servizi segreti turchi per il suo rilascio.

Più precisamente, possiamo legittimamente ritenere che la ex sequestrata, al momento di mettere piede nel nostro Paese, si sia fatta portatrice di un messaggio o avvertimento sinistro rivolto a noi italiani da Erdogan, il vero protettore dell’islamismo jihadista che ha già sconquassato Siria, Libia e Corno d’Africa.

L’arrivo a Ciampino di Silvia Romano il 10 maggio 2020

In ogni caso, come già saggiamente osservato in un condivisibile articolo comparso sul sito Analisi Difesa[2], la gestione mediatica che il Governo Conte ha fatto della liberazione della ragazza è stata a dir poco disastrosa e costituisce la rappresentazione icastica dello stato di profonda decadenza morale e culturale, prima che della perdita di influenza geopolitica, del nostro Paese.

Altrettanto condivisibile ci è sembrato il parere espresso da Maryan Ismail, docente di antropologia dell’immigrazione, donna di origine somala, intervenuta la sera del 12 maggio alla trasmissione televisiva Quarta Repubblica condotta da Nicola Porro: «L’esibizione dell’arrivo di Silvia data in pasto all’opinione pubblica senza alcun pudore o filtro è stato uno spettacolo immorale e devastante»[3].

A nostro avviso, se la scelta di collaborare con i servizi segreti di Erdogan deve essere apparsa al nostro Governo come una strada inevitabile, visti i rapporti di forza nel territorio della ex Somalia italiana – e infatti sul punto non possiamo che rispettare la decisione dei nostri servizi di sicurezza impegnati all’estero – non possiamo tuttavia ritenere accettabile che il nostro Paese, per mano dei suoi rappresentanti istituzionali più altolocati, abbia accettato di farsi umiliare con uno show grottesco allestito sul nostro territorio sotto il diktat di una delle bande più sanguinarie del jihadismo globale.

Con grande mestizia e imbarazzo, dobbiamo dunque registrare che mentre l’Italia appena 40/50 anni fa era protagonista sia nel Mediterraneo che nel Corno d’Africa e con uomini come Moro e Craxi riusciva a tutelare degnamente i nostri interessi nazionali, sviluppando delle ottime strategie di politica estera che ne salvaguardavano l’onore e la autorevolezza nel campo delle relazioni internazionali, oggigiorno, al fine di salvare la vita di una nostra concittadina in mano a dei sequestratori in una ex colonia italiana, siamo stati costretti a prostrarci a Erdogan e a mendicare l’intervento mediatore decisivo dei suoi servizi segreti, accettando di pagare una cambiale in termini di immagine che dovrebbe apparire umiliante a tutti quegli italiani che ancora conservano almeno un briciolo di dignità e fierezza.

Il logo ufficiale della formazione islamista al Shabaab

 

A tutto ciò si aggiunge infine un ulteriore elemento, tra i più paradossali che dobbiamo registrare a conclusione della vicenda della liberazione della cooperante milanese: il Governo Conte, avendo in questo caso agito in perfetta sintonia con i servizi di intelligence della filo-islamista Turchia e contro il parere ufficiale di Washington, sta riuscendo nel capolavoro politico di voltare le spalle agli USA proprio adesso che alla Casa Bianca c’è un Presidente che, in evidente intesa di ruoli con la Russia di Putin, mostra di avere deciso seriamente di porre un netto freno alle scorrerie dell’islamismo jihadista in giro per il mondo.

In conclusione, dobbiamo per lo meno auspicare che la cambiale che Conte e Di Maio si sono impegnati a pagare a Erdogan per ottenere la salvezza di Silvia Romano non debba comportare chissà quali altre umiliazioni e sottomissioni per l’Italia nello scenario libico, in un  periodo di inesorabile decadenza per il nostro Paese che somiglia ogni giorno di più ad una buia notte senza fine, in cui l’alba sembra non volere arrivare mai.

 

Giuseppe Angiuli

[1] Per un approfondimento sulle caratteristiche essenziali del gruppo islamista radicale Al Shabaab, operante in Somalia e in Kenya ed affiliato ad Al Qaeda, rimandiamo al dossier intitolato Storia, struttura e obiettivi del gruppo jihadista del Corno d’Africa, a cura di Gaetano Magno, pubblicato su www.osservatorioglobalizzazione.it

[2 ]Gianandrea Gaiani, L’Italia fa un regalo (anzi due) ai jihadisti, rintracciabile all’indirizzo http://www.analisidifesa.it/2020/05/litalia-fa-un-bel-regalo-anzi-due-ad-al-qaeda/?fbclid=IwAR1lAgGxwvJoLsyn5Uc5wfjaCNnHt6A9g4UEc9YDjjODJquO8VbisdtQPyQ

[3]www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/22600704/silvia_romano_maryan_ismail_immorale_devastante_islam_falso_conversione_non_scelta_liberta_

Funzionarismo, di Teodoro Klitsche de la Grange

NOTA PRELIMINARE

L’articolo che segue è l’introduzione al mio saggio “Funzionarismo” pubblicato nel 2013.

Il virus ha suscitato un dibattito sui mali della burocrazia, in specie di quella italiana e sui rimedi.

Affinché il tutto non si riduca, dopo le consuete invettive a San Burocrazio e Kirieleison vari, nel solito topolino, il tutto può servire a ricordare quanto il problema sia non il roditore ma la montagna, riconosciuta come tale dai più attenti pensatori dello Stato e della politica moderni, come dai politici che hanno fondato l’uno (e l’altra). Lo Stato borghese è, per sua natura, anti-burocratico; solo che della burocrazia non può fare a meno, come qualsiasi forma moderna di Stato (e di potere). Ne deriva che all’uopo necessita di adeguati limiti e contro-poteri. Che non possono ridursi a una semplificazione amministrativa e alla eliminazione delle procedure e controlli, che nell’emergenza è opportuna, ma nella normalità può costituire un cattivo affare. Proporre misure o poco utili o troppo blande vuol dire, in definitiva, conservare la sostanza dall’esistente: proprio quello di cui non si sente alcun bisogno.

Introduzione

Nei primi decenni del secolo scorso il termine “funzionarismo” era impiegato, almeno nelle opere di tre intellettuali di spicco dell’epoca (ma non solo da questi), non riconducibili ai medesimi interessi culturali. Un giurista, Antonio Salandra; un economista, Giustino Fortunato; un pensatore politico, Antonio Gramsci. Anche se il significato del termine usato presentava delle differenze tra l’uno e l’altro.

Per Salandra funzionarismo denotava la situazione dell’ordinamento dello Stato moderno per cui s’incrementava la funzione amministrativa[1] e, correlativamente, il personale addetto; ciò era provato dai dati quantitativi costituiti dall’aumento delle spese e del numero degli impiegati per cui questi “dànno un’adeguata misura del bisogno sempre crescente di mezzi materiali e personali, che l’amministrazione risente per conseguimento dei suoi fini. La continua progressione dei bilanci e l’estensione di quello che fu detto funzionarismo non possono in alcun modo essere disconosciute”.

Funzionarismo significa così un incremento del ruolo e del potere della burocrazia perché il potere pubblico esercita le funzioni (crescenti) a mezzo di impiegati specializzati. Apparentemente il significato che ne da Salandra è il più “neutro” dei tre; ma subito dopo, da buon liberale-conservatore, aggiunge[2] una considerazione spesso ripetuta dai teorici dello Stato borghese.

Sociologico (e anche più “di valore”) il giudizio di Fortunato. Questi ricorda come vi sia un nesso indissolubile tra proletariato intellettuale e funzionarismo[3] che porta alla proliferazione d’impieghi pubblici di dubbia (o inesistente) utilità. Vede poi distintamente la contrapposizione che così è generata, tra burocrati e rappresentanza (e sovranità) popolare. Il socialismo trova presa facile tra i dipendenti pubblici. Vi aveva attecchito facilmente perché «smarrito assai presto il contenuto etico, non indugiò a coltivare l’egoismo di categoria e a favorire i particolari sfruttamenti della piccola borghesia dominante, sempre più desiderosa di accrescere i pubblici uffici. sostituendo vaste imprese pubbliche, autoritarie e gerarchiche, alla libera concorrenza dei cittadini»;[4] questa burocrazia parassitaria «non concepì i servizi amministrativi se non immaginandoli pari a quelli di una macchina, che dovesse agire per solo uso e consumo de’ suoi congegni, nel particolare esclusivo interesse di coloro che vi fossero addetti, – la macchina per la macchina».

Prevedeva che, combinandosi nell’ordinamento degli Stati moderni, rapporto gerarchico (cioè di comando-obbedienza) e divisione del lavoro, si sarebbe concretizzato un assetto policratico dove «all’antico feudalismo “a base locale” terrebbe dietro un feudalismo “a base funzionale”, – tanto più prossimo e sicuro quanto più presto e meglio praticato dagli addetti a’ pubblici uffizi e dagli agenti delle imprese di Stato. che “la fatale evoluzione economica”, avverte il Turati, costringerà ad essere, piaccia o non, i primi cittadini della città futura».[5]

Tale tendenza si sta già realizzando, sosteneva Fortunato, perché la burocrazia è riuscita a «sottrarre alla concorrenza privata il maggior numero di intraprese, assumendone direttamente l’esercizio: ossia, la tendenza al dominio universale della burocrazia, – il cui trionfo sarebbe la resurrezione, sott’altra forma, dell’antico assolutismo, o, meglio, della peggiore delle tirannie, quella della servilità uniforme e meccanica».

Gramsci avverte la contraddizione dello Stato liberale che da un lato costruisce uno Stato “rappresentativo” che trova il proprio punto centrale nell’ “autonomia” della società civile garantita dalla divisione dei poteri (in primo luogo) e nella sovranità popolare; all’opposto nell’espansione dei poteri burocratici.[6]

Dall’altro l’espressione funzionarismo connota in Gramsci – nella scia, sul punto, di Michels – la prevalenza all’interno del sindacato e del partito socialista del potere dei funzionari e della conseguente weltanschauung riformistica e burocratica, in antitesi con lo spirito rivoluzionario. Al posto della dedizione e dello slancio del militante, teso a realizzare, attraverso la fase della dittatura del proletariato, la società senza classi e l’uomo nuovo , subentra il calcolo e la trattativa, la “pratica quotidiana” del funzionario. Contraria, di conseguenza, allo “spirito” rivoluzionario, onde il termine acquista un significato negativo, ovviamente (in larga parte) diverso da quello che ha in Giustino Fortunato. In parte (grande), ma non in tutto. Infatti: nello spirito liberale, non solo in quello rivoluzionario-giacobino, c’è una forte connotazione anti-burocratica. Tocqueville, ad esempio, scrive in più passi contro la “garanzia amministrativa” dei funzionari.[7]

E la famosa descrizione che fa del “dispotismo”, del potere paternalistico ha quali presupposti, da un canto la presenza crescente del potere burocratico, dall’altro l’assenza (il venir meno) dello spirito civico dei cittadini.[8]

Le previsioni e le valutazioni di Tocqueville hanno molti punti di contatto con quelle di Max Weber: «dove domina il moderno funzionario specializzato con istruzione specifica, il suo potere è senz’altro indistruttibile, poiché l’intera organizzazione dal più elementare approvvigionamento della vita riposa sulla sua prestazione»; ma il pericolo è evidente[9]; l’organizzazione burocratica è “spirito rappreso”[10] «In unione con la macchina inanimata, essa è all’opera per preparare la struttura di quella servitù futura alla quale un giorno forse gli uomini saranno costretti ad adattarsi impotenti, come i fellah dell’antico Egitto, qualora un’amministrazione e un approvvigionamento razionale mediante funzionari – pur ottimi dal punto di vista puramente tecnico – costituiscano per essi il valore ultimo ed esclusivo che deve decidere sul modo di dirigere i loro affari.»[11]

  1. La percezione del burocrate e della burocrazia era, nel pensiero dei politici “costruttori” dello Stato borghese, negativa.

Ciò perché il perseguimento dell’interesse generale, cioè la ragione d’essere dell’istituzione politica (e “generale”), era visto come negativamente condizionato dagli interessi particolari, sia dei governanti che dei governati. Onde il problema della giusta costituzione e delle rette leggi, consisteva, sotto il profilo organizzativo, in misura non secondaria sul come modellare l’una e gli altri di guisa che gli interessi privati e settoriali, di cui sono portatori  sia i governanti che i governati, non prevalgano sull’interesse pubblico. Nel The federalist il problema è posto chiaramente. Il saggio n. 10 si interroga su come far prevalere, in una repubblica ben ordinata, l’interesse generale su quelli particolari. Essendo impossibile rimuover la causa di ciò (individuata nel pluralismo e nella disuguaglianza di proprietà e condizioni) si poteva solo, con opportune disposizioni e accorgimenti costituzionali, controllarne almeno gli effetti, di guisa da non consentire o rendere difficile agli interessi di parte (anche ed anzi soprattutto quelli espressi dai governanti) prevalere su quello generale. Non vi si legge un richiamo esplicito alla burocrazia; ma dato il sistema pubblico americano all’epoca verosimilmente solo per lo scarso sviluppo della stessa.

Che invece si trova nei rivoluzionari francesi, che avevano a che fare con la monarchia “burocratica” dell’ancien régime.

