Vladimir Putin: Le vere lezioni del 75 ° anniversario della seconda guerra mondiale

Qui sotto un lungo articolo di Vladimir pubblicato sulla rivista americana National Interest https://nationalinterest.org/feature/vladimir-putin-real-lessons-75th-anniversary-world-war-ii-162982? . Importante la sede che ha ospitato il saggio; altrettanto importante il messaggio lanciato. I canali di comunicazione con gli Stati Uniti non sono stati evidentemente tutti recisi; al di là della inevitabile retorica distensivistica traspare la constatazione della fase policentrica ormai irreversibile_Giuseppe Germinario

Vladimir Putin: Le vere lezioni del 75 ° anniversario della seconda guerra mondiale

Il presidente russo offre una valutazione completa dell’eredità della seconda guerra mondiale, sostenendo che “Oggi, i politici europei, e in particolare i leader polacchi, desiderano spazzare il tradimento di Monaco sotto il tappeto. Il tradimento di Monaco ha mostrato all’Unione Sovietica che l’Occidente i paesi si occuperebbero di problemi di sicurezza senza tener conto dei propri interessi “.

Sono trascorsi settantacinque anni dalla fine della Grande Guerra Patriottica . Diverse generazioni sono cresciute negli anni. La mappa politica del pianeta è cambiata. L’ Unione Sovietica che rivendicò una vittoria epica e schiacciante sul nazismo e salvò il mondo intero è sparita. Inoltre, gli eventi di quella guerra sono diventati a lungo un ricordo lontano, anche per i suoi partecipanti. Allora perché la Russia celebra il nono maggio come la più grande festa? Perché la vita si ferma quasi il 22 giugno? E perché si sente un nodo alla gola?

Di solito dicono che la guerra ha lasciato una profonda impronta nella storia di ogni famiglia . Dietro queste parole, ci sono destini di milioni di persone, le loro sofferenze e il dolore della perdita. Dietro queste parole c’è anche l’orgoglio, la verità e la memoria.

Per i miei genitori, la guerra significava le terribili prove dell’assedio di Leningrado, dove morì mio fratello di due anni, Vitya. Era il posto dove mia madre riuscì miracolosamente a sopravvivere. Mio padre, nonostante fosse esente dal servizio attivo, si offrì volontario per difendere la sua città natale. Ha preso la stessa decisione di milioni di cittadini sovietici. Combatté contro la testa di ponte Nevsky Pyatachok e fu gravemente ferito. E più passano gli anni, più sento il bisogno di parlare con i miei genitori e conoscere meglio il periodo di guerra delle loro vite. Tuttavia, non ho più l’opportunità di farlo. Questo è il motivo per cui faccio tesoro nel mio cuore delle conversazioni che ho avuto con mio padre e mia madre su questo argomento, nonché della piccola emozione che hanno mostrato.

Persone della mia età e credo sia importante che i nostri figli, nipoti e pronipoti comprendano il tormento e le difficoltà che i loro antenati hanno dovuto sopportare. Devono capire come i loro antenati sono riusciti a perseverare e vincere. Da dove viene la loro forza di volontà pura e incessante che ha stupito e affascinato il mondo intero? Certo, stavano difendendo la loro casa, i loro figli, i loro cari e le loro famiglie. Tuttavia, ciò che condividevano era l’amore per la loro terra natale, la loro Patria. Quella sensazione profonda e intima si riflette pienamente nell’essenza stessa della nostra nazione ed è diventata uno dei fattori decisivi nella sua eroica, sacrificale lotta contro i nazisti.

Mi chiedo spesso: cosa farebbe la generazione di oggi? Come agirà di fronte a una situazione di crisi? Vedo giovani dottori, infermiere, a volte neolaureati che vanno nella “zona rossa” per salvare vite umane. Vedo i nostri militari che combattono il terrorismo internazionale nel Caucaso settentrionale e hanno combattuto fino alla fine in Siria. Sono così giovani. Molti militari che facevano parte del leggendario, immortale 6 ° Paracadutisti società erano 19-20 anni. Ma tutti dimostrarono che meritavano di ereditare l’impresa dei guerrieri della nostra terra natale che la difesero durante la Grande Guerra Patriottica.

Questo è il motivo per cui sono fiducioso che una delle caratteristiche distintive dei popoli della Russia sia l’adempimento del loro dovere senza dispiacersi per se stessi quando le circostanze lo richiedono. Valori come l’altruismo, il patriottismo, l’amore per la loro casa, la loro famiglia e la Patria rimangono fino ad oggi fondamentali e integrali nella società russa. Questi valori sono, in larga misura, la spina dorsale della sovranità del nostro paese.

Oggi abbiamo nuove tradizioni create dal popolo, come il Reggimento Immortale. Questa è la marcia della memoria che simboleggia la nostra gratitudine, così come la connessione vivente e i legami di sangue tra le generazioni. Milioni di persone escono per le strade portando le fotografie dei loro parenti che hanno difeso la loro Patria e sconfitto i nazisti. Ciò significa che le loro vite, le loro prove e sacrifici, così come la Vittoria che ci hanno lasciato non saranno mai dimenticate.

Abbiamo la responsabilità del nostro passato e del nostro futuro di fare del nostro meglio per impedire che queste orribili tragedie si ripetano. Quindi, sono stato costretto a pubblicare un articolo sulla Seconda Guerra Mondiale e sulla Grande Guerra Patriottica. Ho discusso questa idea in diverse occasioni con leader mondiali e hanno dimostrato il loro sostegno. Al vertice dei leader della CSI tenutosi alla fine dello scorso anno, siamo tutti d’accordo su una cosa: è essenziale trasmettere alle generazioni future il ricordo del fatto che i nazisti furono sconfitti prima di tutto dal popolo sovietico e che i rappresentanti di tutte le repubbliche dell’Unione Sovietica hanno combattuto fianco a fianco in quella battaglia eroica, sia in prima linea che nella parte posteriore. Durante quel summit, ho anche parlato con le mie controparti del difficile periodo prebellico .

Quella conversazione ha suscitato scalpore in Europa e nel mondo. Significa che è davvero giunto il momento di rivisitare le lezioni del passato. Allo stesso tempo, ci furono molte esplosioni emotive, insicurezze mal mascherate e forti accuse che seguirono. Agendo per abitudine, alcuni politici si affrettarono a sostenere che la Russia stava cercando di riscrivere la storia. Tuttavia, non sono riusciti a confutare un singolo fatto o confutare un singolo argomento. È davvero difficile, se non impossibile, discutere con i documenti originali che, a proposito, possono essere trovati non solo negli archivi russi, ma anche negli archivi stranieri.

Pertanto, è necessario esaminare ulteriormente le ragioni che hanno causato la guerra mondiale e riflettere sui suoi complicati eventi, tragedie e vittorie, nonché sulle sue lezioni, sia per il nostro paese che per il mondo intero. E come ho detto, è fondamentale fare affidamento esclusivamente su documenti d’archivio e prove contemporanee evitando qualsiasi speculazione ideologica o politicizzata.

Vorrei ancora una volta ricordare il fatto ovvio. Le cause profonde della seconda guerra mondiale derivano principalmente dalle decisioni prese dopo la prima guerra mondiale . Il trattato di Versailles divenne un simbolo di grave ingiustizia per la Germania. Sostanzialmente implicava che il paese dovesse essere derubato, costretto a pagare enormi riparazioni agli alleati occidentali che hanno prosciugato la sua economia. Il maresciallo francese Ferdinand Foch, che servì come comandante supremo alleato, diede una descrizione profetica di quel trattato: “Questa non è pace. È un armistizio da vent’anni”.

Fu l’umiliazione nazionale che divenne un terreno fertile per sentimenti radicali di vendetta in Germania . I nazisti giocarono abilmente sulle emozioni della gente e costruirono la loro propaganda promettendo di liberare la Germania dall’eredità di Versailles e riportare il paese al suo antico potere, spingendo essenzialmente il popolo tedesco in guerra. Paradossalmente, gli stati occidentali, in particolare il Regno Unito e gli Stati Uniti, hanno contribuito direttamente o indirettamente a questo. Le loro imprese finanziarie e industriali investirono attivamente in fabbriche e impianti tedeschi che fabbricano prodotti militari. Inoltre, molte persone nell’aristocrazia e nell’establishment politico hanno sostenuto movimenti radicali, di estrema destra e nazionalisti che erano in aumento sia in Germania che in Europa .

L ‘”ordine mondiale di Versailles” ha causato numerose controversie implicite e conflitti apparenti. Girarono attorno ai confini dei nuovi stati europei stabiliti casualmente dai vincitori nella prima guerra mondiale. Quella delimitazione dei confini fu quasi immediatamente seguita da dispute territoriali e rivendicazioni reciproche che si trasformarono in “bombe a tempo”.

Uno dei maggiori risultati della prima guerra mondiale fu l’istituzione della Società delle Nazioni. C’erano grandi aspettative per quell’organizzazione internazionale di garantire pace duratura e sicurezza collettiva. Era un’idea progressiva che, se seguita in modo coerente, poteva effettivamente impedire che si ripetessero gli orrori di una guerra globale.

Tuttavia, la Società delle Nazioni dominata dalle potenze vittoriose di Francia e Regno Unito si dimostrò inefficace e fu appena sommersa da discussioni inutili. La Società delle Nazioni e il continente europeo in generale non hanno ascoltato le ripetute chiamate dell’Unione Sovietica a stabilire un sistema equo di sicurezza collettiva e firmare un patto dell’Europa orientale e un patto del Pacifico per prevenire l’aggressione. Queste proposte sono state ignorate.

La Società delle Nazioni non è riuscita a prevenire conflitti in varie parti del mondo, come l’attacco dell’Italia all’Etiopia, la guerra civile in Spagna , l’aggressione giapponese contro la Cina e l’Anschluss d’ Austria . Inoltre, nel caso del tradimento di Monaco che, oltre a Hitler e Mussolini , coinvolse leader britannici e francesi, la Cecoslovacchia fu smantellata con la piena approvazione della Società delle Nazioni. Vorrei sottolineare a questo proposito che, a differenza di molti altri leader europei di quel tempo, Stalin non si disonora incontrandosi con Hitler che era noto tra le nazioni occidentali come un politico abbastanza rispettabile ed era un gradito ospite nelle capitali europee .

Anche la Polonia era impegnata nella spartizione della Cecoslovacchia insieme alla Germania. Decisero insieme in anticipo chi avrebbe ottenuto quali territori cecoslovacchi. Il 20 settembre 1938, l’ambasciatore polacco in Germania Józef Lipski riferì al ministro degli Esteri polacco Józef Beck sulle seguenti assicurazioni fatte da Hitler: “… in caso di conflitto tra Polonia e Cecoslovacchia sui nostri interessi a Teschen, il Reich avrebbe stare dalla Polonia “. Il leader nazista ha persino sollecitato e avvisato che la Polonia ha iniziato ad agire “solo dopo che i tedeschi occupano i Sudeti”.

La Polonia era consapevole che senza il supporto di Hitler, i suoi piani annessionisti erano destinati a fallire. Vorrei citare a questo proposito un resoconto della conversazione tra l’ambasciatore tedesco a Varsavia Hans-Adolf von Moltke e Józef Beck che ebbe luogo il 1 ° ottobre 1938 e si concentrò sulle relazioni polacco-ceche e sulla posizione del Soviet Unione in questa materia. Dice: “Beck ha espresso vera gratitudine per il trattamento leale accordato [agli] interessi polacchi alla conferenza di Monaco, nonché per la sincerità delle relazioni durante il conflitto ceco. L’atteggiamento di Führer e cancelliere è stato pienamente apprezzato dal governo e il pubblico [della Polonia]. ”

La spartizione della Cecoslovacchia fu brutale e cinica. Monaco distrusse persino le garanzie formali e fragili rimaste sul continente. Ha dimostrato che gli accordi reciproci erano privi di valore. Fu il tradimento di Monaco a fungere da “innesco” e rese inevitabile la grande guerra in Europa.

Oggi, i politici europei, e in particolare i leader polacchi, desiderano spazzare il tradimento di Monaco sotto il tappeto. Perché? Il fatto che una volta i loro paesi abbiano infranto i loro impegni e sostenuto il tradimento di Monaco, con alcuni di loro che hanno persino partecipato alla divisione della presa, non è l’unica ragione. Un altro è che è in qualche modo imbarazzante ricordare che durante quei drammatici giorni del 1938, l’Unione Sovietica fu l’unica a difendere la Cecoslovacchia.

L’Unione Sovietica, conformemente ai suoi obblighi internazionali, compresi gli accordi con la Francia e la Cecoslovacchia, ha cercato di impedire che accadesse la tragedia. Nel frattempo, la Polonia, alla ricerca dei suoi interessi, stava facendo del suo meglio per ostacolare l’istituzione di un sistema di sicurezza collettiva in Europa. Il ministro degli affari esteri polacco Józef Beck ne scrisse direttamente nella sua lettera del 19 settembre 1938 al summenzionato ambasciatore Józef Lipski prima dell’incontro con Hitler: “… l’anno scorso, il governo polacco ha respinto quattro volte la proposta di aderire all’Internazionale interferire in difesa della Cecoslovacchia “.

La Gran Bretagna, così come la Francia, che era all’epoca il principale alleato di cechi e slovacchi, scelsero di ritirare le loro garanzie e abbandonare questo paese dell’Europa orientale al suo destino. In tal modo, hanno cercato di dirigere l’attenzione dei nazisti verso est in modo che la Germania e l’Unione Sovietica si scontrassero inevitabilmente e si sanguinassero a vicenda.

Questa è l’essenza della politica occidentale di pacificazione, che è stata perseguita non solo verso il Terzo Reich, ma anche verso altri partecipanti al cosiddetto Patto anticomprano: l’Italia fascista e il Giappone militarista. In Estremo Oriente, questa politica culminò con la conclusione dell’accordo anglo-giapponese nell’estate del 1939, che diede a Tokyo una mano libera in Cina. Le principali potenze europee non erano disposte a riconoscere il pericolo mortale rappresentato dalla Germania e dai suoi alleati per il mondo intero. Speravano che sarebbero rimasti intatti dalla guerra.

Il tradimento di Monaco ha mostrato all’Unione Sovietica che i paesi occidentali avrebbero affrontato le questioni di sicurezza senza tener conto dei suoi interessi. In effetti, potrebbero persino creare un fronte antisovietico, se necessario.

Tuttavia, l’Unione Sovietica fece del suo meglio per sfruttare ogni possibilità di creare una coalizione anti-Hitler. Nonostante – lo dirò di nuovo – il doppio scambio da parte dei paesi occidentali. Ad esempio, i servizi di intelligence riferirono alla leadership sovietica informazioni dettagliate sui contatti dietro le quinte tra Gran Bretagna e Germania nell’estate del 1939. L’importante è che quei contatti fossero abbastanza attivi e praticamente coincidessero con i negoziati tripartiti tra la Francia , La Gran Bretagna e l’URSS, che sono state invece deliberatamente protratte dai partner occidentali. A questo proposito, citerò un documento dagli archivi britannici. Contiene istruzioni per la missione militare britannica arrivata a Mosca nell’agosto del 1939. Afferma direttamente che la delegazione avrebbe dovuto proseguire i negoziati molto lentamente e che il governo del Regno Unito non era pronto ad assumere alcun obbligo esplicitato in dettaglio e limitare la sua libertà di azione in qualsiasi circostanza. Noterò anche che, a differenza delle delegazioni britannica e francese, la delegazione sovietica era guidata dai massimi comandanti dell’Armata Rossa, che aveva l’autorità necessaria per “firmare una convenzione militare sull’organizzazione della difesa militare di Inghilterra, Francia e URSS contro l’aggressione in Europa “.

