« La grande discesa della NATO, di moon of alabama

Il summit NATO di Vilnius è la condanna a morte per l’Ucraina. Niente ingresso nella NATO, niente aperture diplomatiche alla Russia, la guerra deve continuare finché è possibile e oltre. Risultato: l’Ucraina verrà devitalizzata come un dente, il suo futuro è la Libia post Gheddafi con un clima peggiore. Roberto Buffagni
12 luglio 2023

In foto – Zelenski in visita al vertice NATO

Manca qualcuno? NO? Bene.


più grande
Chi, ancora una volta, è questo tizio? Chiede cosa?


più grande
La NATO dice che un giorno inviterà l’Ucraina, resistendo alle chiamate ad agire presto

La NATO ha dichiarato martedì che l’Ucraina sarebbe stata invitata ad aderire all’alleanza, ma non ha detto come o quando, deludendo il suo presidente ma riflettendo la determinazione del presidente Biden e di altri leader a non essere coinvolti direttamente nella guerra dell’Ucraina con la Russia. …

C’è un po’ di solitudine qui:


più grande
Ora, come cazzo dovrei tirare fuori il culo da questo casino?


più grande
Fine.

Pubblicato da b il 12 luglio 2023 alle 7:19 UTC | Permalink

Conferenza stampa finale di Stoltenberg

Buon pomeriggio.

Abbiamo appena concluso uno storico vertice della NATO.

Negli ultimi due giorni abbiamo preso decisioni importanti per adattare la nostra Alleanza al futuro.

Abbiamo concordato i piani di difesa più dettagliati e solidi della NATO dai tempi della Guerra Fredda.

Abbiamo rafforzato il nostro impegno per gli investimenti nella difesa.

Abbiamo deciso di avvicinare l’Ucraina all’Alleanza e di rafforzare il sostegno a lungo termine.

E abbiamo approfondito ulteriormente i nostri partenariati in tutto il mondo.

Ho appena presieduto la riunione inaugurale del Consiglio NATO-Ucraina.

D’ora in poi, la NATO e l’Ucraina si riuniranno nel Consiglio per discutere e decidere alla pari.

Si tratta di un passo significativo per avvicinare l’Ucraina alla NATO.

Accolgo con favore anche i nuovi importanti annunci di sostegno militare fatti dagli alleati della NATO in occasione di questo Vertice.

Gli alleati hanno già fornito decine di miliardi di dollari in aiuti militari per aiutare a respingere l’invasione della Russia.

Decine di migliaia di truppe ucraine sono state addestrate ed equipaggiate dagli alleati della NATO.

E mentre l’Ucraina continua a liberare il territorio, noi saremo al suo fianco.
Per tutto il tempo necessario.

Ieri gli alleati hanno concordato un nuovo pacchetto di assistenza pluriennale per l’Ucraina, per aiutarla a passare dall’equipaggiamento e dagli standard dell’era sovietica a quelli della NATO e per rendere le sue forze pienamente interoperabili con la NATO.

L’Ucraina è ora più vicina alla NATO che mai.

Gli alleati hanno riaffermato che l’Ucraina diventerà membro della NATO e hanno concordato di eliminare il requisito di un Piano d’azione per l’adesione.

Questo cambierà il percorso di adesione dell’Ucraina da un processo in due fasi a un processo in una sola fase.

L’Ucraina sarà invitata ad aderire alla NATO quando gli alleati saranno d’accordo nel soddisfare le condizioni.

Questo è un messaggio chiaro, forte e unito del nostro Vertice di Vilnius.

Dobbiamo assicurarci che quando questa guerra finirà, ci siano accordi credibili per la sicurezza dell’Ucraina, in modo che la storia non si ripeta.

Sono lieto che molti alleati si siano impegnati a fornire assistenza a lungo termine all’Ucraina in materia di sicurezza. Ciò contribuirà a scoraggiare qualsiasi futura aggressione da parte della Russia dopo la fine di questa guerra.

Questa mattina abbiamo incontrato i leader di Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud, nonché dell’Unione Europea.

La NATO è un’Alleanza regionale, ma dobbiamo affrontare sfide globali.

Ciò che accade in Europa è importante per l’Indo-Pacifico e ciò che accade nell’Indo-Pacifico è importante per il Nord America e l’Europa.

L’assertività globale di Pechino e la guerra di Mosca contro l’Ucraina richiedono un coordinamento ancora più stretto tra la NATO, l’UE e i nostri partner indopacifici.

Condanniamo i programmi nucleari e missilistici della Corea del Nord, compreso l’ultimo lancio di missili: Questi violano molteplici risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e rappresentano una minaccia per la sicurezza regionale e globale.

La NATO sta rafforzando i legami con l’Australia, il Giappone, la Nuova Zelanda e la Corea del Sud con programmi di partenariato su misura, compreso il lavoro congiunto su questioni come la sicurezza marittima, le nuove tecnologie, il cyber, il cambiamento climatico e la resilienza.

Lavoreremo ancora più strettamente insieme, forti dell’ordine internazionale basato sulle regole.

Siamo di fronte alla situazione di sicurezza più grave degli ultimi decenni, ma gli alleati stanno raccogliendo la sfida.

La NATO è più unita che mai, forte della difesa dei nostri popoli e dei nostri valori.

Vorrei concludere ringraziando il Presidente Nausėda, il governo lituano e la popolazione di Vilnius per aver ospitato questo storico Vertice.

Attendo con ansia il Vertice di Washington del prossimo anno, in occasione del 75° anniversario della NATO.

Con questo, sono pronto a rispondere alle vostre domande.

Lili Bayer, Politico
Grazie mille. Lili Bayer di Politico. Segretario generale, dopo aver letto il comunicato, alcuni ucraini hanno espresso il timore che forse alcune capitali occidentali si stiano preparando a una situazione in cui l’adesione dell’Ucraina alla NATO sarebbe una pedina in un negoziato con la Russia. Qual è la sua risposta agli ucraini che al momento nutrono questa preoccupazione? Grazie.

Segretario Generale della NATO
Oggi abbiamo avuto un ottimo incontro con il Presidente Zelenskyy e la sua delegazione, che ha accolto con favore il messaggio molto forte degli alleati della NATO. Ha accolto con favore l’istituzione del Consiglio NATO-Ucraina e anche il chiaro impegno ad avvicinare l’Ucraina all’adesione. Non è stata quindi una questione sollevata in nessuno di questi incontri. E credo sia estremamente importante riconoscere che le decisioni prese con tutti gli alleati della NATO sono il messaggio più forte mai lanciato dall’Alleanza sull’adesione dell’Ucraina, affermando chiaramente che l’Ucraina diventerà un membro, che il futuro dell’Ucraina è nella NATO e descrivendo anche il percorso da seguire con il sostegno pratico per garantire l’interoperabilità e il rafforzamento dei legami politici con il Consiglio NATO-Ucraina, e poi eliminando i requisiti per un Piano d’azione per l’adesione. I negoziati per risolvere il conflitto in Ucraina avverranno solo quando l’Ucraina sarà pronta per i negoziati. E come abbiamo ripetuto più volte, non c’è nulla sull’Ucraina senza l’Ucraina. Quello che sappiamo è che quanto più sostegno militare forniamo all’Ucraina, quanto più territorio riesce a liberare, tanto più forte sarà la sua mano al tavolo dei negoziati. Perciò continuiamo, e il messaggio di questo Vertice e degli alleati della NATO con i nuovi annunci di missili da crociera a lunga gittata, di un maggior numero di veicoli blindati con sistemi di difesa aerea più avanzati e di addestramento dei piloti di F-16, è che li sosteniamo per liberare il territorio, in modo che abbiano una mano più forte al tavolo dei negoziati. È di questo che si tratta. Non si tratta della NATO che negozia per conto dell’Ucraina.

Oana Lungescu, portavoce della NATO
Ok, passiamo al signore in prima fila.

Ken Moriyasu, Nikkei Asia
Salve, Ken Moriyasu di Nikkei Asia. Segretario generale, si era parlato dell’apertura di un ufficio di collegamento della NATO a Tokyo, ma non è stato menzionato nel comunicato. Questo piano è morto? O c’è l’intenzione di riprenderlo verso la fine dell’anno? L’apertura avverrà in una sede e con un’opzione diversa e sappiamo che la Francia si è apertamente opposta a questo piano. Anche altri Paesi si sono opposti all’idea? Grazie.

Segretario Generale della NATO
Questa mattina ho incontrato il Primo Ministro giapponese Kishida ed è stato un incontro molto positivo in cui entrambi abbiamo riconosciuto e affermato chiaramente l’importanza di rafforzare ulteriormente la partnership, il lavoro che svolgiamo insieme, il Giappone e la NATO. Il Primo Ministro Kishida ha anche affermato chiaramente che ciò che accade in Europa è importante per l’Asia e ciò che accade in Asia è importante per l’Europa, e si è anche recato in Ucraina, visitando Kiev e dimostrando il suo chiaro impegno a fornire sostegno all’Ucraina. Oggi abbiamo anche concordato un nuovo programma di partenariato individuale tra la NATO e l’Ucraina, in cui descriviamo i diversi ambiti di lavoro in cui intendiamo approfondire la nostra cooperazione. Si tratta di cyber. Si tratta di sicurezza marittima. Si tratta di contrastare le minacce ibride, compresa la disinformazione, e di tutte le aree in cui vediamo il potenziale per una più stretta collaborazione tra NATO e Giappone. La questione di un ufficio di collegamento è ancora sul tavolo e sarà presa in considerazione in futuro.

Oana Lungescu, portavoce della NATO
Agenzia di stampa Yonhap, signora in terza fila.

Yul Rhee, Agenzia di stampa Yonhap
Sì, come intende la NATO impegnarsi maggiormente nella sicurezza dell’Indo-Pacifico per quanto riguarda la Cina e la Corea del Nord e come si svilupperà in futuro la partnership con i partner dell’Indo-Pacifico? Ha intenzione di invitarli anche l’anno prossimo?

Segretario Generale della NATO
Un messaggio molto forte e chiaro di questo incontro, e in particolare dell’incontro che abbiamo avuto questa mattina con i nostri partner, i partner dell’Indo-Pacifico, Australia, Giappone, Corea del Sud e Nuova Zelanda, è che la sicurezza non è regionale, ma globale. E quindi dobbiamo davvero fare fronte comune. I forti investimenti della Cina in nuove capacità militari lo dimostrano. Prevediamo che entro il 2035 la Cina avrà 1500 testate nucleari su missili in grado di raggiungere il Nord America e l’intera Europa, il territorio della NATO. Vediamo come la Cina si stia avvicinando a noi. Non si tratta di trasformare la NATO in un’alleanza militare globale. Ma si tratta di riconoscere che questa regione si trova ad affrontare sfide globali e l’ascesa della Cina ne è una parte e che la Cina si sta avvicinando anche in Africa, nell’Artico, ma anche cercando di controllare le infrastrutture critiche e, naturalmente, le vediamo anche nel cyberspazio. Per questo motivo, ora abbiamo diversi programmi su misura. Con tutti i nostri partner dell’Indo-Pacifico descriviamo diverse aree, ma molto spesso si tratta anche di cyber, di contrasto alla disinformazione, di sicurezza marittima, e c’è anche del personale giapponese presso il quartier generale marittimo della NATO a Northwood, nel Regno Unito. Stiamo quindi lavorando su diversi modi pratici di lavorare insieme, compresa la partecipazione dei partner dell’Asia-Pacifico o dell’Indo-Pacifico alle nostre esercitazioni informatiche. Stiamo quindi gradualmente ampliando le nostre attività congiunte, semplicemente perché la nostra sicurezza è interconnessa e il recente lancio di missili da parte della Corea del Nord lo dimostra, in quanto rappresenta una sfida per la regione, una minaccia per la regione, ma anche una minaccia per la pace e la stabilità globali. I programmi missilistici e nucleari nordcoreani e il lancio che abbiamo appena visto, ieri.

Oana Lungescu, portavoce della NATO
ARD.

Michael Preiss, ARD
Michael Preiss, ARD. Segretario Generale, se posso, due domande. La prima riguarda anche il Presidente Zelenskyy. Lei ha detto che ha accolto con favore il linguaggio del comunicato di oggi. È vero, ma ieri ha definito assurdo lo stesso comunicato. Sta forse esagerando, rischiando di alienarsi anche i Partner, che spendono molto capitale politico e capitale reale per aiutarli? Questa è la prima domanda, la seconda è molto tecnica. Se i Paesi si impegnano in accordi di sicurezza o garanzie per l’Ucraina, questo conta nell’obiettivo di spesa del 2%? Grazie.

Segretario Generale della NATO
Beh, ciò che conta per la spesa del 2% è ogni spesa che rientra nella definizione di spesa per la difesa della NATO. Quindi, se parliamo di spese militari, che sono definite come spese per la difesa, secondo la definizione della NATO, allora contano. Se non rientra in questa definizione, non conta. In un certo senso è così, indipendentemente dal tipo di contesto in cui vengono spese.

Per quanto riguarda il comunicato, credo che, ovviamente, tutti comprendiamo la situazione estremamente difficile in cui si trova l’Ucraina. È nel bel mezzo della guerra. Ci sono vittime ogni giorno, c’è una controffensiva che affronta la feroce resistenza delle forze russe, le mine antiuomo e una guerra brutale da parte russa e, naturalmente, questo è anche il motivo per cui l’Ucraina, ancora e ancora, ha chiesto maggiore sostegno e anche perché gli alleati sono intervenuti con sistemi di armamento sempre più avanzati. Me ne rallegro. Il nostro sostegno si è evoluto con l’evolversi della guerra e anche le nostre relazioni politiche si sono evolute con l’evolversi di questa guerra. Pertanto, abbiamo preso le decisioni in occasione di questo vertice. Sono lieto che il Presidente Zelenskyy abbia accolto con favore sia la creazione del Consiglio NATO-Ucraina, sia il fatto che abbiamo eliminato i requisiti per il Piano d’azione per l’adesione, avvicinando l’Ucraina alla NATO. E anche il fatto che questa sia la più forte espressione del percorso da seguire. Il messaggio unitario sull’adesione dell’Ucraina da parte di questa Alleanza.

Oana Lungescu, portavoce della NATO
Andremo con, credo, la Reuters… AP.

Lorne Cook, AP
Lorne Cook dell’Associated Press. L’intero vertice ha dimostrato quanto siate vicini a far entrare l’Ucraina nella NATO. Lei ha detto che sono necessari accordi di sicurezza credibili, in modo che questo tipo di cose non si verifichino in futuro, e alcuni dei maggiori alleati, attraverso il G7, si sono impegnati. Quanta voglia c’è all’interno della NATO di andare effettivamente in Ucraina? Che ne dite di una sorta di missione di pace, una volta risolta la questione, e di mettere effettivamente gli stivali sul terreno, se l’Ucraina può venire alla NATO?

Segretario Generale della NATO
Penso che sia sbagliato ora speculare esattamente su come ciò avverrà in futuro dopo la fine della guerra. La cosa più importante ora è garantire che la guerra finisca in modo giusto e duraturo. E ancora una volta, questo è il motivo per cui il compito più urgente, il compito più importante è il continuo flusso di supporto militare. E credo che già da molti mesi abbiamo capito che questa è una guerra di logoramento, cioè una battaglia logistica. È importante consegnare diversi sistemi d’arma avanzati, ma è altrettanto importante che, oltre a consegnare nuovi sistemi, siamo in grado di mantenere e sostenere tutti i sistemi già presenti e l’enorme quantità di munizioni, pezzi di ricambio, manutenzione, capacità di riparazione. Forse non è facile attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su questo duro lavoro quotidiano da sostenere, ma senza sostenere tutti i sistemi l’Ucraina non sarà in grado di difendere il proprio territorio e di liberarlo. Dico questo perché quando la guerra finirà e ci sarà un qualche tipo di accordo, credo che tutti gli alleati della NATO dovranno sedersi e concordare esattamente il tipo di accordo. Parte di questo sarà anche il percorso di adesione, perché abbiamo concordato che il futuro dell’Ucraina è nella NATO. Ribadiamo che l’Ucraina diventerà membro. Abbiamo effettivamente concordato strumenti concreti, strumenti politici, strumenti pratici per aiutare l’Ucraina a muoversi verso l’adesione. E poi, naturalmente, tutti capiscono che una decisione definitiva in merito non può essere presa prima della fine della guerra.

Oana Lungescu, portavoce della NATO
Colleghi, so che ci sono molte domande. Temo che dovremo concludere qui. Quindi vi ringrazio molto. Con questo si conclude la conferenza stampa.

https://www.nato.int/cps/en/natohq/news.htm?search_types=News&display_mode=news&keywordquery=Summit2023Vilnius&chunk=1

RIVOLTE FRANCESI, UNA ANALOGIA STORICA ILLUMINANTE: GUERRA D’ALGERIA, di Roberto Buffagni

RIVOLTE FRANCESI, UNA ANALOGIA STORICA ILLUMINANTE: GUERRA D’ALGERIA.
Guardando “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo si capisce subito qual è il problema: risolvibile sul piano militare, insolubile sul piano politico. In Francia si sono formati diversi ghetti, cittadelle dell’immigrazione dove la polizia non entra, che sono di fatto sottratte alla sovranità dello Stato. Prima erano soprattutto le banlieues parigine e marsigliesi, poi lo Stato francese ha cominciato a distribuire gli immigrati in tutta la nazione, appunto per mitigare questo problema, ma lo ha solo esteso. Infatti le rivolte scoppiano dappertutto, anche nelle città medie e piccole, perché lo stesso fenomeno si riproduce dovunque ci sia un numero sufficiente di immigrati che formano un ghetto a scopo difensivo e di reciproca solidarietà culturale ed etnica, espellendone i francais de souche che scappano via perché non gli va di abitare a Casablanca 2 senza la polizia marocchina che garantisce l’ordine.
In questi ghetti, ci sono due fonti di autorità e di potere: gli imam, e i trafficanti di droga. Gli imam hanno l’autorità morale (e spesso sono estremisti perché i sauditi hanno largamente finanziato l’estremismo wahabita in Europa) i trafficanti di droga hanno i soldi, le armi, il monopolio della violenza e il prestigio che il successo sociale esercita sui giovani.
Come si fa, tecnicamente, per ripristinare la legge francese e l’autorità dello Stato in questi ghetti? Il modo c’è, ed è esattamente quello rappresentato, con grande fedeltà storica, ne “La battaglia di Algeri”, bellissimo film che si guarda in tutte le Accademie militari del mondo. Lo si vede verso la metà del film, quando viene descritto come i reparti di paracadutisti rastrellano la Casbah.
Lì lo fanno per sconfiggere lo FLN (e ci riescono), ora andrebbe fatto per sconfiggere i trafficanti di droga e gli imam, e riportare la legge e l’ordine nelle banlieues.
E’ una cosa tecnicamente fattibilissima, politicamente impossibile. Un’altra somiglianza delle rivolte odierne con la vicenda algerina è proprio questa: fattibilità tecnico-militare, impossibilità politica. Quando è stato richiamato de Gaulle al governo, egli ha fatto la seguente considerazione. Se teniamo l’Algeria, dobbiamo concedere la cittadinanza francese agli algerini, non è più culturalmente possibile una apartheid imperiale con gli algerini cittadini di serie B (N.B: stessa identica situazione di Israele). Questo implica che milioni di algerini mussulmani possono entrare liberamente in Francia, e vi entreranno perché verranno chiamati come forza lavoro a basso costo, e vi potranno insediare le loro famiglie. Inaccettabile perché olio e aceto non si mescolano, perché “non voglio che Colombey-les-Deux-Eglises (dove abitava de Gaulle) diventi Colombey-les Deux Mosquèes”, perchè così creiamo le condizioni per una guerra civile su base etnica.
A questo punto de Gaulle ha bruscamente concesso l’indipendenza all’Algeria. Chi vuole tenersela dà vita all’OAS (Organisation de l’Armée Secrète, i golpisti ripresero il nome resistenziale, e molti di essi, tra i quali quasi tutti gli ufficiali che sconfissero lo FLN ad Algeri, avevano in effetti combattuto nella resistenza francese). Si noti bene che l’OAS voleva concedere la piena cittadinanza francese a tutti gli algerini. Quando de Gaulle concede, bruscamente e di sorpresa, l’indipendenza all’Algeria, l’OAS (diversi reparti dell’esercito francese con alla testa ufficiali superiori + i pied noirs + varie formazioni politiche di destra) tenta il colpo di Stato contro di lui. Fu una cosa molto seria, in confronto Prigozhin fa ridere; cerca anche di farlo fuori (attentato fallito del ten.col. Bastien-Thiry, poi fucilato. De Gaulle rifiuta la grazia perché Bastien-Thiry gli ha sparato mentre in macchina c’era anche sua moglie, Tante Yvonne: attentato non cavalleresco, vai al muro Jean-Marie, e ringrazia che ti fucilo in quanto militare e non ti ghigliottino come un criminale qualsiasi. 🙂
Per ora la rivolta francese è disorganica perché non ha (ancora) un obiettivo politico chiaro, mentre la rivolta FLN ce l’aveva eccome (indipendenza dell’Algeria).
Ma a) l’obiettivo politico chiaro potrebbe darselo, per esempio la partizione del territorio francese (Hollande ha detto, dopo la sua presidenza, “andrà a finire con una partizione” e in effetti è logico b) anche senza un obiettivo politico queste rivolte destabilizzano lo Stato e la società francesi, guerra civile a bassa intensità, porzioni di territorio sottratte alla legge.
Aggiungi le diverse dinamiche demografiche tra immigrazione e francais de souche, e vedi dove si va a finire (un brutto posto). Sintesi gli immigrati SONO TROPPI.

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Commedia in più atti, di Roberto buffagni – L’INQUIETANTE AZIONE A DISTANZA, di Pierluigi Fagan

Tiro a indovinare sul fantastico episodio comico-carnevalesco appena conclusosi in Russia.
Prigozhin, un ibrido russo tra capitan Fracassa e Pulcinella degno della penna di Gogol’, si gonfia come un ranocchio per l’importante ruolo svolto dalla Wagner (che lui non dirige ma rappresenta e possiede) nella guerra in Ucraina. Inizia una faida in pubblico, con toni da pescivendola ubriaca, contro Shoigu e Gerasimov, accusandoli di tutto e di più. I due bersagli non rispondono pubblicamente per non dargli importanza, ma avviano la procedura per togliergli il pulpito da cui gridare a vanvera: integrazione della Wagner nell’esercito regolare.
Al dunque-ultimatum, Prigozhin rifiuta, e avvia un’azione dimostrativa. Non ha intenzione di fare un colpo di Stato, vuole solo fare un’escalation nella trattativa, persuaso che se muove i suoi soldati, il presidente Putin, costretto a scegliere tra gli eroi di Bakhmut e i corrotti e antipatici Shoigu e Gerasimov, sceglierà gli eroi popolari. Più o meno, come quando in una serrata trattativa uno tira fuori la pistola e non te la punta addosso, ma la posa sul tavolo e ti sorride.
Alla gran parte dei militari della Wagner Prigozhin racconta balle, NON dice che cosa ha intenzione di fare. Lo dice solo ai fedelissimi, quelli che probabilmente si sono intascati larghi bonus dai traffici in cui Prigozhin è maestro da sempre. Questi ultimi sono poi i 5.000 circa che sono partiti per Mosca.
Irrompe la realtà: l’adulto nella stanza, il presidente Putin, emette un comunicato inequivocabile: questa è insurrezione armata contro lo Stato in tempo di guerra, insomma è tradimento, guai a voi.
Travolto dalla dinamica che ha innescato, Prigozhin continua la sua farsesca azione sovversiva, ed emette comunicazioni sempre più assurde e contraddittorie. Le personalità che nei mesi precedenti lo avevano o incoraggiato o lasciato fare per loro ragioni (rivalità assortite nella classe dirigente russa), spariscono come nebbia al sole.
Prigozhin si accorge di essere rimasto solo come un cane in chiesa. Putin, dimostrandosi un grande statista e un uomo di raro equilibrio psicologico, gli fornisce una via d’uscita per evitare lo spargimento di sangue tra commilitoni in guerra, nonostante che ciò danneggi seriamente, almeno nel breve periodo, la sua immagine (chi comanda in Russia? Putin ha la situazione sotto controllo?).
Non credo che Prigozhin abbia concordato la sua azione con servizi segreti stranieri. È probabile che i servizi d’informazione stranieri abbiano avuto sentore delle sue intenzioni, e lo abbiano incoraggiato INDIRETTAMENTE. Il colpo di Stato aveva probabilità zero di riuscire: solo un pazzo tenta un colpo di Stato in un paese che sta VINCENDO una guerra. Era però ovviamente utile ai nemici della Russia il danno politico all’immagine internazionale della Russia che l’azione inconsulta di Prigozhin avrebbe provocato, e utile la distrazione dal fallimento catastrofico dell’offensiva ucraina.
La vicenda si è chiusa al meglio. Il danno politico è serio ma non irreparabile. L’ aspettativa di vita di Prigozhin non è migliorata. Il danno politico subito dalla Russia e dal suo presidente è serio ma non irreparabile. Nel prossimo futuro assisteremo a un giro di vite legale, che aumenterà i poteri di controllo dell’esecutivo, e a una serie di “spostamenti laterali” di personalità politiche e militari che non hanno fatto quel che dovevano fare. I nostalgici dell’URSS e dello zarismo avranno diverse soddisfazioni.
Sintesi: con la Russia non ci si annoia MAI.
Invito a leggere anche la bella analisi di Pierluigi Fagan, che ho appena letto e condiviso sulla mia pagina. Il “colpo di Stato” tra molte virgolette si Prigozhin è stata una cosa semiseria, e qui la racconto sorridendo; ma cose più serie avvengono all’interno della classe dirigente russa, dove è in gioco la successione al presidente Putin. Pierluigi le mette in luce da par suo.
L’INQUIETANTE AZIONE A DISTANZA. [O Wagner ed il Crepuscolo degli dei] Quando Newton osservò precisi movimenti nella rotazione dei pianeti intorno al Sole, dedusse una legge, la legge di gravità. Questa si basava su una “forza” ovvero qualcosa che attirava i pianeti tra loro evitando partissero per la tangente come in una giostra impazzita. Pur apprezzando con grande riconoscimento l’individuazione della sua legge, molti rimasero perplessi su questa “forza” misteriosa e definirono la cosa come una “inquietante azione a distanza”. Puzzava di metafisica più che di fisica.
Un paio di secoli dopo, Einstein, spiegò la faccenda in altro modo. Le masse curvano lo spazio come una biglia di ferro farebbe su un telo teso (lo spazio, anche se la metafora è in 2d e lo spazio è in 3D, anzi in 4d ma lasciamo da parte il tempo). I pianeti ruotano intorno al Sole e per la sola energia cinetica effettivamente schizzerebbero via per la tangente, ma, essendo lo spazio curvato dalla massa del Sole, sono altresì risucchiati verso di lui. La faccenda quindi è in equilibrio, i pianeti non schizzano via, non precipitano verso il Sole e noi siamo qui a poterne parlare.
La storiella ci serve per segnalare come la nostra ricerca delle cause, sia condizionata dall’inquadratura. Se non metti lo spazio o non consideri lo spazio una cosa, non puoi che dedurre una “forza” misteriosa che agisce a distanza, se metti lo spazio e lo consideri una cosa, c’è la sua curvatura e tutto torna nei meandri della semplice fisica.
Così, se non consideri lo stato del potere in Russia, stato che va ben oltre Putin a dispetto delle stupidaggini propagate dalla narrativa che doveva supportare la storiella “autocrazie monolitiche” vs “democrazie pluraliste”, quello di Prigozhin è un atto mosso da inquietanti forze di azioni a distanza (Americane? Britanniche? Ucraine? Etc.). Ne consegue che Prigozhin, essendo mercenario, avrà preso i soldi (ma già ne aveva un bel po’) per produrre chissà quale risultato poi. Arrivare a Mosca con le sue truppe scelte? Cioè assaltare il centro di una potenza multi atomica con almeno 800.000 affettivi regolari al centro di una rete di alleanze internazionali, con i vantati 25.000 spartani (sicuri? ma chi li ha contati?)? Diventare Zar? Diventare ministro al posto di Shoigu? Mostrare le debolezze di Putin per poi ripiegare a Minsk dove fra qualche mese berrà il famoso brodino al polonio stirando le zampe ma con un sacco di soldi sotto il materasso? È evidente che molta gente abbia l’immaginario condizionato dai fumetti e da Netflix e piuttosto che avventurarsi a scrivere di politica farebbe meglio a concentrarsi su Zerocalcare e fare “critica culturale” che almeno è più innocua.
Se consideri lo stato del potere in Russia, può darsi la faccenda diventi un po’ più complicata ma più realistica. Partiamo dal “potere di Putin”. Ma davvero qualcuno pensa che un uomo solo abbia il potere di soggiogare un primo livello che domina un secondo, che domina un terzo e via giù fino alla massa? O forse c’è una costruzione in equilibrio di forze di cui la stella centrale è l’equilibratore, equilibratore per altro necessario al funzionamento di tutto il sistema di cui le parti sono appunti parti?
Putin annuncia che non si presenterà alle prossime elezioni del 2024 e lo fa mesi e mesi prima del 24 febbraio dell’anno scorso. I motivi sono vari ma tutti solidi, tutti gli analisti di ogni parte del mondo sapevano questo, non era in discussione. Si capisce che normalmente i più si occupano dei casi propri e non stanno certo lì a seguire le questioni di politica interna russa. E si capisce che i più come non pensano al passato che ignorano non pensano neanche al futuro e quindi non notano che manca un anno alle elezioni presidenziali russe, sempre che si tengano? Chissà, magari a qualcuno a Mosca premeva render noto a Putin che quelle elezioni si dovranno tenere, guerra o non guerra, perché i pretendenti al trono (le parti) sono lì in fervida attesa per giocarsi la partita; quindi, la partita si dovrà giocare o salta tutto il gioco.
Prigozhin ha agito senz’altro per suoi personali motivi di sopravvivenza pratica, ma nessun analista ha mai pensato fosse un pazzerellone, gli si attribuiscono lucida razionalità e ben sviluppato senso strategico che in genere comporta anche una notevole furbizia. Non si può escludere che abbia mandato e ricevuto segnali a qualcuno nell’altro schieramento (Britannici? Ucraini?). Ma propri perché lucido e razionale, non potete pensare che un tipo così si metta a marciare su Mosca per diventare Zar o ministro della Difesa, magari pagato dalla CIA, senza scadere nel format Netflix, irrealistico, favolistico, inconsistente. Forse così ragionano i commentatori sulla 7, pagati per fare intrattenimento, non certo Prigozhin. Senza la fisica del potere vale qualsiasi storiella. E’ proprio per non mostrare la fisica pluralista del potere in Russia che i commentatori televisivi inventano storielle (Putin è pazzo, Putin vuol essere Zar, Putin ha il cancro, Putin è malvagio, Putin è un Hitler che ce l’ha fatta) che inducono ad inventare contro-storielle.
Ma se mettete Prigozhin dentro la dinamica della successione al potere russo la cosa prende più senso, forse la fisica del potere ci può aiutare Lì ci sono nazionalisti puri e duri, ma poi da vedere se di ultradestra o sinistra, neoconservatori ortodossi, slavofili, asiatisti multipolaristi, filo-tedeschi in gramaglie, oligarchi (gente che sta perdendo vagonate di soldi, in molti casi), politici filo occidentali ma non tanto per ragioni politiche bensì per volgari ragioni di college per i figli e ville di lusso in posti caldi ed eleganti che piacciono a tutti, più che dacia vista Caspio direi, militari (importanti in Russia, ma con molteplici idee e sfumatura), gente con semplice volontà di potenza esuberante (ce ne è in politica ovunque nel mondo), ma poi anche quelli che pensano che i russi siano gli europei orientali e non certo gli asiatici occidentali, che si disgustano all’idea di stringere la mano di un pakistano o un tagiko delle steppe ed in fondo disprezzano anche un piccolo cinese giallo e incomprensibile, nonché i liberali “perché non diventiamo come gli europei veri?”, più quelli che vorrebbero la Russia così o la Russia colì e chi più ne ha più ne metta, inclusi quelli che provengono da più di 200 etnie e vorrebbero più posti al sole di quelli di San Pietroburgo, i boiardi di Stato (tra cui Gazprom che pare Putin abbia autorizzato poco tempo fa a farsi una sua forza armata modello Wagner), poi quelli che in Ucraina vorrebbero più guerra tra cui Prigozhin fino all’altro ieri o niente guerra come Prigozhin ieri, se mettete tutto queto allora forse il pezzo da matto di Prigozhin che non è un cuoco ma uno che ha fatto i soldi son la ristorazione tanto quanto c’è chi li ha fatti con le palazzine e le televisioni, porta a pensare che c’è un pezzo di storia che né conosciamo, né possiamo conoscere visto che qui nessuno ha interesse ad indagare e loro sono comunque ben contenti di celare.
Prigozhin e Putin o Shoigu, dato per successore certo da tutti gli analisti occidentali ben prima dell’inizio della guerra in Ucraina, sono i pianeti del sistema visibile. Ma per capire forse ciò che sta succedendo in Russia conviene allargare l’inquadratura e se non c’è un Einstein a spigarci la geometria non euclidea dello spazio politico russo, dobbiamo portare pazienza e dire “non so”. Ma almeno so di non sapere, che è già un bel passo avanti, di questi tempi.
In fondo, il “potere” in Russia funziona esattamente come da qualsiasi altra parte nel mondo, cambia solo il format con cui si esprime la sua fisica.
Può darsi Prigozhin e chi con lui abbia perso, magari ieri Fsb s’è presentata a casa di qualcuno e non certo col sorriso, non lo sappiamo e chissà se mai lo sapremo. L’hanno mollato e Luka (su mandato di Putin) ha fatto veramente da intermediario per salvare Wagner che è una struttura importante per la geopolitica russa (vedi Africa). O forse Prigozhin e chi con lui ha vinto e Putin, nei prossimi giorni, settimane, mesi, mostrerà che la gara alla successione si terrà (chissà, magari nei giorni scorsi al Cremlino girava la voce che non si poteva andare ad elezioni stando in guerra), nulla è deciso (da lui) e lui si limiterà a fare da arbitro ed equilibratore del gioco che è poi il bene comune di tutte le parti in competizione. O forse ha pareggiato, Putin ha preso qualche impegno ma chissà poi se lo manterrà; tuttavia, prima di mettersi davvero e sparare conveniva a tutti passare ad altra metrica e riportare tutto sotto il velo di Maya che “il mondo ci guarda” tra cui gli alleati, ieri comprensibilmente nervosi, inclusi quelli gialli. Troppa competizione può rompere il trono per cui si compete, a chi conviene? Pare neanche a Washington convenga trovarsi con un punto interrogativo in cima a 1500 testate nucleari operative.
Ansia da “ma come è andata davvero?”? Contenetela, è cattiva consigliera della cognizione. Un consiglio? Non andate troppo vicino alle notizie, per lo più sono false o distorte, altre decisive, mancano.
Quindi, si vedrà. Dispiace, ma anche su Netflix quando sembra che si stia arrivando al finale della serie, ti rimandano ad una nuova stagione. I processi politici e la storia uguale.