Ad esempio nel progetto di dichiarazione dei diritti proposto da Robespierre alla Convenzione è interessante, ai nostri fini, soprattutto l’art. 25 in cui si proclama: «In ogni Stato la legge deve soprattutto difendere la libertà pubblica ed individuale contro l’abuso dell’autorità di coloro che governano. Ogni istituzione che non consideri il popolo come buono e “il magistrato come corruttibile è difettosa”» (com’è noto, tale espressione non fu inserita nella dichiarazione del 1793). Funzione della legge è quindi difendere la libertà dell’abuso di governanti e funzionari i quali si presumono corruttibili addirittura per esplicita disposizione costituzionale (peraltro mai andata in vigore).

Anche se, come noto, proprio con la rivoluzione francese, e a motivo anche della diffidenza verso il potere giudiziario, ed in omaggio al principio di distinzione dei poteri (o meglio ad una delle di esso “interpretazioni”) furono posti gravi limiti all’attività giudiziaria nei confronti di quella amministrativa e dei funzionari pubblici.[12]

E nel discorso pronunziato alla Convenzione il 10 maggio 1793, Robespierre disse: «Mai i mali della società provengono dal popolo, bensì dal governo. E non può essere che così. L’interesse del popolo è il bene pubblico; l’interesse di un uomo che ha una carica è un interesse privato. Per essere buono il popolo non ha bisogno d’altro che di anteporre se stesso a ciò che gli è estraneo, il magistrato, per essere buono, deve sacrificare se stesso al popolo.»[13]

Anche Saint-just nel rapporto presentato alla Convenzione a nome del Comitato di salute pubblica il 19 vendemmiaio dell’anno II (10 ottobre 1973) scrive: «Tutti coloro che il governo impiega sono parassiti; chiunque abbia una carica non fa niente personalmente e prende dei collaboratori subordinati; il primo collaboratore ha a sua volta aiutanti, e la Repubblica diventa preda di ventimila persone che la corrompono, la osteggiano, la dissanguano. Dovete diminuire dovunque il numero degli impiegati, affinché i capi lavorino e pensino. Il ministero è un mondo di carta… Gli uffici  hanno preso il posto della monarchia; il demone dello scrivere ci intralcia, e non si governa per niente. Ci sono pochi uomini alla testa delle nostre amministrazioni che siano di larghe vedute e in buona fede: il servizio pubblico, come è esercitato, non è virtù, è mestiere»; e nel successivo rapporto del 23 ventoso dell’anno II (13 marzo 1794) rincara «C’è un’altra classe corruttrice, è la categoria dei funzionari… Tutti vogliono governare, nessuno vuole essere cittadino. Dov’è dunque la comunità politica? Essa è quasi usurpata dai funzionari.»[14]

É inutile ripetere qui le considerazioni di tutti coloro che, politici, scienziati della politica, giuristi, economisti, sociologi sono ritornati sull’opposizione tra interesse generale e interesse del funzionario, dopo le rivoluzioni francese e americana.

  1. Tuttavia un’eccezione occorre farla per Marx. Il quale contestava quanto sosteneva Hegel nei paragrafi 287-297 dei Grundlinien, dove questi (tra l’altro) scrive: «Mantenere stabili l’interesse generale dello Stato e la legalità in tutti questi diritti particolari, e ricondurre questi ultimi a quell’interesse generale, comporta una cura da parte di delegati del potere governativo, di funzionari statuali esecutivi e le più alte magistrature deliberanti costituite collegialmente, le quali convergono nei vertici supremi che sono a contatto col monarca.»[15]

E questo perché, secondo Marx, nella prassi burocratica avveniva  proprio l’opposto. Infatti notava che in Hegel «Poiché l’universale come tale è fatto per sé sussistente esso  è immediatamente confuso con l’empirica esistenza, e il limitato è immantinente preso, in guisa acritica, per l’espressione dell’idea.»[16] Cioè Hegel pensa, secondo Marx, che dato che i burocrati dovrebbero agire così (secondo la razionalità dello Stato), allora avrebbero agito così. Di fatto è il contrario: la burocrazia, scrive Marx, confonde gli scopi dello Stato con quelli burocratici «Poiché la burocrazia è, secondo la sua essenza, lo “Stato come formalismo”, essa lo è anche secondo il suo scopo. Il reale scopo dello Stato appare dunque alla burocrazia come uno scopo contro lo Stato. Lo spirito della burocrazia è lo  “spirito formale dello Stato”. Essa fa, dunque, dello “spirito formale dello Stato”, o reale aspiritualità dello Stato, un imperativo categorico. La burocrazia si pretende ultimo scopo dello Stato. Poiché la burocrazia fa dei suoi scopi “formali” il suo contenuto, essa viene ovunque a conflitto con gli scopi “reali”. Essa è dunque costretta a spacciare il formale per il contenuto e il contenuto per il formale. Gli scopi dello Stato si mutano in scopi burocratici e gli scopi burocratici in scopi statali.»[17]

Anzi il perseguimento da parte dei burocrati del proprio tornaconto fa si che «Nella burocrazia l’identità dell’interesse statale e del privato scopo particolare è posta in modo che l’interesse statale diventa un particolare scopo privato di fronte agli altri scopi privati, mentre il superamento della burocrazia è possibile solo a patto che l’interesse generale diventi realmente, e non come in Hegel meramente nel pensiero, nell’astrazione, interesse particolare, il che è possibile soltanto se il particolare interesse diventa realmente l’interesse generale. Hegel parte da un’opposizione irreale e giunge perciò soltanto a una identità immaginaria, essa medesima per verità contraddittoria. Una siffatta identità è la burocrazia.»[18] La burocrazia non è pertanto idonea a far superare l’opposizione tra Stato e società civile[19]; ciò perché «La “polizia” e i “tribunali” e l’ “amministrazione” non sono deputati della stessa società civile, che in essi e per essi amministra il suo proprio generale interesse, bensì delegati dello Stato per amministrare lo Stato contro la società civile.»[20] Non risolve l’opposizione, ma serve a gestirla: senza quella non avrebbe scopo (né senso).

L’opposizione tra Hegel e Marx si spiega da un lato col fatto che Hegel giustifica la razionalità dello Stato (assoluto) secondo quel che dovrebb’essere (ma non è detto che all’organizzazione migliore corrispondano comportamenti corrispondenti) mentre Marx la contesta facendo leva sulla “patologia fattuale” dei comportamenti burocratici.

Passando all’epoca contemporanea occorre, sul tema, ricordare i contributi della c.d. scuola di “public choice”,[21] su cui torniamo in seguito.

Anche gli studiosi di public choice partono dallo stesso assunto, più volte condiviso: contestano cioè che l’Amministrazione operi per il bene comune, più o meno oggettivato nella norma. Di questo asserto, sostengono, non può dirsi se sia vero o non vero, senza procedere a un controllo dei presupposti di validità e degli effetti reali: esso va verificato nei fatti.

Pretendere invece che quanto si deve (o dovrebbe) fare corrisponda a quanto poi si fa è invece assurdo ed illogico, perché consiste (analizzandolo logicamente) essenzialmente nel trasformare un asserto deontico in un’asserzione fattuale e nel sostituire aspirazioni a realtà.

Analizzando i comportamenti degli operatori pubblici (tra cui la burocrazia), questa si comporta di guisa da massimizzare l’interesse proprio e non quello generale; il perché della crescita inesorabile degli organici, degli uffici e delle spese pubbliche, al di là delle effettive necessità da soddisfare è dovuto, secondo gli studiosi di “public choice”, all’aumento di potere che questo rappresenta per i pubblici funzionari. Il burocrate, al pari del politico, misura la propria capacità d’incidenza e la propria rilevanza sociale attraverso il potere che esercita.

Questa breve sintesi storica – che potrebb’essere (enormemente) accresciuta con tutto ciò che è stato (fatto e) scritto sulla falsariga degli autori (e dei documenti) citati – prova che:

  1. a) l’ideologia borghese dello Stato è (anche) contrapposta al potere amministrativo, e soprattutto a quello burocratico;
  2. b) che nella burocrazia è stato visto un corpo estraneo o comunque non omogeneo allo Stato borghese, e il relativo atteggiamento è stato ispirato da avversione e diffidenza;
  3. c) che comunque della burocrazia qualunque Stato non può fare a meno; onde il (principale) modo di difendersi (dal potere burocratico – e dal suo abuso) è di sottoporla a rappresentanti politici e di creare dei contropoteri e dei limiti;
  4. d) dall’altro lato che la burocrazia ha prodotto una propria Weltanchauung, un proprio modo di vedere lo Stato e il potere;
  5. e) che il potere burocratico non è in grado di creare una propria legittimità ma solo di rafforzare (o indebolire) quella esistente;
  6. f) che la burocrazia è reclutata prevalentemente in uno strato sociale, spesso non corrispondente (o corrispondente solo in parte) con quello da cui è tratta la classe politica (in senso stretto).

 

[1] «Quelle funzioni degli Stati moderni, che, perseguendo particolarmente il fine di benessere e di coltura, hanno più rigorosamente il nome di amministrative, vanno d’anno in anno crescendo di numero, di intensità e di diffusione […]» v. La giustizia amministrativa nei governi liberi, Utet, Torino 1904, pp. 8 ss.

[2] «L’autorità, se anche preordinata a difesa e integrazione della libertà, non si esercita senza diminuzione della libertà stessa. E quanto più essa si divulga, quanto maggiore cioè è il numero e di conseguenza inferiore la qualità degli individui che la esercitano, tanto più grave e frequente è il pericolo ch’essa ecceda, e che non sia raffrenata la naturale tendenza di coloro che ne dispongono ad abusarne e a disviarla a fini personali», op. loc. cit.

[3] «Proporzionalmente così alla popolazione come ai pubblici servizi, lo Stato italiano annovera il maggior numero d’impiegati, specialmente di quelli che hanno mansioni esecutive, triste espressione del nesso indissolubile  che è in Italia fra il proletariato intellettuale e il funzionarismo, due escrescenze parassitarie di un organismo debole e malato». I servizi pubblici e la XXII legislatura ne Il mezzogiorno e lo Stato italiano Laterza,  Bari 1911 p. 417.

[4] Op. cit.  p. 423.

[5] Op. cit. p. 424 e prosegue «Vassalli un tempo de’ baroni, cui il re aveva delegato i suoi poteri, domani saremmo sudditi di tutte le organizzazioni, le quali esercitino attribuzioni di Stato, e come una volta il re trattava con i baroni, così è facile il Parlamento scenda a patti con i rappresentanti di quelle, nominati, se occorre, con mandato imperativo. Si avvererebbe, in conclusione, l’arguto detto del Tocqueville, che la storia umana rassomigli ad una grande pinacoteca, in cui pochi sono i quadri originali e molte le copie».

[6] «Tutta l’ideologia liberale, con le sue forze e le sue debolezze, può essere racchiusa nel principio della divisione dei poteri, e appare quale sia la fonte della debolezza del liberalismo: è la burocrazia, cioè la cristallizzazione del personale dirigente, che esercita il potere coercitivo e che a un certo punto diventa casta. Onde la rivendicazione popolare della eleggibilità di tutte le cariche, rivendicazione che è estremo liberalismo e nel tempo stesso della sua dissoluzione». Note sul Machiavelli Editori Riuniti, Roma 1971 p. 119 v. anche p. 408.

[7] «Tra le nove o dieci costituzioni che sono state emanate in perpetuo in Francia da sessant’anni in poi, se ne trova una nella quale è detto espressamente che nessun agente amministrativo può essere citato davanti ai tribunali ordinari senza autorizzazione. L’articolo parve tanto bene immaginato che, pur abbattendo la costituzione di cui faceva parte, si ebbe cura di tirarlo fuori dalle rovine, e da allora è sempre stato tenuto con cura al riparo dalle rivoluzioni. Gli amministratori usano ancora chiamare il privilegio loro accordato da questo articolo una delle grandi conquiste dell’’89; ma in ciò sbagliano, perché, sotto l’antica monarchia, il Governo non aveva meno cura che ai nostri giorni di evitare ai funzionari il fastidio di doversi confessare alla giustizia come semplici cittadini. La sola differenza fondamentale fra le due epoche è questa: prima della Rivoluzione, il governo poteva coprire i propri agenti solo ricorrendo a mezzi illegali e arbitrari, mentre in seguito ha potuto legalmente lasciare che violassero la legge» v. L’ancien régime et la revolution, L’antico regime e la rivoluzione, trad. di G. Candeloro, Rizzoli, Milano 1981, p. 94.

[8] «Quando penso alle modeste passioni degli uomini di adesso, alla mitezza dei loro costumi, alla loro apertura mentale, alla purezza della loro religione, all’umanità della loro morale, alle loro abitudini laboriose e sistematiche, al ritegno che dimostrano quasi tutti nel vizio come nella virtù, non ho tanto paura che incontrino nei loro capi dei tiranni quanto dei tutori… Al di sopra di costoro si erge un potere immenso e tutelare, che si incarica da solo di assicurare loro il godimento dei beni e di vegliare sulla loro sorte. É assoluto, minuzioso, sistematico, previdente e mite… Lavora volentieri alla loro felicità, ma vuole essere l’unico agente ed il solo arbitro; provvede alla loro sicurezza, prevede e garantisce i loro bisogni, facilita i loro piaceri, guida i loro affari principali, dirige la loro industria, regola le loro successioni, spartisce le loro eredità; perché non dovrebbe levare loro totalmente il fastidio di pensare e la fatica di vivere?» De la démocratie en Amerique, La democrazia in America trad. it. a cura di N. Matteucci, Utet,  Torino 1968, p. 811-812.

