Stati Uniti, guerra e primarie senza rete_con Gianfranco Campa

Gli Stati Uniti in tre mesi hanno speso l’equivalente di un anno di guerra in Afghanistan e dei due terzi del bilancio della spesa militare russa. Un investimento enorme. Non è quindi solo Putin ad aver posto un punto fermo invalicabile. Una scelta chce è in realtà una proiezione di quanto sta avvenendo negli Stati Uniti con un Partito Democratico totalmente allineato ed arroccato in questa scelta, una leadership neocon ormai aggrappata agli specchi ed artefice di giochini truffaldini e un movimento che punta a consolidare la propria presenza nel partito repubblicano nei quadri dirigenziali. L’opportunismo e il trasformismo di Sanders non sono una sua esclusiva peculiarità; si sono rivelati la caratteristica di tutta la componente radicale del Partito Democratico. Il prodromo ad una radicale ricomposizione di quel sistema partitico che lascerà parecchi orfani lungo la strada. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Il giorno di Mario Draghi_con Antonio de Martini

Ieri, martedi 10 maggio, è stato il giorno di Mario Draghi al cospetto di Biden. E’ stato il suo giorno di gloria. Non sappiamo se è stato il suo momento fugace o il riconoscimento e la sanzione duratura di un ruolo internazionale riconosciuto. La postura assunta nell’incontro, così come la hanno presentata, è stata particolarmente significativa: un gran consigliere, nel pieno della sua dignità e del suo ruolo di dignitario, al cospetto di un principe sovrano, dal cospetto incerto e dallo sguardo perso nel vuoto. Il merito e gli argomenti affrontati nell’incontro corrispondono esattamente all’immagine offerta: hanno sottolineato la fedeltà assoluta e la linearità dei comportamenti del governo italiano rispetto agli indirizzi e alle pesanti scelte americane riguardanti il conflitto russo-ucraino. Grazie a questo, Mario Draghi si è concesso il lusso di richiamare Biden e la sua amministrazione alle conseguenze di queste scelte e di segnalare che è arrivato il momento di preservare i frutti di queste scelte: l’acquisita coesione della allenza atlantica in funzione antirussa e la consapevolezza della crescente ritrosia dei popoli europei a protrarre ulteriormente lo stato di belligeranza. Ha parlato volutamente di popoli ed opinione pubblica europea un po’ per ipocrisia diplomatica, soprattutto per evidenziare la difficoltà crescente dei ceti politici locali nel gestire e giustificare per troppo tempo un livello così esasperato di tensione. Una raccomandazione a non tirare ulteriormente la corda, almeno per il momento. Negli ultimi mesi, la figura di Mario Draghi è parsa appannarsi soprattutto come politico impegnato nelle beghe interne all’Italia, ma anche nello stesso agone della Unione Europea, non ultima la sua apparizione al parlamento europeo. Lo abbiamo più volte sottolineato su Italia e il mondo. Nel campo europeo sono risaltati molto di più la petulanza di Macron, il tira e molla dietro le quinte di Sholz e l’oltranzismo avventurista di polacchi e paesi baltici, almeno sino a quando Draghi ha potuto e saputo mettere a frutto la ormai tradizionale italica remissività ed accondiscendenza, guadagnandosi addirittura un possibile ruolo di mediatore o cerimoniere tra Stati Uniti, Ucraina e Russia. Il pallino e il dibattito più impegnativo sulla conduzione degli affari internazionali, nel versante occidentale, rimane comunque in mano ai centri decisori statunitensi. Quello che succede in Europa, rispettivamente la delicata pressione di Draghi, corroborata dalla parziale conversione di Letta e dalla petulanza di Macron, da una parte e l’iniziativa ucraina, presumibilmente ispirata da Nuland & C. dall’altra, di rallentamento dei flussi di gas, traggono alimento da e sono almeno in parte sponde esterne di posizioni presenti nell’amministrazione americana. Al netto del terrore che pervade lo staff presidenziale ad ogni apparizione pubblica di Biden, l’assenza di una conferenza stampa comune assume comunque un significato. Al beneficio che riuscirà a trarre Mario Draghi ne corrisponderà almeno uno parziale per il paese? Il dubbio volge pressoché verso la certezza di una stridente divaricazione, vista la pressoché totale inconsistenza di un ceto politico e di una classe dirigente, entrambi tanto petulanti quanto inconcludenti e dimessi, sia nella fazione assolutamente predominante dei consenzienti a prescindere che nella gran parte dei contestatori ed oppositori velleitari. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti! Il moloch della comunicazione e le sue crepe_Con Gianfranco Campa

Nel precedente video con Gianfranco Campa abbiamo accennato al tentativo di acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk, il detentore di Tesla e Space X. In questa puntata proseguiamo, senza soluzione, con l’argomento. Il 2016 è stato l’anno dell’elezione inattesa di Donald Trump a Presidente. Ha coinciso con l’apoteosi dell’utilizzo delle reti digitali (facebook, twitter, google, instagram, tik tok, ect) in ogni campo della comunicazione, da quello strettamente privato, a quello economico, culturale e, finalmente, politico. Una apoteosi il cui apice ha segnato nel contempo il momento di declino crescente degli spazi di libertà offerti da quei canali e l’introduzione di sistemi certosini di controllo, censura e manipolazione sempre più stringenti. Non che in precedenza mancassero; soltanto erano meno sistematici e riservati maggiormente all’ambito economico. Quella campagna elettorale è stata un punto di svolta; è stato il primo esempio vincente dell’uso sistematico e simbiotico con un radicamento territoriale tradizionale e con la realizzazione di un programma politico dirompente delle piattaforme digitali. Sono stati i canali attraverso i quali individuare, raggiungere ed influenzare segmenti di interessi ed opinione circoscritti ed individuati con inusitata precisione e fondamentali, sulla base della legge elettorale, all’esito positivo della candidatura. Indicare quel momento e lo spazio americano come il punto e il luogo di svolta non è quindi un cedimento al complottismo, al politicismo e alla sensazione di onnipotenza dell’azione statunitense. E’ semplicemente la constatazione che l’esito di quella battaglia ha messo a nudo e in crisi i meccanismi di manipolazione, di relazione e di esercizio dei centri decisori di potere; centri decisori di potere in grado di determinare la vita interna di quel paese e di influenzare e/o decidere gli eventi e le dinamiche nel resto del mondo; in un paese dove sono localizzati, guarda caso, gli snodi dove affluiscono ed hanno la possibilità quantomeno teorica di essere rilevati e manipolati i dati che ormai muovono le azioni fondamentali del genere umano nei diversi ambiti, compreso quello più invasivo detto “politico”. Da allora il controllo e la manipolazione sistematica dei dati, il loro filtraggio, la creazione apposita da parte delle varie istanze di strutture e gruppi incaricati di questa gestione e manipolazione ha raggiunto livelli sempre più strutturati e invasivi sino a realizzare le peggiori profezie orwelliane. Una politica che comporta comunque dei costi altissimi in termini di coesione sociale e di regolazione dei conflitti in quanto tende a circoscrivere le diversità di opinioni e di interessi in nicchie e in sfere autoreferenziali sempre meno comunicanti tra di loro. Con ciò assecondando quei processi di frammentazione e di conflittualità distruttiva sociale e politica parallele perfettamente complementari alle varie forme di controllo totalitario presenti nelle diverse formazioni sociali, comprese quelle occidentali. L’acquisto di Twitter, per altro non ancora definitivo, non ostante quanto sostenuto dalla “ben informata” stampa italiana, da parte di Elon Musk, con tutto il corollario dei suoi annunci sulla liberazione dello spazio alle diverse opinioni, comprese quelle politiche, e soprattutto della possibilità ventilata di rivelazione dei codici alfanumerici che provvedono alla valutazione, manipolazione e distorsione dei dati, ha scatenato l’allarme isterico dei detentori della verità e dei principi democratici e prosaico dei detentori degli enormi interessi economici legati al sistema comunicativo, alla pubblicità e alla gestione dei sistemi produttivi. Si è alzato un fuoco di sbarramento sia negli Stati Uniti che nella Unione Europea, la paladina che è riuscita a combinare acrobaticamente l’apologia moralistica della democrazia, con il lobbismo istituzionalizzato e la pedissequa fedeltà e subordinazione all’atlantismo. Un muro difficilmente valicabile e sgretolatile se non a prezzo di compromessi deleteri in mancanza di altre condizioni. Uno scontro difficilmente sostenibile da un impero economico già direttamente ed apertamente minacciato nelle sue attività cruciali, senza un equivalente movimento politico adeguatamente attrezzato. Del capitalismo e delle imprese capitalistiche conosciamo il carattere dirompente in alcune fasi, ma anche la loro sorprendente capacità di adattamento alle varie situazioni e alle varie contingenze politiche e socioeconomiche. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Comunicato di Donald J. Trump, 45° Presidente degli Stati Uniti

Sino ad ora abbiamo pubblicato posizioni ed analisi divergenti da quelle ufficiali dell’amministrazione statunitense espresse da analisti e giornalisti. Adesso è la volta di personaggi politici di primo piano, in grado di influenzare pesantemente il corso del dibattito e delle decisioni in un prossimo futuro. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Non ha senso che Russia e Ucraina non si mettano a sedere e non elaborino un accordo onorevole. Se non lo faranno presto, non resterà altro che morte, distruzione e carneficina. Questa è una guerra che non avrebbe dovuto mai scoppiare, ma è successo. La soluzione non può mai essere buona come sarebbe stata prima dell’inizio delle ostilità. Ma c’è una soluzione e dovrebbe essere trovata ora, non più tardi, quando tutti saranno MORTI!

Mario Draghi, la parabola di un funzionario_di Giuseppe Germinario

Per oltre un anno hanno invocato l’arrivo del redentore a rimedio dello sfacelo provocato con tanta buona volontà da Conte e dai suoi apostoli.

Il suo annuncio aveva sollevato gli animi dell’universo, o quasi, dei peccatori dal cuore fibrillante e penitente.

Il comun sentire suggeriva che il suo prestigio, le sue entrature nel ristretto mondo dei veri decisori avrebbero riportato all’istante il Bel Paese nel cerchio magico dei forgiatori dei destini del mondo; se non proprio tra i commensali, almeno nella stanza di servizio, quella adibita ai sussurri e alle suppliche con qualche fondata speranza di essere accolti.

