La struttura economica e sociale dei territori e il voto populista in Francia_di Guillaume Bazot
La struttura economica e sociale dei territori e il voto populista in Francia
Il populismo non è mai stato così presente in Europa dal 1945. Dato il pericolo che rappresenta, è necessario comprendere meglio i suoi meccanismi. Molte delle spiegazioni avanzate evidenziano l’importanza delle disuguaglianze territoriali. La globalizzazione e la deindustrializzazione avrebbero polarizzato il Paese dal punto di vista economico e poi politico. Di conseguenza, alcune aree sono diventate isolate o addirittura trascurate, da cui il rifiuto dei partiti politici al potere dagli anni Ottanta.
Il primo obiettivo di questo studio è esaminare l’idea stessa di una periferia perdente alla luce delle trasformazioni economiche e sociali degli ultimi quarant’anni. Vedremo che tale aumento delle disuguaglianze territoriali è, contrariamente a tutte le aspettative, opinabile. I dati forniscono un quadro più complesso della realtà, poiché molti comuni periferici mostrano un aumento del tenore di vita medio maggiore rispetto ai grandi agglomerati urbani.
Ciò non significa, tuttavia, che le diverse aree non siano importanti. Infatti, il voto populista sembra concentrarsi maggiormente nei comuni meno privilegiati, al di fuori dei grandi agglomerati urbani. Tuttavia, la nostra analisi mostra anche che la variabile chiave non è tanto il reddito quanto il livello di istruzione. Il populismo è quindi radicato nel rifiuto di una certa globalizzazione istituzionale (Europa) e culturale (immigrazione, laicismo, consumismo) da parte di una popolazione urbana privilegiata e istruita, i cui valori sono visti come una sfida all’identità stessa delle classi lavoratrici che vivono al di fuori delle grandi metropoli.
Guillaume Bazot,
Economista, docente all’Università di Parigi 8, membro del Consiglio scientifico e di valutazione della Fondation pour l’innovation politique.
Introduzione
Note
Christophe Guilluy, Francia periferica: come abbiamo sacrificato le classi lavoratrici, Flammarion, settembre 2014.
David Goodhart, I due clan, Parigi, Les Arènes, novembre 2019.
Yann Algan, Elizabeth Beasley, Daniel Cohen, Martial Foucault, Les origines du populisme, Seuil, agosto 2019; Yann Algan, Elizabeth Beasley, Daniel Cohen, Martial Foucault, Madeleine Péron, “Qui sont les Gilets jaunes et leurs soutiens?”, Observatoire du Bien-être du CEPREMAP et CEVIPOF, n°2019-03, 14 febbraio 2019.
Per maggiori dettagli, si veda: “Base des aires d’attraction des villes 2020”, Insee, 18 marzo 2024.
A partire dai Gilets jaunes, la Francia “periferica” è un tema di analisi ricorrente nelle scienze sociali e politiche. Questa Francia sarebbe caratterizzata dalla lontananza dai grandi centri urbani, dal minore dinamismo economico e dalla scomparsa dei posti di lavoro locali, in particolare quelli industriali1. La deindustrializzazione e l’abbandono politico delle popolazioni interessate sarebbero quindi responsabili dell’aumento delle disuguaglianze territoriali e del declassamento geografico e sociale. Questa sarebbe la causa principale dell’emergere di un voto populista di estrema destra e di estrema sinistra.
Tuttavia, stabilire un tale legame rimane difficile per diverse ragioni. Il primo è di tipo definitorio: come possiamo identificare questa Francia periferica e attribuirle l’emergere del populismo moderno quando il concetto rimane relativamente vago? Il secondo è come evidenziare questa relazione, poiché una semplice affermazione basata su casi tipici non può sostituire un’analisi esaustiva dei dati. Infine, anche se questi due punti venissero trattati in modo accettabile, l’interpretazione dei risultati e la loro proiezione nell’arena politica rimangono delicate. Così, come sostiene il libro di David Goodhart2, il voto populista non è solo di origine materiale, ma ha una dimensione culturale e identitaria che merita di essere analizzata. Distinguere il voto populista a seconda che derivi dal risentimento popolare nei confronti di una “élite” o da difficoltà materiali stricto sensu rimane complicato e richiede ulteriori indagini3.
Questo studio è un modesto tentativo di affrontare queste difficoltà utilizzando dati comunali. Le serie territoriali sono a grana sufficientemente fine da permettere di incrociare i risultati elettorali con le diverse caratteristiche locali. Inoltre, le elezioni sono un potente indicatore delle preferenze dei cittadini e forniscono una base preziosa per analizzare il legame tra populismo e cambiamenti economici e sociali. Questo ci dà l’opportunità di testare varie ipotesi e di comprendere meglio le strutture che regolano le scelte degli elettori in diversi territori.
