JUS SCHOLAE E ITALIANI DA FARE, di Teodoro Klitsche de la Grange

JUS SCHOLAE E ITALIANI DA FARE

Qualche sera fa in televisione era invitato un parlamentare PD il quale strenuamente difendeva il d.d.l. sullo jus scholae ripetendo che i giovani cui sarebbe stato applicato (ove approvato) erano “italiani” ed avevano “diritto” alla cittadinanza.

È facile obiettare che un tale modo di ragionare ha il (doppio) difetto di dare per scontata e pacifica l’italianità (cioè il “presupposto di fatto” per la concessione della cittadinanza) ossia la cosa da provare, a realizzare la quale può concorrere (anche) la frequentazione scolastica; dall’altra che il tutto sarebbe un “diritto”. Ma se è un diritto (positivo) è inutile battersi per riconoscerlo; se invece è – com’è – una pretesa, occorre valutare se tale pretesa – promossa a diritto – sia legittima ed opportuna. Che è poi l’oggetto del dibattito nell’opinione pubblica e in Parlamento. Di fronte a tali argomentazioni strabiche e filiformi, la risposta acconcia è quella di Salvini: con tanti problemi che abbiamo dalla guerra al COVID, dalle macro-bollette alla crisi energetica e all’inflazione, è proprio così pressante e decisivo il riconoscimento di cittadinanza?

Ma invece di dare la consueta risposta dietrologica: che è importante per il PD il quale spera di trovare nei riconosciuti italiani un serbatoio elettorale sostitutivo di quello in gran parte perso (nonché una bandiera da sventolare), vediamo come sia stato considerato il problema da oltre due millenni fa.

Scrive Aristotele nella Politica esaminando le cause dei rivolgimenti politici e quindi (anche) dei cambiamenti costituzionali “Anche la differenza di razze è elemento di ribellione finché non si raggiunga concordia di spiriti, perché, come non si forma uno stato da una massa qualunque di uomini, così nemmeno in un qualunque momento del tempo. Per ciò (coloro che) hanno accolto uomini d’altra razza sia come compagni di colonizzazione sia come concittadini dopo la colonizzazione, la maggior parte sono caduti in preda alle fazioni” (1303b) e prosegue, per dimostrarlo, con un lungo elenco di “inclusioni” finite in guerre civili.

Anche i romani che della concessione della cittadinanza (a singoli o a collettività) fecero un efficace sistema d’integrazione, questa era normalmente uno dei benefici per i veterani non cittadini che avevano militato per 25 anni nell’esercito. Né i tempi erano granché solleciti: a parte l’editto di Caracalla (dopo oltre due secoli dalla costituzione dell’impero), la cittadinanza latina (e non romana) fu concessa a tutta la Spagna all’epoca dei Flavi (anche qua, oltre due secoli dalla conquista) e mentre la Spagna dava alla letteratura latina alcuni dei più suoi grandi scrittori. Ma a differenza dei politici italiani i romani non misuravano benefici del genere con i tempi delle campagne elettorali. Anche la storia successiva prova che, per fare una nazione da più etnie, occorrono secoli.

Renan sosteneva che una “nazione è un’anima, un principio spirituale”, e soprattutto due cose la costituiscono: il comune possesso di ricordi nel passato  e il consenso nel presente “Un passato eroico, grandi uomini e gloria (mi riferisco a quella vera), ecco il capitale sociale su cui poggia un’idea nazionale. Avere glorie comuni nel passato e una volontà comune nel presente: aver compiuto grandi cose insieme e volerne fare altre ancora; ecco le condizioni essenziali per essere un popolo”.  Ma qua di comune passato non se ne parla affatto, perché non c’è; l’altro è assai dubbio che esista (nel presente).

Quel che succede nella banlieu francesi o nei quartieri islamici belgi non lascia granché da sperare. Ma soprattutto appare un misto di furberia burocratica e utopia interessata credere che per fare un italiano basti farlo nascere nel Bel Paese ed assolvere l’obbligo scolastico. Era un compito che – per gli italiani, quindi assai facilitati rispetto agli immigrati – già toglieva il sonno ai governanti del Risorgimento consapevoli della necessità di fare gli italiani; e invece i nostri dem hanno trovato una soluzione così semplice e a portata di mano: un esame e passa la paura. Per una questione che, da Aristotele in poi, ha preoccupato statisti e pensatori, abituati a ragionare sulla realtà e sui precedenti storici (e giuridici). Se D’Azeglio lo avesse saputo…

Teodoro Klitsche de la Grange

BISCOTTI E MISSILI: IN UCRAINA IL TRIANGOLO WASHINGTON-EUROPA-RUSSIA, di Hajnalka Vincze

Al termine del confronto bipolare, l’ottimo diplomatico americano allora ambasciatore a Mosca, Robert S. Strauss, segnalava a Washington: “L’evento più rivoluzionario dell’anno 1991 per la Russia non è stato il crollo del comunismo, ma la perdita dell’Ucraina” . A trent’anni di distanza, il destino di questo Paese fratello-nemico resta, per Mosca, uno dei punti più delicati. Attraverso la NATO/America, è quindi a Kiev che si svolgono gran parte delle relazioni tra Europa e Russia. Washington sa perfettamente che, mantenendo la pressione su questo centro nevralgico, mantiene il suo posto di padrone del gioco nella sicurezza europea.

Vittoria in manovra

Nel dicembre 2013, durante le manifestazioni contro il presidente ucraino che si era rifiutato di firmare l’accordo di associazione con l’UE, il vicesegretario di Stato americano per gli affari europei è sceso in modo spettacolare nell’arena. Victoria Nuland si è unita a Independence Square con un grande sacchetto di plastica in mano, da dove ha distribuito i biscotti ai manifestanti. Lo stesso Nuland aveva spiegato al Senato degli Stati Uniti, appena un mese prima, come Washington stesse facendo pressioni sugli europei affinché offrissero questo accordo a kyiv, un accordo redatto in modo tale da poter essere visto solo come una provocazione al Cremlino. Poche settimane dopo, l’audio della conversazione telefonica tra Victoria Nuland e l’ambasciatore americano a Kiev è trapelato alla stampa; li sentiamo orchestrare la composizione del futuro governo ucraino. Fu in questo scambio che il vicesegretario di Stato pronunciò l’ormai famosa frase“Al diavolo l’Ue” , diceva in un linguaggio molto più colloquiale.

Allo stesso tempo, questo ex ambasciatore degli Stati Uniti presso la NATO ha affermato, durante una conferenza d’affari, che Washington aveva investito 5 miliardi di dollari in Ucraina per promuovere “istituzioni democratiche e altri obiettivi”. Ora sottosegretario n. 3 del Dipartimento di Stato per gli affari politici, ha detto al Financial Times che l’America ha non meno di 18 scenari nella manica se gli Stati Uniti dovessero invadere l’Ucraina attraverso Mosca. È anche lei ad affermare che il gasdotto Nord Stream 2 appena ultimato, tra Germania e Russia, verrà bloccato se necessario, anticipando allegramente qualsiasi annuncio ufficiale da parte tedesca. Incoraggia anche l’intensificazione delle consegne di armi “difensive letali”., compresi i missili antiaerei e anticarro, a Kiev, dicendo di voler rendere “una lotta molto sanguinosa” per la Russia.

Continuità americane

Capo di stato maggiore del Dipartimento di Stato sotto l’amministrazione Clinton, consigliere del vicepresidente Cheney sotto George W. Bush, Victoria Nuland incarna perfettamente il consenso bipartisan ampiamente predominante che regna su questi argomenti a Washington. Come si spiega questa coerenza quando, a 30 anni dalla fine della Guerra Fredda, la principale preoccupazione per gli Stati Uniti non è più la Russia – relegata nei documenti ufficiali allo stato di “disturber” – ma la Cina? E che, nella sua strategia di difesa nazionale, l’America non aspira nemmeno più a poter combattere due grandi guerre contemporaneamente?

In realtà, è proprio pensando alla Cina che Washington sta lavorando ancora di più per mantenere le posizioni acquisite in Europa. Perché la cosa principale, per l’America, è la sua politica di contenimento di Pechino, e la leva europea è fondamentale per raggiungere questo obiettivo. Tuttavia, senza lo spettro del pericolo russo, c’è il rischio che i suoi alleati europei gli sfuggano. D’altra parte, se la minaccia russa è forte, gli europei si schierano dietro agli Stati Uniti. In primo luogo, gli alleati orientali si precipitano sotto la loro ala protettiva, anche se ciò significa mettere, come ha detto il presidente Valéry Giscard d’Estaing,  “la fedeltà atlantista al di sopra dell’attaccamento al sistema europeo”. In secondo luogo, in un clima di animosità, essendo i legami di cooperazione gravemente ostacolati, Parigi e Berlino si trovano politicamente (ed economicamente) tagliate fuori dalla Russia. Divisi tra loro, isolati dalla Russia, gli europei sono quindi – fintanto che la questione russa resta in cima al conto – lontani anni luce dalle loro recenti ambizioni di autonomia.

L’eccellente specialista in politica estera e di sicurezza russa, Jean-Christophe Romer, parla giustamente dell’interesse degli Stati Uniti a “impedire una vera unificazione dell’Europa da Brest a Vladivostok – dove l’Ucraina avrebbe potuto fungere da ponte – e quindi un forte riavvicinamento tra l’UE e la Russia. Questa unificazione costituirebbe una competizione inaccettabile per Washington..[1] Tanto più che l’attuale status quo gli conferisce molteplici vantaggi, a cominciare dagli acquisti di armi americane da parte degli alleati, a cui si aggiungono le importazioni di gas naturale liquefatto (il cui volume aumenterebbe esponenzialmente se alcuni paesi, Germania in primis, riducessero ciò che Washington diffama come la loro eccessiva dipendenza energetica dalla Russia). Più in generale, ogni volta che una controversia commerciale contrappone l’UE agli Stati Uniti, molte voci europee si levano per spiegare che un tale fascicolo non merita di “mettere in pericolo le relazioni transatlantiche” . Non c’è da stupirsi che Washington sia soddisfatta dell’attuale stato delle cose e preferisca mantenere la Russia e l’UE il più distanti possibile.

La Nato è l’origine del male

Per realizzare questa strategia americana, la NATO è uno strumento privilegiato. Gli Stati Uniti occupano una posizione dominante innegabile lì, e questa ex controparte del tardo Patto di Varsavia irrita la Russia al massimo grado. Il peccato originale fu la rottura della promessa – a lungo negata in Occidente, ma confermata dall’apertura degli archivi – fatta a Gorbaciov, in base alla quale l’Alleanza non si sarebbe estesa “per un centimetro” verso Oriente…[2] Da allora, come se nulla fosse, il numero degli Stati membri è quasi raddoppiato, dai 16 di allora ai 30 di oggi. E per rassicurare i nuovi paesi, provenienti dall’ex blocco sovietico, la Nato ha installato sempre più le sue infrastrutture, il suo quartier generale, le sue esercitazioni ei suoi missili più a est.

Ultimamente, sempre più esperti americani si stanno rendendo conto dei danni di questo approccio “tutto o niente” , che è andato avanti senza considerare alcuno status speciale per i nuovi membri, né limiti o garanzie particolari.[3] Lo stesso presidente del prestigioso Council on Foreign Relations, Richard Haass, ammette:“L’allargamento della NATO verso est è stata la politica più significativa e controversa del periodo successivo alla Guerra Fredda. Che la NATO continui ad esistere, o anche che si espanda, non è stato scritto in anticipo”. Da parte sua, avrebbe preferito vedere un rafforzamento del programma di Partenariato per la Pace degli anni ’90, che abbracciasse, attorno all’Alleanza Atlantica, i paesi dell’Europa orientale, compresa la Russia. La decisione del presidente Clinton di aprire le porte alla NATO ha presto eliminato tale opzione. Secondo Haass, “la scelta dell’allargamento ha avuto un ruolo nell’alienazione di Mosca” .[4]

Questa tendenza è culminata nel vertice dell’Alleanza a Bucarest nel 2008, la cui dichiarazione finale parlava del futuro del codice per l’adesione di Ucraina e Georgia, senza però dare una data precisa. Al termine di un burrascoso dibattito, il consigliere americano per la sicurezza nazionale aveva deciso: “Dobbiamo far capire alla Russia che la Guerra Fredda è finita e che l’ha persa” . La storica Mary Elise Sarotte paragona la politica americana dell’ultimo quarto di secolo, spingendo per l’allargamento della NATO, a una ruota a cricchetto: ad ogni nuova svolta, anche la più insignificante, le tacche impediscono ogni ritorno sui binari, non possiamo che continuare sempre nella stessa direzione. [5] Anche se ciò significa inimicarsi la Russia e fomentare divisioni all’interno dell’Alleanza.

Europa, parco giochi

È un ovvietà: i paesi europei hanno spesso atteggiamenti diametralmente opposti nei confronti della Russia. Da un lato i baltici, i polacchi, i romeni, i bulgari temono soprattutto una rinascita del potere russo e desiderano sfruttare gli equilibri di potere favorevoli alla NATO per creare le condizioni che lo proibiscano. Dall’altro, Germania, Francia, ma anche Spagna e Italia, sono certamente critiche nei confronti di Mosca, ma aspirano a un approccio più equilibrato. Questi paesi non credono che la stabilità del continente dipenda dal radicamento della Russia, al contrario, l’umiliazione è vista come una fonte di tensione, e sono anche più sospettosi della particolare agenda degli Stati Uniti. .

In effetti, la politica ufficiale di Washington continua ad essere guidata dal desiderio di mantenere la sua posizione di tutela in Europa – e alcuni paesi europei, credendo che l’America sia il loro unico e unico protettore, fungono da intermediari. In questo contesto, l’ambizione della presidenza francese dell’Ue, ovvero “realizzare una proposta europea che costruisca un nuovo ordine di sicurezza e stabilità” è simile alla quadratura del cerchio. Secondo il presidente Macron, intervenuto al Parlamento europeo sull’argomento: “Dobbiamo costruirlo tra gli europei, quindi condividerlo con i nostri alleati nel quadro della NATO. E poi offrilo alla Russia per la trattativa”. Solo che qualsiasi accordo che normalizzi i rapporti con Mosca, grazie a garanzie di sicurezza reciproca, ridurrebbe meccanicamente l’importanza, e quindi l’influenza, dell’America con i suoi alleati europei…

***

[1]Jean-Christophe Romer, Russie-Europe: des malentendus paneuropéens, L’Inventaire, 2016.
[2]National Security Archives, NATO Expansion: What Gorbaciov ha sentito?, Washington DC, 12 dicembre 2017.
[3]ME Sarotte, Contenimento oltre la Guerra Fredda – Come Washington ha perso la pace post-sovietica, Affari esteri, novembre/dicembre 2021 ; Michael Kimmage, È ora che la NATO chiuda i battenti – L’Alleanza è troppo grande – e troppo provocatoria – per il suo bene, Affari esteri, 17 gennaio 2022.
[4]Richard Haass, Un mondo allo sbando: la politica estera americana e la crisi del vecchio ordine, Penguin Press, 2017.
[5]ME Sarotte, Not one inch – America, Russia, and the making of post-guerra fredda stallo, Yale UniversityPress, 2021.

