“NON SIAMO NATI IERI…” GUAI AL DI LÀ DEL CONFINE ed altro_La Redazione

     

“NON SIAMO NATI IERI…” GUAI AL DI LÀ DEL CONFINE

Il reato di cui è accusato l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e che oggi potrebbe costargli l’arresto, è “fabbricato” ad arte per impedirgli di ricandidarsi alla Casa Bianca.” Lo ha detto il presidente del Messico, Andres Manuel Lopez Obrador (AMLO), definendo, quella che si starebbe costruendo intorno a Trump, una manovra “completamente antidemocratica“. “In questo momento l’ex presidente Trump ha dichiarato che potrebbero arrestarlo. Se così fosse, visto che nessuno è nato ieri, sarebbe per far sì che il suo nome non compaia sulla scheda elettorale”, ha detto AMLO durante la tradizionale conferenza stampa quotidiana. “Lo dico perché anch’io ho sofferto per la fabbricazione di un crimine, quando non volevano che mi candidassi. E questo è completamente antidemocratico, perché non permette al popolo di decidere chi lo governa

AMLO prosegue affermando che l’Amministrazione Biden non ha il diritto di parlare di violenza in Messico poiché avrebbe autorizzato il “sabotaggio” del gasdotto Nord Stream, come sostiene il giornalista Seymour Hersh.

Il presidente AMLO risponde al rapporto statunitense sui diritti umani che attacca il Messico: “Non è vero, stanno mentendo. È pura politica… Non vogliono abbandonare la Dottrina Monroe, né il cosiddetto Destino Manifesto. Non vogliono cambiare, e si credono il governo del mondo. Sono dei bugiardi. Non prendetela male. È come se iniziassimo a valutarli in termini di diritti umani. Perché non liberate Julian Assange? Se parlate di giornalismo e libertà di stampa, perché avete Assange in carcere? Come mai un giornalista pluripremiato ci dice che il governo statunitense ha sabotato il gasdotto tra Russia ed Europa?”.

Le dichiarazioni di AMLO sono arrivate poco prima di incontrare l’inviato di Biden, per il cambiamento climatico, John Kerry; questo rende l’impatto delle sue dichiarazioni ancora più significativo e forte.  AMLO da credibilità a una narrazione che sostiene che lo stesso Biden abbia autorizzato un’azione segreta per bombardare il gasdotto Nord Stream.

Altre volte, in passato, Lopez Obrador si è schierato dalla parte di Trump, Nel gennaio del 2021, Lopez Obrador aveva denunciato, ad esempio, la decisione di Twitter di bloccare il profilo di Trump, per i riferimenti alle proteste in corso al Campidoglio. “Una cosa che non mi è piaciuta è la censura. Non mi piace che qualcuno venga censurato e privato del suo diritto di trasmettere messaggi, su Twitter o su Facebook, non sono d’accordo”, ha sottolineato il presidente Messicano “Dobbiamo tutti garantire la libertà“.

Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2020 AMLO fu uno degli ultimi leader stranieri a fare visita all’allora presidente americano tessendo le lodi al presidente Trump, ringraziandolo per il rispetto e l’amicizia riconosciuta al Messico e ad AMLO. AMLO fu anche uno degli ultimi leader mondiali (insieme a Putin) a congratularsi con Biden per le sue elezioni da presidente.

 

 

 

NEL CORTILE DI CASA

Dopo l’Argentina, anche il Messico, il 12 marzo scorso, ha ufficializzato, assieme all’Egitto e ad altri stati, la richiesta di adesione al BRICS. Trattandosi della parte del “cortile di casa” adiacente ai propri confini, pur nello smarrimento e nel caos in cui si trova la leadership statunitense, ci sarà da aspettarsi una sua qualche energica reazione. Il canale più diretto e immediato di intervento potrebbero essere i cosidetti “cartelli della droga” messicani, vere e proprie formazioni paramilitari in gran parte provenienti dalle forze speciali dell’esercito messicano.

Non è detto, però, che questa volta si realizzi facilmente.

È vero che i legami con l’entroterra statunitense sono più che solidi; è altrettanto vero che i laboratori di droghe sintetiche di questi cartelli si forniscono in gran parte dei principi attivi di produzione cinese. Una sorta di nemesi della “guerra dell’oppio” di fine ‘800 che presuppone la tessitura di legami altrettanto forti di questi cartelli con ambienti cinesi.