Questo studio è diviso in tre parti. La prima riguarda i dati grezzi e traccia un quadro delle caratteristiche economiche e sociali dei territori. Come vedremo, questo semplice esercizio permette di sfatare un gran numero di idee preconcette sulle disuguaglianze territoriali e sulla loro evoluzione. La seconda analizza il voto dei comuni in base all’area in cui si trovano. Vedremo in che misura i voti per l’estrema destra e l’estrema sinistra sono determinati territorialmente e socialmente. Il terzo propone di spiegare i voti sulla base delle variabili economiche, geografiche e sociali descritte in precedenza. Il livello di istruzione sarà studiato in particolare per il suo potere esplicativo.
Ma prima di entrare nel vivo dell’analisi, è necessario chiarire il concetto di territorio. Utilizzeremo qui il concetto di bacino d’utenza recentemente proposto dall’INSEE: “Il bacino d’utenza di una città è un insieme di comuni, in un unico insieme e senza enclave, che definisce l’entità dell’influenza di un centro di popolazione e di occupazione sui comuni circostanti, influenza misurata dall’intensità del pendolarismo”. I bacini di utenza possono essere distinti in base alle loro dimensioni e l’INSEE utilizza quattro gruppi a seconda che la popolazione totale dell’area sia inferiore o superiore a 50.000, 200.000 e 700.000 abitanti. In questo modo si ottengono nove tipi di comuni secondo la classificazione: quattro centri urbani, quattro anelli periurbani e aree al di fuori di qualsiasi bacino di utenza4. Va notato che questo concetto è recente e tende a sostituire quelli di conurbazione e area urbana, perché anche se le soglie possono sembrare arbitrarie, il concetto di area offre una maggiore finezza analitica, in particolare l’intensità del legame tra polo e anello.
Mappa dei bacini di utenza della Francia nel 2020
Fonte :
Insee
Da questo punto di vista, la Francia periferica sarebbe costituita da piccoli bacini di utenza (con meno di 200.000 abitanti) e da comuni esterni al bacino di utenza. Nel 2019, la popolazione interessata rappresenterebbe circa il 37% della popolazione totale, con un peso economico di circa il 33% del reddito totale (Tabella 1). Va notato che queste aree periferiche hanno visto la loro quota di popolazione e di reddito ridursi rispettivamente di 2,7pp e di 0,7pp dal 1980, il che è ancora piuttosto modesto. Al contrario, le aree spesso descritte come “globalizzate”, ossia le aree metropolitane con più di 700.000 abitanti e, possibilmente, i centri delle grandi città, rappresentano il 37% della popolazione e il 41% del reddito. In termini di cambiamenti dal 1980, queste aree hanno visto la loro quota di popolazione e di reddito diminuire rispettivamente di 2,7pp e 6pp. A questo proposito, va notato che il calo della quota di reddito non è solo significativo, ma anche sorprendente visto il discorso più in voga. Infine, va notato che le periferie interne delle grandi città e aree metropolitane rappresentano il 26% della popolazione e il 27% del reddito, con un aumento di 5,4pp e 6,8pp negli ultimi quarant’anni. Questo dato conferma l’ascesa di queste nuove aree di vita della classe media, al di fuori dei centri delle grandi città ma sufficientemente vicine per lavorarci.
Tabella 1: peso dei bacini di utenza per popolazione e reddito
Fonte :
Calcoli dell’autore basati sui dati INSEE per la Francia metropolitana.
Nota: statistiche ottenute aggregando i dati comunali.
Interpretazione: Nel 2019, i centri dei bacini di utenza con più di 700.000 abitanti (metropoli) rappresentano il 26,8% della popolazione e il 30,8% del reddito totale. Nel 1980, queste cifre erano rispettivamente il 27,7% e il 34,4%.
Interpretazione: Il peso dei grandi centri urbani, sia in termini di popolazione che di reddito, tende a diminuire dal 1980 a favore delle aree periferiche, in particolare le periferie dei bacini di utenza con più di 200.000 abitanti.
Note
Guillaume Bazot, L’épouvantail néolibéral, un mal très français, PUF, gennaio 2022.
Vincent Grimault, La Renaissance des campagnes : Enquête dans une France qui se réinvente, Seuil, giugno 2020; Laurent Davezies, L’État a toujours soutenu ses territoires, Seuil, marzo 2021.
David Goodhart, op.cit.
Anne Case, Angus Deaton, La morte della disperazione e il futuro del capitalismo, Princeton University Press, marzo 2020.
Yann Algan, Elizabeth Beasley, Daniel Cohen, Martial Foucault, op.cit; Yann Algan, Elizabeth Beasley, Daniel Cohen, Martial Foucault, Madeleine Péron, op.cit.
Landier Augustin, David Thesmar, Il prezzo dei nostri valori, Flammarion, gennaio 2022.