Hajnalka Vincze, Europeans Facing the Old-New American Foreign Policy, Impegno n. 134 (primavera 2022) , ASAF (Associazione di supporto dell’esercito francese).

https://hajnalka-vincze.com/list/etudes_et_analyses/617-des_biscuits_et_des_missiles_en_ukraine_le_triangle_washingtoneuroperussie

IL NUOVO CONCETTO STRATEGICO, di Pierluigi Fagan

IL NUOVO CONCETTO STRATEGICO. Siamo entrati in un nuovo periodo storico di transizione, a livello mondiale, non più animato solo da stati ma da sistemi con più stati.
Il primo sistema ha al suo cuore una alleanza che lega due sponde dell’Atlantico. Originariamente creata da Stati Uniti e Regno Unito, paesi di comune antropologia e diversa geografia, quindi storia. Questa fratellanza antropologica è fatta di discendenti dei barbari continentali del Mare del Nord, angli, sassoni, frisoni, juti, poi danesi e varie fazioni normanne che si impossessarono di parte dell’isola britannica (spingendo ai margini o sottomettendo celti, britanni e scoti). Poi migrarono nel nord del continente americano, in Australia e Nuova Zelanda e si allargarono in Canada sottomettendo e segregando nativi americani, ispano messicani, aborigeni. Nel grande conflitto euro-continentale coi germani metà Novecento vennero salvati dai cugini d’oltremare mentre i germani incappavano in una forma delirante di volontà di potenza che incautamente aveva allargato il conflitto alle vaste pianure russe che, com’è noto, sono troppo profonde per esser conquistate. Saldato in un accordo del 1941 detto Carta Atlantica, il rapporto speciale tra popoli di comune discendenza, lingua e religione, fece da base alla successiva formalizzazione del successivo Trattato del Nord Atlantico e relativa organizzazione operativa (la “O” di NATO) nel 1949. I cinque paesi anglosassoni pesano oggi il 6% del mondo in termini di popolazione, ma il 31% in termini di Pil. Poco meno del 59% è il totale delle riserve valutarie del mondo in dollari e poco meno del 5% in sterline. La loro lingua è la lingua franca internazionale, la loro cultura in certi campi vastamente egemone anche se non da sola e sempre meno, la loro forza militare ancora primeggia.
Se questo è cuore antropologico del primo sistema da cui una mentalità dominante ben precisa, intorno si è condensata una corona di popoli affiliati al sistema. Tale corona è fatta dagli europei continentali a loro volta frazionati tra scandinavi, germanici, balto-slavi, latino-mediterranei ed altri del complesso mondo del Vecchio Continente, più, in Asia il Giappone e talvolta la Corea del Sud. Questo “sistema” si è affermato negli ultimi settanta anni come sistema politico-economico. Fondato sui principi dell’economia moderna sviluppati dagli inglesi già alla fine del XVII secolo che qualcuno chiama “capitalismo”, si basa però anche su un sistema politico chissà perché chiamato “democrazia” quando in effetti è il triplo potere statale (legislativo, giudiziario ed esecutivo) al servizio degli interessi economici e finanziari che ordinano il sistema. Così come gli anglosassoni condividono parte del loro potere mondiale con occidentali e orientali non antropologicamente del tutto affini, così le élite economiche e finanziarie cooptano al loro servizio parti di funzionariato di sistema che non originano direttamente dalla macchina economica e finanziaria.
Questo sistema è oggi sulla china calante della classica curva a campana che connota la vita di ogni sistema. La sua demografia è in vistosa contrazione percentuale sul totale mondo, la sua anagrafe è sempre più anziana (gli “occidentali” ed affini sono l’esatto ultimo quarto dei 200 paesi del mondo per età media), l’idea di ringiovanirla e rinvigorirla con etnie diverse da subordinare ma anche cooptare funziona in teoria ma per niente in pratica (vedi casi americano, inglese, francese, giapponese). Questa sempre maggior relativizzazione demografica (oggi gli “occidentali” sono scarsi il 16% del mondo), porta a traino la relativizzazione culturale che si manifesta in diversi aspetti. Ma ancora forte è il peso economico-finanziario sebbene con tre grossi problemi. Il primo è che, in quanto sistema ipersviluppato, l’Occidente fa sempre più fatica a trovare ragioni di ulteriore sviluppo per crescere. Visioni molto poco realistiche dell’economia, sottovalutano che il sistema di economia moderna serve a fare cose, ma le cose da fare sono nel dominio del finito e gli ipersviluppati sono coloro che sono arrivati ai margini delle potenzialità del sistema, l’hanno sfruttato tutto e bene e gli rimane davvero poco per alimentare il proprio impeto di crescita. Il secondo problema è l’enorme debito parallelo al funzionamento del sistema economico, viepiù inquietante laddove non si cresce per ripagarlo almeno in parte o dar la vaga impressione di poterlo fare. Il terzo è che questo primato economico-finanziario che molti pensano dovuto a chissà quali leggi ferree che governerebbero i sistemi economici come quelle newtoniane governavano l’Universo, è un sistema aperto, aperto all’ambiente naturale ed all’ambiente economico e politico mondiale. Cattive notizie però provengono dall’ambiente naturale quanto ad ulteriore sfruttamento, ma ancor più cattive notizie provengono da un ambiente politico ed economico mondiale dove, nel frattempo, sono nati e si stanno sviluppando nuovi attori potenzialmente potenti o indisponibili ad esser spazio gregario e passivo di possibilità per l’alimentazione dell’ipertrofico benessere occidentale.
Questo secondo altro sistema è molto più ampio, meno formalizzato e con al centro una unione almeno di intenti generali tra i paesi compresi nell’acronimo BRICS: riservarsi sempre maggiori condizioni di possibilità per il proprio sviluppo. Sono quasi tutti paesi in traiettorie di sviluppo, alcuni ancora demografico, molti se non altro economico e finanziario, altri ancora ribelli alle forme del dominio occidentale sotto altri aspetti. Ma oltre al nucleo di questa unione finora poco formalizzata ma forse in via di maggior formalizzazione (come recitano loro: 41% demografico del mondo, 25% del Pil globale e il 50% della crescita globale dell’ultimo anno con una crescita interna del 33% degli scambi commerciali tra loro cinque), praticamente ogni altro paese non compreso direttamente nei due sistemi è per molti versi dalla parte di questi sfidanti che vorrebbero ridurre il peso del primo sistema in modo da garantirsi maggiori condizioni di possibilità da poi disputarsi tra loro. Questa posizione terza, invero, tenderà ad usare il conflitto tra i due sistemi affinché l’uno contenga l’altro alternativamente e ponendosi come partner al miglior offerente per singole iniziative. Questa stessa posizione anima, in parte, anche il Brasile, il Sud Africa e l’India cuore del sistema BRICS. Cina e Russia sono in effetti il cuore di questo sfocato sistema alternativo ed infatti sono loro i nemici più nitidamente definiti come tali dal primo sistema.
Questo è, in breve, lo scenario della storia del mondo che si svolgerà nei prossimi anni/decenni. Il primo sistema è in una traiettoria di contrazione e proviene da ampio potere, il secondo di espansione e vuole ampliare il proprio potere. Il primo sistema pesa solo meno di un sesto del Mondo ma è più compatto ed ancora molto forte in molti aspetti, il secondo è il resto dei cinque-sesti ma assai meno compatto ed ancor di forza relativa sebbene crescente. Il primo si sente accerchiato dall’impeto del secondo e si unisce sempre più in forme difensive-aggressive per non perdere troppo o troppo velocemente, le condizioni di possibilità che ne hanno sino a qui garantito il potere, quindi il benessere. O anche per non esser costretto a cambiare le proprie forme interne per adattarsi ai nuovi equilibri del mondo. Il secondo ha vari gradi di contrasto col primo e più crescerà, più vedrà formarsi al suo interno concorrenze interne inedite come quella tra Cina ed India. La sua gran parte però, non ha interesse al conflitto diretto col primo sistema, vorrebbe semmai una transizione morbida di peso ed è sfruttando questa ritrosia ad iscriversi a forme di conflitto diretto generanti attriti non voluti e negativi per il proprio sviluppo che il cuore del primo sistema alzerà la tensione militare cercando di infilarsi nella differenza di intenti tra Russia e Cina da una parte e tutti gli altri dall’altra. Infine, il primo sistema ha intenti molto ambiziosi ancorché contrari all’andamento naturale del mondo e se il dover reagire oggi lo tiene unito, viepiù si passerà a dettagliare il come-quanto-quando, viepiù potrebbe screpolarsi. Non solo nella composizione della sua forma sistemica, anche nelle composizioni delle forme politiche e sociali interne ad ogni stato. Il secondo ha da sé la dinamica del mondo e quindi il tempo dalla sua parte, ha ambizioni forse più contenute e parte rischiando meno.
“Noi” ci troviamo in mezzo a tutto ciò. Una avvertenza, se mi posso permettere. Il tutto va compreso nella sua dinamica che è concreta, ogni forma di giudizio di valore non aggiunge nulla e rischia di non far comprendere l’esatta logica della dinamica.

Putin ha messo in guardia gli analisti strategici russi dall’indulgere sul pio desiderio, di Andrew Korybko

I previsori strategici devono sempre aspirare a riflettere la realtà nel modo più accurato possibile, comprendendo che ciò è impossibile da fare perfettamente nella pratica, ma tuttavia si muovono continuamente in questa direzione e migliorando regolarmente il loro lavoro a tal fine.

Il presidente Putin ha parlato con lo staff attuale e con i veterani del suo Foreign Intelligence Service (SVR) nel centenario della fondazione della loro intelligence illegale da parte dell’Unione Sovietica. Questo ramo dei suoi servizi speciali si riferisce a quelle spie che non operano sotto copertura diplomatica e quindi non possono essere semplicemente espulse una volta catturate. È senza dubbio il servizio di intelligence più pericoloso ma anche tra i più importanti che chiunque possa fare. Il leader russo ha colto l’occasione per condividere alcuni consigli generali con l’SVR e offrire alcuni commenti su altre questioni correlate, inclusa l’importanza dei previsori strategici che non si abbandonano a un pio desiderio come fanno le loro controparti occidentali.

Secondo il presidente Putin:

“Il Foreign Intelligence Service e altri servizi di sicurezza danno la priorità alle previsioni strategiche dei processi internazionali. E questa analisi deve essere realistica, obiettiva e basata su informazioni verificate e un’ampia gamma di fonti affidabili. Non si dovrebbe indulgere in un pio desiderio. A proposito, il cosiddetto Occidente collettivo si è ritrovato intrappolato, si è infilato proprio in questa trappola e con le sue stesse azioni procede dall’idea che non c’è alternativa al suo modello di globalismo liberale… l’Occidente sta cercando di ignorare un realtà scomoda, la formazione di un ordine mondiale multipolare… Gli atteggiamenti dogmatici del passato e la riluttanza ad affrontare la realtà aumentano inevitabilmente il rischio di azioni premature e impulsive da parte dell’Occidente in futuro”.

Le informazioni di cui sopra verranno ora analizzate.

A livello professionale, i previsori strategici devono sempre aspirare a riflettere la realtà nel modo più accurato possibile, comprendendo che ciò è impossibile in pratica perfettamente, ma tuttavia si muovono continuamente in questa direzione e migliorando regolarmente il loro lavoro a tal fine. Il pio desiderio, che a volte può essere il risultato del credere che la propria propaganda, come ha spiegato il presidente Putin durante il Forum economico internazionale di San Pietroburgo (SPIEF) del mese scorso, fosse al centro della decisione dell’Occidente di sanzionare la Russia senza precedenti, può portare alla formulazione di controproducenti e politiche anche pericolose che contraddicono gli interessi nazionali oggettivi.

Questa saggezza è rilevante anche a livello pubblico.

L’ Alt-Media Community (AMC) si abbandona regolarmente a un pio desiderio rispetto alle loro fantasie sulla grande strategia russa, che molti credono sinceramente essere reali nella loro stessa mente. Ad esempio, un segmento significativo di questa comunità è convinto che il presidente Putin sia segretamente un alleato antisionista con la Resistenza guidata dall’Iran al fine di distruggere Israele nonostante il suo paese sia attualmente di fatto alleato del sedicente Stato ebraico. Un’altra narrativa di pio desiderio immagina che la Russia stia segretamente complottando per destabilizzare Turkiye in un modo o nell’altro, ancora una volta nonostante quei due abbiano gestito in modo impressionante le loro differenze nel corso degli anni.

Queste e altre narrazioni in realtà minano gli interessi russi.

Per spiegare, il pubblico viene fuorviato da queste fantasie di pio desiderio generate da quelle che considerano fonti attendibili e affidabili. Quando la realtà si instaura e l’illusione viene infranta, quelle stesse fonti raramente modificano i loro modelli imprecisi, ma invece raddoppiano su di essi vomitando letterali teorie del complotto per rendere conto di fatti “politicamente scomodi” come Israele e Turchia che rifiutano entrambi le pressioni occidentali guidate dagli Stati Uniti su loro di sanzionare la Russia. Con il tempo, la fantasia di un pio desiderio si distacca completamente dalla realtà e inizia letteralmente a somigliare a un culto, completo di regolari inquisizioni svolte dai guardiani contro i “blasfemi” che “osano” sfidare il loro dogma.

A livello professionale e pubblico, il pio desiderio è quindi una trappola ideologica.

Per quanto riguarda il primo, può letteralmente mettere in pericolo il paese nel modo più diretto possibile essendo responsabile della formulazione di politiche controproducenti che contraddicono gli interessi nazionali oggettivi, mentre il secondo riguarda la perdita involontaria di cuori e menti mentre le persone sobrie diventano disilluse dal letterale teorie del complotto vomitate da persone che affermano di sostenere la Russia. Il problema è intrinsecamente ideologico nel suo nucleo poiché i pio desiderio hanno la tendenza a filtrare i fatti “politicamente scomodi” a causa della loro zelante dedizione a qualunque possa essere la loro causa. Questa è una trappola evitabile, ma da cui è difficile liberarsi una volta che ci si cade dentro.

Può, tuttavia, essere sconfitto.

Ciò che devono fare coloro che sono indottrinati con un pio desiderio è rendersi conto che servono al meglio la loro causa facendo in modo che il loro lavoro rifletta la realtà nel modo più accurato possibile in modo che i responsabili politici e il pubblico rispettivamente possano trarre le proprie conclusioni. I propri funzionari statali non devono mai essere guidati deliberatamente in una direzione che è avulsa dalla realtà, ma a volte ci sono ragioni strategiche per farlo al pubblico, anche se non è responsabilità dei previsori strategici o dei membri dell’AMC ma di professionisti “gestori della percezione ”. In effetti, quei membri dell’AMC che “diventano canaglia” (anche se si sono convinti che sia “per la giusta causa”) possono effettivamente complicare inavvertitamente tali operazioni.

Ci sono quindi diverse lezioni da trarre dall’intuizione del presidente Putin.

In primo luogo, il precedente del pio desiderio dell’Occidente che ha influenzato la formulazione di politiche controproducenti nei confronti della Russia è un avvertimento per i previsori strategici di tutti gli altri paesi. In secondo luogo, i professionisti devono aspirare a riflettere la realtà nel modo più accurato possibile e non lasciare mai che le loro preferenze ideologiche influenzino i loro prodotti informativi. Terzo, l’AMC deve fare lo stesso a meno che non informi apertamente il suo pubblico che stanno agendo come attivisti che spingono l’agenda in modo che nessuno li confonda come analisti. In quarto luogo, quei professionisti e membri dell’AMC che si abbandonano a un pio desiderio lavorano contro la propria causa. E infine, il pio desiderio può essere curato comprendendo oggettivamente il proprio ruolo nel sistema.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=3039

Vladimir Putin si è congratulato con l’attuale staff e con i veterani del Foreign Intelligence Service per il centenario dell’intelligence illegale

Il presidente ha deposto fiori alla Patria, monumento d’onore al valore presso il quartier generale dei servizi di intelligence stranieri a Mosca e si è congratulato con l’attuale personale del servizio e con i veterani per il centenario dell’intelligence illegale.

20:00
Mosca
Vladimir Putin si è congratulato con l'attuale staff e con i veterani del Foreign Intelligence Service per il centenario dell'intelligence illegale.
Vladimir Putin si è congratulato con l'attuale staff e con i veterani del Foreign Intelligence Service per il centenario dell'intelligence illegale.
3 di 4
Vladimir Putin si è congratulato con l’attuale staff e con i veterani del Foreign Intelligence Service per il centenario dell’intelligence illegale. Foto: RIA Novosti

Presidente della Russia Vladimir Putin : compagni ufficiali, veterani,

Ci siamo riuniti per celebrare una data importante: il centenario dell’intelligence illegale nel nostro paese. Già nel 1922, questa sfera di lavoro è stata praticamente ripristinata nonostante tutti gli sconvolgimenti rivoluzionari, assicurando continuità in un’area vitale per il nostro stato, la sicurezza nazionale e la sovranità.

Vorrei congratularmi cordialmente con tutti coloro per i quali lavorare in questa area critica era la loro vocazione e il loro destino; coloro che per anni e decenni hanno difeso gli interessi nazionali del nostro Paese senza alcuna copertura diplomatica o di altro genere; e tutti coloro che oggi svolgono operazioni uniche, trasmettendo preziose informazioni al Centro.

Il vostro dipartimento ha una ricca storia e tradizioni gloriose. Negli anni ’30 e all’inizio degli anni ’40, agenti sotto copertura acquisirono informazioni urgenti sull’aggressione pianificata da Hitler e dai suoi sostenitori, nonché sulle manovre dietro le quinte dei paesi occidentali che spinsero i nazisti ad attaccare l’URSS, a marciare verso est.