Il suo avvento trionfale, la sua acclamazione simboleggiava la realizzazione sorprendente, quasi miracolistica, delle aspettative unanimi, ma sino all’attimo precedente discordanti. Un branco di animali rissosi ricondotti dal buon pastore docilmente all’ovile come pecorelle smarrite, pur con qualche bizza bonariamente tollerata per dar sfogo ad intemperanze e smarrimenti identitari. Persino le rade pecorelle rimaste fuori dal recinto a brucare in solitudine i cespugli selvatici non riescono a sfuggire all’attrazione, pronte a seguire sia pure a distanza l’itinerario tracciato dal guardiano.

Lo hanno ritenuto, ancora in parte lo ritengono, il Grande Timoniere in grado di riparare la nave e condurla nel porto più sicuro con tutti gli onori e qualche onere. Si sta rivelando rapidamente in realtà il timone dalla rotta rigidamente prestabilita dal timone automatico, guidato da un software nemmeno tanto sofisticato e flessibile; più prosaicamente una ruota da timone trafitta e bloccata nella direzione da una barra a prescindere dai flutti, dagli ostacoli e dalle correnti.

Sulle doti di coraggio ed intraprendenza del sedicente timoniere è sufficiente la narrazione espressa dalla immagine; non ci sarebbe molto altro di sostanziale da aggiungere.

Sul punto di arrivo della sua missione questa redazione non ha nutrito il minimo dubbio; altrettanto sulla rotta e gli strumenti che avrebbe utilizzato per raggiungerlo. Qualche spiraglio il sottoscritto, dimentico delle stilettate del buon Cossiga, aveva lasciato aperto sulla capacità e possibilità del capitano, o sedicente tale, di rappezzare la nave ed ammorbidire quantomeno le modalità di espressione della propria fedeltà.

Su questo al contrario Mario Draghi ha rivelato nei vari ambiti, piuttosto, i limiti e gli impacci propri di un grigio travèt piuttosto che la sagacia e l’intraprendenza di un condottiero.

Osserviamo nel più ampio spettro possibile le modalità, le finalità e gli strumenti di azione adottati dal nostro in questi quattordici mesi di governo.

Nelle dinamiche geopolitiche europee Mario Draghi è una delle pedine, nemmeno la più importante, certamente una delle più solerti, che deve assolvere al compito di neutralizzare e ricondurre al verbo atlantista le pulsioni autonome, per quanto timide e dettate dalla situazione politica interna piuttosto che dalle ambizioni del ceto politico al governo, di Francia e Germania; deve inoltre coordinare e guidare in questo senso l’azione dei paesi mediterranei, in particolare di Portogallo, Spagna e Grecia. La recente conferenza congiunta con questi paesi mediterranei e la fretta con la quale si vorrebbe giungere alla costituzione dell’esercito europeo, a prescindere dalla costruzione di un complesso industriale, logistico e di comunicazione militare adeguati sono l’indizio di questa intenzione. In questo Mario Draghi, di suo, ha contribuito ad accentuare lo straniamento dell’Italia dalle vicende della Libia, così cruciali per il nostro paese; ha azzerato ogni ruolo di possibile mediazione nel conflitto russo-ucraino esponendosi platealmente più di altri europei, in compagnia di paesi baltici, Svezia, Polonia e Gran Bretagna, il pieno e fattivo sostegno al governo dell’attore nel pieno delle sue funzioni, Zelensky. Analogo fervore e coerenza ha dimostrato nell’applicare la politica di sanzioni alla Russia, in questo superando nella solerzia addirittura Stati Uniti e Gran Bretagna in diversi ambiti; ha rivelato il proprio zelo rusticano, in questo assecondato egregiamente dal valletto Giggino e dal curiale Enrico, apostrofando fuori tempo massimo Erdogan e continuando nella fustigazione personale di Putin. Ha ricevuto in cambio il riconoscimento di Zelensky a che l’Italia sieda in buona compagnia con i peggiori fomentatori al tavolo come garante della futura neutralità ucraina. Un riconoscimento che sa di polpetta avvelenata in caso di accordo solo parziale con i russi sulle nuove frontiere e sullo status ucraino; comunque l’ennesimo impegno dell’Italia in uno scacchiere lontano dai suoi effettivi interessi strategici. Lo ha attraversato sorprendentemente un piccolo sussulto, chiedendo sommessamente ai propri superiori considerazione per la particolare dipendenza del paese dal gas e dal petrolio russi. Una preghiera durata il lasso di un respiro; giusto il tempo di un paio di articoli minatori di richiamo personale apparsi sulla stampa americana. Per il resto Supermario ci sta abituando soavemente e surrettiziamente, con gelida nonchalance, all’inevitabilità di un conflitto armato con la Russia o in alternativa di una politica sanzionatoria foriera di austerità e soprattutto di drammatico dissesto economico e sociale di un paese già colpito dalla furia catastrofista che ha pervaso la crisi pandemica e l’approccio ambientalista.

Ben inteso il nostro ha saputo servire il calice amaro con argomenti insolitamente “sovranisti” per un uomo nutrito di valori agli antipodi. Sulle scelte energetiche ha riesumato il termine di “indipendenza”, ma solo per specificare che trattasi di indipendenza dalla Russia ed omettere il fatto che si arriverebbe in realtà a dipendere ulteriormente da una cerchia più ristretta di fornitori altrettanto e più rapaci, a cominciare dagli Stati Uniti; ha ripescato il termine diversificazione, un ossimoro per un globalista di tal fatta, quando in realtà l’eliminazione di un fornitore così importante conduce sulla strada opposta e per di più pescando in aree geopolitiche particolarmente instabili nelle quali l’Italia per altro riveste un ruolo del tutto insignificante.

I recenti viaggi in Algeria e in altri due paesi africani sono poco più di una cortina fumogena tesa a nascondere l’inattendibilità delle quantità di forniture promesse, per altro ridotte rispetto al fabbisogno nazionale e la divaricazione dei tempi rispetto all’urgenza imposta dalla propria sudditanza geopolitica agli statunitensi. L’Algeria, come è noto, paese per altro instabile politicamente, dispone di riserve in via di esaurimento rispetto alle potenzialità di altri paesi e soprattutto contese da numerosi concorrenti altrettanto assetati e meglio bardati. Riguardo alle forniture di GLN è sufficiente lanciare uno sguardo distratto sui costi esorbitanti di estrazione e di gestione delle infrastrutture di trasporto ed immissione per farsi un idea del dissesto a cui stiamo andando rapidamente incontro. Se a questo si aggiunge il furore dogmatico con il quale si è puntato sulla produzione di energia da fonti rinnovabili con tecnologie ancora sperimentali, comunque in buona misura inquinanti e non in grado di garantire continuità di fornitura e sostituibilità significativa delle fonti fossili, ecco che la strada verso il dissesto e la decrescita infelice è ormai ripida ed inarrestabile ovviamente coperta dall’aura della fedeltà europeista e del miraggio di un mondo bucolico scevro da fonti fossili e da energia nucleare della quale l’Italia deteneva sino a pochi decenni fa ottime capacità tecnologiche. Non solo ripida ed inarrestabile, anche di fatto irreversibile, almeno per lunghi lustri, data la mole e i tempi di attuazione richiesti dagli investimenti per dirottare i flussi verso sbocchi alternativi.

Come al solito, per leggere correttamente i termini della questione posti in Italia, bisogna curiosare sulla stampa e negli ambienti diplomatici all’estero. Nella fattispecie ci ha pensato l’ineffabile Victoria Nuland, rediviva sottosegretaria di stato statunitense, da sempre impegnata a fomentare il bellicismo e a coltivare i propri affari in Ucraina, a mettere nero su bianco i puntini sulle “i”. Raccomandiamo i lettori di scrutare attentamente la sua recente intervista sul quotidiano greco ekathimerinhttp://italiaeilmondo.com/2022/04/17/victoria-nuland-in-k-si-al-gnl-no-agli-oleodotti-nel-mediterraneo/

disponibile su questo nostro link assieme ad altri articoli importanti sull’argomento, in particolare per quanto dice su “Eastmed”. Ne risulta in sintesi la assoluta irrilevanza e scontata accondiscendenza dell’Italia rispetto alle priorità statunitensi rivolte alla Turchia, alla Germania, all’Europa Orientale e Settentrionale, giunte sino all’estremo sacrificio economico e strutturale del nostro paese.

Lungi dal porgere il petto in nome dell’interesse nazionale, il nostro se l’è cavata con un laconico ed inquietante “se ne può discutere”.

Tutto sommato, però, visti gli antefatti e il suo passato, in questi ambiti non ci si sarebbe potuto aspettare niente di diverso da quest’uomo, se non qualche asprezza ed qualche impaccio di troppo.

La vera sorpresa, mi si perdoni l’enfasi, riguarda e riguarderà ancor più in futuro i due piani operativi per i quali il nostro è stato invocato ed accolto trionfalmente: la gestione della crisi pandemica e la realizzazione del PNRR.

Una sorpresa particolarmente amara per il nostro paese e promettente per lui.

Segno che i destini di successo, gloria e riconoscenza personali non coincidono necessariamente con quelli del paese al quale presuntivamente si appartiene. Nella fattispecie tutto lascia intendere che siano inversamente proporzionali.

LA CRISI PANDEMICA

La conferma di personaggi a dir poco così improbabili, come il ministro Speranza e il commissario Arcuri, figli prediletti del cerchio magico, ormai decadente, direi penoso di Massimo Dalema, non lasciava presagire nulla di buono. La nomina del Generale Figliuolo è stato il vero colpo d’ala nella gestione della pandemia; ne ha rivelato nel tempo i limiti circoscritti e nel contempo indiscriminati dell’azione antipandemica rispetto ad altre finalità inconfessabili di manipolazione e controllo della società emerse via via in maniera sempre più evidente. Un baraccone costruito in realtà su un unico e rischioso obbiettivo, proprio per la sua unilateralità e preclusione di alternative ed interventi complementari: la vaccinazione di massa. Un rimedio dagli effetti annunciati miracolosi, in realtà solo parzialmente efficace. Una costruzione che in qualche maniera ha retto mediaticamente; che continuerà a reggere, anche se in maniera sempre più precaria, almeno sino a quando non saranno disponibili ed effettivamente di pubblico dominio i risultati esposti nelle 55.000 (cinquantacinquemila) pagine del documento appositamente prodotto dalla apposita Commissione, istituita ovviamente dal Congresso Americano.

Sta di fatto che la campagna vaccinale è riuscita soprattutto a nascondere l’incapacità e la aleatoria volontà di Governo e pubblica amministrazione ad agire selettivamente secondo categorie ed aree diversificate di rischio, con uno spettro ben più ampio di interventi seguendo un approccio multirischio più flessibile ed articolato, ma decisamente meno invasivo.