Sulla base di queste categorie, i nostri risultati principali sono i seguenti. In primo luogo, l’idea che le aree remote siano in declino economico è estremamente fragile. L’analisi dei dati mostra, al contrario, che i comuni al di fuori dei grandi centri urbani sono quelli il cui reddito pro capite è aumentato maggiormente negli ultimi quarant’anni. Quindi, nella misura in cui queste aree appaiono meno eterogenee anche dal punto di vista socio-professionale, questo tende a dimostrare che le “élite” economiche delle grandi città globalizzate non hanno beneficiato maggiormente delle più recenti trasformazioni economiche e sociali. Inoltre, questo risultato coincide con la stagnazione delle disuguaglianze di reddito osservata a partire dagli anni ’905. Tuttavia, sebbene in costante diminuzione, va sottolineato che le disuguaglianze territoriali continuano ad esistere, con le aree remote che rimangono meno privilegiate. Inoltre, l’analisi delle variazioni demografiche mostra che alcune aree remote hanno una popolazione che invecchia e che è sempre meno attiva6.
In secondo luogo, sulla base della costruzione di un indicatore che distingue i comuni in base alla natura più o meno privilegiata della popolazione (reddito, livello di istruzione, categorie socio-professionali, ricchezza), si osserva una convergenza dei comuni tra loro ma anche tra tipologie di territorio. In altre parole, i comuni sono sempre meno dissimili quando si tratta di questo insieme di criteri, anche nelle aree remote. Tuttavia, le differenze esistono ancora e sono a svantaggio delle aree rurali.
In terzo luogo, osservando i voti per le elezioni presidenziali del 2022 e per le elezioni legislative del 2024, vediamo che i voti per i partiti populisti di destra e di sinistra sono espressi nelle aree rurali per i primi e nelle grandi aree metropolitane per i secondi. È anche importante sottolineare che le popolazioni che vivono nei comuni meno privilegiati hanno votato di più per la destra populista e per il centro che per la sinistra radicale. In altre parole, Le Pen e Macron hanno ottenuto più voti dalle popolazioni appartenenti al 20% e al 40% inferiore della distribuzione del livello di privilegio comunale rispetto a Mélenchon. Quindi, oltre al fatto che Mélenchon ha ottenuto un punteggio inferiore a livello nazionale, questo risultato può essere spiegato anche dalla maggiore percentuale di voti ottenuti da quest’ultimo dal 40% superiore rispetto al 40% inferiore della distribuzione. L’ultimo punto singolare che questi confronti ci forniscono è che il candidato che ha ottenuto la quota maggiore di voti nei comuni privilegiati è Yannick Jadot. Ciò è tanto più interessante se si considera che il suo partito difende fermamente la decrescita come principio costitutivo nella lotta contro il riscaldamento globale e per la giustizia sociale. È come se solo i più privilegiati potessero davvero pensare di veder diminuire i redditi. A causa dell’importanza delle alleanze, i risultati delle elezioni legislative cancellano molti di questi fenomeni. Tuttavia, la destra populista è ancora molto avanti tra i meno privilegiati nel 2024.
In quarto luogo, il confronto con le elezioni presidenziali del 1981 ci fornisce alcune preziose indicazioni sull’evoluzione dei voti in base ai territori e alle categorie economiche e sociali. Da un lato, il voto a Marchais sembra essere il miglior predittore dei voti al primo turno del 2022, in particolare per Le Pen, rispetto al quale è correlato positivamente, soprattutto nelle città di medie dimensioni, e il voto a Macron, rispetto al quale è correlato negativamente. D’altra parte, il debole legame con il voto a Mélenchon suggerisce che il candidato di LFI non attrae la popolazione dei comuni che hanno votato per l’estrema sinistra nel 1981, al di fuori delle grandi metropoli. Tuttavia, la ragione di questa mancanza di sostegno non sembra essere legata a questioni economiche, dal momento che Roussel ha ottenuto i suoi migliori risultati in aree in cui Marchais era il più popolare. Le questioni culturali (come il ruolo dell’ecologia, le abitudini di consumo, l’immigrazione e la laicità) sono state senza dubbio responsabili di questo risultato. Infine, un’analisi dei voti al secondo turno di queste due elezioni mostra che i comuni che avevano votato per Mitterrand nel 1981 hanno votato in media più per Le Pen che per Macron nel 2022. C’è stato quindi effettivamente uno spostamento di una parte dei voti dai comuni di sinistra verso la destra populista e nazionalista, indipendentemente dal territorio considerato.
