Paradossi di una pandemia, di Vincenzo Cucinotta

C’è questo di paradossale in questa vicenda COVID, che una elite tecnico-scientifica si impone sull’intera popolazione saltando anche la garanzie costituzionali, ma lo fa imponendo una sua modellazione che per ragioni di forza maggiore non può essere oggetto di verifica sperimentale, e quindi non è distinguibile dai dogmi che una casta sacerdotale impone ai sudditi.
L’unica fonte di verifica sperimentale potrebbe essere costituita da un raffronto tra stati differenti per verificare se una certa strategia abbia o no avuto più successo di un’altra differente. Seppure non si possa mai raggiungere l’affidabilità di un vero e proprio esperimento di laboratorio nel quale hai il controllo su ciascuna variabile sperimentale, e quindi devi tollerare che esistono condizioni sperimentali non identiche nei paesi messi a raffronto, tuttavia ciò non può arrivare fino al punto da chiudere gli occhi di fronte a queste differenze che costituiscono in ogni caso evidenze sperimentali che dovrebbero quanto meno essere spiegate e inserite nel modello. Un modello se pretende di stare nella pertinenza delle scienze sperimentali e non si considera articolo di fede non può essere costruito su una base dogmatica, deve sempre confrontarsi con dati sperimentali, e anche se qui sconfiniamo nella filosofia della scienza, bisogna che i dati raccolti abbiano un carattere davvero obiettivo. Ad esempio, non credo che ci sia scienziato che metta in dubbio il significato di temperatura corporea, è un dato facilmente misurabile e che comunque denota uno stato di sofferenza dell’organismo. Si tratta semmai, è questo il suo punto debole, di un dato generico perchè le cause che portano all’alterazione febbrile possono essere le più diverse, ma certo nessuno può ragionevolmente affermare che sia un dato di fantasia, generico sì, fittizio certamente no.
Lo stesso non può dirsi, per fare un esempio estremamente significativo, del numero di persone che risultano positive al tampone rinofaringeo.
La cosa che dovrebbe mettere all’erta tutti coloro che sono interessati a capire cosa stia succedendo, è che tale test finisce per mettere assieme “pere e mele” per citare un insegnamento che si da sin dai primi rudimenti dell’istruzione scolastica, anzi si separano tra loro le pere a seconda la varietà, ad esempio le pere coscia dalle dalle pere decane, mettendo quelle di quest’ultimo gruppo assieme alle pere. Uscendo di metafora, separiamo tra loro le persone sane oggi improvvidamente definite asintomatiche, a seconda della risposta al tampone, e quelli che rispondono positivamente ad esso vengono raggruppate assieme ai malati. Giornalmente, ognuno di noi non può accendere la TV senza che in uno dei numerosissimi notiziari o talk-show di ogni tipo, gli venga dato il numero dei positivi al tampone, cioè stiamo sommando alle mele le pere decane sol perchè hanno un peso comparabile, e teniamo da parte le pere coscia sol perchè pesano di meno.
Aggiungiamoci che questo test non da risposte univoche perchè si basa su cicli di amplificazione del segnale che tendono a farlo individuare al di sopra del rumore di fondo, e chiunque capisce che la scelta del numero di cicli di amplificazione fornisce numeri di positivi differenti. Ormai, ad esempio, sembra chiaro che la situazione tedesca difforme dagli altri paesi europei derivi dalla scelta lì fatta di usare cicli di amplificazione in numero nettamente inferiore.
Per chiarezza ulteriore, quando l’amplificazione del segnale è eccessiva, il rischio di produrre un segnale che non c’è, cioè di trasformare qualcosa che appartiene al rumore di fondo in segnale, è inevitabile. Non è che se amplifichiamo di più otteniamo sempre più informazione, a volte esagerando creiamo un’informazione fittizia.
Riassumendo, usare una variabile chiaramente determinabile come la temperatura corporea e un’altra legata a una procedura complessa, che richiede l’uso di costose apparecchiature, e che crea nella sua stessa modalità di esecuzione variabili aggiuntive (nel nostro caso i cicli di amplificazione), non sono cose equivalenti. Sia chiaro, non è che io sostenga che non si debba attingere a dati sperimentali di più difficile reperibilità e interpretazione, dico che quando tentiamo di trarre delle conclusioni, non dovremmo mai dimenticare la natura delle informazioni che stiamo usando e la fonte di tali informazioni.
Invece, questi organismi tecnico-scientifici che presiedono alle scelta fatte, hanno del tutto rimosso ogni riferimento a una questione che per qualsiasi scienziato è fondamentale, sulla affidabilità dei dati che usa in termini di accuratezza, riproducibilità e significato univoco. Tutto si decide sulla base di un modello preconfezionato, che punta su una variabile del tutto inventata e senza riscontro nelle realtà (nella metafora da me usata, il peso dei frutti indipendentemente dal tipo di frutto, come se resistesse una singola persona che sceglie cosa mangiare purchè stia in una determinata fascia di peso).
Voglio inoltre ricordare che non si parla di contagi ma di nuovi contagi, come se il fatto che una persona sia stata sottoposta a tampone in un determinato giorno significasse che il contagio fosse stato contratto quello stesso giorno, e infine che si usa una procedura di estrapolazione dei dati in funzione del tempo che rimane comunque una procedura di trattamento dei dati molto pericolosa perchè si basa sulla condizione in sé arbitraria che l’andamento osservato in un certo intervallo di tempo si estenda a un futuro, tra l’altro spesso imprecisato.
La cosa che tuttavia ritengo più grave in assoluto è questo negare l’unica forma che citavo di evidenza sperimentale, il raffronto tra differenti strategie di contrasto alla COVID-19.
Eppure, i risultati di numerosi possibili raffronti ci dicono che le misure di isolamento che si praticano soprattutto nell’Europa occidentale e in alcuni paesi sudamericani, a partire dal caso dell’Argentina particolarmente nell’area di Buenos Aires, non abbiano avuto successo. Difatti, a queste obiezioni, i favorevoli non sanno opporre altro che la sciocca affermazione che senza di queste misure sarebbe stata un’ecatombe, come l’annuncio che dopo la morte ci aspetta l’inferno, fede allo stato puro.
Si impone qui una spiegazione di tipo differente che avrei voluto leggere da parte degli esperti in materia, genetisti, virologi ed epidemiologi in primis, ma che, seguitando a non vedere, proverò, mettendo assieme informazioni raccolte da varie fonti, a descrivere in un prossimo post, a cui vi rimando.