Dopo l’inizio della Grande Guerra Patriottica, agenti sotto copertura rivelarono i piani del nemico, accelerando la Grande Vittoria. Durante la Guerra Fredda, hanno dato un enorme contributo al raggiungimento della parità strategica. Hanno fornito un’assistenza inestimabile nello sviluppo dell’industria e della scienza nazionali, hanno contribuito a rafforzare le capacità di difesa della Patria e hanno aggiunto alla sua influenza e prestigio internazionali.

I nomi di Yakov Serebryansky e Naum Etingon, Dmitry Bystrolyotov e Konon Molody, i Vartanian, Alexei Botyan e altri combattenti del fronte invisibile sono per sempre nella storia del nostro paese, dei nostri servizi di sicurezza e dell’intelligence. Sono un esempio di professionalità e coraggio personale per le generazioni attuali e future di ufficiali dell’intelligence.

E oggigiorno, il lavoro in questo settore è pieno di grandi responsabilità, con ufficiali che devono affrontare requisiti estremamente severi.

La situazione nel mondo resta difficile e cambia rapidamente. Dobbiamo fare i conti con problemi non convenzionali e molte variabili sconosciute, e rispondere a sfide in cui il fattore di incertezza è elevato.

In questa situazione, il Foreign Intelligence Service e altri servizi di sicurezza danno la priorità alla previsione strategica dei processi internazionali. E questa analisi deve essere realistica, obiettiva e basata su informazioni verificate e un’ampia gamma di fonti affidabili.

Non si dovrebbe indulgere in un pio desiderio. A proposito, il cosiddetto Occidente collettivo si è trovato intrappolato, si è gettato in questa trappola e con le sue stesse azioni procede dall’idea che non c’è alternativa al suo modello di globalismo liberale. In sostanza, questo modello è solo una versione aggiornata del neocolonialismo e nient’altro. È un mondo alla maniera americana, un mondo per gli eletti in cui i diritti di tutti gli altri vengono semplicemente calpestati.

Una chiara prova di ciò è il destino di molti paesi e popoli del Medio Oriente e di altre regioni del mondo – e di milioni di persone in Ucraina oggi che vengono cinicamente usate dall’Occidente come materiale di consumo nei suoi giochi geopolitici, nei suoi tentativi di “Dissuadere” la Russia. A proposito, cosa significa scoraggiare? Per impedirci di svilupparci al giusto ritmo e sulla base dei nostri valori tradizionali. È deterrenza? È solo una lotta contro la Russia.

Nel frattempo, l’Occidente sta cercando di ignorare una realtà scomoda, la formazione di un ordine mondiale multipolare. Ovviamente, non possono distogliere completamente lo sguardo da queste tendenze oggettive. Ma nella loro politica pratica, sono guidati da un obiettivo, che è mantenere il loro dominio con ogni mezzo.

Gli atteggiamenti dogmatici del passato e la riluttanza ad affrontare la realtà aumentano inevitabilmente il rischio di azioni premature e impulsive da parte dell’Occidente in futuro. Allo stesso tempo, questo offre nuove opportunità alla Russia e ai paesi che la pensano allo stesso modo – come sapete, ce ne sono parecchie. È vero che alcuni di loro non sono ansiosi di parlare, ma sono più o meno sulla stessa lunghezza d’onda con noi. Ci sono molti paesi, popoli e nazioni che la pensano allo stesso modo che vorrebbero seguire la propria strada sulla base dei principi del vero multilateralismo.

Naturalmente, dobbiamo condurre una discussione separata su un modello e una visione del futuro e un’agenda che non separerà ma unirà l’umanità. Credo sia importante dedicare a questo argomento uno dei miei futuri interventi pubblici o eventualmente scegliere qualche altra forma.

Oggi vorrei sottolineare che il multipolarismo è, secondo me, la cosa principale. Vorrei sottolineare che multipolarità, come la intendiamo noi, significa soprattutto libertà. La libertà dei paesi e delle nazioni e il loro diritto intrinseco al proprio modo di sviluppo e alla conservazione della loro identità e del loro carattere unico. In questo modello del mondo non dovrebbero esserci posto per diktat, stereotipi o ideali di eccezionalismo imposti dai singoli paesi o blocchi.

Vorrei ribadire che è importante vedere il quadro generale sullo sfondo delle trasformazioni fondamentali in corso e utilizzarlo per agire in modo proattivo. Molto dipende, ovviamente, da te, dal tuo lavoro e dalla sua qualità. Mi riferisco in primo luogo alla sicurezza nazionale e alla tempestiva fornitura di informazioni sui piani militari e geostrategici di alcuni Stati e delle loro associazioni, che rappresentano o possono rappresentare una minaccia diretta per il nostro Paese.

Occorre prestare un’attenzione costante alla situazione dell’economia e della finanza globali. È importante studiare la situazione e le tendenze di base nei mercati globali, per elaborare le possibili conseguenze dei passi e delle decisioni che incidono sugli interessi della Russia e degli affari russi, nonché sulla nostra integrazione e sui progetti internazionali.

Come prima, una delle priorità del Foreign Intelligence Service è fornire assistenza allo sviluppo industriale e tecnologico del nostro Paese e al rafforzamento del suo potenziale di difesa. Questo è sempre importante, ma soprattutto in condizioni di pressione sanzionatoria esercitata sulla Russia. Per inciso, come tutti noi sappiamo benissimo, il nostro paese ha sempre vissuto sotto sanzioni durante il periodo sovietico e anche prima. In un modo o nell’altro, si cercava sempre di contenerci.

Un altro obiettivo chiave della nostra agenda è la lotta al terrorismo internazionale. Riguarda, in parte, il supporto informativo per le unità russe dispiegate in Siria, l’identificazione delle rotte lungo le quali vengono consegnati armi e denaro ai terroristi e l’ubicazione delle loro basi, posti di comando e centri di addestramento.

Dobbiamo continuare a prestare attenzione alla sicurezza dei cittadini russi all’estero, anche nel continente americano, in Occidente in generale, in Medio Oriente e in Africa. Vorrei sottolineare in questo contesto che negli ultimi anni il Foreign Intelligence Service ha notevolmente potenziato le proprie capacità operative, informative e di analisi. Le sue risorse umane sono aumentate. Sono fiducioso che farai tutto il necessario per adempiere encomiabile a tutti i compiti che ti sono stati assegnati. Come i tuoi leggendari predecessori, lavorerai in modo accurato ed efficace e servirai la nostra Patria e il nostro popolo in modo onorevole.

Vorrei congratularmi ancora una volta con te. Auguro a te e ai tuoi cari tutto il meglio, buona salute e risultati professionali.

Grazie.

Le mie congratulazioni.

Direttore del Servizio di intelligence estero Sergei Naryshkin: Colleghi,

Ricevere questa alta valutazione delle operazioni del Foreign Intelligence Service, che celebra oggi il suo 100° anniversario, è per noi un grande onore e un segno di speciale riconoscimento da parte del presidente russo Vladimir Putin. Siamo particolarmente orgogliosi che il Presidente abbia espresso questa opinione presso il  Monumento Patria, Valore, Onore presso la sede del Servizio.

Il centenario dell’intelligence illegale è un evento importante per il nostro Servizio e le altre agenzie che stanno a guardia della sicurezza nazionale della Federazione Russa, che è stato notato con grande interesse nella società russa e dai nostri partner stranieri. È un segno di riconoscimento dell’efficacia di questo affilato strumento di operazioni di intelligence a disposizione del Servizio e del rispetto dei russi per l’eroismo del nostro personale di intelligence che ha dedicato la propria vita al servizio della Patria.

Siamo pienamente consapevoli del significato crescente dell’intelligence illegale nel mezzo della crisi politico-militare nelle relazioni con la Russia progettata da Washington e dai paesi della NATO. La leadership e il personale della Direzione S, i nostri agenti illegali, stanno onorevolmente seguendo le orme dei loro predecessori, mantenendo gli elevati standard di combattimento della Direzione e introducendo nuove forme e metodi di lavoro di intelligence nell’ambiente digitale globale e in mezzo alla dura contraccolpo del nemico.

Compagni, vorrei congratularmi ancora una volta con voi per il centenario dell’intelligence illegale sovietica e russa. I russi sono una nazione di vincitori. Faremo tutto il necessario per garantire la sicurezza e la prosperità della nostra grande Patria.

Vorrei augurarvi buona salute, ogni successo e prosperità. Grazie per il vostro servizio.

http://en.kremlin.ru/events/president/news/68790

Gli Stati Uniti sono diventati due paesi all’interno di una nazione, Di Steve McCann

Da anni nel mondo e da pochi mesi in Italia si inizia a parlare apertamente del declino degli Stati Uniti, della fine del mondo unipolare, del rischio che quel paese arrivi addirittura a dividersi facendo precipitare alle estreme conseguenze il virulento dibattito politico in corso al proprio interno. Un segno inconfondibile del declino e del tramonto inesorabile di un paese, più che la virulenza del confronto, è piuttosto l’accettazione amorfa ed inconsapevole della propria condizione. Lo scontro accanito è un segno di vitalità e di protagonismo. Evitiamo quindi  di vendere la pelle dell’orso prima che sia catturato; soprattutto, guardiamoci in casa nostra, in Europa. Qui i segnali di vitalità tendono ad affievolirsi come le luci di candele consunte. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Non dal decennio che ha preceduto la guerra civile si è discusso così tanto sulla possibilità che gli Stati Uniti si dividano in due o più paesi come negli ultimi 10 anni. La realtà è che questa nazione si è effettivamente divisa in due paesi che, per il momento, vivono debolmente fianco a fianco.

La razza o l’etnia è stata la base fondamentale nella creazione di ogni nazione nella storia dell’umanità ad eccezione degli Stati Uniti, poiché la sua fondazione si basava sul principio che tutti gli uomini sono creati uguali e sono dotati di determinati diritti inalienabili che il governo non può abrogare. Poiché non ha i fattori coesi di razza o etnia, questa nazione così costituita può sopravvivere solo sulla base della bontà della sua gente e della saggezza e dell’integrità della sua classe dirigente.

Ben Franklin alla chiusura della Convenzione costituzionale nel 1787 in un discorso ai suoi colleghi membri della convenzione disse della Costituzione appena redatta e del governo che aveva creato:

… e non c’è alcuna forma di governo se non quella che può essere una benedizione per il popolo se ben amministrata, e [io] credo inoltre che questo sarà probabilmente ben amministrato per un corso di anni, e può finire solo con il dispotismo, come altri moduli hanno fatto prima di esso…

Il preveggente avvertimento di Ben Franklin si è avverato. Negli ultimi trent’anni, una pluralità di cittadini male istruiti e malleabili ha permesso alla classe dirigente egoista, decadente e nescitrice, in alleanza con la sinistra radicale, di stabilire un dispotismo quasi permanente negli Stati Uniti. Hanno deliberatamente e inesorabilmente ampliato il divario tra il popolo e il governo e hanno effettivamente diviso la nazione in due paesi de facto che sono ai ferri corti ideologici e sociali.

  • Un’America è decisa a privare i suoi cittadini del loro diritto inalienabile all’autodifesa come codificato nel Secondo Emendamento e ad eliminare la libertà di parola costituzionalmente protetta. La loro insensata determinazione a confiscare le armi con ogni mezzo possibile, palese o subdolo, e a censurare i discorsi che non approvano sono sfrenati e sfrenati indipendentemente dalle sentenze dei tribunali.

L’altra America è ferma e ferma nella sua convinzione che i diritti inalienabili e costituzionalmente protetti siano non negoziabili e immutabili. L’impavido tentativo di disarmo ha avuto l’effetto di convincere più della metà della popolazione che queste azioni sono un preludio alla volontà del governo di usare la forza contro i cittadini per spogliarli di tutti i loro diritti. Questo, poiché il 92% degli americani crede che tutti i loro diritti fondamentali siano sotto assedio.

  • One America è determinata a proteggere gli interessi delle élite al potere istituendo un implacabile sistema di giustizia a due livelli . La classe dirigente e i suoi compagni di letto militanti hanno creato un sistema giudiziario in cui i loro alleati, seguaci e criminali e criminali politicamente corretti sono trattati con indulgenza o, in molti casi, non perseguiti, mentre i loro avversari politici e i loro seguaci che rappresentano una minaccia alla loro egemonia e criminali e criminali non politicamente corretti sono perseguitati e perseguiti.

Nel frattempo, nell’altra America, i cittadini credono fermamente nell’uguaglianza di giustizia secondo la legge: che loro e tutti gli americani hanno un diritto costituzionalmente protetto a una giustizia equa e imparziale.  Ben più della metà della cittadinanza è irrevocabilmente convinta che esista un sistema giudiziario a due livelli e iniquo che avvantaggia le élite dominanti a loro spese. Questa mentalità ora intrattabile è stata rafforzata dal trattamento dei manifestanti non violenti del 6 gennaio 2021 rispetto alle azioni dei terroristi domestici nell’estate del 2020.

  • One America è guidata e promuove le distinzioni di classe . In cima alla piramide ci sono le élite dominanti e i loro ricchi mecenati che guardano con disprezzo al resto della società mentre vivono nelle loro bolle autonome tirando i fili del governo e concentrandosi esclusivamente sulla loro mobilità verso l’alto. Sebbene possano guardare al futuro, la maggior parte della società non può, poiché devono concentrarsi sulla sopravvivenza del presente a causa dell’avarizia della classe dirigente e della loro decennale fedeltà al globalismo elitario. Questi due settori hanno situazioni residenziali nettamente diverse, possibilità di mobilità verso l’alto, opportunità educative, accesso alle cure mediche e interazione con la legge.

Nell’altra America, i cittadini si aggrappano ancora al rispetto per il duro lavoro, lo sforzo onesto e applaudono coloro che si sforzano di migliorare se stessi e la società. Poiché vivono in una nazione che un tempo si vantava di essere una società essenzialmente senza classi caratterizzata da una mobilità verso l’alto, non possono tollerare una società strutturata basata sull’egocentrismo e sull’avarizia. Grazie a questo egocentrismo elitario e al malgoverno, oltre il sessanta per cento dei cittadini crede che il sogno americano non sia più realizzabile per loro, poiché il loro risentimento verso la classe dirigente privilegiata e la rabbia per essere permanentemente rinchiusi in un sistema di caste de facto crescono inesorabilmente.

  • One America ha ripristinato il razzismo e la discriminazione sponsorizzati dal governo con l’intento malevolo di frammentare la società e la cultura al fine di raggiungere un’egemonia politica permanente. La classe dirigente ha favorito i suoi alleati di sinistra radicale affermando che il razzismo è radicato nel DNA dell’America (cioè, il razzismo sistemico ), che è esclusivamente colpa dell’attuale popolazione bianca. Questo segmento della società, quindi, dovrebbe essere capro espiatorio e discriminato, mentre la società americana viene radicalmente trasformata a causa della fondazione “bianca” della nazione. Come risultato di questa tattica malevola, hanno fomentato con successo l’animosità razziale e hanno manipolato gli americani facendogli credere che le relazioni razziali fossero peggiori che mai. Come solo il 25%credono che le relazioni razziali siano eccellenti o buone nella nazione nel suo insieme.

L’altra America è la stessa che nel 2005 ha visto quasi il 70% degli americani affermare che le relazioni razziali negli Stati Uniti erano molto o in qualche modo buone. Queste sono le stesse persone che sono tra il 77% in un recente sondaggio che pensava che le relazioni razziali fossero buone nella loro comunità nonostante fossero notevolmente peggiorate a livello nazionale. Questa dicotomia rivela che questo paese di lavoratori della classe operaia non è razzista o infastidito dalla cosiddetta “supremazia bianca” e la cui indignazione nei confronti delle élite razziste che si lamentano di queste false accuse sta aumentando.

  • In un’America c’è tra le élite dominanti e i loro servitori senza cervello la convinzione dominante che gli Stati Uniti come fondati siano un paese carente e irredimibile la cui storia è piena di atrocità e ingiustizia. Pertanto, il governo della nazione deve essere convertito in un’oligarchia socialista a partito unico e i suoi documenti imperfetti devono essere effettivamente riscritti. Questo processo risoluto iniziato decenni fa ha effettivamente portato alla frammentazione permanente di quella che era una cultura americana unica e universalmente accettata.