In quinto luogo, l’analisi dei dati mostra che le variabili economiche, sociali, demografiche e geografiche non hanno tutte lo stesso potere esplicativo dei voti. La variabile più convincente in questo senso rimane il dipartimento del comune, indipendentemente dal fatto che vengano prese in considerazione tutte le altre variabili. Questo dimostra quanto sia importante la dimensione culturale locale per le preferenze degli elettori. Se ci concentriamo sulle variabili economiche e sociali, il livello di istruzione è la variabile con il maggior potere esplicativo, molto più del reddito. Di conseguenza, le condizioni economiche spiegano solo una parte limitata dello spostamento dei voti verso il RN, altrimenti come possiamo spiegare l’effetto primordiale del livello di qualificazione rispetto al tenore di vita? Se aggiungiamo il fatto che il potere esplicativo del tipo di territorio sul punteggio dei candidati è direttamente legato al tasso di laureati, possiamo capire meglio cosa distingue il voto nelle metropoli e nelle periferie. Non è quindi tanto la disuguaglianza quanto il risentimento che sembra giocare i ruoli principali nella struttura del voto, dando così credito alle ipotesi di Goodhart7, Deaton8 e Algan et al.9 una certa eco: il rifiuto di una certa globalizzazione economica (il libero scambio), istituzionale (l’Europa) e culturale (l’immigrazione, la laicità, il tempo libero, il consumo) da parte di una popolazione laureata, universalista e privilegiata (gli ovunque o i fiduciosi) e mettendo in discussione l’identità stessa delle classi lavoratrici che vivono fuori dalle grandi metropoli (gli qualche posto o i diffidenti)..
La comprensione delle fonti di questo rifiuto non è oggetto di questo studio. Tuttavia, la ricerca mostra che le persone non sono sempre inclini a pensare in termini di efficienza economica. Gli individui sono persino disposti a pagare un prezzo elevato per preservare alcuni valori etici o identità che possono essere in contrasto con questa efficienza10. Di conseguenza, il rifiuto dei valori dell’apertura o del libero mercato deriva dall’alto prezzo che le persone attribuiscono alla loro identità, al loro status e alla loro sicurezza economica, elementi che sono imperfettamente compensati dalla percezione dei vantaggi economici offerti dalla globalizzazione e dalla concorrenza del mercato. Il populismo si è inserito in questa falla, esacerbando le percezioni di identità e disuguaglianza per promuovere alcuni valori manichei e anti-sistema.
La situazione economica e sociale delle regioni
In questa sede vorremmo soffermarci su alcuni aspetti spesso discussi ma poco analizzati. Il primo riguarda la crescita economica nelle varie regioni. Il secondo riguarda il livello di sviluppo e la sua distribuzione tra i bacini di utenza. Il terzo è legato all’eterogeneità della popolazione in termini di qualifiche o background socio-professionale nei comuni e alla sua evoluzione nel tempo a seconda della zona. Infine, proponiamo di combinare tutte queste informazioni costruendo un unico indicatore che tenga conto della natura più o meno privilegiata dei vari comuni francesi.
Crescita e sviluppo nei territori
Un concetto chiave, spesso citato (ma poco dimostrato) per spiegare le richieste locali o i modelli di voto, è quello dei “territori dimenticati”. In primo luogo, dopo il 1990 e la globalizzazione economica si è assistito a un aumento del divario tra i comuni; in secondo luogo, le aree “periferiche” sono state particolarmente colpite; in terzo luogo, le grandi metropoli globalizzate sono i grandi vincitori di questo nuovo ordine economico “neoliberista”. Queste ipotesi possono essere testate utilizzando dati locali. Basta osservare la crescita dal 1980 e confrontarla con il livello iniziale di sviluppo economico e con la geografia.
Per evitare di trarre risultati da piccoli comuni che contribuiscono solo in minima parte alla popolazione francese, concentreremo la nostra analisi sui comuni con più di 1.000 abitanti, ovvero il 27% dei comuni che rappresentano l’87% della popolazione totale11.
I dati sul reddito ci mostrano innanzitutto che il tasso di crescita del reddito medio dei comuni tra il 1980 e il 2019 è correlato negativamente al livello di sviluppo iniziale (Figura 1). C’è quindi un recupero dei comuni poveri rispetto a quelli ricchi nel periodo. La stima mostra che un comune impiega trentotto anni per dimezzare il proprio ritardo, il che è relativamente veloce. Quindi, piuttosto che un aumento delle disuguaglianze di sviluppo tra i comuni, è al contrario una diminuzione di questi divari che abbiamo osservato negli ultimi quarant’anni, nonostante la globalizzazione. Si noti che ciò che è vero a livello comunale è altrettanto vero a livello di dipartimento12.
Se osserviamo la crescita in base al bacino d’utenza, vediamo che i territori con i tassi di crescita più elevati sono proprio quelli che coincidono meglio con l’idea di periferia. Infatti, i tassi di crescita per le aree esterne ai bacini d’utenza e per i nuclei dei bacini con meno di 50.000 abitanti sono rispettivamente dell’80% e del 72%. Allo stesso tempo, il tasso di crescita delle aree metropolitane più grandi è del 31%. Inoltre, e in generale, le periferie sembrano aver beneficiato maggiormente della crescita degli ultimi quarant’anni rispetto ai centri urbani, grandi o piccoli che siano. Questi risultati tendono quindi a mettere in discussione l’idea di una periferia dimenticata, perdente della globalizzazione.
Figura 1: Convergenza del reddito per adulto tra i comuni
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé13.
Nota: reddito medio per adulto, comuni con più di 1.000 abitanti. L’equazione sottostante è la seguente: Crescita1980→2019= 4,88 – 0,46 × ln (reddito per adulto)1980; R2 = 0,14.