Per capire meglio cosa non vada nelle strategie così invadenti e aggressive anti-contagio proprie della fascia più occidentale dell’Europa così come dell’Argentina e di altri paesi sud-americani, rivolgiamo la nostra attenzione a paesi che al contrario hanno usato strategie del tutto differenti.
In particolare occupiamoci del Brasile, di alcuni degli stati USA nei quali si è seguita una filosofia più permissiva, e infine dal caso più citato, quello della Svezia.
In questi paesi che ho elencato e che hanno sposato una strategia ben differente da quella italiana, si è osservata una prima fase durante la quale i casi erano più numerosi che da noi, la COVID-19 galoppava dando apparentemente ragione ai fautori di una severa politica di isolamento.
Successivamente però, complice forse, ma certo non nel caso del Brasile che si trova nell’emisfero australe, il sopravvenire della stagione calda, si osservava come anche da noi una diminuzione nella diffusione della malattia e soprattutto dei suoi effetti nocivi e a volte letali.
Potremmo quindi riassumere dicendo che dopo una fase iniziale in cui chi sceglieva una politica più permissiva si avevano più casi, si aveva poi una situazione abbastanza omogenea nei differenti paesi indipendentemente dalle scelte delle modalità di contrasto all’epidemia.
A settembre tuttavia, da noi e ancora di più in altri paesi che avevano adottato una analoga politica di contenimento, si iniziava ad osservare un certo incremento di ammalati che man mano è andato crescendo fino ai nostri giorni, quando la versione ufficiale è che i casi aumentano ancora ma con minore rapidità, insomma la velocità aumenta, ma l’accelerazione diminuisce.
Basta consultare i dati diffusi su più siti nel web per verificare che analogo incremento non si è osservato in quei paesi prima elencati che avevano scelto strategie più morbide.
Questo dato è estremamente interessante e va spiegato perché così si può mettere alla prova le tesi OMS, cioè quelle subite passivamente nell’Europa occidentale.
Ci sono due aspetti nel meccanismo di diffusione dell’epidemia che vanno considerati, l’uno è che ogni agente infettivo, avendo una velocità di riproduzione elevatissima, va facilmente incontro a mutazioni e tali mutazioni ne determinano un rapido processo di selezione, favorendo quel tipo di mutazioni che ne favoriscono la diffusione. In particolare, è noto che un virus che sia molto aggressivo con alti indici di letalità viene sfavorito perchè portando a una rapida morte dell’organismo ospite, ha meno tempo per contagiare soggetti terzi e quindi rischia di sparire assieme ad esso. Così si dice con un’espressione imprecisa ma efficace, che il virus sceglie di diventare meno aggressivo così da potere permanere nell’organismo ospite per un tempo sufficiente al contagio di altri soggetti. Ciò spiegherebbe la tendenza di epidemie che inizialmente si mostrano molto aggressive, col tempo a divenire poco letali e divenire magari infezioni che si cronicizzano nelle società colpite.
Parallelamente, il sistema immunitario dell’uomo sviluppa delle forme di resistenza al virus che pure in presenza di mutazioni frequenti, danno comunque una certa copertura seppure parziale e temporanea.
Si tratta di due meccanismi del tutto indipendenti che agiscono su organismi differenti, l’agente infettante da una parte, e l’organismo infettato dall’altra, che non per caso contribuiscono a attenuare gli effetti più clamorosi di un’epidemia trasformandola in poco tempo in un evento seppure nocivo per soggetti particolarmente deboli, innocuo dal punto di vista di una società organizzata come effetto complessivo.
Rimane da capire perchè da noi questo meccanismo stenta a manifestarsi più che in paesi più permissivi. Dobbiamo a questo scopo ricordare che questi fenomeni avvengono in presenza di contagio, è il contagio che induce una minore virulenza del virus, come è il contagio che consente a una frazione più ampia di popolazione di immunizzarsi, e quindi quando tu, anche in presenza di un rallentamento fino a un arresto vero e proprio dell’epidemia (ironizzavo quest’estate quando si arrivò ad avere decessi che si contavano sulle dita di una sola mano, sul fatto che il governo puntava a osservare qualche resurrezione (😎) tanto basso era il rischio presente), non dismetti immediatamente ogni forma di isolamento ed anzi promuovi un aumento deliberato del contagio, tu stai impedendo al meccanismo naturale classico di difesa dalle malattie infettive, di agire liberamente, in preda a un delirio di onnipotenza, contrasti la natura per imporre un addomesticamento guidato da tecnologie la cui efficaci assumi dogmaticamente, anche rispetto ad evidenze opposte.
La strategia che l’OMS ha deciso e che molti paesi sviluppati hanno sposato è sbagliata non in dettagli, o almeno non solo in numerosi dettagli che tutti noi abbiamo avuto in questi mesi modo di osservare, ma proprio nella filosofia di fondo, non di concentrare ogni sforzo nell’assecondare le difese naturali, come è proprio nello sviluppare forme di cura, ma con la pretesa rivelatasi fallimentare di sradicare del tutto un virus in una fase in cui esso si era ormai capillarmente diffuso e che ha determinato questo spreco di risorse economiche, strumentali e umane collegate a questa assurdità di eseguire tamponi a tappeto, perfino più di 250 mila al giorno, così distraendole da quel compito primario di ogni sistema sanitario, quello di curare e guarire gli ammalati.
Vorrei che questa triste esperienza della COVID-19 soprattutto per come è stata affrontata dai vari paesi servisse anche a ricordare che qualsiasi sviluppo culturale, per quanto sofisticato, non può sostituire, né contrastare frontalmente la nostra natura, ma deve partire da essa per assecondarla quanto è necessario e indirizzarla verso obiettivi desiderabili quanto è possibile. Andare oltre queste finalità sin dall’inizio da concepire come limitate, presto porterà alla stessa estinzione dell’umanità, o alternativamente all’estinzione della tecnologia, cioè a un ritorno a un mondo selvatico, due prospettive che spero riteniamo tutti da evitare accuratamente.

GLI USA GIOCHERANNO DI RIMESSA O CADRANNO NELLA TRAPPOLA DI TUCIDIDE? a cura di Luigi Longo

La fase multicentrica/Le elezioni presidenziali.