Ne abbiamo parlato e scritto più volte in questo sito sin dai primi giorni della crisi pandemica.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti e lo sarà ancora di più nel futuro prossimo: il dissesto e la precarizzazione di interi settori economici e intere categorie sociali; la gestione inquietante, manipolatoria e totalitaria dell’informazione e dei provvedimenti, strumentale ad altri fini di potere e controllo, così lesta ad essere attribuita e additata a paesi come la Cina, ma negletta in casa propria.

Da qui la vergognosa caccia all’untore, sostenuta e alimentata dall’intero sistema mediatico, ai danni di qualsiasi voce critica, a prescindere dalla fondatezza degli argomenti, le aperte e protratte discriminazioni tese a nascondere e a sopperire alla inefficacia e controproducenza di provvedimenti generalizzati di chiusura e limitazione e al prevedibile saccheggio di risorse del quale si incomincia ad intravedere ormai la reale dimensione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, almeno per chi vuol vedere. La stessa diffusione e patogenicità, letalità del virus non ha subito limitazioni rispetto a paesi dalle politiche più lassiste e flessibili.

Il sospetto, più che fondato, è che la crisi pandemica sia stata nel tempo l’occasione e il pretesto per sperimentare ed introdurre modalità e tecniche di manipolazione proprie di una condizione conflittuale e bellicista più generale e complessa, propria di una fase multipolare della quale gli Stati Uniti faticano e non intendono prendere atto. In questo contesto si inserisce ancora una volta l’azione specie mediatica, particolarmente maldestra, del nostro Supermario entro un baraccone mediatico parossistico, costruito con lo strepitìo di affermazioni e controaffermazioni dallo scarso fondamento scientifico e logico.

IL PNRR

Anche del PNRR abbiamo scritto con dovizia, almeno sino ad un anno fa. L’argomento avrebbe meritato ben altra attenzione nel tempo sia perché è stato il principale cavallo di battaglia che ha consentito l’ingresso di Mario Draghi nell’agone politico, sia per le grandi aspettative di sviluppo e riorganizzazione socioeconomica create ad arte intorno ad esso, sia per le finalità reali, ma celate, per le quali in realtà è stato rifilato, agognato e varato. Anche noi, purtroppo, a causa soprattutto della scarsità di forze disponibili, siamo caduti nella trappola della univocità dei temi imposti in questi ultimi due anni, nella fattispecie la crisi pandemica, dal quale è scaturito per altro il PNRR e la crisi poi del conflitto in Ucraina.

Dubbi perniciosi sulla effettiva efficacia del piano, almeno rispetto agli obbiettivi conclamati, iniziano ad insinuarsi anche in settori cruciali dell’establishment e dei centri amministrativi.

Altrettanto preoccupati, iniziano ad emergere giudici sulla organicità del piano, sulla definizione delle priorità e delle finalità, sull’approccio unilaterale che ignora i fattori multirischio che ne potrebbero inficiare l’esito, sulla capacità di realizzazione dei progetti da parte della macchina amministrativa, specie degli enti locali e sulla effettiva consistenza aggiuntiva dei fondi rispetto ai programmi di spesa di investimento previsti e non attuati in questi ultimi decenni.

Sono nodi dai quali il nostro Supermario riuscirà probabilmente a sfuggire, non sappiamo ancora con quale eleganza, visti i tempi di realizzazione previsti dal PNRR e vista la fretta sempre più evidente del nostro nel cercare gratificazioni alternative, possibilmenteal di fuori di questo “pauvre pays”; così povero, ma così irriconoscenteverso i propri geni.

Non è possibile in questo articolo ritornare analiticamente sulle varie parti del PNRR, né sono in grado al momento di affrontare nei dettagli le caratteristiche del piano.

È possibile comunque ribadire alcuni giudizi di fondo, già espressi per altro con più autorevolezza, ma con eccessiva cautela, da fonti ben più accreditate.

https://www.radioradicale.it/scheda/660186/pnrr-e-fondi-strutturali-2021-2027-il-paese-alla-prova-dellintegrazione-per-evitare-lo

https://www.radioradicale.it/scheda/661208/pnrr-scelte-di-sistema-per-la-ripartenza-scenari-e-valutazioni-sugli-strumenti

  • I fondi sono in gran parte sostitutivi di altri finanziamenti giacenti da tempo ed inutilizzati; la gran parte dei finanziamenti sono prestiti da restituire con una pesante ipoteca nel caso ad essi non dovesse corrispondere un sufficiente livello di sviluppo e crescita economica

  • i progetti, specie quelli propri degli enti locali, in gran parte sono riesumati

  • l’insieme dei progetti si sta rivelando una sommatoria avulsa da priorità, gerarchie, coordinamento ed inserimento in un progetto e modello di organizzazione sociale coerente ed efficace

  • la macchina tecnico-amministrativa, pur con gli interventi ventilati, non sembra in grado di formulare e seguire adeguatamente i progetti

  • manca esplicitamente quantomeno l’ambizione, esplicitata al contrario da Francia e Germania, di acquisire una capacità tecnologica autonoma, necessaria alla garanzia di acquisizione, protezione e manipolazione di dati e comandi indispensabili a gestire con sicurezza la circolazione dei flussi informatici e digitali. L’unico impegno riguarda l’intervento nella Pubblica Amministrazione e nella trasformazione digitale delle imprese in un quadro di indirizzo e controllo delle filiere determinato da altri, soprattutto da altri paesi

  • mancano progetti concreti consistenti di formazione di piattaforme industriali che integrino le attività di ricerca pura, applicata e di finalizzazione del prodotto senza i quali l’attività di ricerca in Italia, pur asfittica, anche se in realtà più significativa nella realtà chiusa delle piccole aziende di quanto mostrino i dati ufficiali, tende assumersi più i rischi che le potenzialità di realizzazione di profitto e sviluppo

  • mancano consistenti risorse finanziarie nazionali indispensabili, tali da curare specifici ambiti produttivi ed organizzativi e da aggirare i vincoli e le limitazioni al varo di nuove iniziative imposti dalle normative europee in materia di concorrenza

Ci sarebbero altri aspetti importanti da segnalare.

Sta di fatto che l’inerzia del processo di attuazione del piano tenderà a realizzare soprattutto alcuni progetti di entità strategica come la logistica e la rete di dati a danno di altri, secondo una logica per così dire apparentemente neutra, la quale porterà ad accentuare in realtà, in assenza di pesanti correttivi, ulteriormente i processi di polarizzazione della struttura socioeconomica europea e di periferizzazione ulteriore della struttura industriale italiana piuttosto che ad un riequilibrio delle dinamiche. Non solo! Ancora più importante, ad assecondare quei progetti logistici più compatibili con le strategie di integrazione militare della NATO e americane.

Una tematica ben presente da sempre in numerose sedi europee, ma quasi del tutto assente ancora in Italia. In perfetta linea purtroppo con la retorica ed il lirismo legato al tema del mancato utilizzo dei fondi strutturali piuttosto che ad un esame disincantato della loro funzione.

Non è il solo aspetto critico del piano.

Ne rimane un altro a segnare la continuità storica di ogni ambizione di riforma dello Stato e dei suoi apparati con precedenti nefasti.

La logica emergenziale, insita anche nel PNRR, che ha portato regolarmente alla creazione di apparati e centri di potere, inizialmente destinati a trasformare, coordinare e sostituire i precedenti e che in realtà si sono sovrapposti e sono entrati in competizione con essi sino ad arrivare e probabilmente a peggiorare in futuro il disordine istituzionale ed amministrativo e la competizione distruttiva e paralizzante tra centri di potere, sempre più spesso dipendenti e diretti da centri esterni.

Un disordine al quale la fede tecnocratica e positivista sulle magnifiche sorti e progressive delle nuove tecnologie difficilmente riuscirà a porre rimedio. Di esempi ne abbiamo ormai visti a iosa.

Il PNRR rappresenta solo l’ultimo strumento, l’occasione giusta al momento giusto, per rafforzare ulteriormente il processo di integrazione e subordinazione della formazione sociale ed economica italiana attraverso vincoli e dinamiche naturali e difficilmente reversibili al quale si sono prestate di buon grado quasi tutte le forze politiche e i gruppi di interessi ansiosi di partecipare ai frutti tanto attraenti nell’immediato, quanto tossici per la società nel futuro, di quel banchetto.

Frutti, per altro, già messi in forse dalle conseguenze destabilizzanti dell’attuale crisi geopolitica.

Attribuire a Mario Draghi la responsabilità esclusiva di tutto questo sarebbe fuorviante e ingeneroso. Una sopravvalutazione, soprattutto, del valore della persona.

Sono processi innescati ormai da oltre quarant’anni e culminati, nella prima fase, con Tangentopoli, la dismissione di un apparato pubblico industriale per altro in netta decadenza nella sua gran parte e un degrado e la letterale sparizione delle capacità tecnico-amministrative legate alla soppressione repentina di agenzie ed apparati pubblici negli anni ‘90.

EPILOGO

Mario Draghi ha seguito questa onda, ne è stato tra i tanti, l’artefice importante sin dagli albori; ci ha costruito sopra una brillante carriera.

Non ha evidentemente concluso la sua opera.

Quello che sta succedendo alla Tim-Telecom, con la possibile conciliazione e spartizione tra americani e francesi, alle Alleanze Generali, nella strategica industria di base italiana, a cominciare dall’acciaio, sono il compimento di questo processo drammatico e nefasto per il paese.

La legge sulla concorrenza dovrebbe essere infine la cornice adeguata per assecondare organicamente queste scelte e il compimento dell’opera.

A guardare gli ultimi documenti significativi prodotti dal Governo, in particolare il DEF e le note al DEF, colpisce l’assordante silenzio in materia di intervento e politiche attive di intervento nell’industria, di obbiettivi di ricostruzione consapevole delle filiere interrotte ed incrinate dalla crisi della globalizzazione, almeno nelle forme sin qui conosciute, di gestione in prima persona almeno di parte delle dinamiche fondamentali.

Una sequela di incentivi generali e di interventi assistenziali dal carattere meramente redistributivo, teso ad accontentare questuanti e ceto politico di bassa lega, ma che dissangueranno ulteriormente il paese e lo distoglieranno dalle questioni cruciali che si stanno affrontando in modo succedaneo e truffaldino.