In guerra non si va certo a sottilizzare sull’integrità morale degli “amici”.

https://eurasiamedianetwork.com/mexico-plans-to-join-brics-amid-growing-tensions-with-us/

 

NEL VICINATO DI CASA NOSTRA

Come ben sanno i nostri lettori, uno dei motivi di contrasto e di logoramento dei rapporti tra l’Algeria e la Francia è stato il mancato rispetto, da parte transalpina, degli impegni di investimento nel settore industriale e manifatturiero in territorio algerino. Uno dei fattori che ha aperto ulteriormente la strada alla Russia e alla Cina. Come un “miles gloriosus” da par suo, il Governo Meloni ha rilanciato con toni roboanti una riedizione della antica politica di Enrico Mattei, che tanto lustro e prestigio ha dato all’Italia in quelle lande.

Ora cominciano a delinearsi i contorni reali di questa politica, in paradossale sodalizio con la Francia.

Macron ha appena annunciato il programma di costruzione di uno stabilimento automobilistico in Algeria. Finalmente una prima parziale soddisfazione tra tante promesse inevase.

Cosa dovrebbe produrre questo stabilimento? Ebbene sì, la FIAT 500.

Questo impegno sarebbe parte del pacchetto di accordi bilaterali di collaborazione tra Italia e Algeria, o parte di un triangolo discreto nel quale l’Italia, in cambio di forniture alquanto dubbie di gas e petrolio, funge da paravento, con i propri marchi e con il proprio residuo prestigio nell’area mediterranea, a mere operazioni di recupero per conto terzi. Del resto aziende come Fiat, ma sempre più anche ENI e Leonardo, gravitano sempre più in orbita statunitense e in subordine dei satelliti europei più importanti.

CERCASI BADOGLIO 2.0. TORNA, PIETRO: TUTTO È PERDONATO.

28 settembre 1937, Stadio di Berlino.

Benito Mussolini [in tedesco]: “Il Fascismo ha la sua etica, alla quale intende rimanere fedele, ed è anche la mia personale morale: parlare chiaro e aperto e, quando si è amici, marciare insieme sino in fondo.”

21 marzo 2023, Senato della Repubblica italiana.

Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio: “Continueremo a sostenere l’Ucraina senza badare all’impatto che queste scelte possano avere nel breve periodo sul consenso verso la sottoscritta, il governo, o le forze di maggioranza. Continueremo perché è giusto farlo sul piano dei valori e dell’interesse nazionale”.

 

 

 

Conversazioni sulla Cina, 3a puntata_Con Daniela Caruso

Il gruppo dirigente al potere in Cina, solitamente riservato, in poche settimane ha voluto rendere pubblica la sua visione delle relazioni internazionali: una interpretazione del multilateralismo la cui forza deve dipendere da un equilibrio di forze e dal rispetto del principio di sovranità ed integrità degli stati nazionali piuttosto che dalla capacità egemonica di una potenza. Vi è una ragione prosaica a sostenere questa convinzione: la Cina è stato il paese che, con astuzia e sapienza, ha saputo approfittare delle opportunità di una globalizzazione fondata sulla sicumera di un paese egemone, gli Stati Uniti, convinto di aver consolidato definitivamente la propria condizione di dominio. Vi è, però, una ragione più profonda legata alla mentalità e alla cultura millenaria di un impero il quale, tra tante vicissitudini interne, è però riuscito a mantenere una postura relativamente pacifica anche nelle sue fasi più turbolente. Se le intenzioni sono queste, la realtà al contrario sta spingendo verso un’altra direzione. L’aspro conflitto politico interno agli Stati Uniti e l’incapacità della sua classe dirigente ad accettare l’emersione di nuove potenze e una aspirazione generale alla indipendenza e sovranità di paesi e stati sempre più numerosi sta spingendo progressivamente il confronto geopolitico in una logica di schieramenti sempre più netti e contrapposti. Ogni paese, però, con il proprio retaggio. Non c’è dubbio che quelli occidentali, soprattutto gli Stati Uniti, hanno troppe cose da farsi perdonare per poter contare sulla persuasione e la credibilità, piuttosto che sulla violenza. Un circolo vizioso che non promette niente di buono. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti, conto alla rovescia_con Gianfranco Campa