La Polonia ha giocato il suo ruolo nel fallimento di quei negoziati in quanto non voleva avere alcun obbligo nei confronti della parte sovietica. Anche sotto la pressione dei loro alleati occidentali, la leadership polacca ha respinto l’idea di un’azione congiunta con l’Armata Rossa per combattere contro la Wehrmacht. Fu solo quando venne a sapere dell’arrivo di Ribbentrop a Mosca che J. Beck con riluttanza e non direttamente, attraverso diplomatici francesi, notificò alla parte sovietica: “… in caso di azione comune contro l’aggressione tedesca, cooperazione tra Polonia e Unione Sovietica L’Unione non è fuori discussione, in circostanze tecniche che rimangono da concordare. ” Allo stesso tempo, ha spiegato ai suoi colleghi: “… Ho accettato questa formulazione solo per motivi di tattica, e la nostra posizione centrale nei confronti dell’Unione Sovietica è definitiva e rimane invariata”.

In queste circostanze, l’Unione Sovietica ha firmato il patto di non aggressione con la Germania. È stato praticamente l’ultimo dei paesi europei a farlo. Inoltre, è stato fatto di fronte a una vera minaccia di guerra su due fronti: con la Germania a ovest e con il Giappone a est, dove erano già in corso intensi combattimenti sul fiume Khalkhin Gol.

Stalin e il suo entourage, infatti, meritano molte legittime accuse. Ricordiamo i crimini commessi dal regime contro il suo stesso popolo e l’orrore delle repressioni di massa. In altre parole, ci sono molte cose per cui i leader sovietici possono essere rimproverati, ma la scarsa comprensione della natura delle minacce esterne non è una di queste. Hanno visto come sono stati fatti i tentativi di lasciare sola l’Unione Sovietica per trattare con la Germania e i suoi alleati. Tenendo presente questa vera minaccia, hanno cercato di guadagnare tempo prezioso necessario per rafforzare le difese del Paese.

Oggi sentiamo molte speculazioni e accuse contro la Russia moderna in relazione al Patto di non aggressione firmato allora. Sì, la Russia è lo stato successore legale dell’URSS e il periodo sovietico – con tutti i suoi trionfi e tragedie – è una parte inalienabile della nostra storia millenaria. Tuttavia, ricordiamo che l’Unione Sovietica ha dato una valutazione giuridica e morale del cosiddetto patto Molotov-Ribbentrop. Il Soviet Supremo nella sua risoluzione del 24 dicembre 1989 denunciò ufficialmente i protocolli segreti come “un atto di potere personale” che non rifletteva in alcun modo “la volontà del popolo sovietico che non ha alcuna responsabilità per questa collusione”.

Eppure altri stati hanno preferito dimenticare gli accordi che portano le firme dei nazisti e dei politici occidentali, per non parlare di dare valutazioni legali o politiche di tale cooperazione, inclusa la silenziosa acquiescenza – o persino il diretto abbattimento – di alcuni politici europei nei barbari piani del nazisti. Basterà ricordare la cinica frase pronunciata dall’ambasciatore polacco in Germania J. Lipski durante la sua conversazione con Hitler del 20 settembre 1938: “… per risolvere il problema ebraico, noi [i polacchi] costruiremo in suo onore … uno splendido monumento in Varsavia.”

Inoltre, non sappiamo se esistessero “protocolli” segreti o allegati agli accordi di un certo numero di paesi con i nazisti. L’unica cosa che resta da fare è prendere la parola per questo. In particolare, i materiali relativi ai colloqui anglo-tedeschi segreti non sono ancora stati declassificati. Pertanto, esortiamo tutti gli Stati a intensificare il processo di rendere pubblici i loro archivi e pubblicare documenti precedentemente sconosciuti della guerra e dei periodi prebellici, come ha fatto la Russia negli ultimi anni. In questo contesto, siamo pronti per un’ampia cooperazione e progetti di ricerca congiunti che coinvolgono gli storici.

Ma torniamo agli eventi immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale. Era ingenuo credere che Hitler, una volta fatto con la Cecoslovacchia , non avrebbe fatto nuove rivendicazioni territoriali. Questa volta le affermazioni riguardavano il suo recente complice nella spartizione della Cecoslovacchia – Polonia. Qui, l’eredità di Versailles, in particolare il destino del cosiddetto corridoio di Danzica, è stata ancora una volta utilizzata come pretesto. La colpa della tragedia che la Polonia ha poi subito ricade interamente sulla leadership polacca, che ha impedito la formazione di un’alleanza militare tra Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica e si è basata sull’aiuto dei suoi partner occidentali, gettando la propria gente sotto il rullo compressore della macchina di distruzione di Hitler.

L’offensiva tedesca è stata montata in pieno accordo con la dottrina della guerra lampo. Nonostante la feroce, eroica resistenza dell’esercito polacco, l’8 settembre 1939 – solo una settimana dopo lo scoppio della guerra – le truppe tedesche si stavano avvicinando a Varsavia. Il 17 settembre, i leader militari e politici della Polonia erano fuggiti in Romania, abbandonando il suo popolo, che ha continuato a combattere contro gli invasori.

La speranza della Polonia per l’aiuto dei suoi alleati occidentali era vana. Dopo che fu dichiarata la guerra contro la Germania, le truppe francesi avanzarono solo poche decine di chilometri nel territorio tedesco. Tutto sembrava una semplice dimostrazione di azione vigorosa. Inoltre, il Consiglio di guerra supremo anglo-francese, che tenne il suo primo incontro il 12 settembre 1939 nella città francese di Abbeville, decise di annullare del tutto l’offensiva in vista dei rapidi sviluppi in Polonia. Fu allora che iniziò la famigerata guerra fasulla. Ciò che Gran Bretagna e Francia fecero fu un palese tradimento dei loro obblighi nei confronti della Polonia.

Più tardi, durante le prove di Norimberga, i generali tedeschi spiegarono il loro rapido successo in Oriente. L’ex capo dello staff operativo dell’alto comando delle forze armate tedesche, il generale Alfred Jodl ha ammesso: “… non abbiamo subito la sconfitta già nel 1939 solo perché circa 110 divisioni francesi e britanniche di stanza in Occidente contro 23 divisioni tedesche durante la nostra guerra con la Polonia è rimasto assolutamente inattivo “.

Ho chiesto il recupero dagli archivi dell’intero corpus di materiali relativi ai contatti tra l’Unione Sovietica e la Germania nei drammatici giorni di agosto e settembre 1939. Secondo i documenti, il paragrafo 2 del Protocollo segreto al non-tedesco-sovietico Il patto di aggressione del 23 agosto 1939 affermava che, in caso di riorganizzazione territoriale-politica dei distretti che costituivano lo stato polacco, il confine delle sfere di interesse dei due paesi avrebbe “attraversato i fiumi Narew, Vistola e San” . In altre parole, la sfera di influenza sovietica includeva non solo i territori che ospitavano principalmente la popolazione ucraina e bielorussa, ma anche le terre storicamente polacche nell’interfaccia di Vistola e Bug. Questo fatto è noto a pochi in questi giorni.

Allo stesso modo, pochi sanno che, subito dopo l’attacco alla Polonia, nei primi giorni di settembre 1939 Berlino ha fortemente e ripetutamente invitato Mosca a unirsi all’azione militare. Tuttavia, la leadership sovietica ignorò quelle chiamate e progettò di evitare di impegnarsi negli sviluppi drammatici il più a lungo possibile.

Fu solo quando divenne assolutamente chiaro che la Gran Bretagna e la Francia non avrebbero aiutato il loro alleato e la Wehrmacht poteva occupare rapidamente l’intera Polonia e quindi apparire sugli approcci a Minsk che l’Unione Sovietica decise di inviare, la mattina del 17 A settembre, le unità dell’Armata Rossa entrano nei cosiddetti confini orientali, che oggi fanno parte dei territori di Bielorussia, Ucraina e Lituania.

Ovviamente, non c’erano alternative. Altrimenti, l’URSS si troverebbe ad affrontare seriamente maggiori rischi perché – lo dirò di nuovo – il vecchio confine sovietico-polacco passava solo a poche decine di chilometri da Minsk. Il paese dovrebbe entrare nell’inevitabile guerra con i nazisti da posizioni strategiche molto svantaggiose, mentre milioni di persone di diverse nazionalità, tra cui gli ebrei che vivono vicino a Brest e Grodno, Przemyśl, Lvov e Wilno, sarebbero lasciati morire per mano di i nazisti e i loro complici locali – antisemiti e nazionalisti radicali.

Il fatto che l’Unione Sovietica abbia cercato di evitare di affrontare il conflitto crescente il più a lungo possibile e non fosse disposta a combattere fianco a fianco con la Germania era il motivo per cui il vero contatto tra le truppe sovietiche e tedesche avveniva molto più a est dei confini concordato nel protocollo segreto. Non si trovava sul fiume Vistola, ma più vicino alla cosiddetta Curzon Line, che nel 1919 fu raccomandata dalla Triple Intente come confine orientale della Polonia.

Come è noto, non ha senso usare l’umore congiuntivo quando parliamo degli eventi passati. Dirò solo che, nel settembre del 1939, la leadership sovietica ebbe l’opportunità di spostare i confini occidentali dell’URSS ancora più a ovest, fino a Varsavia, ma decise di non farlo.

I tedeschi hanno suggerito di formalizzare il nuovo status quo. Il 28 settembre 1939 Joachim von Ribbentrop e V. Molotov firmarono a Mosca il Trattato di confine e di amicizia tra la Germania e l’Unione Sovietica , nonché il protocollo segreto sulla modifica del confine di stato, secondo il quale il confine era riconosciuto al limite delimitato dove i due eserciti si trovavano di fatto.

Nell’autunno del 1939, l’Unione Sovietica, perseguendo i suoi obiettivi strategici militari e difensivi, iniziò il processo di incorporazione di Lettonia, Lituania ed Estonia. La loro adesione all’URSS è stata attuata su base contrattuale, con il consenso delle autorità elette. Ciò era in linea con il diritto internazionale e statale di quel tempo. Inoltre, nell’ottobre 1939, la città di Vilna e l’area circostante, che in precedenza aveva fatto parte della Polonia, furono restituite in Lituania. Le repubbliche baltiche all’interno dell’URSS conservarono i loro corpi di governo, la loro lingua e rappresentarono le strutture statali superiori dell’Unione Sovietica.

Durante tutti questi mesi ci fu una lotta diplomatica e politico-militare invisibile in corso e un lavoro di intelligence. Mosca capì che stava affrontando un nemico feroce e crudele e che una guerra segreta contro il nazismo stava già accadendo. E non c’è motivo di prendere dichiarazioni ufficiali e note formali sul protocollo di quel tempo come prova di “amicizia” tra URSS e Germania. L’Unione Sovietica aveva contatti commerciali e tecnici attivi non solo con la Germania, ma anche con altri paesi. Considerando che Hitler tentò ancora e ancora di attirare l’Unione Sovietica nello scontro della Germania con il Regno Unito. Ma il governo sovietico rimase fermo.

L’ultimo tentativo di persuadere l’URSS ad agire insieme fu fatto da Hitler durante la visita di Molotov a Berlino nel novembre 1940. Ma Molotov seguì accuratamente le istruzioni di Stalin e si limitò a una discussione generale sull’idea tedesca dell’Unione Sovietica che si univa al Patto tripartito firmato da Germania, Italia e Giapponenel settembre 1940 e diretto contro il Regno Unito e gli Stati Uniti. Non c’è da stupirsi che già il 17 novembre Molotov abbia dato le seguenti istruzioni al rappresentante plenipotenziario sovietico a Londra Ivan Maisky: “Per vostra informazione … Nessun accordo è stato firmato o era destinato a essere firmato a Berlino. Abbiamo appena scambiato le nostre opinioni a Berlino … e questo è stato tutti … Apparentemente, i tedeschi e i giapponesi sembrano ansiosi di spingerci verso il Golfo e l’India. Abbiamo rifiutato la discussione su questa questione poiché riteniamo inappropriati tali consigli da parte della Germania. ” E il 25 novembre la leadership sovietica lo ha definito del tutto un giorno presentando ufficialmente a Berlino le condizioni inaccettabili per i nazisti, tra cui il ritiro delle truppe tedesche dalla Finlandia, il trattato di mutua assistenza tra Bulgaria e URSS e un certo numero di altre . Pertanto ha deliberatamente escluso qualsiasi possibilità di aderire al Patto. Tale posizione ha sicuramente plasmato l’intenzione del Fuehrer di scatenare una guerra contro l’URSS. E già a dicembre, mettendo da parte gli avvertimenti dei suoi strateghi sul disastroso pericolo di una guerra a due fronti, Hitler approvò il piano Barbarossa. Lo fece con la consapevolezza che l’Unione Sovietica era la forza maggiore che gli si opponeva in Europa e che l’imminente battaglia in Oriente avrebbe deciso l’esito della guerra mondiale. E non aveva dubbi sulla rapidità e il successo della campagna di Mosca.

E qui vorrei evidenziare quanto segue: i paesi occidentali, infatti, concordarono in quel momento con le azioni sovietiche e riconobbero l’intenzione dell’Unione Sovietica di garantire la sua sicurezza nazionale. In effetti, il 1 ° ottobre 1939 Winston Churchill, il Primo Lord dell’Ammiragliato allora, nel suo discorso alla radio disse: “La Russia ha perseguito una fredda politica di interesse personale … Ma che gli eserciti russi dovrebbero stare su questa linea [si intende il nuovo confine occidentale] era chiaramente necessario per la sicurezza della Russia contro la minaccia nazista “. Il 4 ottobre 1939, parlando alla House of Lords, il segretario agli Esteri britannico Halifax disse: “… va ricordato che le azioni del governo sovietico furono di spostare il confine essenzialmente sulla linea raccomandata alla Conferenza di Versailles da Lord Curzon …

Nelle comunicazioni informali con il rappresentante plenipotenziario sovietico Maisky, i diplomatici britannici e i politici di alto livello hanno parlato ancora più apertamente. Il 17 ottobre 1939 il Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri RA Butler gli confidò che i circoli del governo britannico credevano che non ci sarebbe stata alcuna possibilità di riportare l’Ucraina occidentale e la Bielorussia in Polonia. Secondo lui, se fosse stato possibile creare una Polonia etnografica di dimensioni modeste con una garanzia non solo dell’URSS e della Germania, ma anche della Gran Bretagna e della Francia, il governo britannico si sarebbe ritenuto abbastanza soddisfatto. Il 27 ottobre 1939, il consigliere senior di Chamberlain H.Wilson affermò che la Polonia doveva essere ripristinata come stato indipendente sulla base etnografica, ma senza l’Ucraina occidentale e la Bielorussia.

