IL NUCLEARE È RELATIVO SI GIOCA SUI VETTORI_di Cesare Semovigo

Il percorso di Teheran verso la “bomba” un Totem Occidentale

La narrazione sul rischio nucleare iraniano resta un grande classico da conferenza stampa, ma nei fatti si riduce ormai a un totem retorico più che a una minaccia concreta. Perché? Il percorso di Teheran verso la “bomba” è ostacolato da pressioni internazionali, da variabili politiche interne e, soprattutto, dalla consapevolezza condivisa delle conseguenze catastrofiche di un eventuale impiego reale dell’arma nucleare. Il vero incubo strategico, per chi pianifica la difesa israeliana e americana, è invece la crescente incertezza su dove, come, e con quali capacità avanzate l’Iran produca i suoi vettori balistici—missili ipersonici inclusi—contro cui oggi non esiste uno scudo affidabile. La realtà sul campo: tra THAAD e l’illusione della sicurezza Tolgiamo ogni suspense: il celebre sistema americano THAAD, ora schierato anche in Israele, promette sulla carta miracoli grazie a radar potentissimi, lanciatori mobili e intercettori “hit-to-kill”. Peccato che nella pratica, come emerso da test, propaganda industriale e soprattutto dalle recenti evidenze operative, la sua efficacia contro vettori manovranti ipersonici resta più una voce di bilancio per Lockheed Martin che una garanzia per chi si illude di dormire sereno sotto la sua “copertura” in stile Avengers. Quando i missili veri piovono davvero, le criticità esplodono. Nei report RAND e delle commissioni Difesa consultabili online, emerge come il THAAD stia sperimentando da almeno una dozzina d’anni una versione dotata di “on-board laser” per intercetto ICBM, ma siamo lontani da risultati concreti—più un atto di fede che una soluzione verificata e dispiegabile. I vettori iraniani: tra deterrenza e salto tecnologico L’Iran possiede un arsenale di missili avanzati: dal Soumar, con raggio fino a 2.500 km e capacità di volare a basse quote per aggirare le difese, al Ra’ad, leggero e ottimale per attacchi rapidi e a sorpresa. L’approccio di Teheran si è evoluto: non più solo quantità, ma qualità e precisione. Gli ultimi attacchi verso Israele hanno visto l’impiego di missili avanzati e droni Shahed 136, capaci di eludere le difese multistrato (THAAD, Patriot, Arrow 2/3, David’s Sling, Iron Dome) e colpire centri nevralgici come l’aeroporto Ben Gurion e installazioni militari sensibili. Le nuove “Città dei Missili” La rete iraniana di basi missilistiche sotterranee, le cosiddette “Missile Cities”, conta silos profondi e diffusi in più province, da Khorramabad a Kermanshah, con basi costiere attivate di recente. Gli UAV iraniani sono studiati anche per potenziali impieghi CBRN (chimici/biologici), aumentando ulteriormente il livello di minaccia . La disfatta della supremazia tecnologica israeliana Israele non esce “con le ossa rotte” solo da un esame dei danni diretti, ma soprattutto per l’immagine di invulnerabilità tecnologica smascherata. In meno di un mese, Tel Aviv è stata messa in difficoltà proprio da quei vettori un tempo liquidati come “ferraglia orientale” dai media occidentali—dimostrando che la supremazia percepita era anche frutto di una narrazione manipolata e autocelebrativa. La deterrenza Oggi la deterrenza non si fonda più sulla paura dell’atomica, ma sulla consapevolezza che nuove minacce si muovono sotto la soglia della visibilità e delle contromisure tradizionali. L’incertezza industriale, più della minaccia nucleare, sta ridefinendo le priorità strategiche e l’immagine della supremazia tecnologica regionale. Non serve essere un esperto del Mossad per notare le contraddizioni e il “fall out” logico che attraversa il sistema israeliano post-7 ottobre: la stessa struttura capace di operazioni chirurgiche in Libano e Teheran si rivela vulnerabile di fronte a una guerra di attrito e saturazione missilistica, conoscendo bene il nemico, ma non abbastanza le sue nuove armi e tattiche.