Nell’altra America la maggior parte della cittadinanza ( 85% degli americani) crede che gli Stati Uniti siano un grande paese che ha superato con successo le carenze umane dei suoi cittadini del passato. Si oppongono con veemenza a qualsiasi modifica sostanziale ai documenti costitutivi della nazione. Capiscono che la Costituzione così come è scritta garantisce loro libertà e indipendenza da un governo ormai prepotente. Non scenderanno a compromessi né saranno disposti a trovare una via di mezzo con la classe dirigente e i loro servi senza cervello.

  • In un’America le élite e i loro compagni di viaggio nelle classi superiori hanno ipocritamente abbandonato praticamente tutta la moralità nella loro risoluta ricerca dell’edonismo superficiale, della ricchezza e della fama. Sono sempre più agnostici, promuovono sfacciatamente lo sfruttamento sessuale dei bambini, approvano l’aborto fino al momento della nascita e giustificano qualsiasi mezzo immorale o non etico per raggiungere i propri fini, tra cui l’imposizione coatta della loro immoralità al resto della società . Come sottoprodotto dei loro alleati nell’establishment dei media e dell’intrattenimento che promuovono la loro immoralità, un recente sondaggio ha indicato che il 50% degli americani ha valutato i valori morali della nazione come poveri e in peggioramento.

Mentre nell’altra America la stragrande maggioranza dei cittadini ( 81%) crede in Dio, riconosce che credere in Dio o in una religione non è una necessità per comprendere l’importanza della moralità e vivere una vita morale. Quella moralità è la base di fondo di una società libera. Senza la moralità, e la sua enfasi sul rispetto della vita, la libertà si estingue. Queste due visioni diametralmente opposte della moralità non possono coesistere nella stessa società.

Questi due paesi all’interno di un paese non possono più mantenere la loro relazione sempre più tenue e potenzialmente instabile. Noi come nazione siamo in quel momento decisivo in cui una parte deve vincere e l’altra perde; non ci sono vie di mezzo. L’era dei conservatori, dei libertari e degli americani di mezzo che cercano un accordo con la sinistra e la classe dirigente è finita, che lo vogliano o meno, poiché più della metà dei cittadini americani è d’accordo con l’affermazione: “USA la democrazia è a rischio di estinzione” e solo il 26% crede che sopravviverà.

Affinché l’America fondata vinca senza che nessuna delle parti ricorra alla dissoluzione o alla potenziale violenza, le linee di vita delle élite al potere/della sinistra radicale devono essere troncate e il loro peso politico completamente emarginato.

La recente attenzione all’avvio di mezzi di informazione “conservatori” deve lasciare il posto a concentrarsi invece sui nuovi media di intrattenimento al fine di minare i punti vendita di intrattenimento di sinistra esistenti. Dopo che i boicottaggi e la perdita di pubblico hanno preso il loro pedaggio finanziario, queste e le società di media in fallimento dovrebbero essere acquisite. Le società “politicamente corrette” devono subire le conseguenze finanziarie di assecondare la sinistra attraverso boicottaggi, messaggi mediatici e l’acquisizione mirata dei loro consigli di amministrazione. I finanziamenti del governo per le università “svegliate” devono essere drasticamente ridotti e infine eliminati.

La trasformazione del Partito Repubblicano, iniziata dal presidente Trump, deve continuare fino a quando il partito non sarà epurato da tutti i politici e amministratori eletti non disposti a lottare incondizionatamente per l’anima del Paese. Uno sforzo determinato e concertato deve essere intrapreso nelle Camere di Stato per fare in modo che determinate elezioni siano eque e prive di frodi. L’affluenza alle urne per tutte le elezioni locali, statali e federali deve superare le medie storiche poiché i politici che la pensano allo stesso modo devono essere selezionati alle primarie e alle elezioni generali.

Infine, invece di crogiolarsi nella loro indipendenza e stare in disparte lanciando pietre senza pensare, i libertari e altre fazioni che la pensano allo stesso modo devono unirsi alla battaglia e allearsi incondizionatamente con conservatori, repubblicani ed elettori moderati che desiderano preservare questo paese come fondato.

In caso contrario, il paese che tutti conosciamo e amiamo non ci sarà più.

https://www.americanthinker.com/articles/2022/07/the_united_states_has_become_two_countries_within_a_nation.html

L’espansione della NATO nel nord è davvero una grande sconfitta per la Russia?_ di Andrew Korybko

In questa narrazione ci sono alcune lacune fatali che screditano il punto esposto.

Il Western Mainstream Media (MSM) guidato dagli Stati Uniti è impegnato a promuovere la narrazione della guerra dell’informazione armata secondo cui l’invito di Finlandia e Svezia ad aderire alla NATO è presumibilmente una grave sconfitta per la Russia che contraddice l’obiettivo che il presidente Putin ha cercato di raggiungere attraverso l’ operazione militare speciale in corso del suo paese in Ucraina. Secondo loro, l’espansione a nord della NATO non sarebbe stata possibile se Putin non avesse autorizzato quella campagna; tale conseguenza presumibilmente metterebbe il suo paese più in pericolo di prima.

In questa narrazione ci sono alcune mancanze fatali  che screditano il punto esposto. In primo luogo, Finlandia e Svezia erano già membri de facto del blocco da anni, quindi la loro appartenenza ufficiale non cambia davvero nulla. In secondo luogo, la NATO non ha (ancora) stabilito infrastrutture militari clandestine come ha fatto in Ucraina negli ultimi anni. Terzo, nessuno dei due ha controversie territoriali con la Russia che potrebbero portare a una guerra con la NATO né è in grado di creare progetti anti-russi come lo è l’Ucraina.

Per quanto riguarda il primo punto, finiranno presto sotto l’ombrello nucleare degli Stati Uniti, ma questo è l’unico vero cambiamento che accadrà. Per quanto riguarda il secondo, la Russia ha già promesso di rispondere al dispiegamento delle infrastrutture militari del blocco in Finlandia e Svezia, il che significa che qualunque minaccia latente potrà materializzarsi lì è gestibile, almeno in teoria. Infine, la loro adesione alla NATO non porterà ad alcuna disputa territoriale o alla creazione di progetti anti-russi poiché per nessuno dei due è realistico data la loro situazione.

È per queste ragioni primarie che il presidente Putin ha detto mercoledì durante una conferenza stampa dopo il Vertice del Caspio ad Ashgabat che “Non c’è nulla che possa ispirare la nostra preoccupazione riguardo all’adesione della Finlandia e della Svezia alla NATO. Se lo vogliono, possono farlo”. Ha anche menzionato i punti di cui sopra in tutta la parte pertinente del suo intervento. Questa intuizione è fondamentale da tenere a mente per sfatare le ultime affermazioni di Infowar di MSM contro la Russia, il cui scopo sarà ora analizzato.

La CNN ha riferito martedì per coincidenza all’inizio del vertice della NATO che ” i funzionari di Biden dubitano in privato che l’Ucraina possa riconquistare tutto il suo territorio “. Ciò asseconda la “narrativa ufficiale” sul conflitto che si è spostata in modo decisivo nell’ultimo mese dal “porno della vittoria” sull'”inevitabile successo” di Kiev contro la Russia al “porno della paura” sulla “invasione” dei paesi della NATO da parte della Russia una volta che Kiev ha perso; l’ultima conferma di essa è con ogni evidenza in seguito al blocco parziale di Kaliningrad motivato politicamente dalla Lituania .

Quel secondo sviluppo non è stato guidato da un sincero desiderio di provocare la Russia in una guerra con la NATO, ma di plasmare la percezione tra l’opinione pubblica occidentale che questo ora sia presumibilmente più plausibile di prima, il che serve anche a distrarre dalle perdite di Kiev nel Donbass. Mentre il G7 e la NATO hanno deciso di continuare a sostenere Kiev a tempo indeterminato, è inevitabile che il conflitto finisca con la sconfitta del loro procuratore e le relative perdite territoriali, ergo il rapporto della CNN.

Considerando il fatto che un tale risultato travalicherebbe oltre l’imbarazzo dopo che Kiev ha ricevuto oltre 54 miliardi di dollari di sostegno dagli Stati Uniti e una manciata di miliardi in più da altri paesi della NATO, i quali collettivamente affermano di essere l’alleanza militare più potente nella storia umana, è importante fabbricare preventivamente una narrazione artificiale che può ancora essere interpretata come un “successo”. Questo, più di ogni altra cosa, spiega la falsa affermazione che l’espansione della NATO a nord sia una grave sconfitta per la Russia.

Non è, però, per le ragioni che sono state già spiegate, ma serve allo scopo di costituire “l’oppio per le masse” e di convincere la loro gente ad accettare che le loro decine di miliardi di dollari di fondi dei contribuenti hanno realizzato qualcosa di tangibile in loro nome anche se il procuratore della loro fazione ha perso più territorio. Questa narrativa armata ha anche lo scopo di attutire il colpo dell’inflazione alle stelle facendo sembrare che valesse la pena soffrirne per “salvare la democrazia di quegli stati scandinavi”.

L’ultima osservazione da fare è che l’Occidente guidato dagli Stati Uniti continuerà a raddoppiare la sua falsa affermazione che la Nuova Guerra Fredda e la successiva ” Grande Biforcazione ” riguardano tutte “le democrazie contro autoritarismo”. Questo non è altro che un disperato meccanismo narrativo di replica per trasformare l’inevitabile sconfitta di Kiev come una “vittoria” fondata sull’espansione della NATO verso nord come risultato del conflitto. La realtà, tuttavia, è che questa non è una grave sconfitta per la Russia, ma solo un mezzo per distrarre dalla constatazione del declino dell’egemonia unipolare degli Stati Uniti.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=3035

Qui sotto il testo del trilaterale sottoscritto da Turchia, Svezia e Finlandia, presentato come atto definitivo per l’integrazione nella NATO dei due paesi scandinavi, in realtà un protocollo ancora tutto da definire e mettere in atto. Sullo sfondo rimangono le garanzie degli Stati Uniti per il riconoscimento del ruolo geopolitico della Turchia nel mar Egeo e nel Mediterraneo centro-orientale e il ripristino delle forniture di armi americane alla Turchia. I beoti italici al governo non avranno sicuramente nulla da obbiettare; rimane da attendere la reazione della Grecia e dell’Egitto. Con quest’ultimo Erdogan ha appena iniziato a ricucire la tela. Mi scuso per la traduzione difettosa. Provvederò appena possibile a migliorarla. Giuseppe Germinario

MEMORANDUM TRILATERALE
1. Oggi i rappresentanti di Turkiye, Finlandia e Svezia, sotto il
auspici del Segretario generale della NATO, hanno convenuto quanto segue.
2. La NATO è un’Alleanza basata sui principi della difesa collettiva e della
indivisibilità della sicurezza, nonché sui valori comuni. Turkiye, Finlandia e
La Svezia afferma la propria adesione ai principi e ai valori sanciti dal
Trattato di Washington.
3. Uno degli elementi chiave dell’Alleanza è la solidarietà incrollabile e
cooperazione nella lotta al terrorismo, in tutte le sue forme e manifestazioni,
che costituisce una minaccia diretta per la sicurezza nazionale degli Alleati così come
alla pace e alla sicurezza internazionale.
4. In quanto potenziali alleati della NATO, Finlandia e Svezia estendono il loro pieno sostegno
a Turkiye contro le minacce alla sua sicurezza nazionale. A tal fine, Finlandia e
La Svezia non fornirà supporto a YPG/PYD e all’organizzazione
descritto come FETO in Turkiye. Turkiye estende anche il suo pieno sostegno a
Finlandia e Svezia contro le minacce alla loro sicurezza nazionale. Finlandia e
La Svezia respinge e condanna il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni, in
i termini più forti. Finlandia e Svezia condannano tutto senza ambiguità
organizzazioni terroristiche che perpetrano attacchi contro Turkiye, ed esprimono
la loro più profonda solidarietà con Turkiye e le famiglie delle vittime.
5. La Finlandia e la Svezia confermano che il PKK è un terrorista proscritto
organizzazione. La Finlandia e la Svezia si impegnano a prevenire le attività del PKK
e tutte le altre organizzazioni terroristiche e le loro estensioni, nonché le attività
da individui in gruppi o reti affiliati e ispirati a questi collegati
organizzazioni terroristiche. Turkiye, Finlandia e Svezia hanno deciso di intensificare
cooperazione per prevenire le attività di questi gruppi terroristici. Finlandia e
La Svezia rifiuta gli obiettivi di queste organizzazioni terroristiche.
6. Oltre a ciò, la Finlandia fa riferimento a diversi emendamenti recenti del suo Criminal
Codice in base al quale nuovi atti sono stati emanati come reati di terrorismo punibili.
Le ultime modifiche sono entrate in vigore il 1° gennaio 2022, con le quali il
è stato ampliato il campo di partecipazione all’attività di un gruppo terroristico.
Allo stesso tempo, l’istigazione pubblica relativa ai reati terroristici è stata
criminalizzato come reato separato. La Svezia conferma che un nuovo, più duro,
La legge sui reati terroristici entra in vigore il 1° luglio e che il governo
sta preparando un ulteriore inasprimento della legislazione antiterrorismo.

7. Turkiye, Finlandia e Svezia confermano che ora non ci sono armi nazionali
embarghi in atto tra di loro. La Svezia sta cambiando la sua nazionale
quadro normativo per le esportazioni di armi in relazione agli alleati della NATO. In futuro,
le esportazioni di difesa dalla Finlandia e dalla Svezia saranno condotte in linea con
Solidarietà dell’alleanza e in conformità con la lettera e lo spirito dell’articolo 3 del
il Trattato di Washington.
8. Oggi Turkiye, Finlandia e Svezia si impegnano a compiere i seguenti passi concreti:
• Istituire un dialogo congiunto e strutturato e un meccanismo di cooperazione a
tutti i livelli di governo, anche tra le forze dell’ordine e
agenzie di intelligence, per rafforzare la cooperazione in materia di antiterrorismo,
criminalità organizzata e altre sfide comuni che decidono loro.
• Finlandia e Svezia condurranno la lotta al terrorismo
determinazione, deliberazione e in conformità con le disposizioni dell’art
documenti e politiche NATO pertinenti e prenderà tutto il necessario
misure per rafforzare ulteriormente la legislazione nazionale a tal fine.
• Finlandia e Svezia affronteranno l’imminente espulsione di Turkiye o
richieste di estradizione di sospetti terroristi in modo rapido e completo,
tenendo conto delle informazioni, prove e intelligence fornite da
Turkiye e stabilire i quadri giuridici bilaterali necessari per
facilitare l’estradizione e la cooperazione in materia di sicurezza con Turkiye, in
secondo la Convenzione europea di estradizione.
• Finlandia e Svezia indagheranno e vieteranno qualsiasi finanziamento e
attività di reclutamento del PKK e di tutte le altre organizzazioni terroristiche
e le loro estensioni, nonché affiliati o gruppi o reti ispirati
come indicato al paragrafo 5.
• Turkiye, Finlandia e Svezia si impegnano a combattere la disinformazione e
impedire che le loro leggi nazionali vengano abusate a proprio vantaggio o
promozione di organizzazioni terroristiche, anche attraverso attività che
incitare alla violenza contro Turkiye.
• Finlandia e Svezia assicureranno che i rispettivi cittadini
i quadri normativi per le esportazioni di armi consentono nuovi impegni
alleati e riflette il loro status di membri della NATO.