Vale la pena notare che nel corso di queste conversazioni sono state anche esplorate le possibilità di migliorare le relazioni britannico-sovietiche. Questi contatti hanno ampiamente gettato le basi per la futura alleanza e la coalizione anti-Hitler. Churchill si distinse tra altri politici responsabili e lungimiranti e, nonostante la sua famigerata antipatia per l’URSS, era stato a favore della cooperazione con i sovietici anche prima. Nel maggio del 1939, disse alla Camera dei Comuni, “Saremo in pericolo mortale se non riuscissimo a creare una grande alleanza contro l’aggressione. La peggiore follia sarebbe quella di scacciare qualsiasi cooperazione naturale con la Russia sovietica”. E dopo l’inizio delle ostilità in Europa, al suo incontro con Maisky il 6 ottobre 1939, confidò che non c’erano contraddizioni serie tra Regno Unito e URSS e, quindi, non c’era motivo di relazioni tese o insoddisfacenti. Ha anche detto che il governo britannico era ansioso di sviluppare relazioni commerciali e disposto a discutere qualsiasi altra misura che potesse migliorare le relazioni.

La seconda guerra mondiale non è avvenuta dall’oggi al domani, né è iniziata inaspettatamente o all’improvviso. E l’aggressione tedesca contro la Polonia non era dal nulla. Fu il risultato di una serie di tendenze e fattori della politica mondiale di quel tempo. Tutti gli eventi prebellici andarono a posto per formare una catena fatale. Ma, senza dubbio, i principali fattori che hanno predeterminato la più grande tragedia nella storia dell’umanità sono stati l’egoismo di stato, la codardia, la pacificazione dell’aggressore che stava guadagnando forza e la riluttanza delle élite politiche a cercare un compromesso.

Pertanto, è ingiusto affermare che la visita di due giorni a Mosca del ministro degli Esteri nazista Ribbentrop sia stata la ragione principale dell’inizio della seconda guerra mondiale. Tutti i paesi leader sono in una certa misura responsabili del suo scoppio. Ognuno di loro ha commesso errori fatali, credendo con arroganza di poter superare in astuzia gli altri, assicurarsi vantaggi unilaterali per se stesso o stare lontano dall’imminente catastrofe mondiale. E questa miopia, il rifiuto di creare un sistema di sicurezza collettiva è costato milioni di vite e perdite tremende.

Detto questo, non intendo assolutamente assumere il ruolo di giudice, accusare o assolvere chiunque, per non parlare dell’avvio di un nuovo ciclo di confronto internazionale di informazioni nel campo storico che potrebbe mettere i paesi e le persone ai margini. Credo che siano gli accademici con un’ampia rappresentanza di scienziati rispettati provenienti da diversi paesi del mondo a cercare una valutazione equilibrata di ciò che è accaduto. Tutti abbiamo bisogno della verità e dell’obiettività. Da parte mia, ho sempre incoraggiato i miei colleghi a costruire un dialogo calmo, aperto e basato sulla fiducia, per guardare al passato comune in modo autocritico e imparziale. Tale approccio consentirà di non ripetere gli errori commessi allora e di garantire uno sviluppo pacifico e di successo per gli anni a venire.

Tuttavia, molti dei nostri partner non sono ancora pronti per il lavoro congiunto. Al contrario, perseguendo i loro obiettivi, aumentano il numero e la portata degli attacchi informativi contro il nostro paese, cercando di farci fornire scuse e sentirci in colpa, e adottare dichiarazioni completamente ipocrite e motivate politicamente. Pertanto, ad esempio, la risoluzione sull’importanza del ricordo europeo per il futuro dell’Europa, approvata dal Parlamento europeo il 19 settembre 2019, ha accusato direttamente l’URSS insieme alla Germania nazista di scatenare la seconda guerra mondiale. Inutile dire che non si fa menzione di Monaco.

Credo che tali “scartoffie” – poiché non posso chiamare questa risoluzione un documento – che è chiaramente inteso a provocare uno scandalo, sono piene di minacce reali e pericolose. In effetti, è stato adottato da un’istituzione di tutto rispetto. E cosa mostra questo? Purtroppo, questo rivela una politica deliberata volta a distruggere l’ordine mondiale del dopoguerra, la cui creazione è stata una questione di onore e responsabilità per gli Stati, un numero di rappresentanti dei quali hanno votato oggi a favore di questa ingannevole risoluzione. Pertanto, hanno contestato le conclusioni del Tribunale di Norimberga e gli sforzi della comunità internazionale per creare dopo le vittoriose istituzioni internazionali universali del 1945. Consentitemi di ricordare al riguardo che il processo stesso di integrazione europea che porta alla creazione di strutture pertinenti, incluso il Parlamento europeo, è diventato possibile solo grazie agli insegnamenti tratti dal passato e alla sua accurata valutazione giuridica e politica. E coloro che mettono deliberatamente in discussione questo consenso minano le basi dell’intera Europa postbellica.

Oltre a rappresentare una minaccia ai principi fondamentali dell’ordine mondiale, ciò solleva anche alcune questioni morali ed etiche. Dissacrare e insultare la memoria è meschino. La meschinità può essere deliberata, ipocrita e piuttosto intenzionale come nella situazione delle dichiarazioni commemorative del 75 °anniversario della fine della seconda guerra mondiale menzionare tutti i partecipanti alla coalizione anti-Hitler ad eccezione dell’Unione Sovietica. La meschinità può essere codarda come nella situazione in cui i monumenti eretti in onore di coloro che hanno combattuto contro il nazismo vengono demoliti e questi atti vergognosi sono giustificati dai falsi slogan della lotta contro un’ideologia sgradita e una presunta occupazione. La cattiveria può anche essere sanguinosa come nella situazione in cui coloro che escono contro i neonazisti e i successori di Bandera vengono uccisi e bruciati. Ancora una volta, la cattiveria può avere manifestazioni diverse, ma ciò non lo rende meno disgustoso.

Trascurare le lezioni della storia porta inevitabilmente a un duro rimborso. Sosterremo fermamente la verità sulla base di fatti storici documentati. Continueremo ad essere onesti e imparziali sugli eventi della seconda guerra mondiale. Ciò include un progetto su larga scala per istituire la più grande collezione russa di documenti d’archivio, materiale cinematografico e fotografico sulla storia della seconda guerra mondiale e sul periodo prebellico.

Tale lavoro è già in corso. Molti nuovi materiali, recentemente scoperti o declassificati sono stati usati anche nella preparazione di questo articolo. A questo proposito, posso affermare con tutta la responsabilità che non esistono documenti d’archivio che confermerebbero l’ipotesi che l’URSS intendesse iniziare una guerra preventiva contro la Germania. La leadership militare sovietica seguì davvero una dottrina secondo la quale, in caso di aggressione, l’Armata Rossa avrebbe prontamente affrontato il nemico, avrebbe iniziato l’offensiva e avrebbe fatto la guerra sul territorio nemico. Tuttavia, tali piani strategici non implicavano alcuna intenzione di attaccare prima la Germania.

Naturalmente, gli storici hanno a disposizione documenti di pianificazione militare, lettere di istruzione del quartier generale sovietico e tedesco. Infine, conosciamo il vero corso degli eventi. Dal punto di vista di questa conoscenza, molti discutono delle azioni, degli errori e dei giudizi errati della leadership militare e politica del Paese. A questo proposito, dirò una cosa: insieme a un enorme flusso di disinformazione di vario genere, i leader sovietici hanno anche ricevuto informazioni vere sull’imminente aggressione nazista. E nei mesi prebellici, hanno preso provvedimenti per migliorare la prontezza al combattimento del paese, incluso il reclutamento segreto di una parte dei responsabili del servizio militare per l’addestramento militare e la ridistribuzione di unità e riserve dai distretti militari interni ai confini occidentali .

La guerra non è stata una sorpresa, la gente se l’aspettava, preparandosi. Ma l’attacco nazista era davvero senza precedenti in termini di potere distruttivo. Il 22 giugno 1941, l’Unione Sovietica affrontò l’esercito più forte, più mobilitato e competente del mondo con il potenziale industriale, economico e militare di quasi tutta l’Europa che lavorava per esso. Non solo la Wehrmacht, ma anche i satelliti tedeschi, contingenti militari di molti altri stati del continente europeo, hanno preso parte a questa invasione mortale.

Le più gravi sconfitte militari nel 1941 portarono il paese sull’orlo della catastrofe. Il potere di combattimento e il controllo dovevano essere ripristinati con mezzi estremi, mobilitazione a livello nazionale e intensificazione di tutti gli sforzi dello stato e del popolo. Nell’estate del 1941, milioni di cittadini, centinaia di fabbriche e industrie iniziarono ad essere evacuate sotto il fuoco nemico ad est del paese. La produzione di armi e munizioni, che aveva iniziato ad essere fornita al fronte già nel primo inverno militare, fu lanciata nel più breve tempo possibile e, nel 1943, i tassi di produzione militare della Germania e dei suoi alleati furono superati. Entro sei mesi, il popolo sovietico fece qualcosa che sembrava impossibile. Sia in prima linea che in casa. È ancora difficile capire, capire e immaginare quali incredibili sforzi, coraggio,

L’enorme potere della società sovietica, unito dal desiderio di proteggere la loro terra natale, si ribellò contro la potente macchina d’invasione nazista a sangue freddo, armata fino ai denti. Si alzò per vendicarsi del nemico, che aveva spezzato, calpestato la vita pacifica, i piani e le speranze della gente.

Certo, paura, confusione e disperazione stavano prendendo il sopravvento su alcune persone durante questa terribile e sanguinosa guerra. Ci furono tradimento e diserzione. La dura scissione causata dalla rivoluzione e dalla guerra civile, dal nichilismo, dalla beffa della storia nazionale, dalle tradizioni e dalla fede che i bolscevichi tentarono di imporre, specialmente nei primi anni dopo l’ascesa al potere – tutto ciò ebbe il suo impatto. Ma l’atteggiamento generale della maggioranza assoluta dei cittadini sovietici e dei nostri compatrioti che si sono trovati all’estero era diverso: salvare e proteggere la Patria. Fu un impulso reale e irrefrenabile. Le persone cercavano supporto nei veri valori patriottici.

Gli “strateghi” nazisti erano convinti che un enorme stato multinazionale potesse essere facilmente portato al tallone. Pensavano che l’improvviso scoppio della guerra, la sua spietatezza e le insopportabili difficoltà avrebbero inevitabilmente aggravato le relazioni interetniche. E che il paese potrebbe essere diviso in pezzi. Hitler dichiarò chiaramente: “La nostra politica nei confronti dei popoli che vivono nella vastità della Russia dovrebbe essere quella di promuovere qualsiasi forma di disaccordo e divisione”.

Ma fin dai primi giorni, era chiaro che il piano nazista aveva fallito. La fortezza di Brest è stata protetta fino all’ultima goccia di sangue dai suoi difensori di oltre 30 etnie. Durante la guerra, l’impresa del popolo sovietico non conobbe confini nazionali, sia nelle battaglie decisive su larga scala che nella protezione di ogni punto d’appoggio, ogni metro di terra natia.

La regione del Volga e gli Urali, la Siberia e l’Estremo Oriente, le repubbliche dell’Asia centrale e della Transcaucasia divennero la dimora di milioni di sfollati. I loro residenti condividevano tutto ciò che avevano e fornivano tutto il supporto possibile. L’amicizia dei popoli e l’aiuto reciproco sono diventati una vera fortezza indistruttibile per il nemico.

L’Unione Sovietica e l’Armata Rossa, indipendentemente da ciò che qualcuno sta cercando di dimostrare oggi, hanno dato il contributo principale e cruciale alla sconfitta del nazismo. Questi erano eroi che combatterono fino alla fine circondati dal nemico a Bialystok e Mogilev, Uman e Kiev, Vyazma e Kharkov. Hanno lanciato attacchi vicino a Mosca e Stalingrado, Sebastopoli e Odessa, Kursk e Smolensk. Liberarono Varsavia, Belgrado, Vienna e Praga. Hanno preso d’assalto Koenigsberg e Berlino.

Contendiamo verità autentiche, non verniciate o imbiancate sulla guerra. Questa verità umana, nazionale, dura, amara e spietata, ci è stata tramandata da scrittori e poeti che hanno attraversato il fuoco e l’inferno delle prove sul fronte. Per la mia generazione, così come per gli altri, le loro storie oneste e profonde, i romanzi, la penetrante prosa di trincea e le poesie hanno lasciato il segno nella mia anima per sempre. Onorare i veterani che hanno fatto tutto il possibile per la Vittoria e ricordare coloro che sono morti sul campo di battaglia è diventato il nostro dovere morale.

E oggi, il semplice e grande nelle sue linee essenziali del poema di Alexander Tvardovsky “Sono stato ucciso vicino a Rzhev …” dedicato ai partecipanti alla sanguinosa e brutale battaglia della Grande Guerra Patriottica al centro della prima linea sovietico-tedesca sono sorprendenti. Solo nelle battaglie per Rzhev e Rzhevsky Salient dall’ottobre 1941 al marzo 1943, l’Armata Rossa perse 1.154, 698 persone, tra cui feriti e dispersi. Per la prima volta, chiamo queste figure terribili, tragiche e tutt’altro che complete raccolte da fonti d’archivio. Lo faccio per onorare il ricordo dell’impresa di eroi noti e senza nome, che per varie ragioni erano immeritatamente e ingiustamente poco discussi o non menzionati affatto negli anni del dopoguerra.

Lascia che ti citi un altro documento. Questo è un rapporto del febbraio 1954 sulla riparazione dalla Germania della Commissione Alleata per le riparazioni guidata da Ivan Maisky. Il compito della Commissione era definire una formula in base alla quale la Germania sconfitta avrebbe dovuto pagare per i danni subiti dai poteri vincitori. La Commissione ha concluso che “il numero di giorni di soldato trascorsi dalla Germania sul fronte sovietico è almeno 10 volte superiore a quello di tutti gli altri fronti alleati. Il fronte sovietico doveva anche gestire i quattro quinti dei carri armati tedeschi e circa i due terzi di Aereo tedesco “. Nel complesso, l’URSS rappresentava circa il 75% di tutti gli sforzi militari intrapresi dalla coalizione anti-Hitler. Durante il periodo di guerra, l’Armata Rossa “raddrizzò” 626 divisioni degli Stati dell’Asse, di cui 508 tedeschi.

Il 28 aprile 1942, Franklin D. Roosevelt disse nel suo discorso alla nazione americana: “Queste forze russe hanno distrutto e stanno distruggendo più potenza armata dei nostri nemici – truppe, aerei, carri armati e pistole – di tutte le altre Nazioni Unite mettere insieme”. Winston Churchill nel suo messaggio a Joseph Stalin del 27 settembre 1944, scrisse “è l’esercito russo che ha strappato le viscere alla macchina militare tedesca …”.

Tale valutazione ha risuonato in tutto il mondo. Perché queste parole sono la grande verità, di cui nessuno dubitava allora. Quasi 27 milioni di cittadini sovietici persero la vita sui fronti, nelle carceri tedesche, morirono di fame e furono bombardati, morirono nei ghetti e nelle fornaci dei campi di sterminio nazisti. L’URSS ha perso uno su sette dei suoi cittadini, il Regno Unito ha perso uno su 127 e gli Stati Uniti hanno perso uno su 320. Sfortunatamente, questa cifra delle perdite più gravi e gravi dell’Unione Sovietica non è esaustiva. Il lavoro scrupoloso dovrebbe essere continuato per ripristinare i nomi e le sorti di tutti coloro che sono morti: soldati dell’Armata Rossa, partigiani, combattenti sotterranei, prigionieri di guerra e campi di concentramento e civili uccisi dagli squadroni della morte. È nostro dovere E qui, membri del movimento di ricerca, associazioni militari-patriottiche e di volontariato, progetti come il database elettronico “Pamyat Naroda”, che contiene documenti d’archivio, svolgono un ruolo speciale. E, sicuramente, è necessaria una stretta cooperazione internazionale in un compito umanitario così comune.