Lettura: quando il livello di sviluppo comunale nel 1980 aumenta del 10%, il tasso di crescita del reddito per adulto tra il 1980 e il 2019 è in media inferiore di 4,6pp.
Interpretazione: le disuguaglianze di reddito tra i comuni sono diminuite dal 1980; più un comune è povero, più alto è il suo tasso medio di crescita del reddito rispetto agli altri comuni.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, Une histoire du conflit politique, Seuil, settembre 2023.
Potremmo chiederci se questa crescita più forte nelle aree periferiche non sia troppo eterogenea. Ci sarebbero vincitori e vinti in periferia, e lo stesso varrebbe per i comuni appartenenti ai centri dei grandi bacini di utenza. Tuttavia, anche se la varianza all’interno dei bacini di utenza è piuttosto elevata, possiamo notare che i comuni rurali che si trovano nella soglia del 25%, in fondo alla distribuzione, mostrano un tasso di crescita più elevato rispetto al comune mediano nei poli delle città grandi o medie. In altre parole, anche se i tassi di crescita sono eterogenei, il recupero economico della periferia rimane pieno e completo.
Infine, la crescita del reddito pro capite non tiene conto della potenziale desertificazione di alcune aree. La sensazione di declino non sarebbe quindi necessariamente legata al tenore di vita della popolazione, ma al declino economico del comune stesso. In realtà, l’analisi dei dati demografici non conferma questo punto di vista, perché sebbene la popolazione cresca soprattutto nelle periferie delle grandi aree metropolitane, si può notare che la popolazione delle aree più periferiche cresce positivamente dal 1980, soprattutto fuori dai centri. Al contrario, i villaggi, le città e le cittadine di provincia mostrano tassi di crescita della popolazione positivi (quindi non c’è “desertificazione”) ma relativamente più bassi. Infatti, la crescita della popolazione nei bacini d’utenza è principalmente il risultato delle aree circostanti e non dei centri.
Figura 2: Tasso di crescita del reddito medio per adulto nei comuni per bacino di utenza.
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé14.
Nota: Crescita del reddito medio per adulto, comuni con più di 1.000 abitanti. Le aree rurali corrispondono ai comuni al di fuori del bacino di utenza. I comuni sono aree con meno di 50.000 abitanti, le città sono aree (polo e anello) con un numero di abitanti compreso tra 50.000 e 200.000, le grandi città sono aree con un numero di abitanti compreso tra 200.000 e 700.000 e le metropoli sono aree con più di 700.000 abitanti.
Interpretazione: il tasso di crescita mediano del reddito pro capite per le città situate nei centri dei bacini di utenza con meno di 50.000 abitanti è stato del 32% tra il 1980 e il 2019. Inoltre, il 25% dei comuni delle città mercato ha avuto un tasso di crescita superiore al 51%, mentre il 25% ha avuto un tasso di crescita inferiore al 16%.
Interpretazione: dal 1980, la crescita nei centri urbani è stata inferiore a quella delle periferie, e ciò non è dovuto a una forte eterogeneità dei tassi di crescita all’interno di ciascun tipo di area. In altre parole, anche se non tutte le regioni sono nella stessa barca, la periferia non sta mediamente perdendo dalle trasformazioni del sistema economico e sociale degli ultimi quarant’anni, in particolare dalla globalizzazione.
Figura 3: Tassi di crescita della popolazione per bacino d’utenza a partire dal 1980
Fonte :
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE.
Nota: Le città sono aree (centro + anello) con meno di 50.000 abitanti, le città sono aree con 50.000-200.000 abitanti, le grandi città sono aree con 200.000-700.000 abitanti, le metropoli sono aree con più di 700.000 abitanti.
Interpretazione: Il tasso medio di crescita della popolazione nelle periferie dei bacini di utenza con più di 700.000 abitanti (aree metropolitane) è stato del 66,5% dal 1980.
Interpretazione: la popolazione si è spostata nei sobborghi esterni dei bacini di utenza, lontano dai grandi centri urbani. Inoltre, la popolazione delle aree più remote è in crescita dal 1980, per cui non c’è una vera e propria desertificazione delle aree rurali.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
Analizziamo ora lo sviluppo economico per regione. Anche se la crescita sembra essere stata più forte nei comuni più poveri, il fenomeno del recupero non dice nulla sulle differenze tra i comuni. Di conseguenza, le differenze possono rimanere significative. Questo è mostrato nella Figura 4. Tra i comuni con più di 1.000 abitanti vediamo che le aree rurali e le città mercato hanno redditi per adulto inferiori di quasi il 30%. Infatti, il reddito dei centri e dei sobborghi aumenta all’aumentare della dimensione dell’area. Va inoltre notato che l’eterogeneità dei redditi tra le aree non spiega queste differenze, poiché, ad esempio, il reddito per adulto nel secondo quartile delle aree metropolitane è superiore al reddito mediano per adulto nei comuni rurali.