La stessa protrazione di provvedimenti, quali l’agevolazione del 110% negli interventi di edilizia residenziale rappresentano una distorsione gigantesca in un settore complementare, ma cruciale, tale da saturare e distorcere l’offerta lavorativa ed imprenditoriale, determinare una levitazione enorme dei prezzi di fatto a carico dello Stato per il momento e dei privati nel futuro prossimo e distorcere l’attività dell’intero settore, specie quello legato all’edilizia industriale.

La possibilità di un contraccolpo, quindi, molto difficilmente riassorbibile. Specie se concomitante con la crisi pandemica e con i riflessi della crisi geopolitica in atto.

Su questo si è inserito da par suo, ancora una volta, il contributofattivo e subdolo di Mario Draghi.

Tirando fuori il solito tema, fondato per la verità, ma creato dalla farraginosità e superficialità dei sistemi di controllo, della corruzione ha soppresso il fattore più significativo e positivo di quel provvedimento, assecondando presumibilmente le sollecitazioni discrete ma efficaci della Commissione Europea o di lobby particolari in essa presenti: la circolarità di quei titoli, di fatto una moneta locale.

Mario Draghi ha trovato una strada spianata davanti a sé, grazie anche alla complicità del sistema associazionistico e lobbistico.

Alcune, come Confindustria, istituzionalmente incapaci per la loro composizione, di affrontare e proporre indirizzi di sviluppo, conversione ed aquisizione di potenza di una formazione socio-politica. Altre, come le confederazioni sindacali, incapaci di affermare e confermare appunto il proprio ruolo confederale ed una visione politica di insieme, quantomeno tentata in tempi lontani, che potesse prospettare una forma di sviluppo e di coesione sociale tale da offrire alle rivendicazioni la forma di diritti e doveri compatibili con un determinato assetto produttivo e sociale coeso e dinamico piuttosto che la caratteristica di una difesa distributiva di tipo sempre più difensivo e corporativo del tutto sterile. Un aspettativa evidentemente illusoria con un gruppo dirigente sindacale sin troppo legato alla matrice progressista ed europeista dell’attuale ceto politico e ad una visione sterilmente movimentista abbagliata dalla suggestione compassionevole di masse informi, per altro politicamente inesistenti quanto facilmente manipolabili, piuttosto che dalla partecipazione cosciente dei settori più professionalizzati, antico reale nocciolo duro del passato glorioso dei sindacati e dei partiti di massa organizzati.

Non sappiamo se la piega presa dal paese abbia assunto una direzione definitiva; lo temiamo. In qualche maniera sappiamo cosa servirebbe, ma non siamo in grado, almeno per ora, di contribuire a produrne le condizioni.

Sarebbe già tanto far comprendere che la fortuna personale di un personaggio con un tale passato e di tal fatta non coincide con quella di un paese e della sua popolazione; ne è agli antipodi, ma è quello che vogliono farci credere.

Con le dovute cautele, prima se ne andrà, meglio sarà per la nazione.

Victoria Nuland in “K”: Sì al GNL, no agli oleodotti nel Mediterraneo

Qui sotto due illuminanti articoli, il primo una intervista di Victoria Nuland, assistente al Dipartimento di Stato statunitense, al quotidiano greco khatimerini, l’altra un articolo del quotidiano atlantico, corredato di numerosi link, particolarmente utili alla comprensione dei due testi. L’intervista, nella sua logica difetta di coerenza. Illustra chiaramente invece le intenzioni della attuale amministrazione americana, della quale la Nuland è una delle più importanti e famigerate figure, nell’attuale contesto europeo. Ci dice quali sono i principali punti e luoghi di attenzione americani e quale ruolo ed onere dovranno sobbarcarsi i paesi mediterranei, in particolare l’Italia. Mai come adesso siamo una espressione geografica ai loro occhi e il nostro Presidente del Consiglio, in questo assecondato dalla loquacità passata e dal silenzio altrettanto significativo presente del PdR, ne sta assecondando pienamente la condizione. Del resto conosciamo bene cosa apprezza del nostro paese e quanto ci si identifica. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Victoria Nuland in “K”: Sì al GNL, no agli oleodotti nel Mediterraneo

Le distanze chiare da EastMed o altre condutture ricevono tramite “K” il sub. Il segretario di Stato americano Victoria Nuland

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La fine degli scenari su EastMed o altri gasdotti nel Mediterraneo orientale con il supporto di Washington è stata lanciata dal segretario di Stato americano Victoria Nuland nell’intervista rilasciata ieri mattina a “K” , con sede ad Atene. La signora Nuland osserva che gli Stati Uniti favoriscono il trasporto di GNL , mentre include anche la Turchia nei paesi che coopereranno con Grecia, Israele, Egitto e Repubblica di Cipro in questo contesto più ampio. Infatti, stima che la regione possa diventare un motore energetico per il Nord Europa. Ha anche fatto ampiamente riferimento all’intenzione degli Stati Uniti di migliorare le sue relazioni strategiche con la Turchia, rilevando che nei suoi contatti ad Ankara si è reso conto che il governo Erdogan era consapevole delle sanzioni dell’UE. – Anche gli Stati Uniti contro la Russia possono essere sentiti lì. Inoltre, fa riferimento all’importanza di Alessandropoli e delle basi militari utilizzate dalle forze armate statunitensi in Grecia sia per garantire la sicurezza nella regione che per il trasferimento delle forze militari nell’Europa orientale e in Ucraina.

– Hai avuto molti contatti ad Atene. Qual è stato il messaggio che hai trasmesso? In che modo pensi che Atene potrebbe migliorare ulteriormente le capacità dell’Ucraina in ambito militare o di altro tipo? Discuteresti qualcosa di simile con i tuoi interlocutori ciprioti?

— Il motivo principale per cui sono venuto ad Atene è stato per ringraziarti per tutto ciò che facciamo insieme. Devo dire che l’ultima volta che sono stato al governo ho fatto molti viaggi ad Atene e in quel momento era per aiutare la Grecia a ottenere l’aiuto internazionale di cui aveva bisogno per riprendersi. Tempi molto difficili. E ora vedo questo rapporto di sicurezza che abbiamo a tutti i livelli e tutto il lavoro che è stato fatto per costruire ciò che ora sta dando così tanti vantaggi, mentre cerchiamo collettivamente di porre fine a questa violenta guerra in Ucraina. E il ruolo che la Grecia svolge nell’Europa sudorientale come fornitore di servizi di sicurezza per aiutare l’Ucraina è stato eccellente. E in secondo luogo, il fatto che abbiamo lavorato molto nel corso degli anni per diversificare le nostre fonti di energia: il gasdotto TAP e l’interconnessione con la Bulgaria e ora il terminale galleggiante di gas naturale liquefatto (GNL) ad Alexandroupolis. Ciò consente alla Grecia di essere un hub energetico non solo per le proprie esigenze, ma per l’intera Europa sudorientale, in un momento in cui tutti in tutta l’UE, anche in Turchia, capiscono che investire nel petrolio e nel gas russi è una cattiva idea. Pertanto, la Grecia non solo offre opzioni per tutti, ma hai davvero l’opportunità di essere parte della soluzione per il futuro. in un momento in cui tutti in tutta l’UE, anche in Turchia, capiscono che investire nel petrolio e nel gas russi è una cattiva idea. Pertanto, la Grecia non solo offre opzioni per tutti, ma hai davvero l’opportunità di essere parte della soluzione per il futuro. in un momento in cui tutti in tutta l’UE, anche in Turchia, capiscono che investire nel petrolio e nel gas russi è una cattiva idea. Pertanto, la Grecia non solo offre opzioni per tutti, ma hai davvero l’opportunità di essere parte della soluzione per il futuro.

– Hai discusso di progetti energetici specifici?

Ci stiamo allontanando da un pesante gasdotto sul fondo del mare che sarà molto costoso e richiederà dieci anni per essere costruito. Tutti hanno bisogno di energia ora.

– Sì. Ho avuto l’opportunità di partecipare per un po’ all’incontro tripartito che il ministro Dendias ha avuto con il ministro degli Esteri Lapid e il ministro degli Esteri Kasoulides. Come sapete, sosteniamo il tripartito e il “3 + 1” con gli Stati Uniti e molte di queste discussioni riguardavano le opzioni energetiche. Quindi più GNL, più cavi elettrici tra i paesi. Penso che la parte da cui ci stiamo allontanando ora è questo oleodotto dal fondale marino pesante che sarà molto costoso e richiederà dieci anni per essere costruito. Tutti hanno bisogno di energia ora. Hanno bisogno di gas, hanno bisogno di elettricità. Ecco perché ora stiamo rivolgendo la nostra attenzione al GNL, a questi cavi di alimentazione, ecc., e capisco che noi tre abbiamo avuto una buona discussione su queste cose. Siamo disposti a essere di supporto. Direi che anche nel contesto della nostra visita ad Ankara lunedì, capiscono che ora dipendono molto dal petrolio e dal gas russi. Quindi vediamo reali opportunità per l’energia di essere un guaritore e un fattore di collegamento in questa parte del mondo.

Intendi dire che lo schema “3+1” ma anche la Turchia potrebbero essere parte di un più ampio dibattito sull’introduzione del gas del Mediterraneo orientale nei mercati europei? Quindi lo scenario di base è il GNL e non i gasdotti? È difficile costruire EastMed, ma è anche molto difficile costruire un gasdotto da Israele alla Turchia…

– Non dobbiamo aspettare dieci anni e spendere miliardi di dollari per queste cose. Dobbiamo trasportare il gas ora. E dobbiamo usare il gas oggi come transizione verso un futuro più verde. Tra dieci anni non vogliamo un gasdotto. Tra dieci anni vogliamo essere verdi. Ma in questo momento abbiamo bisogno di benzina. Quindi dobbiamo usare il GNL e dobbiamo usare connessioni elettriche che possiamo fare più velocemente. E la Grecia è un pioniere in tutto questo. E questo è importante.

– C’è un dibattito pubblico in Grecia che Ankara sta giocando da entrambe le parti. Non partecipa alle sanzioni contro la Russia, ma cerca di facilitare i colloqui tra Ucraina e Russia. Credi che la posizione di Ankara in questo momento sia giusta? E pensi che alla fine la Turchia dovrebbe far parte delle sanzioni?