• Finlandia e Svezia si impegnano a sostenere il più possibile
coinvolgimento di Turkiye e di altri alleati non UE nell’esistente e
iniziative prospettiche della Sicurezza Comune dell’Unione Europea e
Politica di difesa, inclusa la partecipazione di Turkiye al progetto PESCO
sulla mobilità militare.
9. Per l’attuazione di queste fasi, Turkiye, Finlandia e Svezia faranno
istituire un meccanismo congiunto permanente, con la partecipazione di esperti
dai Ministeri degli Affari Esteri, dell’Interno e della Giustizia, nonché
Servizi di intelligence e istituzioni di sicurezza. Il giunto permanente
Il meccanismo sarà aperto alla partecipazione di altri.
1 O.Turkiye conferma il suo sostegno di lunga data alla politica della NATO Open Door,
e accetta di sostenere al Vertice di Madrid del 2022 l’invito della Finlandia
e la Svezia per diventare membri della NATO.
~-‘~· Sua Eccellenza
Signor Mevlut <;avu~oglu
Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Turkiye
Ankara
Sua Eccellenza
Signor Pekka Haavisto
Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Finlandia
Helsinki
d. . /~rle … t.!.~ … ……… .
Sua Eccellenza
Signora Ann Linde
Ministro degli Affari Esteri del Regno di Svezia
Stoccolma
Madrid, 28 giugno 2022

https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2022/6/pdf/220628-trilat-memo.pdf

L’impatto a lungo termine del conflitto in Ucraina e la crescente importanza della parte civile della guerra, di Anthony H. Cordesman

Qui sotto due importanti articoli. Il primo edito dal CSIS, un importante centro studi direttamente collegato agli ambienti governativi di Washington; il secondo edito dal sito italiano Arianna Editrice e ripreso dal sito francese reseauinternational.net. Entrambi importanti non solo per individuare le possibili implicazioni e la funzione di catalizzatore del conflitto ucraino nelle dinamiche geopolitiche e nella caduta definitiva della rappresentazione lirica dei processi di globalizzazione; temi ormai ampiamente trattati su questo sito. Quanto soprattutto per decifrare le capacità interpretative e le conseguenti strategie dei centri decisori implicati. Buona lettura, Giuseppe Germinario

6 giugno 2022

Il conflitto in Ucraina sta già fornendo una vasta gamma di lezioni sul ruolo delle moderne forze militari nella guerra moderna, ma fornisce anche lezioni altrettanto importanti sul futuro della parte civile della guerra. A parte alcuni enormi cambiamenti politici in Russia, il conflitto è un avvertimento che la parte civile della guerra sta diventando molto più pericolosa. Inoltre, è un altro esempio del fatto che il tipo di conflitti e crisi civili emersi dalla guerra Iran-Iraq, dalle guerre civili siriana e yemenita e dalle guerre che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno combattuto contro gli estremisti in Iraq e Afghanistan sono ora la regola e non l’eccezione.

È anche chiaro che, anche se la guerra può concludersi con una sorta di compromesso, accordo o cessate il fuoco – ma qualsiasi conclusione decisiva dei combattimenti ora sembra incerta – è probabile che sia un importante catalizzatore nel plasmare uno scontro civile duraturo tra la Russia e NATO, UE e Stati Uniti.

La guerra quasi certamente assicurerà che la Russia sia un fulcro strategico per gli Stati Uniti tanto quanto la Cina, e la concorrenza statunitense ed europea con la Russia rimarrà molto più vicina allo scontro di quanto fosse probabile che si verificasse prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. È probabile che la guerra spinga anche la Russia ad allinearsi più strettamente e visibilmente alla Cina, e potrebbe incoraggiare la Russia a trovare modi politici ed economici per sfruttare ogni tensione e opportunità in Asia, Africa e America Latina, oltre a cercare nuove basi e opportunità per ottenere l’influenza militare.

Gli impatti civili della guerra in Ucraina

La guerra in Ucraina è diventata una guerra di logoramento militare che ha portato a un massiccio sostegno militare statunitense ed europeo all’Ucraina. Questa, tuttavia, è solo una parte della storia. La guerra si è anche evoluta in un grande conflitto politico ed economico tra l’Occidente e la Russia, che alla fine potrebbe avere un impatto molto maggiore sulla stabilità globale e sulla strategia statunitense ed europea rispetto ai combattimenti effettivi.

I combattimenti sembrano essersi limitati all’Ucraina orientale ed è diventata una lotta militare per il controllo del Donbass e del trasporto marittimo globale. Allo stesso tempo, ha portato a un’escalation costante degli attacchi russi all’intera economia civile e alla popolazione civile dell’Ucraina, e ha guidato gli sforzi russi per convertire efficacemente il cuore industriale dell’Ucraina in parti della Russia sia a livello politico che economico. In risposta, la NATO, l’UE e gli Stati Uniti sono andati ben oltre la fornitura di aiuti militari all’Ucraina. Stanno conducendo una “guerra delle sanzioni” in costante escalation contro la Russia, mentre la Russia ha risposto cercando di trovare i propri modi per esercitare pressioni politiche ed economiche sull’Europa e utilizzare una combinazione di forza e pressione politica per condurre una guerra economica contro il grano ucraino esportazioni e commercio marittimo.

Il risultato finale è che l’aspetto civile della guerra ora si estende ben oltre le aree mostrate nella prima mappa in cui si sono verificati conflitti militari e attacchi alle città ucraine durante le prime fasi della guerra. La guerra ha ora rimodellato i costi energetici internazionali su base globale, ha contribuito a creare una massiccia carenza di cibo a livello mondiale, ha gravemente danneggiato l’intera economia russa e ha contribuito a innescare un massiccio aumento del tasso di inflazione a livello globale.

Mappa uno: Mappa del Ministero della Difesa britannico della parte militare della guerra in Ucraina

L’impatto militare completo rimane poco chiaro. La Finlandia e la Svezia hanno presentato domanda per entrare a far parte della NATO e la NATO ha reagito collettivamente pianificando importanti aumenti delle sue capacità militari, ma non ci sono ancora piani chiari che abbiano mostrato quali saranno effettivamente le 30 nazioni della NATO, e forse le 32 nel prossimo futuro nel tempo, come rimodelleranno e modernizzeranno le loro capacità di combattimento, come miglioreranno la loro prontezza e interoperabilità e come ridefiniranno la loro capacità di colpire la Russia e fornire una deterrenza estesa.

Al contrario, l’UE ha già dimostrato che potrebbe non essere il forum ideale per un’azione militare collettiva, in particolare rispetto alla NATO, ma può essere un forum efficace per condurre guerre economiche e politiche, può cooperare strettamente con gli Stati Uniti e uno che può intensificarsi a livello politico ed economico con molti meno rischi rispetto all’uso della forza militare direttamente contro la Russia.

Allo stesso tempo, un corpo in costante crescita di video diretti e immagini satellitari mostra che la Russia ha costantemente intensificato il suo uso di moderne armi militari contro obiettivi civili ucraini e in modi che hanno un enorme impatto sulla sua economia e popolazione. La risposta russa alla guerra urbana è diventata un assedio combattuto con missili e artiglieria moderni che sono stati lanciati contro una gamma sempre più ampia di obiettivi civili, distruggendo gran parte dell’economia, delle infrastrutture, delle strutture civili e degli alloggi nell’Ucraina orientale.

Il risultato finale è stato anche quello di creare l’equivalente di ostaggi civili, prigioni politiche, rifugiati e sfollati interni (IDP). Solo una piccola parte di questi attacchi alla Russia si qualifica per quelli che sono formalmente definiti “crimini di guerra”, ma l’effetto netto – come è avvenuto nella seconda guerra mondiale – è l’equivalente di bombardamenti strategici di obiettivi civili con molta più letalità e capacità di concentrarsi sugli obiettivi politici ed economici più critici.

I combattimenti ora includono guerre politiche ed economiche indipendenti e nuovi modelli di azione militare che hanno un impatto diretto sulla popolazione civile e riducono le “leggi di guerra” a qualcosa che si avvicina a gesti vuoti. Avvertono che la dimensione nucleare – e la distruzione reciproca assicurata – sono solo un aspetto di una rivoluzione negli affari militari che può arrecare danni enormi alla popolazione civile e all’economia.

La Russia ha fornito una serie di dimostrazioni tangibili che avvertono che i moderni missili armati convenzionalmente di attacco di precisione, le capacità di guerra informatica, l’analisi dell’intelligence dei sistemi civili e degli obiettivi e un’ampia gamma di altre capacità di attacco militare in evoluzione possono causare immensi danni potenziali a livello locale e regionale obiettivi e capacità civili.

A differenza delle armi di distruzione di massa, queste forme avanzate di attacco non nucleare possono essere usate in combinazione con armi politiche ed economiche, e possono essere usate con notevole flessibilità e molto meno rischio delle armi nucleari che forniscono un certo grado di distruzione reciproca assicurata. Se non altro, il possesso reciproco di armi nucleari da parte della Russia e della NATO tende a scoraggiarne l’uso da entrambe le parti, creando al contempo una situazione in cui entrambe le parti possono ora utilizzare un’ampia gamma di armi armate convenzionalmente e nuove tecnologie per aumentare il loro livello di conflitto civile.

Una guerra che pone fine a tutta la pace civile?

Il crescente impatto civile della guerra mostra anche che sta diventando sempre più difficile porre fine a un conflitto in modi che possano creare una pace duratura. Ora sembra fin troppo possibile che l’Ucraina non riconquisti il ​​suo territorio a est, non otterrà i livelli di aiuto di cui ha bisogno per ricostruire rapidamente, dovrà affrontare continue minacce dalla Russia a est che limiteranno la sua capacità di ricreare un’area industrializzata, e dovrà affrontare gravi problemi in termini di commercio marittimo. Sembra anche fin troppo probabile che qualsiasi pace o cessate il fuoco lascerà un’eredità di rabbia e odio che impiegherà un decennio o più per finire, e un’acuta tensione politica sarà la norma tra la Russia e la maggior parte dell’Europa, così come tra ucraini e russi.

La fine dei combattimenti non porrà fine ai suoi impatti umani economici e civili. L’Ucraina ha già perso gran parte della sua base economica e urbana, delle sue infrastrutture e del suo governo locale e regionale funzionante. Funzionari ucraini hanno parlato di 500 miliardi di dollari da recuperare e ricostruire, ma tali numeri sono nella migliore delle ipotesi, e presumono che la guerra finirà con una pace politica ed economica significativa e stabile che garantisca all’Ucraina almeno il territorio che aveva quando è iniziato il conflitto e consente alla sua economia di funzionare su una base simile al suo livello prebellico.

Inoltre, il continuo livello di tensione politica tra Russia e NATO/UE/Stati Uniti limiterà il commercio, gli investimenti, gli scambi tecnologici e culturali degli Stati Uniti e dell’Europa fintanto che la Russia avrà il suo attuale regime. Sembra più che possibile che la Russia non sarà in grado di ricostruire i suoi livelli passati di commercio di energia e i suoi più ampi legami economici con l’Europa e l’Occidente, e sceglierà di rivolgersi alla Cina e ad altri stati dell’Asia e dell’Africa.

Anche la NATO e la Russia sembrano probabilmente coinvolte in importanti potenziamenti militari per mezzo decennio o più che aumenteranno le loro spese militari di diversi punti percentuali del PIL e che avranno un impatto aggiuntivo sulle loro economie creando al contempo una massiccia corsa agli armamenti ciò amplierà notevolmente la loro capacità di minacciare la popolazione e l’economia dell’altra parte. L’effetto netto della guerra in Ucraina potrebbe essere quello di portare avanti le armi ipersoniche e altre armi d’attacco avanzate, creare armi cibernetiche e spaziali del mondo reale e creare l’equivalente dei piani operativi strategici integrati convenzionalio SIOP. Tali piani di emergenza comporteranno diversi livelli di escalation, ma saranno resi possibili dalla capacità continua delle forze nucleari strategiche statunitensi e russe di creare livelli molto più dannosi di distruzione reciproca assicurata.

La guerra in Ucraina potrebbe anche bloccare seri sforzi per modernizzare e rafforzare qualsiasi forma di controllo degli armamenti nucleari o convenzionali. Potrebbe spingere Putin a schierare tutti i sistemi avanzati di armi nucleari che ha pubblicizzato, indurre gli Stati Uniti a creare missili da crociera nucleari a basso rendimento e altri sistemi teatrali e indurre Gran Bretagna e Francia a ristrutturare le loro strutture di forza nucleare per concentrarsi sulla Russia.

Dall’Ucraina alla Cina e al mondo

Nessuno di questi sviluppi può essere disaccoppiato dall’attenzione che gli Stati Uniti, gli stati europei e i loro partner strategici in Asia stavano ponendo sulla Cina prima che la Russia invadesse l’Ucraina. È fin troppo possibile che un risultato della guerra in Ucraina possa essere quello di spingere la Russia costantemente più vicina alla Cina in un momento in cui la strategia statunitense si sta ancora concentrando tanto sulla Cina quanto sul riemergere della Russia.

In pratica, la “competizione” di grande potere sta diventando “confronto” di grande potere. Inoltre, la Cina ha le risorse economiche e militari per competere direttamente con gli Stati Uniti e per sfidare altre potenze asiatiche in termini militari, nonché la capacità degli Stati Uniti e dell’Europa di proiettare potere in Asia.

La Cina sta già sfidando gli Stati Uniti e partner strategici come Australia, Giappone, Corea del Sud e Taiwan. Come minimo, reagirà alla guerra in Ucraina sviluppando ogni capacità possibile per contrastare qualsiasi tentativo degli Stati Uniti al tipo di guerra politica ed economica contro la Cina che ora sta usando contro la Russia. Anche la Cina, tuttavia, potrebbe ora vedere la Russia come un potenziale partner la cui economia debole, base tecnologica in declino e alienazione dall’Europa la rendono molto più dipendente dalla Cina.

Più in generale, la guerra in Ucraina – e le reazioni a lungo termine di USA, NATO, UE e Russia – influenzerà i piani e le azioni di Corea del Nord, Pakistan e India, Iran e Stati arabi, Turchia e altri importanti potenze militari come Israele e l’Egitto. Il confronto de facto tra la Russia e gli Stati Uniti e l’Europa è quasi certo che si svolgerà tanto nel terzo mondo quanto in Europa, sia in termini di trasferimenti di armi, assistenza alla sicurezza, basi militari, investimenti economici, accordi commerciali e sostegno politico. Ciò sarà particolarmente vero se si verifica un aumento dell’azione combinata o coordinata di Russia e Cina.

A un certo livello, poiché il ruolo decisivo dei droni nei combattimenti tra Armenia e Azerbaigian ha già mostrato come i progressi selettivi nella tecnologia militare possano cambiare radicalmente i risultati politici ed economici. Ad un altro livello, la “guerra delle sanzioni” guidata dagli Stati Uniti contro l’Iran e altri stati ha dimostrato che il lato civile della guerra può influenzare i ruoli delle superpotenze nel trattare con le potenze minori, e le attività di investimento cinesi negli stati con porti chiave ed esportazioni strategiche hanno dimostrato che non vi è alcuna distinzione pratica in alcuni casi tra l’acquisizione di basi militari e il controllo o l’influenza economica.

Questi aspetti dello “spillover” della guerra in Ucraina si verificheranno anche in un ambiente globale vulnerabile. Almeno a breve termine, l’impatto combinato di Covid-19, cambiamento climatico, inflazione globale, pressione demografica e un elenco quasi infinito di tensioni settarie, etniche e tribali – insieme alle ambizioni di molti leader e al fallimento del governo – offrire opportunità dopo opportunità a Russia e Cina.

La vera natura del “globalismo”

Non c’è ancora modo di determinare quanti di questi modelli emergeranno e in quale forma. È, tuttavia, pericoloso per gli Stati Uniti, la NATO, l’UE e la più ampia gamma di partner strategici americani concentrarsi sulle dimensioni militari della guerra in Ucraina e fallire nel concentrarsi sui suoi modelli civili e politici in evoluzione e sulla quasi certezza di uno scontro duraturo almeno con la Russia e con una combinazione di Russia e Cina.

La guerra in Ucraina non è la causa principale di queste tendenze, ma è molto probabile che sia un importante catalizzatore nel peggiorarle. Sembra anche fin troppo probabile che l’ottimismo che ha plasmato l’approccio al globalismo fosse basato più su illustrazioni confortanti che sulla realtà.

Questo commento intitolato The Longer-Term Impact of the Ukraine Conflict and the Growing Importance of the Civil Side of War è disponibile per il download all’indirizzo https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/publication /220606_Cordesman_Long_Impact.pdf?LayS4B8jE2cZw6OEJETgPq4fQvnf2bye

Anthony H. Cordesman detiene la cattedra emerita in Strategia presso il Center for Strategic and International Studies di Washington, DC. Ha scritto e diretto numerosi libri e studi per il CSIS; è stato insignito della medaglia per il servizio distinto del Dipartimento della Difesa; e ha ricoperto posizioni di rilievo nel Consiglio di sicurezza nazionale, nel Dipartimento di Stato, nell’Ufficio del Segretario alla Difesa, nel Dipartimento dell’Energia e nel personale del Senato degli Stati Uniti.