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

 Il demone nella sacra narrazione dell’America, di MICHAEL VLAHOS A cura di Roberto Buffagni

Il bellissimo saggio di Michael Vlahos, studioso di storia militare, strategia, antropologia, che qui traduciamo e pubblichiamo, rischiara uno degli aspetti più enigmatici della presente svolta storica. In questo scritto, con il suo ricchissimo corredo di note, Vlahos indaga le radici invisibili dei gravi errori strategici commessi negli ultimi trent’anni dalla potenza egemone occidentale, gli Stati Uniti d’America; e le cerca dove è meno facile scorgerle: nel mito fondativo americano, nella religione civile d’America, nei moventi più profondi e meno consapevoli della psiche americana.

Ne raccomando l’attenta e paziente lettura, e suggerisco al lettore di dedicare tempo anche ai numerosi rinvii ai testi citati in nota, spesso illuminanti. È tempo ben speso. Buona lettura.

Roberto Buffagni

 

 

 Il demone nella sacra narrazione dell’America

L’America è una religione infiammata da un’apocalisse eternamente ricorrente, e la guerra è il suo rituale di purificazione.[1]

 

di MICHAEL VLAHOS[2], 3 giugno 2023

 

 

L’America è una religione. Il 4 luglio 1776, gli Stati Uniti furono battezzati con queste parole: “Ci impegniamo reciprocamente con le nostre vite, le nostre fortune e il nostro sacro onore“. Con questo giuramento[3], una nazione è nata e ha inaugurato il mito del suo ingresso nel divenire storico. Però, i Fondatori – i nostri “creatori” – hanno immaginato più di una nazione. Hanno anche abbozzato l’arco narrativo di un viaggio divinamente eroico, e designato gli Stati Uniti come il culmine (futuro) della Storia.

Questa è la sacra narrazione dell’America. Sin dalla loro fondazione, gli Stati Uniti hanno perseguito, con ardente fervore religioso, una superiore vocazione a redimere l’umanità, punire i malvagi e battezzare l’Età dell’Oro sulla terra. Mentre Francia, Gran Bretagna, Germania e Russia si aggiravano per il mondo alla ricerca di nuove colonie e conquiste[4], l’America si è costantemente attenuta alla sua originale visione della propria missione divina quale “Nuovo Israele di Dio”[5]. Mentre le narrazioni mitiche delle altre grandi potenze erano crudelmente egocentriche, la Scrittura americana era – e rimane tuttora – “Servire l’Uomo”[6].

Così, tra tutte le rivoluzioni scatenate dalla Modernità, gli Stati Uniti si dichiarano, nella loro stessa Scrittura, il precursore e l’apripista dell’Umanità. L’America è la nazione eccezionale, l’unica, la pura di cuore, la battezzatrice e la redentrice di tutti i popoli umiliati e oppressi: L'”ultima, la migliore speranza della Terra”[7].

Questo è il catechismo della Religione Civile Americana[8]. Agli occhi del mondo, tutto questo può sembrare un vano rituale di autoglorificazione, eppure la Religione Civile è l’articolo di fede nazionale degli americani. È la Sacra Scrittura, che prende forma retorica attraverso ciò che gli americani considerano la Storia. Eppure questa visione della storia è meglio compresa se la si intende come un corpus di letteratura sacra, per molti versi paragonabile all’Islam.

Al posto del Corano, l’America ha la sua Dichiarazione di Indipendenza e la sua Costituzione. Al posto della Sira (السيرة النبوية), degli Hadith (حديث) e dei Tafsir (تفسير), l’America ha i Federalist Papers, le omelie presidenziali a partire dal Discorso di addio di Washington[9], e le tradizioni, le storie e i detti dei Fondatori, fino alle interpretazioni moderne offerte dai “grandi americani” che si sono succeduti. Invece del Fiqh (فقه) e del suo sistema di Madhhab (مذهب), l’America ha le sue scuole di giurisprudenza che interpretano e traducono – in una sorta di Ijtihad (اجتهاد) – le sue scritture nel corretto “modo di agire” (cfr. Madhhab).

Oggi possiamo davvero comprendere il pensiero e l’azione americani solo attraverso la lente della religione. L’America è infatti una religione intransigente come l’Islam[10]. Per esempio, si può pensare che agli americani manchi la Shahada (ٱلشَّهَادَةُ), o “la testimonianza” della fede, ma non è passato molto tempo da quando gli studenti di tutte le scuole pubbliche americane recitavano quotidianamente il Pledge of Allegiance (“il giuramento”). Non solo l’inno nazionale americano è un puro inno sacro, ma le sue parole sacre – Libertà e Democrazia – sono cantate ritualmente dal suo popolo proprio come ʾIn shāʾ Allāh dai musulmani.

La nostra letteratura sacra definisce chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando, e, come per la Ummah islamica (أُمّة), costituisce l’alveo del nostro Io nazionale. Inoltre, come l’Islam, anche la missione dell’America è “giustamente” guidata, e sarà compiuta solo quando tutta l’umanità sarà riunita nel suo abbraccio “democratico”. Proprio come il Dar-al-Islam, nel suo periodo di massimo splendore, spingeva incessantemente per una comunità globale “con il fuoco e la spada”, gli Stati Uniti hanno perseguito un universalismo non meno incessante nel loro secolo di apogeo.

 

La nostra letteratura sacra definisce l’identità americana come un grande arco narrativo, donato da Dio, che si realizza attraverso una serie ricorrente di storie che illustrano epifanie del sacro continuamente ascendenti: un ciclo storico di lotte estatiche che danno forma al mitico passaggio verso l’inverarsi storico dell’America, e che culminano in un’apocalisse – “rivelazione” o “svelamento” (in greco antico apokálupsis). All’interno di questi cicli apocalittici, il significato nascosto dell’arco narrativo sacro americano si rivela solo attraverso la realizzazione della democrazia universale. Come l’Islam, anche la religione americana culmina in un’apocalisse[11].

Come tale, l’arco narrativo americano può realizzarsi solo attraverso la battaglia. Ogni “momento culminante” nella narrazione sacra americana è stato realizzato attraverso il sacrificio reciproco e il potere trascendentale della vittoria in battaglia. Dal momento della sua fondazione a oggi, la guerra è stata l’incudine dell’America, e nel sangue essa è stata divinamente temprata[12].

Non solo ogni grande guerra americana è considerata un punto di riferimento per il progresso verso un Graal millenaristico, ma ogni generazione americana è stata incoraggiata a spostare in avanti il metro di misura dell’avanzamento. Anche se non tutte le lotte sono state coronate da successo, ogni spinta ha costituito un trampolino di lancio per il prossimo grande passo. La narrazione sacra americana è così onnipresente e onnipotente che, in oltre 250 anni, non c’è stata alcuna pausa storica significativa nell’inflessibile spinta americana verso la Jihad.

La narrazione sacra governa gli americani: governa ciò che pensano, dicono e fanno. La domanda è: chi controlla questa narrazione sacra? Naturalmente, il Vangelo americano è una creazione del popolo americano. Per quanto crediamo – anche se spesso in senso figurato – alla sua ispirazione divina, la “buona novella” dell’America è una nostra creazione. E proprio come per la Costituzione, in teoria abbiamo il potere di emendarla. Tuttavia, dato che l’imperativo dell’esegesi è scolpito nelle tavolette di Ur della religione civile americana, il settarismo diventa inevitabile.

La religione civile americana è inestricabilmente legata alla Riforma, al cristianesimo calvinista e alla sanguinosa storia del protestantesimo, con la narrazione sacra dell’America plasmata e battezzata attraverso il primo e il secondo Grande Risveglio del Paese. Sebbene la sua lettura scritturale sia divenuta laica nell’era del Progresso, la religione americana è rimasta legata alle sue radici formative. Infatti, anche la nostra contemporanea “Chiesa di Woke”[13] non può sfuggire alle sue origini cristiane calviniste.

Più volte nella storia americana, sette autoctone hanno cercato di “revisionare” la narrazione sacra, forse addirittura trasfigurandola. Per di più – dato il messianismo jihadista che fa da cornice alle Scritture nazionali americane – questo percorso revisionista deve passare attraverso la valle di lacrime dell’effusione di sangue fraterno e delle guerre civili.

L’apocalisse che porta il Millennio promesso all’umanità deve necessariamente riflettere l’anelito apocalittico del Vangelo americano: se siamo caduti nella corruzione, dobbiamo essere purificati e resi di nuovo degni di agire come Redentore del Mondo. Per i suoi peccati, una narrazione sacra corrotta non può trovare espiazione. Semmai, un Nuovo Testamento inossidabile deve sostituire il Vecchio Testamento arrugginito. La rinascita esige quindi il passaggio attraverso il fuoco purificatore della guerra. In effetti, l’ossessione per il potenziale purificatore e consacrante delle prove e dei terrori insiti nella guerra è il demone che si nasconde nei meandri della nostra letteratura sacra.

Questo invasamento demoniaco della guerra si radica nella nascita stessa dell’America come nazione. La Rivoluzione americana costrinse la nuova nazione a cacciare i propri fratelli e ad abbandonare l’antica parentela con la Gran Bretagna. Persino il codice sorgente della narrazione sacra dell’America – la Dichiarazione – è stato predeterminato in conformità alla trasfigurazione dei nostri (ex) parenti in (d’ora in poi) estranei e alieni, se non nemici. L’indipendenza richiedeva una metamorfosi. Il passaggio alla “rivelazione” passava attraverso il fuoco della guerra esistenziale intestina.

La Dichiarazione prefigurava anche la seconda possessione demoniaca dell’America. La guerra civile americana si sviluppò da una vistosa spaccatura settaria[14] che andò sempre più fuori controllo dopo il 1815. Due sette neocristiane evangelizzatrici ferocemente diverse, eppure inquietantemente simili, portarono a uno scisma nella religione civile[15] che assunse l’intensità appassionata delle guerre di religione europee (1545-1648)[16].

Il terzo invasamento dell’America ad opera della guerra santa si trasformò in un’apocalisse nientemeno che globale. Qui gli Stati Uniti non dovettero affrontare sette rivali all’interno della Religione Civile Americana, ma piuttosto il Demiurgo (gnostico) stesso, in una serie di sue manifestazioni tenebrose – fascismo, nazismo, comunismo – che potevano essere sconfitte solo dalla Luce.

Dal 1945, gli Stati Uniti hanno spesso confuso le battaglie neo-settarie affrontate in patria con la loro jihad universale per elevare e redimere l’umanità all’estero. Il nucleo della narrazione sacra dell’America – la sua autocomprensione come nazione divinamente ordinata, universalista e apocalittica – è, nella sua intensa religiosità, preoccupante. Il fatto che gli americani siano del tutto ignari di questo zelo religioso è inquietante. Ciononostante, questa narrazione sacra ha guidato gli americani di ogni generazione, spingendoli a ricreare e rivivere il loro arco narrativo originale – un eterno ricorso che oggi ha ramificazioni globali.

Questo ci porta alla nostra situazione attuale. Dal 2014, una nuova setta in rapida crescita – la “Chiesa di Woke” – ha cercato di trasformare e possedere pienamente la religione civile americana, per regnare come confessione religiosa sua erede. Ironicamente, il fervore del suo evangelismo incanala il post-millenarismo del Primo Grande Risveglio, il cui messianismo è stato codificato nel Novus Ordo Seclorum[17] (Nuovo Ordine dei Secoli).

Come ha preso forma la religione civile americana? Qual è l’origine del momento critico in cui ci troviamo oggi?

 

I quattro pilastri della rettitudine americana

La religione civile americana è guidata da quattro convinzioni e atteggiamenti di fondo: 1) missionarismo, 2) messianismo, 3) manicheismo e 4) millenarismo. In primo luogo, si ritiene che gli Stati Uniti siano in missione per conto di Dio, come ci ricorda Elwood Blues[18]. L’America è stata incaricata da Dio (o dalla Provvidenza[19]) e quindi porta con sé la Sua autorità, con il popolo americano che funge da agente divino. Con la fondazione dell’America, questa voce divina – che si leva al di sopra e dall’esterno, ma che sorge anche dall’interno – diviene immanente nei Fondatori dell’America e nei suoi “eletti”.

Il secondo motore della teologia americana è il suo idealismo messianico, radicato in una visione escatologica dell’esistenza. Si ritiene che l’America sia stata scelta – in quanto “nazione eccezionale” – per sollevare gli umiliati e soccorrere gli oppressi. L’America è la Nazione Redentrice[20] per eccellenza. La “salvezza” del mondo è affidata all’America, che deve assumersi il compito di rovesciare e punire i malvagi, di inseguire e abbattere il Male stesso. Questa certezza della propria unzione sacra, del proprio ruolo nel “giudizio finale” rende gli americani particolarmente inclini ad adottare una mentalità “bianco o nero”. L’America rappresenta la Luce, che lotta contro l’eterno “Lato Oscuro”[21] – questo è il terzo pilastro e il fondamento del manicheismo americano.

Infine, come città splendente su una collina[22], l’America rappresenta la nazione scelta da Dio, il cui popolo ha il sacro compito di mantenere la promessa postmillenaria del Regno dei Cieli sulla Terra. L’America guiderà quindi l’Umanità attraverso un mitico passaggio verso i benedetti “ampi e soleggiati altipiani”[23]. Questi quattro quadri mentali sono inestricabili dal nostro stesso essere americani e costituiscono il fulcro della nostra visione del mondo ancora oggi.

Prima di esaminare in modo più dettagliato questi pilastri della religione civile americana, una parola di cautela. Tutte le nazioni hanno dei miti fondativi e – in modo pesante o più leggero – sono tutte governate da essi. L’America non è unica tra le nazioni. Tuttavia, la sua narrazione sacra è davvero diversa, e rappresenta una forza potente nella psiche nazionale. Questa narrazione sacra non può catturare pienamente la ricchezza e la diversità di un ethos originale, un tempo radicato in antiche tradizioni. La cultura americana rimane un terreno di intrecci di tradizioni popolari e di visioni del mondo che ricordano ancora i suoi antecedenti storici. Alcuni li hanno definiti “il seme di Albione”[24].

Eppure, più volte, élite troppo zelanti, spinte da programmi estremi e utopistici, sono riuscite ad appropriarsi della Religione Civile e l’hanno piegata alla loro fede e alla loro visione del mondo universalistica, sebbene fosse in contrasto con le tradizioni normative contrastanti dell’American way of life.

Tuttavia, ogni generazione americana, dalla fondazione in poi, è stata governata da una religione civile che ne formava il contesto culturale. Se la narrazione sacra dell’America è stata vista e interpretata attraverso il prisma di una corrente di pensiero dominante – che fa capo più a Thomas Jefferson che a George Washington – ha comunque catturato l’identità americana, anima e corpo. Come ha fatto un caravanserraglio di tradizioni popolari, abitudini e retaggi coloniali a trasformarsi nella religione civile americana, intransigente e assolutista, che conosciamo oggi?

Il tempo di passione della nascita d’America – lo sconvolgimento rivoluzionario avvertito da ogni cittadino – ha offerto a una minoranza fanatica[25] lo scenario perfetto per catturare l’immaginazione americana con la promessa di un “progetto” eterno, il crogiolo perfetto per realizzare una metamorfosi nazionale.

Quindi, dalla caotica selva di possibilità di questo ambiente, una nuova religione e la sua narrazione sacra furono in grado di cristallizzarsi, creando al contempo le condizioni per fare proselitismo in una società coloniale più passiva e politicamente agnostica. Una minoranza di zeloti, che nelle generazioni a venire verrà ricordata come “I Figli della Libertà”, divenne il cocchiere in incognito della Rivoluzione.

Dall’America tardo-coloniale ai giorni nostri, i veri credenti hanno “guidato” ogni arco narrativo apocalittico americano. Come nella maggior parte delle rivoluzioni della storia, i pochi ardenti sono gli evangelisti che danno forma al caos del cambiamento, iniettando la loro rettitudine nelle arterie spirituali dei molti.

 

  1. L’America missionaria

La missione americana sgorga da una sorgente divina. Nel corso del tempo, l’alleanza originaria della comunità puritana con Dio[26] si è trasformata nella direttiva principale dell’America. L’America è diventata così “una città su una collina, alla quale gli occhi di tutti i popoli” – non solo in America ma in tutto il mondo – guardano con meraviglia. Lo Stato Missionario che ne deriva ha una sola brama: bagnare tutti i popoli nell’acqua battesimale della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza.

Questa missione americana è stata risvegliata e ribattezzata quattro volte. Il primo e il secondo “Grande Risveglio” furono eventi nazionali drammatici, galvanizzati dal fuoco spirituale del revivalismo cristiano. Precedendo la Rivoluzione americana, il Primo Grande Risveglio[27] elettrizzò il grido di “Libertà” con un taglio evangelico[28], che riecheggiava la squillante profezia di Jonathan Edwards.

 

Il Secondo Grande Risveglio diede vita a nuove sette americane, come la Christian Science[29], gli Shakers[30] e la Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni[31], e guidò i movimenti sia pro sia contro la schiavitù verso l’evangelizzazione settaria, con la piena aspettativa di una lotta apocalittica. Il periodo della Ricostruzione che seguì era finalizzato al compimento di una narrazione salvifica che non avrebbe semplicemente riscattato gli schiavi, ma anche lavato i peccati dell’America stessa – un secondo battesimo nazionale[32].

Le epifanie nazionali cristiane furono poi seguite da un altro tipo di terzo grande risveglio, anche se non fu mai formalmente chiamato così. Tuttavia, dalla corruzione della Gilded Age e dal purgatorio della società industriale, sorse un movimento chiamato Vangelo sociale,[33] per aiutare gli americani a scoprire una nuova promessa di salvezza in questa vita. Questo movimento, a sua volta, animò una causa Progressista emergente: divenire levatrici del nuovo, in modo che il vecchio cristianesimo potesse dare vita a una nuova visione secolare che rimanesse comunque fedele a se stessa[34]. I progressisti, affatto laici, accettarono volentieri la benedizione cristiana su un’impresa per nulla interessata alle vecchie radici cristiane[35].

Nonostante l’apparente rifiuto di ogni ascendenza cristiana, tuttavia, il rituale e la dottrina di questa nuova incarnazione della religione civile si sarebbero attenuti alla forma originale e sacra del calvinismo. Solo che da allora in poi, tutte le apocalissi americane avrebbero potuto comandarci e ipnotizzarci con una voce laica.

La Missione Americana mescola, così, la redenzione con la conversione. I proclami sulla volontà di rendere il mondo “sicuro” – come sostenuto da Woodrow Wilson[36] nel suo discorso sulla Dichiarazione di Guerra, o, nel nostro tempo, sulla Responsabilità di Proteggere (R2P) di Samantha Power[37] – sono fuorvianti. In realtà, l’invocazione retorica di un “mondo sicuro e protetto” rappresenta una investitura divina americana, e il suo vero obiettivo è: convertire tutte le nazioni e i popoli alla religione americana.

Questo arco narrativo è iniziato con il Secondo Grande Risveglio, quando i missionari cristiani “procedettero dagli Stati Uniti verso i quattro angoli della terra”[38]. Negli anni Novanta del XIX secolo, quando lo Stato-nazione si proiettò sul mondo, lo Stato aveva srotolato nuovi stendardi missionari e nuovi catechismi, ma parlando con voce laica: per esempio, “conversione attraverso l’istruzione”, “educazione alla democrazia” e “civiltà americana”.

 

In effetti, la Commissione Taft, fissando la bussola culturale del dominio americano sulle Filippine, fece dell’educazione alla democrazia e alla civiltà americana il progetto di nation-building[39]  dell’epoca. Furono inviati centinaia di insegnanti americani (i “Thomasites”) e l’esercito americano costruì migliaia di scuole. Così, la costruzione di scuole divenne il tropo eroico della costruzione della democrazia, una “parola fatta carne” ufficiale pronta ad ispirare le successive missioni di “nation-building” in Iraq e Afghanistan.

Così, l’appello della Missione americana si è evoluto dalla redenzione di se stessi alla redenzione del mondo. Inizialmente guidato dal revivalismo cristiano, lo zelo missionario dell’America si è presto orientato verso un’alleanza secolare, ma ancora sacra (i 14 Punti di Wilson fanno uso esplicito di questa parola) con il mondo in quanto tale. L’autorità di questa alleanza implicita è ancora oggi in pieno vigore. Nessun’altra religione mondiale ha fatto un proselitismo più aggressivo con le sue dottrine.

 

  1. L’America messianica

Il messianismo americano incanala il potere delle eredità teologiche intrise della visione di Calvino sulla predestinazione. Riflette un abbraccio collettivo della predestinazione, che avvolge sia la nazione che i cittadini. Nel 1765, John Adams dichiarò che il popolo americano era guidato da una “provvidenza benigna” e che la sua missione aveva dimensioni messianiche[40]:

 

Ho sempre considerato l’insediamento dell’America con riverenza e meraviglia, come l’apertura di una grande scena e di un disegno della provvidenza, per l’illuminazione degli ignoranti e l’emancipazione della parte schiava dell’umanità su tutta la terra.

 

Quindi, l’America non solo ha un carattere “messianico” – in quanto “posseduta da passione e zelo” – ma manifesta una visione implicitamente biblica che proclama la sua fede nella natura predestinata del suo passaggio. Una “nazione eletta” divinamente scelta per agire nel nome della Provvidenza come Redentore del Mondo: il grande arco della narrazione sacra americana marcia sempre in avanti – con l’America come braccio di Dio – verso il millennio “benedetto”. Rivelando l’estasi di questo Zeitgeist messianico, Walt Whitman[41] poteva così esclamare nel 1860:

 

Io sono il cantore – canto ad alta voce sopra il corteo; …

 

Canto il nuovo impero, più grande di tutti i precedenti – Come in una visione mi viene incontro;

 

Canto l’America, la padrona – Canto una supremazia più grande; …

 

E tu, Libertad del mondo!

 

O come cantava Herman Melville[42] nel 1850:

 

Noi siamo i pionieri del mondo; l’avanguardia, inviata attraverso il deserto delle cose non sperimentate, per aprire un nuovo sentiero nel Nuovo Mondo che è nostro. La nostra forza è nella nostra giovinezza… la nostra voce profonda è udita lontano. Siamo stati a lungo scettici nei confronti di noi stessi e abbiamo dubitato che il Messia politico fosse venuto. Ma è venuto in noi.

 

A metà del XIX secolo, l’etere della Missione americana era pienamente infuso di messianismo della “Giovane Libertad”, in una fusione dimorfica di Antico e Nuovo Testamento. In effetti, l’eredità di Edwards è riuscita a creare un’autentica voce cristiano-americana, per quanto questa possa sembrare lontana dalle realtà della vita politica americana della metà del XIX secolo.

 

III. L’America manichea

L’idea di un’eterna lotta del bene contro il male risale all’antica Persia e alla religione gnostica e dualistica del profeta Mani (آینِ مانی). Si tratta di un tema duraturo, la cui corrente profonda si riversa nel cristianesimo e nelle sue numerose eresie (ad esempio, Albigesi, Bogomili e Pauliciani). Il manicheismo americano presuppone un Demiurgo e, dopo averlo evocato, lo proclama come proprio. Una volta che l’America rivendica l’intero potere del Bene e lo rende del tutto intrinseco alla sua concezione del Sé, lo Straniero, l’Estraneo e ciò che viene designato come l’Altro possono essere transustanziati di colpo – attraverso la celebrazione della liturgia nazionale – in puro Male.

In questo atto riflessivo, l’alterità precede il vilipendio definitivo e ufficiale. La fede religiosa crea un contesto che permette di trasformare l’altro in un male che distrugge il mondo. È con questa sacra ingiunzione che i guardiani dell’opinione pubblica americana accusano ed ostracizzano regolarmente le voci americane dissenzienti.

L’icona originale del male americano è emersa con la Rivoluzione Americana, con la quale rimane per sempre sincronizzata. Durante questa primordiale apocalisse americana, i rivoluzionari scacciarono gli ex fratelli come presunti agenti del tiranno primordiale, Giorgio III. Il fascino freudiano della trasformazione del fratello in Altro ha raggiunto il suo apice nella seconda apocalisse americana. Durante la Guerra Civile, “fratello contro fratello” divenne il motto quotidiano della guerra. Rispetto alla Guerra di Rivoluzione, l’apostasia americana era maturata. Durante la guerra civile, l’espiazione e la riparazione – il ricongiungimento con il corpo della Chiesa (americana) – divennero il compito più urgente dell’Unione.

Passando al XX secolo, era necessaria una riconciliazione operativa attraverso la quale l’ex nemico potesse trovare l’espiazione ed essere accolto, in ginocchio, nella vera fede garantita dalla profezia americana. Ciò è del tutto in linea con la formula originale osservata dall’America per trattare con il Prototipo dell’Altro. In conformità ad essa i Tories[43], responsabili mai perdonati del (nostro) peccato originale, sono stati scacciati ed esiliati dalla Città sulla Collina per tutta l’eternità[44]: banditi nelle gelide distese al di là del firmamento americano, oggi note come Canada. In questo modo, le prime due apocalissi dell’America hanno creato una patologia dualistica nella narrazione sacra americana: ostracismo o redenzione.

La soluzione novecentesca dell’America è stata quella di trasformare il nemico distillando tutto il male e il peccato in un individuo “satanico” che fosse la nuova personificazione del Male. Quindi, il nemico primordiale dell’America non erano i tedeschi, ma Hitler; non i sovietici, ma Stalin; non i russi, ma Putin. Il male personificato come Anticristo è stato il santo dei santi nella formula di redenzione dell’America per quasi un secolo.

 

  1. L’America millenaristica

Anche se oggi non è il senso corrente della parola, “apocalisse”, come detto in precedenza, significa rivelazione – togliere il velo sulla Parola di Dio e sul suo Piano. “Apocalisse”, quindi, non significa la fine del mondo, ma piuttosto il suo culmine: “Tutta la storia è, infine, apocalittica”.

Un particolare esito apocalittico – il postmillenarismo – è incorporato nella narrazione sacra americana. Può essere ricondotto, ancora una volta, a Jonathan Edwards. Gli storici hanno accusato Edwards di aver “catalizzato questo particolare filone di escatologia”[45], indirizzando così l’America verso il “destino manifesto”[46].