GLI USA GIOCHERANNO DI RIMESSA O CADRANNO NELLA TRAPPOLA DI TUCIDIDE?

a cura di Luigi Longo

 

Propongo la lettura dei seguenti due articoli: Manlio Dinucci, La politica estera di Joe Biden, il Manifesto, 10/11/2020 e Paolo Mastrolilli, Il piano Biden per l’Italia. Intervista a Michael Carpenter, La stampa, 11/11/2020.

Sono due articoli che riguardano le prospettive di politica estera degli USA, potenza mondiale in declino sempre più evidente, a seguito delle elezioni a presidente di Joe Biden. Le elezioni sono avvenute con metodi e modalità imbarazzanti per una potenza mondiale che esporta la democrazia anche se è una nazione costituzionalmente repubblicana, non democratica (il massimo della mistificazione). “[…] Sotto, sotto c’è sempre il western […] A me l’America non mi fa niente bene. Troppa libertà. Bisogna che glielo dica al dottore. A me l’America mi fa venir voglia di un dittatore. Ohhhhh!!! Sì, di un dittatore. Almeno si vede, si riconosce. Non ho mai visto qualcosa che sgretola l’individuo come quella libertà lì. Nemmeno una malattia ti mangia così bene dal di dentro. Come sono geniali gli Americani, te la mettono lì. La libertà è alla portata di tutti come la chitarra. Ognuno suona come vuole e tutti suonano come vuole la libertà.”, così cantava il grande Giorgio Gaber nella insuperabile L’America (1).

La situazione politica del Paese è quella di una nazione che non trova più una sintesi nazionale espressione degli agenti strategici dominanti e gli squilibri territoriali, sociali ed economici sono sempre più accentuati, con forte rischio della tenuta degli Stati federati degli Stati Uniti d’America.

L’epoca della tutela delle istituzioni, luoghi di conflitto e di equilibrio dinamico degli agenti strategici, per garantire l’unità e la sintesi di una grande potenza mondiale è finita (si pensi alle elezioni presidenziali del 1960 vinte da John Fitzgerald Kennedy per il passo indietro di Richard Nixon, inteso come equilibrio dinamico degli agenti strategici vincitori, e a quelle del 2000 tra George W. Bush e Al Gore con passo indietro di quest’ultimo).

Ora, come fa capire George Friedman (2), gli Stati Uniti sono costretti a giocare di rimessa anche se il rischio con Joe Biden, e soprattutto con Kamala Harris (la nuova regina del caos), è quello di cadere nella trappola di Tucidide (la sindrome della potenza in ascesa e la sindrome della potenza dominante) (3).

Si annunciano strategie di guerra, con un ruolo decisivo della Nato, per contrastare le due potenze mondiali in ascesa (Cina e Russia), per mettere in riga i servitori europei in maniera coordinata (si pensi al duo Angela Merkel-Emmanuel Macron) con una strategia chiara di contrasto sia con la Russia (sanzioni e ridimensionamento della politica energetica) sia con la Cina (contrasto al 5G e alla via della seta), per fornire le alternative, tipo la <<Three Seas Initiative>> (4), per riprendere in mano direttamente la situazione in Libia e nel Mediterraneo, per controllare il Medio Oriente con la nuova Nato araba (Israele e il mondo arabo sunnita in funzione anti Iran in modo da ridimensionare sia l’area di influenza della Russia e della Cina sia la loro possibile alleanza), per facilitare il ritorno della Turchia nella Nato, per usare lo strumento coronavirus (Covid-19) come guerra batteriologica (è nella storia umana del potere l’uso dei batteri e dei virus come strumenti di conflitto) sia contro le potenze mondiali emergenti sia per sistemare le cose interne. Tale sistemazione è nella logica di preparazione della sempre più avanzata fase multicentrica con gli accentramenti di potere, con la risistemazione dei settori produttivi, con la riorganizzazione delle regole sociali, con la eliminazione del diritto alla salute (uso il termine diritto per comodità di linguaggio perché in una società asimmetrica, cosiddetta capitalistica, è fuorviante parlare di diritti). La guerra batteriologica tra potenze mondiali sarebbe un filone di ricerca da intraprendere con serietà e coraggio. Una ricerca basata sull’ipotesi che considera sia ciò che è accaduto e sta accadendo, sia la letteratura fin qui prodotta, lasciando perdere le stupidaggini sul negazionismo, sul complottismo.

L’Europa? La nuova strategia statunitense ha bisogno di un vassallo che sappia coordinare bene la servitù europea, senza tentazioni orientali. E’ la fine della tattica degli accordi bilaterali di trumpiana memoria.

Per capire il livello di servitù volontaria europea basta osservare che tutti i leader (da quelli che contano come Angela Merkel e Emmanuel Macron a quelli che non contano come Sergio Mattarella) hanno gioito e non vedono l’ora di lavorare (5) con Joe Biden senza minimamente attendere la formalità democratica delle elezioni dei grandi elettori che eleggeranno il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America che vorrà guidare in maniera unilaterale il mondo, facendo così il gioco del loro nuovo signore.

 

A me l’America non mi fa niente bene!

 

 

Note

1.Giorgio Gaber, L’America in Album “Libertà obbligatoria”, 1995-1996.

2.George Friedman, Il dilemma di Biden, www.italiaeilmondo.com, 10/11/2020.

3.Luigi Longo, L’Europa tra le vie della Nato, le vie della seta e le vie dell’energia, prima parte, in www.italiaeilmondo.com, 19/11/2019.

4.Three Seas Initiative è il vertice dei tre mari. Il prossimo vertice si terrà in Bulgaria nel giugno 2021. Ogni anno riunisce 12 Paesi situati tra i mari Baltico, Nero e Adriatico. Essi sono: Estonia-Lettonia-Lituania-Polonia-RepubblicaCeca-Slovacchia-Ungheria-Slovenia-Austria-Croazia-Romania-Bulgaria. L’iniziativa Three Seas mira a promuovere la cooperazione, in primo luogo, per lo sviluppo di infrastrutture nei settori dell’energia, dei trasporti e del digitale. Mira a nuovi investimenti, crescita economica e sicurezza energetica. E soprattutto persegue gli obiettivi degli Stati Uniti finalizzati ad allargare la sua area di influenza nell’Europa centrale e orientale in funzione anti Russia.