Il commento  è prodotto dal Center for Strategic and International Studies (CSIS),

L’Europa, dunque, è la grande perdente

di Daniele Perra – 18/06/2022

L'Europa, dunque, è la grande perdente

Fonte: Daniele Perra

Ai primi di giugno, il Center for Strategic and International Studies di Washington (Think Tank assai vicino al Dipartimento della Difesa USA ed all’industria statunitense degli armamenti dal quale viene copiosamente finanziato) ha pubblicato un articolo, a firma Antony H. Cordesman e dal titolo “The longer-term impact of the Ukraine conflict and the growing importance of the civil side of the war”, che ben descrive il nuovo approccio nordamericano al conflitto nell’Europa orientale.
In esso si legge: “sembra ora possibile che l’Ucraina non riconquisterà i suoi territori nell’est e che non otterrà rapidamente gli aiuti di cui ha bisogno per la ricostruzione”. Aiuti che sarebbero stati stimati, molto ottimisticamente, in 500 miliardi di dollari (cifra che non tiene in considerazione la perdita territoriale della sua regione più ricca). Inoltre, l’Ucraina dovrà fare i conti con una continua minaccia russa che limiterà la sua capacità di ricostruzione delle aree industrializzate e che, soprattutto in considerazione delle suddette perdite territoriali, comporterà non pochi problemi in termini di commercio marittimo (il rischio che la Russia, una volta terminate le operazioni in Donbass, possa dirigersi verso Odessa escludendo completamente Kiev dal Mar Nero rimane reale).
L’articolo riporta anche come il conflitto abbia evidenziato, da parte russa, un utilizzo coordinato ed assai flessibile di mezzi militari, politici ed economici al confronto del quale, il mero ricorso alla guerra di propaganda ed al regime sanzionatorio da parte occidentale è sembrato sostanzialmente inefficace. Fattore che, in un modo o nell’altro, ridisegnerà il sistema globale visto che l’eventuale fine dei combattimenti non significherà la fine dei suoi impatti economici e geopolitici di lungo periodo. Senza considerare che Russia e Cina stanno sviluppando una notevole capacità di attirare verso il proprio lato i Paesi africani ed asiatici (il caso recente del Mali che ha optato per l’espulsione dei contingenti francese ed italiano, in questo senso, è emblematico).
Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla propaganda occidentale fino ad oggi, Cordesman afferma che solo una “minuscola porzione” (tiny portion) delle azioni russe in Ucraina possono essere formalmente definite come “crimini di guerra” nonostante il loro impatto sulla popolazione civile.
Ora, a prescindere dalle considerazioni dell’Emeritus Chief in Strategy del Think Tank nordamericano (con le quali si può essere in accordo o meno), ciò che appare evidente è il cambio di paradigma nel racconto del conflitto da parte del centro di comando dell’Occidente.
Gli Stati Uniti (quelli che, secondo Kissinger, hanno solo interessi e non alleati) non sono nuovi a simili operazioni di abbandono dell’“amico” quando hanno raggiunto il loro scopo o non lo ritengono più utile (dal Vietnam all’Afghanistan, passando per Panama  e Iraq, la storia è piena di esempi simili). Resta da valutare se gli Stati Uniti abbiano realmente raggiunto i loro obiettivi per ciò che concerne il conflitto in Ucraina o se questo cambio di paradigma possa essere interpretato come una “ritirata strategica”.
In precedenza si è sottolineato come il conflitto in Ucraina stia portando a cambiamenti profondi nella struttura economica, finanziaria e geopolitica esistente a livello mondiale. Si può parlare di evoluzione verso un sistema multipolare? La rispostà è sì, anche se gli stessi Stati Uniti stanno cercando di rallentarla. Come? Oggi sono tre (in futuro potrebbero essere quattro con l’India) le principali potenze globali: Stati Uniti, Russia e Cina (considerate come potenze revisioniste del sistema unipolare). Tuttavia, il principale concorrente del dollaro sul piano globale è l’euro. Ergo, l’obiettivo nordamericano, per guadagnare tempo nella parabola discendente dell’impero nordamericano, è il suo costante indebolimento. Oltre l’Ucraina, chi è la grande sconfitta del conflitto in corso nell’Europa orientale? L’Unione Europea. L’obiettivo USA, almeno dal 1999 in poi, è quello di rendere artificialmente competitiva la propria industria distruggendo quella europea mantendo, al contempo, il Vecchio Continente in una condizione di cattività geopolitica. Questo l’élite politica europea lo sa bene ma è troppo impegnata a seguire i suoi interessi di portafoglio.
Si prenda ad esempio il caso limite dell’Italia la cui strategia energetica di lungo periodo è andata a farsi benedire con l’aggressione NATO alla Libia. Da quel momento in poi, i governi Monti, Letta e Renzi sono stati i principali responsabili della quasi totale subordinazione della politica energetica italiana al gas russo. Oggi, gli stessi Partiti che hanno sostenuto prima la necessità dell’intervento in Libia e poi i governi successivi a quello Berlusconi (responsabile del tradimento nei confronti di Tripoli) sono gli stessi che chiedono e plaudono all’embargo alle importazioni di idrocarburi dalla Russia, ancora una volta in totale spregio dell’interesse nazionale italiano. In questo contesto, l’unica soluzione per l’Italia non può che essere quella di liberarsi il prima possibile dal draghismo.
L’Europa, dunque, è la grande perdente sul piano economico e geopolitico. L’eventualità di una crisi alimentare in Africa e nel Vicino Oriente a causa del protrarsi del conflitto e, di conseguenza, della riduzione delle esportazioni di grano russe ed ucraine in queste regioni potrebbe causare nuove ondate migratorie che investiranno direttamente un’Europa in cui il problema delle forniture energetiche determinerà un’inflazione sempre più alta, una crisi economica strutturale ed un relativo abbassamento della qualità generale della vita.
Da non sottovalutare, infine, il fatto che l’àncora di salvezza per l’Europa (almeno nel breve periodo, visto che la diversificazione via Africa e Israele appare assai lontana nel tempo) sarebbe dovuto essere il gas naturale liquefatto nordamericano. Bene, una strana esplosione ha recentemente messo fuori uso l’HUB della Freeport LNG in Texas da dove partono le navi che portano il gas in Europa. L’infrastruttura sarà nuovamente operativa a partire dalla fine del 2022. Il tutto mentre Gazprom taglia le sue esportazioni in Europa come rappresaglia nei confronti dell’approvazione dell’ennesimo pacchetto suicida di sanzioni.

Si veda:
The longer-term impact of the Ukraine conflict and the growing importance of the civil side of the war, www.csis.org.
L’utopia di chi spera nel GNL di USA, Africa e Israele, www.ilsussidiario.net.
L’UE ed il suo settore energetico, www.eurasia-rivista.com

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/l-europa-dunque-e-la-grande-perdente

https://www.csis.org/analysis/longer-term-impact-ukraine-conflict-and-growing-importance-civil-side-war

LO STATO DELLE COSE DELLA GEOPOLITICA, di Massimo Morigi _ 1a di 11 parti

AVVERTENZA

La seguente è la prima di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi, è disponibile a partire da pagina 10 con i richiami e da pag 130 con il testo. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe.

PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*

*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.

INTRODUZIONE
««Sapete quanto odi, detesti e non possa sopportare la
menzogna, non perché sia più onesto degli altri, ma
semplicemente perché mi spaventa. C’è un alito letale, un
sapore di mortalità nelle menzogne – ed è esattamente ciò che
odio e detesto al mondo – ciò che voglio dimenticare. Mi
avvilisce e mi nausea, come se addentassi qualcosa di marcio.
Temperamento, suppongo. Be’, mi ci avvicinai abbastanza
lasciando credere a quel giovane sciocco tutto quello che gli
piaceva immaginare della mia influenza in Europa. In un
istante divenni una finzione quanto il resto dei pellegrini
stregati. Questo semplicemente perché mi pareva che in
qualche modo avrei potuto essere d’aiuto a quel Kurtz che al
momento non vedevo – capite. Per me era soltanto una parola.
Non vedevo l’uomo in quel nome, più di quanto lo vediate voi.
Lo vedete? Vedete la storia? Vedete qualcosa? Per me è come
se stessi cercando di raccontarvi un sogno – un tentativo
inutile perché non c’è modo di comunicare a parole la
sensazione del sogno, quel miscuglio di assurdità, sorpresa e
stupore in un fremito di lotta e ribellione, la consapevolezza di
essere preda dell’incredibile, che è l’essenza stessa dei
sogni…». Per un po’ restò in silenzio. … No, è impossibile; è
impossibile comunicare la sensazione di vita di qualsiasi fase
della propria esistenza – ciò che ne costituisce la verità, il
significato – l’essenza sottile e penetrante. È impossibile. Si
vive come si sogna – soli…». Fece un’altra pausa come di
riflessione, poi aggiunse: «Naturalmente in questo voialtri
vedete più di quanto potessi vedere io allora. Voi vedete me,
che conoscete…». Si era fatto buio così pesto che noi
ascoltatori riuscivamo a malapena a scorgerci. Da tempo lui,
seduto in disparte, non era altro che una voce per noi. Nessuno
pronunciò parola. Poteva darsi che gli altri dormissero, ma io
ero sveglio. Ascoltavo, ascoltavo, attendendo all’erta la frase,
la parola che mi avrebbe permesso di comprendere
l’indefinibile disagio ispirato da quel racconto che sembrava
prendere forma senza il bisogno di labbra umane nell’aria
greve della notte sul fiume.».
Nell’introdurre i lettori dell’ “Italia e il Mondo” a
Massimo Morigi, Lo stato delle cose della geopolitica.
Presentazione di quaranta, trenta, vent’anni dopo a le relazioni
fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista: nascita
estetico-emotiva del paradigma olistico-dialettico-espressivostrategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico
originando dall’eterotopia poetica, culturale e politica del
Portogallo, scritto a sua volta introduttivo, come si evince dal
titolo, delle Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il
periodo fascista, elaborato sempre da Massimo Morigi una
ventina di anni orsono e che verrà pubblicato in undici
puntate sul nostro blog, quello che ho inteso sottolineare con la
citazione iniziale tratta da Cuore di tenebra di Joseph Conrad
è che questa odierna presentazione di Massimo Morigi ad una
sua vecchia fatica può essere sì considerata, come
effettivamente lo è, un proseguimento nella costruzione di una
inedita teoresi geopolitica e delle scienze storico-sociali che
abbatta l’artificioso discrimine fra le c.d. scienze della natura
e le c.d. scienze dell’uomo e che ha trovato il suo punto
culminante in Epigenetica, Teoria endosimbiotica, Sintesi
evoluzionista moderna, Sintesi evoluzionistica estesa e
fantasmagorie transumaniste. Breve commento introduttivo,
glosse al Dialectical Biologist di Richard Levins e Richard
Lewontin, su Lynn Margulis, su Donna Haraway e materiali di
studio strategici per la teoria della filosofia della prassi olisticodialettica-espressiva-strategica-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico sempre pubblicata dall’ “Italia
e il Mondo”, ma un approfondimento che, al contrario di
Epigenetica, Teoria endosimbiotica etc. non ricorre ad un
tecnica citazionistica per creare un livello comunicativo col
lettore che sia conforme al paradigma olistico-dialetticoespressivo-strategico-conflittuale che per Morigi vale ed è esplicativo di tutta la realtà ma, nel caso di questo ultimo
lavoro, ricorre alla tecnica letteraria dell’embedded narrative
di cui non solo Cuore di tenebra di Joseph Conrad è stato uno
dei più fulgidi risultati in epoca moderna ma la cui citazione
che ho prodotto ad inizio di queste mie parole penso
rappresenti esattamente la problematica comunicativa che egli
ha dovuto e voluto affrontare con questo lavoro.
E sottolineo che non a caso parlo di problematica
comunicativa e non di tecnica comunicativa e che non a caso
per parlare di questo lavoro e della sua embedded narrative
sono ricorso a Cuore di Tenebra di Joseph Conrad e non
magari a Tlon, Uqbar, Orbis Tertius o a El Sur di Jorge Luis
Borges, l’altro grandissimo scrittore che nella nostra
modernità letteraria è ricorso, con la massima maestria, alla
tecnica letteraria summenzionata ma con la non trascurabile
differenza, rispetto a Conrad e al suo Cuore di tenebra, che per
Borges l’embedded narrative, cioè un racconto che narra di un
racconto, è volta a creare una sorta di ghirigoro espressivo
barocco dimostrativo dell’inesistenza della verità e/o
dell’impossibilità di raccontarla, mentre nel Cuore di tenebra
di Conrad l’embedded narrative, nonostante le difficoltà
interpretative che pone sia ai personaggi del romanzo che ai
lettori dello stesso, è l’unico sistema per venire a contatto con
questa verità e poterla apprezzare nella sua integrale,
ancorché sfuggente, mutevole e contraddittoria, pienezza.
Questo, infatti è lo scopo che si prefigge Morigi tramite
l’odierna presentazione del suo lavoro nato vent’anni prima.
Anche se egli ritiene che il lavoro di vent’anni orsono presenti
dei pregi che hanno resistito al tempo (ed anch’io sono di
questo avviso) e quindi pensa, a buon ragione, che valga la
pena di presentarlo oggi ai lettori dell’ “Italia e il Mondo”, egli
è ancora più convinto che valga la pena di narrare la sua
interiore dinamica intellettuale che lo ha portato ad elaborare
il paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategicoconflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico e di cui le
Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista
costituiscono una tappa, ancorché immatura, ma una tappa
immatura di un percorso iniziato non solo con le suggestioni
culturali e politiche di un paese, il Portogallo, delle cui
suggestioni lo scritto di vent’anni fa, per ammissione stessa del
suo autore, era in fondo un frutto ancora non completamente
maturo ma anzidetto paradigma che è stato generato a livello
inizialmente subliminale, come ci spiega espressamente
Morigi, dalla rappresentazione che di questo paese ha dato il
regista tedesco Wim Wenders tramite i due magistrali Lo stato
delle cose e Lisbon Story, due film che hanno per sfondo non
solo il Portogallo ma anche le storie che i loro personaggi
dentro questo scenario riescono o non riescono a narrare e/o a
portare a termine.
Narrandoci del Portogallo e di queste due embedded
narrative cinematografiche su questo paese, così Morigi crea a
sua volta una sua propria personale embedded narrative che
accoglie sia la storia di quel paese (e quindi quella di quel suo
scritto di vent’anni prima) che quella delle due embedded
narrative raccontate nelle due rappresentazioni
cinematografiche che hanno dato vita, come ci narra Morigi,
alla dinamica psico-intellettuale che lo portò poi alla creazione
del paradigma olistico-dialettico-strategico-conflittuale del
Repubblicanesimo Geopolitico. Siamo quindi in presenza di
una ‘embedded narrative geopolitica’? A mio parere non più
di quanto in Epigenetica, Teoria endosimbiotica etc. non
fossimo in presenza, in virtù della sua tecnica comunicativa
tramite una costellazione di citazioni, di una ‘Benjamin
geopolitica’. Quella che qui come allora si presenta, è una
geopolitica integralmente dialettica per la quale valgono sia
nell’uno come nell’altro caso le considerazioni dell’ascoltatore
delle parole del narratore Marlow che abbiamo letto all’inizio
di questa presentazione: «Si era fatto buio così pesto che noi
ascoltatori riuscivamo a malapena a scorgerci. Da tempo lui,
seduto in disparte, non era altro che una voce per noi. Nessuno
pronunciò parola. Poteva darsi che gli altri dormissero, ma io
ero sveglio. Ascoltavo, ascoltavo, attendendo all’erta la frase,
la parola che mi avrebbe permesso di comprendere
l’indefinibile disagio ispirato da quel racconto che sembrava
prendere forma senza il bisogno di labbra umane nell’aria
greve della notte sul fiume.».
Certamente Lo stato delle cose della geopolitica, non è solo
la narrazione di una personale dinamica intellettuale in cui è
protagonista una concezione dialettica totale ma è anche la
narrazione di un futuro programma di pedagogia geopolitica e
culturale tout court che ha veramente poco da spartire con le
attuali pornografie massmediatiche “geopolitiche” e/o
“politico-culturali”, verso le quali, per esprimere il nostro
sentimento ricorriamo, sempre da Cuore di tenebra, alle ultime
parole dette da Kurtz prima di morire al narratore Marlow
così come ce le consegna il narratore anonimo del racconto di
Marlow: «Che orrore. Che orrore!». Ecco, Lo stato delle cose
della geopolitica, oltre ad essere una necessaria presentazione
ad uno scritto, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il
periodo fascista, che nonostante la parziale palinodia fattane
dall’autore stesso, mantiene a tutt’oggi una sua validità come
ricerca storica, è innanzitutto, una sorta di reazione a questo
orrore.
Per questo la sua embedded narrative che non fornisce le
facili risposte ready-made e stupidamente deterministiche
dell’attuale geopolitica da talk show ma che ci dona una
processo formativo in cui la teoria ambisce a formare anche
con sottili passaggi e processi di tipo letterario-filosofico, come
il ricorso al tropo dell’eterotopia e a quello degli specchi che
riflettono all’infinito la loro stessa immagine,
1
una geopolitica
ed una azione politica che possano abbattere le
deterministiche, falsamente scientifiche, pornografiche
manifestazioni dell’attuale “geopolitica” fintamente obiettiva
la cui retorica è quella greve da bar sport (vedi l’attuale
guerra russo-ucraina e l’attuale orribile perfomance dei nostri
più accreditati geopolitici nazionali sospesa fra la brutta
figura per le previsioni completamente sballate ed il successivo
totale pubblico asservimento alla voce del padrone atlantico,
ma ricordiamo che più o meno esplicita che fosse prima di
questa guerra, questa condizione di totale asservimento è
comunque sempre stata la stessa), deve essere considerata
veramente un potentissimo farmaco contro questo orrore.