Trump in attesa di incriminazione e di un probabile arresto; Ron Desantis, il probabile competitore interno al Partito Conservatore in speranzosa attesa, pronto a raccoglierne lo scettro, a compiacere la base di MAGA con slogan e dichiarazioni buone per la campagna elettorale, ma pronte ad essere smentite il giorno dopo le elezioni; una crisi finanziaria ed economica i cui tempi di marcia potranno sconvolgere i disegni dei vari attori politici. Il tentativo di porre fine contemporaneamente alla anomalia di un attore politico estraneo all’establishment dominante e di un presidente in carica improponibile per aprire la strada a leader emergenti del cerchio magico demo-neoconservatore. L’ambizione di trasformare il sentimento di repulsa verso nuove avventure militari prevalente negli Stati Uniti, in una variante bellicista che non fa che spostare l’epicentro di un confronto, nel suo auspicato epilogo bipolare, nell’area dell’Indo-Pacifico. Un quadro nel quale i paesi europei sono destinati a confermare il loro ruolo di passivi capri espiatori senza alcuna velleità di protagonismo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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APPENDICE

“Non è il critico che conta; non l’uomo che sottolinea come l’uomo forte inciampa, o dove l’esecutore di azioni avrebbe potuto farle meglio. Il merito è dell’uomo che è realmente nell’arena, il cui volto è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue; che si sforza valorosamente; che sbaglia, che viene meno più volte, perché non c’è sforzo senza errori e mancanze; ma che si sforza realmente di compiere le azioni; che conosce i grandi entusiasmi, le grandi devozioni; che si spende per una causa degna; che nel migliore dei casi conosce alla fine il trionfo di un alto risultato, e che nel peggiore, se fallisce, almeno fallisce osando molto, così che il suo posto non sarà mai con quelle anime fredde e timide che non conoscono né la vittoria né la sconfitta. ”

– Theodore Roosevelt

Cutro e la carica degli indignati, con Augusto Sinagra

La strage di migranti sulla spiaggia di Cutro ha vellicato gli impulsi peggiori e più strumentali di reazione e denuncia di un fatto e di una realtà di per sè così drammatica. Tutto per nascondere ed eludere l’incapacità politica e la postura acriticamente remissiva di un ceto politico e di una classe dirigente ampiamente responsabile dell’attuale condizione pietosa ed irrilevante di un paese e di una nazione nell’attuale contesto geopolitico. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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destra, sinistra e il nuovo già vecchio_ Con Roberto Buffagni e Vincenzo Costa

Governo di centrodestra con Giorgia Meloni, congresso costituente del PD con a capo Elly Schlein. Grandi novità che tendono a riprendere e riproporre vecchi schemi interpretativi del tutto inadeguati ad affrontare il nuovo contesto politico-sociale e geopolitico. Una contrapposizione artificiosa, probabilmente artefatta, che con sussulti e forzature non fa che riproporre temi e rivendicazioni in una cornice già fallita. Non è una fase costituente; è il compimento di un processo gia delineato quaranta anni fa. Il risultato è una classe dirigente inadeguata e un ceto politico autoreferenziale. Un guscio che si sta trasformando in una pesante cappa soffocante il paese. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Ucraina, il conflitto 30a puntata. Stessi scenari, nuove star Con Max Bonelli e Stefano Orsi

Non sempre le avanzate clamorose corrispondono a successi duraturi. Quasi sempre il clamore della narrazione insistente nasconde una realtà opposta. La guerra, nella sua tragedia e nella sua energia distruttiva, specie quando contiene le caratteristiche di un conflitto civile, può diventare l’evento in grado di piegare ed annichilire un popolo, quanto di forgiare una nuova classe dirigente. Nel conflitto ucraino stiamo assistendo ad entrambe le dinamiche. Non sono solo i popoli ucraino e russo a sperimentarne le conseguenze, ma tutti gli attori partecipi. Un nuovo mondo sta sorgendo, ma non tutti potranno godere della nuova luce. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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StElly nel paese dei balocchi, di Giuseppe Germinario

Così Elly Schlein, a sorpresa, almeno per chi ama farsi sorprendere, è la nuova segretaria del Partito Democratico.

Niente di originale. Una clonazione, un pollo da batteria come tanti altri, tutti identici, che avrebbero potuto emergere dal brodo di coltura sorosiano ormai coltivato da anni in quegli ambienti progressisti e nella sua città di adozione. Elly avrebbe potuto assurgere indifferentemente a Primo Ministro in Finlandia e Moldova, Ministro degli Esteri in Germania; le è capitato invece di conquistare il posto di segretario di partito in una fase a dir poco avventurosa di quella realtà politica.