Oggi, nessun americano “giustamente guidato[47]” può prendere in considerazione, e tanto meno accettare, un eschaton minore. Per esempio, dati i dogmi della religione civile americana, un “realismo” che osi mettere in discussione il potere divino della democrazia diventa immediatamente anatema. Una visione dell'”interesse nazionale” slegata dal nostro piano sacro[48] equivale all’apostasia. Consultiamo le nostre Scritture americane. Innanzitutto, Apocalisse 14:19:

 

And the angel thrust in his sickle into the earth, and gathered the vine of the earth, and cast it into the great winepress of the wrath of God[49].

Confrontatelo con questo versetto della liturgia della guerra civile – L’inno di battaglia della Repubblica:

 

He is trampling out the vintage where the grapes of wrath are stored; He hath loosed the fateful lightning of His terrible swift sword.[50]

Così, sulla scia della sua seconda guerra apocalittica, nel 1865, con la politica purificata e il male abbattuto[51], poté nascere una nuova America.

Gli americani ritenevano che ciascuna delle crisi nazionali americane avrebbe potuto inaugurare nell’immediato un’era millenaria, un “Novus Ordo Seclorum[52], come prefigurato e profetizzato nelle parole di Washington. L’apocalisse e il suo potere rivelatore indicano quindi sempre la fine predestinata del nostro arco narrativo, una mimesi celeste in cui il mondo divino si rispecchia in terra.

Per questo, nel 1945, circa ottant’anni dopo la guerra civile, la terza apocalisse americana fu considerata un’altra opportunità provvidenziale per realizzare la profezia destinale dell’America. Anche se la promessa di un giudizio finale fu congelata dalla Guerra Fredda e rinviata ai posteri, l’establishment statunitense iniziò a sbandierare un Millennio in attesa: che c’era di nuovo un imminente “Mondo libero” da realizzare, un giorno, in un sacro ordine internazionale liberale.

L’improvvisa caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 inaugurò una falsa aurora. Semplicemente, la classe dirigente americana non era preparata a una sincronicità junghiana[53] dell’apocalissi così perfetta. Hanno freneticamente dichiarato un “Nuovo Ordine Mondiale” e celebrato la “fine della storia”[54], come se tutta l’umanità fosse semplicemente destinata a inchinarsi al Grande Sigillo dell’America.

Naturalmente, il Millennio promesso rimane ancora sfuggente. Ma questo non ha impedito all’establishment della politica estera degli Stati Uniti di attribuire una posta in gioco esistenziale a ogni nuova guerra che intraprende, appiccicando su di essa i sogni, divinamente sanciti, inclusi nella ricerca mitica – sempre affascinante – del compimento spirituale dell’America. La profondità e l’ampiezza della religione civile americana rivaleggiano con qualsiasi fede mondiale, non solo per l’enormità della teologia, la forza dei dogmi e la presa della sua letteratura sacra, ma anche per il suo impatto maniacalmente benefico e tuttavia brutale sull’umanità e sulla storia.

Per comprendere meglio la narrazione sacra americana, può essere utile valutare l’arco narrativo nazionale dell’America come si farebbe con una serie televisiva. In quanto tale, la serie americana di successo è già stata rinnovata per un certo numero di stagioni, anche se la nostra è una storia sacra organizzata intorno alle apocalissi.

Come religione universalista radicata fin dalla nascita nell’apocalisse, il ciclo di vita di 250 anni dell’America è interamente catturato dal suo sacro arco apocalittico, punteggiato da tre sorprendenti “rivelazioni”: la nascita con la Rivoluzione Americana, un battesimo o purificazione nella Guerra Civile, e una redenzione mondiale durante le due Guerre Mondiali – quasi compiuta, ma anticipata.

Cosa ci aspetta dunque nella nuova, e forse ultima, stagione? Dove siamo diretti, in questa melodrammatica prova?

 

La quarta apocalisse americana?

Gli americani continuano a negare che la loro ideologia nazionale equivalga a una religione civile. E’ vero che la grande intuizione in merito di Robert Bellah ha trovato ascolto sin dal 1973, ed è citata, a intermittenza, nei media mainstream[55] americani. Tuttavia, è un riconoscimento criptico e raro, e la consapevolezza popolare di esso è quasi inesistente. Gli americani rimuovono risolutamente la loro religione civile per tre motivi.

In primo luogo, gli Stati Uniti sono nati nello sfolgorio del pensiero illuminista, dove religione – soprattutto la Chiesa romana – equivaleva a superstizione. Edward Gibbon, che nel 1775 ebbe la sua epifania nel Foro Romano, attribuì il “declino e la caduta” di Roma alle forze della “barbarie e della religione”[56].

Tuttavia, i Fondatori abitavano un ambiente plasmato da uno Zeitgeist protestante, che dominava le loro vite. Se gli americani dovevano essere campioni della Ragione – dove “la Scienza è reale” e (in quasi tutte le dispute) “fornisce la soluzione” – quel Tempio della Ragione doveva avere radici affondate nella Predestinazione calvinista. Naturalmente, ogni americano “giustamente guidato” sa che il suo Paese è sinonimo di Progresso: l’America non può mai essere medievale. Quindi, in un atteggiamento del tutto privo di autoconsapevolezza, qualsiasi religione di Stato regnante – con le sue dure leggi religiose – apparirebbe arretrata, primitiva o, come spesso si dice del fondamentalismo islamico, equivale a “tornare al XIV secolo”[57].

Inoltre, gli americani – quasi senza eccezione – non riescono a concepire la religione in assenza di una “Chiesa” formale e confessionale. Così, anche all’apice della Guerra Fredda, i mali del comunismo non erano identificati come i peccati di una Chiesa alternativa. Il canone marxista-leninista non poteva essere teologia: doveva invece essere “ideologia”. Dopo tutto, come potrebbero essere religiosi i “comunisti senza Dio”? A ciò si aggiunga il fatto che molti esponenti della sinistra americana simpatizzavano con l'”idea” del socialismo e lo trovavano attraente per gli Stati Uniti, sempre che fosse stato “fatto bene”. In altre parole, credevano che una bella dose di democrazia e libertà americana avrebbe sicuramente ripulito il marxismo dai suoi mali e distillato i suoi altrimenti nobili ideali. Il socialismo è fallito in Russia perché non è stato unto dalla “buona novella” americana: una sua versione americana, invece, avrebbe prosperato.

Infine, una confessione di fede americana – l’aperta enunciazione dell’esistenza di una religione civile nazionale – sembrerebbe annullare la clausola di separazione tra Chiese e Stato della Costituzione. Tuttavia, la religione civile americana originale, così come concepita dai Fondatori, può essere definita una chiesa di Stato? Quasi certamente, essi direbbero di no. Dopo tutto, una religione civile non è una chiesa, almeno non nel modo in cui l’Illuminismo intendeva la religione. Nel XVIII secolo, per “religione” si intendeva una chiesa di Stato. Il diritto canonico e la common law rientravano quindi entrambi nelle prerogative dello Stato, che i Fondatori intendevano come Parlamento e Re. Possedere la Chiesa d’Inghilterra significava che lo Stato britannico poteva dire alla gente come vivere e pensare[58]– e lo fece -, come dimostrano l’Atto di uniformità[59], i Test Acts e le leggi penali.

Queste sono alcune delle ragioni per cui alcuni potrebbero esser contrari a inquadrare l’ultimo movimento di fede che emerge dall’attuale quarto Grande Risveglio come un’altra sfida settaria, familiare, persino classica, alla religione civile. In realtà, il “Risveglio”[60] è paragonabile alle sette evangeliche aggressivamente confliggenti, incardinate nel Nord e nel Sud, che spinsero l’America in una lotta (intestina) negli anni Cinquanta dell’Ottocento, dopo il Secondo Grande Risveglio. La sua origine può anche essere ricondotta direttamente ai temi laico-socialisti dell’era progressista, che si riflettevano nel Vangelo sociale.

Tuttavia, la crescita di questa nuova e virulenta setta americana va ben oltre, segnalando l’emergere di una futura nuova chiesa americana, una chiesa vera e propria. In questo caso, la “Chiesa di Woke”[61] implica un futuro edificio giuridico, inteso a revisionare e trasformare radicalmente il patto costituzionale americano attraverso dottrine semisacre e sponsorizzate dallo Stato, tra cui la “Critical Race Theory” (CRT), la “Diversity, Equity, and Inclusion” (DEI), la “Environmental, Social, and Corporate Governance” (ESG).

Nel XXI secolo, la protezione e il privilegio dello Stato hanno creato un proscenio politico su cui agisce una coalizione di tre distinti gruppi identitari laico-spirituali: Femministe, Persone di Colore e LGBT. Ognuna di queste sette ha al suo interno un gruppo di fazioni e denominazioni in crisi. Questa alleanza di sette si è fusa in una coalizione politica “intersezionale” che può essere sostenuta finché il suo programma comune rimane condivisibile.

Sotto la nuova religione wokeista, i confini tra il globale e il locale, l’interno e l’estero svaniscono, per essere sostituiti da un americanismo proselitista, totalizzante e imperiale.

Tuttavia, se il loro programma comune venisse attuato costituzionalmente, la Chiesa di Woke sarebbe in grado di trasformare la vita americana: non solo stabilirebbe un apparato di controllo sul modo in cui i cittadini comuni pensano e si comportano, ma conferirebbe anche l’ordinazione auna nuova élite dirigente, i nuovi chierici della Chiesa Woke.

Gli sforzi della Chiesa di Woke per consacrare la classe dirigente americana – attraverso un corpo consacrato di veri credenti – non mirano tanto ad allevare una nuova aristocrazia, quanto piuttosto a preservare il controllo dell’élite sulla ricchezza e sul potere nella vita americana. In questo senso, la Chiesa non cerca semplicemente di reinterpretare (ijtihād) la dottrina, la legge e le scritture della religione civile originale, come altre sette della storia americana. Rappresenta anche un percorso seguito dalla classe dirigente per consolidare il suo potere e mantenere lo status quo. Il “radicalismo radicale” forse non è poi così radicale, ma il suo estremismo fa presagire autodafé settari e guerre esistenziali all’interno della religione civile[62] come quelle che caratterizzarono l’America tardo-antica.

In un altro senso, la nascente e fluttuante Chiesa di Woke assomiglia di più, formalmente – per il suo successo nella sovversione dello Stato e delle élite al potere – al cristianesimo insurrezionale della fine del III secolo d.C. Ciò che può allarmare è che questo movimento di fede è riuscito a conquistare le “altezze di comando”[63] della vita americana in poco più di un decennio. Tuttavia, anche questo indica una relazione simbiotica tra Chiesa e Stato che è più che mai senza tempo. Come la Chiesa primitiva catturò l’aristocrazia romana, così quei nobili romani si impossessarono della Chiesa per confermare il loro potere[64]. La religione civile è uno strumento di potere tanto venale quanto sacro.

La Chiesa di Woke ha, per il momento, conquistato lo Stato federale degli Stati Uniti e le istituzioni dominanti[65] della vita americana. Molti antecedenti storici dell’odierno movimento di fede Woke, ossia le sette evangeliche[66] calviniste americane precedenti la Guerra Civile, come Slave Power e Abolizionisti, hanno anch’essi cercato di appropriarsi della religione civile americana fondamentale, e di trasfigurarla in una chiesa di Stato a propria immagine e somiglianza. Nessuna di queste sette fanatiche ebbe successo. Tuttavia, equiparando la teologia e il dogma del suo movimento a quella che dovrebbe essere la legge (statunitense), la dottrina Woke sta effettivamente scatenando una Sharia americana e reclamando l’istituzione di una vera e propria nuova religione di Stato americana – così come la intendevano i nostri Fondatori del XVIII secolo – con più forza di qualsiasi altro movimento settario nella storia americana.

In che modo tutto questo è rilevante per l’impegno dell’America nel mondo e, più direttamente, per la politica estera egemonica americana, come dimostra la guerra in Ucraina? Nella nuova religione wokeista, i confini tra globale e locale, tra interno ed estero svaniscono, per essere sostituiti da un americanismo proselitista, totalizzante e imperiale.

Come surrogato della vecchia religione civile americana, la Chiesa di Woke esercita l’universalismo in forma estremista, perseguendo la sua ideologia in patria e all’estero in egual misura. Innalzando il vessillo del globalismo Woke, la “buona novella” originaria dell’America viene così sostituita, senza soluzione di continuità, da una visione più virtuosa che se ne fa erede. Il “nazionalismo” e l’amor di patria saranno d’ora in poi giudicati forze arretrate e primitive. Il “populismo” e la sovranità del popolo, a lungo celebrati come l’anima della nazione americana, diventano equivalenti all’autocrazia, un male medievale da eliminare dagli Stati Uniti.

La “corruzione” (interna) dell’America ad opera di tali forze “reazionarie” viene collegata all’influenza nefasta di Stati stranieri e attori internazionali detestati, come l’Ungheria o la Russia, che infettano il corpo americano[67]. Questa isteria Woke ricorda da vicino il bacillo mortale del comunismo della Red Scare [68]all’inizio della Guerra Fredda, con la Russia che fungeva da “Grande Satana”[69] nelle guerre culturali globali[70] dell’establishment liberale americano[71].

Al male di una Russia reazionaria, barbara e arcobalenofobica – e alla più grande minaccia incombente sull’ordine internazionale liberale da parte di un asse autocratico globale – dobbiamo aggiungere anche il terrore apocalittico che la Chiesa di Woke prova per il cambiamento climatico. L’apocalisse climatica[72] è forse il più grande contesto tous azimuts mai ideata dall’universalismo americano per giustificare l’egemonia globale degli Stati Uniti. Nella causa della salvezza del pianeta, ogni intervento americano può apparire giusto. Si noti come gli autocrati del Lato Oscuro della Forza[73] siano anche inquinatori climatici che utilizzano combustibili fossili, in combutta con gli assassini divoratori di benzina[74] (cioè le compagnie petrolifere) al nostro interno. In quest’ottica, le minacce estere sembrano essere soltanto lo specchio di una minaccia più profonda a casa nostra.

In definitiva, la strategia della Chiesa di Woke e della sua classe clericale è quella di sfruttare una crociata intersezionale[75] contro l’arretratezza pagana, l’anti-genderismo[76] malvagio e l’apostasia climatica all’estero – Russia, Ungheria, Arabia Saudita, Iran, Cina, ecc – per giustificare una jihad interna. Inoltre, mentre propaganda il brand del  Girl Boss Militarism[77], il suo gruppo di parrocchiani “propende di più verso il femminile”. Col tempo, il nuovo “Woke Imperium”[78] americano porterà con la forza tutti gli americani – e il mondo intero – all’ovile della nuova Chiesa; o almeno così sperano i credenti.

È questa comoda simbiosi o identità tra nemici stranieri e interni che è la cosa più preoccupante. Nella sua ricerca fondamentalmente globale di una quarta apocalisse – in cui convertire tutta l’umanità significa assicurare anche la totale conversione degli americani – la Chiesa di Woke rifiuta la vecchia, originale religione civile americana e la sua preoccupazione centrale: l’America. Sebbene il suo essere incentrata sugli Stati Uniti riveli un certo grado di continuità storica, la sua aspirazione a globalizzare l’americanismo per creare uno Stato mondiale omogeneo basato sulla sua ideologia e sui suoi valori universali tradisce e sovverte la vecchia religione civile.

Il dispiegarsi della quarta apocalisse provocata dal “risveglio” è sempre stata diversa dalle precedenti rappresentazioni (o stagioni) dell’apocalisse americana nella nostra serie nazionale. L’Apocalisse differita (1945-1950) – un sequel della Terza Apocalisse – ha spinto gli Stati Uniti a 60 anni (1963-2023) di ripetute e non necessarie débâcles sul campo di battaglia. Ogni episodio è culminato in una guerra sacra (Vietnam, guerra per procura in Afghanistan, Desert Storm, la ventennale Guerra globale al terrorismo, e ora la guerra per procura in Ucraina) condotta per realizzare la profezia di un millennio democratico globale – e ogni volta il sogno è svanito. A sua volta, il quarto ciclo del nostro arco narrativo è stato segnato da una disperazione apocalittica.

Di conseguenza, il messianismo americano è diventato una caricatura manichea di se stesso, in cui le “buone novelle” americane sono state sostituite dallo spettro sempre presente del Male e dalla minaccia della forza. Le parole sacre, Libertà e Democrazia, pur essendo ancora cantate, sono diventate un mantra vuoto. Il “vangelo” americano non predica più la redenzione e l’espiazione: ora opera con la coercizione e la punizione. Il voltafaccia è avvenuto in un istante, con l’11 settembre e con Guantanamo. L’etica propria alla Terza Apocalisse, con i processi di Norimberga e la loro maestosa esibizione pubblica di controllo giudiziario democratico, è stata scartata, e sostituita dalla giustizia sommaria. Quasi da un giorno all’altro, l’America ha abbandonato le “regole internazionali” e le “norme civili” – e ha invece costruito un arcipelago di torture e incarcerazioni arbitrarie, senza supervisione e senza appello.

Non cerchiamo più la guida in un’autorità superiore e indulgente, ma nella voce iraconda del Vecchio Testamento che è in noi. Nell’iterazione Woke del manicheismo americano, il Male ha la precedenza sul Bene ed è fervidamente personalizzato. Con Milošević, Gheddafi, Osama Bin Ladin, Saddam e ora Putin, il Male può ora essere individuato artigianalmente, anche se non sempre eticamente. Per questo, la lotta contro il male in veste di anticristo diviene il tropo retorico pulsante di questa quarta stagione della sacra narrazione americana. Senza ironia, il ventesimo anniversario dell’invasione dell’Iraq da parte dell’America ha, sorprendentemente, resuscitato il suo meme più famigerato – “l’Asse del Male”[79] – senza arrossire o vergognarsi. La guerra per procura della NATO contro la Russia lo vede, ora, come un sinonimo della sua capacità di indossare il manto retorico[80] di quella che di recente fu giudicata la più grande débâcle strategica americana.

Se noi, come americani, siamo ritualmente coinvolti in una grande narrazione che va oltre la nostra capacità di comprenderla, per tacere della capacità di controllarla, che cosa ci aspetta? Possiamo dare una sterzata a questo arco narrativo finale in modo da evitare la catastrofe totale? Abbiamo voce in capitolo o potere sul nostro destino declinante?

 

Giudizio (Giudizi) finale(i)?

Gli Stati Uniti sono governati dalla loro religione civile, non dall’ideologia. Gli americani sono guidati da una narrazione sacra. Tuttavia, a guidarla è sempre un piccolo gruppo di élite fanatiche, che guidano una storia che può realizzarsi solo in guerra.

In altre parole, l’America è una serie di successo con un arco narrativo marziale punteggiato da bagliori e fuochi d’artificio. Dal lancio al perigeo all’apogeo, la “storia americana” è giunta alla sua quarta stagione. Le prime tre sono state illuminate dal fuoco di battaglie apocalittiche. Quei momenti estatici di vittoria e sacrificio sono stati resi sacri e sono stati considerati il “culmine vitale” dell’America. Ma ora, mentre l’arco narrativo scende, sembra che siamo entrati in un’altra grande battaglia. Sarà una nuova Rivelazione – la nostra quarta apocalisse – o diventerà il finale della nostra serie?

American Story: The Hit Series [Attenzione: contenuti religiosi violenti] ha un pubblico universale, e ogni stagione è ancorata a un climax apocalittico. Inoltre, ogni singolo episodio è caratterizzato da una battaglia, che si svolge sempre in modo predefinito rispetto alla trama standard, come programmato dal nostro produttore hollywoodiano divinamente nominato. Ogni episodio di “Next Generation” ha la sua guerra sacra e trascendentale, anche se spesso distruttiva. L’arco di ogni stagione spinge i confini della Rivelazione verso un finale di serie predestinato. Le prime tre stagioni sono state esaltanti, persino estatiche quando hanno raggiunto quelle sacre vette di vittoria e sacrificio.

Ma poi, durante l’apertura della quarta stagione, intorno al 1962, il grande arco narrativo declinò di uno o più gradi rispetto al suo apogeo, e nel 1968 la discesa fu evidente. È vero, in un episodio – 1981-88 – i retrorazzi hanno rallentato la discesa. Tuttavia, il percorso discendente è ripreso. L’arco narrativo non riguarda la ricchezza americana o la ricerca della felicità. Riguarda la Rivelazione e la Predestinazione e il compimento della Missione dell’America. I primi episodi della quarta stagione mostrano come l’opportunità dell’apocalisse sia stata usata male (Vietnam), abortita (caduta dell’Unione Sovietica), tradita (Iraq) e sprecata (Afghanistan).

Tuttavia, queste occasioni perdute impallidiscono di fronte alla battaglia che ci viene ora imposta. Cosa sono le semplici operazioni speciali, le guerricciole, le controinsurrezioni e i colpi di Stato di fronte alla realtà che gli Stati Uniti stanno ora sfidando aggressivamente le due maggiori e più pericolose grandi potenze, la Russia e la Cina? Inoltre, dalle loro “altezze di comando”, i governanti americani ne hanno fatto un confronto esistenziale: o la democrazia e il suo “rule-based order” domineranno il mondo, o le “autocrazie” vinceranno[81]. Si sente la campana a martello dell’apocalisse. Questo episodio sarà il finale della stagione, o forse della serie? Le domande abbondano.

 

La guerra globale può condurre l’America alla guerra civile?

Oggi l’America sta combattendo due guerre contemporaneamente, una in patria e l’altra all’estero. Collegando gli obiettivi della guerra interna (convertire la nazione alla Chiesa di Woke) con quelli della guerra esterna (trionfare nella guerra per procura contro la Russia come prova di rettitudine), l’establishment dipende ora dalla vittoria in una guerra straniera per rafforzare la sua leva politica, promuovere la sua agenda interna e mantenere il suo potere. Questo è il loro pensiero.

Eppure, gli Stati Uniti non hanno mai cercato di intensificare uno scontro globale[82] quando erano consumati da una lotta esistenziale interna. Al contrario, durante la guerra civile americana, Washington ha agito con estrema cautela[83], anche se la Gran Bretagna e la Francia si sono impegnate in una guerra per procura contro di essi[84].

Il pubblico occidentale si pavoneggia e strilla per i sorprendenti trionfi ucraini della Volontà, mentre si prende narcisisticamente tutto il merito delle loro vittorie, come se fossero sue.

La dualità tra guerra interna ed esterna crea una dinamica reciprocamente distruttiva. Secondo questa logica, se l’Impero Woke prevale in Ucraina, sarà vittorioso anche in patria. Tuttavia, potrebbe verificarsi anche una dinamica negativa. Una sconfitta nella guerra in Ucraina significherebbe un fallimento politico in patria. Quindi, la NATO deve vincere e non si può permettere che l’Ucraina perda[85].

Se perdere è impensabile, di fronte alla sconfitta la NATO ha una sola opzione: l’escalation. Ma l’escalation, per una nazione divisa, comporta anche l’intensificazione del conflitto interno.

 

È possibile che un’apocalisse vicaria porti a un vero e proprio Armageddon?

C’è una sospensione dell’incredulità non ancora esplicitata, nella quarta apocalisse americana.

Per oltre un anno, la NATO ha fatto guerra alla Russia, e ha esultato per questa guerra, reclamando la caduta della Russia[86]. In effetti, molti nel partito della guerra si spingono fino a esclamare: “In nome di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere”[87], e chiedono l’umiliazione e persino la distruzione della Federazione Russa[88]. Ma allo stesso tempo, e spesso con lo stesso respiro, il partito della guerra insiste sul fatto che l’Occidente non è in guerra con la Russia, poiché non ci sono forze statunitensi o della NATO dispiegate in Ucraina: semmai, stiamo solo fornendo armi a Kiyv. Molti continuano a negare strenuamente che si tratti di una guerra per procura[89].

Allo stesso tempo, però, i veri tifosi sfegatati della guerra in Ucraina hanno proclamato a gran voce che si tratta di un ottimo affare. La Russia va abbattuta senza una sola vittima della NATO. Dissangueremo il nostro malvagio nemico con il sangue dei volenterosi ucraini. Un affarone! Praticamente un furto![90] Inoltre, migliaia di americani si sono coraggiosamente arruolati – come partecipanti puramente vicari – per combattere a fianco dell’Ucraina nelle trincee dei social media. Questi eroi della 195esima brigata da tastiera – la North Atlantic Fellas Organization (NAFO – date un’occhiata anche al loro merchandising![91]) – combattono quotidianamente[92] contro la Quinta Colonna americana[93] di Burattini di Putin e degli Amichetti della Russia.

Nel frattempo, gli spettatori occidentali si pavoneggiano e strillano di gioia per i sorprendenti trionfi ucraini della volontà, prendendosi narcisisticamente tutto il merito delle loro vittorie, come se fossero le proprie. Se questa è davvero la quarta apocalisse americana, allora è davvero un risultato notevole. Questa è la nostra espiazione per tutta la frustrazione e l’infinito sacrificio di sangue dei fallimentari episodi di guerra sporca che abbiamo visto all’inizio della quarta stagione (“Apocalisse differita”). Dopo i terrori di Tet, Khe Sahn, Desert One, Contras, Mogadiscio e Falluja, la serie offre ora un’epifania senza sangue. Quindi, il nostro auspicato finale di stagione è semplicemente stupefacente: non viene versata una sola goccia di sangue dei GI, dei nostri ragazzi!

Gli Stati Uniti possono ora combattere il loro “più grande nemico geopolitico”[94], ma non moriranno americani, bensì ucraini volenterosi e sacrificali. Nel frattempo, il grande pubblico virtuale americano, insaziabilmente preso dai giochi  CGI[95] e assuefatto dagli “hot take” sui social media, si immerge nella gloria della vittoria imminente: esulta per ogni video di propaganda ucraina e per ogni rappresentazione degli ucraini come una Compagnia dell’Anello[96] che combatte le tenebre di Mordor, gli Orchi russi.[97]

Quando i venti della guerra hanno iniziato a cambiare, verso la fine del 2022, le prime opzioni strategiche di “guerra facile” della NATO per aumentare gli aiuti – armi potenti, comando e controllo alleati, C4ISR della NATO, addestramento di alto livello – avevano portato Kyiv a “vittorie” misteriose e piuttosto magiche nell’autunno del 2022. Tuttavia, nella primavera del 2023, i depositi di armi sono vuoti, e l’esercito ucraino si sta dissanguando, mentre gli opliti ucraini in carne ed ossa vengono fatti a pezzi in un esercizio di dissanguamento che ricorda le tragiche trincee della battaglia di Verdun[98] della Prima Guerra Mondiale. Le opzioni di escalation si sono ridotte.

Davanti a noi si profila soltanto un sempre maggior numero di linee rosse fosforescenti che la NATO potrebbe incautamente oltrepassare, anche a costo di rischiare un’altra guerra mondiale. Questo è il lato negativo del combattere una guerra con l’adrenalina dei media, definita dall’estasi infinita della “vicarietà”[99]. Ma questo non è un videogioco. Quando si viene uccisi nella vita reale, non c’è la resurrezione automatica.

 

Finale di serie: cratere d’impatto?

Alla fine della terza stagione (1961), gli Stati Uniti si ergevano a cavallo del mondo come un Colosso. “Ike” Eisenhower, Generale degli Eserciti della nostra terza Apocalisse americana, presiedeva l’impero del “Mondo Libero” su tutto ciò che contava.

Eppure, quando è uscito di scena, i suoi più giovani successori si sono imbarcati in una serie di guerre corrosive e senza fine. Gettando via tutti gli antichi precetti contro l’intervento militare e i legami con l’estero dei loro antenati, gli uomini nuovi si allontanarono dalla sacra tradizione americana. Dopo decenni di questo genere, invece di cortigiani di palazzo che giocavano alla controinsurrezione – ignorando le comunità i cui figli morivano sul serio nei loro giochi – le guerre degli episodi finali della quarta stagione sono ora realizzate da un esecutivo che crede di avere carta bianca, a patto di essere parsimonioso con le vite delle sue Forze Armate volontarie.

Gli Stati Uniti hanno iniziato e completato il loro fatidico passaggio come incarnazione di Ordini (divini): da un “Nuovo Ordine per i Tempi” alle “Nazioni Unite”, a un “Nuovo Ordine Mondiale”, e infine a un liberale “Ordine basato sulle Regole”. Ma questi cosiddetti Ordini sono un simulacro del demone che si nasconde nel profondo della narrazione sacra americana e di tutti noi: la fissazione per il fuoco purificatore della guerra, che ci ha spinti all’eccesso, e sull’orlo della rovina.

La nostra è davvero una metamorfosi straordinaria: dall’eccezionalismo americano che annunciava la sua “buona novella”- la Redenzione dell’Umanità – al disvelamento della tirannia globale.

[1] https://www.agonmag.com/p/the-demon-in-americas-sacred-narrative

[2] Michael Vlahos, Ph.D., ha insegnato nel programma di studi sulla sicurezza globale presso la School of Arts and Sciences della Johns Hopkins University ed è stato professore presso il dipartimento di strategia e politica dello US Naval War College. Il dottor Vlahos è stato a lungo commentatore di affari esteri e sicurezza nazionale con la CNN. I suoi articoli sono apparsi su “Foreign Affairs”, “The Times Literary Supplement”, “Foreign Policy” e “Rolling Stone”. Dal 2001 è ospite regolare del programma nazionale John Batchelor Show sulla WABC. “italiaeilmondo.com” ha tradotto e pubblicato due suoi articoli su tema analogo: http://italiaeilmondo.com/2023/03/29/lamerica-e-una-religione-di-michael-vlahos/ ; e http://italiaeilmondo.com/2023/02/04/dal-salvatore-al-trickster-divino-la-spinta-teologica-nella-politica-estera-degli-stati-uniti/ . Di grande interesse anche il dialogo in tre parti di M. Vlahos con il colonnello Douglas MacGregor sulla guerra in Ucraina, qui sottotitolato in italiano: http://italiaeilmondo.com/2022/12/31/lo-stato-della-guerra-in-ucraina_-con-il-colonnello-douglas-mcgregor/

 

[3] https://books.google.it/books/about/1789_the_Emblems_of_Reason.html?id=k13XAAAAMAAJ&redir_esc=y#:~:text=In%20this%20classic%20text%20on,in%20the%20contemporary%20visual%20arts.%22

[4] L’Autore qui allude implicitamente alla Lettera di Pietro, 5:8: “sobrii estote vigilate quia adversarius vester diabolus tamquam leo rugiens circuit quaerens quem devoret”, “Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno a guisa di leon ruggente cercando chi possa divorare.” Cfr. http://bibleglot.com/pair/Vulgate/ItaRive/1Pet.5/ [N.d.C.]