Figura 4: Reddito per adulto nel 2019 per territorio
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé15.
Nota: reddito medio per adulto, comuni con più di 1.000 abitanti. Le aree rurali corrispondono ai comuni al di fuori del bacino di utenza. I comuni sono aree con meno di 50.000 abitanti, le città sono aree (polo e anello) con 50.000-200.000 abitanti, le grandi città sono aree con 200.000-700.000 abitanti e le metropoli sono aree con più di 700.000 abitanti.
Interpretazione: il comune mediano nei centri dei bacini d’utenza con meno di 50.000 abitanti (città mercato) aveva un reddito medio per adulto di 19.840 euro nel 2019. Inoltre, il 25% dei comuni dei centri ha un reddito medio per adulto inferiore a 19.992 euro, mentre il 25% ha un reddito medio per adulto superiore a 22.577 euro.
Interpretazione: anche se i divari tra le aree si sono ridotti negli ultimi quarant’anni, più le comunità sono ricche, più appartengono a un ampio bacino di utenza, sia all’interno di un cluster che in periferia.
Eterogeneità sociale
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
Per misurare l’eterogeneità sociale, possiamo basarci sulle categorie socio-professionali (CSP) e sul livello di qualificazione. A livello comunale esistono cinque tipi di categorie socio-professionali: dirigenti e professionisti, professioni intermedie, impiegati, operai e, infine, una categoria che raggruppa agricoltori, dirigenti d’azienda e artigiani. Per fare una distinzione più chiara tra le categorie benestanti, a medio reddito e operaie, abbiamo scelto di raggruppare operai e impiegati sotto la stessa voce.
Cosa possiamo dire delle differenze socio-professionali per area? Sulla base della percentuale di operai e impiegati nei comuni con più di 1.000 abitanti, la figura 5 ci mostra che più l’area è urbanizzata, più bassa è la percentuale di persone appartenenti alle categorie socio-professionali inferiori e più è diminuita nel periodo 1990-2019. Ad esempio, nel 2019, i comuni dei centri e dei sobborghi delle grandi aree metropolitane presentano un tasso medio del 42% di operai e impiegati (in calo di 9pp dal 1990), mentre i comuni delle aree rurali hanno un tasso stabile da trent’anni, vicino al 58%. In altre parole, il contrasto socio-professionale tra le diverse tipologie di aree sembra aumentare.
Figura 5: Quota di operai e impiegati per regione
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé16.
Nota: Questo grafico misura la quota di operai e impiegati sul totale della popolazione attiva dei comuni con più di 1.000 abitanti per tipo di territorio nel 1990 e nel 2019. La scala a destra misura il calo di questa quota in questo periodo.
Interpretazione: La quota media di operai e impiegati nei comuni appartenenti alla circonvallazione “città” è scesa dal 59,9% nel 1990 al 53,1% nel 2019, con un calo di 6,8pp.
Interpretazione: la quota di occupazioni meno qualificate è diminuita in tutte le aree dal 1990, ma maggiore è il bacino di utenza, maggiore è il calo. Il contrasto socio-professionale tra i diversi tipi di area sta diventando sempre più marcato.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
E il livello di qualifica? La Figura 6 mostra risultati simili, basati sulla percentuale di laureati per comune. Si può notare che questa percentuale è aumentata di oltre 25 punti percentuali dal 1990 nelle aree metropolitane, raggiungendo oltre il 35% della popolazione. Di conseguenza, sebbene la percentuale di laureati sia in aumento nelle aree rurali e nelle città mercato (15 punti percentuali), le disparità tra i diversi tipi di area si stanno ampliando.
È quindi interessante mettere questi risultati in prospettiva con i dati sul reddito visti in precedenza. Anche se le tipologie di area appaiono sempre più diverse dal punto di vista sociale (pur avendo tutte al loro interno più laureati e manager rispetto al passato), allo stesso tempo, stiamo assistendo a una maggiore crescita del reddito dove la quota di operai e impiegati regge meglio e dove la quota di laureati cresce meno.
Figura 6: Quota di diplomati dell’istruzione superiore per area geografica
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé17.
Nota: Questo grafico misura la quota di laureati sul totale della popolazione dei comuni con più di 1.000 abitanti per tipo di territorio nel 1990 e nel 2022. La croce nera indica l’aumento di questa percentuale in questo periodo.
Interpretazione: La percentuale media di laureati nei comuni appartenenti al cluster “città” è passata dal 9,3% nel 1990 al 26,7% nel 2022, con un aumento di 17,4 punti percentuali.
Interpretazione: la percentuale di laureati è aumentata in tutte le aree dal 1990, ma l’incremento è maggiore quanto più grande è il bacino di utenza. Il contrasto tra i tipi di area in base al livello di qualifica sembra aumentare.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
Infine, possiamo interrogarci sull’evoluzione dell’eterogeneità sociale nei comuni in relazione alla loro eterogeneità iniziale. A tal fine, possiamo osservare l’inverso dell’indice di Herfindahl-Hirschmann (HHI), che è di fatto un indicatore di concentrazione. Più alto è l’HHI, minore è l’eterogeneità sociale. Si noti che, poiché qui ci sono solo 4 categorie, l’HHI è compreso tra 0,25 (eterogeneità perfetta) e 1 (eterogeneità nulla).