– Penso che il fatto che il presidente Erdogan abbia avuto un rapporto efficace con il presidente Putin e un rapporto efficace con il presidente Zelensky sia stato importante affinché la Turchia potesse creare un rifugio sicuro per la diplomazia. E se questa guerra deve finire, abbiamo bisogno di una soluzione diplomatica alla fine della giornata. Quindi è positivo che possano incontrarsi ad Antalya e continuare a parlare. Ovviamente sarebbe meglio se Putin facesse ciò che deve accadere, ovvero un cessate il fuoco. È anche molto importante che la Grecia fornisca sostegno alla sicurezza all’Ucraina, molto generosamente, molto rapidamente, molto efficacemente, ma la Turchia ha fatto lo stesso. La Turchia è anche un fornitore di sicurezza con alcune tecnologie molto elevate e armi importanti che erano efficaci. Le tue armi sono state efficaci per l’Ucraina sul campo di battaglia e hanno contribuito a fare la differenza, ma anche la Turchia. Perché onestamente questa guerra non finirà finché Putin non si renderà conto che per lui è stato un fallimento strategico e che non può sconfiggere l’Ucraina con il suo esercito. Penso che geostrategicamente per tutti gli alleati della NATO, per la Grecia, per la Turchia, per gli Stati Uniti, la nostra priorità indiscussa ora sia porre fine a questa guerra. Quindi entrambi sono importanti. La Turchia ha particolari vulnerabilità derivanti dal suo coinvolgimento in Siria. Ma anche per la sua maggiore dipendenza dall’energia russa. Ma la mia sensazione dalla mia presenza lunedì (in Turchia) era che capissero l’impatto delle sanzioni dell’UE. e anche le sanzioni statunitensi hanno un impatto lì. C’è la sensazione che non possano permettersi di diventare un luogo in cui la Russia può evitare le sanzioni. E ne abbiamo parlato bene. Ma la cosa più importante è porre fine a questa guerra. Inoltre, cogliamo l’occasione per essere strategicamente nello stesso posto per vedere se possiamo costruirci sopra per normalizzare le relazioni.

Vedo un’opportunità per la questione di Cipro

– I colloqui sull’energia possono mitigare gli sviluppi ed eventualmente portare a nuove discussioni sulla questione cipriota? Hai visitato Ankara, Atene, poi Nicosia…

– Sono interessato a ciò che le persone a Nicosia hanno da dire su questi problemi. Personalmente vedo un’opportunità. Si tratta sempre di cercare di raggiungere un accordo di pace per garantire una federazione bicomunale e, successivamente, lo sfruttamento dell’energia. Dobbiamo vedere se questo è l’ordine giusto, ma in ogni caso l’intero vicinato ha bisogno di energia, e questa parte del mondo può essere anche un motore energetico per il Nord Europa. E vedete quanto velocemente dobbiamo compiere questa transizione lontano dalla Russia. Perché è un fornitore inaffidabile ed è anche un partner immorale, come si vede.

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“Il fatto che abbiamo una relazione di difesa con la Grecia completamente diversa, più ricca e più profonda rispetto a quella di pochi anni fa ha cambiato non solo ciò che possiamo fare insieme, ma anche la capacità della Grecia di diventare un fornitore di sicurezza in tutto il “sud-est Europa”, dice la signora Nuland a Vassilis Nedos.

Alexandroupoli e Volos offrono opportunità di sicurezza nell’area

– Vedreste un approfondimento della cooperazione attraverso MDCA? Ci sono tutte queste località, Alexandroupoli, Souda, Andravida, ma anche discussioni per un’ulteriore cooperazione nelle attrezzature. Ne hai parlato?

– Assolutamente. Il fatto che abbiamo una relazione di difesa con la Grecia completamente diversa, più ricca e più profonda rispetto a quella di pochi anni fa ha cambiato non solo ciò che possiamo fare insieme, ma anche la capacità della Grecia di diventare un fornitore di sicurezza in tutto il sud-est Europa. Senza questa relazione, potremmo ricevere più supporto alla sicurezza in Ucraina, letteralmente entro due giorni dalla richiesta di Zelensky? Potremmo trasferire parte dell’attrezzatura che gli Stati Uniti avevano qui in Ucraina? Avremmo il quadro delle informazioni di cui avevamo bisogno per capire cosa avrebbe fatto Putin e prepararci? Ma questo non è tutto. Questo è l'”Harry S. Truman” che può raggiungere l’ingresso del Mar Nero. Il fatto che Alexandroupolis e Volos e tutte queste località ci diano l’opportunità di fornire sicurezza non solo agli Stati Uniti e alla Grecia, ma a tutti gli alleati della NATO in quest’area. E ieri abbiamo parlato del fatto che ora che la Grecia ha compiuto la transizione per essere un esportatore di sicurezza all’interno dell’Ucraina, ci sono altre opportunità per fare le cose insieme. Stimolerai di nuovo un’attività di costruzione navale qui. Possiamo fare di più per garantire la sicurezza costiera in Africa e in altre parti del mondo. Quindi penso che ci siano enormi opportunità…

– Perché gli europei non hanno creduto a ciò che gli Stati Uniti avevano previsto nei mesi precedenti l’invasione russa dell’Ucraina?

– Cominciamo col stimare che anche gli ucraini fino a pochi giorni prima della guerra non riuscivano a capirlo bene. Forse non volevano credere che un vicino fosse capace di questa invasione non provocata e feroce. Putin ha anche mentito direttamente a tutti noi. Anche mente alla sua stessa gente, ai suoi soldati. Questi poveri ragazzi di 18-20 anni, che erano in Bielorussia pensando di fare un esercitazione e si sono trovati a Kharkov, dovrebbero essere trattati non come liberatori, ma come nemici. In effetti, i servizi di intelligence statunitensi erano eccellenti e dettagliati. E non siamo sempre in grado di condividere tanti dettagli come questa volta. Ma i nostri partner erano scettici. Non siamo contenti di aver avuto ragione. Ma penso che il rapporto di intelligence che abbiamo come alleati della NATO che siamo tutti con l’Ucraina ora, ci ha insegnato qualcosa. Che è qualcosa di prezioso e che dobbiamo costruirlo e rafforzarlo, perché purtroppo questa potrebbe non essere l’ultima cosa negativa che vediamo dagli autoritari, poiché cercheranno di cambiare le regole che le nostre democrazie hanno costruito.

https://www.kathimerini.gr/politics/561797341/synenteyxi-viktoria-noylant-stin-k-nai-se-lng-ochi-se-agogoys-sti-mesogeio/

https://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/fame-di-gas-ma-biden-affossa-di-nuovo-eastmed-un-vagone-di-regali-per-erdogan/

Censori, brava gente_di Giuseppe Germinario

Qui sotto la lettera, a firma del Team Manager di Google Ad, indirizzata agli editori con la quale si comunica il taglio degli introiti pubblicitari a coloro i quali affermano e denunciano, tra le altre cose, “che l’Ucraina stia commettendo genocidio o deliberatamente attaccando i propri cittadini”.

 

 

Qui sotto la traduzione del testo originale:

Gentile Editore,

a causa della guerra in Ucraina, sospenderemo la monetizzazione dei contenuti che sfruttano, minimizzano o giustificano la guerra.

Si prenda nota che abbiamo già agito contro affermazioni relative alla guerra in Ucraina quando violavano politiche già in vigore (per esempio, la Dangerous or Derogatory Content Policy proibisce di monetizzare contenuti che incitino alla violenza o neghi eventi tragici). Questo aggiornamento intende chiarire, e in certi casi estendere, le nostre linee guida per gli editori per quanto attiene a questo conflitto.

Questa sospensione include, ma non è limitata, ad affermazioni implicanti che le vittime siano responsabili per la loro tragedia o analoghi casi di incolpazione delle vittime, quali affermazioni che l’Ucraina stia commettendo genocidio o deliberatamente attaccando i propri cittadini.

Alla prossima,

The Google Ad Manager Team

 

 

Per essere chiari, non è un provvedimento che ci tocca particolarmente. Da due anni abbiamo chiuso gli spazi pubblicitari perché abbiamo scoperto di godere di attenzioni particolari, compreso tra l’altro un algoritmo dedicato, da parte dei gestori dei flussi di dati a vari livelli, tali da inibire e scoraggiare l’accesso ai motori di ricerca, alterare i dati di accesso con evidenti riflessi sia sulla potenziale che reale diffusione del sito, che ovviamente sugli introiti. Per dare un idea dell’andazzo, questo sito ha avuto punte reali anche di 150.000/250.000 accessi, vedendosi riconosciuti introiti al massimo tra i dieci e i quindici euri mensili. Sappiamo comunque di non essere i soli.

Abbiamo scelto al momento di soprassedere al danno economico, sia perché il contrasto a questa manipolazione è possibile, ma comporterebbe un costo economico rilevante ed insostenibile per l’attuale redazione; sia perché i tempi per un eventuale importante investimento economico non sono maturi. Non lo sono almeno sino a quando la pletora di analisti, opinionisti ed intellettuali, per quanto parte di essi acuti ed intelligenti, non comprenderanno che il confronto culturale, necessario ed indispensabile alla formazione di una nuova classe dirigente, sia pure con modalità peculiari è parte integrante di un sempre più acceso conflitto politico da affrontare e del quale far parte superando il narcisismo autoreferenziale e la convinzione della efficacia intrinseca “della forza delle idee”. Sino a quando non si comprenderà che l’agone e il conflitto politico non può riguardare unicamente e genericamente la gente, le classi sociali, gli strati sociali come soggetti e la scadenza elettorale come ambito fondamentale; ma deve avere come obbiettivo altrettanto fondamentale la sensibilizzazione, la conquista e la protezione di élites, centri decisori e parti di classe dirigente i quali operano sotto traccia diffusamente o tacciono cautamente, emergono regolarmente anche diffusamente qua e là, specie nelle situazioni di crisi come l’attuale, ma che regolarmente non trovano la necessaria copertura politica tale da poter esporsi ed agire efficacemente.

In Italia, con la fine dei partiti politici di massa strutturati, è una considerazione, patrimonio ormai dissolto, presente teoricamente in pochi individui ed intellettuali, ma concretamente utilizzato da un numero ancor più insignificante di persone, specie tra intellettuali e politici.

Questa lettera ci rivela solo in parte quali siano gli strumenti di controllo e manipolazione dell’informazione nelle società “democratiche-liberali”.

Non solo!

Come ogni testo ed espressione umana, quella lettera esprime un dato assertivo facilmente intelligibile, ma anche un “non detto” espressione di “un mondo vitale”, come direbbe Habermas, ancora più significativo.

Quella lettera urla a chi vuol sentire che il team manager, come pure il sistema mediatico, come pure i politici di rango, come pure i centri decisori, sanno benissimo come si è arrivati al conflitto russo-ucraino e NATO-Russia. Sanno benissimo cosa sta succedendo sul terreno in Ucraina. Sanno benissimo cosa stanno combinando le bande militari oltranziste e naziste ucraine ai danni non solo dei militari russi, il che potrebbe anche essere comprensibile, ma non giustificabile, ma anche ai danni della propria popolazione in quell’area specifica del paese. Fingono di non saperlo, perché sono disponibili, ma volutamente censurati, innumerevoli filmati delle vessazioni messe in atto oggi e da anni.