[5] https://www.cambridge.org/core/journals/church-history/article/abs/gods-new-israel-religious-interpretations-of-american-destiny-edited-by-conrad-cherry-rev-and-updated-ed-chapel-hilluniversity-of-north-carolina-press-1998-xii-410-pp-4995-cloth-1895-paper/A8C9435D4A0F6864A36AD1A96F2EFFD7#access-block

[6] https://en.wikipedia.org/wiki/To_Serve_Man_(The_Twilight_Zone)

[7] https://www.ox.ac.uk/news/2020-05-22-last-best-hope-american-views-oxford

[8]  Robert N. Bellah, Civil Religion in America, Daedalus, Vol. 96, No. 1, Religion in America (Winter, 1967), pp. 1-21 (21 pages) https://www.jstor.org/stable/20027022

[9] FELIX GILBERT

To the Farewell Address: Ideas of Early American Foreign Policy

Copyright Date: 1961

Published by: Princeton University Press  http://www.jstor.org/stable/j.ctt7sjmr.

[10] S. Mike Pavelec – Michael Vlahos 2009 Fighting Identity: Sacred War and World Change, Naval War College Review, vol. 62, n. 4 Autumn, 2009 chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://digital-commons.usnwc.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1804&context=nwc-review

[11] David Cook, Studies in Muslim Apocalyptic

Copyright Date: 2021

Published by: Gerlach Press https://www.jstor.org/stable/j.ctv1b9f5v8

[12] Carolyn Marvin, David W. Ingle, Blood Sacrifice and the Nation: Totem Rituals and the American Flag, Cambridge U.P. 1999 https://books.google.it/books?id=sdRlbklRhycC&printsec=frontcover&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

 

[13] https://css.cua.edu/humanitas_journal/church-of-woke/

[14] George William Van Cleve, A Slaveholders’ Union: Slavery, Politics, and the Constitution in the Early American Republic, University of Chicago Press, 15 ott 2010 https://books.google.it/books?id=Dgp26Y2KzxUC&printsec=frontcover&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

[15] Mark A. Noll.  The Civil War as a Theological Crisis. Chapel Hill: University of North Carolina Press, 2006. https://jsr.fsu.edu/Volume9/Dollar.htm

[16] https://en.wikipedia.org/wiki/European_wars_of_religion

[17] È il motto che si legge sul rovescio dello Stemma degli Stati Uniti d’America [N.d.C.]  https://it.wikipedia.org/wiki/Novus_Ordo_Seclorum

[18] https://www.youtube.com/watch?v=2HCR4c1zPyk

[19] https://thefounding.net/americas-founding-with-a-firm-reliance-on-the-protection-of-divine-providence/

[20] William A. Clebsch, America’s “Mythique” as Redeemer Nation

Published online by Cambridge University Press:  30 July 2009 https://www.cambridge.org/core/journals/prospects/article/abs/americas-mythique-as-redeemer-nation/B1CBD5264061139C2FC894344A3C23D9

 

[21] https://youtu.be/MZK98LVFRH8

[22] È la celeberrima formula contenuta in un sermone del 1630 di John Winthrop, puritano, governatore della Massachusetts Bay Colony, e uno dei Padri Pellegrini, Dreams of a City on a Hill: “We shall find that the God of Israel is among us, when ten of us shall be able to resist a thousand of our enemies; when He shall make us a praise and glory that men shall say of succeeding plantations, ‘may the Lord make it like that of New England.’ For we must consider that we shall be as a city upon a hill. The eyes of all people are upon us. So that if we shall deal falsely with our God in this work we have undertaken, and so cause Him to withdraw His present help from us, we shall be made a story and a by-word through the world.”   https://www.americanyawp.com/reader/colliding-cultures/john-winthrop-dreams-of-a-city-on-a-hill-1630/ [N.d.C.]

 

[23] Da un celeberrimo discorso del 1940 di Winston Churchill, mentre si combatteva la Battaglia d’Inghilterra: ““I expect that the Battle of Britain is about to begin. Upon this battle depends the survival of Christian civilisation. Upon it depends our own British life and the long continuity of our institutions and our Empire. The whole fury and might of the enemy must very soon be turned on us. Hitler knows that he will have to break us in this island or lose the war. If we can stand up to him, all Europe may be free, and the life of the world may move forward into broad, sunlit uplands; but if we fail, then the whole world, including the United States, and all that we have known and cared for, will sink into the abyss of a new dark age made more sinister, and perhaps more protracted, by the lights of a perverted science. Let us there brace ourselves to our duty and so bear ourselves that if the British Empire and its Commonwealth last for a thousand years men will still say ‘This was their finest hour’.” https://www.martingilbert.com/blog/6106/ [N.d.C.]

[24] https://www.nytimes.com/2021/10/04/books/review/joe-klein-explains-how-the-history-of-four-centuries-ago-still-shapes-american-culture-and-politics.html

[25] https://www.nytimes.com/1992/03/01/books/it-was-never-the-same-after-them.html

[26] AA.VV. God’s New Israel: Religious Interpretations of American Destiny EDITED BY CONRAD CHERRY, 1998, University of North Carolina Press https://uncpress.org/book/9780807847541/gods-new-israel/

[27] https://www.agonmag.com/p/the-failure-of-conservatism-and-the

[28] https://christianhistoryinstitute.org/magazine/article/american-postmillennialism-seeing-the-glory

[29] https://en.wikipedia.org/wiki/History_of_the_Christian_Science_movement

[30] https://it.wikipedia.org/wiki/Shakers

[31] Reviewed Work: Joseph Smith Jr.: Reappraisals after Two Centuries by Reid L. Neilson and Terryl L. Givens

Review by: Jordan Watkins https://doi.org/10.1525/nr.2012.15.4.113

 

[32] William A. Clebsch, Christian Interpretations of the Civil War https://www.jstor.org/stable/3161973

 

[33] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.wrs.edu/assets/docs/Courses/Classic_Fundamentalism/Battle–Brief_History_Social_Gospel.pdf

[34] https://www.researchgate.net/publication/230756502_In_search_of_the_Kingdom_The_social_Gospel_settlement_sociology_and_the_science_of_reform_in_America’s_progressive_era

[35] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://as.nyu.edu/content/dam/nyu-as/philosophy/documents/faculty-documents/boghossian/Boghossian_The-Gospel-of-Relaxation-Louis-Menand-Review.pdf

[36] https://www.loc.gov/exhibitions/world-war-i-american-experiences/about-this-exhibition/arguing-over-war/for-or-against-war/wilson-before-congress/#:~:text=He%20also%20argued%20that%20autocratic,Transcript

[37] https://www.newyorker.com/magazine/2019/09/16/the-moral-logic-of-humanitarian-intervention

[38] http://brothersjudd.com/index.cfm/fuseaction/reviews.detail/book_id/928/Special%20Prov.htm

[39] https://www.nytimes.com/2009/11/19/books/19book.html

[40] https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/R/bo67822116.html

[41] https://whitmanarchive.org/published/LG/1881/poems/105

[42] https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/R/bo67822116.html

[43] I Tories sono i lealisti, fedeli a Re Giorgio III; nella Rivoluzione americana. https://en.wikipedia.org/wiki/Loyalist_(American_Revolution) [N.d.C.]

[44] https://www.theguardian.com/books/2011/feb/19/libertys-exiles-maya-jasanoff-review

[45] C. C. Goen, Jonathan Edwards: A New Departure in Eschatology, https://www.jstor.org/stable/3161685

 

[46] https://it.wikipedia.org/wiki/Destino_manifesto

[47] https://en.wikipedia.org/wiki/Rashidun_Caliphate

[48] https://press.uchicago.edu/ucp/books/book/chicago/R/bo67822116.html

[49] “L’angelo gettò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e gettò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio.” Ap. 14:19 Trad. CEI

[50] “Egli sta calpestando la vendemmia in cui è riposta l’uva dell’ira; ha sguainato il lampo fatale della sua terribile rapida spada”.

[51] Eric Foner, The Second Founding: How the Civil War and Reconstruction Remade the Constitution, W.W. Norton & Company , 2019 https://en.wikipedia.org/wiki/The_Second_Founding#:~:text=The%20Second%20Founding%3A%20How%20the,W.W.%20Norton%20%26%20Company%20in%202019.

https://books.google.it/books/about/The_Second_Founding_How_the_Civil_War_an.html?id=W_yKDwAAQBAJ&printsec=frontcover&source=kp_read_button&hl=en&newbks=1&newbks_redir=0&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false

[52] http://www.greatseal.com/mottoes/seclorum.html

[53] https://it.wikipedia.org/wiki/Sincronicit%C3%A0

[54] https://it.wikipedia.org/wiki/Fine_della_storia#:~:text=La%20fine%20della%20storia%20%C3%A8,dal%20quale%20si%20starebbe%20aprendo

[55] https://www.liberalpatriot.com/p/the-democrats-patriotism-problem

[56] Helena Rosenblatt, On Context and Meaning in Pocock’s “Barbarism and Religion”, and on Gibbon’s “Protestantism” in His Chapters on Religion https://www.jstor.org/stable/43948778

 

[57] https://merip.org/2004/12/maxime-rodinson-on-islamic-fundamentalism/

[58] Anti-Catholicism in Eighteenth-Century England: A Political and Social Study by Colin Haydon (review)

Marie B. Rowlands https://muse.jhu.edu/article/442449/pdf

 

[59] https://www.parliament.uk/about/living-heritage/transformingsociety/private-lives/religion/collections/common-prayer/act-of-uniformity-1662/

[60] https://unherd.com/thepost/where-did-the-great-awokening-come-from/

[61] https://css.cua.edu/humanitas_journal/church-of-woke/

[62] https://lawliberty.org/uncivil-wars-of-civil-religion/

[63] https://www.marxists.org/archive/lenin/works/1922/nov/13b.htm

[64] https://css.cua.edu/humanitas_journal/church-of-woke/

[65] https://www.racket.news/p/report-on-the-censorship-industrial-74b

[66] Ivy on Daly, ‘When Slavery Was Called Freedom: Evangelicalism, Proslavery, and the Causes of the Civil War’

Author: John Patrick Daly Reviewer: James Ivy https://networks.h-net.org/node/512/reviews/694/ivy-daly-when-slavery-was-called-freedom-evangelicalism-proslavery-and

[67] https://www.libraryofsocialscience.com/essays/vlahos-counterterrorism/

[68] https://en.wikipedia.org/wiki/Red_Scare

[69] https://www.richardhanania.com/p/russia-as-the-great-satan-in-the

[70] https://compactmag.com/article/pride-and-american-imperialism

[71] https://compactmag.com/article/america-the-last-ideological-empire

[72] https://www.spiked-online.com/2023/03/26/the-cult-of-the-climate-apocalypse/

[73] https://www.aei.org/research-products/report/from-environmentalism-to-climate-catastrophism-a-democratic-story/?mkt_tok=NDc1LVBCUS05NzEAAAGLqTnaMA0mJzdHLVT2jCR5i9F9aK-DVrr3l4OXAdKs9WOmKCp8hDOZmqfrUhsRYa9DdsrifKhrbXxHVbDdJZWnXYCaSKh0B7qNhLf1Wg7awurcWA

[74] https://www.latimes.com/opinion/story/2021-03-01/editorial-to-save-the-planet-from-climate-change-gas-guzzlers-have-to-die

[75] https://theupheaval.substack.com/p/intersectional-imperialism-and-the?s=r

[76] https://en.wikipedia.org/wiki/Anti-gender_movement

[77] https://chroniclesmagazine.org/web/the-rise-of-girlboss-militarism/

[78] chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://peacediplomacy.org/wp-content/uploads/2022/06/Woke-Imperium.pdf

[79] https://caitlinjohnstone.substack.com/p/theyre-rebooting-axis-of-evil-on

[80] https://www.moonofalabama.org/2023/03/axis.html

[81] https://nationalinterest.org/blog/buzz/increased-chinese-support-russia-will-imperil-world-206339

[82] https://easc.scholasticahq.com/article/5715-1862-the-superpower-the-united-states-and-the-war-that-didn-t-happen-why-america-and-china-are-not-destined-to-fight-unless-they-forget-everythi

[83] https://nationalinterest.org/feature/historys-warning-us-china-war-terrifyingly-possible-10754

[84] https://peacediplomacy.org/2022/10/17/americas-perilous-choice-in-ukraine-how-proxy-war-accelerates-a-great-power-decline/

[85] https://peacediplomacy.org/2022/10/17/americas-perilous-choice-in-ukraine-how-proxy-war-accelerates-a-great-power-decline/

[86] https://www.defense.gov/News/News-Stories/Article/Article/3304356/biden-ukraine-will-never-be-a-victory-for-russia-never/

[87] https://youtu.be/VLN_P5u1ALI?t=4

[88] https://niccolo.substack.com/p/delusion

[89] https://www.noahsnewsletter.com/p/is-ukraine-a-proxy-war

[90] https://cepa.org/article/its-costing-peanuts-for-the-us-to-defeat-russia/

[91] https://nafo-ofan.org/

[92] https://thegrayzone.com/2022/10/28/spooks-mercs-hawks-nafo-troll/

[93] https://www.realclearpolicy.com/articles/2023/03/28/russias_fifth_column_in_america_889897.html

[94] https://www.politico.com/news/2022/02/27/mitt-romney-russia-remains-geopolitical-foe-00012124

[95] https://store.steampowered.com/app/2251930/CGI_The_Game/

[96] https://twitter.com/uamemesforces/status/1536074185369329666

[97] https://www.lemonde.fr/en/pixels/article/2022/04/23/ukrainian-and-russian-tolkien-fans-battle-over-the-legacy-of-the-lord-of-the-rings_5981383_13.html

[98] https://en.wikipedia.org/wiki/Battle_of_Verdun

[99] https://www.urbandictionary.com/define.php?term=vicarity

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Fuori luogo, ma nel contesto (italico), di Roberto Buffagni

Signore perdonali perché non sanno quello che fanno: io invece, come Sartana in un celebre spaghetti western degli anni Settanta, NON li perdono. Come la DC ha presieduto alla fine del cattolicesimo italiano, come il PCI ha presieduto alla fine del marxismo italiano, così il governo nazionalista di FdI presiede alla fine del nazionalismo, e temo anche del patriottismo italiano (per quel che ne resta, poco). Purtroppo, i “nazionalisti” che hanno deciso questa sciatta vassallata ci hanno sicuramente pensato su, e si sono fatti venire l’idea di chiamare Gianni Morandi perché secondo loro è “nazionalpopolare”. In questa idea c’è tutto quel che li definisce, e non è un bel vedere. C’è l’idea, stupida, abietta e supponente, che al popolo si dà il latte scaduto, le merendine muffite, le patatine fritte nell’olio lubrificante perché non può assimilare altro, perché l’autentico, il bello, il dignitoso lo intimidisce, lo mette in soggezione, è incompatibile con la canottiera e il salotto della nonna. C’è l’abissale, quasi commovente cafonaggine in conformità alla quale si celebra un luogo e un’occasione elevate, solenni, ufficiali e dignitose facendo cantare a Gianni Morandi “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”, appena dopo aver cantato l’inno nazionale, una strofa del quale recita “siam pronti alla morte/l’Italia chiamò” (forse dalla finestra, per farsi portare il latte).

N.B.: non ho niente contro Gianni Morandi che mi sta anche simpatico, andava benissimo per celebrare un eventuale scudetto del Bologna, l’anniversario della Camera Alta della Repubblica italiana, no. Ma non mi sono arrabbiato, semmai mi cadono le braccia. E’ andata così ragazzi, è andata così l’Italia.

Qui si vede, in forma grottesca, la conclusione della maestosa tragedia storica italiana. Nella IIGM era certo necessario e quindi giusto, tra i due mali, scegliere il male minore, la vittoria degli Alleati e la solidarietà con essi, legittimata dalla guerra partigiana del CLN. Ma oggi si vede chiaro che avevano ragione anche i migliori tra coloro che scelsero la RSI, quando dicevano che schierarsi con il nemico del giorno prima, contrabbandare la sconfitta per vittoria, ci sarebbe costato più caro che vivere la sconfitta fino in fondo, perché vi avremmo perduto l’identità, l’anima, la fiammella spirituale che tiene in vita la patria anche nella sconfitta, nella rovina, nel terribile errore, come fu un terribile errore entrare in guerra a fianco della Germania nazista (non solo perché poi ha perduto, ma perché il nazismo faceva schifo e lo sapevamo anche allora).

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

È tempo per Biden di confessare sull’Ucraina, di George Beebe_a cura di Roberto Buffagni

È tempo per Biden di confessare sull’Ucraina
Le fughe di notizie sembrano dimostrare che la comprensione della guerra da parte dei funzionari è in contrasto con le loro dichiarazioni pubbliche, sollevando lo spettro del Vietnam.

26 APRILE 2023
Scritto da
George Beebe

È giunto il momento che l’amministrazione Biden parli con il popolo americano della guerra in Ucraina.

Per più di un anno, la Casa Bianca ha dipinto al pubblico un quadro roseo di successi strategici e sul campo di battaglia. “L’Ucraina non sarà mai una vittoria per la Russia”, ha proclamato il Presidente Biden durante la sua visita a Kiev a febbraio. “Crediamo di poter vincere – loro [gli ucraini] possono vincere se hanno il giusto equipaggiamento, il giusto supporto”, ha detto il segretario alla Difesa Lloyd Austin.

Il Segretario di Stato Tony Blinken ha ripetutamente insistito sul fatto che la guerra sarà una “sconfitta strategica” per la Russia, che la lascerà indebolita e incapace di future aggressioni. Anche l’osservatore più sobrio dell’amministrazione, il presidente dello Stato Maggiore Mark Milley, ha affermato che l’Ucraina ha la leadership e il morale per battere la Russia.

Spinti da queste dichiarazioni ottimistiche, i funzionari di Biden hanno insistito sul fatto che la giustizia deve prevalere nella guerra. Dicono che Putin e altri funzionari russi devono essere processati per crimini di guerra. Insistono sul fatto che, in quanto vittima di un’aggressione russa non provocata, solo l’Ucraina ha il diritto di decidere se cercare un accordo o concedere il territorio.

La linea di fondo della Casa Bianca è stata che la determinazione americana non vacillerà e che la guerra avrà come risultato un finale uniformemente felice per gli Stati Uniti e i suoi alleati: una “Ucraina democratica, indipendente, sovrana e prospera”, una Russia castigata e defraudata e una “Europa pacifica e stabile”. E tutto ciò può essere raggiunto senza impegnare le truppe statunitensi a combattere contro la Russia e senza rischiare quella che Biden ha definito “la terza guerra mondiale”.

La presunta fuga di documenti riservati, ufficialmente non confermata ma ampiamente ripresa dai media occidentali, solleva profondi interrogativi su questa narrazione. Se queste notizie di stampa sono accurate, suggeriscono che gli Stati Uniti si stanno avvicinando molto di più a una guerra diretta con la Russia di quanto il team di Biden abbia riconosciuto.

Inoltre, sostengono che a marzo c’era un piccolo numero di forze speciali americane non rivelate sul terreno in Ucraina, sollevando la questione di cosa Washington farebbe se i russi li colpissero intenzionalmente o meno. L’Occidente ha anche letteralmente schivato un attacco missilistico quando un caccia russo ha erroneamente creduto di aver ricevuto l’autorizzazione a sparare contro un aereo di raccolta dei servizi segreti britannici, solo che il missile ha fallito dopo il lancio.

Inoltre, i rapporti dipingono un quadro molto più fosco delle prospettive di Kiev nella guerra rispetto a quanto ammesso dalla Casa Bianca. Descrivono i livelli di equipaggiamento e di addestramento per la tanto attesa controffensiva ucraina, che ispirano scarsa fiducia nella capacità di produrre una svolta decisiva contro le difese russe rafforzate. I documenti avvertono che l’Ucraina è pericolosamente vicina all’esaurimento dei missili di difesa aerea, che sono stati fondamentali per difendere le città e le infrastrutture ucraine dagli attacchi missilistici e aerei e – cosa ancora più importante – per impedire alle forze aeree russe di fornire un supporto aereo ravvicinato alle sue forze di terra.

Questi problemi di addestramento e di approvvigionamento non possono essere risolti facilmente o rapidamente. L’Ucraina ha indubbiamente combattuto bene fino a questo punto della guerra, ma ha perso molti dei suoi combattenti più esperti e più efficaci. L’addestramento di decine di migliaia di sostituti richiede molto tempo. Padroneggiare sistemi d’arma sofisticati e sconosciuti, imparare a mantenerli e integrarli nelle operazioni sul campo di battaglia è una sfida enorme.

E sebbene l’Occidente abbia fatto del suo meglio per preparare gli ucraini alla controffensiva, non ha scorte sufficienti di proiettili d’artiglieria, armi anticarro e missili per la difesa aerea per sostenere lo sforzo bellico a tempo indeterminato e non può aumentare rapidamente le linee di produzione militare. Per mantenere la promessa di Biden di sostenere l’Ucraina “per tutto il tempo necessario” è una questione di capacità, non solo di volontà politica.

Le implicazioni di un logoramento ucraino sono potenzialmente gravi. Se la controffensiva non riuscisse a superare le difese russe, un esercito ucraino a corto di riserve addestrate, di proiettili d’artiglieria e di missili per la difesa aerea potrebbe essere vulnerabile a nuove avanzate russe, sostenute per la prima volta in questa guerra da una consistente campagna aerea.

Piuttosto che costringere Putin a chiedere la pace, la controffensiva potrebbe mettere a nudo le debolezze ucraine, rafforzando le sue ambizioni. In retrospettiva, Washington potrebbe guardare con nostalgia ai termini dell’accordo su cui i negoziatori ucraini e russi erano confluiti alcune settimane dopo l’invasione russa – un impegno ucraino alla neutralità permanente sostenuto da una garanzia di sicurezza multinazionale – come un’occasione mancata.

Se la guerra di logoramento della Russia minacciasse di mettere in ginocchio l’Ucraina, cosa farebbe Biden? La Casa Bianca non ha fatto quasi nulla per preparare l’opinione pubblica americana a un accordo di compromesso, per non parlare di una qualche forma di successo russo sul campo di battaglia. Non avendo gettato le basi in patria e all’estero per i negoziati, Biden potrebbe trovarsi di fronte alla scomoda scelta di vedere l’Ucraina sgretolarsi nonostante la sua promessa di evitarlo, e di intensificare il coinvolgimento degli Stati Uniti o della NATO in modi che potrebbero produrre proprio quel confronto militare con Mosca che lui ha rinunciato a fare.

Il popolo americano non ha il diritto di vedere informazioni sensibili di intelligence, la cui divulgazione può certamente mettere a rischio la sicurezza nazionale degli Stati Uniti in molti modi. Ma possono e devono aspettarsi che le dichiarazioni pubbliche del loro governo non siano in contrasto con ciò che i funzionari statunitensi sanno privatamente da analisi di intelligence obiettive.

Proprio come è successo in Vietnam e in Iraq, la verità sulla guerra alla fine verrà fuori. Se questi dolorosi episodi servono da guida, è improbabile che gli elettori accolgano con favore la notizia di essere stati ingannati ancora una volta in Ucraina.

https://responsiblestatecraft.org/2023/04/26/time-for-biden-to-come-clean-on-ukraine/?mc_cid=1e91486550&fbclid=IwAR0rTHdF8SwZLBhsm3Qph61CCATwQjMF-DrnMSbmswr_u9Iyr-b_YPVTJp4

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

 

NOTA BREVISSIMA SULLA SITUAZIONE UCRAINA, di Roberto Buffagni

NOTA BREVISSIMA SULLA SITUAZIONE UCRAINA

 

Una brevissima notazione sulla situazione ucraina. Quando ci avrò riflettuto a sufficienza, ne scriverò più distesamente. Per ora, enuncio in forma quasi apodittica le mie persuasioni.

A mio avviso, in estrema sintesi la situazione è la seguente:

  1. C’è un’aspra lotta di fazioni, collegate tra di loro, all’interno delle Amministrazioni USA e Ucraina. La fazione moderata (militari, obiettivo strategico: riduzione del danno) e la fazione estremista (politici neoconservatori, obiettivo strategico: fuga in avanti) sono in equilibrio, nessuna riesce a prevalere. Manca purtroppo l’intervento di un paese europeo maggiore che faccia pendere l’ago della bilancia a favore della fazione moderata. Il compromesso che ne risulta è un obiettivo comune: guadagnare tempo in attesa delle elezioni presidenziali USA 2024, e nella speranza di trovare una via d’uscita dalla trappola strategica in cui gli Stati Uniti e l’Ucraina si sono ficcati. Ciascuna fazione fa, nel frattempo, i suoi progetti, e coltiva le sue speranze e ambizioni, incompatibili con quelli degli avversari.
  2. Perseguire l’obiettivo “guadagnare tempo” esige che la situazione ucraina non registri una incontrovertibile smentita della narrazione ufficiale, secondo la quale l’Ucraina ha speranza di vincere o almeno di prolungare indefinitamente la guerra, così indebolendo la Russia e “punendo l’aggressore”. La realtà dei fatti militari – l’Ucraina non solo non può vincere la Russia ma di fatto ha già perduto la guerra – non deve risultare chiara anche ai ciechi, in specie ai ciechi che voteranno alle elezioni presidenziali USA del 2024.
  3. L’obiettivo “guadagnare tempo” si può perseguire in due modi:
  4. a) controffensiva ucraina che raggiunga un obiettivo utile dal pdv propagandistico (es., occupazione anche parziale di città importante) senza essere immediatamente seguita da contrattacco devastante russo e sconfitta folgorante. Purché lenta, una sconfitta andrebbe egualmente bene.
  5. b) rinvio perenne della controffensiva ucraina, mascherato con attività episodica delle truppe regolari e con attacchi asimmetrici (es. plurimi attentati in Russia), nella speranza che i russi a loro volta non sferrino un’offensiva in forze con l’obiettivo di concludere le ostilità una volta per tutte.
  6. Il modo a), “controffensiva”, è molto rischioso. Le FFAA ucraine e la società ucraina nel suo complesso non sono in grado di sostenere una controffensiva su larga scala: anche nel caso di un primo successo tattico, o anche operativo, mancano le riserve, il materiale e la logistica per sostenerlo, riprendere l’iniziativa e trasformarlo in un successo strategico; e c’è sempre la possibilità, tutt’altro che improbabile, che la controffensiva ucraina si infranga catastroficamente sulle difese russe, che hanno dalla loro tutti i vantaggi: fortificazioni, truppe fresche addestrate in numero sufficiente, logistica adeguata, retrovie ben protette, ampia capacità industriale mobilitata, vasto sostegno politico della popolazione.

Il modo b), “rinvio sine die” è meno rischioso, perché continuando con la guerra d’attrito, i russi risparmiano la loro risorsa più preziosa, gli uomini, ottengono egualmente l’obiettivo finale di incapacitare le FFAA ucraine, e prevengono la possibilità che la fazione estremista americano-ucraina sfrutti l’emozione di un’Ucraina sull’orlo della catastrofe per provocare il coinvolgimento diretto di truppe occidentali. In sintesi, il tempo lavora per la Russia, salvo grossi imprevisti (v. punto 5).

Il rischio principale del modo b), “rinvio sine die” è che lo stillicidio di attentati e provocazioni, e l’attesa spasmodica di una soluzione definitiva del conflitto, esasperi la popolazione russa, provocando una pressione politica per l’accelerazione del conflitto a cui il governo russo senta di dover rispondere: nel 2024 ci sono anche le elezioni presidenziali russe.

  1. Se quanto ho ipotizzato ai punti precedenti si avvicina alla realtà, gli obiettivi di fase del governo russo e della posizione risultante dal conflitto tra fazioni USA + Ucraina potrebbero convergere nella comune scelta di guadagnare tempo.

Si tratta però di una convergenza molto precaria perché

  1. a) l’equilibrio tra le fazioni USA e Ucraina è estremamente instabile. In esse, la caotica frammentazione del potere può dar luogo a iniziative autonome di gruppi anche molto piccoli di dirigenti che lo compromettono irreversibilmente. Esempio: una esplosione nucleare sotto falsa bandiera, provocata dagli ucraini e addebitata ai russi (l’Ucraina ne ha le capacità tecniche)
  2. b) le rivalità interne alla classe dirigente russa potrebbero far pendere la bilancia a favore di una escalation del conflitto, con l’obiettivo di concluderlo rapidamente.

Per imprimere una svolta verso l’opzione “riduzione del danno” e la ricerca di una soluzione diplomatica, il fattore decisivo sarebbe l’intervento ufficiale di un paese europeo maggiore che rivendicasse la necessità di aprire una trattativa con la Russia senza precondizioni. Temo non sia probabile.

l sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

 

Due righe sul video della decapitazione di un prigioniero ucraino, di Roberto Buffagni

Due righe sul video della decapitazione di un prigioniero ucraino

Due righe sul video che registra la decapitazione di un prigioniero ucraino. Non l’ho visto. Do per scontato, in questa sede, che sia autentico, e che la decapitazione sia realmente avvenuta. Brevissime considerazioni.

  1. Il video significa che le truppe russe commettano sistematicamente atrocità? No. Motivi:
  2. a) non è nell’interesse della Russia e delle sue FFAA. Le atrocità sui prigionieri rafforzano la determinazione e la volontà di combattere del nemico, ne rendono più improbabile la resa, provocano ritorsioni, aiutano la propaganda nemica.
  3. b) la propaganda russa non disumanizza il nemico, che non viene rappresentato come un Untermensch razzialmente inferiore (questo semmai avviene nella propaganda ucraina, improntata a un nazionalismo radicale su base etnica). L’ideologia prevalente in Russia è lato sensu cristiana e umanistica. Molte famiglie russe sono imparentate con ucraini. La Russia non combatte una guerra di sterminio, né una guerra assoluta, come prova il basso numero di vittime civili. Se la Russia volesse spezzare il morale della popolazione ucraina col terrore ne avrebbe i mezzi, gli stessi impiegati dai tedeschi contro l’URSS o dagli Alleati contro la Germania e il Giappone (“terror bombings”, bombardamento indiscriminato dei civili) nella IIGM.
  4. Allora perché vengono perpetrate atrocità simili?
  5. a) Combattono anche persone sadiche e malvage, alle quali la guerra offre un’occasione d’oro per sfogarsi, o magari per scoprire di essere sadiche e malvage. La guerra “gratta via la vernice” e fa vedere quel che c’è sotto. Infatti vi si verificano atti di straordinaria abnegazione ed eroismo, e atti di abissale malvagità, più tutto l’ampio ventaglio della mediocrità morale. È una considerazione di elementare buonsenso ma di solito non la si fa.
  6. b) Vendetta, ritorsione. Circolano analoghe testimonianze video di atrocità di parte ucraina. Pochi moventi sono forti come la vendetta, specie quando si è stati diretti testimoni dell’evento che la innesca (in guerra avviene spesso).
  7. c) La guerra ucraina è anche una guerra civile. Il livello di atrocità, nelle guerre civili, è molto più elevato, perché i nemici si conoscono personalmente e sviluppano un odio molto più radicato e violento che nelle guerre tra Stati combattute tra eserciti regolari. Ricordo che in tempo di pace, la gran parte dei delitti avviene in famiglia, tra persone che si conoscono benissimo e sono legate da vincoli di sangue. Negli anni tra il 2014 e il 2022 sono circolate testimonianze video e verbali di terrificanti atrocità tra le opposte milizie del Donbass, a paragone delle quali questa decapitazione impallidisce. Io stesso ho visto un video in cui veniva crocefisso e poi bruciato vivo un nemico (non dico da chi, in questo contesto è identico). Ho anche ascoltato la testimonianza di un mercenario italiano che se ne è andato “perché era troppo”, troppo atroce il costume bellico dell’una e dell’altra parte. Cose analoghe sono avvenute in tutte le guerre civili di cui ho notizia, es. Libano, Jugoslavia. Non riporto i fatti per non fare il catalogo degli orrori, ma non è difficile trovarne testimonianza affidabile.