Gli sforzi di tutti i paesi e tutti i popoli che hanno combattuto contro un nemico comune hanno portato alla vittoria. L’esercito britannico ha protetto la sua patria dall’invasione, ha combattuto i nazisti e i loro satelliti nel Mediterraneo e nel Nord Africa. Le truppe americane e britanniche liberarono l’Italia e aprirono il Secondo Fronte. Gli Stati Uniti hanno commesso potenti e devastanti attacchi contro l’aggressore nell’Oceano Pacifico. Ricordiamo gli enormi sacrifici fatti dal popolo cinese e il loro grande ruolo nella sconfitta dei militaristi giapponesi. Non dimentichiamo i combattenti di Fighting France, che non si innamorarono della vergognosa capitolazione e continuarono a combattere contro i nazisti.

Inoltre saremo sempre grati per l’assistenza fornita dagli Alleati nel fornire all’Armata Rossa munizioni, materie prime, cibo e attrezzature. E quell’aiuto fu significativo – circa il 7 percento della produzione militare totale dell’Unione Sovietica.

Il nucleo della coalizione anti-Hitler iniziò a prendere forma immediatamente dopo l’attacco all’Unione Sovietica, dove gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lo sostenevano incondizionatamente nella lotta contro la Germania di Hitler. Alla conferenza di Teheran del 1943, Stalin, Roosevelt e Churchill formarono un’alleanza di grandi potenze, accettarono di elaborare la diplomazia della coalizione e una strategia comune nella lotta contro una comune minaccia mortale. I leader dei Big Three avevano una chiara comprensione del fatto che l’unificazione delle capacità industriali, di risorse e militari dell’URSS, degli Stati Uniti e del Regno Unito darà una supremazia incontrastata al nemico.

L’Unione Sovietica ha adempiuto pienamente ai suoi obblighi verso i suoi alleati e ha sempre offerto una mano. Pertanto, l’Armata Rossa ha sostenuto lo sbarco delle truppe anglo-americane in Normandia effettuando un’operazione Bagration su larga scala in Bielorussia. Nel gennaio del 1945, avendo sfondato il fiume Oder, pose fine all’ultima potente offensiva della Wehrmacht sul fronte occidentale delle Ardenne. Tre mesi dopo la vittoria sulla Germania, l’URSS, in pieno accordo con gli accordi di Yalta, dichiarò guerra al Giappone e sconfisse l’esercito di Kwantung, che aveva un milione di abitanti.

Nel luglio del 1941, la leadership sovietica dichiarò che lo scopo della guerra contro gli oppressori fascisti non era solo l’eliminazione della minaccia che incombeva sul nostro paese, ma aiutava anche tutti i popoli d’Europa che soffrivano sotto il giogo del fascismo tedesco. Entro la metà del 1944, il nemico fu espulso praticamente da tutto il territorio sovietico. Tuttavia, il nemico doveva essere finito nella sua tana. E così l’Armata Rossa iniziò la sua missione di liberazione in Europa. Ha salvato intere nazioni dalla distruzione e dalla schiavitù e dall’orrore dell’Olocausto. Furono salvati al costo di centinaia di migliaia di vite di soldati sovietici.

È anche importante non dimenticare l’enorme assistenza materiale fornita dall’URSS ai paesi liberati per eliminare la minaccia della fame e ricostruire le loro economie e infrastrutture. Ciò avveniva quando le ceneri si estendevano per migliaia di miglia da Brest a Mosca e al Volga. Ad esempio, nel maggio del 1945, il governo austriaco chiese all’URSS di fornire assistenza con il cibo, poiché “non aveva idea di come nutrire la sua popolazione nelle prossime sette settimane prima del nuovo raccolto”. Il cancelliere di stato del governo provvisorio della Repubblica austriaca Karl Renner descrisse il consenso della leadership sovietica a inviare cibo come un atto salvifico che gli austriaci non avrebbero mai dimenticato.

Gli Alleati istituirono congiuntamente il Tribunale militare internazionale per punire i criminali nazisti politici e di guerra. Le sue decisioni contenevano una chiara qualificazione giuridica dei crimini contro l’umanità, come il genocidio, la pulizia etnica e religiosa, l’antisemitismo e la xenofobia. Direttamente e senza ambiguità, il Tribunale di Norimberga ha anche condannato i complici dei nazisti, collaboratori di vario genere.

Questo vergognoso fenomeno si è manifestato in tutti i paesi europei. Figure come Pétain, Quisling, Vlasov, Bandera, i loro scagnozzi e seguaci – sebbene fossero travestiti da combattenti per l’indipendenza nazionale o la libertà dal comunismo – sono traditori e macellatori. Nella disumanità, hanno spesso superato i loro padroni. Nel loro desiderio di servire, come parte di speciali gruppi punitivi, eseguirono volentieri gli ordini più disumani. Erano responsabili di eventi sanguinosi come le sparatorie di Babi Yar, il massacro di Volhynia, l’incendio di Khatyn, gli atti di distruzione di ebrei in Lituania e Lettonia.

Anche oggi la nostra posizione rimane invariata: non ci possono essere scuse per gli atti criminali dei collaboratori nazisti, per loro non esiste uno statuto di limitazioni. È quindi sorprendente che in alcuni paesi coloro che sono sorrisi dalla cooperazione con i nazisti siano improvvisamente equiparati ai veterani della Seconda Guerra Mondiale. Credo che sia inaccettabile equiparare i liberatori con gli occupanti. E posso solo considerare la glorificazione dei collaboratori nazisti come un tradimento della memoria dei nostri padri e nonni. Un tradimento degli ideali che univano i popoli nella lotta contro il nazismo.

A quel tempo, i leader dell’URSS, degli Stati Uniti e del Regno Unito affrontarono, senza esagerare, un compito storico. Stalin , Roosevelt e Churchill rappresentavano i paesi con diverse ideologie, aspirazioni statali, interessi, culture, ma dimostravano una grande volontà politica, si alzavano al di sopra delle contraddizioni e delle preferenze e mettevano in primo piano i veri interessi della pace. Di conseguenza, sono stati in grado di raggiungere un accordo e raggiungere una soluzione di cui tutta l’umanità ha beneficiato.

I poteri vittoriosi ci hanno lasciato un sistema che è diventato la quintessenza della ricerca intellettuale e politica di diversi secoli. Una serie di conferenze – Teheran, Yalta, San Francisco e Potsdam – hanno gettato le basi di un mondo che per 75 anni non ha avuto una guerra globale, nonostante le contraddizioni più acute.

Il revisionismo storico, le cui manifestazioni osserviamo ora in Occidente, e principalmente riguardo al tema della Seconda Guerra Mondiale e al suo esito, è pericoloso perché distorce grossolanamente e cinicamente la comprensione dei principi di sviluppo pacifico, stabiliti a le conferenze di Yalta e San Francisco nel 1945. Il principale risultato storico di Yalta e di altre decisioni dell’epoca è l’accordo per creare un meccanismo che consenta alle potenze leader di rimanere nel quadro della diplomazia nel risolvere le loro differenze.

Il ventesimo secolo ha portato a conflitti globali su vasta scala e nel 1945 sono entrate in scena anche le armi nucleari in grado di distruggere fisicamente la Terra. In altre parole, la risoluzione delle controversie con la forza è diventata pericolosamente pericolosa. E i vincitori della seconda guerra mondiale lo capirono. Hanno capito ed erano consapevoli della propria responsabilità nei confronti dell’umanità.

Il racconto cautelativo della Società delle Nazioni è stato preso in considerazione nel 1945. La struttura del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stata sviluppata in modo da rendere le garanzie di pace il più concrete ed efficaci possibile. È così che sono nati l’istituzione dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza e il diritto di veto come privilegio e responsabilità.

Qual è il potere di veto nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ? Per dirla senza mezzi termini, è l’unica alternativa ragionevole a uno scontro diretto tra i principali paesi. È una dichiarazione di uno dei cinque poteri secondo cui una decisione è inaccettabile e contraria ai suoi interessi e alle sue idee sul giusto approccio. E altri paesi, anche se non sono d’accordo, danno questa posizione per scontata, abbandonando ogni tentativo di realizzare i loro sforzi unilaterali. Quindi, in un modo o nell’altro, è necessario cercare compromessi.

Un nuovo confronto globale è iniziato quasi immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale ed è stato a volte molto feroce. E il fatto che la guerra fredda non sia cresciuta fino alla terza guerra mondiale è diventata una chiara testimonianza dell’efficacia degli accordi conclusi dai Grandi Tre. Le regole di condotta concordate durante la creazione delle Nazioni Unite hanno permesso di minimizzare ulteriormente i rischi e di tenere sotto controllo lo scontro.

Naturalmente, possiamo vedere che il sistema delle Nazioni Unite attualmente sta vivendo una certa tensione nel suo lavoro e non è così efficace come potrebbe essere. Ma l’ONU svolge ancora la sua funzione principale. I principi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sono un meccanismo unico per prevenire una grande guerra o un conflitto globale.

Le richieste che sono state fatte abbastanza spesso negli ultimi anni per abolire il potere di veto, per negare opportunità speciali ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza sono in realtà irresponsabili. Dopotutto, se ciò dovesse accadere, le Nazioni Unite diventerebbero in sostanza la Società delle Nazioni – un incontro per discorsi vuoti senza alcun effetto sui processi mondiali. Come è noto è noto. Ecco perché le potenze vittoriose si avvicinarono alla formazione del nuovo sistema dell’ordine mondiale con la massima serietà cercando di evitare la ripetizione degli errori dei loro predecessori.

La creazione del moderno sistema di relazioni internazionali è uno dei maggiori risultati della seconda guerra mondiale. Anche le contraddizioni più insormontabili – geopolitiche, ideologiche, economiche – non ci impediscono di trovare forme di convivenza pacifica e interazione, se c’è il desiderio e la volontà di farlo. Oggi il mondo sta attraversando un periodo piuttosto turbolento. Tutto sta cambiando, dall’equilibrio globale di potere e influenza ai fondamenti sociali, economici e tecnologici di società, nazioni e persino continenti. In epoche passate, cambiamenti di tale portata non sono quasi mai avvenuti senza importanti conflitti militari. Senza una lotta di potere per costruire una nuova gerarchia globale. Grazie alla saggezza e alla lungimiranza delle figure politiche delle Potenze Alleate, è stato possibile creare un sistema che si è frenato da manifestazioni estreme di tale competizione oggettiva, storicamente inerente allo sviluppo del mondo.

È nostro dovere – tutti coloro che si assumono la responsabilità politica e soprattutto i rappresentanti delle potenze vittoriose nella seconda guerra mondiale – garantire che questo sistema sia mantenuto e migliorato. Oggi, come nel 1945, è importante dimostrare volontà politica e discutere insieme del futuro. I nostri colleghi – Xi Jinping, Macron, Trump e Johnson – hanno appoggiato l’iniziativa russa di tenere una riunione dei leader dei cinque Stati con armi nucleari, membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Li ringraziamo per questo e speriamo che un incontro faccia a faccia possa aver luogo il prima possibile.

Qual è la nostra visione dell’agenda per il prossimo vertice? Innanzitutto, a nostro avviso, sarebbe utile discutere i passi per sviluppare principi collettivi negli affari mondiali. Parlare francamente delle questioni relative al mantenimento della pace, al rafforzamento della sicurezza globale e regionale, al controllo strategico degli armamenti, nonché agli sforzi congiunti per contrastare il terrorismo, l’estremismo e altre importanti sfide e minacce.

Un punto speciale all’ordine del giorno della riunione è la situazione dell’economia globale. E soprattutto, superare la crisi economica causata dalla pandemia di coronavirus. I nostri paesi stanno adottando misure senza precedenti per proteggere la salute e la vita delle persone e per sostenere i cittadini che si sono trovati in situazioni di vita difficili. La nostra capacità di lavorare insieme e in concerto, come veri partner, mostrerà quanto sarà grave l’impatto della pandemia e quanto velocemente l’economia globale emergerà dalla recessione. Inoltre, è inaccettabile trasformare l’economia in uno strumento di pressione e confronto. Le questioni più comuni includono la protezione dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici, oltre a garantire la sicurezza dello spazio informativo globale.

L’agenda proposta dalla Russia per il prossimo vertice dei Cinque è estremamente importante e rilevante sia per i nostri paesi che per il mondo intero. E abbiamo idee e iniziative specifiche su tutti gli articoli.

Non vi è dubbio che il vertice di Russia, Cina , Francia , Stati Uniti e Regno Unito possa svolgere un ruolo importante nel trovare risposte comuni alle sfide e alle minacce moderne e dimostrerà un impegno comune per lo spirito di alleanza, per quegli alti ideali e valori umanistici per i quali i nostri padri e nonni stavano combattendo spalla a spalla.

Attingendo a una memoria storica condivisa, possiamo fidarci l’uno dell’altro e dobbiamo farlo. Ciò servirà come solida base per negoziati di successo e azioni concertate per migliorare la stabilità e la sicurezza del pianeta e per il benessere e il benessere di tutti gli Stati. Senza esagerare, è nostro comune dovere e responsabilità verso il mondo intero, verso le generazioni presenti e future.

Vladimir Putin è Presidente della Federazione Russa. 

VIVA LA MORIA, di Teodoro Klitsche de la Grange

VIVA LA MORIA

Scrive Manzoni che nella Milano appestata i monatti – addetti al trasporto dei malati al lazzaretto e dei cadaveri al cimitero – brindavano allegramente ripetendo “Viva la moria!”, dato che l’epidemia garantiva agli stessi un lavoro continuo e remunerativo, e la connessa possibilità di rubare e di estorcere denaro a malati e parenti. Una delle vittime fu proprio Don Rodrigo derubato dai monatti d’accordo con il Griso. Mentre Renzo, preso dalla folla per untore (ossia diffusore volontario della pestilenza) era protetto dai monatti quale procacciatore d’affari dei medesimi.

Il contegno dei monatti è da non dimenticare perché per ogni situazione, anche quella più luttuosa, c’è sempre qualcuno che ci guadagna, e non solo l’erario, come mi è capitato di scrivere poco tempo fa, citando Puviani e Pareto. Qualche tempo dopo il terremoto d’Abruzzo, destò scandalo la registrazione della telefonata di un imprenditore edile che esultava nell’apprendere l’entità dei danni provocati dal sisma, che si sarebbero tradotti – per lui – in appalti e commesse per la ricostruzione.

Indubbiamente alcuni settori hanno già beneficiato della pandemia: farmacisti, industrie farmaceutiche, imprese di pulizia, industrie tessili convertitesi alle mascherine e così via. Ma dato il rapporto chiaro e diretto tra evento e beneficio relativo non v’è ragione di alzare la guardia. Che invece occorre in altri, meno diretti, rapporti tra virus, poteri pubblici e beneficiari della spesa (tax-consommers).