E per aspettare che questo farmaco faccia il suo effetto,
con tutte le sue embedded narrative e tutte le conseguenti
interconnesse eterotopie storico-culturali portoghesi e
cinematografiche wendersiane, consigliamo veramente il
lettore, oltre ovviamente alla lettura del saggio sulla storia
delle Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo
fascista che pubblichiamo in undici puntate, di fare come il
narratore della narrazione di Marlow, di ascoltare e ascoltare,
attendendo quello spunto che gli apra la sua personalissima ed
intima chiave per uscire dall’attuale orrore. Un ascolto, che
come ci suggerisce l’‘embedded narrative geopolitica’ dello
Stato delle cose della geopolitica, dovrà durare più delle undici
puntate in cui, tramite il testo presentato da questo scritto,
anche esso stesso verrà undici volte riproposto ma, bensì,
tutta una vita; un ascolto che se ovviamente dovrà ad un certo
punto avere termine anche per Lo stato delle cose della
geopolitica, non dovrà mai cessare per tutte le embedded story
che ci offre non solo la geopolitica ma, soprattutto, la vita
dell’uomo che queste storie genera ma, come nell’eterotopica
fuga all’infinito dell’immagine dei due specchi che
vicendevolmente si riflettono e si moltiplicano senza mai
fermarsi, senza le quali e senza la cui creazione l’uomo non
sarebbe nemmeno nel mondo.

1 Nell’‘embedded narrative geopolitica’ dello Stato delle cose della geopolitica trova
largo e densissimamente significante il tropo dell’ eterotopia, il concetto foucaultiano
di un luogo realmente esistente ma al tempo stesso isolato dagli altri più comuni
luoghi della vita dell’uomo e, strettamente collegato a questo, il tropo dei due specchi
che riflettono all’infinito l’uno l’immagine dell’altro, una forma particolare di
eterotopia quest’ultima che, come ci vuole suggerire Morigi, è rappresentazione della
dialettica dell’ Epifania Strategica del Repubblicanesimo Geopolitico, oltre ad essere,
come altresì ci mostra Morigi, una immagine retorica ricorrente nella filmografia
wendersiana. E potremmo anche continuare parlando della funzione tutta particolare
che la saudade portoghese riveste nell’economia dell’embedded narrative dello Stato
delle cose della geopolitica, ma per aver contezza di cosa possa significare per un
rinnovata geopolitica contrassegnata dall’eterotopia della Epifania Strategica il
saudosistico triste ma al contempo felice sentimento delle cose che passano e muoiono
ma che proprio nel loro ricordo rivivono ancora più splendenti di quando erano nel
mondo, oltre a rinviare alle interpretazioni già date da Morigi alle Tesi di filosofia della
storia di Walter Benjamin e alla filosofia della prassi dove, specialmente nel
Repubblicanesimo Geopolitico, soggetto ed oggetto costituiscono un unicum dialettico,
pensiamo sia doveroso rinviare direttamente il lettore alla narrazione che ne troviamo
nello Stato delle cose della geopolitica e non fornire ulteriori spiegazioni…
Buona lettura
Giuseppe Germinario

PRIMA PUNTATA STATO DELLE COSE

Il mondo rovesciato, di Alessandro Visalli

Il mondo rovesciato

Fino a ieri, sicuri che il ‘dolce commercio[1] avrebbe portato con sé attraverso la spinta interna del consumo l’allineamento del mondo agli standard dell’occidente e garantito quindi il relativo dominio di fatto, erano i paesi guida anglosassoni (e gli Usa in primis) a spingere sull’interconnessione. L’idea era anche di considerare la “modernizzazione”[2] compiuta storicamente, ed in innumerevoli conflitti, dalle società europee nel torno di anni tra il XV ed il XIX secolo come una “tappa”[3], storicamente necessaria, dei “progressi”[4] della “Ragione”[5] che porta con sé il necessario -biunivocamente connesso- sviluppo delle forze produttive. Nessuno sviluppo autentico è possibile, né civile e morale, né produttivo autosostenuto, senza che si aderisca a questo movimento ineluttabile e progressivo, irreversibile, scritto nella “Storia”[6], e del quale l’Occidente rappresenta il modello e l’alfiere. Questa costellazione di idee, nelle quali è incorporata la mente di ogni “buon” cittadino occidentale, democratico e progressista, sicuro della propria superiorità e del destino manifesto che aspetta il mondo intero quando lo riconosca, è sfidata dalla direzione che stanno prendendo i fatti.

Le ultime tre presidenze statunitensi hanno progressivamente invertito di fatto le prescrizioni di questa visione, accorgendosi crescentemente che non accadeva quanto previsto dagli scheletrici modelli ideologici settecenteschi (per certi versi cinque-seicenteschi) inconsapevolmente attardati nella mente collettiva delle élite. Ed allora hanno virato sul confronto diretto, ideologico (la lotta “democrazia/autocrazia”[7]) ed economico (sanzioni e reshoring delle produzioni critiche[8]), ora anche militare[9] (che nella tradizione occidentale è sempre stata la prima istanza).

 

Ciò che accadeva era, invece, che sistemi economici a guida pubblica[10] resistevano alla gramsciana proiezione di egemonia intellettuale, morale e politica “liberale”. Ovvero alla proiezione dell’iniziativa individuale, ‘molecolare’ e ‘privata’ in ‘direzione intellettuale e morale’ che è la precondizione per prendere il ‘dominio’ nelle proprie mani da parte delle borghesie liberali[11]. La delusione derivante dalle molte controprove (ad esempio il trattamento di Bo Xilai[12], o di Jack Ma[13] in Cina, o di diversi ‘oligarchi’ o ‘imprenditori’ – la formula cambia a seconda siano amici o meno – in Russia) ha condotto a cambiare spalla al fucile.

Di qui la disconnessione e la ‘fine della mondializzazione’ di cui parlano ormai apertamente molti intellettuali e media occidentali.

 

 

La bandiera fatta cadere a terra viene raccolta sempre più coscientemente e decisamente da Xi Jimping. Mentre l’esercito cerca di mettersi in pari con la forza occidentale (varando una portaerei e due grandi incrociatori in un anno) il premier cinese partecipa alla sessione plenaria del Forum economico internazionale di San Pietroburgo pronunciando un deciso discorso[14].

Richiamando ‘l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile’[15], Xi ha sottolineato nel discorso che un autentico multilateralismo significa “rispettare e sostenere tutti i paesi nell’intraprendere un percorso di sviluppo adatto alle loro condizioni nazionali” (qui una diretta polemica con le politiche a taglia unica -occidentale- del FMI). E’ questo che crea un “ambiente favorevole allo sviluppo” di tutti e aiuta a “costruire un’economia mondiale aperta”. Per farlo Xi propone, riecheggiando i toni che Zhou Enlai nel 1955 propose a Bandung[16], di “rafforzare la rappresentanza e la voce dei paesi dei mercati emergenti e dei paesi in via di sviluppo nella governance economica mondiale” (ovvero sostituire al G7 un modello di cooperazione alternativo) e promuovere “equilibrio, sviluppo coordinato e inclusivo”. Il concetto di “sviluppo coordinato” (促进全球平衡) è uno dei due concetti chiave del discorso (in quanto dal contesto si comprende trattarsi di sviluppo orizzontale e sul piano di complementarietà ed equilibrio).

Quindi si tratta di rafforzare la cooperazione Nord-Sud, e sud-sud, mettere in comune le risorse in cooperazione, garantire reti e piattaforme per lo sviluppo, aumentare l’assistenza allo sviluppo, formare sinergie e colmare i divari.

In terzo luogo, promuovere la globalizzazione economica (推动经济全球化进程), ma attraverso la “connessione morbida” (l’altro concetto-chiave, Ruǎn lián 软 联) delle politiche di sviluppo; quindi di regole e standard internazionali (lo strumento principe del dominio occidentale, grazie al fermo controllo degli organismi di standardizzazione); abbandonare il disaccoppiamento, i tagli all’offerta, le sanzioni unilaterali, le barriere e pressioni; mantenere la stabilità delle catene industriali (la cui interruzione provoca una crescente inflazione in occidente, ma non in Cina), e lavorare insieme per la crisi alimentare ed energetica. Infine, aderire all’innovazione guidata, sfruttare il potenziale dell’innovazione e della crescita, approfondire gli scambi scientifici, condividere i risultati.

La Cina, ha concluso Xi, è disposta su queste basi a collaborare con i paesi di tutto il mondo, inclusa la Russia, per creare insieme prospettive di sviluppo, condividere opportunità di crescita e dare contributi all’approfondimento della cooperazione allo sviluppo globale ed alla promozione di quella che chiama “una comunità con un futuro condiviso per l’umanità”. Attraverso questi toni la Cina, ma in linea con una lunga tradizione del ‘paese di mezzo’ (chung-kuo), cerca di qualificarsi come centro immobile del mondo, come difensore e costruttore dell’ordine internazionale (concepito implicitamente nella forma della relazione con il ‘cielo’). Per essa aderire al multilateralismo significa mantenere una “stabilità strategica globale”, e fornire attivamente beni pubblici internazionali[17].

Ciò che rende per noi difficile comprendere questo modo di dire, e ce lo fa interpretare come inautenticità e retorica vuota, è la forma di universalismo astratto che è profondamente connotata nella nostra tradizione (o in alcune nostre tradizioni, se non in tutte). La civiltà cinese è universalista in altro modo. È il Tianxia (la “via del cielo” o il “tutti sotto il cielo”) che connota più profondamente lo spirito del pensiero filosofico, religioso e geopolitico cinese. La formula “futuro condiviso per l’intera umanità” non è altro che questo segno (non già concetto, che la lingua cinese non supporta). Non si tratta di una “finalità”, quanto di un orientarsi “nella direzione della luce” (Ér guāngmíng suǒ xiàng), di dirigersi verso la propensione della situazione che produce, se accolta, un “vantaggio” (li). Ma bisogna notare che per un cinese, essendo derivante dalla situazione, e non da un piano, il “li” è sempre morale ed è sempre per tutti. La questione è di individuare, scoprire, nella situazione i fattori favorevoli e farli crescere, adattandosi ad essi ed adattandoli ad un tempo. Ovviamente, far crescere i fattori favorevoli e far decrescere, o disattivare, quelli favorevoli all’avversario.

Si tratta di fare in modo che l’avversario sia trascinato, senza azione, dalla situazione stessa, progressivamente e inavvertitamente nella destrutturazione. In modo che perda il proprio potenziale.

 

L’esatto contrario della propensione alla guerra di un paese che, di fatto, è sempre stato in qualche avventura militare grande o piccola da quando è stato fondato, o di un continente, l’Europa, che è stato in pace straordinariamente (e neppure completamente) due sole volte negli ultimi cinque secoli.

 

Non combattere è la regola fondamentale della Grande Strategia cinese (e non è il caso di riferirsi a Sun Tzu). O meglio “non agire” (wu wei), tuttavia, ed allo stesso tempo, in modo che alla fine “niente non sia fatto” (er wu bu wei). I cinesi non combatteranno mai per dominare il mondo (ma forse lo faranno), lasceranno che tutto, per la sua propensione, si trasformi (hua).

 

L’idea è semplicissima, e sta avvenendo davanti ai nostri occhi. Senza agire davvero, al più difendendosi (che la lezione delle Guerre dell’Oppio è ben ricordata), fa perdere contegno all’occidente.  Se alla fine la Cina non si vedrà agire, se sembrerà del tutto immobile, la perfezione sarà stata raggiunta. Perfezione che ha a che fare con il concetto di “cielo”, una alternanza regolata che si rinnova sempre senza esaurirsi mai. L’opposto, in un certo senso, della nozione assolutamente occidentale di ‘progresso’.

Per concludere. È proprio il concetto di egemonia solitaria ad essere estraneo alla civiltà cinese.

 

La settima prossima a Pechino la Cina ospiterà il Summit dei Brics, la cui agenda è “fornire una piattaforma per le nazioni in via di sviluppo, per creare consenso sull’affrontare le sfide acute dello sviluppo” (come ricorda Global Times). Il discorso programmatico di Xi è previsto per il 22 giugno. Alla presenza di 1.000 delegati sarà lanciata una BRICS Business Beijing Initiative. Sono previsti, oltre a Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, paesi come l’Argentina, l’Indonesia, oltre a diversi paesi in via di sviluppo.

Si discuterà anche del migliore modo per giungere ad un ‘cessate il fuoco’ in Ucraina e ad un accordo di pace che rispetti le legittime preoccupazioni di tutte le parti. Quindi delle questioni energetiche globali e di sicurezza alimentare. Infine, dell’allargamento della cooperazione con adesione di nuovi membri (tra cui l’Argentina).

 

Contemporaneamente Biden presiederà una riunione G7 nella quale lancerà una “iniziativa infrastrutturale globale” (in particolare digitale) diretta a contrastare le ambizioni internazionali della Cina.

 

 

Nel Forum internazionale di San Pietroburgo è, insomma, andato in scena un canovaccio che vedremo sempre più spesso: parallelamente alla rete di relazioni che l’occidente intrattiene con il mondo ‘secondo’ o ‘terzo’ (dal suo punto di vista di autoattribuito ‘centro’) e che chiama “comunità internazionale”, cresce una rete di relazioni non necessariamente incompatibile, ma dichiaratamente ‘diversa’. Questa rete vede al G7 affiancarsi una sorta di G8-9 (o “Brics+”) formato sostanzialmente tra Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa (i Brics) oltre Iran, Indonesia, Turchia, Messico. Molti di questi paesi intrattengono relazioni bilaterali intense (come, del resto, fecero i paesi di Bandung), ma insieme rappresentano un Pil aggregato, se calcolato per la capacità di acquistare beni e servizi -PPA- già superiore a quello del G7.

Alcuni di questi paesi sono considerati “non democratici”, secondo i ristretti ed etnicamente radicati principi della liberal-democrazia in stile anglosassone[18]. Ma, come scrive giustamente il Ministero degli Esteri cinese in un suo documento[19], “la democrazia è storica, concreta e in via di sviluppo. La democrazia in ogni paese è radicata nelle proprie tradizioni storiche e culturali e cresce dall’esplorazione pratica e dalla creazione di saggezza del proprio popolo”. Ne consegue che “la Cina insiste nel rispettare la sovranità e l’integrità territoriale di tutti i paesi, non interferire negli affari interni degli altri paesi e rispettare i percorsi di sviluppo e i sistemi sociali scelti indipendentemente dalle persone di tutti i paesi. La Cina non ha intenzione di impegnarsi in una competizione istituzionale e in un confronto ideologico con gli Stati Uniti. La Cina non esporta mai ideologia, non interferisce mai negli affari interni di altri paesi e non cerca mai di cambiare il sistema statunitense [o nessun altro]”.

Tutto si sta rovesciando.