5.Redazione Ansa, I leader mondiali si congratulano con Biden, www.ansa.it, 8/11/2020. E’ impressionante come tutti i leader hanno usato la stessa terminologia. E’ il segno dei tempi!

 

1.LA POLITICA ESTERA DI JOE BIDEN

di Manlio Dinucci

 

Le linee portanti del programma di politica estera che la nuova amministrazioneUsa si impegna ad attuare sono espressione di un partito trasversale.

Quali sono le linee programmatiche di politica estera che Joe Biden attuerà quando si sarà insediato alla Casa Bianca? Lo ha preannunciato con un dettagliato articolo sulla rivista Foreign Affairs (marzo/aprile 2020), che ha costituito la base della Piattaforma 2020 approvata in agosto dal Partito Democratico.

Il titolo è già eloquente: «Perché l’America deve guidare di nuovo / Salvataggio della politica estera degli Stati Uniti dopo Trump». Biden sintetizza così il suo programma di politica estera: mentre «il presidente Trump ha sminuito, indebolito e abbandonato alleati e partner, e abdicato alla leadership americana, come presidente farò immediatamente passi per rinnovare le alleanze degli Stati uniti, e far sì che l’America, ancora una volta, guidi il mondo».

Il primo passo sarà quello di rafforzare la Nato, che è «il cuore stesso della sicurezza nazionale degli Stati uniti». A tal fine Biden farà gli «investimenti necessari» perché gli Stati uniti mantengano «la più potente forza militare del mondo» e, allo stesso tempo, farà in modo che «i nostri alleati Nato accrescano la loro spesa per la Difesa» secondo gli impegni già assunti con l’amministrazione Obama-Biden.

Il secondo passo sarà quello di convocare, nel primo anno di presidenza, un «Summit globale per la democrazia»: vi parteciperanno «le nazioni del mondo libero e le organizzazioni della società civile di tutto il mondo in prima linea nella difesa della democrazia».

Il Summit deciderà una «azione collettiva contro le minacce globali». Anzitutto per «contrastare l’aggressione russa, mantenendo affilate le capacità militari dell’Alleanza e imponendo alla Russia reali costi per le sue violazioni delle norme internazionali»; allo stesso tempo, per «costruire un fronte unito contro le azioni offensive e le violazioni dei diritti umani da parte della Cina, che sta estendendo la sua portata globale».

Poiché «il mondo non si organizza da sé», sottolinea Biden, gli Stati uniti devono ritornare a «svolgere il ruolo di guida nello scrivere le regole, come hanno fatto per 70anni sotto i presidenti sia democratici che repubblicani, finché non è arrivato Trump».

Queste sono le linee portanti del programma di politica estera che l’amministrazione Biden si impegna ad attuare. Tale programma – elaborato con la partecipazione di oltre 2.000 consiglieri di politica estera e sicurezza nazionale, organizzati in 20 gruppi di lavoro – non è solo il programma di Biden e del Partito Democratico. Esso è in realtà espressione di un partito trasversale, la cui esistenza è dimostrata dal fatto che le decisioni fondamentali di politica estera, anzitutto quelle relative alle guerre, vengono prese negli Stati uniti su base bipartisan.

Lo conferma il fatto che oltre 130 alti funzionari repubblicani (sia a riposo che in carica) hanno pubblicato il 20 agosto una dichiarazione di voto contro il repubblicano Trump e a favore del democratico Biden. Tra questi c’è John Negroponte, nominato dal presidente George W. Bush, nel 2004-2007, prima ambasciatore in Iraq (con il compito di reprimere la resistenza), poi direttore dei servizi segreti Usa.

Lo conferma il fatto che il democratico Biden, allora presidente della Commissione Esteri del Senato, sostenne nel 2001 la decisione del presidente repubblicano Bush di attaccare e invadere l’Afghanistan e, nel 2002, promosse una risoluzione bipartisan di77 senatori che autorizzava il presidente Bush ad attaccare e invadere l’Iraq con l’accusa (poi dimostratasi falsa) che esso possedeva armi di distruzione di massa.

Sempre durante l’amministrazione Bush, quando le forze Usa non riuscivano a controllare l’Iraq occupato, Joe Biden faceva passare al Senato, nel 2007, un piano sul «decentramento dell’Iraq in tre regioni autonome – curda, sunnita e sciita»: in altre parole lo smembramento del paese funzionale alla strategia Usa.

Parimenti, quando Joe Biden è stato per due mandati vicepresidente dell’amministrazione Obama, i repubblicani hanno appoggiato le decisioni democratiche sulla guerra alla Libia, l’operazione in Siria e il nuovo confronto con la Russia.

Il partito trasversale, che non appare alle urne, continua a lavorare perché «l’America, ancora una volta, guidi il mondo».

 

 

2.IL PIANO BIDEN PER L’ITALIA

Il consigliere del presidente-eletto: ”per Joe il vostro paese è strategico. Ma attenti a Russia e Cina. E sulla via della seta…Possiamo fare grandi progressi nelle relazioni Usa-UE eliminando appena possibile i dazi e accordandoci sulla riforma del Wto. Finché la Russia mantiene truppe in Ucraina e occupa territori sovrani, non dobbiamo togliere le sanzioni”

 

di Paolo Mastrolilli

 

Ripensare il rapporto con la Cina e il 5G; mantenere le sanzioni alla Russia; aumentare gli investimenti nella difesa, o fornire assetti nel Mediterraneo e Medio Oriente; aiutare la stabilizzazione della Libia.

Michael Carpenter offre all’ Italia è un vademecum per andare d’accordo con l’amministrazione Biden. Vale la pena di ascoltarlo, perché era il braccio destro per la politica estera del vicepresidente, che lo aveva voluto nel Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca come direttore per la Russia. Con Trump è diventato direttore del Penn Biden Center for Diplomacy and Global Engagement alla University of Pennsylvania, il think tank dove Joe ha preparato la rivincita.

 

Il presidente Biden come cambierà il rapporto con l’Europa?

«Penso che sarà il campione delle relazioni tra Usa e Ue, e cercherà di espandere commerci e investimenti. Possiamo fare grandi progressi eliminando appena possibile le tariffe».

 

La Ue ha imposto dazi alla Boeing.