Sanno benissimo, lo affermano, che quelle bande elettoralmente rappresentano molto meno del 10% della popolazione; omettono però il fatto che politicamente sono in grado di infiltrarsi nei centri di comando e di controllo degli apparati ucraini e riescono a condizionare, minacciare e ricattare pesantemente anche i politici a loro estranei. Nell’esercito e negli apparati securitari esercitano la funzione di veri propri commissari politici armati tesi a garantire ed imporre con i mezzi anche i più “disinvolti” la disciplina, l’obbedienza e la copertura propagandistica. Come spiegare altrimenti, tra i tanti atti repressivi, la messa fuori legge del partito filorusso, maggioritario prima del colpo di stato del 2014, pur sempre il secondo partito nell’ultimo turno elettorale a dispetto dell’esodo e della separazione di buona parte della popolazione russofona e filorussa avvenuta in questi anni. Per inciso, una delle foto del massacro di Bucha, grazie alla fascia bianca sul braccio, rivela involontariamente che la vittima, se reale, è un filorusso. 

A pensarci bene non è però il carattere nazifascista di quella componente ad essere dirimente in quel contesto, giacché il carattere di resistenza che si vuole attribuire alla reazione all’intervento militare russo farebbe cadere in second’ordine la matrice politica dei resistenti. Non lo è dirimente per noi; lo dovrebbe essere, per inciso, per i portabandiera dell’antifascismo senza fascismo che trionfano in Italia e più in generale nel mondo del politicamente corretto e del dirittoumanitarismo. Varrebbe piuttosto considerare il carattere scellerato di una classe dirigente, simile ad una satrapia, incapace di definire un interesse nazionale comprensivo dell’intera popolazione ucraina e della collocazione geografica e geopolitica di quel paese e per questo totalmente dipendente e strumentalizzata dai disegni oltranzisti statunitensi.

Il problema vero è che quei gruppi neonazisti, nella loro brutalità e nel loro furore ideologico, nella loro ambizione di preservare l’integrità territoriale dell’Ucraina ed eventualmente allargarla prescindono dalla popolazione che vi abita da secoli, sino ad annichilirla, perseguitarla ed eliminarla. Si tratta, per inciso, non solo di quella russa, ma anche di quella ungherese e polacca. Divengono quindi un puro strumento, per altro ben foraggiato dalla gran parte delle decine di miliardi di dollari sin qui elargiti, di interessi esterni, direttamente agli ordini di centri decisori esterni. Un modo a dir poco distorto di difendere ed affermare l’interesse nazionale di un paese. Giuseppe Germinario

Stati Uniti, Ucraina e il punto di rottura_con Gianfranco Campa

Joe Biden e lo staff presidenziale, se non il momento di sintesi, avrebbero quantomeno dovuto essere il punto di mediazione del coacervo di interessi e di indirizzi politici in grado di sconfiggere con qualsiasi mezzo Trump ed imporre la conduzione di una linea politica che ristabilisse all’interno il pieno controllo del paese senza modificarne sostanzialmente gli equilibri, sarebbe meglio dire gli squilibri politico-sociali e all’esterno il predominio statunitense unipolare o tutt’al più bipolare, ma con una Cina appesa al processo di globalizzazione da essi disegnato. L’impresa era di per sè ardua ed improbabile; la vivacità e distruttività dello scontro politico interno ne hanno reso la conduzione talmente oscillante ed inaffidabile sino a suscitare la diffidenza e l’ostilità persino nel complicato sistema di alleanze in divenire contro la Cina e la Russia, riuscendo a rafforzare un asse sino-russo ed un loro timido avvicinamento ad una pletora di paesi altrimenti in aperto o sordo conflitto sino ad un decennio fa. L’unica miserabile eccezione a questa volatilità rimangono i centri decisori dei paesi europei aggrappati a qualsiasi prezzo ad una parte dei centri decisori statunitensi, anche a costo di vedersi trascinati in una guerra come vittime designate. Una postura suicida che condannerà al dissesto intere nazioni e ad una sopravvivenza precaria le loro classi dirigenti. La evidente mediocrità dello staff presidenziale e i limiti fisici stessi di Joe Biden hanno trasformato in pochi mesi l’intera compagine in un vaso di coccio strattonato e stritolato da tendenze contrapposte. Il punto in comune di esse sono la russofobia; quello che li divide è il livello di conflittualità nei confronti della Cina. Una situazione aperta a svariati punti di arrivo ma pericolosissima ed esposta a colpi di mano imprevedibili. In questi spazi il movimento di Trump, pur tra mille limiti ed esposto ad operazioni trasformistiche, potrebbe trovare enormi praterie da percorrere con esiti altrettanto imprevedibili per gli Stati Uniti e di riflesso nel mondo. Joe Biden sarà la prima vittima designata, per meglio dire il caproespiatorio da sacrificare; Kamala Harris, nella sua vacuità, lo seguirà a ruota. Riemergono in lizza vecchie cariatidi e nuove figure dal futuro incerto. Nel frattempo l’offensiva russa in Ucraina si consolida e consegue i primi significativi successi; il battaglione Azov ha perso ormai i 3/4 dei suoi effettivi e l’intero comando abbattuto questo pomeriggio; il resto delle compagini neonaziste si avvicinano alla stessa fine, sperando che il resto dell’esercito ucraino riesca a separare da esse il proprio destino; la minaccia nucleare somiglia sempre meno ad un videogame. Ascoltate Gianfranco Campa! E’ una voce unica nel panorama italiano. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vz7y9f-usa-e-il-punto-di-rottura-con-gianfranco-campa.html

senza parole_a cura di Giuseppe Germinario

Il livello di considerazione ed autorevolezza di un presidente. Lo stesso cerchio magico che lo sostiene si sta sfaldando rovinosamente. Si contestualizza meglio anche l’improvviso ed impavido “atto di coraggio” dei leader europei in queste ore. A un ombra che si dilegua, potrebbe corrispondere una apparizione ancora più inquietante. Ne parleremo a breve con Gianfranco Campa_Giuseppe Germinario

Due discorsi dall’altra parte del fronte_a cura di Giuseppe Germinario

Il sistema mediatico ci sta offrendo l’integrale ed esclusivo punto di vista ucraino sull’andamento del conflitto. In realtà più che ucraino, è il punto di vista anglosassone e dell’Alleanza Atlantica teso a protrarre il più possibile la guerra con il sangue degli ucraini e dei russi e con le peggiori implicazioni per gli europei. Qui sotto un resoconto alternativo offerto dal sito http://thesaker.is/speech-of-the-head-of-the-main-operational-directorate-of-the-general-staff-of-the-armed-forces-of-the-russian-federation-colonel-general-sergei-rudskoy/?fbclid=IwAR04ts_xgBUKEHv0Z8bgnVoLzVSp978WW5xIr8atFwsBZBG_an7NcjK474A

NB_ il testo contiene numerosi errori di traduzione impossibili da correggere per la particolare formattazione del testo. Il senso della narrazione per altro non viene alterato. Giuseppe Germinario

Due discorsi: il colonnello generale Sergei Rudskoy e il colonnello generale Mikhail Mizintsev

https://telegra.ph/Speech-of-the-Head-of-the-Main-Operational-Directorate-of-the-General-Staff-of-the-Armed-Force-of-the-Russian-Federation- il-25-03
 

Discorso del Capo della Direzione Operativa Principale dello Stato Maggiore Generale delle Forze Armate della Federazione Russa Colonnello Generale Sergei Rudskoy

(Questo va letto con le precedenti dichiarazioni di questa mattina:  http://thesaker.is/briefing-by-the-russian-ministry-of-defence-on-the-current-results-of-the-special-military -operazione-in-ucraina/

In conformità con la decisione del comandante in capo supremo dal 24 febbraio di quest’anno. Le forze armate della Federazione Russa stanno conducendo un’operazione militare speciale.

Il suo obiettivo principale è fornire assistenza al popolo delle repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk, che da 8 anni subisce il genocidio del regime di Kiev.

Era impossibile raggiungere questo obiettivo con mezzi politici. Kiev ha pubblicamente rifiutato di attuare gli accordi di Minsk. La leadership ucraina due volte nel 2014 e nel 2015 ha cercato di risolvere il cosiddetto problema del Donbass con mezzi militari, è stata sconfitta, ma non ha cambiato i suoi piani sulla risoluzione dei conflitti con la forza nell’est del Paese. Secondo dati attendibili, le forze armate ucraine stavano completando la preparazione di un’operazione militare per prendere il controllo del territorio delle repubbliche popolari.

In queste condizioni, è stato possibile aiutare le repubbliche di Donetsk e Lugansk solo fornendo loro assistenza militare. Cosa che ha fatto la Russia.

C’erano due possibili linee d’azione.

Il primo è limitare il territorio ai soli DPR e LPR entro i confini amministrativi delle regioni di Donetsk e Lugansk, sancito dalle costituzioni delle repubbliche. Ma poi ci troveremmo di fronte a un’alimentazione costante da parte delle autorità ucraine del raggruppamento coinvolto nella cosiddetta operazione di forza congiunta.

Pertanto, è stata scelta la seconda opzione, che prevede azioni su tutto il territorio dell’Ucraina con l’attuazione di misure per la sua smilitarizzazione e denazificazione.

Il corso dell’operazione ha confermato la validità di tale decisione.

È condotto dallo Stato Maggiore in stretta conformità con il piano approvato.

I compiti sono svolti tenendo conto della minimizzazione delle perdite tra il personale e dei danni ai civili.

Con l’inizio di un’operazione militare speciale, nei primi due giorni fu conquistata la supremazia aerea.

Le azioni offensive delle forze armate della Federazione Russa vengono eseguite in varie direzioni.

Di conseguenza, le truppe russe hanno bloccato Kiev, Kharkov, Chernigov, Sumy e Nikolaev. Kherson e la maggior parte della regione di Zaporozhye sono sotto il pieno controllo.

Il pubblico e gli esperti individuali si chiedono cosa stiamo facendo nell’area delle città ucraine bloccate.

Queste azioni sono condotte con l’obiettivo di causare tali danni alle infrastrutture militari, alle attrezzature, al personale delle forze armate ucraine, i cui risultati consentono non solo di incatenare le loro forze e non danno loro l’opportunità di rafforzare il loro raggruppamento nel Donbass, ma non permetterà loro di farlo fino a quando l’esercito russo non libererà completamente i territori della DPR e della LPR.