Sarà, ma quel gran parlare della novità, del mondo nuovo, di ricostruire dopo la pandemia sembra, o può diventare l’ouverture di una (prossima) grande abbuffata.

Ricorda il prof. Conte che il nostro è il Paese della bellezza (ovvio) e per farlo crescere – anzi ripartire – occorre la “modernizzazione”, la “transizione ecologica” e l’ “inclusione sociale, territoriale e di genere” (quest’ultima non poteva mancare).

Tutte ovvietà, ed alcuni idola esclusivi della sinistra. Per sostenere questi “tre pilastri” del rilancio, qualche euro è già disponibile ma altre spese “dobbiamo deciderle e per la redistribuzione delle somme, se non abbiamo progetti concreti, misure di impatto, non andiamo da nessuna parte” (fonte: qui finanza).

Il prof. Conte si regge con una maggioranza il cui socio principale, non in parlamento, ma nell’elettorato è il PD che nella quasi trentennale stasi italiana da cui ri-partire, ri-distribuire, ri-progettare (e via ri-partendo e ri-parlando) ha grandi responsabilità, onde come partner della ri-costruzione è poco credibile. Dato tale pilastro del governo il nuovo facilmente sarà la ri-edizione del vecchio copione (cambiati titoli, colori e al limite la punteggiatura). C’è da dire peraltro che proprio la vaghezza e ovvietà dei propositi non fa presagire granché di nuovo né di travolgente.

Quello che però conta è che propositi vaghi possono attrarre perché una volta determinati – e dotati delle idonee provviste monetarie, merito (anche) di un’Europa meno avara del consueto – suscitano vere folle di candidati alla ri-distribuzione, non solo disoccupati, cassintegrati, partite IVA, ma anche (soprattutto) fornitori dei beni e servizi di ri-costruzione.

Cioè attirano una folla di tax-consommers i quali, come dicono in Spagna si attivano a buscar un lugar en el presupuesto, ossai a trovare una nicchia nel bilancio ed essendo questo all’uopo abbondantemente fornito, hanno una ricerca facile.

Ciò che per i contribuenti italiani è assunzione di obblighi e pesi, per quelli costituisce guadagni e affari. È prevedibile che quindi la lotta per la re-distribuzione sarà ampia e dura e l’unico a soccombere il contribuente.

Accanto ad alcune iniziative logiche (investire per un vaccino) già se ne sentono altre che appaiono meno confortate dall’esperienza e dalla logica.

Come quella che l’inquinamento avrebbe provocato (o almeno aiutato) il virus. Ma l’umanità è stata funestata da millenni di pestilenze e non risulta che i contemporanei di Renzo, di Boccaccio o di Marco Aurelio bruciassero, come facciamo noi, miliardi di tonnellate di carbone, gas, petrolio.

E gli italiani che di sprechi (pubblici) ne hanno sopportati tanti, tutti motivati dalle buone intenzioni dei governanti e dei tax-consommers, devono vigilare perché i sacrifici richiesti a tutti non si risolvano in benefici per pochi.

Teodoro Klitsche de la Grange

Pandemia Tra bioetica e biopolitica, di Giulio de Martino

Pandemia

Tra bioetica e biopolitica

di Giulio de Martino

 

La pandemia provocata dal virus SARS-COV 2 avrà rilevanti implicazioni in relazione alle principali aree della bioetica. Se assumiamo il campo bioetico in una accezione larga e lo dividiamo in bioetica umana (a sua volta differenziabile in bioetica medica e in bioetica sociale) e in ecoetica (divisbile in bioetica animale e in bioetica ambientale) risulterà evidente come le vicende degli ultimi quattro mesi abbiano proposto riflessioni e sfide in tutti e quattro gli ambiti. Certo sarà opportuno, in linea di metodo, tenere distinte le questioni etiche e deontologiche dai casi e dalle situazioni particolari, ma l’urgenza dei fatti non potrà essere ignorata.

Nell’ambito della bioetica medica, le maggiori implicazioni derivanti dal COVID-19 sono quelle relative alle «cure mediche» e al «fine vita» e quindi alle problematiche del «consenso informato» e dei «diritti del paziente». Molti aspetti sono già stati analizzati al proposito[1]. Qui accenno, soltanto, al tema scottante del «danno iatrogeno», vale a dire alle questioni di bad therapy – dovute alla incertezza dei protocolli diagnostici, prognostici e terapeutici – e di bad practice – dovute alla inadeguatezza dei modelli organizzativi – comunque subordinate alla responsabilità e all’azione del personale sanitario[2]. Nella loro tipicità si tratta di questioni di etica e deontologia, nei fatti vediamo che su di esse – in contesti locali e in vicende particolari – si è annunciato l’intervento della magistratura per i risvolti penali e assicurativi che rivestono. In alcuni casi, infatti, l’intervento sanitario potrebbe aver favorito – senza dolo, né colpa – il contagio di pazienti collocati in ambienti protetti, come le R.S.A., o ricoverati presso altri reparti degli stessi ospedali[3].

In ambito di teoria politica, si è discusso del carattere «autoritario» delle misure di contenimento dell’epidemia: il divieto di spostamento, l’obbligo di quarantena non specificamente connesso a diagnosi e, in contesto ospedaliero, il divieto di visita ai congiunti malati, la rinuncia all’autopsia dei deceduti, addirittura la distruzione dei cadaveri. Tutte vicende che hanno fatto paventare un ritorno a modelli paternalistici di conduzione dell’azione medica e sanitaria e, secondo alcuni, avrebbero provocato una perversa osmosi fra il nuovo «paternalismo medico» e l’«autoritarismo» conforme il «paradigma biopolitico»[4].

In generale, nei mass media, si è dato maggiore risalto alle questioni politiche e giuridiche relative al Lockdown – e alla connessa restrizione dei diritti di privacy e di libertà – rispetto a stringenti argomenti di etica medica. Per lo più, le misure derivanti dai DPCM, dalle segnalazioni di contagiosità e dal tracciamento dei presunti «infetti» sono state discusse alla luce delle norme Costituzionali relative ai diritti personali (artt. 13 e successivi)[5].

Importante è lo specifico risvolto di bioetica sociale che è emerso in relazione alle sollecitazioni al «comportamento responsabile» dei cittadini e quindi l’invito alla «quarantena» volontaria e all’«autoisolamento» fiduciario. Si tratta di comportamenti eticamente rilevanti che sono stati prescritti – anche senza il rinforzo della sanzione penale – a coloro che, in assenza di diagnosi differenziali, venivano invitati a porsi in auto-isolamento e a indossare i D.P.I. allo scopo di non diffondere il contagio. Anche le auto-attestazioni in merito allo stato di necessità, o allo stato di salute, per giustificare gli spostamenti durante il Lockdown, potrebbero essere interpretate come derivanti dal combinato disposto di una norma coercitiva e di un appello alla sensibilità etica dei cittadini.

Invece, in contesto ecoetico e di bioetica animale, ha fatto irruzione la questione della zoonoosi del virus SARS-COV 2 e del suo «Spillover». Il problema è annoso e ampio: le zoonosi attualmente conosciute sono oltre 200 e comprendono infezioni e infestazioni di natura batterica, virale, parassitaria e provocante da bioagenti anomali come i prioni. Tali evenienze biologiche, negli ultimi decenni – per l’intensificarsi degli scambi commerciali di animali e dei prodotti di origine animale tra i diversi Paesi del mondo – hanno acquisito un’importanza crescente ed il loro studio costituisce uno dei settori in maggiore evoluzione della medicina umana e veterinaria. Nel nostro caso, il pipistrello e il pangolino – come ospite intermedio – avrebbero innescato una catena patogenetica che sarebbe stata del tutto improbabile nella originaria separazione degli ambienti biologici e degli ecosistemi terresti[6].

Da ultimo, segnalo le questioni di bioetica ambientale già emerse per le ricadute sulla salute umana dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua e per la diffusione nell’ambiente di materiale chimico e di particolato di metalli. In alcuni casi, tali emergenze hanno fatto pensare a forme collaterali di interconnessione tra la diffusione pandemica dell’epidemia COVID-19 e la conformazione dell’ambiente abiotico nelle aree di maggiore urbanizzazione[7]. Chiarito che non si deve stabilire alcuna correlazione causale di tipo microbiologico tra l’inquinamento chimico e ambientale e la diffusione del SARS-COV 2, si dovrà comunque mettere in evidenza la componente socio-economica dell’antropizzazione crescente del Pianeta. Infatti è stato possibile individuare modalità di produzione, trasporto e consumo, di merci e di persone, che sono state vettori della diffusione epidemica del nuovo virus e di altri agenti patogeni[8].

Non si tratta di argomenti sconosciuti. In relazione a epoche remote, la storiografia e la storia della medicina hanno già stabilito legami concausali fra gli eventi militari e socio-economici e le emergenze di tipo sanitario e biologico. Il fatto nuovo sarebbe costituito dalla fine della percezione di «sicurezza sanitaria» dei Paesi Occidentali – rispetto alle problematiche epidemiche presenti in altri Continenti – che è stata propria della seconda metà del ‘900[9].

Nel contesto pandemico e post-pandemico, la bioetica Occidentale è chiamata – dopo la prolungata attenzione rivolta alle questioni relative alle malattie croniche e degenerative e alle pratiche dei diritti in campo medico e sanitario – a porre di nuovo in discussione i modelli etici e sociali correlati alle malattie infettive: alla loro diagnosi, cura e diffusione. Dopo la endemizzazione dei virus HCV e HIV, con il nuovo corona-virus la tematica sanitaria e la riflessione bioetica si connettono in modo nuovo sia alle questioni mediche che a quelle socio-ambientali.

 

 

[1] Vedi una rassegna dei più recenti temi di etica medica in: “Consulta di Bioetica onlus”, sezione COVID-19: https://www.consultadibioetica.org/covid-19/.

[2]  Vedi: Ivan Cavicchi, “L’ospedale ai tempi del virus”, in: “quotidianosanità.it”, 02.03.2020.

[3] Vedi: AA.VV., “Responsabilità medica. La gestione della pandemia”, in: “Diritto.it”, 15 giugno 2020.

[4] Vedi: Alessandra Garibotti, Dal paternalismo medico al paternalismo giudiziale, in: “Rivista Italiana di Medicina Legale e del Diritto in campo sanitario”, Anno 2014, Fascicolo n. 4, Milano, Giuffrè; Davide Grasso, “Agamben, il coronavirus e lo stato di eccezione”, in: “minima&moralia”, giovedì, 27 febbraio 2020.

[5] Vedi: Sabino Cassese, “La pandemia non è una guerra. I pieni poteri al governo non sono legittimi”, su: “Il dubbio” quotidiano, 14 aprile 2020; Vittorio Pelligra, “Se l’occasione pandemica ci fa riflettere sulle nostre libertà”, su: “Il Sole 24 ore”, 17 maggio 2020.

 

[6] Vedi: Sara Gonzàlez, “Zoonoses: Animals and Major Pandemics in History”, in: “Open Mind”, BBVA’s knowledge community, 13 April 2020.

[7]  Vedi: Suresh V. Kuchipudi, “Why So Many Epidemics Originate in Asia and Africa”, in: “USnews”, March 4, 2020.

[8] Vedi: Ilaria Capua, Il dopo, Milano, Mondadori, 2020.

[9] Vedi:, Mario Arturo Ruiz Estrada, Khan Alam, “Globalization and Pandemics: The Case of COVID-19”, March 25, 2020, SSRN: https://ssrn.com/abstract=3560681; Centre on Global Change and Health, Lance Saker, Kelley Lee, Barbara Cannito, Anna Gilmore, Diarmid Campbell-Lendrum, Globalization and infectious diseases: A review of the linkages, London School of Hygiene & Tropical Medicine, 2019.

DEL GATTO E DEL TOPO, di Pierluigi Fagan

DEL GATTO E DEL TOPO. La frase: “Non importa se il gatto è bianco o nero, purché catturi i topi” è attribuita a Deng Xiaoping. Ma compare in un testo del 1977 che era un anno prima che Deng diventasse segretario del PCC e compare addirittura in un discorso alla gioventù comunista del ’62, quindi forse è un classico “detto cinese”. Nella metafora, il topo è la prosperità dell’intera società, il gatto è il modo per ottenerla.

Nel 1978 Deng diventerà il capo del gigante povero cinese e da allora condurrà, dentro un sistema che continuerà convintamente a definire “comunista”, un disaccoppiamento strutturale tra economia e politica, in pratica una inversione di logica all’interno del concetto fondativo del sistema di idee di Marx detto “materialismo storico”. Nella formulazione che Marx aveva dato del concetto del MS nella Per la Critica dell’Economia Politica, il tedesco sosteneva che “Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita”. In seguito ed in modo complicato qui da ricostruire, quel “… condiziona, in generale, …” che si opponeva dialetticamente all’idea di Hegel per il quale altresì rapporti giuridici e forme dello Stato avevano una loro storia e sviluppo proprio, divenne un determinismo. Per cui, la tradizione comunista sviluppata nel Novecento, pensò che cambiando il modo economico si sarebbe cambiata la società tutta che da quel modo sembrava dipendere. Su chi e come doveva cambiare quel modo ci fu e c’è ancora dibattito.

Purtroppo però, nell’attualizzazione storica del comunismo tanto sovietico che maoista, quel nuovo “modo economico” non sembrava in grado di acchiappare nessun topo. Viceversa, l’adozione dei modi dell’economia moderna occidentale a partire da quel del Giappone del 1868 (Restaurazione Meiji), mostrava come si poteva senz’altro adottare il modo economico occidentale senza per questo diventare altro da ciò che si era tradizionalmente, attualizzandolo.

Deng varò allora le quattro modernizzazioni (agricola, industriale e commerciale, scientifica e di difesa), coltivò i primi esperimenti dal basso delle Zone Economiche Speciali, ripristinò rapporti non conflittuali con l’URSS, abolì il “sistema delle classi”, tesse vaste relazioni attive con vari paesi occidentali tra cui gli USA che a quel punto disconobbero Taiwan per allacciare rapporti con RPC, ma anche con Giappone e Germania che da allora divenne uno dei principali fornitori di tecnologie per lo sviluppo economico cinese riservandosi tra gli occidentali un ruolo di partner di feconde relazioni speciali che dura tutt’oggi. Contrattò ed ottenne la restituzione di Hong Kong dagli inglesi e Macao dai portoghesi, limitò progressivamente l’intervento dello Stato in economia lasciandogli il ruolo di regista macroeconomico, schivò sette attentati alla sua vita ed infine morì nel 1997.

L’ascesa del mondo asiatico che culminerà con l’adesione della Cina la WTO nel 2002, il processo di convergenza di potenza tra Oriente ed Occidente posti su traiettorie divergenti dal 1850, lo si deve molto probabilmente alla sua profonda azione riformatrice. Come notava Domenico Losurdo nel suo “Il marxismo occidentale” (Laterza, 2017), sul piano ideologico, Deng o comunque questa torsione teorica e pratica cinese, introduceva anche l’obiettivo del cambiamento di lunga durata non solo o tanto posponendo il traguardo finale del processo che doveva portare ad una nuova forma di società, ma incaricandosi di perseguirlo passo dopo passo a partire dalle situazioni contingenti con pazienza e lenta costanza.