Un possibile trampolino di lancio per lei a futura gloria e soddisfazione; molto probabilmente, il contestuale de profundis di un partito dalle lontane radici gloriose ormai disperse.

Una nemesi amara per il vecchio gruppo dirigente dalle lontane origini approssimativamente comuniste, in realtà in buona parte socialdemocratiche, impersonate per ultimo dal buon Stefano Bonaccini.

Agli “illuminati sulla via di Damasco” l’elettorato più o meno interessato, non si sa bene se alla resurrezione o alla dipartita, delle primarie ha preferito le certezze dell’originale, mi si perdoni l’ossimoro, clonato nel laboratorio filantropico di grandi propositi e inconfessabili misfatti.

In tempi così incerti e smarriti, l’alea del buon governo non è evidentemente più sufficiente a conservare e nemmeno a rimanere aggrappati alle leve.

Ad una lettura anche superficiale delle mozioni congressuali, gli argomenti del documento del neosegretario sono i più conformi allo spirito della carta dei valori del partito da poco resa pubblica. Ne pare di fatto una scopiazzatura più estesa della quale si tratterà a margine a parte una anticipazione irrefrenabile di tre amenità difficili da concettualizzare pur con ogni buona volontà:

  • la nozione di “giustizia climatica” se non associandola a quella biblica di “diluvio universale”

  • l’asserzione del nesso causale diretto e univoco tra la crisi climatica e la disuguaglianza sociale, quando in realtà, se proprio si vuol sottilizzare, è da una concezione elitaria e di ceto della crisi climatica, confusa per altro con quella ambientale, che si dipana il nesso causale diretto con le disuguaglianze

  • l’asserzione della formazione sociale italiana retta da un regime patriarcale.

L’aspetto dirimente di questa fase politica di quel partito è un altro.

Elly Schlein è stata eletta segretario in piena fase costituente del partito.

L’avvio di una fase “costituente” o “ricostituente” dovrebbe quantomeno prevedere una analisi rigorosa, se non proprio una revisione impietosa dell’approccio culturale, delle scelte politiche fondamentali adottate a partire almeno dagli anni ‘90 e delle ragioni della attuale condizione del paese e della nazione.

Nella carta e nelle mozioni congressuali non c’è niente di tutto questo se non qualche rara riga di adesione fideistica alla Unione Europea, di sostegno a scatola chiusa alla resistenza ucraina, di rappresentazione dello scontro geopolitico tra una democrazia assediata e un autoritarismo prevalente, di auspicio di un ritorno ad un multilateralismo a trazione statunitense.

Una rigidità dogmatica e una superficialità che fa apparire le prese di posizione dell’attuale leadership statunitense un esempio di flessibilità.

Sarebbe improprio pretendere dal Partito Democratico un ripensamento radicale o un ribaltamento delle sue ragioni costitutive. Trasformerebbe la lenta e soporifera agonia che sta percorrendo in un trauma esistenziale esiziale.

Un atto di lucidità ed onestà compatibile con le ragioni fondative del partito sarebbe però una carta dei valori che tracciasse degli orientamenti di fondo e ponesse degli interrogativi da offrire alle mozioni come traccia per risposte che giustificassero le diverse candidature.

  • La Carta avrebbe dovuto quindi contenere una riflessione critica sulla narrazione agiografica del processo di globalizzazione, sull’interpretazione del ruolo degli stati nazionali in esso, sulla funzione di collante delle dinamiche esercitata dalla condizione egemonica emersa con l’implosione del blocco sovietico e indurre quindi i candidati, con le rispettive mozioni di tentare almeno di tracciare quantomeno obbiettivi e comportamenti autonomi ed attivi, sia pure in una logica “entrista” propria della natura di quel partito. Del resto l’azione di classi dirigenti di un numero sempre maggiore di paesi, a cominciare dalla Turchia e dall’Ungheria, ma anche a modo loro della Polonia, ha evidenziato l’agibilità all’interno delle logiche di schieramento. Cosa è, del resto, alla fine, il perseguimento di obbiettivi politici interni alla Unione Europea, più ancora che nella NATO, se non una continua contrattazione e un continuo aspro confronto e conflitto tra centri decisori nazionali e statuali in una dinamica di asservimento alla forza egemone! Se sono reali l’intenzione e l’obbiettivo politico, ammesso e non concesso che sia realizzabile, di una politica estera e di difesa europea autonome, le mozioni dovrebbero essere indotte a delimitare quantomeno i livelli massimi compatibili di integrazione degli eserciti della NATO e dei complessi militari-industriali.