[9] «Le forme di vita degli impiegati e dei lavoratori dell’amministrazione statale delle miniere e delle ferrovie prussiane non sono in alcun modo sensibilmente diverse da quelle delle grandi imprese capitalistiche private. Esse sono tuttavia meno libere, perché ogni lotta di potere contro una burocrazia statale è senza speranze, e poiché non può essere invocata alcuna istanza che abbia in linea di principio interessi contrari ad essa e alla sua potenza – come invece è possibile fare nei confronti dell’economia privata. Tutta la differenza si ridurrebbe a questo: se il capitalismo privato venisse eliminato, la burocrazia statale dominerebbe da sola. La burocrazia privata e la burocrazia pubblica, che attualmente operano l’una accanto all’altra e, per quanto è possibile, l’una di fronte all’altra – tenendosi quindi pur sempre in certa misura sotto un controllo reciproco – si troverebbero fuse in un’unica gerarchia, ma in forma senza confronto più razionale e perciò più ineluttabile» v. Wirtschaft und Gesellschaft, trad. it.  di F. Casabianca e G. Giordano, Vol. V, Comunità, Milano 1980, p. 501.

[10] Op. cit., p. 501.

[11] Op. loc. cit.

[12] V. art. 13, Titolo I, L. 16-24 agosto 1790, cit. da G. Colzi in Commentario sistematico alla Costituzione italiana (diretto da P. Calamandrei e A. Levi) G. Barbera ed., Firenze 1950, p. 251.

[13] E proseguiva: «Il governo è istituito per far rispettare la volontà generale; ma gli uomini che governano hanno una volontà individuale, e questa cerca sempre di dominare. Se essi impiegano in questo senso la forza pubblica, il governo non è che il flagello della libertà. Dovete concludere, quindi, che principale obiettivo di ogni Costituzione deve essere difendere la libertà pubblica e quella individuale contro lo stesso governo… Hanno proclamato con grande solennità la sovranità del popolo e intanto l’hanno incatenato; e mentre riconoscevano che i magistrati sono i suoi mandatari, li hanno trattati come i suoi dominatori e i suoi idoli. Tutti sono stati d’accordo nel presupporre il popolo insensato e ribelle, e i funzionari pubblici essenzialmente saggi e virtuosi», I Giacobini, Einaudi-Mondadori, Firenze 1978, p. 40.

[14] v. I Giacobini, Einaudi-Mondadori, Firenze 1978, pp. 81 e 87.

[15] Grundlinien das Philosophie des Recht, trad. it. di V. Cicero, Rusconi, Roma (rist. 1980).

[16] v. K. Marx Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, Editori Riuniti, Roma 1989, pp. 63-64.

[17] E prosegue: «In quanto al burocrate preso singolarmente, lo scopo dello Stato diventa il suo scopo privato, una caccia ai posti più alti un far carriera, in primo luogo egli considera la vita reale come materiale, ché lo spirito di questa vita ha la sua separata esistenza nella burocrazia. Questa deve dunque pervenire a render la vita quanto possibile materiale. In secondo luogo, la vita è per lui, cioè in quanto essa diventa oggetto dell’attività burocratica, vita materiale, ché il suo spirito gli è imposto, il suo scopo è fuori di lui, la sua esistenza è l’esistenza del bureau. Lo Stato esiste ormai solo come vari immobili spiriti burocratici, il cui rapporto è subordinazione e passiva obbedienza», op. cit., pp. 68-69 (i corsivi sono  nostri).

[18] Op. cit., p. 70.

[19] Con una terminologia – e una connotazione – diversa, ma con punti di contatto tale opposizione viene ripresa da Hauriou nella distinzione tra istituzione e società (comunità) e diritti che da queste sono espressi.

[20] Op. cit., p. 72.

[21] Sulla Scuola di public choice, v. «Quaderni della fondazione Einaudi», 4, 1979, Roma, 1979; H. Lepage, Domani il capitalismo, trad. it. di S. Bencini e S. Carruba, Editrice L’Opinione, Roma, 1979; v. anche l’interessante rivista diretta da D. Da Empoli «Journal of public finance and public choice» (Gangemi ed.), Roma.

PULIZIE DI PRIMAVERA, di Andrea Zhok

tratto da facebook

PULIZIE DI PRIMAVERA

In questi giorni sto perdendo un sacco di tempo ad eliminare contatti che si dimostrano al di sotto del livello minimo di raziocinio per essere interlocutori interessanti.

Dunque, aiutatemi voi, così risparmiamo tempo.

Spiego qui sotto quali sono gli estremi del problema.

Chi non è d’accordo sull’essenziale, invece che sollevare obiezioni, è pregato semplicemente di togliersi da solo dai contatti, così da far risparmiare tempo a tutti.

Ora, in queste settimane è emerso un tratto complottista diffuso in rete, e anche tra i miei contatti.

La struttura fondamentale che sorregge tutti i ragionamenti ha questa forma generale.

1) Si toglie dal quadro, o si minimizza, il problema sanitario. Spesso semplicemente ‘a sentimento’, talvolta con tentativi di argomentazione capziosa (celebri le comparazioni statistiche fatte trovando un qualunque dato di decessi cui siamo già abituati, e mostrando come comparativamente i decessi per la pandemia siano simili o inferiori; le ragioni per cui questi argomenti sono privi di senso le ho esposte in altri post e non mi ripeterò).

2) Una volta che il fatto materiale della pandemia sia stato tolto dal tavolo, posto come un non-soggetto, un fattore marginale, si apre un ovvio problema: se non c’è una seria causa a monte, tutti gli interventi dei governi, tutti i divieti, tutti i sacrifici, tutte le disposizioni devono avere un’altra, inconfessabile, ragione. E siccome questa ragione non è oggettiva (perché l’epidemia è una bazzecola) allora deve essere una ragione soggettiva: sono tutte scuse per farci fare delle cose, trucchi per farci credere necessario qualcosa che è invece solo il ‘loro’ desiderio.

3) A questo punto ci si aspetterebbe che si scatenino le spiegazioni intorno a chi sarebbe dietro a tutto ciò e perché. Ma in verità non è questo che accade. Ci sono occasionalmente delle proposte interpretative (un piano per favorire la vendita dei vaccini, un tentativo di far regredire i diritti civili o di instaurare una tacita dittatura, et similia), ma tipicamente nessuno insiste troppo con questi piani, perché ogni qual volta essi vengono esposti alla luce si sciolgono in un attimo nell’inconsistenza.
I complotti, o se vogliamo, i “piani segreti e senza scrupoli”, esistono senz’altro nella storia, ma la precondizione per prenderli in considerazione è di avere un quadro plausibile: a) dei mezzi per ordirli e implementarli; b) dei fini che renderebbero tali investimenti di ingegno e risorse utili a qualcuno. Per poter discutere sensatamente di ‘strategie segrete’ devono esserci entrambe le cose.
Se è vero che l’appartenenza alle vulgate ‘mainstream’ non è una garanzia di validità, non vale la conversa, per cui se NON è ‘mainstream’ allora questo di per sé vale come un credito.
Che 2 + 2 faccia 5 non è un’opinione ‘mainstream’, ma questa non la rende un’intrigante verità alternativa.

Ora, uno se ne potrebbe anche fregare di quelli che tessono teorie tanto al chilo, con l’unica virtù di essere contro corrente, per il piacere di sentirsi più astuti della massa. Sono comprensibili piaceri psicologici, e di solito sono innocui (possono anche essere utili ad esercitare la mente su quadri alternativi, purché si conservino saldi criteri epistemologici prima di conferirvi validità ultima).

E allora perché irritarsi?

Ecco, la ragione è presto detta.

Il punto di partenza è che il problema sanitario da Covid-19 è un fatto reale. Può dipendere da mille fattori, possiamo decidere di imputarlo all’inadeguatezza delle strutture sanitarie, oppure alle condizioni ecologiche, o alla fuoriuscita del virus da un laboratorio, o alla scarsa organizzazione, o alla semplice sfortuna, ma il problema nei suoi esiti sulla salute pubblica esiste, è e resta reale.

Data questa premessa, ci vuole una strategia per affrontarlo.
La strategia adottata da quasi tutti i paesi ha richiesto interventi restrittivi delle libertà personali, interventi che per funzionare devono essere adottati da tutti, e che ovunque in occidente (il mondo della ragione liberale) hanno alimentato proteste.
Il mix di interventi è variato in qualche misura, a seconda delle caratteristiche del paese (densità abitativa), del suo sistema sanitario, della forza con cui il virus si è espresso, ma ha sempre implicato direttive restrittive (anche in Svezia, per quanto ridotte).

Oggi, la situazione è tale per cui un po’ ovunque in Europa la gente ha ripreso a circolare. Salvo che per coloro che si aspettano l’instaurazione di una dittatura, e che hanno come unico motivante il poter dire almeno una volta nella vita ‘ecco, ve l’avevo detto’, per gli altri la speranza è che, conservando per un certo tempo comportamenti sistematicamente prudenti, si possa pervenire ad un’eradicazione del virus (se R0 < 1 la tendenza è verso l’eradicazione; quanto più basso R0 tanto più breve il tempo di estinzione).

Il problema però è che, da subito – e dopo una settimana già in modo crescente – si vedono numerose persone che non rispettano nessuna distanza di sicurezza ed usano la mascherina come una collana.

Inoltre, nel caso della ripresa di un focolaio, in assenza di un sistema di identificazione degli spostamenti e dei contatti, non è possibile sapere esattamente quali gruppi in quali aree hanno causato il riaccendersi del problema; ed in mancanza di questa capacità di identificazione l’esito di un’eventuale reinfezione sarebbe un blocco grezzo, complessivo (potrebbe darsi, per dire, che una reinfezione sia originata da un rave segreto, o da un’azienda che non rispetta nessuna misura di sicurezza, ma non potendo identificare l’origine, di fronte ad una ripresa del virus, si dovrebbe congelare di nuovo tutte le attività ad alzo zero, anche quelle che si sono fatte in quattro per adottare comportamenti prudenziali.)

Entrambi questi fatti, la tendenza a non rispettare le disposizioni prudenziali, e la mancanza di un sistema di identificazione di spostamenti e contatti (app) sono l’esito della pressione e dei sospetti agitati da tutti quei settori libertari senza se e senza ma, che vedono ovunque piani di controllo dei loro atti e delle loro menti. Entrambe queste istanze hanno un retroterra giustificativo ideologico, che li rende ‘simboli libertari’.

I comportamenti disinvolti e il rifiuto di accettare un controllo pro tempore (eventuali app sono per definizione dispositivi eliminabili) sono fattori che rendono più lenta la diminuzione dei contagi e che, se superano una certa soglia quantitativa, possono riportarci a giugno o luglio in lockdown, facendo fallire definitivamente tutte le attività che cercheranno di riaprire in questi giorni. (Dovrebbe essere chiaro che quanto meno il virus circolerà, tanto più la gente riprenderà fiducia nel muoversi tranquillamente, nell’andare a fare acquisti, nel prendere una birra, ecc.)

Ora, la ragione di fondo per cui trovo irresponsabile ed intollerabile la tipologia di ‘complottismo’ da coronavirus, è che qui non siamo di fronte ad una forzatura congetturale della realtà senza ricadute pratiche, un esercizio riflessivo, magari anche stimolante.
No, qui siamo di fronte alla diffusione di credenze infondate, che alimentano comportamenti pubblici dannosi per tutti.

In sintesi, tutti, senza eccezioni, quelli che in questi mesi hanno scritto e pubblicizzato quella famiglia di idee per cui “il virus è una bazzecola” e “ribellarsi al lockdown è giusto” (perché era una violazione dei nostri diritti, perché è tutto un complotto per controllarci, perché vogliono venderci i vaccini, e via delirandosi addosso), tutti questi hanno lavorato attivamente a danno del proprio paese e dei propri concittadini.

La sola speranza è che siano poco seguiti, perché se quelli che li prendono sul serio fossero numerosi il tracollo sarebbe certo.

Perciò, anche per ridurne l’impatto e l’influenza intendo non darvi più alcuno spazio, alcuna tribuna.

Ergo, tutti quelli che si sentono in sintonia con quella famiglia di idee sono pregati di togliersi da soli dai miei contatti, grazie.

il potere dell’ipocrisia, di Teodoro Klitsche de la Grange

PREMESSA

Questo breve saggio, scritto circa vent’anni orsono per la rivista francese “Catholica” (n. 72) e pubblicato in italiano da “Libro aperto” (n. 23) ha ancora attualità e non solo perché l’ipocrisia è uno dei mezzi (eterni) per l’esercizio del potere politico (rientra nelle astuzie – forse la principale – della volpe machiavellica) ma perché è spesso sintomo e causa di decadenza e dissoluzione delle élite, delle comunità e delle sintesi politiche (Pareto).

C’è l’ipocrisia del governante, ma anche quella dei governati, in particolare quando anche questi se ne servono per agire per il loro privato interesse, servendosi del “pubblico”.

In conclusione il pericolo che gli ipocriti costituiscono per lo Stato (come ovviamente, anche per la religione) sottolineato da Moliere anche nella prefazione all’opera è una costante non della sua epoca, ma di sempre.