Inizialmente, non avevamo in programma di assaltarli per prevenire la distruzione e ridurre al minimo le perdite tra il personale e i civili.

E sebbene non escludiamo tale possibilità, tuttavia, quando i singoli gruppi completano i loro compiti e vengono risolti con successo, le nostre forze e mezzi si concentreranno sulla cosa principale: la completa liberazione del Donbass.

Sono stati liberati anche importanti territori delle repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk. La milizia popolare ha preso il controllo di 276 insediamenti che in precedenza erano sotto il controllo dell’esercito ucraino e dei battaglioni nazionali.

La smilitarizzazione dell’Ucraina si ottiene sia con attacchi ad alta precisione contro infrastrutture militari, posizioni di formazioni e unità militari, aeroporti, punti di controllo, arsenali e magazzini di armi e attrezzature militari, sia con le azioni delle truppe per sconfiggere i raggruppamenti nemici avversari.

Attualmente, le forze aeree ucraine e il sistema di difesa aerea sono stati quasi completamente distrutti. Le forze navali del paese cessarono di esistere.

Furono sconfitti 16 principali aeroporti militari, dai quali furono effettuate sortite di combattimento dell’aviazione AFU. Sono state distrutte 39 basi di stoccaggio e arsenali, che contenevano fino al 70% di tutte le scorte di equipaggiamento militare, materiale e carburante, oltre a oltre 1 milione e 54 mila tonnellate di munizioni.

Tutte le 24 formazioni delle forze di terra esistenti prima dell’inizio dell’operazione hanno subito perdite significative. L’Ucraina non ha più riserve organizzate.

Le perdite vengono reintegrate a spese delle persone mobilitate e del personale delle forze di difesa territoriale che non hanno la formazione necessaria, il che aumenta il rischio di ingenti perdite.

Al momento dell’inizio dell’operazione militare speciale, le forze armate dell’Ucraina, insieme alla Guardia nazionale, contavano 260 mila 200 militari. Durante il mese delle ostilità, le loro perdite sono state di circa 30mila persone, di cui oltre 14mila – irrecuperabili e circa 16mila – sanitarie.

Dei 2.416 carri armati e altri veicoli corazzati da combattimento che erano in combattimento il 24 febbraio, 1.587 unità furono distrutte; 636 unità su 1.509 cannoni e mortai di artiglieria da campo; 163 su 535 MLRS; 112 su 152 aeromobili, 75 su 149 elicotteri; 36 UAV Bayraktar TB2 – 35;

180 dei 148 sistemi di difesa aerea S-300 e Buk M1; 300 su 117 radar per vari scopi.

L’AFU continua a usare armi ad alta potenza indiscriminatamente contro le città del Donbass. Un esempio di ciò sono gli attacchi del sistema missilistico Tochka-U sulla popolazione civile di Donetsk e Makeyevka.

In questo senso, sono gli obiettivi primari.

Ad oggi, 7 lanciatori Tochka-U sono stati distrutti e l’85% dei missili sono negli arsenali e nell’aria. Ciò ha limitato in modo significativo le capacità dell’Ucraina per il loro uso in combattimento.

Dall’inizio delle ostilità, i paesi occidentali hanno fornito al regime di Kiev 109 cannoni di artiglieria da campo, 3.800 armi anticarro, tra cui Javelin, Milan, Konkurs, NLAW ATGM, M-72, Panzerfaust-3, 897 Stinger e Igla MANPADS.

Consideriamo un grave errore per i paesi occidentali fornire armi a Kiev. Ciò ritarda il conflitto, aumenta il numero delle vittime e non sarà in grado di influenzare l’esito dell’operazione.

Il vero scopo di tali forniture non è sostenere l’Ucraina, ma trascinarla in un conflitto militare a lungo termine “fino all’ultimo ucraino”.

Stiamo monitorando da vicino le dichiarazioni della leadership militare e politica dei singoli paesi sulla loro intenzione di fornire aerei e sistemi di difesa aerea all’Ucraina. In caso di implementazione, non lo lasceremo senza attenzione.

Sentiamo anche rassicurazioni dai leader della NATO sulla non interferenza nel conflitto. Allo stesso tempo, alcuni Stati membri dell’Alleanza del Nord Atlantico propongono di chiudere lo spazio aereo sopra l’Ucraina. Vorrei attirare la vostra attenzione sul fatto che le forze armate della Federazione Russa risponderanno immediatamente di conseguenza a tali tentativi.

Al fine di prevenire il ripristino delle armi e dell’equipaggiamento militare dell’AFU che hanno subito danni da combattimento, le forze armate russe stanno disabilitando le imprese di riparazione, gli arsenali, le basi di stoccaggio, i magazzini logistici con armi di alta precisione.

Al momento, 30 imprese chiave del complesso militare-industriale sono state colpite dai missili da crociera X-101, Kalibr, Iskander e dal complesso aeronautico Kinzhal, che hanno effettuato riparazioni del 68% delle armi e delle attrezzature disabilitate durante le operazioni di combattimento.

Le moderne armi russe si sono dimostrate estremamente precise, affidabili e capaci di essere utilizzate in operazioni.

Vorrei sottolineare che le forze armate della Federazione Russa non colpiscono le infrastrutture civili, compresa la distruzione dei ponti sui fiumi.

127 ponti sono stati distrutti nell’area delle operazioni militari. Tutti loro furono fatti saltare in aria dai nazionalisti ucraini per scoraggiare l’avanzata delle nostre truppe.

Un altro esempio di incoscienza è l’estrazione di accessi ai porti di Odessa, Ochakov, Chernomorsk e Yuzhny, dove sono installate oltre 400 miniere di ancoraggio di tipo obsoleto.

Almeno 10 mine hanno rotto l’ancora e sono alla deriva nella parte occidentale del Mar Nero, che rappresenta una vera minaccia per le navi da guerra e le navi civili.

La criminalità dilagante, il saccheggio, il saccheggio e la morte di civili sono stati causati dalla massiccia distribuzione incontrollata da parte del regime ucraino di decine di migliaia di armi leggere alla popolazione civile, compresi i criminali rilasciati dalle carceri. La situazione peggiorerà solo in futuro.

Il corso delle ostilità, le testimonianze dei civili che hanno lasciato gli insediamenti bloccati e i militari ucraini catturati mostrano che oggi la capacità di resistenza dell’AFU si basa sul timore di rappresaglie da parte dei neonazisti. I loro rappresentanti sono incorporati in tutte le unità militari.

Il pilastro del regime di Kiev sono formazioni nazionaliste come Azov, Aidar, Right Sector e altre riconosciute in Russia come organizzazioni terroristiche. Nella sola Mariupol, comprendono più di 7mila militanti che combattono travestiti da civili, usandoli come “scudo umano”.

I militanti del battaglione Azov cacciano dalle cantine donne e bambini, minacciandoli con le armi, e li spediscono verso le unità avanzanti del DPR per ostacolare l’avanzata delle milizie popolari. Questa è diventata una pratica comune per loro.

Le forze armate della Federazione Russa, al contrario, cercano di evitare perdite inutili. Prima dell’inizio dell’offensiva, le unità dell’AFU sono invitate a lasciare l’area di combattimento e a spostarsi con equipaggiamento e armi fino al punto di dispiegamento permanente. Non resistere quando inizia l’offensiva ea chi depone le armi è garantita la sicurezza.

Si consiglia sempre ai civili catturati in una zona di guerra di rimanere nelle loro case.

In tutte le città vengono organizzati corridoi umanitari per far uscire la popolazione dall’area delle ostilità e anche la loro sicurezza viene mantenuta.

In tutte le città vengono creati corridoi umanitari per consentire alle persone di lasciare l’area in cui sono in corso i combattimenti e la loro sicurezza viene mantenuta.

Inoltre, su iniziativa della leadership ucraina, il paese è diventato la casa di 6.595 mercenari e terroristi stranieri provenienti da 62 stati.

Non sono soggetti alle regole della guerra e saranno distrutti senza pietà.

Oggi il numero di mercenari stranieri è in calo. Ciò è stato facilitato da attacchi di alta precisione alle loro basi e campi di addestramento. Il 13 marzo più di 200 militanti sono stati uccisi e più di 400 feriti a Starichi e solo nel campo di addestramento di Yavorovskii.

Noto che nessun mercenario straniero è arrivato in Ucraina negli ultimi sette giorni. Al contrario, c’è stato un deflusso. Entro una settimana, 285 combattenti sono fuggiti in Polonia, Ungheria e Romania, spero senza Stinger e Javelins.

L’esperienza precedente ha dimostrato che i sistemi di difesa aerea portatili (MANPADS) e gli ATGM si stanno diffondendo abbastanza rapidamente, insieme ai mercenari che tornano a casa.

In generale, i principali obiettivi della prima fase dell’operazione sono stati raggiunti. Le capacità di combattimento delle forze armate ucraine sono state notevolmente ridotte, il che ci consente, ancora una volta, di concentrare i nostri sforzi principali sul raggiungimento dell’obiettivo principale: la liberazione del Donbass.

In otto anni, nell’area della cosiddetta “operazione di forze congiunte”, è stata predisposta una cintura di difesa profondamente scaglionata e ben fortificata dal punto di vista ingegneristico, costituita da un sistema di strutture monolitiche in calcestruzzo a lungo termine.

A questo proposito, al fine di ridurre al minimo le vittime tra le truppe delle Forze armate della Federazione Russa, delle repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk, lo svolgimento delle operazioni offensive è preceduto da un pesante attacco di fuoco alle roccaforti del nemico e alle loro riserve.

All’inizio dell’operazione militare speciale, le milizie popolari LPR e DPR sono state affrontate da un gruppo di 59.300 persone comprendenti le unità più pronte al combattimento delle forze armate ucraine, della Guardia nazionale e delle formazioni nazionaliste.

Di conseguenza, le forze di sicurezza ucraine nella zona OOS hanno perso circa 16.000 persone, ovvero il 26% della loro forza totale al 24 febbraio di quest’anno.

Più di 7.000 di loro erano perdite irrecuperabili.

La sostituzione delle perdite viene impedita isolando il raggruppamento di truppe ucraine nel Donbass, assumendo il controllo delle stazioni ferroviarie e delle strade principali con la potenza di fuoco.

La fornitura di missili e munizioni, carburante e cibo alle forze ucraine è stata quasi completamente interrotta.