Conclusione. I responsabili di queste atrocità vanno puniti come meritano. Non sarà facile che lo siano, per l’estrema difficoltà di instaurare un tribunale imparziale in tempo di guerra, e nell’immediato dopoguerra. Chiunque sostenga che le atrocità vengono perpetrate da una parte sola, mente. Bisogna porre termine il più presto possibile a questa guerra, anche per prevenire il ripetersi e l’aggravarsi delle atrocità.

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

 

DA CHI SONO STATI DIFFUSI I DOCUMENTI NATO, E PERCHE’?_di Roberto Buffagni

 

DA CHI SONO STATI DIFFUSI I DOCUMENTI NATO, E PERCHE’?

 

Ringrazio dell’utilissimo, esauriente report, che riporto in calce, il professor Francesco Dall’Aglio. Sono chiarificatori soprattutto gli articoli del “Daily Telegraph” e del “Washington Post”, che il prof. Dall’Aglio riassume con perspicuità.

Premetto che le mie sono soltanto ipotesi, che possono benissimo rivelarsi errate; ma a questo punto direi che si può cominciare a capire:

  1. a) da chi sono stati diffusi i documenti
  2. b) a quale scopo sono stati diffusi.

Mia ipotesi su a): i documenti sono stati diffusi con la benedizione di qualcuno molto in alto, che appartiene al gruppo che capeggia la fazione contraria all’escalation della guerra, incardinata sul Pentagono.

Sono stati diffusi così perché:

1) plausible deniability

2) cresce la pressione per l’escalation (intervento diretto di forze occidentali nella guerra) della fazione oltranzista avversa, incentrata sull’establishment bipartisan che dirige la politica estera USA + i suoi alleati oltranzisti ucraini.

Mia ipotesi su b): la fazione del Pentagono più contraria all’escalation teme che l’ accordo tra le fazioni ucraine e USA più oltranziste e più favorevoli all’escalation metta i decisori USA di fronte al fatto compiuto: ossia, sferri un’offensiva con tutto quel che rimane all’Ucraina, la conduca sull’orlo della sconfitta militare decisiva, e costringa gli USA a una scelta immediata: o intervenire con truppe occidentali, o accettare una sconfitta politica colossale e di essere incolpati di “non aver salvato l’Ucraina & la democrazia”.

In estrema sintesi: la fazione oltranzista ucraina e USA vuole iniziare un’offensiva chiaramente condannata a fallire per provocare un intervento diretto occidentale nella guerra. In effetti, soltanto l’intervento diretto occidentale può modificare il contesto della guerra, che altrimenti ha come esito predeterminato la sconfitta militare decisiva dell’Ucraina.

La fazione avversa all’escalation, incardinata sul Pentagono, dissemina i documenti NATO per attestare pubblicamente che:

  1. a) gli USA e la NATO hanno sconsigliato agli ucraini di intraprendere azioni offensive su grande scala
  2. b) gli USA e la NATO non possono fare molto di più di quel che stanno facendo ora, non ne hanno le capacità materiali
  3. c) dunque gli ucraini oltranzisti, e la fazione USA con la quale sono alleati, devono scendere a più miti propositi, evitare azioni offensive su grande scala, e sostanzialmente dare tempo agli USA di districarsi dalla trappola in cui si sono cacciati.

Soprattutto, essi NON devono sperare di poter mettere gli Stati Maggiori riuniti e il Pentagono di fronte al fatto compiuto di un’offensiva che porti l’Ucraina sull’orlo della sconfitta, e credere che ciò basti a provocare un intervento diretto occidentale nella guerra, probabilmente nella forma della “coalition of the willing” (truppe polacche, rumene, baltiche, etc. che intervengano sotto la propria bandiera ma non come membri NATO in seguito a richiesta di aiuto militare del governo ucraino).

C’è una analogia storica molto istruttiva, l’operazione “Baia dei Porci” del 1961. CIA e Stati Maggiori riuniti sapevano benissimo che lo sbarco degli esuli cubani sarebbe stato sconfitto, senza un intervento diretto americano. Sapevano anche che il presidente appena insediato, John F. Kennedy, era contrario a far intervenire le forze statunitensi a Cuba.

Così, fecero due cose: 1) ingannarono Kennedy, dicendogli che lo sbarco poteva riuscire, che il popolo cubano sarebbe insorto appoggiando gli esuli cubani 2) diedero per scontato che appena sarebbe stato evidente il fallimento dello sbarco, Kennedy, per evitare una grave sconfitta politica, li avrebbe autorizzati a intervenire con forze USA sul territorio cubano. JFK si rifiutò e accettò la sconfitta.

Qui le parti sono rovesciate: sono i politici ad essere oltranzisti, e i militari a essere moderati, perché dall’altra parte non c’è Cuba ma la Russia, e probabilmente anche perché con tutti i difetti delle FFAA USA, negli SM riuniti non ci sono dei pazzi criminali come il gen. Curtis Le May.

 

 

Dalla pagina Facebook del professor Francesco Dall’Aglio:

Tra ieri e oggi sono venuti fuori altri “leaks”, finalmente un po’ più interessanti di quanto fatto trapelare in precedenza – anche qui vale il discorso fatto ieri: interessanti ma nulla di trascendentale e resta sempre da chiedersi se siano informazioni vere, false, alterate o mescolate, un po’ vere e un po’ false (che, come sanno i bugiardi, è la maniera migliore di mentire).

Senza seguire un ordine particolare, abbiamo appreso che:

– L’Egitto aveva (ha?) intenzione di vendere alla Russia 40.000 missili Sakr-45, ossia la versione egiziana dei missili per i BM-21 “Grad” russi ( https://www.washingtonpost.com/…/10/egypt-weapons-russia/ ). Stando al rapporto, al-Sisi in persona ha istruito lo stato maggiore, il Ministro della Difesa Zaki e gli operai delle fabbriche a fare tutto in segreto “per evitare guai con l’Occidente”. Chissà se ha fatto anche l’accento svedese. Il rapporto è del 1 febbraio: non si sa se i missili e altri armamenti siano stati effettivamente consegnati. Non si ha notizia da parte di fonti ucraine dell’impiego dei Sakr-45, ma potrebbero non essere stati ancora consegnati se al 1 febbraio bisognava ancora produrli.

– Stando alla NBC ( https://www.nbcnews.com/…/leaked-documents-show-us… ) le JDAM, Joint Direct Attack Munition (di cui avevo scritto il 29 marzo) fornite dagli USA all’Ucraina non stanno funzionando, cosa in effetti vera. I motivi andrebbero ricercati o in un difetto nell’armamento delle spolette o nella capacità dei russi di disorientare il GPS che le guida e fargli fallire il bersaglio. Non viene menzionato quello che probabilmente resta il motivo principale, ossia che gli aerei ucraini che le lanciano non raggiungono mai l’altezza prevista per il massimo effetto e la massima gittata, perché restando troppo tempo in volo verrebbero individuati e distrutti – e questo era il motivo per cui, dal lato del Cremlino, non ci si era disperati troppo quando era stato annunciato l’invio delle JDAM. Nell’articolo della NBC ci sono altri “leak” meno interessanti, o già riportati.

– Secondo la CNN ( https://edition.cnn.com/…/pentagon-leaked…/index.html ) il 23 febbraio la Bulgaria avrebbe espresso la sua disponibilità a “donare” all’aviazione ucraina i suoi vecchi Mig-29. Il Ministro della Difesa bulgaro ha negato che la cosa sia vera: https://sofiaglobe.com/…/bulgaria-denies-report-it…/ . Bulgarianmilitary (che è un sito generalmente affidabile su queste cose) a sua volta smentisce la smentita: https://bulgarianmilitary.com/…/bulgaria-has-promised…/ .

– Politico ( https://www.politico.com/…/10/ukraine-intel-leak-00091229 ) ha un articolo interessante sulle conseguenze diplomatiche della fuga di notizie per gli USA nei rapporti coi loro alleati.

– Ho tenuto la cosa più interessante per ultima. Secondo il Daily Telegraph ( https://www.telegraph.co.uk/…/ukraine-russia-pentagon…/ ) la fuga di notizia avrebbe costretto il comando ucraino ad “alterare i piani” per la prevista controffensiva, anche se non viene specificato in che maniera, mentre secondo il Washington Post ( https://www.washingtonpost.com/…/leaked-documents…/ ) ci sarebbero dei dubbi nell’amministrazione USA sulla possibilità che la controffensiva abbia successo, o quantomeno che riesca in tutti i suoi obiettivi (che sono in realtà piuttosto irrealistici: isolare la Crimea dal resto dei territori occupati e conquistarla, e poi prendere tutto il resto fino a tornare ai confini del 1991). La manovra ucraina, dice il WaPo, sarebbe costosissima in termini di perdite sia per le “manchevolezze” di addestramento e munizioni ucraine che per le linee di difesa predisposte dalla Russia, e porterebbe solo “modesti guadagni territoriali”. Gli USA avrebbero tenuto una serie di riunioni ad altissimo livello coi vertici ucraini per capire in che modo vorrebbero muoversi, esprimendo i loro dubbi ai quali i vertici ucraini hanno riposto con la solita risposta: la colpa è dei rifornimenti occidentali che sono arrivati tardi. L’offensiva si farà comunque: “All parties came away from those conversations with a sense that Ukraine was beginning to understand the limitations of what it could achieve in the offensive and preparing accordingly, U.S. officials said. While severing the land bridge is unlikely to happen, these people said, the United States is hopeful that incremental gains could at least threaten the free flow of Russian equipment and personnel in the corridor, which has been a lifeline for invading forces”. A questo proposito il Segretario per la Sicurezza Nazionale Oleksiy Danilov, il più falco dei falchi, ha twittato ieri che la controffensiva viene fatta ogni giorno, che non si aspettano “date magiche” per il suo inizio e che tutta questa smania di informazioni non va a vantaggio delle FFAA ucraine ( https://twitter.com/OleksiyDan…/status/1645397186304196613 ), mentre oggi ha detto che non c’è una sola opzione ma ce ne sono almeno tre. Il Ministro della Difesa Oleksij Reznikov, ad ogni modo, si è un po’ irritato e gli USA sono corsi subito ai ripari: secondo la Reuters ( https://www.reuters.com/…/ukraine-says-blinken…/ ) nel corso di una telefonata col Segretario di Stato Blinken quest’ultimo ha riaffermato il sostegno “blindato” degli USA nel sostenere l’Ucraina e respinto ogni dubbio sulle sue capacità militari. Da qualche parte, in tutto questo discorso, c’è una menzogna. La menzogna è che non si crede alla controffensiva, o che ci si crede? Questa fuga di notizie (che è stata certamente favorita e che viene diffusa ad arte, con i files distribuiti un po’ per uno alle varie testate) segnala o certifica un cambio di rotta nella strategia USA, una possibilità di sganciamento, o al contrario, vista l’insistenza continua su questo dettaglio, la necessità di continuare a inviare rifornimenti, e anzi ad aumentarli?

 

Apocalisse: Operazione Barbarossa, di BigSerge_a cura di Roberto Buffagni

Raccomando caldamente la lettura di questo bel saggio sull’Operazione Barbarossa, perché non ha un interesse puramente storico, ed anzi ci aiuta a comprendere la dinamica della guerra in Ucraina.

Come scrivevo l’1 febbraio scorso[1], l’errore strategico commesso dall’Alto Comando tedesco con l’Operazione Barbarossa è analogo – toute proportion gardée – all’errore commesso dagli Alti Comandi occidentali con la loro strategia contro la Russia in Ucraina:

“…Esemplari dei successi dello stile germanico le magistrali Blitzkrieg contro Polonia e Francia nella IIGM.  Esemplare, però, anche il fallimento dell’Operazione Barbarossa. La Germania invade l’URSS, ottiene per sei mesi schiaccianti vittorie ma non riesce a provocare il collasso politico e sociale del nemico, e tocca il limite delle proprie capacità logistiche. L’URSS non capitola, si riorganizza, e comincia a generare forze umane e materiali in misura via via crescente e superiore rispetto alle forze che è in grado di generare la Germania.  Saranno necessari quattro anni di durissimo conflitto, ma il destino della Germania è segnato.

Si noti bene che al tempo dell’Operazione Barbarossa tutti gli Stati Maggiori del mondo, abbagliati dai precedenti, splendidi successi tedeschi, davano per scontata la vittoria della Wehrmacht. Essa però avrebbe potuto verificarsi soltanto se l’URSS fosse collassata in seguito ai primi mesi di devastanti sconfitte. L’Operazione Barbarossa è dunque stata un’azzardata scommessa strategica, in cui la vittoria finale dipendeva interamente dal crollo della coesione politica, militare e sociale del nemico. L’Alto Comando tedesco non ha invece tenuto nella dovuta considerazione sia le risorse strategiche attuali dell’URSS, sia, e soprattutto, la sua capacità di generare nuove forze, maggiori delle proprie, per tutto il tempo necessario a concludere vittoriosamente la guerra.

È lo stesso tipo di errore che hanno commesso gli Alti Comandi occidentali in questo conflitto ucraino.

Essi hanno gravemente sottovalutato le risorse attuali della Russia: da questo errore dell’intelligence militare i continui proclami che la Russia starebbe per terminare le sue scorte di missili, proietti d’artiglieria, etc., rivelatisi via via sempre più grotteschi e difformi dalla realtà; hanno gravemente sottovalutato la sua capacità di generare nuove forze umane e materiali nel breve, e nel medio-lungo periodo: di qui l’errata valutazione dell’impatto delle sanzioni economiche sulla Russia, a torto creduto rapidamente incapacitante; hanno gravemente sottovalutato la coesione politica e sociale della compagine russa, la sua volontà di combattere e di stringersi intorno alla bandiera: di qui gli annunci, via via più ridicoli, di un prossimo rovesciamento del governo russo in seguito al dissenso della popolazione e di decisivi settori della classe dirigente.”

A chi desidera approfondire lo studio della guerra sul fronte orientale nella IIGM, suggerisco le opere del grande storico militare statunitense David Glantz.[2] Buona lettura. Roberto Buffagni

 

https://bigserge.substack.com/p/apocalypse-operation-barbarossa?utm_source=post-email-title&publication_id=1068853&post_id=107082041&isFreemail=true&utm_medium=email

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

 

Apocalisse: Operazione Barbarossa

La storia della battaglia: Manovra, parte 11

di BigSerge, 22 marzo 2023

30

L’inizio della guerra nazi-sovietica, il 22 giugno 1941, fu un cataclisma di dimensioni inimmaginabili. Il conflitto che ne seguì si sarebbe svolto in un teatro enorme e sarebbe stato combattuto da eserciti di dimensioni mai viste prima. Le operazioni più importanti furono condotte da Berlino al Volga, dal Baltico al Caucaso: milioni di uomini si uccisero l’un l’altro in un’arena dal diametro di molto superiore ai mille chilometri. Fu anche qui, a est, che la brutalità del regime nazista fu finalmente scatenata nella sua totalità. Mentre la Wehrmacht si faceva strada nell’interno dell’Unione Sovietica, era seguita da unità speciali delle SS incaricate di giustiziare sommariamente determinate categorie di nemici, come i funzionari del Partito Comunista e gli ebrei. Centinaia di migliaia di persone sarebbero state fucilate in fosse mortuarie a cielo aperto.

 

Così, per scala geografica, per le dimensioni degli eserciti e per la disinibita brutalità della violenza, la guerra nazi-sovietica è unica. È la guerra: l’archetipo dell’apocalisse creata dall’uomo; senza rivali come singola massima espressione di violenza organizzata.

Questa guerra iniziò nelle prime ore del mattino del 22 giugno 1941, quando la Wehrmacht tedesca si mise in marcia per attuare l’Operazione Barbarossa. Questa operazione, come la guerra più ampia che inaugurò, fu di portata senza precedenti. Le forze tedesche ammontavano a ben oltre tre milioni di uomini, una cifra che non aveva nulla a che vedere con le forze coinvolte nell’invasione della Polonia o della Francia. Ancor più singolare, tuttavia, Barbarossa fu un tentativo di condurre una campagna di manovra e di annientamento su scala autenticamente continentale. Le aree di operazione previste andavano dagli Stati baltici e da Leningrado a nord fino alla Crimea a sud. L’intero spazio di battaglia era dell’ordine di mezzo milione di chilometri quadrati. È un fatto del tutto unico. Né prima né dopo nessun esercito avrebbe tentato un’operazione su scala continentale, e per una buona ragione.

 

Barbarossa e l’operazione immediatamente successiva (Operazione Tifone) sono molto mitizzati e spesso travisati nelle storie popolari. La storia più semplicistica che viene solitamente raccontata è incentrata sull’inverno russo. Si dice che i tedeschi fossero sul punto di catturare Mosca quando furono colti di sorpresa dal sopraggiungere del clima invernale, che congelò la loro avanzata e permise all’URSS di riprendersi (di solito, si dice, con il generoso aiuto del lend-lease americano). Una storia un po’ più sofisticata, ma comunque scorretta, indica come momento critico la decisione, all’inizio dell’autunno, di riorientare le forze verso Kiev – presumibilmente, ciò rifletteva il fatto che Hitler fosse distratto da obiettivi secondari, causando un ritardo fatale che non permise ai tedeschi di raggiungere Mosca in tempo.

 

Il fallimento di Barbarossa era in realtà radicato nelle concezioni più elevate dell’operazione, piuttosto che nei dettagli della sua attuazione. Barbarossa fallì perché era semplicemente impossibile condurre con successo una campagna di manovra su scala continentale in Unione Sovietica con le risorse a disposizione della Wehrmacht tedesca nel 1941. È interessante notare che Barbarossa raggiunse tutti i suoi obiettivi, ma questi successi non si tradussero in una vittoria strategica.

 

Si è sentito dire che la capacità dell’uomo supera la sua portata. Nel caso della Wehrmacht nel 1941, né la portata né la capacità di afferrare furono in difetto. Hitler aveva raggiunto e afferrato qualcosa di troppo grande per lui e si trovò alle prese con un potere che non aveva capito e che non poteva dominare. L’enorme potenza militare latente dell’Unione Sovietica era stata invisibile ai pianificatori tedeschi, che avevano scioccamente ignorato l’abilità di combattimento degli slavi, la sofisticazione dei sistemi d’arma sovietici e soprattutto l’impareggiabile potere organizzativo del Partito Comunista, che poteva mobilitare con calma ed efficienza decine di milioni di uomini per combattere.

 

E così, accecata dall’arroganza e dai presupposti nazisti sull’incompetenza sovietica e sull’inferiorità slava, la Wehrmacht si trovò intrappolata in una guerra che non poteva vincere, contro un esercito che non aveva capito, bloccata in un vasto Paese che la derideva con crudele distanza. Soprattutto, il regime nazista scoprì che il suo avversario sovietico aveva un’ideologia totalizzante e poteri di mobilitazione e coercizione superiori ai suoi. L’impero di Stalin, che Hitler aveva liquidato come un gigante dai piedi d’argilla, era molto più potente di quanto si sapesse. Hitler, che desiderava portare a est una guerra apocalittica di annientamento, avrebbe dovuto fare attenzione a ciò che desiderava.

La peggiore sorpresa di sempre

A prima vista, l’Operazione Barbarossa sembrerebbe caratterizzata da due aspetti apparentemente contraddittori: la forza tedesca era il più grande accumulo di potenza di combattimento nella storia dell’Europa, ma riuscì anche ad ottenere una sorpresa quasi totale. Questo sembra impossibile: come poteva l’Unione Sovietica non accorgersi dell’accumulo di una tale forza sul proprio confine – milioni di uomini, migliaia e migliaia di pezzi d’artiglieria, carri armati e veicoli, e con essi gli enormi depositi di rifornimento, i campi d’aviazione e le infrastrutture delle retrovie?

 

La risposta risiedeva in una singolare miscela di supposizioni dello stesso Stalin sulle intenzioni tedesche, nel ballo dell’intelligence e del controspionaggio e in una grave mancanza di comprensione da parte dei vertici della leadership sovietica su come si sarebbe presentato sul terreno quando i tedeschi avrebbero scatenato il loro pacchetto di attacco meccanizzato. Permettetemi l’indulgenza di un’elaborazione.

 

Nel 1941, la Germania nazista e l’Unione Sovietica operavano ancora tecnicamente nell’ambito di una serie di accordi che comprendevano un patto di non aggressione, un accordo commerciale (che scambiava in larga misura macchine utensili e tecnologia tedesche con materie prime sovietiche) e un accordo sui confini e sulle sfere di influenza che la storia conosce come patto Molotov – Ribbentrop. Nonostante l’allineamento nominalmente amichevole dei due Paesi, c’era la sensazione condivisa che l’alleanza stesse rapidamente esaurendo la sua utilità e che i due Paesi sarebbero presto entrati in guerra.

 

La disintegrazione delle relazioni nazi-sovietiche ebbe molteplici cause. L’accordo era piuttosto sgradevole per Hitler, in quanto rendeva la Germania dipendente dal grano, dal petrolio e da altri materiali sovietici. Dati i presupposti ideologici di Hitler sulla necessità di autosufficienza economica, la continua dipendenza da Stalin per i materiali era un boccone amaro da ingoiare. Inoltre, i termini specifici del commercio nazi-sovietico erano strategicamente svantaggiosi per la Germania, perché essa inviava all’Unione Sovietica strumenti industriali e tecnologia che la rendevano più potente nel lungo periodo, ricevendo in cambio solo materiali di consumo. Su tutto questo incombeva l’ossessione generale di Hitler per il “giudeo-bolscevismo” e l’impero orientale.

 

Senza entrare troppo nello specifico della visione del mondo di Hitler (forse sarà per un’altra volta), sarebbe opportuno dire che l’URSS era il luogo specifico in cui le sue molte ambizioni si univano. Era nelle terre dell’Unione Sovietica che Hitler avrebbe costruito un impero tedesco autosufficiente e ricco di risorse, oltre a forzare finalmente il confronto finale con “gli ebrei”. Questo proponeva una soluzione archetipicamente hitleriana. Hitler era soprattutto un giocatore d’azzardo geopolitico compulsivo che amava l’idea di poter risolvere tutti i suoi problemi con un unico colpo decisivo, e questo era l’esempio perfetto. Poteva acquisire grano, petrolio e spazio vitale, porre fine alla sua dipendenza da una nemesi ideologica e uccidere un numero enorme di ebrei e comunisti con una sola mossa.

 

La tregua nazi-sovietica, quindi, non sarebbe mai durata. La sua fine, nel 1941, fu specificamente innescata dalle dispute sulle relative sfere di influenza nei Balcani. Nel novembre 1940, Molotov visitò Berlino e si discusse dell’idea di far entrare l’Unione Sovietica nell’Asse con Germania, Giappone e Italia, ma i colloqui si interruppero per il desiderio sovietico di avere una presenza in Bulgaria. Ad avvelenare i rapporti non furono tanto le questioni in gioco, quanto il fatto che Hitler andò su tutte le furie quando fu informato delle proposte sovietiche, e la sua successiva decisione di dare a Molotov il trattamento del silenzio. La proposta sovietica non ricevette mai una risposta formale – un silenzio che innervosì profondamente Stalin e confermò più o meno che la tregua si stava disintegrando.

Molotov in Berlin, 1940

Come è possibile, quindi, che i sovietici siano stati colti di sorpresa dal lancio di Barbarossa? Ebbene, Stalin non si faceva certo illusioni sull’arrivo di una guerra. All’inizio del 1941, tenne un discorso ai diplomati dell’Accademia Militare Principale dell’Armata Rossa in cui prevedeva espressamente che la guerra si stava avvicinando e che l’Armata Rossa avrebbe infranto il mito dell’invincibilità della Wehrmacht. I preparativi per la guerra erano già in corso in Unione Sovietica quando l’attacco arrivò il 22 giugno.

 

Tuttavia, sapere che una guerra ci sarà è diverso dal sapere il giorno in cui inizierà. Stalin godeva di molti flussi di informazioni che lo avvertivano dell’imminenza di un’invasione tedesca (compreso un avvertimento di Winston Churchill), ma non riuscivano a mettersi d’accordo sulle date. Stalin sapeva che la Wehrmacht si stava ammassando ai suoi confini, ma non poteva accertarne le intenzioni. Soprattutto, Stalin aveva osservato uno schema nel comportamento di Hitler. Tutte le precedenti espansioni tedesche – Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Danimarca e così via – erano avvenute dopo che il Führer aveva fatto un’ultima scandalosa richiesta di concessioni. In altre parole, Hitler sembrava preferire minacciare le sue vittime sotto la minaccia delle armi prima di scaricargli addosso la Wehrmacht. Stalin nel 1941 sembra essere stato abbastanza sicuro che Hitler avrebbe minacciato e fatto richieste prima di attaccare. L’idea che la Wehrmacht avrebbe semplicemente… attaccato… non sembra avergli sfiorato la mente.

 

Soprattutto, l’errore più grande di Stalin fu relativamente semplice. Credeva di essere pronto per la guerra. Stalin aveva mosso cielo e terra per industrializzare l’URSS e armarla fino ai denti con armi moderne. L’Armata Rossa era la più grande del mondo e aveva un parco carri armati significativamente più grande di quello della Wehrmacht. Nel giugno 1941, Stalin aveva mobilitato 220 divisioni e un numero significativo di esse era schierato in avanti sul confine.

 

Il 19 giugno, il capo del Partito ucraino – Nikita Krusciov – si incontrò con Stalin al Cremlino. Quando il cielo si fece scuro, Kruscev disse: “Devo proprio andare. La guerra scoppierà da un momento all’altro e potrebbe trovarmi qui a Mosca o sulla strada”. Stalin rispose: “Sì, hai ragione”. Pochi giorni dopo, all’una di notte del 22 giugno, Stalin – su incessante sollecitazione di Zhukov – permise alle unità dell’Armata Rossa sul confine di raggiungere la prontezza di combattimento di base, ma sottolineò che “il compito delle nostre forze è di astenersi da qualsiasi tipo di azione provocatoria”.

 

Il nocciolo della questione è che Stalin – che non era un militare – semplicemente non capiva quanto fosse veloce e violento il pacchetto d’attacco tedesco. Presumeva che le enormi forze sovietiche al confine avrebbero gestito qualsiasi cosa si fosse presentata. Potremmo dire che Stalin era astrattamente preparato all’idea di una guerra con la Germania nazista, ma non capiva cosa avrebbe significato sul campo, o come sarebbe stato quando i tedeschi avrebbero scatenato tutto ciò che avevano sull’Armata Rossa.

 

Era pronto per la guerra, ma non per la Wehrmacht.

 

Apertura: Il miraggio

L’Operazione Barbarossa fu un paradosso per eccellenza. Molto semplicemente, fu il più grande successo operativo della Wehrmacht fino ad allora, eppure fece perdere la guerra alla Germania. Come è possibile? Esaminiamolo.

 

La guerra iniziò più o meno come altri iconici attacchi tedeschi, e le unità dell’Armata Rossa alla frontiera ora godevano dello stesso trattamento riservato ai francesi nel 1940 o ai polacchi nel 1939: nuvole di Stukas stridenti, carri armati che sferravano il fuoco in avvicinamento, artiglieria che si concentrava sui punti di breccia e fanteria ben addestrata che riversava il fuoco di mortai, mitragliatrici e fucili. L’Armata Rossa se la cavò come i precedenti avversari della Wehrmacht. In quel momento, semplicemente, non c’era nessun esercito al mondo che avesse un’integrazione di armi all’altezza del kit di strumenti meccanizzati tedeschi, e la pura violenza, la velocità e la potenza di fuoco maniacalmente concentrata sulla breccia era troppo per chiunque da gestire.

German troops cross the Soviet border

La concezione generale dell’Operazione Barbarossa consisteva essenzialmente nel prendere le campagne precedenti della Germania e ingrandirle di molte volte. Mentre la Polonia e la Francia erano state colpite da due gruppi di armate tedesche, l’operazione Barbarossa ne prevedeva tre, tutti di dimensioni enormi. La Polonia aveva affrontato una manciata di Panzer Division; la Francia un “Panzer Group” di otto divisioni. L’URSS avrebbe avuto a disposizione ben quattro gruppi di panzer, per un totale di diciassette divisioni panzer e una serie di formazioni motorizzate.

Il piano tedesco prevedeva che tre gruppi d’armate si spingessero in profondità nell’Unione Sovietica con l’intenzione di accerchiare e distruggere le forze dell’Armata Rossa alla frontiera. I tedeschi sapevano bene che nel 1812 l’esercito russo aveva sconfitto Napoleone semplicemente ritirandosi in profondità nell’interno della Russia e negandogli una battaglia decisiva. Nel 1941 la Wehrmacht era determinata a distruggere l’Armata Rossa mentre si trovava ancora nelle zone di confine e a impedire una ritirata nei vasti dintorni del cuore sovietico.

Ci riuscirono.

Quando la Wehrmacht invase l’Unione Sovietica nel giugno 1941, dispiegò una delle più sorprendenti concentrazioni di potenza di combattimento mai viste. Hitler aveva messo insieme l’equivalente di 152 divisioni, composte da oltre 3 milioni di uomini, a cui si aggiunsero più di 650.000 soldati mobilitati dagli Stati satelliti tedeschi e dagli alleati come Ungheria, Finlandia, Romania e Italia. Le forze tedesche erano equipaggiate con circa 3.350 carri armati, 600.000 veicoli, 600.000 cavalli, decine di migliaia di pezzi di artiglieria e più di 3.000 aerei. Anche di fronte a una forza così colossale, Stalin aveva motivi legittimi per sentirsi fiducioso. Nonostante l’enorme accumulo tedesco, allo scoppio della guerra non c’era nessun settore principale – carri armati, fanteria, aerei o artiglieria – in cui la Wehrmacht avesse un vantaggio numerico significativo sull’Armata Rossa. Stalin aveva trascorso la maggior parte del suo tempo al potere perseguendo un’industrializzazione a rotta di collo per trasformare l’URSS in una superpotenza militare, e di conseguenza l’Armata Rossa alla vigilia della guerra era la più grande e la più equipaggiata del mondo. I tedeschi non superarono in numero l’esercito sovietico schierato di fronte a loro: semplicemente lo schiacciarono.