La Figura 7 mostra che negli ultimi trent’anni si è verificata una convergenza verso livelli più bassi di concentrazione socio-professionale del comune. Più alta è la concentrazione socio-professionale di un comune nel 1990, più bassa sarà la concentrazione nel periodo 1990-2019. Quindi, contrariamente a quanto si crede, non solo i comuni sono sempre meno omogenei dal punto di vista socioprofessionale, ma questa maggiore eterogeneità tende anche a diventare sempre più la norma. Le categorie socioprofessionali si stanno sempre più incrociando e le differenze tra i comuni da questo punto di vista si dimostrano sempre più ridotte, nonostante le differenze territoriali che abbiamo appena documentato. A questo proposito, le due figure precedenti suggeriscono che la varianza dell’eterogeneità all’interno delle categorie territoriali è diminuita.
Figura 7: Convergenza sociale tra i comuni
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé18.
Nota: la concentrazione socio-professionale è misurata dall’indice di Herfindhal-Hirschmann (HHI), basato sulle categorie socio-professionali di operai e impiegati, occupazioni intermedie, quadri e una categoria che comprende agricoltori, imprenditori e artigiani. L’equazione di base è la seguente: ∆concentrazione1980→2019 = 0,10 – 0,33 × concentrazione1980; R2 = 0,16.
Lettura: Quando la concentrazione socio-professionale di un comune nel 1990 aumenta di 10pp, la variazione della concentrazione socio-professionale tra il 1990 e il 2019 è in media di -3,3pp.
Interpretazione: i comuni tendono a essere sempre meno dissimili in termini di eterogeneità socio-professionale. In altre parole, i comuni più omogenei dal punto di vista socioprofessionale hanno visto aumentare il loro livello di diversità socioprofessionale in media più rapidamente dal 1990.
Questi risultati sono importanti per diversi motivi. In primo luogo, mettono in discussione l’idea di una tendenza al ritiro sociale. Sebbene alcune aree possano essere inclini a questo fenomeno, non si tratta né di una generalità né di una tendenza fondamentale, anzi. Inoltre, se osserviamo l’aumento dell’eterogeneità dei comuni all’interno dei dipartimenti, vediamo che nessun dipartimento ha registrato un calo del livello medio di eterogeneità dei suoi comuni dal 1970. In secondo luogo, il calo particolarmente significativo del livello di concentrazione nei bacini di utenza delle grandi aree metropolitane suggerisce che la mancanza di diversità sociale è più un problema nelle aree rurali. Si potrebbe pensare, ad esempio, che il dipartimento di Seine-Saint-Denis sia soggetto a un aumento della concentrazione socio-professionale. In realtà, questo è uno dei dipartimenti con uno dei più alti aumenti di eterogeneità sociale, e questo non è dovuto solo ai comuni confinanti con la città di Parigi19. Infine, nonostante la relativa stagnazione della diversità sociale nelle campagne e nei piccoli bacini d’utenza, la concomitante convergenza dei redditi ci mostra che non è l’afflusso di manager nelle aree periferiche la causa del maggiore arricchimento di questi territori negli ultimi quarant’anni. I grandi trasferimenti monetari verso le aree periferiche sono in parte responsabili di questo risultato.
Evoluzione secondo l’indice di “privilegio” comunale
Un modo per riassumere questi risultati è creare un indicatore che tenga conto delle molteplici dimensioni della natura più o meno privilegiata dei comuni. In questo caso, considereremo privilegiato qualsiasi comune la cui popolazione abbia, in media: un titolo di studio superiore, un’occupazione manageriale, un reddito più elevato, un basso tasso di disoccupazione e un alto livello di ricchezza. Per evitare di assegnare un peso arbitrario a ciascuna variabile, e poiché queste variabili sono correlate tra loro (un dirigente laureato ha generalmente un reddito più elevato), proponiamo di generare questa variabile utilizzando un’analisi delle componenti principali. Questo metodo consente di “riassumere” tutte le informazioni contenute in tutte le variabili riducendole a una o più “componenti”. Nel nostro caso, raccoglieremo solo i dati relativi alla prima componente, poiché questa riassume la maggior parte delle informazioni contenute nei dati. Pertanto, i valori ottenuti per un determinato anno da questa componente ci danno un’indicazione della natura più o meno privilegiata di ogni comune a quella data.
Figura 8: Livello medio di privilegio comunale per zona
Fonte :
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Julia Cagé, Thomas Piketty20.
Nota: Il livello di privilegio in ogni comune è ottenuto da un’analisi delle componenti principali che include le seguenti variabili: reddito medio per adulto, ricchezza immobiliare per adulto, quota di ogni categoria socio-professionale, quota di ogni categoria di laurea, tasso di disoccupazione.