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Il potere dell’ipocrisia

TRA CONSIGLIO EUROPEO e CORTE COSTITUZIONALE TEDESCA, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto una piccola raccolta di note e considerazioni di FF e Giuseppe Masala_Giuseppe Germinario

GIUSEPPE MASALA

Davvero ma come fa qualcuno a credere che le norme del trattato istitutivo del Mes possano essere sospese/abrogate con la letterina di due commissari europei? E magari una legge dello stato italiano o direttamente una norma di rango costituzionale possono essere abrogate con una dichiarazione di Conte scritta da Casilino. Ma per favore, levate la scolarizzazione di massa, dite che all’Università possono andare solo coloro che hanno conto in banca in Svizzera, ditta con domicidio fiscale in Olanda e possibilmente doppio cognome nobiliare. Dite che dobbiamo andare a zappare e non fate più studiare nessuno. Però non provate a prenderci per il culo così. PS L’Unione Europea va abbattuta.

<<The ESM will also implement its Early Warning System to ensure timely repayment of the Pandemic Crisis Support.>> (Punto 5 Eurogrup Statement). Post sorveglianza. Ecco, l’ombrello di Altan

https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/05/08/eurogroup-statement-on-the-pandemic-crisis-support/?fbclid=IwAR1pBZr0RTe3QNKjLgoCdNxG89xfMfuI12lsQtdmEOgVBJcFzPO4efNybYI

traduzione (con traduttore):

Dichiarazione dell’Eurogruppo sul sostegno alla crisi pandemica

1. Il 23 aprile 2020, Leaders ha approvato l’accordo dell’Eurogruppo in formato inclusivo del 9 aprile 2020 sulle tre importanti reti di sicurezza per lavoratori, imprese e sovrani, pari a un pacchetto del valore di 540 miliardi di EUR, e ha chiesto la loro attuazione da parte del 1 ° giugno 2020. I leader hanno anche convenuto di lavorare per istituire un fondo di risanamento e hanno incaricato la Commissione di analizzare le esigenze esatte e di presentare urgentemente una proposta commisurata alla sfida. L’Eurogruppo in un formato inclusivo continuerà a monitorare attentamente la situazione economica e preparerà il terreno per una solida ripresa.

2. L’Eurogruppo accoglie con favore gli sforzi ben avviati in seno al Consiglio sulla proposta SURE e negli organi direttivi della BEI sull’istituzione del fondo di garanzia paneuropeo a sostegno dei lavoratori e delle imprese europee e conferma l’accordo per l’istituzione di ESM Pandemic Crisis Support per sovrani.

3. Oggi abbiamo concordato le caratteristiche e le condizioni standardizzate del sostegno alla crisi pandemica, disponibili per tutti gli Stati membri dell’area dell’euro per importi del 2% del PIL dei rispettivi membri alla fine del 2019, come parametro di riferimento, per sostenere il finanziamento interno di e i costi indiretti dell’assistenza sanitaria, della cura e della prevenzione dovuti alla crisi COVID-19. Abbiamo inoltre accolto con favore le valutazioni preliminari delle istituzioni sulla sostenibilità del debito, le esigenze di finanziamento, i rischi di stabilità finanziaria, nonché sui criteri di ammissibilità per l’accesso a questo strumento. Concordiamo con l’opinione delle istituzioni che tutti i membri ESM soddisfano i requisiti di idoneità per ricevere supporto nell’ambito del supporto per crisi pandemiche. Con riserva del completamento delle procedure nazionali, prevediamo che il consiglio dei governatori del MES adotti una risoluzione che confermi questo ben prima del 1 ° giugno 2020. Seguiranno le disposizioni del Trattato MES.

4. L’Eurogruppo ricorda che l’unico requisito per accedere alla linea di credito sarà che gli Stati membri dell’area dell’euro che richiedono assistenza si impegnino a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento interno dell’assistenza sanitaria diretta e indiretta, i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti al COVID 19 crisi. Questo impegno sarà dettagliato in un singolo piano di risposta pandemica da preparare sulla base di un modello, per qualsiasi struttura concessa nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica.

5. Concordiamo sul fatto che il monitoraggio e la sorveglianza dovrebbero essere commisurati alla natura dello shock simmetrico causato da COVID-19 e proporzionati alle caratteristiche e all’utilizzo del sostegno per la crisi pandemica, in linea con il quadro dell’UE [1] e le pertinenti linee guida ESM . Accogliamo con favore l’intenzione della Commissione di applicare un quadro di monitoraggio e monitoraggio semplificato, limitato agli impegni dettagliati nel piano di risposta pandemica, come indicato nella lettera del vice presidente esecutivo Valdis Dombrovskis del 7 maggio e del commissario Paolo Gentiloni indirizzata al presidente dell’Eurogruppo . L’ESM implementerà inoltre il suo sistema di allarme rapido per garantire il rimborso tempestivo del sostegno alla crisi pandemica.

6. Concordiamo con la proposta ESM sui termini e le condizioni finanziarie comuni applicabili a qualsiasi struttura concessa nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica. Ciò include una scadenza media massima di 10 anni per i prestiti e modalità di prezzo favorevoli adattate alla natura eccezionale di questa crisi [2].

7. L’Eurogruppo conferma che il sostegno alla crisi pandemica è unico, dato il diffuso impatto della crisi COVID-19 su tutti i membri del MES. Le richieste di sostegno alla crisi pandemica possono essere presentate fino al 31 dicembre 2022. Su proposta del direttore generale dell’ESM, il consiglio dei governatori dell’ESM può decidere di comune accordo di adeguare tale termine. La proposta dell’amministratore delegato si baserebbe su prove oggettive sull’andamento della crisi. Successivamente, gli Stati membri dell’area dell’euro rimarrebbero impegnati a rafforzare i fondamenti economici e finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell’UE, compresa l’eventuale flessibilità applicata dalle competenti istituzioni dell’UE.

8. Il periodo di disponibilità iniziale per ciascuna struttura concessa nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica sarà di 12 mesi, che potrebbe essere prorogato due volte per 6 mesi, conformemente al quadro ESM standard per gli strumenti precauzionali.

9. A seguito di una richiesta nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica, le istituzioni dovrebbero confermare le valutazioni con il minor preavviso possibile e preparare, insieme alle autorità, il singolo piano di risposta pandemica, basato sul modello concordato.

10. Fatte salve le procedure nazionali relative a ciascuna richiesta, gli organi direttivi del MES approveranno i singoli piani di risposta pandemica, le singole decisioni di concessione dell’assistenza finanziaria e gli accordi relativi alle strutture di assistenza finanziaria, in conformità dell’articolo 13 del trattato MES.

[1] In particolare il considerando 4 del regolamento (UE) n. 472/2013: “l’intensità della sorveglianza economica e di bilancio

FF

Molti si chiedono che avrebbe da guadagnare la Germania a sfasciare l’UE.
Per rispondere a questa domanda si dovrebbe tener presente che gli strateghi tedeschi del capitale ragionano in modo simile ai generali tedeschi della I e della II guerra mondiale, ossia nessuna autentica strategia ma solo efficienza tattico-operativa. Perfino Erich von Manstein, considerato il miglior generale tedesco della II guerra mondiale, nelle sue memorie, “Vittorie Perdute”, e che pure ambiva a dirigere tutte le operazioni sul Fronte orientale, si occupa solo del settore del Fronte di cui era responsabile. Di strategia e dei complessi problemi, non solo militari, di un Paese che combatteva pure nell’Atlantico, nel Mediterraneo e nel Nord Europa contro gli anglo-americani, non vi è traccia nel suo libro.
Certo, sotto il profilo tattico-operativo i tedeschi furono sempre superiori agli Alleati (ma a partire dal 1944 non ai russi, anche se questo aspetto della II guerra mondiale è poco conosciuto) in entrambe le guerre mondiali.
Anche sotto l’aspetto economico ragionano quindi soprattutto in termini di organizzazione, di efficienza e di dominio, anziché in termini di egemonia, di intelligence e perfino di mero interesse (nel senso di business).
Da qui si dovrebbe dunque partire per capire il comportamento della Germania.

GIUSEPPE MASALA

Le linee di credito sanitarie del Mes soprannominate Mes Light stanno diventando un caos completo.

Conte dice che non ne abbiamo bisogno (Renzi sì così come tutto l’apparato piddin-confindustriale) ma che lo approveremo per non far dispetto alla Spagna che lo vuole.
La Spagna oggi risponde che manco per nulla lo vuole.
La Francia oggi fa sapere che manco loro sono interessati.
Ma ieri Gentiloni ha detto che non c’è condizionalità.
Però oggi Donbrovskis dice che c’è condizionalità ma light.
Alla fine parla il Direttore Generale del Mes che dice che c’è una novità: un Meccanismo di Allerta Rapido per la restituzione tempestiva del prestito. Tasso al 0,115%. E se uno non caccia i soldi gli mandano la Banda della Magliana.

Insomma, a me pare che siamo in pieno caos. Al di là delle battute caustiche, secondo voi come potrà agire un qualsiasi governo a Roma se avrà sopra la testa una mannaia che ti impone la restituzione dei trentasei miliardi del Mes a semplice chiamata da Bruxelles e dunque con la necessità di fare a tamburo battente una manovra aggiuntiva che copra la cifra da restituire? E’ chiaro che qualsiasi governo sarà eterodiretto da Bruxelles indipendentemente da quello che sarà il voto degli italiani. E temo che tutta questa tarantella del Mes presunto Light (ma molto hard) abbia proprio quello di ingabbiare qualsiasi maggioranza che possa formarsi a Roma e renderla docile rispetto ai voleri di Bruxelles.

FF

La Germania ha chiaramente rinunciato a sfruttare la pandemia per rifondare l’UE secondo una prospettiva geopolitica ed economica autenticamente europea, preferendo invece, come sempre, una politica fondata sulla sottomissione degli altri Paesi europei anziché sulla cooperazione tra i diversi Paesi europei.
In questo contesto, il futuro del nostro Paese appare disastroso. Si prevede difatti un crollo del PIL di quasi il 10% e un debito pubblico superiore al 150% del PIL, ma nel malaugurato caso di una nuova ondata di Covid-19 la situazione potrebbe essere perfino peggiore.
E’ evidente, pertanto, che se l’Italia dovesse cercare di porre rimedio a questa recessione con gli strumenti attualmente messi a disposizione della UE, ossia eseguendo le direttive di Berlino, le conseguenze per il nostro Paese sarebbero catastrofiche.
Una classe dirigente che accettasse questi diktat non sarebbe dunque diversa da una classe dirigente che dichiara guerra al proprio Paese. Del resto, le guerre oggi non si combattono solo con le armi da fuoco. Si possono impiegare altre armi, ma gli effetti, nella sostanza, sono analoghi a quelli delle guerre in cui si impiegano le armi da fuoco.
Tuttavia, le guerre si sa come iniziano ma non come finiscano.
Di questo dovrebbe comunque essere consapevole perfino una classe dirigente di infimo livello come quella italiana notoriamente incapace di agire strategicamente, giacché da decenni si limita ad eseguire le direttive di centri di potenza stranieri, pur di difendere i propri privilegi.

In realtà la Corte Costituzionale tedesca ha posto dei limiti precisi all’acquisto dei titoli di Stato da parte della BCE lanciando a quest’ultima un ultimatum. Pertanto, perfino Repubblica ammette che “la Bce ha tre mesi di tempo per dimostrare che ‘gli obiettivi di politica monetaria perseguiti dal programma di acquisto di titoli pubblici non sono sproporzionati rispetto agli effetti di politica fiscale ed economica derivanti dal programma’. Al momento, questo il cuore del verdetto, quegli acquisti sono sproporzionati”.
In sostanza, nessuna “monetizzazione” del debito da parte della BCE o se si preferisce nessun “whatever it takes”.
In altri termini, ossia in termini politici, comanda la CC tedesca, cioè la Germania, e la BCE deve eseguire quel che Berlino ordina.

GIUSEPPE MASALA

La Frankfurter Allgemeine Zeitung ci informa che il Servizio Studi del Bundestag ha chiarito che il Governo federale e lo stesso Bundestag (che sarebbe la camera bassa del parlamento tedesco, come la nostra Camera) in ottemperanza a quanto sentenziato dalla Corte di Karlsruhe dovranno adoperarsi per controllare che la Bce si attenga a quanto stabilito. A partire dal rispetto del principio di proporzionalità negli acquisti di assets (Capital Key). Come se non bastasse il controllo – sempre per l’Ufficio Studi del Bundestag – non sarà relativo solo al piano ordinario di acquisti di assets (Pspp) ma anche a quelli straordinari dovuti all’emergenza pandemica (Pepp).

Tutto questo significa che la Politica Monetaria dell’Euro sarà fatta secondo i principi stabiliti dalla Corte di Karlsruhe e verrà controllata dal Senato tedesco. Voi avete votato i vostri rappresentanti al Senato tedesco? No? Allora avete cittadinanza presso una colonia tedesca. Tipo la Namibia e il Camerun dei tempi di Guglielmo II. Era già così da prima ma ora la condizione è cristallizzata giuridicamente.

Rimane da parte mia la stima per la Corte di Karlsruhe che ha indicato chiaramente la via d’uscita. Gli stati sono padroni dei trattati e non i trattati padroni degli stati. Ergo, chi non accetta la condizione di colonia tedesca può tranquillamente stracciare i trattati.