La preparazione sovietica alla guerra si era concentrata su fattori materiali – le dimensioni delle scorte di carri armati, artiglieria e aerei – trascurando gli aspetti professionali del comando, delle comunicazioni e del coordinamento. Di conseguenza, nonostante l’equipaggiamento e gli armamenti adeguati, l’Armata Rossa fu, molto semplicemente, superata dalla Wehrmacht, più agile e reattiva.

In primo luogo, le prestazioni dell’Armata Rossa non possono essere separate dal fatto che Stalin aveva condotto una vasta epurazione del proprio corpo ufficiali solo pochi anni prima dello scoppio della guerra. Questo spaventoso avvicendamento nella gerarchia di comando era avvenuto nello stesso momento in cui l’Armata Rossa si stava espandendo; di conseguenza, gli ufficiali sovietici tendevano a essere promossi rapidamente e all’inizio della guerra si trovavano per la maggior parte a combattere contro un corpo di ufficiali tedeschi altamente addestrato, esperto e freddamente competente, che aveva ormai intrapreso con successo due grandi campagne in Francia e Polonia, oltre a una serie di altre operazioni specializzate dalla Norvegia alla Grecia. I fattori fondamentali dell’esperienza e dell’addestramento erano quindi clamorosamente a favore della Germania.

Allo stesso tempo, l’Armata Rossa non disponeva di un sistema di comunicazione dedicato e si affidava alle linee telefoniche e telegrafiche civili, molte delle quali furono rapidamente tagliate dai tedeschi. Durante le prime fasi della guerra non era raro che gli ufficiali sovietici dovessero informarsi presso i funzionari locali del partito comunista (che aveva accesso alle comunicazioni radio) su dove si trovassero i tedeschi e su quanto fossero avanzati.

The Red Army fought bravely but was unprepared for war at Germany’s pace

Questi due fattori – un corpo di ufficiali sovraccarico e un sistema di comunicazione difettoso – ebbero una sinergia particolarmente letale. I diversi livelli della gerarchia di comando erano tagliati fuori l’uno dall’altro e ciechi, mentre a livello di unità i comandanti erano semplicemente incapaci o non disposti a prendere iniziative. Inoltre, le… diciamo così peculiarità del sistema staliniano lasciavano il corpo degli ufficiali con istinti orientati alla sopravvivenza politica, piuttosto che all’esigenza militare, e questo significava non prendere drastiche decisioni unilaterali.

 

Si trattava di un aspetto assolutamente centrale della costruzione di una guerra che Stalin e i comunisti semplicemente non avevano compreso; si erano concentrati sulla produzione di carri armati, cannoni e granate, trascurando le funzioni di comando e controllo dell’esercito. I tedeschi, semplicemente, erano preparati a combattere la guerra a un ritmo diverso da quello dei sovietici: I comandanti tedeschi erano più esperti, più decisi, più precisi, più disposti ad agire in modo indipendente e più lucidi. L’Armata Rossa, di conseguenza, assomigliava a un enorme combattente muscoloso, ma con un sistema nervoso malato e una pessima vista.

Queste vulnerabilità rendevano l’Armata Rossa particolarmente suscettibile all’approccio bellico della Wehrmacht, che portava una potenza di fuoco e una violenza schiaccianti nel punto di attacco per consentire una rapida penetrazione e un rapido movimento, creando una sacca accerchiata, o ciò che i tedeschi chiamavano kessel, cioè calderone, che poteva poi essere liquidata. Combattendo molteplici kesselschlacht, o battaglie di accerchiamento, la Wehrmacht pianificò di annientare l’Armata Rossa e distruggere la capacità di resistenza dell’Unione Sovietica entro l’autunno del 1941. L’obiettivo era molto chiaro: distruggere la potenza combattiva sovietica. L’annientamento dell’Armata Rossa aveva la priorità assoluta sulla cattura di qualsiasi punto geografico specifico. Hitler stesso aveva osservato che persino Mosca non era “di grande importanza”. L’obiettivo di Barbarossa era piuttosto quello di distruggere la forza lavoro sovietica: “La massa dell’esercito”, si leggeva nella direttiva del Barbarossa, “deve essere distrutta in operazioni audaci che comportino profonde penetrazioni da parte di punte corazzate, e deve essere impedito il ritiro di elementi in grado di combattere negli ampi spazi terrestri russi”.

 

Quest’ultima parte è la chiave del concetto di Barbarossa, ma ci torneremo più avanti.

I primi colpi della catastrofica guerra nazi-sovietica arrivarono sotto forma di bombardamento aereo da parte della Luftwaffe, che attaccò oltre 60 basi aeree sovietiche di prima linea all’inizio del 22 giugno. L’aviazione rossa perse oltre 1.200 aerei nella prima mattina di guerra, assicurando il controllo tedesco dell’aria lungo tutta la linea di contatto. Il 24 giugno, letteralmente due giorni dopo l’inizio della guerra, il quartier generale sovietico del fronte occidentale informò Mosca che “l’aviazione nemica ha il completo dominio aereo”. La distruzione totale delle unità di prima linea dell’aviazione rossa fu uno degli eventi più straordinari nella storia della guerra, eppure si verificò così rapidamente da essere scarsamente menzionato in gran parte della storiografia della guerra; è come se la forza aerea sovietica fosse semplicemente svanita nel nulla. Nel frattempo, le squadre tedesche in avanscoperta riuscirono a tagliare molte linee telefoniche e telegrafiche civili, mandando in tilt il sistema di comando e controllo dell’Armata Rossa e costringendo l’NKVD (che gestiva un sistema di comunicazione radio senza fili) a fare da intermediario per trasmettere gli ordini all’esercito. Con l’Armata Rossa gravemente disorientata e priva di supporto aereo, arrivò il temibile pacchetto meccanizzato tedesco.

 

La risposta sovietica fu tristemente inadeguata. Il 1941 sarebbe stato un anno di terribili errori, ma soprattutto ciò che i vertici sovietici, incluso soprattutto Stalin, non capirono, era quanto si potesse vincere o perdere nei momenti iniziali della guerra. Trascurando di mettere l’Armata Rossa in stato di massima allerta, il regime permise alla Wehrmacht di ottenere una sorpresa tattica, ma non strategica. Anni dopo un maresciallo sovietico, Andrei Grechko, avrebbe commentato con ironia che il governo e gli alti comandi erano pienamente preparati allo scoppio della guerra e che gli unici ad essere sorpresi dall’attacco tedesco furono i soldati dell’Armata Rossa in prima linea. Quello che la squadra di Stalin non capiva era che la sorpresa tattica, unita all’approccio particolarmente aggressivo e mobile della Germania alla guerra e al sistema di comando sclerotico dell’Unione Sovietica, avrebbe potuto produrre una catastrofe totale.

 

La risposta immediata della leadership del partito servì solo a sottolineare le pericolose dinamiche del regime sovietico, nonché la sua cecità rispetto a come gli eventi si sarebbero svolti sul terreno. Quando l’attacco tedesco iniziò, intorno alle 3 del mattino, i comandanti di prima linea ebbero grandi difficoltà a mettersi in contatto con le autorità di Mosca. Un ammiraglio, che finalmente riuscì a contattare al telefono un Georgy Malenkov molto assonnato, riferì di essere stato bombardato dalla Luftwaffe – Malenkov rispose chiedendo: “Capisce cosa sta riferendo?”. A molti comandanti dell’Armata Rossa, che cercavano freneticamente di spiegare che era scoppiata una guerra, fu detto di presentare i loro rapporti per iscritto. Il maresciallo Timoshenko, in particolare, ordinò ad alcuni cannoni antiaerei di non rispondere al fuoco dei tedeschi, perché non era chiaro se avessero i permessi necessari per farlo. Nel frattempo, a Mosca, i sottoposti di Stalin discutevano su chi dovesse svegliare il capo e dargli la cattiva notizia. Alla fine, dopo aver fatto pressione su Stalin e avergli illustrato la situazione, il Segretario Generale rispose con fermezza che i tedeschi sarebbero stati semplicemente “battuti lungo tutta la linea”. Quello che nessuno aveva capito era che, sebbene la guerra fosse iniziata da poche ore, i tedeschi avevano già preso una tale iniziativa in aria e sul terreno che le unità di frontiera dell’Armata Rossa erano più o meno condannate. L’Unione Sovietica era semplicemente impreparata al ritmo di questa guerra.

L’Operazione Barbarossa organizzò le forze tedesche in tre enormi gruppi di armate. Il Gruppo d’armate Nord doveva attraversare gli Stati baltici e catturare Leningrado; il Gruppo d’armate Sud aveva il compito di penetrare in Ucraina per assicurarsi le risorse industriali e agricole. La formazione di gran lunga più numerosa, tuttavia, era il Gruppo d’armate Centro, che doveva farsi strada lungo una linea molto simile alla rotta d’invasione di Napoleone, catturando Minsk e Smolensk lungo il percorso verso Mosca. Gli obiettivi geografici erano secondari: il punto principale era annientare le forze dell’Armata Rossa lungo il percorso. L’obiettivo non era tanto quello di raggiungere Mosca il più velocemente possibile, ma che percorrendo l’autostrada verso la capitale i sovietici sarebbero stati costretti a frapporre una grande massa combattente che avrebbe potuto essere distrutta.

 

La loro avanzata iniziale fu sorprendente. Nelle fasi iniziali di Barbarossa, la Wehrmacht divorò i chilometri e punì l’Armata Rossa disorientata. Una formazione di panzer del Gruppo d’armate Nord coprì metà della distanza da Leningrado in soli cinque giorni. Erich von Manstein avanzò di 185 miglia con il suo Panzer Korps in quattro giorni. Una profondità così sorprendente non era nemmeno particolarmente insolita; nel Gruppo d’armate Centro, Heinz Guderian guidò il suo gruppo di Panzer per 270 km. nella prima settimana. Ma non si trattava di un viaggio tranquillo attraverso il Paese: la Wehrmacht riuscì a penetrare in profondità superando la resistenza sovietica, eseguendo ripetutamente le classiche manovre a tenaglia per accerchiare le massicce formazioni dell’Armata Rossa. Queste battaglie di accerchiamento portarono a un numero incredibile di prigionieri. Ad agosto, la Wehrmacht aveva preso quasi 900.000 prigionieri di guerra; una serie di ulteriori accerchiamenti di massa nei mesi autunnali fece salire il numero dei prigionieri a quasi due milioni. Le perdite sovietiche furono davvero sorprendenti. A ottobre, l’Armata Rossa aveva perso quasi 3 milioni di uomini, oltre 15.000 carri armati e cannoni semoventi, 65.000 pezzi di artiglieria e 7.000 aerei. Si trattava di un livello di perdite incredibile e sconcertante, che nessun esercito al mondo avrebbe potuto assorbire. Franz Halder, il capo dell’alto comando dell’esercito tedesco, scrisse nel suo diario all’inizio di luglio: “Probabilmente non è esagerato dire che la campagna di Russia è stata vinta nel giro di due settimane”.

Halder’s diary offers a barometer of the German mood through the war

Naturalmente, non tutto fu perfetto. I sovietici contrattaccarono senza sosta, con azioni isolate che venivano affrontate facilmente, ma ogni attacco costava ai tedeschi tempo, uomini ed equipaggiamento. Le agili formazioni tedesche furono in grado, più volte, di accerchiare enormi sacche di forze sovietiche, ma anche quando erano accerchiate l’Armata Rossa combatteva ostinatamente, e la Wehrmacht scoprì che liquidare le sacche era un brutto affare e molte truppe sovietiche riuscirono a fuggire – alcune scivolarono dietro le linee tedesche e si unirono a gruppi partigiani che conducevano la guerriglia nel territorio occupato. Questi accerchiamenti erano così vasti e avvenivano così in profondità nell’Unione Sovietica che anche gli enormi gruppi di panzer (che comprendevano diverse divisioni di panzer e divisioni di fanteria motorizzata) non erano in grado di “sigillare” le sacche – dovevano aspettare che le divisioni di fanteria a piedi recuperassero e riempissero i vuoti. Nel frattempo, i tedeschi scoprirono che l’equipaggiamento sovietico era sorprendentemente formidabile. I più recenti modelli di carri armati sovietici – i KV1 e i T-34 – si rivelarono particolarmente difficili, e la maggior parte delle armi anticarro tedesche non riuscì a penetrare la loro corazza.

 

Tuttavia, le perdite inflitte all’Armata Rossa furono incredibilmente alte, dell’ordine di milioni. La guerra era sicuramente finita.

Torniamo ora alla concezione operativa di Barbarossa. La preoccupazione era quella di accerchiare e distruggere le formidabili forze sovietiche schierate vicino al confine. Non si trattava certo di un compito da poco. L’Armata Rossa in prima linea conteneva più di 150 divisioni di fucilieri (fanteria) e decine di divisioni di carri armati. La pianificazione bellica tedesca, tuttavia, si era gravemente sbagliata sulla percentuale di forze militari dell’Unione Sovietica schierate in avanti. Si presumeva che questa forza di circa 3 milioni di uomini rappresentasse la maggior parte della capacità militare di Stalin e che la sua distruzione avrebbe lasciato l’URSS prostrata. La preoccupazione, quindi, era quella di muoversi con grande decisione e distruggere le armate sovietiche di prima linea prima che potessero ritirarsi nell’interno dell’Unione Sovietica.

 

L’obiettivo fu raggiunto, con perdite sovietiche a sette cifre nella fase iniziale della guerra. Solo nella battaglia di Minsk, i tedeschi uccisero o catturarono più di 400.000 soldati sovietici in una grande sacca. Halder valutò che “l’obiettivo di frantumare il grosso dell’esercito russo al di qua dei fiumi Dvina e Dnepr è stato raggiunto”. Riteneva che a est di questi fiumi la Wehrmacht “avrebbe incontrato solo forze parziali”.

 

Il ritmo dell’avanzata iniziale della Germania e l’entità delle perdite inflitte all’Armata Rossa furono di portata veramente storica. Non ci si poteva aspettare che cinque gruppi d’armate si frantumassero allo sparo iniziale e sopravvivessero.

 

Ma qualcosa non andava.

 

L’Armata Rossa non era distrutta. Le perdite ammontavano a milioni, eppure i sovietici erano ancora in campo e combattevano duramente in ogni punto. Che cosa stava succedendo? Dove prendevano questi uomini? Che tipo di esercito poteva assorbire tre milioni di perdite nella campagna iniziale e non crollare? Che tipo di forza poteva perdere decine di armate e tuttavia rimanere in campo ovunque?

L’Unione Sovietica aveva un potere che era in gran parte invisibile ai pianificatori di Barbarossa: l’Armata Rossa aveva un’incredibile capacità di mobilitare forze fresche e di rigenerare la propria potenza di combattimento. La dottrina prebellica dell’Armata Rossa, infatti, aveva specificamente enfatizzato il potere di mobilitazione e le riserve. I pianificatori sovietici si aspettavano di dover sostituire tutte le loro formazioni ogni quattro-otto mesi in una guerra ad alta intensità, e avevano addestrato un numero enorme di riservisti a questo scopo.

 

Nel 1940, durante i preparativi per Barbarossa, lo stato maggiore dell’esercito tedesco aveva ipotizzato uno scenario in cui i sovietici avrebbero potuto mobilitare 40 divisioni fresche. Questo scenario non era assolutamente in linea con le capacità sovietiche. Invece di 40 divisioni, nel dicembre 1941 l’Armata Rossa riuscì a mobilitare ben 800 divisioni e unità di dimensioni equivalenti, schierando oltre 14 milioni di uomini. Solo alla fine di giugno i sovietici erano già riusciti a richiamare cinque milioni di riservisti. Ciò significa che in meno di due settimane, l’Armata Rossa fu in grado di fare appello a una forza lavoro superiore di circa il 60% rispetto all’intera forza d’invasione tedesca. Naturalmente, questi uomini non erano immediatamente disponibili per il combattimento; dovevano essere equipaggiati e organizzati, e le nuove formazioni dovevano essere assemblate nelle retrovie prima del dispiegamento. Ma c’erano, e questo dava all’Unione Sovietica una profondità difensiva che nessun altro Paese al mondo poteva eguagliare.

 

Arriviamo così al paradosso di base dell’Operazione Barbarossa. Dal punto di vista operativo, fu una delle più grandi vittorie della storia. La Wehrmacht ha completamente distrutto le forze armate sovietiche in prima linea e ha conquistato il territorio occidentale dell’Unione Sovietica in poche settimane. Tuttavia, questo successo operativo fu abbinato a uno dei più grandi errori di intelligence militare di tutti i tempi, con i tedeschi che ignoravano la capacità di mobilitazione dell’URSS. Di conseguenza, l’Operazione Barbarossa, in senso stretto, raggiunse i suoi obiettivi: distrusse le formazioni dell’Armata Rossa alla frontiera prima che potessero ritirarsi nell’interno dell’Unione Sovietica – e tuttavia il completamento di questo audace obiettivo non vinse la guerra.

Naturalmente, la mobilitazione delle riserve non risolse immediatamente nessuno dei problemi dell’Armata Rossa. Queste truppe appena richiamate non erano ben equipaggiate come le unità di prima linea che i tedeschi stavano distruggendo, e i problemi con il corpo degli ufficiali sovietici persistevano. Un sistema di comando e controllo macchinoso avrebbe afflitto l’Armata Rossa per anni. Tuttavia, il 1941 si preannunciava come un anno di terribili rivelazioni per entrambe le parti. I sovietici stavano imparando che avevano catastroficamente sottovalutato l’abilità operativa della Wehrmacht, mentre i tedeschi scoprirono di essere stati totalmente ciechi di fronte agli impressionanti poteri di mobilitazione dello Stato sovietico. Alla fine, la guerra nazi-sovietica fu un’apocalisse a cui nessuna delle due parti era pronta.

 

Smolensk: I primi dubbi

I primi segnali che qualcosa potesse andare storto nella guerra arrivarono in un luogo che né il comando tedesco né quello sovietico avevano mai previsto come importante campo di battaglia. Smolensk si trovava nella zona interstiziale operativa, nel primo strato dell’interno russo. I tedeschi presumevano che l’Armata Rossa sarebbe stata sconfitta prima che l’avanzata arrivasse a Smolensk, mentre i sovietici non credevano affatto che la Wehrmacht avrebbe raggiunto Smolensk. Così, entrambi gli eserciti furono sorpresi dai drammatici eventi che si svolsero in quel luogo.

 

I tedeschi si avvicinarono a Smolensk nella prima settimana di luglio, mentre Halder faceva la sua fantasiosa previsione che sarebbero rimaste solo unità sovietiche “parziali” a contrastarli. Furono quindi piuttosto sorpresi di trovare cinque intere armate sovietiche schierate intorno a Smolensk.

 

Questo era sconcertante, nel senso che non ci si aspettava che queste armate esistessero. Ma c’erano faccende da sbrigare. La Wehrmacht tornò al suo manuale di base: violente spinte concentrate intorno alla città, per arrotolare le forze sovietiche in un ennesimo promettente accerchiamento. Tutto molto bene: avrebbero liquidato la sacca, fatto altre centinaia di migliaia di prigionieri e sarebbero andati avanti. Heinz Guderian dedicò persino uno dei suoi tre corpi Panzer a spingersi più a est e a conquistare una testa di ponte sul fiume Desna presso la città di Yelnya, in modo da poterla usare come piattaforma di lancio per la fase successiva.

Guderian and his staff stop to check the map

Invece di schiacciare rapidamente i sovietici accerchiati a Smolensk e proseguire, i tedeschi si trovarono impegnati in una lotta feroce. Stalin chiese all’Armata Rossa di smettere di attaccare con unità frammentarie e di “iniziare a creare pugni di sette o otto divisioni”. In risposta, i sovietici portarono altre sette armate nel settore di Smolensk e lanciarono una serie di contrattacchi che, sebbene sconfitti, impantanarono i tedeschi e inflissero loro gravi perdite. La testa di ponte di Guderian a Yelnya fu martellata senza pietà e la Wehrmacht fu infine costretta ad abbandonarla dopo aver subito pesanti perdite. Un generale sovietico ha commentato che “la nostra attività apparentemente ha sconcertato anche il comando nemico, che ha incontrato resistenza dove non se l’aspettava; ha visto che le nostre truppe non solo hanno reagito, ma hanno anche attaccato (anche se non sempre con successo)”.

 

In effetti, l’intero corso della battaglia di Smolensk sembrò sconcertare i tedeschi. In particolare, un aggressivo attacco sovietico contro l’ala meridionale della Wehrmacht fu inizialmente liquidato dal feldmaresciallo von Bock (comandante del Gruppo d’armate Centro) come composto da “elementi di scarto”. Pochi giorni dopo, quegli elementi si rivelarono essere tre intere armate sovietiche che minacciavano di far crollare un intero Corpo Panzer, e Bock fu costretto a far intervenire altri due corpi d’armata per ripristinare la posizione. Si trattò, ammise nel suo diario, di “un successo piuttosto notevole per un avversario malconcio”.

Field Marshal Fedor von Bock – Commander of Army Group Center

La condotta dell’operazione di Smolensk rifletteva ampiamente una forza tedesca che credeva davvero alle proprie affermazioni, secondo cui l’Armata Rossa era stata degradata a forze solo parziali. In particolare, le decisioni di Guderian riguardo alla sua sfortunata testa di ponte di Yelnya dimostrarono la crisi emergente. Nel momento in cui Guderian scelse di spingere il 46° Corpo Panzer a est verso Yelnya, in realtà aveva l’ordine di Bock di chiudere l’anello intorno a Smolensk. Guderian, dobbiamo ricordarlo, era un comandante prussiano della vecchia scuola, che aveva capito che un certo tipo di autonomia e di indipendenza era concessa al comandante sul campo, quando si trattava di intraprendere un’azione aggressiva. Dopotutto, era stato questo stesso tipo di insubordinazione a portare al grande accerchiamento in Francia. Spingersi più a est per preparare la mossa su Mosca era perfettamente in linea con questo spirito, ma non fu una notizia gradita a Bock, che vide le unità sovietiche fuoriuscire dalla sacca attraverso il buco che Guderian aveva lasciato aperto. Quando Guderian finalmente spostò le forze per chiudere il varco, l’unica unità che poté risparmiare per il lavoro fu la 18ª Divisione Panzer, gravemente sotto organico, che a quel punto aveva perso tre quarti dei suoi carri armati e metà dei suoi cannoni anticarro.

 

La sorprendente mancanza di prudenza di Guderian, dato l’esaurimento generale del suo gruppo di panzer, esemplificava il fallimento della guerra tedesca. Una forza di panzer al limite delle sue linee di rifornimento, che operava con perdite crescenti di carri armati e solo un modesto supporto di fanteria, tentava bizzarramente di affrontare obiettivi multipli e difficili – cercando non solo di completare l’accerchiamento intorno a Smolensk, ma anche di controllare una testa di ponte più a est. Alcuni dei comandanti di divisione di Guderian riferirono chiaramente che solo un obiettivo poteva essere raggiunto. Nel frattempo, al comando del Gruppo d’Armate, Bock scrisse con incredula esasperazione: “C’è solo una sacca sul fronte del gruppo d’armate! E ha un buco!”.

I tedeschi vinsero la battaglia di Smolensk nel 1941. L’intera operazione costò ai sovietici altre 350.000 vittime totali e la città fu infine conquistata. Ma dal punto di vista tedesco, l’intera battaglia fu sbagliata. I sovietici dovevano essere al collasso e non dovevano certo essere in grado di lanciare una serie di nuove armate su questo fronte. Inoltre, le perdite tedesche, anche se inferiori a quelle dell’Armata Rossa, erano comunque gravi. La Wehrmacht perse circa 110.000 uomini nell’operazione di Smolensk, oltre a perdere tempo prezioso. La difficoltà di chiudere l’anello, gli incessanti contrattacchi sovietici, la crescente debolezza delle forze corazzate, lo strisciante senso di paralisi e di disaccordo nel comando: tutto indicava una guerra che stava andando terribilmente male, anche se la Wehrmacht non aveva ancora subito una sola sconfitta.

 

La battaglia si concluse il 31 luglio. A questo punto, un senso di disillusione e di orrore si stava insinuando nelle menti tedesche. Il 13 luglio – a soli cinque giorni dall’inizio dell’operazione – Bock aveva già confidato al suo diario:

 

“A causa dell’estremo logoramento del materiale e dell’equipaggiamento, i [due] gruppi di panzer sono efficaci solo se impiegati come un’unica entità”.

 

Poche settimane dopo, avrebbe aggiunto: “Se, dopo tutti i successi, la campagna a est si sta esaurendo… non è colpa mia”.

 

All’inizio di settembre, un ufficiale tedesco osservò succintamente:

 

Nessuna Blitzkrieg vittoriosa, nessuna distruzione dell’esercito russo, nessuna disintegrazione dell’Unione Sovietica”.

 

Il generale Gotthard Heinrici scrisse una lettera alla moglie in cui ammetteva che:

 

“La Russia è molto forte… La guerra qui è senza dubbio molto brutta… Tutte le campagne passate sembrano un gioco da ragazzi in confronto alla guerra attuale. Le nostre perdite sono pesanti…”.

 

Il colpo di grazia, tuttavia, venne dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Franz Halder. Dopo essersi vantato in precedenza di aver vinto la guerra in due settimane, le annotazioni del suo diario all’inizio di agosto mostrarono un chiaro cambiamento di tono:

 

“È sempre più chiaro che abbiamo sottovalutato il colosso russo… All’inizio della guerra, contavamo su circa 200 divisioni nemiche. Ora ne abbiamo contate già 360. Queste divisioni non sono sicuramente armate ed equipaggiate nel nostro senso, e tatticamente sono per molti versi mal guidate. Ma ci sono… Se noi ne distruggiamo una dozzina, i russi ne mettono un’altra al loro posto”.

 

Caveat emptor.

 

Kiev: Annientamento e crisi

I paradossi di questa guerra – la vittoria operativa contrapposta alla totale sconfitta strategica – erano solo all’inizio per la Germania. Dopo aver liquidato con successo la sacca di Smolensk, la Wehrmacht si trovò di fronte a un momento decisivo. Era l’inizio di agosto, il che lasciava una finestra adeguata per portare avanti altre operazioni prima che arrivasse la stagione del fango – ma operazioni a quale scopo?

 

A questo punto della guerra, il fronte aveva organicamente creato un enorme saliente intorno a Kiev. L’avanzata tedesca nella Russia centrale ora si protendeva oltre la cima del fronte meridionale. In sostanza, il Gruppo d’armate Centro era avanzato molto più in profondità rispetto al Gruppo d’armate Sud, e l’avanzata di quest’ultimo si era arrestata quando aveva raggiunto il possente fiume Dnieper.

 

Questa era un’opportunità allettante. Un attacco verso sud da parte delle unità del Gruppo d’armate Centro aveva il potenziale per conquistare quasi tutto il fronte sud-occidentale sovietico in quello che prometteva di essere forse il più grande accerchiamento mai realizzato. Ma una tale mossa avrebbe comportato la privazione del Gruppo d’armate Centro delle sue importantissime divisioni panzer, precludendo ulteriori progressi al centro e ritardando necessariamente qualsiasi mossa su Mosca.

Hitler makes a plan

Per alcuni, quindi, la decisione di Hitler di staccare unità critiche di panzer dal Gruppo d’armate Centro e di inviarle a sud verso Kiev è il momento in cui la Germania ha perso la guerra. Distratto dalla prospettiva di un altro grande accerchiamento, il Fuhrer ritardò stupidamente l’avanzata su Mosca e costò alla Germania la sua migliore opportunità di vincere la guerra nel 1941. Questa teoria è ovviamente allettante, soprattutto perché permette di scaricare tutta la colpa su Hitler. Il signor Baffetto è diventato, per ovvie ragioni, un capro espiatorio popolare per la sconfitta tedesca: nel dopoguerra, non poteva difendersi perché era morto, e nessun altro lo avrebbe difeso perché era Hitler. È quindi comune e comodo incolpare Hitler per le particolari decisioni che hanno portato alla sconfitta tedesca. Questo, però, è sbagliato.

 

È giusto accusare Hitler di essere malvagio, o nevrotico, o di qualsiasi altra cosa sgradevole, ma non è stato eccessivamente responsabile di particolari decisioni che hanno portato alla sconfitta tedesca. Si potrebbe dire, naturalmente, che come comandante in capo aveva la responsabilità ultima, e a ragione. Ma era sempre consigliato da ufficiali di stato maggiore e servito da un corpo di ufficiali che eseguiva doverosamente i suoi ordini, e nel 1941 c’erano molti ufficiali tedeschi che esultavano per la decisione del loro Fuhrer di inviare i panzer a sud verso Kiev. Invece di far presagire una sorta di fallimento storico mondiale, salutarono una vittoria titanica. Più precisamente, la decisione di reindirizzare le forze verso l’asse di Kiev era perfettamente in linea con i presupposti di lunga data del modo di fare la guerra prussiano, che dava priorità alla distruzione della massa combattente del nemico sopra ogni altra cosa. Questo era, secondo la saggezza convenzionale, il modo assolutamente corretto di fare la guerra.

 

Inoltre, da un punto di vista operativo, questa non era altro che un’opportunità perfetta per condurre la madre di tutte le battaglie di annientamento. Nessun istruttore delle accademie militari tedesche avrebbe potuto inventare uno scenario più da sogno. La mappa si sviluppava in modo favorevole per la Wehrmacht grazie al flusso naturale del Dnieper, che si piega come un’enorme “S” intorno a Kiev. Il Gruppo d’armate Sud tedesco era avanzato fino alla linea del Dnieper, mentre l’Armata Rossa teneva saldamente l’ansa del fiume con quattro armate (la 5ª, la 21ª, la 26ª e la 37ª). Tuttavia, l’avanzata del Gruppo d’armate Centro a Smolensk in luglio significava che i tedeschi erano già oltre il fiume (cioè a est del Dnieper) a nord di Kiev. Di conseguenza, la posizione sovietica intorno a Kiev era venuta a formare un gigantesco saliente, con le linee tedesche che sporgevano verso le loro retrovie sia a nord che a sud.