  • A scalare la Carta avrebbe dovuto spingere a riflettere sul trentennio di politica interna a cominciare dalle privatizzazioni e dismissioni o quantomeno nelle loro modalità di esecuzione, per poi risalire alla atavica incapacità del capitale privato di sostenere il peso politico ed organizzativo di una grande industria ed impresa strategica e sul ruolo conseguente del capitale pubblico, magari a gestione privatistica nelle sue varie modalità e possibilità; come pure a giustificare e, quindi, porre rimedio al fatto che l’ancora importante saldo attivo del risparmio nazionale non riesca ad essere reinvestito in gran parte nel territorio e a tutela e sviluppo dell’industria e delle attività nazionali. Potrebbe finalmente emergere qualche seria considerazione sulla necessità di ripristino di una serie di agenzie di supporto tecnico allo sviluppo di attività di produzione ed infrastrutturali completamente distrutto in quei decenni fatali e della cui mancanza si sente persino nella attuazione del cavallo di battaglia, di nome PNRR, del fronte più ottusamente europeista. In pratica la Carta dei Valori avrebbe dovuto porre il quesito fondamentale sui motivi del progressivo stallo e degrado del paese e della nazione negli ultimi quarant’anni, coincisi con la trasformazione del PCI e della DC e la fondazione del PD.

  • Ci sarebbe da sindacare sulla adeguatezza della Carta ad avviare una seria fase costituente su altri temi: la gestione manipolatoria ed arru(a)ffona della crisi pandemica come pure la tematica fondativa legata al cosiddetto transumanesimo. Quest’ultima introdotta in ritardo ed in forma puramente imitativa e parodistica, ma con la possibilità di arrecare altrettanti, se non peggio, danni di quanto indotti negli Stati Uniti. Un culto della singolarità, del determinismo culturale rispetto alle leggi della natura, della tecnocrazia scientifica che meriterebbero assoluta attenzione e precauzione, ma che si vedono introdotte di soppiatto nella Carta e nelle mozioni, probabilmente anche in maniera scontata ed inconsapevole. Sarebbe, forse, pretendere troppo ad una classe dirigente di questo livello.

La sorprendente incapacità di impostare correttamente, quantomeno, un percorso congressuale non è, quindi, un mero incidente in un partito dalle gloriose tradizioni organizzative.

È la conseguenza della cieca miseria intellettuale di una intera classe dirigente; della sua autoreferenzialità e della sua incapacità a porsi a rappresentare un qualsiasi modello di blocco sociale in grado di garantira una minima coesione ed una minima capacità di pesare nelle dinamiche geopolitiche per quanto deleterie e limitative.

Più che una fase costituente, si sta rivelando sempre più una sua parodia, destinata rapidamente a spegnersi nella continuità e nell’esaurimento di un processo iniziato almeno quaranta anni fa, ma dall’esito allora non interamente segnato.

Non è un caso che gli aneliti di rinnovamento e di allargamento della platea dai quali attingere i futuri gruppi dirigenti si riducano alla fine, leggendo attentamente le mozioni, ad attingere al serbatoio degli amministratori locali.

Una parodia dall’esito scontato ma attraverso un processo che richiederà, paradossalmente, il sacrificio della componente più pragmatica, ma culturalmente del tutto omologata o passiva, la quale ha saputo, nelle proprie esperienze di gestione amministrativa, almeno approfittare di qualche margine di azione consentito da questo appiattimento ed allineamento.

La sconfitta di Bonaccini rappresenta esattamente questo.

Non sarà l’unico fìo da pagare e nemmeno il più pesante.

La mozione di Elly, più delle altre, è soprattutto l’appello che con più fervore urla alla riduzione e al superamento delle disuguaglianze, al raggiungimento dell’equità fiscale, alla rivendicazione dei diritti.

Una enfasi che ha indotto gran parte dei commentatori ad attribuirle audacemente una impronta “socialdemocratica” più che “radical chic”.