PS Chiaro e palese che in Italia sarebbero pronti ad accettare la condizione di colonia. Altri paesi io non credo. Traete voi la conclusione del tutto.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-faz_bce_sotto_osservazione_rafforzata/11_34811/?fbclid=IwAR3sXHL84pA0s4Dq7JKwlOQlyWrYwdx_LdXcAyHs_ttS_ROAeSiQgbgIE1s

Il vice Presidente della Bce, lo spagnolo Luis de Guindos dice che la Banca Centrale Europea è sotto la giurisdizione della Corte di Giustizia Europea e non della Corte di Karlsruhe e che entro fine anno il programma di acquisto di titoli arriverà a 1000 mld di euro. Bene, vanno allo scontro frontale con Karlsruhe fino al punto di continuare anche se la Bundesbank decidesse di interrompere il programma. Del resto la sentenza di Karlsruhe ha prescrizioni talmente stringenti tali da rendere impossibili i soliti trucchi per aggirare trattati e sentenze varie. Sembra che Parigi sia disposta a prendersi il rischio della rottura dell’Euro nel medio periodo

Scusate se ci ritorno ancora, ma lascia abbastanza stupefatti il coro di critiche degli europeisti alla sentenza della Corte di Karlsruhe. Credo sia emblematica di come in Italia e in Europa sia completamente saltato il sistema di valori e dunque di valutazione dei fatti. Secondo i dettrattori di Karlsruhe saremmo di fronte ad una “sentenza nazionalista”. Niente di più sbagliato. Siamo di fronte ad una sentenza che ristabilisce i più elementari principi di democrazia. E che ridà ai miei occhi la massima stima dovuta al popolo tedesco e alle sue istituzioni. Se la Cancelleria ormai da qualche lustro occupata dalla Merkel ha accarezzato grazie all’Euro e all’Unione Europea di ridare vita sotto mentite spoglie al Septemberprogramm di Theobald von Bethmann-Hollweg se non direttamente al funesto piano di Walther Funk dell’epoca del Terzo Reich con una sentenza coraggiosissima la severa Corte di Karlsruhe tiene il punto. I beni primari del Popolo tedesco sono la Democrazia e la Sovranità. Beni primari da tutelare ad ogni costo. Anche a costo di perdere danaro se questo significa ricadere nell’errore secolare dell’Imperialismo tedesco di sottomettere gli altri popoli europei.

La Corte lo dice chiaramente, l’Eu non è uno stato federale conseguentemente la Corte stessa fa da guardia alla Sovranità dello Stato tedesco democratico e alle regole sancite nella sua Legge Fondamentale, di fatto, ingabbiando i demoni di epoche che speriamo siano per sempre passate alla Storia. Ogni qualvolta che le istituzioni europee non rispetteranno quanto scritto tassativamente nei trattati e porranno in essere politiche Ultra Vires la Corte interverrà con un fuoco di sbarramento. Anche se si tratta della Banca Centrale Europea. Anche se la Corte di Giustizia Europea la pensa diversamente. Karlsruhe richiamerà le istituzioni tedesche al rispetto dell’ordine costituzionale, qualunque sia il costo economico e politico.

E’ vera, nella concretezza delle cose a noi ci dice male quello che ha stabilito la Corte. Ma il rispetto della Costituzione è fondamentale: nessuno ha dato alle istituzioni UE potere di porre in essere politiche fiscali. Le politiche fiscali sono in capo ai singoli stati e la Corte lo ribadisce. Certo, dicevo, ci dice male sotto l’aspetto pratico: significa che l’Italia (ma non solo l’Italia) per sostenere la crisi in corso nell’ambito della Ue dovrà accedere al Mes, firmare un Memorandum, svendere la democrazia, e sottoporsi a sacrifici speventosi. Ma quelle sono le regole dei Trattati liberamente accettati dai contraenti. Non c’è via di scampo. La Corte forse sa che le regole dei trattati in materia di finanza pubblica sono state scritte male, o più probabilmente nascondono un patto faustiano tendente a demolire gli stati e il welfare in una logica neoliberista? Probabilmente sì. Lo sanno. Sanno anche che ciò che è stato fatto alla Grecia è un crimine. E hanno posto un punto. Un punto storico e dirimente. La Corte sottolinea con forza – lanciando di fatto un appello a tutti gli stati e popoli europei – che gli stati sono i padroni dei Trattati (testuali parole) e non i Trattati padroni degli stati e della democrazia e della libertà dei popoli. La Corte tedesca ha detto chiaro e tondo ciò che con forza finalmente qualcuno doveva avere il coraggio di dire: ogni stato è libero di uscire dalla Ue rompendo i trattati e riconquistando la libertà da una organizzazione tecnocratica, fondata sulla menzogna e sull’inganno. Questo è il punto storico. La Corte di Karlsrhue non ha emesso una sentenza nazionalista, ma una sentenza che ristabilisce la democrazia e il diritto di ogni popolo di essere artefice del proprio destino. Bello o brutto che sia, ma il proprio.

FF

Da ascoltare attentamente l’intervista al prof. Pastrello, che spiega bene la sentenza della CC tedesca e le disastrose conseguenze che può avere per l’Italia

GIUSEPPE MASALA

Davvero è stucchevole questa polemica sul Mes. Non se ne può più. Eppure è giusto controbattere con le povere armi che abbiamo al profluvio ignobile di menzogne da parte di chi vuole a tutti i costi rinchiuderci in questa gabbia.
Ricapitoliamo:

➡️La cifra di 37 miliardi è sovradimensionata per le spese sanitarie, ed è buona solo per consentire ad una banda di malfattori di prodursi in una operazione di saccheggio. Allo stesso tempo è una cifra risibile per rimettere in carreggiata un’economia da 1800 mld di euro di pil.

➡️Tema delle condizionalità ovvero di come ti fregano con le parole. I gerarchi del regime dicono che non ci sono condizionalità tranne quella banale di spendere i soldi nel settore sanitario. Vero e falso contemporaneamente. L’Eu intende per “condizionalità” una richiesta di “aggiustamenti preventivi” all’erogazione della cifra richiesta. Bene questi aggiustamenti preventivi non sono richiesti perchè ieri l’Eurogruppo ha sancito che tutti i debiti dei paesi europei sono sostenibili. Dove sta il trucco? Il trucco sta nel fatto che sono previste azioni correttive ovvero aggiustamenti su deviazioni future che per ora non ci sono ma che sicuramente ci saranno. Secondo voi ci saranno scostamenti rispetto a quanto ad oggi previsto in un’economia che crolla del -9,5% del pil (stima Commissione Europea)? Si andrà molto peggio, per esempio Uk prevede un -14% e i dati che escono sono terrificanti e -9,5% per noi sarà un miracolo irrealizzabile.

➡️Cosa succederà quando ci saranno queste deviazioni rispetto alle previsioni ottimistiche (si, per quanto possa sembrare strano un -9,5% è ottimistico)? Si attiverà (come da comunicato di ieri dell’Eurogruppo) un Early Warning System ovvero un meccanismo di controllo stringente delle politiche fiscali del nostro Governo da parte del Mes (che è una società di diritto privato lussemburghese). In pratica le scelte di governo saranno dettate non dalla volontà democraticamente espressa dal popolo ma da questo Moloch lussemburghese.

➡️Non basta, tenete anche conto che dopo la sentenza della Corte di Karlsruhe la possibilità della Bce di chiudere gli spread e calmierare i tassi sui titoli del debito pubblico di paesi come l’Italia, nella migliore delle ipotesi, si riduce notevolmente.Quindi entreremo in crisi finanziaria netta.

➡️Entrare in crisi finanziaria significa che dovremmo fare una scelta: rimanere appesi all’Unione Europea che ci condannano alla fame pur avendo fondamentali sanissimi (Niip, Saldo partite correnti, Bilancia Commerciale) per dover rispettare regole ideologiche ormai fuori tempo massimo e condannate dalla storia e avendo come unica colpa quella di esserci indebitati in Euro, una moneta straniera che ha i principi di politica monetaria dettati dalla Corte Costituzionale tedesca e controllati dal Bundestag tedesco, oppure dire – una volta per tutte – leviamo il disturbo e magari accettiamo la il Memorandum propostoci dagli Usa.

➡️Ecco, questo bocconcino da 37 miliardi che tanto ingolosisce i nostri politici serve a legarci una volta per tutte al Moloch Europoide.

➡️Evito di ironizzare peraltro sul fatto che 14 miliardi di questi 37 li abbiamo dati noi al Mes qualche anno fa. In realtà si stanno comprando (conncedendoci un prestito netto da 23 miliardi da restituire in comode rate decennali) giusto il tempo per farci ingoiare la riduzione a Romania post caduta del comunismo.

➡️Faccio infine notare che da questa crisi sono in arrivo altri 5 milioni di poveri assoluti che si aggiungono ai 5 milioni creatisi dopo la manovra di aggiustamento strutturale del governo Monti. Bene, si tenga conto che a questi 10 milioni di persone nessuno potrà chiedere di farsi espiantare un rene da vendere al mercato degli organi per risanare (sic) i conti dello stato. A questo giro l’onere dell’aggiustamento non ricade sui disgraziati ma sull’eletta schiera delle classi medie generalmente benpensanti e garantite.

Per quel poco che vale questo è quanto.

Covid 19? No grazie!, a cura del dr Giuseppe Imbalzano

Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi. Oggi consulente della Federazione Russa per la gestione dell’epidemia di Covid19

http://CVBreveImbalzano

Covid 19? No grazie!

Febbre, stanchezza e tosse secca, indolenzimento e dolori muscolari, congestione nasale, naso che cola, mal di gola o diarrea. Generalmente i sintomi sono lievi, soprattutto nei bambini e nei giovani adulti, e a inizio lento. Circa 1 su 5 persone con COVID-19 si ammala gravemente e presenta difficoltà respiratorie, richiedendo il ricovero in ambiente ospedaliero. Nei casi più gravi, l’infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e portare sino alla morte. Le persone anziane e quelle con patologie quali ipertensione, problemi cardiaci o diabete e i pazienti immunodepressi (per patologia congenita o acquisita o in trattamento con farmaci immunosoppressori, trapiantati) hanno maggiori probabilità di sviluppare forme gravi di malattia. Il periodo di incubazione rappresenta il periodo di tempo che intercorre fra il contagio e lo sviluppo dei sintomi clinici. Si stima attualmente che vari fra 2 e 11 giorni, fino ad un massimo di 14 giorni.

Cosa fare per evitare di ammalarsi?

Si raccomanda a tutte le persone anziane o affette da una o più patologie croniche o con stati di immunodepressione congenita o acquisita, di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità e di evitare comunque luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.

Il nuovo Coronavirus può essere trasmesso da persona a persona.

Il nuovo Coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente mediante il contatto stretto con una persona malata.

La via primaria sono le goccioline del respiro delle persone infette e tramite la saliva, tossendo e starnutendo e con contatti diretti personali

Le mani, ad esempio toccando con le mani contaminate (non ancora lavate) bocca, naso o occhi

Il nuovo coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente mediante il contatto con le goccioline del respiro delle persone infette, ad esempio quando starnutiscono o tossiscono o si soffiano il naso. È importante perciò che le persone ammalate applichino misure di igiene quali starnutire o tossire in un fazzoletto o con il gomito flesso e gettare i fazzoletti utilizzati in un cestino chiuso immediatamente dopo l’uso e lavare le mani frequentemente con acqua e sapone o usando soluzioni alcoliche

 

Un elemento di grande utilità è la mascherina che limita la diffusione nell’ambiente di particelle potenzialmente infettanti.

Deve diventare un gesto automatico – prima di uscire di casa ci si mette la mascherina. Perché se io sono asintomatico ma ho l’infezione con le mascherine posso bloccare le mie goccioline di saliva e proteggere gli altri. E allo stesso tempo difendermi evitando che le goccioline di respiro o di tosse vengano in contatto con le mie mucose o aspirate tramite il naso o la bocca.  La mascherina, insieme alle altre misure di protezione, deve essere utilizzata in contesti in cui c’è un’elevata circolazione del virus, in cui si presume che molti di noi siano infetti.

Se si usa una mascherina è bene sapere che non tutte proteggono allo stesso modo; che bisogna rispettare regole precise di igiene per indossarla e smaltirla; che non bisogna per questo tralasciare la regola aurea della distanza tra le persone. Ad esempio, molti toccano la parte esterna con le mani rischiando poi di contagiarsi una volta che la tolgono o si credono invulnerabili una volta indossata la protezione e abbassano la guardia sulle altre misure.

Se non viene indossata e usata correttamente, la mascherina può essere lei stessa un veicolo di trasmissione del virus, in particolare se ci si continua a toccare il volto con le mani per sistemarla o la si riutilizza più volte.

Come indossare in maniera corretta una mascherina

Come abbiamo detto, la mascherina se non viene indossata correttamente può essere a sua volta veicolo di trasmissione inconsapevole del contagio. Mascherine chirurgiche. Sono mascherine rettangolari fatte di tre strati di tessuto-non-tessuto plissettato che si indossano sul volto grazie a un nasello, elastici o lacci. Devono soddisfare alcuni requisiti tecnici stabiliti per legge e passare alcuni test specifici che verificano se la mascherina blocca le goccioline contaminate da batteri.