Ad aumentare l’attrattiva della posizione (dal punto di vista tedesco) c’era il fatto che le posizioni chiave sulle ali del saliente erano già occupate da forze Panzer – il 2° Gruppo Panzer di Guderian a nord e il 1° Gruppo Panzer di Kleist a sud. Questo rese possibile colpire direttamente il saliente sovietico senza riorganizzare la linea. Il Gruppo Panzer di Guderian doveva fare poco più che girare a destra.

 

Si trattava quindi di un’operazione concettualmente molto semplice. Il 1° e il 2° gruppo Panzer si sarebbero diretti l’uno verso l’altro, avrebbero sigillato l’enorme saliente attorno all’ansa del Dnieper e avrebbero intrappolato quattro armate sovietiche in una sacca.

 

È curioso, quindi, che un’opportunità così sublime e pulita di combattere l’ennesima battaglia di annientamento sia stata trasformata in una sorta di decisione sconsiderata di Hitler che è costata la guerra alla Germania. Questa interpretazione deriva in gran parte dal fatto che due dei più letti memorialisti della Germania nazista – Heinz Guderian e Franz Halder – hanno fatto di tutto per drammatizzarla come un punto di svolta in cui Hitler ignorò i loro consigli.

 

Una breve nota sulle curiosità istituzionali della macchina da guerra nazista. Il termine “alto comando”, in questo caso, è un descrittore inadeguato, poiché la Germania nazista aveva due organismi di spicco che rientravano in questa definizione. Uno era l’OKH – Oberkommando des Heeres, o Alto Comando dell’Esercito. Si trattava dell’organo che conduceva la pianificazione strategica per i gruppi di armate e le armate. Il suo comandante supremo era il generale Walther von Brauchitsch e il capo di stato maggiore era il già citato Franz Halder, che tenne un diario che divenne un materiale primario fondamentale per gli studiosi dopo la guerra. Tuttavia, c’era anche l’OKW – Oberkommando der Wehrmacht, o Alto Comando delle Forze Armate, diretto da Wilhelm Keitel e Alfred Jodl. In teoria, si trattava di un organo al di sopra dell’OKH che coordinava le operazioni dell’Esercito (Heer), della Marina (Kriegsmarine) e dell’Aeronautica (Luftwaffe), ma in pratica operava come centro decisionale rivale dell’OKH.

 

Tutto ciò rientrava nella procedura operativa standard del regime hitleriano. Al Fuhrer piaceva creare centri di potere rivali che competessero per le risorse e l’approvazione, sia perché ciò accresceva il suo potere personale (permettendogli di arbitrare tra tirapiedi in competizione), sia perché generava proposte ambiziose, con i sottoposti costantemente sotto pressione per portargli idee più grandi e audaci.

 

Nel dopoguerra, per i membri dello Stato Maggiore dell’Esercito (OKH) divenne una consuetudine dipingersi come puri professionisti e non propriamente nazisti, in contrasto con gli uomini dell’OKW, che venivano considerati come fanatici yes-men adoratori di Hitler. Ciò è stato apparentemente consolidato dal fatto che le figure di spicco dell’OKW, come Jodl e Keitel, sono state condannate per crimini di guerra a Norimberga e impiccate, mentre gli uomini dell’OKH, come Halder, sono stati ampiamente lasciati andare. Il risultato di tutto ciò è che la Wehrmacht è stata dipinta come composta da una fazione “pulita” (Halder, l’OKH e molti comandanti sul campo) e da una fazione “nazista” (l’OKW e le Waffen SS). In realtà, questa teoria è poco più di una continuazione della lotta di potere tra l’OKW e l’OKH che precede di molto Auschwitz e Norimberga.

 

Nei primi mesi autunnali del 1941, la Wehrmacht si trovò bloccata proprio da una simile lotta di potere. L’OKH (in particolare Halder) era favorevole a un immediato attacco a Mosca, mentre l’OKW era d’accordo con Hitler sul fatto che la priorità dovesse essere la pulizia dei fianchi. Pertanto, quando si leggono le memorie di un personaggio come Guderian, si deve capire che non si trattava semplicemente di un’iniziativa unilaterale di Hitler che ignorava i suoi consigli e sceglieva di andare in un’altra direzione; piuttosto, Guderian e Halder erano dalla parte dei perdenti in una lotta interna ai servizi per la firma di Hitler. A lungo termine, questa bizzarra e sclerotizzante frattura istituzionale fu ricucita quando Hitler si fece direttamente comandante in capo dell’OKH e gestì la guerra a est attraverso questo organismo, mentre l’OKW si assunse la responsabilità degli altri fronti.

Hitler with the staff of the OKH

La verità, naturalmente, è che sia l’OKW che l’OKH erano pieni di ufficiali perfettamente disposti ad eseguire gli ordini del Führer, sia che questi ordini riguardassero la liquidazione dei nemici razziali o la deviazione del 2° Gruppo Panzer verso sud, in direzione di Kiev. In un primo momento Guderian si oppose alla svolta verso sud, ma una volta che fu portato a discutere la questione con Hitler faccia a faccia, mollò prevedibilmente (Guderian tendeva a essere piuttosto intimorito in presenza di Hitler e di solito si trovava d’accordo con il capo) e attuò con entusiasmo l’ordine.

 

Detto questo, la decisione era stata presa. Piuttosto che muoversi direttamente su Mosca, gran parte delle forze del Gruppo d’armate Centro – in particolare i panzer – sarebbero state dirottate a nord e a sud per aiutare altri obiettivi. Le unità del Gruppo Panzer 3 sarebbero andate a nord per contribuire a sigillare il fronte intorno a Leningrado, mentre il Gruppo Panzer 2 di Guderian sarebbe andato a sud per contribuire a insaccare un enorme calderone intorno a Kiev.

 

È una grande tragedia, ma probabilmente Hitler aveva ragione. Contrariamente alle vane proteste dell’OKH, la strada per Mosca non era aperta: c’era un muro di armate sovietiche che si stava dispiegando sulla strada. Il Gruppo d’armate Centro era ancora in fase di consolidamento della propria logistica. Il trasporto su camion era a pezzi, le linee ferroviarie dovevano essere riparate, le discariche di rifornimento dovevano essere create e i veicoli di ricambio dovevano essere trasportati su rotaia. In questa circostanza, ripulire i fianchi prima di avanzare nell’interno della Russia era una linea d’azione del tutto sensata. L’idea che il Gruppo d’Armate Centro potesse semplicemente entrare a Mosca nel settembre 1941 è un’assurda invenzione del dopoguerra.

 

Tutto questo, forse, ignora il vero problema. La battaglia di Kiev del 1941 fu, secondo la tradizionale visione tedesca della guerra, una delle operazioni più spettacolari di tutti i tempi, in quanto distrusse l’equivalente di un intero Gruppo d’armate sovietico in poche settimane.

 

Lo schema funzionò sostanzialmente alla perfezione. Il 2° Gruppo Panzer di Guderian puntò direttamente a sud lungo l’ansa interna del fiume Desna e attaccò alla cerniera tra la 21a e la 40a Armata sovietica. Contemporaneamente, il 1° Gruppo Panzer di Kleist attraversò il Dneiper a sud-est di Kiev e sfondò le linee della 38ª Armata sovietica. I tedeschi disponevano ora di due potenti gruppi di Panzer (con un totale di nove divisioni panzer e divisioni di fanteria motorizzata al seguito) che irrompevano nelle retrovie delle armate sovietiche nell’ansa del Dnieper, con tre armate campali (la 2ª, la 6ª e la 17ª) che bloccavano il resto delle linee sovietiche intorno a Kiev.

In questo momento cruciale, i sovietici dovevano muoversi con decisione per salvare queste armate. Le quattro armate ora intrappolate nella sacca che si stava rapidamente chiudendo avrebbero dovuto immediatamente organizzarsi per un’evasione verso est, aiutate da numerose armate sovietiche che si aggiravano nel teatro. Purtroppo, a questo punto l’Armata Rossa non aveva né l’esperienza necessaria per organizzare rapidamente un’operazione così complessa, né la volontà politica di abbandonare semplicemente una città importante come Kiev. Pertanto, a parte alcune divisioni della 21a Armata che riuscirono a ritirarsi attraverso il varco prima che si chiudesse, le armate sovietiche ridussero le loro posizioni in un fragile guscio dove rimasero intrappolate nell’ampio arco dei fiumi Dnieper e Desna, con due Gruppi Panzer che murarono l’unica uscita.

La fine arrivò in modo straordinariamente rapido. La 21a sovietica si comportò un po’ meglio delle altre, con alcune divisioni che fuggirono verso est e le altre che mantennero almeno per un certo tempo un fronte coeso. Le altre armate nell’ansa – la 37ª, la 5ª e la 26ª – furono rapidamente imbottigliate in sacche incredibilmente piccole, dove furono martellate senza pietà dalla Luftwaffe e dall’artiglieria tedesca. Queste sacche erano anormalmente strette e più di un ufficiale tedesco ha commentato lo shock di guardare attraverso il binocolo e vedere così tanti veicoli e uomini ammassati in spazi così piccoli.

Si pone una questione più ampia. La battaglia di Kiev era costata all’Armata Rossa ben 700.000 perdite totali. Intere armate furono inghiottite in sacche di fuoco per morire o arrendersi. Le perdite di carri armati furono un po’ più lievi (le armate distrutte erano in gran parte di fanteria convenzionale), ma l’Armata Rossa perse ben 28.000 cannoni pesanti di tutti i tipi (contraerea, artiglieria, anticarro). L’entità di questa battaglia e delle perdite dell’Armata Rossa aveva pochi precedenti storici.

 

Una battaglia che infligge così tanti danni al nemico può mai essere definita un errore?

 

Certamente, dal punto di vista della battaglia di annientamento (l’unico punto di vista che l’esercito tedesco avesse mai trovato utile), Kiev fu un colpo da maestro. In un’unica manovra, eliminò un intero gruppo d’armate sovietiche, catturò gran parte dell’Ucraina sovietica e protesse il fianco meridionale del Gruppo d’armate Centro – e l’intera operazione richiese meno di un mese. Per Hitler, la vittoria era un altro successo personale che giustificava il suo istinto militare, e il ministero della propaganda del Reich era pronto a sfruttarla al massimo.

 

La Wehrmacht era ormai entrata da quattro mesi nella sua guerra orientale e aveva già combattuto tre enormi battaglie di annientamento, in Bielorussia, a Smolensk e a Kiev.

 

Allora perché il nemico non era stato annientato?

 

Vyazma: Il punto culminante

Pochi momenti della Seconda Guerra Mondiale sono così fraintesi come la battaglia per Mosca. C’è una versione popolare della storia, nota a tutti i ragazzi occidentali che sono cresciuti con il fascino della guerra, che recita così: dopo una serie di vittorie sbalorditive durante l’estate, la Wehrmacht fece una spinta finale verso Mosca, dove arrivò a pochi chilometri dalla vittoria della guerra – notoriamente, le truppe tedesche potevano vedere le torri del Cremlino con un binocolo – prima di arrivare a un passo dalla sconfitta a causa del terribile clima invernale, dei problemi di approvvigionamento e dell’inopportuna intromissione di Hitler. L’implicazione di questa storia è che i primi di dicembre del 1941, nei sobborghi di Mosca, sono il momento e il luogo specifici in cui la Germania ha perso la guerra.

 

Tutto ciò è sbagliato. In realtà, lo sforzo bellico della Germania era più o meno condannato molte settimane prima del fatidico affondo verso la capitale sovietica. Probabilmente, la guerra era condannata fin dall’inizio, per la matematica bruta della forza lavoro sovietica. Il problema essenziale per la Wehrmacht era che l’Armata Rossa era in grado di assemblare e mettere in campo una linea apparentemente infinita di armate di riserva, che rendeva impossibile per i tedeschi realizzare il progetto originale dell’invasione e distruggere la potenza combattiva sovietica in un’unica grande operazione; in definitiva, questo era un problema irrisolvibile per la Germania che non aveva nulla a che fare con l’inverno russo.

 

La mitologia della lotta per Mosca riflette il tentativo degli ufficiali tedeschi di conciliare un difficile paradosso: come potevano perdere una guerra in cui avevano vinto ogni battaglia? Mosca segnò la prima vera battuta d’arresto operativa per la Germania nei tre anni successivi all’invasione della Polonia: come prima sconfitta, doveva quindi essere anche il luogo in cui la guerra era stata persa. Ancora più convenientemente, Mosca fu un punto della guerra in cui l’interferenza di Hitler divenne più intensa, permettendo agli scrittori tedeschi di memorie di dare la colpa della sconfitta al loro Fuhrer. Ma Mosca non era mai stata di alcuna importanza per gli ufficiali tedeschi: lo scopo di Barbarossa era distruggere l’Armata Rossa. Quando fu chiaro che la Wehrmacht non era riuscita a raggiungere questo obiettivo, l’attenzione si spostò su Mosca.

Dicendo a se stessi – e al mondo – che Hitler aveva perso la guerra in inverno alle porte di Mosca, i generali tedeschi si assolvevano retroattivamente per aver perso la guerra alla fine dell’estate, non riuscendo a uccidere l’Armata Rossa. Memorie come quelle dei generali dei Panzer Heinz Guderian, Franz Halder o Erich Manstein dedicano grande attenzione alla lotta per Mosca e insinuano con forza che fu quel maledetto Hitler a rovinare tutto. Queste affermazioni non vengono contrastate – dopo tutto, chi vuole difendere Hitler? In realtà, nell’inverno del 1941 la Germania avrebbe potuto fare ben poco a livello operativo per vincere la guerra. Sembra strano: la guerra nazi-sovietica durò tre anni, dieci mesi, due settimane e due giorni – poteva davvero la Germania combattere una guerra persa per il 95% di questo tempo? Ma la Wehrmacht fu sconfitta; la sua lama fu smussata dalla feroce resistenza dell’Armata Rossa in ogni punto del campo. La Germania nazista aveva sferrato un pugno a tradimento alla mascella dell’Armata Rossa e aveva una mano rotta da mostrare.

 

L’affondo della Germania su Mosca nell’autunno del 1941 rifletteva la situazione disastrosa della Wehrmacht. Barbarossa, nonostante i suoi brillanti risultati operativi, non era riuscito a piegare l’Armata Rossa. Che fare allora? Cosa fare quando una fulminea manovra operativa non riesce a mettere fuori gioco il nemico?

 

Per la Wehrmacht, con il suo limitato manuale operativo, la risposta era chiaramente quella di lanciare un’altra offensiva. Gli ufficiali tedeschi erano stati addestrati a pensare alla guerra in modo molto specifico e a cercare soluzioni a livello operativo, cioè con il movimento aggressivo di grandi formazioni – il tipo di manovra a scacchi che piace alla mentalità dei wargame. In questo caso, la soluzione era l’Operazione Tifone: un seguito di Barbarossa che prevedeva una manovra a tenaglia per accerchiare e distruggere le forze sovietiche in avvicinamento a Mosca prima di catturare la città stessa.

 

Per gli ottimisti del comando tedesco, Tifone poteva essere inquadrata come un colpo di grazia a un avversario già stordito e malconcio dopo Barbarossa. Più realisticamente, tuttavia, Tifone tradisce una catastrofe militare in atto: nonostante le perdite orribili, i sovietici erano ancora in piedi in gran numero – e l’inverno si stava avvicinando. Qualunque sia il tropo che persiste sul fatto che i tedeschi siano stati sorpresi dall’inverno russo, questo non è inequivocabilmente il caso. Avevano esplicitamente puntato a vincere la guerra nel primo anno per evitare di combattere in inverno. Il tempo stava per scadere: da qui Tifone, come ultimo tentativo di vincere la guerra prima che le temperature precipitassero.

 

Per sferrare il tanto necessario colpo di grazia, le forze furono riassegnate dai gruppi d’armate settentrionali e meridionali per concentrare la massima potenza di combattimento nel Gruppo d’armate Centro, il cui comandante – il feldmaresciallo Fedor Von Bock – ora controllava tre dei quattro gruppi di panzer della Wehrmacht. Il gruppo d’armate di Bock era ora cresciuto fino a circa 2 milioni di uomini, rendendo Tifone il più grande comando tedesco sul campo dell’intera guerra. Si trattava di una forza formidabile, ma l’impressionante ordine di battaglia sulla carta smentiva l’entità dei danni che i tenaci difensori dell’Armata Rossa avevano inflitto nei tre mesi precedenti.

 

Questo non era lo stesso esercito che aveva invaso l’Unione Sovietica il 22 giugno. Nonostante i molti errori commessi dagli alti comandi, le truppe dell’Armata Rossa avevano combattuto con ferocia e coraggio, infliggendo gravi perdite ai tedeschi. All’inizio di Tifone, i tre gruppi di panzer di Bock erano ridotti solo al 52,8% dei loro complementi di carri armati autorizzati. Anche le perdite di autocarri furono ugualmente paralizzanti; secondo una stima, i gruppi di panzer avevano perso tra il 30 e il 40% dei loro mezzi di trasporto motorizzati. In totale, la Wehrmacht aveva perso qualcosa come 200.000 veicoli durante i mesi estivi. Per compensare queste perdite sconcertanti, Hitler approvò un lotto di sostituzione di soli 3500 camion per il fronte orientale.

A causa della profondità dell’avanzata della Wehrmacht in Unione Sovietica (e della difficoltà di modificare i treni tedeschi per renderli compatibili con i binari sovietici) Tifone doveva essere scarsamente rifornito. Prima dell’inizio dell’operazione, il personale logistico della Wehrmacht avvertì che l’offensiva non avrebbe potuto essere adeguatamente rifornita fino a Mosca. L’esercito immacolato e superbamente equipaggiato che aveva invaso l’Unione Sovietica in giugno era ora gravemente degradato – Halder ammetterà con amarezza che “un esercito del genere non sarà più a nostra disposizione”.

 

L’ampiezza dei successi operativi della Wehrmacht aveva in gran parte accecato la leadership tedesca sullo stato abissale del proprio esercito. Si trattava, come ha detto un analista, di un esercito in via di “de-modernizzazione”. La Wehrmacht voleva combattere una guerra di manovra, muovendosi rapidamente e ad arte per aggirare e disorientare l’Armata Rossa, ma dopo il pesante dissanguamento di carri armati e veicoli durante i combattimenti estivi, l’esercito era pericolosamente a corto di mobilità e di forza d’urto. Un’invasione di successo dell’Unione Sovietica avrebbe richiesto un esercito in grado di avviare molteplici operazioni offensive successive, con divisioni panzer fresche e completamente rifornite e una fanteria motorizzata in grado di sferrare una sequenza di colpi. La Wehrmacht non era semplicemente l’esercito adatto a questo compito. Quando il 2 ottobre iniziò Tifone, cercò di sferrare un colpo ad effetto utilizzando divisioni Panzer dimezzate e un numero enorme di unità di fanteria stanche e mal rifornite. La mancanza di trasporti a motore assicurava inoltre che ogni ulteriore progresso sarebbe stato del tipo “stop-start”: i carri armati avanzavano a passo di carica e poi si fermavano per permettere alla fanteria e ai rifornimenti di recuperare. Come scrisse lo stesso Bock nel suo diario, “non so ancora come si possa iniziare una nuova operazione da questa posizione, con il valore di combattimento in lento calo delle truppe, che vengono attaccate di continuo”.

 

A questo punto il problema principale era l’inadeguatezza del transito ferroviario e camionistico della Germania. Contrariamente a quanto si credeva, gli sforzi sovietici di fare terra bruciata non avevano completamente disattivato le ferrovie (anzi, tendevano a mantenerle in funzione per evacuare le attrezzature fino all’ultimo momento possibile), e le unità ingegneristiche tedesche erano riuscite a ripristinare i collegamenti ferroviari al Gruppo d’Armate Centro in preparazione di Tifone. Il problema era semplicemente che la capacità ferroviaria era inadeguata a rifornire un esercito così grande, e questo costrinse la Wehrmacht a fare scelte impossibili, in termini di allocazione della capacità limitata a varie esigenze come veicoli di ricambio, pezzi di ricambio, munizioni, carburante – e abbigliamento invernale. Le difficoltà logistiche erano amplificate dall’ottimismo sfrenato del quartiermastro dell’esercito, il generale Eduard Wagner, che di norma tendeva a promettere troppo e a non mantenere.

 

Non avendo la capacità di rifornire adeguatamente l’esercito o di rinforzarlo, i tedeschi dovettero ricorrere a mezze misure e a lavori di rattoppo per mettere insieme le forze necessarie per Tifone.

 

In nessun settore questo fu più evidente che nei veicoli corazzati, in particolare nei carri armati. Le perdite cumulative dei carri armati tedeschi furono enormi, anche in una serie ininterrotta di vittorie. Sulla carta, il Gruppo d’Armate Centro iniziò l’Operazione Tifone in ottobre con più carri armati di quanti ne avesse in giugno, ma questo aumento di forza fu ottenuto attraverso una serie di soluzioni provvisorie che coprivano il degrado generale della potenza di combattimento della Wehrmacht.

Le perdite di carri armati erano state gravi e la logistica era appesa a un filo, il tutto amplificato dagli ormai endemici problemi di rendicontazione della Wehrmacht. Le unità della Wehrmacht tendevano a oscillare tra l’eccesso e il difetto di dichiarazione delle perdite, a seconda di come volevano manipolare le forniture. Era comune dichiarare in eccesso le perdite e i guasti dei carri armati per richiedere veicoli di ricambio e pezzi di ricambio, ma in difetto per ottenere più munizioni e carburante. Più in generale, lo stato inadeguato delle forniture tedesche creava un forte incentivo a mentire. Di conseguenza, i comandanti tedeschi non avevano un’idea precisa della reale forza di combattimento delle loro importantissime unità di panzer, ma sapevano che la situazione era disastrosa.

 

In media, la forza dei carri armati della Wehrmacht a est all’inizio di settembre era di circa il 30% di perdite permanenti, il 23% in riparazione e il 47% pronto al combattimento. Nel Gruppo d’armate Centro, tuttavia, solo il 34% della forza originale dei carri armati era pronto all’azione – queste unità avevano assistito a combattimenti particolarmente duri a Smolensk. Uno degli aiutanti di Hitler riportò l’allarme emergente del Führer per lo stato della forza dei panzer:

 

“Come poteva condurre una guerra se contava su 1.000 carri armati in più e poi qualcuno gli diceva che in realtà ce n’erano solo 500? Aveva dato per scontato che le persone dell’Ufficio Armamenti sapessero almeno contare”.

 

Per rafforzare il Gruppo d’Armate Centro in vista di Tifone, i tedeschi dovettero giocare quasi tutte le loro carte immediatamente disponibili. Tra queste, il trasferimento di un Gruppo Panzer dal Gruppo d’Armate Nord (in modo che Bock avesse 3 dei 4 gruppi panzer dell’esercito orientale), l’invio di entrambe le divisioni panzer nella riserva strategica dell’Alto Comando d’Armata, l’assegnazione di un lotto di 316 veicoli sostitutivi dal magazzino e l’invio di carri armati francesi catturati per svolgere compiti di sicurezza nelle retrovie, in modo da liberare i panzer tedeschi per l’azione in prima linea. Anche con tutte queste misure adottate, il Gruppo d’armate Centro era ancora significativamente sotto forza.

 

Unità per unità, l’armata era semplicemente degradata in modo scioccante. Il 2° Gruppo Panzer di Guderian, che aveva iniziato la guerra a giugno con 900 carri armati, alla fine di settembre era sceso a soli 256 panzer pronti al combattimento, ai quali si potevano aggiungere i 149 veicoli di ricambio promessi.

 

I tedeschi riuscirono a mettere insieme un pacchetto potente per Tifone. Bock ora comandava il 60% delle forze tedesche sul fronte orientale. Ma anche dopo aver dato a Bock un gruppo Panzer in più, aver schierato divisioni Panzer dalla riserva strategica e aver inviato veicoli di ricambio, il Gruppo d’Armate Centro riuscì a malapena a eguagliare la sua forza di carri armati di giugno. Il vero problema, tuttavia, era il fatto che l’arrivo di tutte queste nuove unità e di tutti i veicoli di ricambio significava che non c’era più capacità ferroviaria per i pezzi di ricambio e, di conseguenza, i veicoli guasti avevano la tendenza a rimanere tali.

 

Quando Tifone fu finalmente lanciata, si preannunciò un’altra straordinaria vittoria per la Wehrmacht. Questa sarebbe stata l’ultima vittoria incontestabile, l’ultima stupefacente battaglia di annientamento prima che il miraggio evaporasse e la Wehrmacht non potesse più ignorare l’apocalisse.

 

Schematicamente, Tifone fu solo un’espansione dei precedenti movimenti tedeschi in Unione Sovietica. Sia in Bielorussia che a Smolensk, il Gruppo d’armate Centro aveva effettuato enormi accerchiamenti usando i suoi due gruppi di panzer come tenaglie – il 3° Panzer del generale Hoth come tenaglia settentrionale e il 2° di Guderian come tenaglia meridionale. Ora, con l’aggiunta del 4° Gruppo Panzer del generale Hoepner all’inventario, le tenaglie sarebbero state tre, con il gruppo di Hoenper al centro.

 

All’inizio l’intera operazione sembrava l’ennesima implementazione impeccabile del pacchetto standard della Wehrmacht. Il gruppo di panzer di Hoepner aprì un varco nel fronte sovietico, mentre Guderian e Hoth si accucciarono ai bordi. La risposta sovietica fu lenta e confusa, in gran parte dovuta al fatto che il comandante sovietico del fronte, Ivan Konev (che in seguito si sarebbe dimostrato estremamente competente), aveva ricevuto da Stalin e dallo Stavka l’ordine di organizzare una difesa a oltranza di un ampio fronte con forze insufficienti. Konev non fu in grado di ritirare le sue unità dopo aver perso le comunicazioni con la maggior parte dei suoi comandanti di prima linea a causa dei bombardamenti della Luftwaffe sui posti di comando. Più o meno appeso a un filo, Konev assistette impotente all’accerchiamento parziale o totale di ben sette armate durante l’avvicinamento a Mosca.

La difesa contro l’operazione Tifone segnò probabilmente il punto più basso della condotta operativa sovietica. Nelle prime tre settimane di ottobre, l’Armata Rossa aveva perso più di 900.000 uomini per difendere l’avvicinamento a Mosca e la strada per la capitale sembrava pericolosamente aperta. Eppure, alla fine di ottobre, fu la Wehrmacht a sentire la disperazione. Non avevano più energie né tempo.

 

La notte del 6 ottobre cadde la neve. Il mattino seguente si sciolse rapidamente e creò del fango.

 

Ottobre era un mese terribile per arrivare ovunque in Unione Sovietica; la maggior parte delle strade era sterrata e le piogge autunnali le trasformarono rapidamente in incubi di fango. I veicoli tedeschi erano ovunque impantanati e incapaci di muoversi; vittime della Rasputitsa (letteralmente, tempo senza strade). Un comandante tedesco, dopo la guerra, scriverà:

 

Naturalmente l’avevamo previsto, perché l’avevamo letto nei nostri studi sulle condizioni russe. Ma la realtà superò di gran lunga le nostre peggiori aspettative… Il fante striscia nel fango, mentre sono necessarie molte squadre di cavalli per trascinare avanti ogni cannone. Tutti i veicoli a ruote affondano nella melma fino all’asse.

 

I soldati tedeschi che erano stati in campagna e avevano attraversato queste vaste distese per mesi, ora faticavano a spostarsi su distanze molto brevi. E ancora, nonostante la completa distruzione delle forze sovietiche a Viazma, c’erano ancora forze dell’Armata Rossa sul campo, che combattevano. Tra il fango, la carenza di veicoli e di carburante, la stanchezza generale e la continua difesa dell’Armata Rossa, la Wehrmacht avanzava a fatica. Inoltre, la lentezza non riguardava solo l’avanzata delle unità da combattimento al fronte, ma anche la linea di rifornimento tedesca, che ormai era completamente sommersa e forniva solo una minima parte del cibo, del carburante e delle munizioni necessarie per sostenere l’esercito. Questo a sua volta costrinse a scelte più difficili: ogni tonnellata di carburante e di granate che veniva faticosamente trasportata fino al fronte rappresentava un gran numero di uniformi invernali che venivano lasciate indietro.

Can’t park there, Hans

Bock, cercando di spiegare la situazione all’alto comando, disse senza mezzi termini che “gli obiettivi… non possono essere raggiunti prima dell’inverno, perché non abbiamo più le forze necessarie e perché è impossibile rifornirle”.

 

Le forze tedesche che si facevano dolorosamente strada verso Mosca erano difficilmente riconoscibili come le stesse truppe di classe mondiale che avevano scosso i pilastri dell’Europa. La loro velocità, precisione e vitalità erano scomparse. Invece di combattere una guerra di manovra e di movimento (il tipo di guerra in cui la Germania eccelleva), stavano ora combattendo una battaglia di logoramento, che era il tipo di gioco che l’Unione Sovietica avrebbe sempre vinto. Un ufficiale tedesco ha spiegato: “Abbiamo gradualmente perso la capacità di manovra. La guerra divenne un movimento lineare… Non eravamo più istruiti a sorprendere, aggirare e annientare il nemico. Ci veniva detto: “terrete il fronte da tale punto a tale e tale punto, avanzerete su tale linea””. Dall’altra parte della linea, nonostante la sequenza di sconfitte, alcuni ufficiali sovietici potevano percepire il cambiamento nella capacità di combattere della Germania. Il tenente generale Vassily Sokolovsky si vantava del fatto che “la guerra lampo si è trasformata in una continua frantumazione della macchina bellica tedesca”. Ora essa si stava fermando.

Il Gruppo d’Armate Centro arrancava lentamente verso la periferia di Mosca mentre la temperatura scendeva, dando adito al mito duraturo che la Germania fosse a un passo dal vincere la guerra. Le forze tedesche che stavano afferrando Mosca con la punta delle dita erano combattute ed esauste, con la maggior parte delle loro unità che erano ormai tra un terzo e la metà della loro forza normale – e quei soldati che erano ancora in piedi erano ora gravemente affaticati, non adeguatamente equipaggiati per l’inverno e mal riforniti. Agli ufficiali tedeschi era stato insegnato a privilegiare l’aggressività e la forza di volontà sopra ogni altra cosa, e attraverso la linea cercarono disperatamente di far avanzare i loro uomini. Ma questa battaglia fu persa. Il fatto che i soldati tedeschi fossero a portata di binocolo del Cremlino è solo una curiosità di poco conto; non è che i tedeschi avrebbero vinto la guerra se fossero riusciti a spingersi in avanti e a toccare i cancelli del Cremlino – come avrebbe potuto testimoniare Napoleone. Non si trattava di un gioco di prestigio; entrare a Mosca avrebbe significato semplicemente una sanguinosa battaglia urbana, ed era pura fantasia pensare che questo relitto distrutto della Wehrmacht avesse la forza di conquistare la città isolato per isolato. E così, su tutto il fronte, le unità tedesche si guastarono e si fermarono, come un motore che gira a vuoto. Tifone, come Barbarossa, era fallito e l’Armata Rossa era ancora in campo.