Nell’economia di questo scritto si deve purtroppo glissare sull’approfondimento sulle varie accezioni attribuibili al termine di lotta alle disuguaglianze e al conseguimento dei diritti; come pur sulla mancata associazione del termine di equità fiscale a quello di vessazione, attraverso il quale il sistema fiscale colpisce indistintamente dipendenti ed autonomi e sulla mancata associazione al problema della tutela dei salari più bassi di quello dell’appiattimento dei livelli salariali normati e del basso livello di quasi tutte le retribuzioni.

Una connotazione socialdemocratica storicamente più attendibile ad un documento e ad una formazione politica dovrebbe avere il carattere specifico di un nesso stretto e inscindibile tra una politica di normazione dei diritti sociali ed il sostegno ad una politica economica in generale, industriale in particolare, fondata sulla impresa, in particolare la grande impresa e sul ruolo pubblico diretto in economia sul quale plasmare la coesione e il dinamismo di una formazione sociale. Un indirizzo, ma con modalità diverse, riconducibile anche alla connotazione comunista di un movimento.

Nelle mozioni congressuali, in particolare in quello della Schlein, non c’è niente di tutto questo, non ostante le crepe all’ortodossia liberista aperti nella fase trumpiana ed anche nel recente documento sulla sicurezza strategica (NSS) varato da Biden e trattato recentemente su questo blog.

Niente se non la caricatura dell’aperto ed acritico sostegno al piano di riconversione ecologica ed energetica e digitale che si risolve in realtà, nel suo dogmatismo e catastrofismo, in un vero e proprio programma di destrutturazione ed indebolimento non solo del residuo apparato industriale e tecnologico avanzato europeo, ma anche di altri ambiti strategici come l’agricoltura.

Tutta l’enfasi che ammanta le parole d’ordine della redistribuzione, del lavoro sicuro, dell’equità fiscale non porteranno a niente di buono; nel migliore e improbabile dei casi a qualche successo temporaneo, tipico del rivendicazionismo sindacale radicale o sedicente tale.

Si potranno regolare più rigidamente i contratti individuali di lavoro, stabilire per legge i livelli minimi salariali e magari gli standard sanitari, rendere ancora più draconiane, sulla lettera, le normative e le sanzioni fiscali, ma le dinamiche socio-economiche, la struttura economico-industriale e dei servizi, il sistema politico-amministrativo troveranno innumerevoli e fantasiose nuove vie per perpetuare una condizione di sottosalario, di basso reddito e di mercato nero, magari in una condizione di apparente legalità. Potrei citarne io stesso decine di modalità.

Rimarrà l’enorme implicazione politica di una simile impostazione. In mancanza di una questione nazionale e, soprattutto, di una politica di difesa di interesse nazionale unificante, nel migliore dei casi non farà che spingere singoli settori alla autotutela in una visione potenzialmente corporativa e intaccare ulteriormente il già precario tasso di interconfederalità delle politiche sindacali magari sotto la nobile veste di un radicalismo del quale abbiamo conosciuto già, assieme al collaborazionismo, gli esisti sterili e nefasti.

La dirigenza sindacale, con tutto il peggio di cui è capace, navigata com’è e desiderosa di non disperdere l’attuale principale legittimazione legata al riconoscimento reciproco con Confindustria, è in grado di cogliere il pericolo, ma non di contrastare efficacemente l’inerzia innescata da questi indirizzi; un ulteriore passo verso un sindacato compassionevole è ormai maturo.

L’unico aspetto positivo è che la gestione piddina della Schlein, dovesse durare, metterà a nudo l’imbroglio politico che è stato e si è rivelato il M5S (Movimento Cinque Stelle); al prezzo di portarsi, però, la serpe in casa, ma con minori infingimenti.

L’unico fattore che potrebbe prolungarne indefinitamente l’agonia, è il processo accellerato di omologazione del centrodestra ed il suo pericolosissimo avvicinamento politico e diplomatico all’ordine statunitense e all’avventurismo ottuso delle classi dirigenti polacche e baltiche.