Tutto questo racconta di come ideologie occidentali sono state interpretate in ambiente orientale, l’ideologia economica moderna di mercato da una parte, l’ideologia marxista da Deng ricalibrata nei rapporti tra politica ed economia. Per ambiente orientale, intendiamo un polo geo-storico radicalmente diverso dal nostro, dove che si parli di Cina o di Corea tanto del Nord che del Sud, del Giappone o di Singapore, piuttosto che di Cambogia, Laos o Vietnam, si parla di società a forte influenza confuciana. A riguardo, vale la distinzione tra Confucio e confucianesimo (come vale per Gesù Cristo ed il cristianesimo o per Marx ed il marxismo e molti altri), stante che del primo ci sono pervenuti dei libri del – VI/V secolo che comportano complicati esercizi di filologia ed ermeneutica, mentre il secondo è una ininterrotta e vastissima tradizione plurale lunga duemilacinquecento anni e non solo o del tutto, cinese.

La storia del gatto e del topo di Deng quindi ci serve solo come modulo del già a noi noto problema dei mezzi e dei fini. Riportato qui da noi, prendo questa frase di Piketty le cui ultime 1200 pagine ho in programma di leggere (T. Piketty, Capitale ed ideologia, La nave di Teseo, 2019), da una intervista nel suo attuale tour di lancio (da il manifesto): “Per cominciare, penso che sia importante parlare del sistema economico che vogliamo.”. Ne segue quello che lui chiama “socialismo partecipativo” a base di giustizia educativa, imprese partecipate dai lavoratori, tassa progressiva su patrimonio e successioni. La domanda allora è: se il fine è in prospettiva una società meno diseguale e sempre più egalitariamente partecipata, qual è il mezzo? Il mezzo, ovvero il gatto, è ancora disegnare modi economici a priori che poi nessuno sa come implementare, è ancora e sempre scrivere libri dei sogni in cui ci dilettiamo in ingegneri dell’utopia che producono letteratura fantasy che lascia le condizioni del mondo come le trova?

In Oriente, il gatto è lo Stato confuciano (che si dica “comunista” come in Cina o Vietnam o si dica “democratico” senza esserlo come in Giappone o provenga dal dominio di una singola famiglia come a Singapore o Corea del Nord, è solo sua declinazione), in Occidente qual è il gatto?

Sahel: tra jihadismo universalista e jihadismo etnico, di Bernard Lugan

L’attacco notturno a cavallo di mercoledi 10 e giovedì 11 giugno, alla frontiera tra il Burkina Faso e la Costa d’Avorio, è la prima azione jihadista che ha preso di mira la Costa d’Avorio, dalle azioni del Grand Bassam nel 2016. Essa viene inscritta in un quadro di confronto mortale tra l’EIGS (Stato Islamico nel Grand Sahara) e AQMI (Al-Quaïda per il Maghreb islamico).
In questa parte del Sahel Occidentale, il jihadismo è ormai imploso in due grandi correnti che si combattono:
– Uno, quello dell’EIGS (Stato islamico nel Grand Sahara), è legato a Daesh e il suo obiettivo è la creazione in tutto il BSS (striscia Sahelo-Sahariana) di un vasto califfato transetnico che sostituisce il stati attuali. Il suo leader, Adnane Abou Walid al-Saharaoui è un arabo Réguibat, ex dirigente del Polisario..
– L’altro, quello di Aqmi (Al-Quaïda per il Maghreb islamico), è il prodotto di grandi frazioni di due grandi popoli, il Tuareg e il Fulani, compresi i leader locali, il Touareg Iyad Ag Ghali e il Fulani Ahmadou Koufa, i quali non sostengono la distruzione degli attuali stati del Sahel.
Le rivendicazioni dei tuareg di Azawad non essendo quelle dei fulani di Macina, Soum o Liptako, era quindi del tutto artificioso che i loro combattenti si fossero radunati sotto lo stendardo di Al-Qaeda che, tutti come Daesh, rivendica il califfato, quindi la distruzione degli stati del Sahel.

Questa artificiosità ha condotto infine ad una frattura tra l’Algérino Abdelmalek Droukdal, il capo d’Al-Qaïda per l’Africa del Nord e la BSS, e gli altri principali capi etno-islamisti régionali, quindi Iyad Ag Ghali e Ahmadou Koufa. Questi ultimi che detengono in parte le chiavi del conflitto, negoziano attualmente con Bamako. Iyad Ag Ghali sotto gli auspici dei padrini algerini sono preoccupati della progressione regionale di Daech; analogamente Ahmadou Koufa sotto la protezione del suo mentore, l’imam Dicko.

Come da me spiegato in un comunicato in data 6 giugno , Abdelmalek Droukdal si è opposto a questi accordi, aveva deciso di ripristinare la propria autorità su Iyad Ag Ghali e Ahmadou Koufa. Il suo tentativo di intralciare i futuri accordi di pace, già oggetto di sottili e molto complesse discussioni, era parecchio mal visto in Algeria. Soprattutto da quando, per diverse settimane, il presidente Tebboune ha rilevato dal loro stato di “semifinanziati” alcuni degli ex DRS, veri “intenditori” del dossier, già licenziati dal generale Gaïd Salah e dal clan Bouteflika

La morte d’Abdelmalek Droukdal e di altri tre comandanti locali, tali Sidi Mohamed Hame, Abou Loqman alias Taoufik Chaib e Ag Baye Elkheir, il tre giugno, à Talahandak, nel cerchio di Tessalit in Mali, a pochi chilometri dal confine con l’Algeria, pone in essere quindi la libertà di Iyad Ag Ghali e Ahmadou Koufa..

Infine, poiché gli “emiri algerini” che hanno guidato a lungo Al Qaeda nel BSS sono stati uccisi uno dopo l’altro, l’eliminazione di Abdelmalek Droukdal segna la fine di un periodo. D’ora in poi, Al Qaeda nel BSS non è più guidato da stranieri, da “arabi”, da algerini, ma da “regionali” che hanno un approccio politico regionale e le cui affermazioni sono principalmente rivendicazioni radicate nei loro popoli, come mostro nel mio libro Le guerre del Sahel dalle origini ai giorni nostri. Per anni ho scritto che le componenti locali di Aqmi hanno usato l’Islam come uno schermo per le richieste inizialmente etno-politiche, che sono attualmente verificate sotto i nostri occhi.

Siamo quindi, e ancora una volta, di fronte al ritorno, in una forma “modernizzata”, della grande realtà africana che è l’etnia. Se fosse ancora necessario, questi eventi dimostrano che, ovviamente, l’etnia ovviamente non spiega tutto … ma che nulla può essere spiegato senza di essa …

Resta dunque Daech, la cui distruzione in BSS non potrà realizzarsi che:
1) Opponendo la direzione allogena, dunque il «marocchino» Adnane Abou Walid al-Saharaoui, alle sue truppe autigene.
2) Esasperare le contraddizioni tra le rivendicazioni di diversi generi etnici, tribali e clanici.
3) Impedendo al nostro “fedele alleato” turco nella NATO di rifornire i combattenti dell’ISIS. Ma se la rotta del maresciallo Haftar continuasse e le sue truppe perdessero il controllo di Fezzan come sembra essere in corso, allora …

Maggiori informazioni sul blog di Bernard Lugan

il razzismo degli antirazzisti, di Giuseppe Germinario

Qui sotto la traduzione di un articolo della rivista statunitense di categoria delle forze di polizia particolarmente espressivo della situazione e dello stato d’animo delle forze dell’ordine. Una condizione non nuova, ma che sta trovando un momento di precipitazione nell’attuale situazione di conflitto politico e disordine sociale di quel paese. Questa volta anticipiamo la traduzione cui seguirà un lungo commento proprio per non scoraggiarne la lettura.

America, ce ne stiamo andando

Sembra ormai chiaro che il cambiamento degli equilibri geopolitici, gli squilibri della formazione socio-economica, l’insolita asprezza del conflitto politico stiano intaccando pesantemente l’assetto istituzionale ed inizino ad intaccare la fluidità di funzionamento degli apparati statali e pubblici sino a raggiungere le stesse forze dell’ordine statunitensi. L’ondata di proteste scatenata dall’uccisione di Floyd a Minneapolis rientra tra le spallate ormai sempre più frequenti in grado di accentuare l’instabilità di quell’edificio politico. Gli atti peggiori hanno però spesso bisogno di ammantarsi della più nobile delle motivazioni. https://twitter.com/RPD_PSI/status/1267202275895803904La denuncia di razzismo rientra a pieno titolo in questa casistica. Per cogliere al meglio il peso di tali valutazioni occorre porsi delle domande e fornire qualche dato.

Il comportamento delle polizie e delle forze dell’ordine possono essere tacciate oggi di discriminazione razziale? I dati diffusi confermano questa tesi e questa convinzione così diffusa in determinati ambienti sociali e politici?

Le forze dell’ordine americane hanno compiuto nel 2019 370 milioni di interventi con circa mille uccisioni di cittadini e la morte di diverse decine di poliziotti in un contesto di libera circolazione delle armi.

La percentuale di morti neri rispetto a quelli di origine europea è 2 volte e mezza maggiore. La percentuale di neri che hanno minacciato e aggredito con armi e automezzi le forze dell’ordine è di gran lunga maggiore rispetto a quella dei bianchi. I neri sono i maggiori responsabili della morte violenta di neri; uccidono molto più spesso i bianchi che viceversa. ( I dati sono tratti da https://www.washingtonpost.com/graphics/2019/national/police-shootings-2019/?fbclid=IwAR10teMtLb9P9kpFgMeDivzonaf6DBEXBvO3heztwArU43JqgD0TkdZd9JM e dalle statistiche della FBI).

I neri di recente immigrazione sono molto più integrati e riescono a migliorare la loro posizione sociale molto più dei neri delle comunità originarie americane. Si potrebbe continuare su questa falsariga. Questi, come altri dati, non ci dicono che il razzismo è scomparso da quella società. Ci dicono che non investe le istituzioni in quanto tali. Gli Stati Uniti attuali sono molto diversi da quelli di cinquanta anni fa. Ai propositi di “melting pot” si è sostituita la chiusura e la giustapposizione di comunità. Il degrado sociale e delle aspettative le attraversano sempre più trasversalmente. Il mercato elettorale, perché sempre più di mercato ormai si tratta, si è prontamente adeguato alla situazione. Più che preoccuparsi di creare un linguaggio comune fatto di significati condivisi e doveri e diritti comuni, le famiglie politiche conseguono il successo elettorale assecondando le rivendicazioni più disparate e i diritti e processi identitari più particolaristici. L’assetto democratico di quel paese sta rivelando limiti analoghi all’applicazione dei sistemi democratici nelle società di tipo tribale. I paradossi in effetti non mancano. Dal razzismo si sta passando ai razzismi. Una sorta di nemesi delle intenzioni dei progressisti. I disordini e le contestazioni hanno mostrato la loro maggiore virulenza proprio in quelle città, per lo più democratiche, dove più il ceto politico prevalente ha assecondato queste tendenze. Ha compreso e appoggiato i manifestanti e contemporaneamente è finito sotto accusa perché responsabile da decenni della organizzazione delle polizie locali così duramente contestate. Alla fine piuttosto che dimettere i responsabili, tra le forze dell’ordine, degli atti di arbitrio specifici e reprimere i pesanti atti di vandalismo e linciaggio, piuttosto che compromettere assetti di potere ultradecennali ha preferito assecondare gli istinti e sottomettersi al pubblico ludibrio https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/06/07/george-floyd-il-sindaco-di-minneapolis-si-unisce-ai-manifestanti-ma-viene-contestato-vergogna-torna-a-casa-ed-e-costretto-ad-andarsene/5827143/ e delegittimare le istituzioni in quanto tali con pubblici atti di prostrazione e contrizione.  

Atti che hanno trovato emuli patetici ed interessati anche qui a casa nostra

E’ la goccia che sta facendo traboccare il vaso. Lo scoramento e la disaffezione tra le forze dell’ordine sono al livello di guardia; l’abbandono delle fila assume dimensioni preoccupanti; corrispondentemente le forze anarcoidi e le bande si stanno ringalluzzendo.

https://www.foxnews.com/media/tulsa-police-travis-yates-law-enforcement-exodus?fbclid=IwAR1kANFZ4DhLMebJ40idwBEkpEimVmsqRXhL4z1zX1ROKSMuJyexxgxJOIo

La conseguenza sarà che per rimpolpare le fila dovranno abbassare gli standard qualitativi per le assunzioni di poliziotti avvicinandoli pericolosamente ai livelli sudamericani per non parlare delle tentazioni di autogoverno e di iniziative autonome. Se queste sono le tendenze di medio periodo, un discorso a parte merita una contingenza politica perfettamente inserita in queste dinamiche. Trump è sempre più il nemico delegittimato da abbattere. Alle soglie di una inchiesta che rischia di ribaltare le accuse del Russiagate e dell’Ucrainagate, di compromettere ex capi della FBI, di Stato ed aspiranti candidati alle presidenziali, di smascherare alla luce del sole le connivenze vergognose di uomini politici e funzionari degli apparati di sicurezza europei, le manifestazioni ed i disordini si stanno rivelando un provvidenziale diversivo teso a prendere tempo e distogliere l’attenzione. I sempre più frequenti appostamenti, aggressioni, agguati e uccisioni ai danni di singoli poliziotti, bianchi e neri e delle loro famiglie creano un clima di ingovernabilità che potrebbe legittimare la richiesta di decadenza prematura dell’attuale Presidente, ormai sempre più accerchiato da avversari e finti amici, da apparenti difensori che non fanno altro che perdere tempo prezioso nel concludere le indagini sulle manipolazioni delle inchieste. Una situazione che potrà portare alla vittoria non risolutiva di una fazione, non di una classe dirigente legittimata da tutto il paese. Una eventuale vittoria su Trump, per altro per nulla scontata, si rivelerebbe allora ancora più amara, più disastrosa e distruttiva di una sua riconferma sia per il paese che per lo stesso ceto politico a lui ostile; proprio per l’ostilità organizzata e al momento silenziosa che cinque anni di delegittimazione pretestuosa hanno fatto crescere nello zoccolo duro del suo elettorato ormai in possesso di qualche aggancio negli apparati. George Soros tre anni fa era stato profetico. Ma era solo preveggenza?

GLI “STATI GENERALI” DI CONTE, di Teodoro Klitsche de la Grange

GLI “STATI GENERALI” DI CONTE

È impegnativa l’espressione con cui il prof. Conte ha designato il convegno programmato per la settimana in corso. “Stati generali”, che rimanda a quelli convocati (l’ultima volta) nel 1789, per risanare le finanze francesi e il cui risultato – come spesso accade – non fu quello preventivato, ma l’altro di cambiare in toto la forma politica, e ancor più, il mondo moderno; passando per rivoluzioni, terrore, guerre (civili e internazionali). Pare comunque da escludere che il convegno – a onta del nome – possa avere esiti così epocali; proprio perciò occorre fare qualche considerazione, per non confondere con le parole quel che è distinto nei fatti.

In primo luogo quali differenze hanno gli Stati generali di Conte da quelli convocati da Luigi XVI, e a cosa di attinente alla rivoluzione invece somigliano? È diverso, in primo luogo il ruolo (e la posizione) costituzionale: l’assemblea francese era un organo dell’Ancien régime, quello del prof. Conte è un’iniziativa che non ha funzione, rilievo, effetti istituzionali. E ciò fa gioco alla maggioranza parlamentare, perché qualunque cosa decida (??) il convegno, non può comandare e soprattutto mandarli a casa, né ora, né nel futuro.