 

Esame di realtà a Mosca

Col senno di poi, è chiaro che la decisione tedesca di spingere su Mosca negli ultimi mesi del 1941 non aveva alcuna possibilità di successo e poneva la Germania in una posizione strategicamente pericolosa. Persino la disastrosa difesa sovietica a Vyazma costò ai tedeschi tempo e perdite più che sufficienti per vanificare l’attacco, dimostrando che Tifone non era semplicemente una soluzione adeguata al problema della Germania – dopo tutto, se un’operazione può annientare un intero gruppo di armate nemiche e comunque fallire, ciò suggerisce che l’operazione era impraticabile fin dall’inizio.

 

L’operazione Tifone era, dopo tutto, una scelta. C’erano molte altre attività potenzialmente fruttuose in cui la squadra di Hitler avrebbe potuto impegnarsi: ad esempio, rafforzare la rete logistica, proclamare la fine delle fattorie collettive e reclutare la popolazione ucraina per rovesciare il bolscevismo, o aumentare le coscrizioni e la produzione bellica in patria (è sorprendente che anche mesi dopo aver invaso l’Unione Sovietica, la Germania nazista non fosse in una situazione economica di cosiddetta “guerra totale”). Forse, dopo aver annientato le forze dell’Armata Rossa in avvicinamento a Mosca alla fine di ottobre, la Wehrmacht avrebbe potuto trincerarsi nelle posizioni invernali e cercare di rifornirsi e riorganizzarsi per il 1942, piuttosto che tentare l’ultima strisciata nel fango e nella neve verso la città.

 

Invece, i tedeschi fecero l’unica cosa che sapevano fare: preparare un’altra operazione offensiva e tentare un altro colpo di grazia, spingendosi in avanti fino a quando non fu impossibile andare oltre. Sapendo, come ora, che Tifone non avrebbe mai funzionato, è facile criticare la portata limitata dell’esperienza tedesca. Tuttavia, non bisogna dimenticare che, a prescindere dai loro limiti in altri aspetti del modo di fare la guerra, la Wehrmacht rimase l’esercito più esperto al mondo dal punto di vista operativo, e nel 1941 l’Armata Rossa si dimostrò completamente incapace di contrastarla. Tifone non riuscì a conquistare Mosca, ma distrusse un’intera linea di armate sovietiche a guardia dell’avvicinamento alla capitale e inflisse ai sovietici perdite terribili. Per Stalin e i suoi collaboratori alla Stavka, la mappa della situazione raccontava di una catastrofe in rapida evoluzione.

 

Per i residenti di Mosca, compreso Stalin, non era immediatamente evidente che la città avrebbe retto. Verso la fine di ottobre, mentre i tedeschi lottavano per liquidare le sacche dell’Armata Rossa sull’autostrada, Mosca aveva acquisito una chiara aura di imminente sventura. Le infrastrutture civili si ruppero, con i trasporti pubblici interrotti e l’elettricità disponibile solo a intermittenza – le forniture di carbone erano ora monopolizzate dalle fabbriche di armamenti. Notevoli furono i casi di disordini civili: un evento raro in una popolazione che da tempo aveva raggiunto il punto di sottomissione per gentile concessione dell’NKVD.

 

Contrariamente alle speranze tedesche, tuttavia, gli episodi di disordine nelle strade non riflettevano un crescente stato d’animo antisovietico tra la popolazione, ma piuttosto la paura crescente che il governo li abbandonasse. Alcuni moscoviti osservarono quanto fosse inaudito e minaccioso che le panetterie della città distribuissero contemporaneamente razioni per diversi giorni: il governo si aspettava forse di essere sloggiato? In realtà, Stalin e i suoi avevano già pianificato di abbandonare la città. Il 15 ottobre Stalin emanò un ordine che dava il via all’evacuazione del governo e ai preparativi per la demolizione di fabbriche, depositi di rifornimenti e infrastrutture nel caso in cui i tedeschi fossero riusciti a entrare in città. Un numero consistente di fabbriche era già stato evacuato e i piani erano ora in moto per trasformare ciò che rimaneva in una terra desolata per i tedeschi.

A rare candid photo of Stalin shows a man burdened and weary

Stalin, di solito imperturbabile e di pietra, sembrava essere al limite della sopportazione. “Sei sicuro che possiamo tenere Mosca?”, chiese a Zhukov, “Te lo chiedo con un dolore nell’anima. Mi dica la verità, da comunista”. Zhukov – un militare “a qualunque costo” per eccellenza – rispose: “Terremo Mosca, senza alcun dubbio”.

 

Dopo il panico di metà ottobre, lo stato d’animo della capitale si irrigidì nella sfida. Centinaia di migliaia di civili vennero arruolati per scavare fossati anticarro e costruire fortificazioni campali nella periferia della città, mentre gli uomini in grado di lavorare continuarono a essere messi in uniforme. Zhukov e Stalin concordarono persino di organizzare la parata del 7 novembre per la commemorazione annuale della rivoluzione, come dimostrazione di determinazione.

 

Dopo aver passato in rassegna le truppe in parata, Stalin si rivolse alla folla. Il suo discorso, che fu stampato su tutti i giornali il giorno successivo, ammise che l’URSS era in gravi difficoltà, ma insistette sul fatto che la vittoria sovietica era inevitabile. “Il mondo intero vi guarda”, disse, “perché siete voi che potete distruggere le armate predatrici dell’invasore tedesco”. Inoltre, ha ricordato i grandi eroi della storia militare russa, come Alexander Nevsky, Dmitri Donskoi, Alexander Suvorov e Mikhail Kutuzov. Già a luglio, il regime sovietico aveva iniziato a riabilitare un patriottismo specificamente russo, tracciando un’analogia tra l’invasione tedesca e i cattivi del passato russo, come Napoleone e i mongoli. Stalin ha riproposto questo tema con la Wehrmacht alle porte. La sua battuta finale, “Morte agli occupanti tedeschi!”, racchiudeva bene l’atmosfera.

 

Dopo aver accennato all’evacuazione in ottobre, Stalin era ora deciso a rimanere nella capitale per combattere. Il 1° dicembre, il Segretario Generale ricevette una telefonata dal quartier generale avanzato di Zhukov nel villaggio di Perkhushkovo. L’addetto allarmato all’altro capo della telefonata riferì che i tedeschi erano molto vicini e chiese se il quartier generale poteva essere spostato più a est. Stalin rispose chiedendo se avessero delle pale a portata di mano. L’ufficiale, dapprima sconcertato, rispose che avevano delle pale e chiese cosa si dovesse fare con esse. “Compagno Stepanov, dica ai suoi compagni di prendere le vanghe”, rispose il dittatore, “e di scavarsi delle tombe. La Stavka non lascerà Mosca. Io non lascerò Mosca. E loro non andranno via da Perkhushkovo”.

 

Valutare le prestazioni di Stalin in guerra è difficile. È molto facile sottolineare i terribili errori di Stalin: ha fatto crescere in modo massiccio il suo corpo ufficiali negli anni precedenti la guerra; ha sbagliato il dispiegamento dell’Armata Rossa nel periodo precedente la guerra; durante Barbarossa la sua leadership ha portato a battaglie di accerchiamento di massa che hanno distrutto l’Armata Rossa. È più difficile dare credito a Stalin per i suoi successi – è più bello invece riconoscere ed elogiare figure meno – diciamo così – controverse come Zhukov.

 

Tuttavia, è un semplice dato di fatto che Stalin fu al centro della vittoria sovietica, come leader indiscusso del Paese, intimamente coinvolto in tutte le decisioni critiche. Stalin era considerato indispensabile da tutti i suoi subordinati (continuava a trarre grande legittimità dal suo carico di lavoro apparentemente sovrumano), e di fatto la sua popolarità generale aumentò notevolmente durante la guerra, in quanto divenne l’archetipo dello Stato e della sua ostinata e stoica resistenza contro la tempesta. Nei mesi finali del 1941, mentre l’assalto tedesco raggiungeva il suo apice all’avvicinarsi di Mosca, la sfida di Stalin personificava la crescente rabbia sovietica di fronte all’apocalisse. Come disse lo stesso Stalin, tra gli applausi scroscianti della folla a Mosca, “Gli invasori tedeschi vogliono una guerra di sterminio contro i popoli dell’Unione Sovietica. Molto bene, allora! Se vogliono una guerra di sterminio l’avranno!”.

 

Questo senso di eroica presa di posizione alle porte dell’inferno era esaltante, e non solo per i cittadini sovietici. Un giornalista americano, che era stato anche lui in Francia nel 1940, ha ricordato:

 

Ogni giornalista che assiste a un’occasione epocale di questo tipo cerca di pensare a una frase che racconti la storia completa ed emozionante… Mentre guardavo i tedeschi occupare Parigi… il meglio che riuscivo a fare era: “Parigi è caduta come una signora”. Ora, il meglio che sono riuscito a trovare è stato: “Mosca si è alzata e ha combattuto come un uomo”.

 

Stalin, con il suo regime e il suo esercito, si preparò a una lotta feroce per la città. Ma il tremendo scontro non arrivò mai; al contrario, i tedeschi si fermarono. All’inizio di dicembre, con le temperature in picchiata, il Gruppo d’armate Centro era sostanzialmente bloccato in ogni punto della linea. Non era solo il freddo a tenerli congelati sul posto (un gioco di parole davvero eccessivo), ma anche l’esaurimento generale e la carenza di uomini, cibo, carburante e munizioni. Il freddo rendeva le cose miserabili, ma le unità di prima linea del Gruppo d’armate Centro erano così malridotte e sottoalimentate che non avrebbero ottenuto grandi risultati nemmeno con il clima estivo.

Con la Wehrmacht in difficoltà e incapace di muoversi, l’iniziativa strategica passò per default all’Armata Rossa per la prima volta nella guerra. Zhukov non perse tempo e iniziò immediatamente una feroce controffensiva per ricacciare la Wehrmacht dalla soglia di casa. Sulla carta, il Gruppo d’armate Centro superava le forze dell’Armata Rossa nella regione di Mosca (forse 1,7 milioni di tedeschi contro 1,1 milioni di soldati sovietici), ma l’Armata Rossa aveva armate di riserva in via di formazione, le sue forze, a differenza dei tedeschi, erano fresche e vicine ai loro punti di rifornimento e di comunicazione, avevano accesso a ferrovie funzionanti e, cosa ancora più importante, i sovietici erano ora in grado di concentrare le truppe in punti mirati della linea. Nonostante l’inferiorità numerica del fronte, gli attacchi concentrati diedero all’Armata Rossa un vantaggio numerico di oltre 2 a 1 nei punti chiave. L’attacco iniziò il 5 dicembre e riuscì ben presto a respingere le prime linee tedesche da Mosca.

 

La decisione di Zhukov di non perdere tempo e di colpire immediatamente i tedeschi esausti si rivelò decisiva e l’Armata Rossa mise il Gruppo d’armate Centro in una posizione molto difficile durante l’inverno. L’8 dicembre Hitler emanò la Direttiva di guerra 39, che ordinava all’esercito di “abbandonare immediatamente tutte le principali operazioni offensive e passare alla difensiva”. L’ordine fu un tardivo riconoscimento di una realtà che già esisteva sul campo. Per molti soldati tedeschi aggrappati alle loro posizioni fuori Mosca, la “difensiva” era già fin troppo reale.

 

Se i mesi estivi erano stati testimoni dell’apice dell’arroganza tedesca, dicembre avrebbe dato luogo a un’analoga eccessiva fiducia da parte della leadership sovietica. Dopo mesi di pesanti sconfitte operative e terribili perdite, l’improvviso cambiamento di slancio era inebriante. L’Armata Rossa ottenne significativi avanzamenti operativi che eliminarono l’imminente minaccia per Mosca e causarono una vera e propria crisi per il comando tedesco. Tuttavia, il contrasto tra il panico di ottobre e i successi di dicembre convinse Stalin che i tedeschi erano allo stremo e portò a una massiccia inflazione delle aspettative.

 

Il massimo a cui l’Armata Rossa poteva aspirare in inverno era eliminare la pressione diretta su Mosca e spingere i tedeschi fuori dalla porta di casa, ma Stalin e i suoi tirapiedi si convinsero invece che era possibile accerchiare le principali formazioni tedesche e potenzialmente distruggere del tutto il Gruppo d’armate Centro. In un promemoria, Stalin espresse la sua fiducia che l’offensiva invernale avrebbe “assicurato la completa sconfitta delle forze naziste nel 1942”.

 

Purtroppo, l’Armata Rossa non era in grado di compiere operazioni così ambiziose. I sovietici erano ancora carenti negli elementi tecnici e logistici per condurre una guerra offensiva. Il corpo degli ufficiali sovietici era inesperto e non era in grado di coordinare adeguatamente la manovra delle proprie unità come potevano fare gli ufficiali tedeschi, i sistemi di rifornimento e controllo sovietici erano ancora macchinosi e incapaci di sostenere un’offensiva in profondità, le munizioni e il cibo caldo erano strettamente razionati e l’Armata Rossa faticava a coordinare con successo una battaglia ad armi combinate. D’altro canto, la Wehrmacht – sebbene malridotta – era ancora l’esercito più letale del mondo e riusciva a resistere grazie ai nervi saldi, alla superiorità tattica e ai contrattacchi accuratamente ritmati. La tragedia, quindi, fu che nessuno dei due eserciti fu in grado di sconfiggere l’altro nel 1941.

 

Alla fine, la Battaglia di Mosca fu molto meno drammatica di quanto suggerisce la mitologia, anche se non meno decisiva. La storia della battaglia non riguarda tanto l’intervento tempestivo del clima invernale, quanto piuttosto il logorio e la stanchezza delle forze tedesche che alla fine hanno avuto la meglio, esponendo una Wehrmacht esausta alla controffensiva di Zhukov. I tedeschi non furono fermati fuori Mosca perché faceva freddo; furono bloccati al freddo perché la loro offensiva era fallita.

 

Sebbene il mito della possibilità di vittoria tedesca sia solo questo – un mito – il dicembre 1941 fu testimone del primo cambiamento nella traiettoria e nella natura della guerra, quando il conflitto si allargò e – per la prima volta dopo anni – la Germania perse il controllo dell’iniziativa strategica. Ma le condizioni sul terreno in Unione Sovietica non furono l’unica cosa che cambiò a svantaggio della Germania. Il 5 dicembre, Zhukov sguinzagliò le sue armate di riserva e iniziò a colpire il Gruppo d’armate Centro. Due giorni dopo, una forza d’attacco giapponese lanciò un attacco a sorpresa contro la flotta americana del Pacifico a Pearl Harbor, e la guerra nazi-sovietica si unì alla crescente guerra mondiale.

La manovra diventa logoramento

Spesso, quando si parla di guerra, si presuppone tacitamente che, in un determinato momento, una parte stia “vincendo” e l’altra stia “perdendo”. La guerra nazi-sovietica, soprattutto nel 1941 e 1942, sfata questa nozione. Disorientamento, disperazione, rabbia e sofferenza erano onnipresenti sia per l’Armata Rossa che per la Wehrmacht. Entrambe le parti potevano vantare alcuni successi, ma nel contesto di una catastrofe più ampia. La Wehrmacht poté celebrare una serie di brillanti accerchiamenti e battaglie vinte, ma queste – Smolensk ne è l’esempio ideale – avvennero sullo sfondo di una catastrofica lettura errata del potenziale di mobilitazione sovietico: i tedeschi continuarono ad accerchiare e distruggere le unità sovietiche, ma queste unità non avrebbero dovuto esistere e l’Armata Rossa avrebbe dovuto crollare. Da parte sovietica, il successo dell’evacuazione di molte fabbriche critiche – soprattutto di carri armati – fu (ed è tuttora) considerato una grande vittoria dal regime comunista, ma ovviamente queste fabbriche furono evacuate perché l’Armata Rossa veniva distrutta su tutta la linea e le regioni industriali cruciali venivano invase dai tedeschi. Alla fine, entrambe le parti si trovarono impegnate in una disperata lotta per la sopravvivenza alla quale nessuno era preparato: la portata e l’intensità della guerra erano semplicemente senza precedenti. Il fiume di sofferenza e di morte aveva superato gli argini.

 

Questo porta al punto più importante. Nel 1941, né l’Armata Rossa né la Wehrmacht erano in grado di distruggere l’altra in modo definitivo. Nessuna vittoria decisiva era possibile per entrambe le parti, il che significa che questa guerra era proprio ciò che i tedeschi avevano temuto: una guerra di logoramento.

The Wehrmacht took huge numbers of prisoners, but could not break the Red Army

Singolarmente, le operazioni tedesche avevano tutte le caratteristiche di una guerra di manovra, con i loro abili movimenti a tenaglia e l’applicazione potente e decisiva del loro pacchetto meccanizzato nei punti decisivi. Esse produssero enormi accerchiamenti che fecero lievitare le perdite sovietiche a livelli scandalosi. Il problema è che queste vittorie non portarono a una decisione strategica globale.

 

I tedeschi combatterono quattro enormi battaglie nel 1941: in Bielorussia, a Smolensk, a Kiev e a Vyazma, sulla strada per Mosca. Quando un esercito è costretto a combattere una sequenza di campagne di manovra, ognuna delle quali non porta a un risultato decisivo, l’effetto cumulativo è l’attrizione. E questo era il problema della Germania. L’Armata Rossa era semplicemente troppo potente, la riserva di manodopera troppo enorme e lo Stato sovietico troppo tenace per poter essere distrutto in una o anche in due grandi campagne di manovra, e la Wehrmacht era intrappolata in una guerra di logoramento, che lo volesse o meno.

 

In definitiva, ciò rivelò che la Wehrmacht, pur essendo estremamente dotata nei domini operativi e tattici del modo di fare la guerra, era fatalmente incompetente in altri domini, come l’intelligence militare e la logistica. In particolare, le valutazioni tedesche del potenziale di mobilitazione sovietico furono forse il più grande errore di intelligence militare di tutti i tempi.

 

I poteri di mobilitazione dell’Unione Sovietica erano davvero impressionanti e si prendevano continuamente gioco dell’intelligence militare tedesca. All’inizio di agosto, furono presentati a Hitler dei rapporti che prevedevano che l’Armata Rossa non aveva più forze sufficienti per formare un fronte difensivo continuo e che probabilmente era vicina alla fine delle sue risorse – “Il numero di nuove unità che vengono organizzate potrebbe aver raggiunto il suo picco. È difficile aspettarsi la creazione di altre unità”. Il rapporto prevedeva che, al massimo assoluto, l’Armata Rossa avrebbe potuto schierare 390 divisioni. Questo numero era una revisione al rialzo rispetto alle stime precedenti all’invasione, ma rappresentava comunque una sottostima risibile.  A quel punto, la mobilitazione sovietica aveva portato la forza di linea dell’Armata Rossa a 401 divisioni – un numero che sarebbe cresciuto a 450 entro settembre e a 592 entro dicembre. L’aspetto forse più sorprendente è che la Stavka riuscì a realizzare questa straordinaria impresa organizzativa per poi replicarla nella prima metà del 1942 mettendo in campo altre 10 armate.

 

In ultima analisi, la Germania ha perso la guerra perché era impegnata in una guerra d’attrito che non si aspettava e non poteva capire, e non poteva adattarsi a queste condizioni a causa di vincoli ideologici.

 

Nell’autunno del 1941, le regioni industriali e produttrici di grano più importanti si trovavano dietro le linee tedesche. Naturalmente, lo scopo di Barbarossa era quello di consentire alla Germania di sfruttare le risorse economiche dell’Unione Sovietica occidentale, e in particolare dell’Ucraina, per creare un grande impero tedesco economicamente autosufficiente: un presupposto importante della leadership tedesca, quindi, era che Barbarossa avrebbe fatto pendere la dimensione economica della guerra a favore della Germania. Questa ipotesi si rivelò un’assoluta chimera.

 

L’Unione Sovietica spese una quantità considerevole di energie per evacuare le fabbriche dal percorso tedesco, anche se, contrariamente a quanto vantavano i comunisti, questi beni industriali non furono ricostruiti senza problemi nelle aree retrostanti. L’evacuazione di una singola fabbrica comportava centinaia, se non migliaia di vagoni ferroviari di attrezzature e, nel caos della guerra, questi carichi tendevano ad accumularsi ai nodi ferroviari, creando grandi cumuli di macchinari e attrezzature disorganizzati. Secondo una stima, circa 1,5 milioni di vagoni ferroviari carichi di attrezzature di fabbrica furono evacuati nelle aree retrostanti (gli Urali, la valle del Volga, la Siberia e l’Asia centrale). Per ovvie ragioni, la maggior parte di queste fabbriche non fu immediatamente riassemblata nel 1941, e l’anno successivo avrebbe visto un enorme calo della produzione industriale sovietica – secondo alcune stime, la produzione del 1942 era scesa di oltre un terzo rispetto ai livelli del 1940.

Il principale vantaggio dell’evacuazione delle fabbriche, quindi, fu semplicemente quello di impedire ai tedeschi l’accesso a questi beni. Nonostante queste interruzioni, l’Unione Sovietica riuscì a destreggiarsi in un’economia improvvisata e di emergenza in risposta all’invasione tedesca, seguita da un ritorno a una pianificazione di successo a partire dal 1943 – un successo, almeno, per gli standard sovietici; la produzione militare dell’URSS non si avvicinò mai a eguagliare la fabbrica di dimensioni continentali chiamata America che lavorava al di là degli oceani. Tuttavia, lo sviluppo staliniano dell’industria nelle regioni interne dell’URSS, in particolare negli Urali, si rivelò fondamentale per dare al Paese una sorta di profondità economica che gli permise di sopravvivere all’invasione tedesca, e l’investimento non solo in attrezzature, ma anche in operai specializzati, manager e tecnici permise all’URSS di produrre grandi quantità di carri armati e armi per tutta la durata della guerra.

 

Per ironia della sorte, anche se nel 1941 l’Unione Sovietica perse territori economicamente preziosi (e la Germania, per estensione, li guadagnò), fu il Terzo Reich a trovarsi presto in gravi difficoltà economiche.

 

Il regime sovietico riuscì ad evacuare o a distruggere un numero sufficiente di infrastrutture di valore, tanto che per i tedeschi fu difficile ricavare un valore reale dalle regioni catturate. Lo sfruttamento dell’Ucraina, ad esempio, richiedeva la deviazione dei treni tedeschi e il carbone per far muovere le cose, ma il tentacolare impero nazista era già a corto di entrambe le cose. Per funzionare in Unione Sovietica, i tedeschi dovevano riparare i binari e le infrastrutture, ma questo richiedeva manodopera e la Germania stava già affrontando una grave carenza di manodopera. Inoltre, spostare le risorse dall’Unione Sovietica avrebbe richiesto l’allocazione della capacità ferroviaria necessaria a spostare i rifornimenti per mantenere l’esercito. La situazione economica stava diventando così disperata che alcuni pianificatori tedeschi suggerirono di chiudere l’intera industria degli armamenti per l’inverno per risparmiare carbone. Alla fine, le porzioni occupate dell’Unione Sovietica fornirono alla Germania un valore economico inferiore a quello del piccolo Belgio occupato.

 

Nella misura in cui i nazisti trovarono l’Ucraina una terra desolata, raccolsero semplicemente ciò che avevano seminato. È sorprendente che la leadership tedesca scelse specificamente di non abolire le fattorie collettive sovietiche – un gesto semplice che avrebbe potuto ottenere il sostegno di molti ucraini.  Un funzionario tedesco suggerì che “la fornitura sicura a lungo termine di materie prime e generi alimentari al Reich tedesco potrebbe essere ottenuta con meno mezzi di forza attraverso un trattamento comprensivo delle nazionalità interessate” – in gergo burocratico, si trattava di cercare di conquistare gli ucraini trattandoli con un minimo di umanità.

 

Questo suggerimento sensato fu respinto in toto. I nazisti stavano progettando di far morire di fame gli slavi in ogni caso, la fattoria collettiva sembrava un sistema utile per farlo, e i tedeschi non hanno mai dubitato di poterla gestire in modo più efficiente di quanto avessero fatto i comunisti, e così le fattorie collettive rimasero. Ma i tedeschi, coinvolti in una guerra catastrofica, senza alcuna conoscenza delle aree locali e senza un’ideologia convincente come il comunismo, non potevano controllare i contadini come i sovietici e quindi l’Ucraina non avrebbe nutrito la Germania come voleva Hitler. Ogni speranza delle popolazioni locali che la Wehrmacht venisse a liberarle dall’oppressione comunista evaporò all’istante al contatto con la barbarie tedesca.

 

Stalin e il partito comunista avevano fissato una soglia di crudeltà molto alta, eppure i tedeschi riuscirono a superarla senza difficoltà. Vale la pena chiedersi come sarebbe andata la storia se la Wehrmacht avesse dichiarato la fine dell’azienda agricola collettiva e si fosse presentata come liberatrice (anche in modo disonesto), facendo un tentativo a metà per ottenere il sostegno degli ucraini. Ma questo significa chiedersi come sarebbe andata se Hitler non fosse stato malvagio; ma allora non sarebbe stato Hitler, e la Wehrmacht non sarebbe stata affatto in Ucraina.

“Close your hearts to pity.”

Alla fine, a causa di una combinazione di crudeltà tedesca e dello sforzo dei sovietici di evacuare o distruggere beni di valore economico, Barbarossa non riuscì a spostare gli aspetti industriali della guerra a favore della Germania. L’implicazione economica più immediata dell’invasione per i tedeschi fu piuttosto il rapido esaurimento delle loro riserve di carburante e la costosa responsabilità di rifornire un enorme esercito a centinaia di chilometri di profondità in territorio nemico.

 

Incapace di attuare la sua sanguinosa visione del paradiso razziale a est, il regime nazista frustrato iniziò a compiere crimini compensativi. Il piano originale prevedeva di rubare il grano dell’Ucraina e di far morire di fame decine di milioni di slavi. Non riuscendo a farlo, la Wehrmacht affamò invece dove era in grado di farlo. Avrebbero ucciso circa 3 milioni di prigionieri di guerra sovietici – mezzo milione con la fucilazione e il resto costringendoli in recinti all’aperto e aspettando che morissero di fame. A Leningrado, tagliata fuori dai rifornimenti a causa dell’assedio tedesco, la fame era già un problema alla fine del 1941, e quando l’Armata Rossa salvò la città nel 1944 circa 1 milione di persone erano morte di fame.

 

Questo fu un crimine apocalittico da parte della Wehrmacht, ma era tutto sbagliato. Questi crimini si verificarono perché la Germania non aveva vinto la guerra e non poteva commettere i crimini che Hitler aveva pianificato. I prigionieri sovietici furono fatti morire di fame perché la Wehrmacht era a corto di rifornimenti e accumulava ogni caloria che riusciva a procurarsi per i propri soldati. Leningrado fu teatro di una fame di massa, ma la città fu assediata e affamata perché i tedeschi non riuscirono a catturarla del tutto. Hitler aveva originariamente pianificato di demolirla completamente, e quindi la morte per fame dei suoi cittadini rappresentava la rabbia esasperata di un regime nazista che stava per vedersi sfuggire un impero tra le dita.

 

Anche la decisione di iniziare l’assassinio di massa degli ebrei tradisce il fatto che lo sforzo bellico tedesco è condannato. Hitler aveva fatto quattro importanti promesse riguardo al Barbarossa: primo, che l’Armata Rossa avrebbe potuto essere distrutta in una rapida campagna; secondo, che lo Stato sovietico sarebbe crollato sotto la pressione della guerra; terzo, che le terre dell’Unione Sovietica avrebbero fornito ricchezza economica ai tedeschi; quarto e ultimo, che la caduta dell’Unione Sovietica avrebbe permesso una soluzione definitiva al problema ebraico. Tutto stava andando storto. L’Armata Rossa continuava a mettere in campo formazioni fresche ovunque; lo Stato sovietico non era crollato, ma stava stoicamente arrestando, fucilando, spostando e arruolando persone su scala enorme; i territori sovietici occupati non fornivano grano o carbone o metallo, ma stavano invece assorbendo enormi quantità di materiale e carburante. Di fronte al fallimento a est, Hitler spostò i parametri della guerra per enfatizzare lo sterminio degli ebrei – un tacito riconoscimento che questo era ormai l’unico obiettivo bellico ancora a portata di mano. In origine, la Soluzione Finale doveva essere attuata dopo il crollo dell’Unione Sovietica, quindi all’inizio non c’erano piani reali per la sua realizzazione. Con l’Armata Rossa in piedi, la guerra contro gli ebrei doveva essere spostata in cima alla lista delle priorità, e così le SS iniziarono a sparare agli ebrei sovietici a un ritmo frenetico e a sperimentare modi industrializzati di ucciderli.

 

L’Olocausto, in un senso molto reale, fu un premio di consolazione per un pazzo che si trovò dalla parte sbagliata della sua stessa apocalisse.

 

Coda: i limiti della manovra

Sarebbe profondamente sbagliato definire il 1941 una storia di successo sovietico. Le decisioni militari prese da Stalin e dalla sua squadra alla Stavka – in particolare l’impulso a mantenere il terreno e a contrattaccare senza sosta – fecero aumentare enormemente le perdite sovietiche, sprecarono gran parte delle prime unità di prima linea dell’Armata Rossa e permisero di invadere l’intero margine occidentale dell’URSS. Tuttavia, in mezzo a questa catastrofe, lo Stato sovietico dimostrò una tenacia, una durata e un potere di mobilitazione che confusero completamente le nozioni tedesche di un’unica stagione di campagna decisiva.

 

Prese a sé stanti, le operazioni del 1941 hanno messo in mostra una Wehrmacht all’apice delle sue forze, che ha cacciato e distrutto enormi forze sovietiche in una sequenza di grandi vittorie. Cumulativamente, però, queste battaglie distrussero la Wehrmacht, che non si riprese mai dalle perdite di ufficiali, truppe veterane ed equipaggiamento subite in questo anno cruciale. Declassata, deflagrata, sgonfiata, era ormai solo una questione di quando e come, non di se la Germania avrebbe perso la guerra.

 

In agosto, un ufficiale di divisione tedesco fece una nota di passaggio che si rivelò molto più preveggente di quanto potesse immaginare. La divisione, notò, avrebbe dovuto trovare un modo per ridurre il tasso di perdite “se non intendiamo vincere fino alla morte”.

[1] http://italiaeilmondo.com/2023/02/01/un-anno-di-guerra-in-ucraina-riepilogo-ragionato-di-roberto-buffagni/

[2] https://en.wikipedia.org/wiki/David_M._Glantz

1 2 3 4 5 18