«La vicenda va risolta dai negoziatori, ma se ci accordiamo sulla riforma della Wto e i principi della nostra partnership, possiamo superare tutte le questioni».

 

Cosa farà Biden sul clima?

«Non solo tornerà nell’ accordo di Parigi dal primo giorno, ma cercherà di costruirci sopra misure addizionali. Biden ha detto che gli Usa devono diventare “carbon neutral” entro il 2050, e ciò rispecchia gli obiettivi Ue. Ci sono enormi opportunità, se investiamo insieme nell’ energia pulita e rinnovabile. Nella ripresa post Covid, su entrambe le sponde dell’Atlantico dovremmo puntare sulle infrastrutture verdi, perché creano lavoro».

Biden prepara un vertice per rilanciare la Nato?

«Metterà grande enfasi sul suo rafforzamento, in termini di difesa e deterrenza, ma anche di coesione. C’è stato un arretramento della democrazia, ad esempio nel comportamento della Turchia. La Nato è frammentata, per Biden sarà prioritaria la coesione».

 

L’Italia deve investire il 2% del pil nella Difesa?

«La condivisione dei pesi è un importante principio Nato, ma con pandemia e crisi economica dobbiamo essere flessibili. Ci sono investimenti, su mobilità e prontezza militare, che non rientrano in quelli per la difesa, ma possono essere conteggiati per i Paesi che li espandono».

 

Biden vuole chiudere le “guerre infinite”. L’ Italia potrebbe contribuire con assetti in Medio Oriente e Mediterraneo, dove gli Usa si ritirano?

«Certo, è un tema su cui dobbiamo coordinarci con gli italiani. Sarete molto importanti per la strategia meridionale della Nato, riguardo Nord Africa e Mediterraneo, che va rafforzata. In queste regioni guarderemo a voi per un ruolo guida, anche per le migrazioni».

 

In Libia cosa può fare l’Italia?

«Siete molto impegnati e ciò è utile. La Nato deve sviluppare una strategia meridionale più complessiva, ma sulla Libia la Ue potrebbe guidare».

 

Nonostante la rivalità fra Italia e Francia?

«Questo è un caso dove ci vuole coordinamento, nella Nato e nella Ue, e gli Usa devono favorirlo».

 

Tornerete nell’ accordo nucleare con l’Iran?

«Biden ha detto che vuole farlo, se Teheran torna a rispettare i suoi obblighi. Trump ha portato gli Usa all’ isolamento, permettendo all’ Iran di riprendere il programma nucleare senza controlli».

 

Quale sarà la linea di Biden sulla Russia?

«Un approccio da una posizione di forza. Puntiamo ad unificare gli alleati per misure che potenzino militarmente la Nato, e impongano costi a Mosca quando ha comportamenti ostili, o mina la sovranità di altri Paesi. Allo stesso tempo vogliamo promuovere la stabilità, aumentando il dialogo sul controllo degli armamenti e la riduzione dei rischi».

L’ Italia ha premuto per togliere le sanzioni.

«Finché la Russia mantiene truppe in Ucraina e occupa territori sovrani, non dobbiamo togliere le sanzioni. Sarà importante sederci con i partner europei, inclusa l’Italia, per allineare le nostre visioni».

 

Con quali obiettivi?

«Contenere l’aggressione russa, impedirle di sovvertire le nostre democrazie. Il futuro potrebbe portare a una relazione più produttiva, ma non dobbiamo essere ingenui e pensare che sia dietro l’angolo».

 

Cosa farà con la Cina?

«Biden metterà gli alleati al centro della strategia. Il fallimento di Trump è stato il focus sui negoziati bilaterali per il deficit commerciale, invece delle profonde questioni sistemiche usate per manipolare i commerci. Bisogna presentare un fronte unito, con europei ed asiatici, per obbligare la Cina a cambiare».

 

La posizione dell’Italia su Via della Seta e 5G è compatibile?

«Spero sia possibile una conversazione strategica sulla minaccia che queste iniziative pongono per la sicurezza. La tecnologia cinese e il 5G sono pericolose, e le democrazie dovrebbero unirsi per produrre alternative.

La Via della Seta nasconde trappole come la diplomazia del debito o le acquisizioni di infrastrutture strategiche che non beneficiano i Paesi coinvolti. Dobbiamo fornire alternative, tipo la Three Seas Initiative».

 

Biden vuole un Summit della democrazia. Quale sarà l’agenda?

«Metterà enfasi sul sostegno della democrazia, tanto le istituzioni dei nostri Paesi, quanto i movimenti che la promuovono. Nel mio Paese un governo populista di estrema destra ha eroso le norme democratiche, perciò tutti noi dobbiamo riaffermare l’impegno a rispettarle e tutelarle».

 

 

 

minori allontanati dalle famiglie. Cosa è cambiato dopo Bibbiano?_con Paolo Roat

L’inchiesta sui minori allontanati dalle famiglie a Bibbiano ha suscitato profonda emozione e sollevato profonde inquietudini. Qualcosa è cambiato nell’attenzione e nelle procedure; niente nel mondo politico. L’ambito entro il quale è possibile intraprendere i provvedimenti più organici tesi ad eliminare sopraffazioni ai danni di famiglie e bambini ed insidiare condotte da regimi totalitari. Come una visione patologizzante dei comportamenti può trasformarsi per inerzia in una struttura burocratica di controllo e sopraffazione che deve riprodursi incessantemente. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

elezioni americane durante e dopo_ V atto con Gianfranco Campa

Due staff che per il momento procedono in parallelo, ma che non tarderanno a convergere e collidere. Trump si sta muovendo con il suo staff legale e sta riposizionando alcune pedine importanti nei dipartimenti. Biden ha allestito la task force che dovrà gestire la transizione; la sua composizione parla da sola riguardo alle intenzioni e alle forze che lo stanno sostenendo. Nel frattempo comincia a muoversi la piazza. Uno dei due sarà di troppo, ma chi sarà obbligato a vincere è soprattutto Biden_Giuseppe Germinario

NB_Intanto tra la fase di registrazione e quella di pubblicazione di questa conversazione si susseguono le novità: Biden si aggiudica l’Arizona, Trump la Georgia; gli organi ufficiali si affannano a certificare la regolarità delle elezioni; il Vaticano e soprattutto la Cina riconoscono Biden alla Casa Bianca.