Secondariamente, altro pregio del convegno, i partecipanti sono degli invitati di Conte e non dei delegati o rappresentanti di qualcuno (nazione, popolo, ceti, terzo stato, ecc. ecc.), quindi non possono parlar quali “rappresentanti” e a nome di qualcuno né esprimerne la volontà. I componenti degli Stati generali erano stati eletti dalle assemblee di “ceto”, ne riportavano volontà e aspirazioni esposte nei Cahiers des doléances, erano vincolati al mandato ricevuto; la funzione che avevano – anche se istituzionale – era consultiva. Ma erano scelti con procedimenti pubblici; nel regolamento (per l’elezione degli Stati generali) del 24 gennaio 1789 si leggeva che “il Re… ha voluto che i suoi sudditi venissero tutti chiamati a concorrere alle elezioni dei deputati che dovranno formare questa grande e solenne assemblea”. Così attraverso il procedimento elettorale si saldava la delega tra mandanti e mandatari. Comunque ben diversi dagli invitati del prof. Conte.

Semmai qualche tratto di maggiore somiglianza la convention di Conte ce l’ha con l’altra assemblea consultiva convocata nel 1787 da Calonne: l’Assemblea dei notabili, la quale, a differenza dei deputati – mandatari degli Stati generali, era composta da nominati dal monarca e quindi, malgrado fossero non del tutto proni alla volontà del governo non avevano alcuna intenzione di fare una rivoluzione, tantomeno quella che ne venne fuori. Anche perché come pensavano (e pensano) i rispettivi governi è improbabile che nominati dal re provvedano a tagliargli (e tagliarsi) la testa. E infatti non assentirono alle richieste del governo, ma se ne tornarono a casa buoni buoni (seguiti, subito dopo, da Calonne).

L’altra somiglianza è nella situazione critica, anche se priva del carattere epocale e del lavorio preventivo della talpa (illuminista) della storia.

Allora furono il deficit e i cattivi raccolti il contesto, e l’occasio che fece brillare la scintilla rivoluzionaria; oggi il Coronavirus, la più che ventennale stasi economica italiana e la crisi, non ancora esaurita, del 2008-2011.

Se è vero che la “talpa” non ha lavorato come quella del XVIII secolo, ha comunque scavato qualche tunnel: la scarsa considerazione in cui le élite globaliste sono considerate dai governati ne è il risultato. Misurata anche dal consenso crescente ai partiti sovran-popul-dentitari.

E la stessa convocazione dell’ (innocua) convention di Conte lo conferma.

I mandatari del 1789 avevano i Cahiers des doléances elaborati dalle assemblee dei mandanti e così un qualcosa di concreto e reale da esporre al monarca: gli invitati di Conte, non hanno né quelli, né un mandato, né – alle spalle – una procedura di scelta da parte dei mandanti. Sono dei partecipanti a un convegno: sicuramente innocui e probabilmente inutili.

Chi ha la rappresentanza nella versione forte, tipica della dottrina moderna dello Stato, e formulata da Sieyès per trasformare proprio gli Stati generali in assemblea costituente, è il Parlamento: e non ha neanche bisogno del genio di un abate rivoluzionario, perché è già presente ed enunciata nella costituzione (v. art. 67), come tale ogni parlamentare è un rappresentante e organo rappresentativo è il Parlamento: al contrario dell’ancien régime, un organo rappresentativo che discuta e decida, già c’è. E quindi non deve far altro che il proprio mestiere: eletto dal popolo deve decidere in favore del popolo, e soprattutto, in una repubblica parlamentare, dando (o revocando) la fiducia al governo. Proprio quella che il governo giallo-fucsia teme. E per questo preferisce una convention di invitati.

Teodoro Klitsche de la Grange

Quali relazioni internazionali dopo la pandemia di coronavirus?

Questo articolo tratto dal mensile “Foreign Policy” ci dice che negli Stati Uniti il confronto e lo scontro politico su come orientare le scelte internazionali e le dinamiche geopolitiche è tutt’altro che risolto a prescindere anche dalle dinamiche reali e dalla forza della realtà. L’oggetto, però, non è il dilemma tra conflitto e cooperazione, come vuole la retorica, ma su quale sia l’avversario principale e su come va affrontato_Giuseppe Germinario

Come la caduta del muro di Berlino o il crollo di Lehman Brothers, la pandemia di coronavirus è un evento devastante, le cui conseguenze possiamo solo iniziare a immaginare.

Questo è certo: proprio come questa malattia ha rovinato vite, sconvolto mercati e dimostrato la competenza (o la mancanza di essa) dei governi, causerà cambiamenti permanenti nel potere politico ed economico in modi che non saranno apparente solo dopo.

Per aiutarci a comprendere i cambiamenti geopolitici che stanno avvenendo sotto i nostri occhi durante questa crisi, la Politica estera ha intervistato diversi importanti pensatori di tutto il mondo sulle loro previsioni per il futuro dell’ordine mondiale.


Un mondo meno aperto, meno prospero e meno libero

di Stephen M. Walt , professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard.

La pandemia rafforzerà lo stato e il nazionalismo. I governi di tutti i tipi adotteranno misure di emergenza per gestire la crisi e molti saranno riluttanti a rinunciare a questi nuovi poteri al termine della crisi.

Il Covid-19 accelererà anche il trasferimento di potere e influenza da ovest a est. La Corea del Sud e Singapore hanno reagito meglio e la Cina ha reagito bene dopo i suoi primi errori. In confronto, la reazione in Europa e in America è stata lenta e disordinata, che ha ulteriormente offuscato l’aura dell’immagine occidentale.

Ciò che non cambierà è la natura fondamentalmente contrastante della politica mondiale. Le precedenti pestilenze, in particolare l’epidemia di influenza del 1918-1919, non ponevano fine alla rivalità tra le grandi potenze né aprivano una nuova era di cooperazione globale. Neanche il Covid-19 lo farà. Assisteremo a un ulteriore declino dell’iper-globalizzazione, mentre i cittadini si rivolgono ai governi nazionali per proteggerli e gli stati e le imprese cercano di ridurre le vulnerabilità future.

In breve, The Covid-19 creerà un mondo meno aperto, meno prospero e meno libero. Non doveva essere così, ma la combinazione di un virus mortale, una pianificazione inadeguata e una leadership incompetente hanno portato l’umanità su una nuova e inquietante rotta.


La fine della globalizzazione come la conosciamo

di Robin Niblett , direttore e CEO di Chatham House.

La pandemia di coronavirus potrebbe essere l’ultima goccia che sta rompendo gli schemi della globalizzazione economica. Il crescente potere militare ed economico della Cina aveva già scatenato una determinazione bipartisan negli Stati Uniti per separare la Cina dalla proprietà intellettuale di alta tecnologia e di origine americana e cercare di costringere gli alleati a seguire l’esempio.

La crescente pressione pubblica e politica per raggiungere gli obiettivi di riduzione del carbonio aveva già messo in discussione la dipendenza di molte aziende dalle catene di approvvigionamento a lunga distanza. Oggi, il Covid-19 sta costringendo i governi, le imprese e le società a rafforzare la loro capacità di far fronte a lunghi periodi di autoisolamento economico.

In questo contesto, sembra molto improbabile che il mondo ritorni all’idea di una globalizzazione reciprocamente vantaggiosa che ha definito l’inizio del 21 ° secolo. E senza l’incentivo a proteggere i vantaggi condivisi dell’integrazione economica globale, l’architettura della governance economica globale stabilita nel 20 ° secolo si atrofizzerà rapidamente. I leader politici avranno quindi bisogno di un’enorme autodisciplina per sostenere la cooperazione internazionale e non ricorrere alla concorrenza geopolitica aperta.

Dimostrare ai loro cittadini che possono gestire la crisi di Covid-19 consentirà ai leader di guadagnare del capitale politico. Ma coloro che falliranno troveranno difficile resistere alla tentazione di incolpare gli altri per il loro fallimento.


Una globalizzazione più incentrata sulla Cina

di Kishore Mahbubani , eminente ricercatore presso l’Asian Research Institute dell’Università Nazionale di Singapore, autore di Has China Won? La sfida cinese al primato americano .

La pandemia di Covid-19 non cambierà radicalmente la direzione dell’economia globale. Accelererà solo un cambiamento che era già iniziato: l’abbandono di una globalizzazione incentrata sugli Stati Uniti a favore di una globalizzazione più incentrata sulla Cina.

Perché questa tendenza continuerà? La popolazione americana ha perso la fiducia nella globalizzazione e nel commercio internazionale. Gli accordi di libero scambio sono tossici, con o senza il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. D’altra parte, la Cina non ha perso la fiducia.

Perché non ha perso la fiducia? Ci sono ragioni storiche più profonde. I leader cinesi sanno che il secolo di umiliazione cinese, dal 1842 al 1949, fu il risultato della sua stessa compiacenza e di uno sforzo inutile da parte dei suoi leader per tagliarlo fuori dal mondo. Al contrario, gli ultimi decenni di ripresa economica sono stati il ​​risultato dell’impegno globale. Anche il popolo cinese ha vissuto un’esplosione di fiducia culturale. Credono di poter essere competitivi ovunque.

Pertanto, come documento nel mio nuovo libro, la Cina ha vinto? gli Stati Uniti hanno due scelte. Se il loro obiettivo primario è mantenere il loro primato globale, dovranno impegnarsi in una competizione geopolitica a somma zero, politicamente ed economicamente, con la Cina.

Tuttavia, se l’obiettivo degli Stati Uniti è migliorare il benessere del popolo americano – le cui condizioni sociali sono peggiorate – devono cooperare con la Cina. Il consiglio più informato suggerirebbe la cooperazione come la scelta migliore. Tuttavia, dato l’ambiente politico tossico degli Stati Uniti nei confronti della Cina, il consiglio più saggio potrebbe non prevalere.


Le democrazie emergeranno dai loro gusci

di G. John Ikenberry , professore di politica e affari internazionali all’Università di Princeton, autore di After Victory e Liberal Leviathan .

A breve termine, la crisi alimenterà le varie parti del dibattito sulla grande strategia occidentale. Nazionalisti e anti-globalisti, falchi cinesi e persino internazionalisti liberali vedranno tutti nuove prove dell’urgenza delle loro opinioni. Dato il danno economico e il collasso sociale che si sta verificando, è difficile vedere altro che un rafforzamento del movimento verso il nazionalismo, la rivalità tra grandi potenze, il disaccoppiamento strategico, ecc.

Ma proprio come negli anni ’30 e ’40, potrebbe esserci anche una controcorrente più lenta, una sorta di internazionalismo testardo simile a quello che Franklin D. Roosevelt e alcuni altri statisti hanno iniziato a articolare prima e durante la guerra. Il crollo dell’economia globale negli anni ’30 ha dimostrato quanto le società moderne connesse e vulnerabili siano quelle che la FDR chiamava contagio.

Gli Stati Uniti furono meno minacciati da altre grandi potenze che dalle forze profonde – e dal carattere del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde – della modernità. Ciò di cui hanno parlato la FDR e altri internazionalisti è un ordine postbellico che ricostruisca un sistema aperto con nuove forme di protezione e la capacità di gestire l’interdipendenza. Gli Stati Uniti non potevano semplicemente nascondersi all’interno dei propri confini, ma per funzionare in un aperto ordine postbellico, era necessario costruire un’infrastruttura globale per la cooperazione multilaterale.

Gli Stati Uniti e le altre democrazie occidentali potrebbero quindi attraversare questa stessa sequenza di reazioni animate da una sensazione di vulnerabilità a cascata; la risposta potrebbe essere inizialmente più nazionalista, ma a lungo termine, le democrazie emergeranno dai loro gusci per trovare un nuovo tipo di internazionalismo pragmatico e protettivo.


Meno profitti, ma più stabilità

di Shannon K. O’Neil , ricercatore di studi latinoamericani presso il Council on Foreign Relations e autore di Two Nations Indivisible: Messico, Stati Uniti e Road Ahead.

Il Covid-19 mina i fondamenti della produzione globale. Le aziende ora ripenseranno e ridurranno le catene di fornitura multi-fase e multi-nazione che dominano la produzione oggi.

Le catene di approvvigionamento globali erano già sotto tiro, sia economicamente, a causa dell’aumento del costo del lavoro in Cina, della guerra commerciale del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e dei progressi nel robotica, automazione e stampa 3D, solo politicamente, a causa di perdite di lavoro reali e percepite, soprattutto nelle economie mature.

Il Covid-19 ha ora rotto molti di questi collegamenti: chiusure di impianti nelle aree colpite hanno lasciato altri produttori, così come ospedali, farmacie, supermercati e negozi al dettaglio, senza scorte o forniture.

Dall’altro lato della pandemia, sempre più aziende chiederanno di conoscere meglio la fonte delle loro forniture e si scambieranno l’efficienza con la ridondanza. Interverranno anche i governi, costringendo le industrie che considerano strategiche ad avere piani di emergenza e di riserva nazionali. La redditività diminuirà, ma la stabilità dell’offerta dovrebbe migliorare.


La storia di COVID-19 sarà scritta dai vincitori

di John Allen , presidente della Brookings Institution, ritirò il generale a quattro stelle del Corpo dei Marines degli Stati Uniti ed ex comandante della Forza di assistenza alla sicurezza internazionale per la NATO e le forze degli Stati Uniti in Afghanistan.

Come sempre, la storia della crisi di Covid-19 sarà scritta dai “vincitori”. Ogni nazione, e sempre più ogni individuo, sta vivendo la pressione sociale di questa malattia in modi nuovi e potenti. Inevitabilmente, le nazioni che persevereranno – sia per i loro sistemi politici ed economici unici sia dal punto di vista della salute pubblica – reclameranno il successo contro coloro che sperimenteranno un risultato diverso e più devastante.

Per alcuni, questo sembrerà un grande trionfo definitivo per la democrazia, il multilateralismo e l’assistenza sanitaria universale. Per altri, metterà in evidenza gli ovvi “benefici” di un regime autoritario e decisivo.

Ad ogni modo, questa crisi rimodellerà la struttura di potere internazionale in modi che possiamo solo iniziare a immaginare. Il Covid-19 continuerà a deprimere l’attività economica e ad aumentare le tensioni tra i paesi.

A lungo termine, è probabile che la pandemia riduca in modo significativo la capacità produttiva dell’economia globale, soprattutto se le imprese chiudono e le persone lasciano la forza lavoro. Questo rischio di dislocazione è particolarmente importante per i paesi in via di sviluppo e altri paesi che hanno una grande percentuale di lavoratori economicamente vulnerabili. Il sistema internazionale, a sua volta, subirà una forte pressione, il che porterà all’instabilità e conflitti diffusi all’interno e tra i paesi.


Un nuovo drammatico passo nel capitalismo mondiale

di Laurie Garrett , ex ricercatrice mondiale in materia di salute presso il Council on Foreign Relations e il vincitore del premio Pulitzer.

Lo shock fondamentale per il sistema finanziario ed economico globale è il riconoscimento che le catene di approvvigionamento globali e le reti di distribuzione sono profondamente vulnerabili alle perturbazioni. La pandemia di coronavirus non avrà quindi solo effetti economici duraturi, ma porterà anche a cambiamenti più fondamentali.