[1] – Il termine è messo in giro nel XVIII secolo e rappresenta la condensazione di una idea contemporaneamente semplicissima e straordinariamente sottile: il fatto di far passare le relazioni umane attraverso il vincolo morbido dello scambio per puro interesse (il “dolce commercio”) le trasformerà e civilizzerà. L’uomo stesso diventerà meno ferino, meno orientato a perseguire motivazioni irrazionali (come “l’onore”), e la società diventerà meno separata in enclave, in clan in lotta reciproca; sarà meno attraversata da inimicizie radicali (ad esempio religiose). Ma questa non è, a ben vedere e come viene di solito presentata, l’idea di una condizione ‘naturale’ dell’uomo che si tratta solo di far emergere. Implica una antropologia minimalista, ma la produce, nel senso che è un progetto. Il progetto di un “uomo nuovo” che viene prodotto dalla estensione del commercio e dalla struttura legale e governativa che lo impone. Cfr., ad esempio, Jean-Claude Michéa, “L’impero del male”, Libri Scheiwiller, 2008 (ed. or. 2007).

[2] – Altro termine chiave della costellazione liberale: si tratta del superamento del mondo tradizionale, con tutte le sue strutture relazionali ed antropologiche, i sistemi di potere, i vincoli costitutivi, i valori (ad esempio l’onore, la responsabilità concreta, la reciprocità nel sistema del dono, l’ordine presunto naturale, …).

[3] – L’idea di un procedere per “tappe” della “storia” è un’altra tipica idea illuminista, fattasi strada tra il XVII ed il XVIII secolo, viene articolata sia nell’ambiente napoletano (Gianbattista Vico, 1668-1744) sia in quello scozzese (Adam Ferguson, 1723-1816), ovviamente ciò porta a ritenere che l’uomo proceda, generazione dopo generazione, ad apprendere sempre meglio il proprio modo di essere nel mondo e quindi progredisca.

[4] – “Progresso” è probabilmente il termine più inevitabile della costellazione liberale-moderna. Il concetto è legato ad una duplice radice: da una parte è un’interpretazione-ricostruzione dell’esperienza storica della tecnica e della scienza nella fioritura cinque-seicentesca e nella estensione sette-ottocentesca, dall’altra è ancora un progetto di rottura delle relazioni tradizionali e di liberazione delle forze del lavoro e dell’industria dai vincoli storici. Si tratta di un progetto negativo, che conosce ciò che non vuole, ma non ciò verso cui tende. Un programma intrinsecamente “illimitato”, e quindi anche, e necessariamente, in-umano e carico di hybris. Per questa lettura del liberalesimo come “progetto negativo”, si può leggere Andrea Zhok, “Critica della ragione liberale”, Meltemi, 2020.

[5] – “Ragione”, rigorosamente al singolare, è quindi il coronamento di questo giro di concetti e del progetto ad essi connesso. Si tratta dell’idea che si deve imporre una unica via, perché aderente all’autentica natura umana (o, per meglio dire, alla natura umana che deve diventare unica).

[6] – La “Storia” è quindi orientata, ha carattere unitario, conoscibile nel suo senso, normativamente connotata.

[7] – Si veda “Politica estera basata sui valori o sull’autodeterminazione. Note sulla svolta di Biden”, Tempofertile 5 aprile 2022.

[8] – Mi riferisco ai tentativi, compiuti dalle ultime amministrazioni, ma più esplicitamente da quella Trump, di convincere o costringere parte delle filiere produttive occidentali a ritornare entro il perimetro più controllabile della sfera di influenza e uscire dall’ecosistema cinese. Tentativi che hanno prodotto modesti risultati, ma che hanno anche – per effetto degli strumenti adoperati, come le sanzioni e le barriere regolative e tariffarie, indotto ad un fattore inflattivo che inizia a mordere l’occidente stesso.

[9] – Mi riferisco, ovviamente, alle guerre condotte, direttamente o per procura, dall’Occidente stesso, la cui ultima e più clamorosa è la guerra ucraina. Per una lettura autorevole ed eretica, ma americana, della crisi si veda, ad esempio, “Circa l’intervista a John Mearshmeier sulla guerra ucraina”, Tempofertile, 12 marzo 2022.

[10] – Scelgo di chiamare in questo modo, con questa etichetta generica, tutti quei sistemi economici e sociali moderni (tecnologicamente e industrialmente avanzati, anche di frontiera) che, tuttavia, non si lasciano guidare solo dal “dolce commercio” (con il suo correlato di norme, pratiche di pressione e controllo, inibizioni, sistemi di repressione), ma anche da una funzione intenzionale di direzione non decentrata, che qui si descrive con l’etichetta “pubblica”. La Cina è un esempio idealtipico, ma anche Singapore, per certi versi la Corea (anche del Sud)

[11] – Nei “Quaderni dal Carcere”, Vol III, 19, $ 24, Antonio Gramsci scrive “il criterio metodologico su cui occorre fondare il proprio esame è questo: che la supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come ‘dominio’ e come ‘direzione intellettuale e morale’. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a ‘liquidare’ o a sottomettere anche con la forza ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere e anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare anche ad essere ‘dirigente’.” Dunque, la condizione perché un gruppo sociale acceda al potere è che eserciti una forza egemonica. Ma i gruppi sociali “liberali”, o, con altro termine “borghesi”, esercitano la propria egemonia e sviluppano “direzione”, come continua “In forme e con mezzi che si possono chiamare ‘liberali’, cioè attraverso l’iniziativa individuale, ‘molecolare’, ‘privata’ (cioè non per un programma di partito elaborato e costituito secondo un piano precedentemente all’azione pratica e organizzativa). D’altronde, ciò è ‘normale’, date la struttura e la funzione dei gruppi sociali rappresentati dai moderati, dei quali i moderati sono il ceto dirigente, gli intellettuali in senso organico”. Il punto è che attori sociali, come il successivamente citato Yack Ma, sono “in senso organico” (ovvero non programmato, pienamente consapevole o progettato) gli “intellettuali ‘condensati’” dei gruppi sociali liberali, ne costituiscono la ‘avanguardia reale’ e sono naturalmente organici ad essi. Esercitano per questo motivo, e, si noti, al di là della loro propria individuale intenzione, o cognizione, una potente attrazione, essa stessa ‘spontanea’ verso altri intellettuali in senso gramsciano (ovvero potenziali dirigenti del senso comune), presenti diffusamente. Ciò significa che individualmente, ovvero una interazione per una, una relazione dopo l’altra, una dichiarazione insieme alla successiva, essi “molecolarmente” estendono l’egemonia, creando le condizioni del dominio.

[12] – Ex membro del Politburo cinese e figlio di Bo Yibo, Ministro delle Finanze nei primi anni della rivoluzione, si è fatto campione della “nuova sinistra cinese” nei primi anni dieci, promuovendo valori egualitari con un approccio fortemente anti-liberista e social-democratico (o maoista), Bo aveva tentato di ‘forzare’ le procedure di promozione/cooptazione del sistema centralizzato e meritocratico cinese (legato ad una millenaria tradizione) autocandidandosi alla carica di “membro permanente del massimo organo politico grazie ad una strategia di tipo “populista”. Ovvero attraverso una sbandierata campagna anti-corruzione e criminalità organizzata e rilanciando gli slogan della “cultura rossa”. Questa sfida ‘da sinistra’ alla leadership collettiva del Partito (che non è affatto autocratico, se mai troppo collettivo e conservatore) è stata respinta non appena un suo collaboratore chiave è stato arrestato in una vicenda poco chiara di corruzione ed omicidio che ha coinvolto anche la moglie. Il punto rilevante è che la vicenda, con la durezza del trattamento sfociata in una condanna all’ergastolo, mostra come il sistema economico e sociale, quindi politico, cinese non è scalabile da singoli individui con modalità ‘imprenditoriali’.

[13] – Il caso di Jack Ma è simmetricamente opposto e notevolmente più recente. Nel 2009 Ma fu scelto come uno dei 100 uomini più influenti al mondo da Times, Presidente di Alibaba, e coproprietario di Alipay uno dei cinque uomini più ricchi della Cina, entra nella bufera per l’estensione della sua influenza ed alcune critiche alla direzione del Partito. Ma ha un profilo imprenditoriale posto esattamente alla confluenza del sistema delle grandi compagnie statali (la China International Electronic Commerce Center, che lo lancia) e il credito bancario e finanziario occidentale (Goldman Sachs, la giapponese SoftBank e la multinazionale bostoniana Fidelity Investments), senza dimenticare le collaborazioni con Yahoo! e la IPO a New York da 25 miliardi di dollari del 2014. Il 9 gennaio 2017, Ma, si è incontrato con il Presidente americano Donald Trump (che stava mettendo sotto pressione la Cina), per ipotizzare investimenti di AliBaba negli Usa. Poco dopo si è dimesso, su probabili pressioni del governo, dalle sue cariche aziendali al contempo dichiarando la sua iscrizione al Partito Comunista Cinese.

[14]http://www.legaldaily.com.cn/index_article/content/2022-06/18/content_8735917.htm

[15] – Si veda “Obiettivi per lo sviluppo sostenibile”.

[16] – La Conferenza di Bandung è il punto intermedio di un lungo processo che parte con il Congresso dei popoli dell’oriente a Baku, nel 1920, del quale parleremo in seguito, e il successivo Congresso dei popoli oppressi di Bruxelles nel 1927, oltre che la Asian Relations Conference convocata da Nehru nel 1947 nella quale fu deciso di dotarsi di una organizzazione permanente. Nell’aprile del 1954 i capi di governo di Ceylon, India, Pakistan, Birmania, Indonesia si riunirono a Colombo (Ceylon) per organizzare una grande conferenza afroasiatica. Conferenza che fu convocata appunto a Bandung, invitando venticinque Stati con l’esclusione dei movimenti di liberazione, con qualche anomalia (come i due Vietnam e l’esclusione delle due Coree, oltre il mancato invito ai paesi latino-americani e soprattutto dell’Unione Sovietica). Parteciparono paesi socialisti, come la Cina, e filoccidentali, come il Giappone, o neutralisti. Con qualche compromesso, mediato da Chou En-Lai da una parte e da Nehru dall’altra si arrivò a una dichiarazione di condanna del solo colonialismo “tradizionale” (mentre alcuni paesi volevano condannare anche quello sovietico). Bandung è l’anello di congiunzione tra la sconfitta di Dien Bien Phu e l’evento di Suez. Tutti e tre insieme fecero precipitare il colonialismo europeo.

[17] – Per questi temi si veda, ad esempio, “Dal Grande Gioco triangolare alla polarizzazione. Circa la posizione diplomatica e strategica cinese: Qin Gang e Yongnian Zheng”, tempofertile 19 aprile 2022.

[18] – E’ difficile convincere qualcuno che è nato in un posto del fatto che le sue convinzioni, acquisite durante il percorso di crescita, sono connesse con questo e non sono valide ovunque e per tutti. Tuttavia, è semplicemente un fatto. Un esempio di ricostruzione del percorso storico di creazione della democrazia “dei moderni” (occidentali), è presente nel libro di Bernard Manin, “Principi del governo rappresentativo”, Il Mulino, 1997.

[19]https://www.guancha.cn/WaiJiaoBu/2022_06_19_645369.shtml

 

https://tempofertile.blogspot.com/2022/06/il-mondo-rovesciato.html?fbclid=IwAR3gW6b2Jfkt3nJrbQ-2dbL6zS1N9O1Vuc2jXpbPiiaTLdVzNhSsMckoCpo

Usa e GB ordinano più armi e militari in Europa: il “signorsì” di Scholz e Draghi, di Marco Giuliani

Usa e GB ordinano più armi e militari in Europa: il signorsì di Scholz e Draghi

E mentre si inasprisce lo scontro tra Mosca e il fronte antirusso, i media filogovernativi europei “normalizzano” la questione

Come annunciato tramite il messaggio di Biden al vertice Nato di Madrid, «gli Stati Uniti intendono rinforzare le loro posizioni militari in Europa in modo che la Nato possa rispondere a minacce da ogni direzione e da tutti i domini: mare, terra, aria». Sembra la teoria degli elementi, ma non lo è. Purtroppo, a formularla è l’anziano leader statunitense e non il genio di Aristotele. Non sono buone notizie quelle che arrivano dalla tre giorni spagnola di fine giugno, che ha visto riunirsi i membri dell’Alleanza Atlantica; l’incontro, infatti, è valso più a ratificare le posizioni anti-Putin anziché pianificare un pacchetto di strategie geopolitiche future su scala globale. Si tratta di un summit che decreta l’ulteriore indebolimento del raggio d’azione e dell’autonomia della UE, la quale, secondo i suoi membri più affermati – Francia, Germania, Italia e Spagna – si rimette alla linea anglo-americana come l’unica da seguire per fronteggiare una condizione di guerra sempre più tesa e pericolosa.

Ma quanto è auspicabile il tentativo di abbassare il livello dello scontro mostrando i denti e alimentando una contrapposizione che assume in modo crescente dimensioni bipolari? Quanto paga questo atteggiamento nella speranza (assai remota) che Putin ritorni sui propri passi? In tale contesto, appare sempre più chiaro che gli obiettivi della Casa Bianca, seguita a ruota da quelle che mai come oggi sembrano essere le sue “succursali”, non si riferiscono più alla salvaguardia dell’integrità del territorio e della popolazione ucraina (Crimea e Donbass sono sotto il controllo russo da settimane), bensì all’indebolimento esclusivo di Putin e dell’economia russa. La decisione di Washington di rafforzare la presenza militare atlantica in Europa, non ultima in Italia, in cui sono già presenti 120 basi statunitensi (alcune presso località segrete munite di testate nucleari), non ha fatto riscontrare uno straccio di obiezione da parte di Draghi, tantomeno il progetto di una risoluzione da portare in Parlamento per metterla ai voti. Stesso discorso vale per la Germania, che per bocca di Scholz ha annunciato al contrario l’invio di nuove armi a Kiev, e sempre più potenti.

Lo svilimento del ruolo dell’Europa in questa brutta faccenda, aggravata dalla volontà dichiarata del premier britannico Johnson (ci voleva anche lui, che non avrà neanche una maggioranza alle prossime politiche) di spostare la presenza militare occidentale ancora più a Est – cosa che ha fatto imbestialire il Cremlino – è pressoché totale. Lo si evince dalla penuria di iniziative da parte dei suoi leaders più in vista, come lo stesso Draghi, Macron o l’irrecuperabile Von der Leyen, che hanno assunto il ruolo di semplici ratificatori di decisioni prese dall’alto. Tutto questo ha un costo enorme, ma per Bruxelles in primo luogo e meno per gli Usa, che pure stanno sborsando fior di miliardi pur di mettere all’angolo Mosca. D’altronde, le gravi difficoltà nell’approvvigionamento dei carburanti e di alcuni generi alimentari mostrate dai paesi membri, con un conseguente aumento del costo del potere d’acquisto che varia dal 10% al 20%, non lasciano più spazio a dubbi. Oggi, come hanno capito anche i bambini di quinta elementare, il motto imperante è sì vis pacem para bellum; ergo: armarsi sino al collo, utilizzare l’Ucraina nel conflitto e sacrificare il welfare state per allinearsi a Washington e a Londra. Ma intanto, nella zona euro, l’inflazione galoppa verso il 9% su base annua. Un’enormità.

L’eccezionalità del momento, tra l’altro, sembra quasi non toccare più la stampa europea, ivi compresa quella italiana vicina a Palazzo Chigi, che di fatto minimizza la questione sanzioni, “normalizza” l’invio di armi a Kiev e teatralizza lo scontro tra la Russia e la comunità occidentale fedele agli Usa. Così, tra una censura e un’altra, qualche ridicola lista di proscrizione e una serie di campagne di propaganda che affossano qualsiasi tipo di soluzione o proposta alternativa alla prosecuzione del conflitto, la comunicazione mainstream filogovernativa (a pari passo con i suoi social network) continua a parlare di una “possibile vittoria di Zelensky” omettendo la rappresentazione realistica dei fatti avvenuti sul campo. E se sopra l’Italia indebitata (ma, si badi bene, solo sul paese reale) sta piovendo sul bagnato, a Parigi, Madrid e Berlino è probabile che stiano smettendo di ridere.

 

           MARCO GIULIANI

 

 

 

 

FONTI, BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

 

Avvenire del 29 giugno 2022 –

Eurostat (rilievi), dati raccolti il 17 giugno 2022 –

Televideo Rai del 29/06/2022, pp.150-180 –

www.agenparl.eu, pagina del 31 maggio 2022 –

www.agi.it, pagina del 28 giugno 2022 –

www.ilpost.it, pagina del 17 marzo 2022 –

 

1 176 177 178 179 180 377