NB_Scorrendo siti, servizi di informazione on line e su supporto cartaceo scopriamo con piacere e soddisfazione di essere spesso e volentieri fonte di informazione e di ispirazione. Scopriamo con minore soddisfazione che in tanti casi il flusso viene riportato in maniera sin troppo fedele senza che però ci sia un riferimento esplicito al testo originario. Sottolineiamo che la produzione di questo sito poggia esclusivamente sulla ricerca e sull’impegno del tutto volontario e gratuito dei redattori senza alcun sostegno finanziario, pubblicitario e organizzativo esterno. Ci aspettiamo almeno un riconoscimento morale esplicito. Indicare nei testi il link originale non costa nulla; è un piccolo segno di sportività e di correttezza in un panorama che vede anche gli organi di informazione apparentemente più autorevoli e rispettabili liberarsi progressivamente dalle fatiche dell’impegno di ricerca originale e ridursi a meri riproduttori di veline e gossip del mainstream internazionale. Non si sono ancora accorti che nell’era della tanto decantata globalizzazione le distanze non sono più garanzia di opacità

L’ESSENZA DEL POTERE NON STA NEL POPOLO, di Antonio de Martini

L’ESSENZA DEL POTERE NON STA NEL POPOLO
Il primo assaggio di democrazia gli italiani lo ebbero con il referendum tra Monarchia e Repubblica nel 1946.
I numeri erano incompleti e incerti, dato che non erano rientrati in patria oltre un milione e mezzo di prigionieri di guerra e deportati e i voti espressi erano piu o meno equivalenti.
Fu dichiarata la Repubblica e la magistratura si adeguò con una presa d’atto piu che con una sentenza.
La monarchia sabauda, dopo aver usato con analoga disinvoltura i referendum per annettersi mezza Italia, non ebbe le carte in regola per protestare credibilmente.
Anni dopo, in una recente tornata elettorale, l’’onorevole Fassino, dichiarò vincitore delle elezioni il PD nel perdurare dell’incertezza sui numeri.
Ognuno di questi episodi – e mille piccoli altri avvenuti qui e altrove – ha contribuito a togliere credibilità al sistema escogitato per determinare senza spargimenti di sangue gli assetti di potere e l’orientamento politico di un paese.
L’omicidio politico nacque come esasperazione democratica per reazione allo strapotere.
Nel XIX secolo si definiva la Russia “ una monarchia assoluta temperata dal tirannicidio”.
In questa era moderna, singoli momenti ribellistici affiorano qua e la con mini spargimenti di sangue presentati come fatti patologici o di fanatismo religioso, ma – a mio avviso- andrebbero analizzati per quello che sono: stanchi di narrative fasulle, singoli si ribellano e mettono mano alle armi.
I pazzi e i poeti, si sa, anticipano i fenomeni sociali.
Questi isolati nemici del sistema , se esaminati attentamente, riveleranno di essere stati prima illusi dalle promesse della società, poi indignati per l’indifferenza e indotti alla reazione violenta dal desiderio di richiamare il mondo alla realtà del rapporto di forza reale.
I più deboli con reazioni isolate e personali, i piu muniti intellettualmente, istigando terzi elementi.
Il “sistema” si difende disinformando e attribuendo questi fenomeni a fattori psichici o di fanatismo religioso che con questi spesso confina.
Tra tutti questi fenomeni, troneggiava intatto il mito della democrazia statunitense.
L’America era il posto in cui queste brutture potevano accadere in una elezione municipale, ma non al vertice.
Trump era la prova che chiunque poteva giungere senza ostruzionismi al vertice di un paese democratico e governarlo.
Trump ha distrutto questa illusione.
Puoi essere eletto, ma non governare.
Twitter che censura il capo dello stato è il tirannicidio moderno. Mostra che il re è nudo e il potere politico democratico è una vuota forma.
Torna a prevalere l’articolo quinto ( chi c’ha i soldi in mano ha vinto).
Servirà qualche tempo per metabolizzare il tutto, ma l’insegnamento giungerà fino a noi.

elezioni americane durante e dopo_atto IV, con Gianfranco Campa

Siamo ormai al riposizionamento delle pedine. Il segno che lo scontro finale dovrà compiersi nelle prossime settimane. Da questo epilogo dipenderà la modalità di svolgimento dello scontro politico nei prossimi anni. Un confronto che coinvolgerà pesantemente ceto politico, apparati dello stato e popolazione; sarà tanto più dirompente quanto una delle parti sarà messa con le spalle a muro senza altre vie di fuga. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

le truppe russe si schierano in Nagorno-Karabakh, A cura di: Geopolitical Futures

La pesante sconfitta sul campo delle forze militari armene in Nagorno-Karabakh ha segnato apparentemente un grande smacco per la diplomazia russa.  In realtà è solo una battuta di arresto non irrimediabile. La vera sconfitta, con l’onta dell’ignominia, sia pure nell’ombra l’ha subita la Unione Europea. Il Governo armeno, distaccandosi progressivamente e discretamente dalla Russia, ha cercato in questi anni di assecondare e di appoggiarsi sempre più sulla UE e sui due principali paesi dell’Unione, ricevendone scarso sostegno economico e un sostegno diplomatico e militare del tutto illusorio e vacuo. La lezione dell’Ucraina, come pure quella della ex-Jugoslavia, evidentemente non è bastata. Da qui si comprende in parte l’atteggiamento inizialmente tiepido dei russi a sostegno degli armeni; l’altra parte è dovuto alla necessità di non deteriorare irreversibilmente i rapporti con l’Azerbaijan e di non concedere ulteriori spazi alla Turchia di Erdogan. Da qui il preoccupante e tragico isolamento e il collasso della propria presunta superiorità militare, stando agli antefatti, proprio nel momento di maggior attivismo politico-militare della Turchia a sostegno dell’Azerbaijan.

Il Governo e la popolazione armeni sono semplicemente l’ultima, purtroppo non ancora l’ultima, vittima della ecumenica retorica europeista del “volemose bene”, della illusione che la relativa forza economica sia sinonimo di indipendenza politica, autorevolezza diplomatica e forza militare.