La globalizzazione ha consentito alle aziende di esternalizzare la produzione in tutto il mondo e consegnare i loro prodotti ai mercati just-in-time, aggirando i costi di magazzino. Gli inventari rimasti sugli scaffali per più di qualche giorno sono stati considerati fallimenti del mercato. Le forniture dovevano essere assicurate e spedite a un livello globale attentamente orchestrato. Il Covid-19 ha dimostrato che i patogeni non solo possono infettare le persone ma anche avvelenare l’intero sistema di flusso teso.

Data l’entità delle perdite subite dai mercati finanziari da febbraio, le aziende probabilmente usciranno da questa pandemia con una certa timidezza rispetto al modello just-in-time e alla dispersione della produzione in tutto il mondo. Ciò potrebbe comportare un nuovo drammatico passo nel capitalismo globale, in cui le catene di approvvigionamento vengono avvicinate a casa e riempite di licenziamenti per proteggersi dalle interruzioni future. Ciò potrebbe ridurre i profitti aziendali a breve termine, ma rendere l’intero sistema più resiliente.


Altri stati in bancarotta

di Richard N. Haass , presidente del Council on Foreign Relations e autore di The World: A Brief Introduction .

Penso che la crisi del coronavirus porterà la maggior parte dei governi, almeno per alcuni anni, a rivolgersi su se stessi, concentrandosi su ciò che sta accadendo all’interno dei loro confini piuttosto che su ciò che sta accadendo. al di fuori. Prevedo un’evoluzione più marcata verso l’autosufficienza selettiva (e, quindi, verso il disaccoppiamento) data la vulnerabilità della catena di approvvigionamento; opposizione ancora più forte all’immigrazione su larga scala; e una volontà o un impegno ridotti per affrontare i problemi regionali o globali (compresi i cambiamenti climatici) vista la necessità percepita di dedicare risorse alla ricostruzione del paese e di far fronte alle conseguenze economiche della crisi.

Mi aspetto che molti paesi troveranno difficile riprendersi dalla crisi, con gli stati deboli e gli stati falliti che diventano una caratteristica ancora più diffusa nel mondo. È probabile che la crisi contribuisca al continuo deterioramento delle relazioni sino-americane e all’indebolimento dell’integrazione europea. Sul lato positivo, dovremmo assistere a un leggero rafforzamento della governance globale della sanità pubblica. Ma nel complesso, una crisi radicata nella globalizzazione indebolirà piuttosto che aumentare la volontà e la capacità del mondo di reagire ad essa.


In ogni paese vediamo il potere dello spirito umano

di Nicholas Burns , professore alla Kennedy School of Government di Harvard ed ex sottosegretario agli affari politici presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

La pandemia di Covid-19 è la più grande crisi globale di questo secolo. La sua profondità e ampiezza sono enormi. La crisi della salute pubblica minaccia ciascuno dei 7,8 miliardi di persone sulla Terra. La crisi economica e finanziaria potrebbe avere un impatto maggiore sulla Grande recessione del 2008-2009. Ogni crisi da sola potrebbe causare uno shock sismico che cambierebbe permanentemente il sistema internazionale e l’equilibrio di potere come lo conosciamo.

Finora, la collaborazione internazionale è stata deplorevolmente insufficiente. Se gli Stati Uniti e la Cina non fossero in grado di mettere da parte la loro guerra di parole per determinare quale di loro è responsabile della crisi, la credibilità dei due paesi potrebbe essere notevolmente ridotta. Se l’Unione europea non può fornire aiuti più mirati ai suoi 500 milioni di cittadini, i governi nazionali potrebbero riguadagnare più potere a Bruxelles in futuro. Negli Stati Uniti, ciò che è maggiormente in gioco è la capacità del governo federale di prendere provvedimenti efficaci per arginare la crisi.

In ogni paese, tuttavia, ci sono molti esempi del potere dello spirito umano: medici, infermieri, leader politici e cittadini comuni che dimostrano capacità di ripresa, efficienza e leadership. Ciò dà speranza che uomini e donne in tutto il mondo possano prevalere di fronte a questa straordinaria sfida.

tratto da https://foreignpolicy.com/2020/03/20/world-order-after-coroanvirus-pandemic/

L’IPOCRISIA E IL DISGUSTO, di Augusto Sinagra

L’IPOCRISIA E IL DISGUSTO

Nessuna giustificazione per i violenti metodi tradizionali della Polizia nordamericana che frequentemente evidenzia anche aspetti di brutalità. Vanno tuttavia considerati gli “interlocutori” della Polizia USA, che molto spesso si caratterizzano per inaudita ed efferata violenza.
Non è questo il caso di George Floyd e a nulla rileva il fatto che egli fosse un pluricondannato per droga e per rapina a mano armata consumata in danno di una donna incinta nella di lei casa.
Ma da questo a far passare questo George Floyd come un martire e per di più un martire della presunta violenza razziale dei “bianchi” è cosa di inaudita ignobiltà.
Fuori dai commenti e da ogni diversa soggettiva valutazione dei fatti, sono i numeri che parlano e ci indicano come nella stragrande maggioranza dei casi gli afro-americani sono vittime di altri afro-americani; i numeri ci indicano come il numero delle vittime “bianche” ad opera dei “neri” siano sideralmente superiori alle vittime “nere” ad opera dei “bianchi”. Basta consultare i numeri e le statistiche.
Quello che è ancora più schifoso è che la morte di questo povero George Floyd venga biecamente strumentalizzata per basse finalità politiche, per alimentare, specialmente in Italia, un razzismo che non c’è e che se malauguratamente dovesse presentarsi, sarà opera proprio di falsi antirazzisti.
È così abbiamo assistito ad una moltitudine di “Black Lives Matter” inginocchiati a Roma, a Bologna e in altre Città d’Italia nel gesto di chiedere perdono. È stata patetica la foto di una giornalista televisiva che ricordava, inginocchiata anche lei, la morte di questo poveretto in America. Non ne faccio il nome per non darle la pubblicità alla quale il suo gesto era unicamente rivolto.
Ma quello che è stato più sconcertante è vedere la inossidabile Laura Boldrini e altri 4/5 patetici deputati inginocchiati, con le medesime false intenzioni e con la medesima rivoltante ipocrisia, nell’Aula della Camera dei Deputati.
Una foto chiaramente preordinata a fini ignobili di pubblicità. Personaggi questi che, senza vergogna veruna, strumentalizzano la morte di un poveretto per fini di bassa politica.
Preferirei pensare che si tratti di somma stupidità, vorrei pensare a gesti compiuti in buona fede. Purtroppo non è così. Si tratta di personaggi e di fatti che testimoniano non solidarietà per una morte che non doveva avvenire, ma un livello morale veramente basso.
Dove e quando questa gente si è inginocchiata per la atroce uccisione di Pamela Mastropietro o Desirè Mariottini? Come anche di tante altre vittime della violenza delle risorse “boldriniane”.

PER UNA SEPARAZIONE DEGLI OCCIDENTI, di Pier Luigi Fagan

Penso che la domanda giusta sia: ma noi, gente europea, popoli europei con questa gente quanto ci abbiamo a che fare? Potremmo scoprire che gli OCCIDENTI sono più di due e che solo negli Stati Uniti hanno trovato modo di convivere, ma in quella maniera; almeno sino ad ora. Forse lì hanno trovato un primo denominatore comune_Giuseppe Germinario

PER UNA SEPARAZIONE DEGLI OCCIDENTI. (Dedicato a mia moglie, texana del confine quindi “quasi latina”, ma italiana da quasi quaranta anni). La potente dinamica storica nella quale siamo capitati, impone una riflessione sull’aggregato che chiamiamo “Occidente”. Il termine è un relativo, c’è sempre qualcuno alla tua destra o sinistra stando su un meridiano della Terra, tutto sta a stabilire dove poni il tuo punto. Dalla fine dell’ultima guerra, l’unica potenza superstite vincitrice e per altro l’unico grande stato rimasto intatto, anzi cresciuto e potenziato, furono gli Stati Uniti d’America. Gli USA decisero allora di formare un blocco occidentale organizzato, il cui centro era posto in un punto imprecisato dell’Atlantico.

Sebbene oggi ai più paia naturale ed oggettiva questa partizione, sarà bene ricordare che nella prima parte del ‘900 ed ovviamente prima ancor di più, Occidente era limitato all’Europa centro-occidentale. Il resto era ritenuta una appendice anglofona dei britannici (Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda) ed una appendice latina centro-sud americana, residuo del colonialismo iberico con una spruzzata di francese ed una goccia di olandese, più qualche migrante italiano.

L’Occidente recente, è stato un sistema a baricentro americano, ordinato dal principio economico, ordinato dal mercato ed ordinativo del politico espresso in un parlamento da un popolo di produttori-consumatori soggiacente una élite dotata di capitale. La vis bellica del sistema è stata delegata interamente a gli americani. Dalla fondazione nel 1776, gli USA hanno fatto guerre per il 93% del loro tempo storico, unica pausa: i cinque anni della Grande depressione. Ora, le guerre si fanno per procura, si proteggono gruppi armati salafiti, si vendono armi a gli amici, si impongono dazi, si combatte su tutte le trincee finanziarie, economiche, diplomatiche, energetiche, digitali, spaziali. Adattivamente, gli americani contemplano una variabile da lungo tempo espulsa dai principali sistemi di civiltà: la violenza.

La contemplano esternamente dove il militare traina il complesso produttivo secondo auspici e condizioni di possibilità creati dal politico. Il complesso militare-industriale individuato dal presidente uscente D. Einsenhower, un generale repubblicano e non certo un yippie pacifista, nel celebre discorso radio il giorno del suo commiato nel 1961, venne poi reso concetto dal sociologo C. Wright Mills e da allora usato in letteratura da molti. La velina originaria del discorso del presidente contiene la dicitura “complesso militare-industriale-congressuale” con l’ultimo termine barrato in correzione. Già ai tempi di Einsehower, il complesso volgeva le sue mire non più solo o tanto alla produzione materiale industriale. Da lì a poco infatti nasceva Arpanet, la rete militare da cui proviene Internet. Il mondo digitale-informatico nel quale alcuni di noi sono nati, non è nato spontaneamente, è stato il frutto voluto di intense ricerche e sviluppi governato dalla RAND Corporation (ARPA-DARPA) sin dai primi anni ‘60 e molte altre istituzioni pubblico-private americane irrorate da capitali pubblici nella fase di messa a punto e poi privati nella fese di sfruttamento commerciale. Quando ancora non c’era quasi niente di tutto ciò da quotare, gli americani -previdenti- lanciano il NASDAQ, era il 1971, l’anno del Nixon shock. Il computer è fisicamente figlio di questo impegno (con capitali della Marina Militare), tutti gli sforzi sull’Artificial Intelligence e Life, la bioingegneria, le nanotecnologie, che già nel 2002, convergono in un piano promosso dalla Natonal Science Foundation e Dipartimento al Commercio USA in quella che venne chiamata: “convergenza NANO – BIO – INFO – COGNO” ovvero quel misto di post-umanesimo tecno-distopico atto a sviluppare potenziamento post-umano per chi se lo può permettere con ampie ricadute commerciali e strutture per il ferreo controllo psico-comportamentale delle popolazioni.

Ma lo sviluppo del principio di violenza che fa degli americani di gran lunga maggiori investitori pubblici in armi al mondo al grido di “più Stato per il mercato!” (dati SIPRI ’19: USA hanno la stessa spesa militare della somma dei successivi 11 stati ovvero Cina. India, Russia, Saudi Arabia, Francia, Germania, UK, Japan, South Corea, Brasile ed Italia), tenuto conto che loro da soli sono il 4,5% della popolazione mondiale e gli altri 11 sono poco meno del 50%, ha ovviamente il suo lato interno, un primato indiscusso anch’esso.

Il II° emendamento alla loro Costituzione, sancisce il diritto inviolabile di libertà individuale di occuparsi della difesa personale, cioè portare armi, 40 milioni in più dei suoi abitanti, il 42% delle armi personali del mondo. La National Rifle Association è la potente lobby che finanziando con 30 milioni di dollari (il doppio di quanto NRA investiva di solito in finanziamenti al candidato repubblicano) la campagna 2016 di Trump e con altri 24 milioni US$ altri sei senatori repubblicani tutti eletti, promuove gli interessi del comparto. Di contro, poiché gli USA hanno col 4,4% della popolazione il 22% della popolazione carceraria del mondo, (in Europa c’è un settimo della popolazione carceraria americana per 100.000 abitanti), la domanda di difesa personale è alta.

Oltre alle armi, c’è un complesso sistema di supporto alla libera espressione della violenza, assistenti sociali che riempiono gli svantaggiati di pillole per la devastazione psichica, giudici ed avvocati, carceri pubbliche ma soprattutto carceri private, le quali sono “imprese” al cui interno si lavora con paghe da schiavi (ma “Arbeit”, si sa, “macht frei” e del resto quella tedesca è l’etnia maggioritaria in USA) e che secondo non pochi studiosi, fanno a loro volta “pressioni” su i giudici distrettuali per ottenere condannati senza i quali l’impresa deperisce. Infatti, sebbene i tassi di criminalità siano diminuiti di un po’ negli ultimi decenni, quelli di incarcerazione sono aumentati del 500%.

Col solo 13% di popolazione totale, i neri sono ben più del 50% della popolazione carceraria ed un terzo di ragazzi sotto i 20 anni neri, sono tra carcere o libertà vigilata. Molto è dovuto allo spaccio di droga pulita consumata dai giovani rampolli bianchi, mentre quella chimicamente sporca è di conforto ai giovani neri. La mano d’opera di riserva, nel caso, è ispanica. Il consumo di droga americano è anche il maggior contributo dell’economia alla sviluppo per il Sud America. I cartelli della droga poi tiranneggiano i politici locali così che l’élite politica locale sia debole e manipolabile dalle multinazionali americane che vanno a rapinare le risorse indigene. A massaggiare le opinioni pubbliche latine poi c’è l’esercito degli evangelici.

Gli americani sono anche di gran lunga i maggiori consumatori al mondo di antidepressivi, ansiolitici ed ipnotici con ricetta e non, hanno la più alta percentuale al mondo di malati mentali e rispetto a tutti paesi occidentali, sono di gran lunga quello che i più alti indici di diseguaglianza. Un terzo della popolazione nel paese in cui vivono il 41% dei più ricchi del pianeta, è povero, ma gli homeless non sono ammessi perché la sola loro vista produce un reato perseguibile penalmente: “reato contro la qualità della vita”.

Adesso dilettatevi a tifare contro o per Trump, Biden, Soros, Gates, Bezos, Zuckerberg, Bannon, questo o quel articolista che vi spiegherà cosa c’è sotto questo o quello, qualche economista che vi spiega come si rende felice la scienza triste, o quello che vi terrorizzerà col pericolo cinese, sputerà contro qualche istituzione internazionale e vi imbambolerà con qualche cazzata di giornata a cui abboccherete con la passione tipica dei colonizzati mentali, i pretoriani dell’Impero che non mancano mai nei paesi ridotti ormai a colonie di fatto, felici di esserlo. E non dimenticate di ribellarvi ad Immuni stando su facebook ed usando google, mi raccomando …

Ma noi europei, con questa gente, cosa abbiamo a che fare?

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