Le procedure corrette sono: prima di indossarla, bisogna lavarsi le mani con acqua e sapone o strofinarle con una soluzione alcolica. Poi bisogna indossarla prendendola dall’elastico, evitando di toccarla. Deve coprire naso e bocca. Quando diventa umida, va sostituita con una nuova e non riutilizzata. Per toglierla vale la stessa regola: prendetela dall’elastico ripiegandola su se stessa ed evitando di toccare la parte anteriore con le mani. Una volta buttata è necessario lavarsi nuovamente le mani.

Quali sono le regole per la disinfezione / lavaggio delle mani- uso di guanti?

Il lavaggio e la disinfezione delle mani sono la chiave per prevenire l’infezione. Dovresti lavarti le mani spesso e accuratamente con acqua e sapone per almeno 20 secondi. Se non sono disponibili acqua e sapone, è possibile utilizzare anche un disinfettante per mani a base di alcool (concentrazione di alcool di almeno il 70%).

Possiamo usare guanti monouso che vanno sfilati rientrando a casa, in modo da non toccare la parte esterna degli stessi. E, dopo averli eliminati nella spazzatura, lavarsi le mani.

Con i guanti è anche più facile evitare di toccarsi il viso, il naso o gli occhi.

Quanto tempo sopravvive il nuovo Coronavirus sulle superfici?

Le informazioni preliminari suggeriscono che il virus possa sopravvivere alcune ore, anche se è ancora in fase di studio. L’utilizzo di semplici disinfettanti è in grado di uccidere il virus annullando la sua capacità di infettare le persone, per esempio disinfettanti contenenti alcol (etanolo) al 70% o a base di cloro all’0,1% (candeggina). Ricorda di disinfettare sempre gli oggetti che usi frequentemente (il tuo telefono cellulare, gli auricolari o un microfono) con un panno inumidito con prodotti a base di alcol o candeggina (tenendo conto delle indicazioni fornite dal produttore).

Raccomandazioni di carattere generale:

Evitare la presenza-frequenza in luoghi affollati;

Indossare la mascherina (di comune uso, quali quelle chirurgiche) fuori dal domicilio, in particolare quando si rendano necessarie visite in ospedale per visite, esami e/o trattamenti;

E’ altrettanto utile proteggere gli occhi;

Eseguire un’accurata e frequente igiene delle mani (si vedano anche le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sul lavaggio delle mani);

Evitare di toccarsi con le mani il viso, gli occhi, il naso e la bocca;

Evitare le visite al proprio domicilio da parte di familiari o amici con sintomi respiratori e/o provenienti da aree a rischio;

Contattare il medico curante non appena compaiono sintomi riconducibili a infezioni delle vie respiratorie (febbre, tosse, rinite);

Attivare, ogni qualvolta possibile, visite in telemedicina per evitare il più possibile, salvo necessità cliniche e/o terapeutiche, gli accessi ai pronto soccorso degli ospedali;

Non sospendere la terapia immunosoppressiva in atto, salvo diversa indicazione formulata da parte del medico curante;

Al fine di evitare contagi in ambito lavorativo si raccomanda di attivare quanto più possibile procedure di smart working e di evitare assolutamente attività lavorative in ambienti affollati;

In caso di situazioni per le quali è, imprescindibilmente, necessario partecipare di persona a incontri di lavoro mantenere una distanza di almeno un metro (meglio due) dai colleghi, indossando e invitandoli a indossare una mascherina e a eseguire le corrette norme igieniche prima del contatto, compresa la sanificazione degli ambienti.

 

 

Il Coronavirus e la separazione tra città e campagna, di Antonia Colibasanu_a cura di Piergiorgio Rosso

Il Coronavirus e la separazione tra città e campagna.

La pandemia approfondirà le differenze tra mondo urbano e rurale

di Antonia Colibasanu -25 marzo 2020

La crisi del coronavirus è una fonte di preoccupazione comune in tutto il mondo e un nemico invisibile condiviso. Ma man mano che si sviluppa, la crisi spingerà verso una risistemazione globale. La distribuzione del potere nel mondo era diventata più diffusa prima dello scoppio del coronavirus, con paesi come la Cina e la Russia che aumentavano il loro ruolo a livello globale e il nazionalismo che cresceva a spese delle autorità delle istituzioni multilaterali. Ma con la pandemia da coronavirus, le crescenti differenze tra le classi e tra le società rurali e urbane non stanno solo diventando più visibili in tutto il mondo, ma stanno ristrutturando le società e rimodellando le strategie nazionali.

Nell’ultimo capitolo del mio libro “Redrawing the World Map: Contemporary Geopolitics and Geoeconomics” (che uscirà più avanti quest’anno in rumeno e poi in inglese), scrivo di come i cambiamenti sociali portati dalla digitalizzazione, anche se diversi da luogo a luogo, alla fine ristruttureranno tutti gli stati-nazione e il sistema globale. I cambiamenti sociali rimodellano anche il modo in cui vediamo il mondo geopoliticamente. La mia argomentazione si riferiva al modo in cui le risorse – comprese le risorse umane – cambiano e si evolvono nel tempo a seconda dell’ecosistema di cui fanno parte e in base alla geografia e ai modelli sociali di quel sistema.

Sostengo che la globalizzazione e l’accesso alla digitalizzazione hanno permesso a persone che vivono in luoghi molto diversi, di considerarsi pari. Nel processo, le persone che lavorano dai computer portatili nei loro uffici, o indipendentemente da casa o in qualche bar, hanno unito le zone urbane del mondo. Sostengo anche che mentre le aree “urbane” inizieranno a condividere caratteristiche comuni in tutto il mondo, le aree rurali non solo rimarranno distinte da un paese all’altro, ma nel loro insieme diventeranno sempre più diverse dai centri urbani all’interno di ogni nazione. La geografia sociale delle aree rurali, a seconda della struttura specifica di ogni stato-nazione, avrà un grande impatto sulle strategie degli stati-nazione. Le caratteristiche della realtà rurale di uno stato – e le sue interconnessioni, somiglianze e tensioni con le controparti rurali di altri stati – determineranno in che misura tale stato coopera o si oppone ad altri stati. L’ambiente urbano è dove avverrà il dialogo, è un’ambiente fatto per la comprensione reciproca.

Città e zone di pendolarismo in Europa, 2018

Ciò significa che la società e l’ambiente in cui agisce diventeranno più importanti per gli imperativi strategici dello stato – non meno, indipendentemente dalle promesse della tecnologia. I dati demografici contano perché sono il nucleo stesso della società e perché sono in continua evoluzione, a ritmi diversi, all’interno di ciascuna società. Le comunità, attraverso i loro livelli di istruzione e specializzazione, nonché i loro ambienti di vita, determinano lo sviluppo economico del Paese e, con ciò, i suoi imperativi. Ho scritto l’introduzione del mio libro troppo presto per considerare gli effetti del nuovo coronavirus sulla demografia e sulla società in generale, anche se ho riconosciuto il suo potenziale di indurre cambiamenti significativi.

Ora sto cominciando a vedere cosa potrebbe succedere. Al momento della stesura di questo documento, il coronavirus ha già chiuso l’Europa. Stanno accadendo cose straordinarie. L’Italia è in completo blocco, Parigi è tranquilla per la prima volta nella storia. I confini sono stati resuscitati: i punti di controllo sono tornati in uso. Le merci possono circolare attraverso di essi, mentre possono passare solo i cittadini che rientrano nei loro paesi di origine. Gli stati-nazione hanno vietato le esportazioni di attrezzature mediche essenziali per combattere il virus. In questa crisi, gli stati membri dell’UE sono prima di tutto e visibilmente nazionali. Cercano soluzioni nella nazionalizzazione delle imprese e l’esercito nazionale è chiamato a dare una mano.

Vi sono diverse dimensioni da discutere quando si parla di resilienza dell’UE alla crisi del coronavirus. In primo luogo, il coordinamento tra gli stati membri è ciò che rende rilevante l’UE: gli stati amministrano le frontiere e il traffico commerciale essenziale. In secondo luogo, si coordinano a livello bilaterale, inviando tempestivamente risorse e assistenza medica. La salute è una prerogativa dello stato-nazione. Tuttavia, il modo in cui ciascun paese reagisce alle esigenze dell’altro determinerà le relazioni intracomunitarie. In terzo luogo, il modo in cui le istituzioni dell’UE coordinano le azioni nazionali a seguito della crisi, determineranno il futuro dell’UE. Il pubblico percepisce l’UE attraverso ciò che Bruxelles fa per aiutare. Quindi, sapremo come l’UE si evolve in base a come agisce di fronte al suo pubblico.

In definitiva, il futuro dell’UE e quello del mondo dipendono da come la società è modellata dalla pandemia da coronavirus.

Siamo tutti soggetti alle politiche di “distanziamento sociale” imposte dagli stati nazionali nella lotta al contagio. Molto è stato detto e scritto su come il distanziamento sociale influenzerà le catene di approvvigionamento e l’economia – perché le persone possono scegliere di lavorare o non lavorare, perché possono ribellarsi alle disposizioni considerando la necessità di sostenersi. I costi finanziari sono elevati. Molto è stato anche detto e scritto su come cambierà il lavoro: il telelavoro, per coloro che possono lavorare da remoto, stabilirà potenzialmente nuovi standard. Anche le opportunità possono essere elevate. Tutti gli scritti che ho letto indicano anche che cambiamenti inevitabili ma incerti si avvicinano, incluso il potenziale per una depressione.

Tuttavia, il distanziamento sociale, in pratica, non influisce solo sulle abitudini di lavoro. Si riferisce a sentimenti personali, di cui il più importante è la paura. Temi il virus, quindi mantieni le distanze. Non lo fai perché qualcuno te lo ha detto; lo fai perché senti di doverlo fare, per il tuo bene. È personale, anche se è imposto. La paura di ammalarsi per qualcosa che non è necessariamente mortale dipende dalla fiducia che hai nel sistema sanitario. La paura di ammalarsi insieme a molti altri dipende dalla fiducia nella capacità del tuo paese di far fronte a una situazione in cui molte persone si ammalano e molte altre sono economicamente inattive. Le due sono questioni molto distinti, paure distinte.

Gli antropologi ci insegnano come gli esseri umani e l’umanità si sono evoluti e sono stati modellati dalle loro paure. Sono le paure e le azioni intraprese per affrontare le paure che creano cambiamenti sociali. La geografia in cui vivono le persone fa avere loro paure diverse e quindi le porta a rispondere diversamente alle sfide. La geopolitica prende in considerazione il comportamento della gente di montagna, che è diverso da quello delle altre persone, perché temono cose diverse. Allo stesso modo, nella pandemia da coronavirus, la popolazione urbana, sebbene più connessa attraverso la digitalizzazione, in un ambiente molto più chiuso, si comporta in modo diverso rispetto a coloro che vivono nei villaggi.

Le persone che vivono in ambienti urbani hanno un migliore accesso ai servizi medici rispetto a quelle che vivono nei villaggi. È molto importante per le aree urbane se il sistema sanitario è sotto pressione; per la maggior parte delle aree rurali, il sistema sanitario è scarso o inesistente. È vero, esistono differenze tra i paesi: l’ambiente rurale in Germania è diverso da quello della Francia, con le persone che hanno più accesso alle strutture mediche in Germania che in Francia. Ma nel complesso, l’assistenza medica per la popolazione urbana è molto più accessibile di quanto non lo sia per la popolazione rurale. Allo stesso modo, il ruolo dello stato e il suo potere economico sono percepiti in modo diverso nelle aree rurali rispetto alle aree urbane, che non sono create uguali.

Nella crisi del coronavirus, considerando il potenziale di sovraccarico del sistema medico e la vicinanza imposta dagli ambienti urbani, la paura di vivere in un appartamento è intensa. Riconoscere che non si ha accesso ai servizi a cui si era abituati significa riconoscere che alcune delle proprie esigenze non saranno soddisfatte. E quando il distanziamento sociale include l’isolamento imposto (come nel caso di Italia, Spagna e Francia in questo momento), dover rimanere in casa per più di qualche giorno e compilare moduli da mostrare all’autorità di polizia locale solo per portare a spasso il cane, ha certamente alcuni effetti sul tuo stile di vita e sul tuo stato psicologico. Combattere gli effetti negativi della quarantena può includere cantare sul balcone, come abbiamo visto in Italia, ma questo significa solo che ci sono effetti negativi da combattere.

Nel processo di distanziamento sociale, stiamo testando i legami tra i gruppi sociali. I benestanti si comporteranno diversamente dai poveri, i giovani diversamente dai vecchi. In una città, tutti i gruppi hanno accesso agli stessi servizi – in modo disuguale. Osservare il cibo acquistato nelle ore di punta per la quarantena è una lezione su quanto siano diversi sia lo stile di vita che, in definitiva, il reddito delle persone urbanizzate. La loro tolleranza, la loro accettazione per l’altro non si riferisce alla loro disponibilità ad aiutare. Per quanta vicinanza fisica esista tra le persone urbanizzate, c’è altrettanta distanza. Vivere in un appartamento non significa che parli con i tuoi vicini per dire “ciao”. Non parlare deresponsabilizza, sei troppo occupato, ma serve anche a non sapere. Se non sai che un vicino ha bisogno di aiuto, non hai la responsabilità di aiutarlo. La rete sociale urbana è quella di classe e, una volta inserito in una classe, in un gruppo, le relazioni con gli altri gruppi sono minime.