Peggio dell’azzardo cialtrone della “buonanima”, ottanta anni fa.

https://www.partitodemocratico.it/wp-content/uploads/Bonaccini_Mozione_A4-1.pdf

https://www.partitodemocratico.it/wp-content/uploads/mozione_schlein_def.pdf

https://www.partitodemocratico.it/wp-content/uploads/PromessaDemocratica-GIANNI-CUPERLO-2023-v8_WEB_paginedoppie.pdf

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Ucraina, il conflitto 29a puntata. Guerra e terrorismo_ con Stefano Orsi e Max Bonelli

Il regime di Kiev, per la verità i suoi mentori, si sta rivelando un vero maestro nella narrazione mediatica e nella coltivazione degli strumenti, anche i più ibridi, di guerra. Gli episodi di arbitrio verso i prigionieri, l’utilizzo di armi proibite, l’indifferenza e l’utilizzo della popolazione civile come strumento di guerra fanno ormai parte dell’armamentario utilizzato. Questa volta, però, la soglia dell’esplicito attacco terroristico è stata oltrepassata ampiamente con l’incursione in due villaggi russi al confine e la deliberata uccisione di civili. Elementi idonei a trascinare la giunta e i comandi ucraino verso quel tribunale di guerra che gli occidentali vorrebbero costruire su misura su Putin. Il regime di Kiev è ormai alle strette e solo l’incapacità e l’impossibilità statunitense di poter uscire dal vicolo cieco in cui l’amministrazione di Biden si è cacciata, se non a rischio di un confronto diretto su larga scala, sta impedendo la mala sorte per personaggi tragicomici ed aguzzini senza scrupoli. La novità è che piuttosto che scompaginare l’area dissidente o indifferente all’esorcismo russofobo, l’oltranzismo atlantista sta polarizzando sempre più le dinamiche geopolitiche in schieramenti sempre più delineati. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v2bhykq-ucraina-il-conflitto-29a-puntata.-guerra-e-terrorismo-con-stefano-orsi-e-ma.html

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Proposte di pace, propositi di guerra_con Antonio de Martini

Il mondo occidentale, patrocinato dagli Stati Uniti, continua a offrire la propria rappresentazione come quella del mondo intero. Il conflitto in Ucraina non fa eccezione. La novità consiste proprio nel fatto che la verità che ci viene offerta in Europa e negli Stati Uniti questa volta è radicalmente diversa da quella accettata nel resto del mondo. L’amministrazione statunitense rivendica a buon diritto la compatezza conseguita, al momento, nel blocco di alleanze costruito nei decenni pur con qualche crepa; glissa nervosamente sulla neutralità e sulla aperta opposizione di un gran numero di stati nazionali e della gran parte della popolazione nel mondo al suo avventurismo. Dopo la Turchia, iniziano ad emergere nuovi attori di primo piano pronti ad esercitare una azione di mediazione. Lo stesso conflitto ucraino da essere l’oggetto univoco delle attenzioni si sta trasformando con il tempo nella leva per ridefinire le relazioni geopolitiche. La proposta impropria di mediazione della Cina assume questo significato. Nelle more, ancora una volta, i soggetti che vedranno restringere il proprio campo di azione saranno i centri politici europei. La direzione obbligata sarà quella dell’Africa. Ma in una condizione di estrema debolezza e con un retaggio coloniale e neocoloniale pesante come un fardello. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti! Volontari di pace….eterna_con Gianfranco Campa

Definitisi in qualche maniera gli schieramenti attorno al gioco ucraino ed europeo i centri decisori prevalenti negli Stati Uniti volgono la loro attenzione verso quelle crepe che potrebbero far vacillare il muro costruito intorno alla Russia e, soprattutto, la suicida accondiscendenza delle leadership europee. Tornano alla ribalta i soliti arnesi, nella fattispecie Soros, in qualità di imbonitore impegnato a prefigurare gli scenari, e Samantha Power nella veste di braccio armato. Personaggi già visti all’opera negli Stati Uniti, in Europa, in Libia, in Siria, in ogni angolo dove occorre sostenere finti avversari e destabilizzare nemici dichiarati, amici superflui e figure che semplicemente vogliono tenersi lontano dalle cattive compagnie. La loro attenzione condita di perfidia, questa volta e non a caso, si è concentrata sull’Ungheria e l’India. Gli ossi da rosicare si stanno rivelando sempre più duri e meno digeribili. Nel frattempo i colorati e spensierati palloncini che solcano pazientemente il cielo si stanno rivelando un ostacolo imprevisto ai piani diplomatici tesi ad uscire dal cul de sac nel quale si è al momento cacciata la diplomazia statunitense. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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