L’ulteriore conferma che l’UE, più che una entità politico-diplomatica attiva, è una realtà finalizzata a neutralizzare ed impedire ogni rigurgito di sovranità e autorevolezza degli stati europei e a favorire i giochini opportunistici di bassa lega dei vari paesi, in primis la Germania, a completo rimorchio di strategie altrui. Tutta l’ansia e la precipitazione nel riconoscere anzitempo l’insediamento di Biden alla Casa Bianca sono la classica ciliegina sulla torta di un comportamento miserabile e controproducente persino al più ottuso dei servi._Giuseppe Germinario

le truppe russe si schierano in Nagorno-Karabakh

L’accordo di cessate il fuoco di martedì è una vittoria strategica per il Cremlino.

A cura di: Geopolitical Futures

Contesto: da settembre, Armenia e Azerbaigian sono impegnate nell’ultimo round di combattimenti per il Nagorno-Karabakh. Russia, Turchia e Iran hanno tutti interessi nella regione strategicamente importante situata nel Caucaso meridionale. La Russia, che la vede come parte della sua zona cuscinetto critica, si è bilanciata tra le due parti, mentre la Turchia è una sostenitrice chiave dell’Azerbaigian.

Cosa è successo: dopo che la Russia, l’Azerbaigian e l’Armenia hanno firmato martedì un altro accordo di cessate il fuoco, il Cremlino ha iniziato a dispiegare forze di pace in Nagorno-Karabakh come parte dell’accordo di pace. In totale, la Russia invierà 1.960 soldati con armi leggere, 90 corazzati da trasporto truppe e 380 unità di equipaggiamento nella regione. Le forze di pace saranno di stanza lì per almeno cinque anni con possibilità di proroga. Il ministero della Difesa russo prevede di creare 16 posti di osservazione lungo la linea di contatto e il corridoio di Lachin. Le truppe dispiegate hanno seguito un addestramento per il mantenimento della pace e la maggior parte in precedenza ha prestato servizio in Siria. Saranno inoltre dispiegate unità di polizia militare. Sebbene il Cremlino avrà alcune comunicazioni con la Turchia attraverso un centro di monitoraggio situato in Azerbaigian , prevede di portare avanti la missione di mantenimento della pace da solo.

Conclusione: includendo un contingente russo di mantenimento della pace come parte dell’accordo di cessate il fuoco, Mosca ha rafforzato la sua presenza nel Caucaso meridionale e, cosa più importante, ha ripristinato il suo status di attore principale nella regione. Pertanto, l’accordo è una vittoria strategica per il Cremlino: offre a Mosca l’opportunità non solo di costruire legami più forti con l’Azerbaigian e aumentare la dipendenza dell’Armenia, ma anche di monitorare le azioni future della Turchia nel Caucaso meridionale.

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le vie della promozione sociale ovvero LA REALTÀ È SEMPRE IN AGGUATO, di Antonio de Martini

LA REALTÀ È SEMPRE IN AGGUATO
Sono stato intervistato sul tema delle conseguenze del Covid sugli equilibri internazionali.
Non se ne può più.
Oggi voglio cambiare argomento a costo di steccare nel coro.
Cosa c’è di più latino-americano della Telenovela?
Ci fu un periodo, anni settanta, in cui “rete Globo” , una piccola retebrasiliana, aveva persino un rappresentante a Roma e propinava anche a noi lacrimevoli storie a puntate basate su amori impossibili, spolveratine di sesso, trionfo finale dei concetti di tradizione, famiglia e promozione sociale alla cenerentola.
Sarete quindi poco meravigliati se vi dico che questo prodotto sudamericano imperversa ancora, ma certamente molto stupiti se vi dico che le telenovelas più seguite dell’America Latina sono di produzione turca.
Si, avete capito bene. La Turchia, dopo aver, abbastanza comprensibilmente, conquistato i mercati mediorientali sottraendoli alla tradizionale produzione egiziana ( doppiandoli in dialetto siriano e acquisendo una audience di 85 milioni di spettatori.) ha conquistato il mercato brasiliano e limitrofi con le sue telenovelas.
Un soft power impressionante.
Gli ingredienti sono sempre quelli: amori impossibili, promozione sociale per via clitoridea, trionfo finale dei valori tradizionali.
Se ne traggono tre ammaestramenti :
primo: i mercati ci sono. Mancano i mercanti.
Secondo: valori come famiglia, lavoro, tradizione, sono universali, ancora molto apprezzati e fanno cassetta.
Terzo: la Turchia non è clerico-mussulmana come ci vogliono far credere, visto che l’America Latina ospita il 52% dei cattolici del pianeta e in Argentina un abitante su tre ha origini italiane.
Noi, invece di reagire “ alla turca” possiamo tranquillamente continuare a mendicare da Conte, piagnucolare per paura di morire di covid, produrre fiction zeppe di amori omosessuali e carabinieri intelligenti che ammanettano i cattivi che nessuno al mondo si sogna di comprare.
Resta solo da promuovere una raccolta di firme per raddrizzare le gambe ai cani e poi possiamo attrezzarci per un sereno Natale coi gessetti.

Il dilemma di Biden, di George Friedman

Le elezioni sono finite e, salvo gravi frodi o errori, Joe Biden sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Inizia come un candidato debole. Il paese è diviso praticamente a metà; quasi la metà del paese ha votato contro di lui. L’animosità nei suoi confronti sarà simile a quella affrontata da Donald Trump negli ultimi quattro anni.

Il Congresso è profondamente diviso. Il Senato potrebbe arrivare in parità, con il vicepresidente eletto Kamala Harris che detiene il voto decisivo. Alla Camera dei Rappresentanti, la maggioranza dei Democratici si è ridotta a soli 14 seggi. Durante l’amministrazione Trump, tendevano a votare quasi all’unanimità. Con una maggioranza minore potrebbero non esserlo, data l’emergere di un’ala progressista del partito. Con Trump andato, anche l’unanimità potrebbe essere finita. Passata l’euforia per la vittoria, Biden avrà poco margine di manovra.

Biden deve creare rapidamente una solida base per la sua presidenza. Quando Barack Obama è entrato in carica, la questione dominante era la guerra in Iraq. Si è immediatamente rivolto al mondo islamico per ridisegnare le percezioni lì, e sebbene abbia avuto solo un effetto limitato nel mondo islamico, ha avuto un’influenza sostanziale negli Stati Uniti, che erano stanchi dopo un decennio di guerra nella regione. Rappresentava qualcosa di nuovo in un momento in cui il vecchio era visto da molti come disfunzionale.