Per la campagna, le cose sono diverse. Ci sono i gruppi anche nei villaggi e persone che hanno influenza. Ma le regole della rete sociale sono diverse. Sono i legami familiari che contano, prima delle classi economiche. I legami tra le persone sono ben stabiliti e sono gli stessi da una generazione all’altra. Quando vivi in campagna, sei generalmente più consapevole della geografia e della vicinanza, di quanto lo saresti in città.

Sai molto dei tuoi vicini perché devi avere relazioni con loro più o meno quotidianamente. Gli appezzamenti di terreno attorno alle case degli abitanti del villaggio non impongono la distanza umana, poiché il buon vicinato include l’aiuto reciproco. Lo stato non è in gran parte presente – ma lo è Dio. Religione e famiglia sono concetti chiave per ciò che costituisce la base della fiducia nelle aree rurali.

Durante la pandemia, la paura nelle aree rurali dipende dalla loro connessione e dalla loro dipendenza dalle città. In questo senso, più sono distanti, meno ne risentono. Tuttavia, considerando le modalità del contagio, una volta che qualcuno viene infettato, l’ambiente rurale facilita l’infezione. Imporre il distanziamento sociale in tali comunità è difficile – considerando il loro scarso accesso ai servizi di sanità pubblica, le popolazioni rurali si considerano condannate fin dall’inizio. Vivono non nella paura, ma nella speranza che Dio li aiuti di nuovo. Perché nessun altro li ha davvero aiutati prima. Non hanno bisogno di capire che i servizi medici sono disponibili, perché è solo in lontani ospedali che possono accedere a tali servizi – in teoria. La digitalizzazione, quando disponibile, è solo per comunicare e conoscere il resto del mondo. Si affidano principalmente ai servizi religiosi e ai propri.

La crisi del coronavirus crea paure diverse per diverse aree geografiche. Mentre la digitalizzazione offre a tutte le persone accesso alle informazioni, i timori dell’ignoto – che includono non solo il virus ma anche il modo in cui è e potrebbe essere affrontato a tutti i livelli – approfondiscono le differenze tra ambiente urbano e rurale. Mentre non è chiaro come l’UE uscirà da questa nuova crisi e mentre è urgente che gli stati nazionali agiscano e dimostrino di poter combattere il coronavirus, è chiaro che l’epidemia influenzerà anche la distanza tra la città e la campagna e tra le classi sociali. In effetti, la crisi sta accelerando un processo che stava già accadendo, poiché le paure creano cambiamenti sociali che incidono sulla struttura della società, ovunque nel mondo. Le reazioni urbane sono simili, anche i loro problemi. Potrebbero riunire il mondo. Ma le reazioni rurali non sono simili – e non le conosciamo ancora.

tratto da https://geopoliticalfutures.com/the-coronavirus-and-the-rural-urban-divide/

ECCEZIONE E CORTE COSTITUZIONALE, di Teodoro Klitsche de la Grange

ECCEZIONE E CORTE COSTITUZIONALE

Nell’intervista data qualche giorno orsono al “Corriere della Sera” la Presidente della Corte costituzionale ha ribadito considerazioni sull’emergenza da Coronavirus e tutela dei diritti costituzionali consolidate da tempo nell’establishment italiano. E che inducono ad un esame critico.

La prima, sostiene la prof. Cartabia è che la Costituzione italiana non prevede alcuna normazione sullo stato di eccezione. Su ciò non si può non concordare.

Ma se è vero ciò non si comprende come, qualche anno fa, si descriveva soprattutto dal centrosinistra, quella italiana come “la costituzione più bella del mondo”, mentre quelle racchie prevedono (quasi) tutte norme e procedure per lo stato d’eccezione. Anche perché, incidendo lo stato d’eccezione su diritti costituzionalmente garantiti, è opportuno che la Costituzione (o almeno un atto equiparato come una legge costituzionale) preveda organi, competenze, procedure e situazioni che legittimino le deroghe alla normativa costituzionale. Ha ragione Agamben a scrivere “che lo stato di eccezione moderno è una creazione della tradizione democratico-rivoluzionaria e non di quella assolutista”; perché fino a quando non vigevano diritti garantiti da una Costituzione (quasi sempre scritta) non era necessario neppure prevedere specifiche prescrizioni su se, quando e come derogarvi.

Questo senza voler introdurre la tesi (da ultimo, in particolare, di Santi Romano) che la necessità è fonte del diritto, superiore alla legge, la quale ha precedenti illustri: dal romano salus rei publicae suprema lex allo scolastico necessitas legem non habet. Onde il criterio per valutare la validità delle misure d’emergenza non è la conformità alle norme ma la congruità allo scopo, non essendo previsti organi, competenze, procedure, situazioni.

Secondariamente la Presidente sostiene che anche in situazioni di crisi valgono i principi (costituzionali) di sempre. Si noti parla di principi e non di norme o precetti. E aggiunge che la diversità delle situazioni a poter giustificare l’applicazione e in che misura di detti principi. Così nella terminologia impiegata (e nel concetto espresso) esprime una concezione riconducibile al neo costituzionalismo allo “Stato di diritto costituzionale” nelle università italiane largamente condivisa, e di cui un acuto giurista argentino, Luis Maria Bandieri ritiene che abbia sostituito il neopositivismo, basato sulla norma e sulla Stufenbau (ossia un positivismo di norme) con un positivismo di principi e di valori.

In terzo luogo, e sempre coerentemente al neo-costituzionalismo, la Presidente ritiene che giudicare se la normativa emergenziale è o meno conforme se non alle norme almeno ai principi costituzionali e in che misura, è la Corte costituzionale, attraverso la tecnica del bilanciamento e della ragionevolezza onde se un diritto costituzionale è sacrificato la congruità e proporzionalità del sacrifico è giudicabile, come per qualsiasi altro caso, anche non riconducibile allo stato d’eccezione, dalla Corte Costituzionale. Per cui, con ciò, risponde anche all’interrogativo: quis judicabit?

Non si può non concordare anche se parzialmente, su quanto affermato e compiacersi che, anche nell’emergenza, valgano le tutele (e le procedure di garanzia) ordinarie.

Tuttavia la ricostruzione della prof. Cartabia si presta a qualche obiezione.

In primo luogo lo stato d’eccezione può essere originato da crisi del più vario tipo: terremoti, inondazioni, pandemie, guerre (e altro). C’è una differenza essenziale però tra quelle causate da eventi naturali ovvero dalla volontà umana, come la guerra (internazionale o civile) o le situazioni acute di ostilità (embarghi, blocchi economici) e le altre, causate da eventi naturali.

A proposito delle quali non è comprensibile quanta sia l’utilità dei Tribunali laddove la causa è la volontà ostile, dato che i mezzi per contrastarla non sono nella disponibilità dei giudici, ma dei governi (dalla bomba atomica in giù). Il fatto che un Tribunale giudichi lesivo del diritto di proprietà che l’esercito abbia requisito un fondo per farne un bunker è confortante ma poca cosa rispetto al fatto che il nemico sia respinto. Nella crisi che stiamo vivendo, si fa abuso delle metafore del virus come nemico, della malattia come battaglia (ecc.) ma comunque a un “nemico” siffatto manca il connotato principale: la volontà ostile.

Nelle situazioni di emergenza la tutela dei diritti è bene vi sia, ma, nell’economia generale, diritti e giustizia hanno un ruolo secondario se non marginale. Nell’emergenza contano di più i doveri di solidarietà “politica, sociale ed economica”, come dispone l’art. 2 della Costituzione. Ma soprattutto rileva il conseguimento dell’obiettivo: superare la crisi con il minimo danno possibile.

Secondariamente bisogna chiedersi perché le disposizioni delle costituzioni degli Stati democratico-liberali, almeno da quello che mi è capitato di leggere, affidino ad organi politici legittimati democraticamente (in via diretta o indiretta) dichiarazione e gestione degli stati d’eccezione. Nessuna che ci risulti, lo ha affidato alle Corti Costituzionali: si può rispondere che è ovvio, per quanto appena scritto.

Le Corti possono decidere delle controversie, ma per affrontare la crisi occorre il potere governativo-amministrativo, con mezzi e personale adatto non solo a conoscere ma soprattutto ad agire. Ma sul punto è più interessante notare che i suddetti organi sono stati investiti non solo perché hanno i mezzi (e le responsabilità) ma perché sono politici e soprattutto legittimati democraticamente.

Già dai primi decreti e atti legislativi francesi dell’epoca rivoluzionaria e napoleonica a dichiarare lo stato d’eccezione erano, a seconda dei regimi, gli organi (come il Direttorio o l’Imperatore) legittimati democraticamente (eletti o plebiscitati). Per cui il giudizio politico – che è quello che maggiormente conta – è dato dal popolo che giudica se i propri governanti abbiano affrontato la crisi in modo soddisfacente. A ciò deve aggiungersi il corollario, per la verità più evidente in alcuni saggi di neo-costituzionalisti che nell’intervista del Presidente, che un allargamento dei poteri della Corte costituirebbe una deriva verso lo “Stato dei giudici” (Justizstaat). Poco auspicabile a meno di non politicizzare le Corti costituzionali – più di quanto non sia – trasformandole nelle repliche del Consiglio dei dieci di Venezia, che Machiavelli riteneva avesse, oltre a quelle giurisdizionali (anche) le funzioni di fronteggiare le situazioni eccezionali (Discorsi, I, XXXIV).

In terzo luogo, se indubbiamente il richiamo a “principi” e “valori” costituzionali e non a norme ha il pregio di rendere la decisione più adattabile alla situazione, conformandola alla necessità contingente, e così generando un “diritto flessibile”. è assai dubbio se, il pregio, spesso richiamato, del carattere “neutro” della Corte ma ancor più la struttura del processo e la razionalità attribuita alla decisione in contraddittorio siano ragioni produttive di consenso, più delle elezioni alle cariche pubbliche, tipico degli organi democratici.

Come scrive Bandieri, esponendo (e sintetizzando) le concezioni di scrittori neo-costituzionalisti “la politica odierna non sarebbe più capace di mediare i conflitti concernenti valori essenziali, né d’esprimere un qualsiasi «consenso razionale», mentre la politica giudiziaria col suo strumentario tecnico ricolmo d’imparzialità, è presentata come la sola capace di padroneggiarlo1.

Sarebbe così, scrive il giurista argentino, necessario per superare “l’insufficienza del principio maggioritario” (ovviamente rinunciando al medesimo).

Ma a parte il fatto che se non c’è il principio maggioritario l’alternativa reale è che decide una minoranza (l’unanimità è in diritto interno praticamente esclusa), è realistico supporre che il consenso a dei principi o valori (più facilmente) sia preventivo e antecedente rispetto all’organizzazione del potere, almeno a quella compiuta.

Usando la terminologia di Maurice Hauriou un Gouvernament de fait diventa Gouvernement de droit, perché organizza in istituzioni l’idea di diritto già condivisa nella comunità. La constitution sociale precede la constitution politique. O per dirla nel lessico di Rudolf Smend realizza l’integrazione materiale (oltre alle altre forme d’integrazione) non tanto perché produce consenso, ma perché il consenso ai principi e valori applicati dai governi, dai parlamenti come dai Giudici già c’è, e, in generale, si mantiene nei limiti in cui non vengano traditi. “Principi e valori” devono essere già condivisi nella comunità, come d’altra parte, per qualsiasi regime politico.

La storia insegna come sia difficile governare, ove l’èlite sia decisa a far valere un “insieme” di principi e valori diversi, o peggio contrapposti a quello dei governati. Spesso gli ordinamenti degli imperi sono stati più tolleranti delle diversità dei popoli e delle culture, anche prevedendo giudici “di comunità” e leggi personali. Ma nel mondo globalizzato la tendenza è proprio il contrario: a espandere una particolare “tavola dei valori” (diritti umani-mercatismo universale) e regimi democratici (almeno fino a una certa data, e non si sa con quanta convinzione), a chi di democrazia non voleva saperne.

Onde è più difficile, se non impossibile che l’ “imparzialità” e la procedura possano surrogare la diversità fondamentale di opinioni ed interessi meglio di organi politici, democraticamente scelti. Come d’altra parte è chiaro che, a proteggere i diritti sono più adatte le Corti che i governi.

In conclusione e sintetizzando argomenti degni di più diffusa trattazione: nello stato d’eccezione, a qualunque causa dovuto, la protezione dei diritti fondamentali è un bene. Le Corti costituzionali che lo fanno, anche. Ma uscire dall’emergenza, con i meno danni possibili è il meglio. Per cui vale per le Corti (e per i Tribunali) quanto diceva de Gaulle per l’intendenza: che segue.

Teodoro Klitsche de la Grange

1 v. in Behemoth on-line n. 54.