Sono stati colpiti i depositi sul campo di armi e munizioni missilistiche e di artiglieria, nonché di carburante situati direttamente nell’area dell’operazione delle forze congiunte. Ad oggi sono state distrutte 32 strutture, ovvero il 61% del totale.

Tutte le armi e l’equipaggiamento militare, anche di fabbricazione straniera, sequestrati dalle Forze armate della Federazione Russa durante l’operazione militare speciale vengono consegnati alle Repubbliche popolari. Sono già stati consegnati 113 carri armati e altri veicoli corazzati da combattimento, 138 Javelin e 67 lanciagranate NLAW e altre armi da trofeo.

Le unità della Milizia popolare della Repubblica popolare di Lugansk hanno liberato il 93% del territorio della repubblica.

Attualmente sono in corso combattimenti alla periferia di Severodonetsk e Lysychansk.

La Milizia Popolare della Repubblica Popolare di Donetsk controlla il 54% del territorio. La liberazione di Mariupol continua.

Unità delle forze armate russe insieme alla milizia popolare della Repubblica popolare di Donetsk stanno conducendo un’offensiva per liberare gli insediamenti a ovest di Donetsk.

Sfortunatamente, ci sono vittime tra i nostri compagni d’armi durante l’operazione militare speciale. Ad oggi, 1.351 militari sono stati uccisi e 3.825 feriti.

Tutte le soluzioni di sostegno alla famiglia saranno rilevate dallo Stato, educazione dei figli fino all’istruzione superiore, rimborso integrale dei prestiti, soluzioni abitative.

Riceviamo un gran numero di appelli di cittadini russi che desiderano prendere parte all’operazione militare speciale per liberare l’Ucraina dal nazismo.

Inoltre, più di 23.000 stranieri provenienti da 37 paesi hanno espresso la loro volontà di combattere a fianco delle repubbliche popolari. Abbiamo offerto alla leadership di LPR e DPR di accettare questa assistenza, ma hanno detto che avrebbero difeso la loro terra da soli.

Hanno abbastanza potere e risorse.

Le forze armate della Federazione Russa continueranno a condurre un’operazione militare speciale pianificata fino al completamento dei compiti stabiliti dal comandante in capo supremo.


Discorso del capo del Centro nazionale per il controllo della difesa della Federazione Russa, il colonnello generale Mikhail Mizintsev

L’operazione militare speciale in Ucraina con i suoi obiettivi e compiti corrispondenti è stata preceduta da un periodo di otto anni di un gravissimo disastro umanitario nel Donbass che ha causato oltre 6,5 milioni di persone vittime di violazioni dei diritti umani e ha causato la morte di oltre 14,5 mille persone. I bombardamenti quasi quotidiani effettuati dalle forze armate ucraine e dai battaglioni nazionalisti hanno causato la distruzione di 4.115 edifici infrastrutturali e 55.310 danneggiati, inclusi edifici residenziali, istituti scolastici, ospedali e molte altre strutture sociali.

In questi otto anni, il 19,5 per cento delle infrastrutture delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk è stato completamente distrutto e fino al 37 per cento è stato danneggiato dall’uso di armi pesanti provenienti dall’Ucraina.

Da aprile 2014 a febbraio 2022, 1.451.304 rifugiati sono stati sfollati solo nella Federazione Russa.

A causa di un rapido aggravamento della situazione e dell’aumento dell’intensità dei bombardamenti sul territorio del Donbass, solo dal 18 al 23 febbraio il numero dei profughi è aumentato rapidamente; in questi sei giorni il confine della Russia è stato attraversato da 106.946 persone.

Il resto della popolazione – 3.600.940 persone, compresi civili, per lo più anziani, bambini, donne e alcuni gruppi vulnerabili – ha continuato a essere bombardato ogni giorno, in scantinati privi di condizioni di vita basilari – senza acqua, riscaldamento, elettricità, cibo o medicinali.

Questo periodo paragonabile a due Grandi Guerre Patriottica 1941-1945 in termini di cronologia ha causato numerose vittime ogni giorno.

Nel frattempo, i paesi del cosiddetto Occidente “civilizzato”, guidato dagli Stati Uniti d’America, hanno deliberatamente taciuto su tutto questo, mostrando totale indifferenza per il destino di milioni di residenti delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk.

L’operazione militare speciale è iniziata nelle condizioni di questa gravissima crisi umanitaria.

Dal 4 marzo la Federazione Russa fornisce quotidianamente corridoi umanitari, esclusivamente per scopi umanitari, nelle direzioni di Kiev, Chernigov, Sumy, Kharkov e Mariupol, di cui un corridoio umanitario verso la Russia e un altro attraverso il controllo di Kiev territori verso i confini occidentali dell’Ucraina.

La parte ucraina non ha mai confermato un unico corridoio umanitario verso la Federazione Russa per l’intero periodo.

Allo stesso tempo, coordiniamo quotidianamente tutti i corridoi umanitari aggiuntivi proposti da Kiev.

Le forze armate russe osservano rigorosamente il cessate il fuoco su tutte le rotte, nonostante il fatto che ciò rallenti il ​​ritmo di condurre un’operazione militare speciale. Ma questo viene fatto esclusivamente nell’interesse di salvare i civili.

E da parte ucraina, continuano i bombardamenti sistematici di convogli umanitari e i tentativi di trasferire la responsabilità dei propri atti disumani su unità di truppe russe. Quindi, solo questa settimana, sono stati registrati 17 attacchi a civili che viaggiavano lungo i corridoi umanitari, compreso il cinico bombardamento di un convoglio di profughi di Mariupol.

Di fronte alla dura opposizione delle autorità ufficiali dell’Ucraina, dall’inizio dell’operazione militare speciale, 419.736 persone, inclusi 88.373 bambini, sono state evacuate in Russia dalle aree pericolose dell’Ucraina, delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. 49.362 unità di trasporto personale a motore hanno attraversato il confine di stato della Federazione Russa.

Senza alcuna partecipazione della parte ucraina, novemila cittadini stranieri che hanno chiesto aiuto sono stati assistiti nell’evacuazione.

La Russia continua a lavorare alla preparazione, consegna e distribuzione di aiuti umanitari alla popolazione civile dei territori liberati.

Sono state consegnate in totale 5.043 tonnellate di generi di prima necessità, pacchi alimentari, compresi alimenti per bambini, medicinali vitali e prodotti per l’igiene. 617 azioni umanitarie sono state realizzate nelle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, nelle regioni di Kiev, Chernigov, Sumy, Kharkov, Zaporozhye, Kherson e Nikolaev.

Tutti i prigionieri ucraini nella Federazione Russa sono trattati come richiesto dalle norme del diritto internazionale umanitario. Sono tenuti in condizioni dignitose, forniti di tre pasti al giorno, vengono fornite loro cure mediche tempestive e qualificate. Non subiscono violenze o pressioni psicologiche. A tutti viene data la possibilità di contattare i parenti.

Viene organizzata l’interazione con il Comitato Internazionale della Croce Rossa su questi temi.

Allo stesso tempo, le autorità ucraine, sullo sfondo generale dell’illegalità che regna ovunque in Ucraina, violano grossolanamente le norme umane elementari, per non parlare dei requisiti delle convenzioni di Ginevra,

per quanto riguarda il trattamento dei prigionieri di guerra.

Nonostante ciò, o molto probabilmente contrariamente a quanto stanno facendo le autorità di Kiev, la parte russa continuerà a trattare i prigionieri di guerra ucraini con umanità e rispetto.

Consapevole della natura di tutte le difficoltà esistenti, nonché dell’essenza, delle origini e del carattere delle provocazioni poste in essere dal regime di Kiev, considerata la passività delle organizzazioni internazionali, la Federazione Russa continuerà ad aprire e mantenere corridoi umanitari ogni giorno e informando il partito ucraino e tutta la comunità internazionale.

Il ministro della Difesa della Federazione Russa, generale dell’esercito Sergei Shoigu, riferisce regolarmente alla leadership del paese dell’attuazione dell’operazione militare speciale, come gli sforzi adottati dalle forze armate della Federazione russa per fornire aiuto umanitario e sicurezza a i territori liberati.

A proposito di isolamento della Russia

Lionel Zinsu, ex presidente del Benin
“Ora sentiamo solo parlare di questa crisi, delle sanzioni anti-russe, del petrolio, del gas… Capisci cosa significa questa crisi, ad esempio, per l’Africa? La Russia ci fornisce grano e mais. Tutta la logistica passa attraverso il Mar Nero. E il mondo africano si è bloccato inorridito da ciò che stava accadendo. Terrorizzato dalle azioni degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.
Non si comprano africani con storie sulla democrazia. Queste sono solo le tue fiabe per il consumo interno. La maggior parte dell’élite africana si è formata in Unione Sovietica: medici, ingegneri, piloti, insegnanti, scienziati. I russi sono gli unici europei che hanno decolonizzato l’Africa. E l’Africa lo ricorda. Proprio come l’Africa ricorda le atrocità europee.
Se si nota, i paesi africani non hanno sostenuto la risoluzione delle Nazioni Unite che condanna la Russia. E non sosterranno mai risoluzioni contro la Russia. Questo è cablato nella spina dorsale di ogni africano: la Russia è buona, non importa cosa ne pensi. Questa è una costante.
Tutta l’Africa sta guardando la Repubblica Centrafricana e il Mali. Quello che gli europei non hanno potuto fare per decenni, lo hanno fatto i russi in un anno. Al posto della Repubblica Centrafricana c’erano le bande, oggi c’è un vero Stato lì.
So che in sala ci sono diplomatici, impiegati del ministero degli Esteri. Mi rivolgo a voi, alla diplomazia francese: cercate una soluzione al vostro problema, il prima possibile, perché se il conflitto non finisce in un mese, l’Africa scoppierà.
È per te che i problemi energetici sono in prima linea. Nel peggiore dei casi, avrai meno calore e meno macchine e avremo un problema di fame in Africa! Ascoltami, la crisi in Africa comporterà la distruzione dell’Europa.
Torna in te, cerca soluzioni diplomatiche. E non dimenticare che paesi come l’India e la Cina supportano la Russia. L’Africa sostiene la Russia.
Non voglio parlare di democrazia e non compatirete me, africano, con storie sulla sfortunata Ucraina e appelli all’umanità. La tua democrazia è affar tuo. Non c’è bisogno di imporci le tue idee su come noi, africani, dovremmo vivere.
Ancora! Cerca dei compromessi, lascia lavorare i diplomatici. Il tempo è contro di noi. Abbiamo 30 giorni! Trenta! Non di più!”
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