Per Biden, non esiste un problema di politica estera imponente . Ci sono, ovviamente, due imponenti questioni interne: la crisi COVID-19 e l’economia. In una certa misura c’è un compromesso qui, in assenza di un vaccino praticabile. Le misure più aggressive vengono utilizzate per combattere il virus, maggiore è lo stress per l’economia. Più si è sensibili all’economia, meno si è ossessionati dalla malattia. Questa è una visione imperfetta della situazione, ma tutt’altro che assurda.

Trump considerava il virus secondario rispetto all’economia. L’approccio ragionevole è prendere entrambi allo stesso modo sul serio e trovare soluzioni per entrambi – ragionevole ma difficile, quando le soluzioni per l’una impongono costi dall’altra parte. (Ovviamente, ogni presidente dovrebbe inventare l’impossibile, e ogni presidente promette di farlo.) Un discorso “sangue, sudore, fatica e lacrime” che galvanizzi il paese al sacrificio su entrambi i fronti non funzionerà. Nella lotta al virus, non chiedi alla nazione di fare qualcosa di straordinariamente difficile; gli stai chiedendo di non fare cose ordinarie. In ogni caso, Biden può avere molte virtù, ma essere Churchillian non sembra essere una di queste.

La promessa di Biden di unire il paese è abbastanza improbabile, perché è intrappolato nel dilemma del suo predecessore. Nelle circostanze attuali, Biden ha opzioni economiche limitate. E ha a che fare con una malattia di cui non ha una vera esperienza ma per la quale dovrebbe implementare soluzioni. Alcune soluzioni arriveranno da medici insensibili alle conseguenze economiche delle loro decisioni. Altri verranno dalla Fed e dalle imprese, che si aspettano che il sistema medico risolva un problema che lo sconcerta. Come Trump, avrà un menu di scelte imperfette. Come Trump, pagherà il prezzo politico per qualunque cosa scelga. Trump ha scelto quello che pensava fosse politicamente opportuno. Si era sbagliato. Ma se avesse scelto diversamente, anche quello sarebbe stato sbagliato.

Ho scritto di come la politica estera di un’epoca tende a seguire da un presidente all’altro . La presidenza di Obama ha coinciso con la fine delle guerre jihadiste. Per Obama c’erano tre principi: ritirare il massimo delle forze dal Medio Oriente, ristrutturare le relazioni USA-Cina e impedire alla Russia di dominare l’Ucraina e altri paesi. La politica estera di Trump era quella di continuare a ridurre la presenza delle forze statunitensi in Medio Oriente, supervisionando un nuovo sistema geopolitico che lega Israele al mondo arabo, aumentando pesantemente la pressione sulla Cina per cambiare le sue politiche economiche e aumentando modestamente la presenza degli Stati Uniti in Polonia e La Romania blocca la Russia.

Biden si aprirà con alcune semplici mosse, come rientrare nell’accordo di Parigi. Ciò richiede che un paese crei piani per raggiungere gli obiettivi del trattato, crei piani per l’attuazione e li attui. Per Biden, creare un piano che possa far passare il Congresso è difficile; implementarlo è ancora più difficile. Molte nazioni che hanno firmato l’accordo non hanno attuato piani rispettando i propri obblighi. Ma unirsi è facile e starà bene al partito litigioso di Biden.

Rianimerà anche le relazioni atlantiche sembrando ragionevole agli interminabili incontri che non portano a nulla. A parte la Polonia e la Romania – esse stesse un’estensione della questione russa – e la questione perenne della spesa per la difesa, Washington ha pochi problemi reali con l’Europa.

Ciò che importa a Biden sarà ciò che importa a Obama e Trump: la Cina e le sue relazioni economiche con gli Stati Uniti, oltre a proteggere il Pacifico occidentale da un’improbabile incursione cinese; il continuo ritiro delle truppe dal Medio Oriente e il sostegno all’intesa arabo-israeliana; ei continui tentativi di limitare gli sforzi russi di espansione attraverso il dispiegamento di truppe e sanzioni.

Questi sono problemi che rappresentano la continuità e, cosa importante, non sminuiranno le principali sfide interne con cui Biden dovrà confrontarsi. Ci sono altre questioni, ma cambiarle richiede di trattare con gli alleati che sono profondamente coinvolti in esse. Ad esempio, è possibile cambiare la politica sull’Iran, ma creerebbe enormi tensioni con Israele e il mondo arabo sunnita. Allo stesso modo, un cambiamento nella politica della Corea creerebbe problemi con il Giappone e la Corea del Sud.

Quindi l’obiettivo dell’amministrazione Biden entrante sarà quello di concentrarsi sulla questione che ha distrutto Trump: COVID-19 e l’economia. Per fare ciò, è necessario limitare o evitare iniziative di politica estera che potrebbero indebolire la posizione di Biden al Congresso e nel Paese. Ciò non significa che la diplomazia statunitense non cambierà. Alla miriade di riunioni parteciperanno e verrà emesso un nuovo tono, uguale al vecchio tono .

Questo modello, ovviamente, dipende dalle azioni degli altri. Jimmy Carter non si aspettava una rivolta in Iran, e George HW Bush non era chiaro sulla caduta dell’Unione Sovietica. Suo figlio non si aspettava che la sua amministrazione fosse incentrata su al-Qaeda. Il resto del mondo può ridefinire ciò che è importante e ciò che non lo è. Data l’attenzione degli Stati Uniti sulla politica interna, l’opportunità per altri paesi di trarre vantaggio da questa preoccupazione è potenzialmente significativa. Quindi la realtà è che per il momento l’iniziativa si sposta dagli Stati Uniti.

elezioni americane durante e dopo atto III _ con Gianfranco Campa

L’iter che porterà, dovrebbe portare, all’insediamento del Presidente degli Stati Uniti a gennaio 2021 sta assumendo dinamiche sempre più convulse e contraddittorie. Lo staff di Joe Biden sta procedendo come se fosse già investito di una carica per le quali mancano ancora responsi elettorali definitivi e sanzione giuridica. Lo scontro non è più tra Trump e Biden, ma anche all’interno del partito democratico. La stessa Corte Suprema rischia di essere delegittimata. Non c’è niente di più pericoloso di un ceto politico e di una classe dirigente con le spalle al muro!. I meno saggi e i più imprudenti sono come al solito gli adulatori e i servi; come sempre l’Europa si sta distinguendo. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

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