Sahel: e se fosse lo sviluppo la causa della guerra?, di Bernard Lugan

Il più grande merito dello storico ed analista Bernard Lugan, grande studioso delle vicende politiche del continente africano, è stato nel corso degli anni quello di aver smontato sistematicamente la costruzione retorica ed ideologica degli aiuti umanitari e di sostegno allo sviluppo legati ad una condizione di sottosviluppo. Questo breve articolo ci offre un ulteriore tassello della sua costruzione analitica e della sua denuncia politica. Il conflitto politico in Africa non è dovuto in prevalenza al sottosviluppo, ma ai colossali cambiamenti socioeconomici indotti da interventi esterni e con nuovi grandi attori i quali stanno spingendo sempre più i paesi africani nel circuito commerciale internazionale delle materie prime; ma anche a dinamiche interne a quei paesi quali quelle illustrate in questo articolo.Buona lettura_Giuseppe Germinario

Sahel: e se fosse lo sviluppo la causa della guerra?
I conflitti nel Sahel centrale non sono una conseguenza della scarsità di risorse alimentari
poiché, tra il 1999 e il 2016, la produzione di cereali è ivi aumentata di tre volte a seguito dell’incremento del 25% della superficie coltivata. Allo stesso tempo, il terrorismo ha travolto la regione.
Perché?
Se le risorse alimentari si sono moltiplicate per tre, è perché le aree coltivate sono aumentate del 25%. Un risultato ottenuto essenzialmente per la messa a coltivazione dei terreni da pascolo. Quindi a spese dei pastori. Sulle loro antiche terre di transumanza, i Fulani hanno visto così l’insediamento di coloni non nativi i cui antenati, prima della colonizzazione, erano vittime a loro volta di razzie. Minacciati nel loro modo di esistenza, loro si sono rivolti ai jihadisti.
Più in generale, se osserviamo i microfenomi e non più unicamente i macrofenomi,
scopriamo che non è tanto attorno ai vecchi punti di acqua che avvengono gli scontri,
quanto attorno ai nuovi pozzi
scavati dalle ONG e alle superfici irrigate grazie alle sovvenzioni dell’Unione Europea. Alcuni progetti di bonifica realizzati dai “salvatori del pianeta” equivalgono a veri e propri fattori di guerra. Recintano zone umide ora vietate ai pastori ma che sono vitali per loro.
La religione dello “sviluppo” quindi sconvolge i sottili equilibri tradizionali di quella terra. Da qui il motivo della maggior parte degli attuali scontri etnici a Macina, Soum
e a Liptako.
Come spiego nel mio libro “Le guerre del Sahel dalle origini Oggi”, a causa dell’etnomatematica elettorale, gli Stati
del Saheliani controllati con il sostegno degli agricoltori sedentari favoriscono questi a spese dei pastori.
Le persone arricchite e sedentarie investono nel bestiame, competendo così direttamente con i pastori.
Questo è particolarmente vero nel Soum-Macina. Da qui lo scontro tra Peul e Dogon.
Il risultato di questa doppia espropriazione dei pastori comporta che il sedentario arricchito e possidente di bovini, assume come
pastori i giovani proletari Peuhl.
Pertanto, è gioco facile per i jihadisti suggerire loro di uscire dalla loro condizione umiliante con la legge delle armi. La stessa dei loro antenati quando erano dominanti.
Un altro esempio, il Soum dove, come non ho smesso di scrivere da tempo per anni, l’introduzione della coltivazione del riso avvenuta a spese della pastorizia è una delle chiavi di comprensione dell’attuale jihadismo.
Questa novità ha davvero attratto nuove popolazioni nella regione. I coloni coltivatori di riso mossi o fulsé-kurumba hanno inizialmente cacciato i pastori Peuhl dalle terre di transumanza. In nome dell’etno-matematica, perché localmente più numerosi
dei Fulani hanno combattuto contro i loro capi-clan per cambiare le regole di assegnazione del territorio.
Anche qui lo sviluppo ha quindi aperto una autostrada ai jihadisti …

http://bernardlugan.blogspot.com/

SPILLOVER, a cura di Pierluigi Fagan

SPILLOVER. (Post consigliato a grandi e piccini ) Questo è un post di servizio ovvero riepilogare i tratti salienti del libro di D. Quammen uscito sei anni fa ed oggi assurto agli onori della cronaca per via dell’argomento trattato. Il libro di Q. è l’opera divulgativa più completa esista su i virus. Ne riproduco le tesi non per consigliare la lettura del libro che per i miei gusti è stata noiosa parecchio. Ahimè ormai da parecchi anni leggo solo saggi e questo non è un saggio ma un reportage di un giornalista scientifico il cui contenuto duro sta in cinquanta pagine affogate in altre quattrocento di descrizioni di posti esotici ed indomabile spirito scientifico di questo o quel ricercatore. Ma a chi invece non dispiace questa parte preponderante, il libro piacerà e parecchio perché è interessante e scritto bene. Detto ciò passiamo al succo.

A premessa, “spillover” sta per salto da una specie animale (in genere selvatica) a quella umana di un batterio o virus, direttamente o tramite una specie intermedia. “Zoonosi” sta per malattia provocata da virus proveniente da animale, circa il 60% delle malattie infettive sono zoonosi. “Virus”sta per tratto abbastanza corto di codice genetico semplice RNA (ma ve ne sono anche a DNA), circondato da proteine ed a volte da una pellicola che tiene coeso il tutto. Un Nobel del campo l’ha definito “cattive notizie avvolte in una proteina”. Se siano “viventi” c’è dibattito perché certo ha codice genetico, si riproduce e quindi è oggetto di selezione naturale, ma non ha metabolismo. Com’è noto, si riproducono scassinando cellule dell’ospitante, penetrano, usano il DNA per replicarsi, poi escono a vanno in cerca di un’altra cellula. Finito con un ospite ne cercano un altro, entrano ed escono da questi attraverso sangue, feci, sperma, saliva, i più “evoluti” tramite goccioline emesse dal contagiato col fiato, starnutendo, tossendo. Poiché si replicano facendo occasionali errori di scrittura del codice, mutano nel tempo, sono le cose più mutevoli della biologia. Poiché sono semplici mutano e poiché mutano spesso sono molto adattivi, dovrebbero avere miliardi di anni. Possono non dare effetti, dar qualche fastidio o essere una piaga biblica. Ad una conferenza del 1997 (ricordo che il libro esce in lingua originale nel 2012, è ignaro degli eventi contemporanei), il massimo esperto in materia affermò che i virus più “pericolosi” per loro varie caratteristiche erano i coronavirus. Dopo decenni di circolazione virale, negli ultimi trenta-venti anni, i virologi di tutto il mondo hanno condiviso la comune preoccupazione per quello che chiamavano Next Big One, ovvero l’avvento dell’inevitabile Grande Pandemia il cui effetto poteva esser solo in parte la mortalità, più ampio è l’effetto sanitario (collasso del sistema sanitario), poi quello sociale ed economico, politico e geopolitico.

Il succo arriva a pagina 445: 1) Gli esseri umani hanno avuto una crescita esponenziale da 2,5 a 7,7 mld in soli settanta anni (9/10 tra trenta anni). La natura avrebbe dovuto fare lockdown per evitare la circolazione della specie infestante ma purtroppo ha seguito la strategia dell’immunità di gregge con risultati, al momento, problematici (per la natura ed in subordine per noi stessi); 2) il disordine ecologico provocato dagli uomini (disboscamento, terra bruciata, inquinamento atmosferico, allevamenti intensivi, manipolazione animali ed aumento del loro consumo alimentare, commercio di specie esotiche prelevate direttamente nel mondo selvatico) ha portato sempre più spesso a contatto uomini ed animali selvatici sia perché noi invadiamo i loro spazi, sia perché a quel punto loro si adattano a penetrare i nostri; 3) il passaggio dei virus da animali selvatici ad uomini, diretto o intermediato da specie semi-domestica, ha poi esito diverso se gli uomini contagiati vivono in villaggi al limite dello spazio selvatico o se poi arriva a megalopoli di milioni di abitanti. Il bacino di primo contagio cambia il gioco e la semplice fortuna di intercettarlo all’inizio della diffusione epidemica o meno, cambia il risultato finale passando da caso annotato in letteratura scientifica a epidemia; 4) nel caso arrivi in grandi città riproducendosi in svariate copie, dipende poi se lì c’è un aeroporto e quanto questo sia collegato al resto del mondo. Se il virus in trasferta arriva altrove ed è prontamente intercettato avremo epidemia, altrimenti pandemia. La faccenda è quindi un sistema con variabili demografiche, ecologiche, biogeografiche, di zoonosi, biologia molecolare ed ovviamente interazioni tra queste. Tante variabili? Cosa complessa!

Il virus più noto è quello dell’influenza, virus mutante in tre tipi principali che ogni anno fa il giro del mondo contagiando tre milioni di persone e uccidendone 250.000 l’anno (morti SCoV2 in due mesi: dichiarati 235.000, stimabili 400-500.000). Molto noto anche HIV la cui malattia AIDS ha fatto più di trenta milioni di morti in 38 anni. I coronavirus si sono affacciati alla nostra attenzione già due volte, SARS 2003 e MERS 2012, il primo con mortalità al 10%, il secondo al 34%, fortunatamente contenuti ai primi passi di diffusione, 774 morti il primo, 322 il secondo. Gran parte dei patogeni da raffreddore sono coronavirus. I virus sono in migliaia di tipi in natura e nel mondo umano rientrano nelle dinamiche della “teoria degli eventi” che studia i pettegolezzi, i meme, il panico, le infezioni. Le pandemie virali sono infezioni in cui al panico sanitario si somma quello dei “pettegolezzi” mainstream o su Internet, colpisse le pecore sarebbe solo sanitario. Con le pecore simbolico-parlanti la faccenda si complica ovvero la complessità aumenta.

Il libro poi illustra fattori quali il tasso di infezione, di guarigione, di mortalità, densità di soglia, super untori, competenza di serbatoio, carica virale, numero riproduttivo di base (R > o < 1 detto “erreconzero”) che confluiscono in una scienza detta epidemiologia teorica la cui nascita formale è negli anni ’50, negli studi sulla malaria. Uno dei casi peggiori non per gli effetti ma per la potenzialità, fu la prima SARS. Spuntato fuori il virus nel Guangdong cinese (più a sud di Wuhan) proveniente dai pipistrelli e per via delle strane abitudini alimentari della zona (i famosi wet market, gastronomia del selvatico detta “yewei”), arrivato a diffondersi in settanta ospedali pechinesi (gli ospedali sono il primo amplificatore di contagio sorprattutto per via della pratica di intubazione da evitare se non si hanno condizioni di massima sicurezza), poi imbarcatosi in volo da Hong Kong e sbarcato in Canada. Per fortuna fu preso all’inizio dell’evento, circolò poco e poi scomparve per mancanza di rete di replicazione. Venne cioè trattato con quello che noi chiamiamo oggi “modello Sud Corea” che però in realtà proviene proprio dalla Cina, non è un modello politico è un modello sanitario-epidemiologico che si può usare solo se si arriva all’inizio della diffusione, dopo c’è solo il lockdown. Poiché aveva mortalità del 10% si fece notare presto, paradossalmente il nostro che ha minor mortalità lo ha reso inizialmente meno evidente. Dava sintomi che potevano esser facilmente scambiati per influenza fino alla polmonite, il che lo rendeva infido poiché -come detto- per questo tipo di virus tutto sta a quanto presto lo si diagnostica. Era proprio un coronavirus il virus temuto come causa dell’aspettato Next Big One, per sue specifiche caratteristiche potenziali di diffusione e contagio, a prescindere dalla mortalità che nel caso del SC2 è infatti bassa, ma il cui tasso di infettività è alto.

Oggi noi sorridiamo degli antichi che quando ignoravano la cause materiali di qualche fenomeno inventavano Grandi Spiriti agenti sopra il teatro umano. Ma continuiamo a fare lo stesso. Oggi chi nulla sa di demografia, ecologia generale e virologica, biogeografia, zoonosi, statistica e biologia molecolare, inventa altri tipi di Grandi Spiriti agenti, cause misteriose, intrighi internazionali, cospirazioni. Non è detto del tutto queste cose non esistano, anzi esistono senz’altro, ma si dovrebbe discriminare caso per caso ove applicare queste cause ipotetiche, finezza del discorso da cui siamo molti lontani per ignoranza diffusa. Solo chi ha la conoscenza completa potrebbe passare all’analisi dell’ipotesi “cospirazione intenzionale” la quale non è negata in via di principio ma solo a coloro che partono da questa a priori senza nulla sapere del ciò su cui andrebbe applicata.

A chiusura, si potrebbero far tre considerazioni in forma di domande: 1) perché nel discorso pubblico chiunque voglia esprimere giudizi su qualsivoglia argomento sa di doversi procurare qualche conoscenza minima sullo stesso se non vuol far la figura del cretino, mentre nel caso in oggetto nessuno sa quasi niente di biologia ed ecologia e tuttavia parla di tutto ed il suo contrario? 2) perché nessun intellettuale fa notare che il problema non è se debbano decidere i biologi sulle cose sociali o i politici di biologia stante che nessuno dei due sa niente dell’altro argomento e non invece si nota la mancanza di una cultura ampia e diffusa che permetta a gli specialisti di esser utili a i generalisti e viceversa arrivando addirittura a “filosofi” che parlano di bio-politica e non sanno nulla di biologia? In filosofia, il trattato forse più importate di Politica è stato scritto forse non a caso dal primo proto-biologo dell’Antichità (Aristotele); 3) perché nessuno si domanda il perché del fatto che da più di venti anni i virologi temevano l’arrivo di una pandemia probabilmente di un qualche coronavirus e nessuno ha fatto nulla per approntare delle difese preventive?

Del senno di poi, come si dice in questi casi “son piene le fosse”. Quelle fosse che se potessero parlare chiederebbero di riaprire, non i negozi, la mente.

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