Interpretazione: Il punteggio medio di privilegio nelle periferie dei bacini di utenza con più di 700.000 abitanti (metropoli) era di 1,55 nel 1980 e di 1,52 nel 2019.
Interpretazione: i comuni situati in grandi bacini di utenza sono più privilegiati in base a una serie di criteri, tra cui il reddito, le qualifiche, il PSC e il tasso di disoccupazione, sia nel 1980 che nel 2019. Tuttavia, questo vantaggio tende a diminuire nel tempo, suggerendo una riduzione del divario di privilegi tra le aree.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
Il vantaggio di utilizzare questo tipo di indicatore piuttosto che il solo reddito comunale è che il reddito medio non è un indicatore sufficiente. Innanzitutto, il reddito comunale può essere molto disperso e non tiene conto della diversità delle popolazioni all’interno dei comuni, soprattutto di quelli più grandi. In secondo luogo, lo status sociale e le qualifiche sono particolarmente influenti nel plasmare la percezione che le persone hanno dei loro concittadini. Infine, dal punto di vista della comprensione dei voti, il reddito non può essere l’unico criterio gerarchico. Infatti, il titolo di studio e lo status sociale spesso riflettono meglio del reddito il capitale sociale e culturale. Per questo motivo, questo indicatore vuole essere una migliore approssimazione della strutturazione sociale. Questo punto sarà approfondito in particolare nella terza parte di questo studio.
Per rendere i valori confrontabili, teniamo presente che il livello medio di privilegio dei comuni è pari a zero. La figura 8 ci mostra che le aree rurali sono meno privilegiate di qualsiasi altro territorio, e questo è vero sia che si guardi al 1980 che al 2019. Al contrario, i comuni dei nuclei e degli hub metropolitani sembrano essere mediamente più privilegiati rispetto ai comuni di tutti gli altri bacini di utenza. Possiamo notare, tuttavia, che i divari tra i diversi tipi di area si stanno riducendo, il che implica una minore concentrazione di popolazioni “privilegiate” nei principali bacini di utenza. Inoltre, le città mercato sembrano essere le aree che hanno beneficiato meno del periodo 1980-2019. Mentre nel 1980 il loro punteggio era superiore alla media dei comuni, nel 2019 era inferiore.
Figura 9: Convergenza dei livelli di privilegio
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé21.
Nota: L’equazione che regola la relazione tra la variazione del livello di privilegio e il suo livello del 1980 è ∆privilegio1980→2019 = 0,61 – 0,26 × privilegio1980; R2 = 0,19
Interpretazione: un aumento di 10 punti del livello di privilegio porta a una diminuzione di 2,6 punti dello stesso livello tra il 1980 e il 2019.
Interpretazione: più un comune era privilegiato nel 1980, meno il suo punteggio in quest’area è aumentato in media negli ultimi quarant’anni. Vi è quindi una convergenza tra i comuni su questo criterio composito, che comprende reddito, qualifiche, CSP e tasso di disoccupazione.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
Per completare questi risultati territoriali possiamo anche osservare la variazione del punteggio del privilegio comunale e confrontarlo con il livello di privilegio del 1980. Esiste un legame negativo significativo tra queste due variabili, che suggerisce, come nel caso del reddito, una convergenza dei livelli di privilegio comunali. In altre parole, i comuni meno privilegiati in termini di istruzione, reddito, ricchezza o status socio-professionale tendono a raggiungere i comuni più privilegiati nel corso del periodo. Questi risultati sono importanti perché ci mostrano che i vincitori e i vinti della globalizzazione nei territori non sono necessariamente quelli che pensiamo. Non solo i divari si stanno riducendo, ma questa tendenza sembra andare a vantaggio dei territori remoti e a scapito delle città. In ogni caso, i dati recenti suggeriscono una riduzione delle disuguaglianze comunali e territoriali.
Chi vota per chi nei territori?
Dopo aver fatto il punto sulle caratteristiche economiche e sociali degli enti locali in termini di bacini di utenza, possiamo rivolgere la nostra attenzione alla questione del voto locale. Questa sezione vuole essere principalmente descrittiva, cercando di stabilire i modelli di voto piuttosto che spiegarli (un punto su cui ci soffermeremo nella terza sezione). Poiché stiamo analizzando il presente, ci concentreremo principalmente sulle elezioni presidenziali del 2022. Tuttavia, prenderemo in considerazione anche le elezioni del 1980 per fare un confronto e capire il voto attuale.
Proponiamo qui di integrare la metodologia di Cagé e Piketty estendendo l’analisi ai bacini di utenza e facendo attenzione a considerare variabili diverse dal solo reddito. Piuttosto che classificare i comuni a seconda che siano “classe media” o “classe operaia”, preferiamo classificarli a seconda che siano più o meno “privilegiati”. Sarebbe stato senza dubbio preferibile avere a disposizione dati su base individuale, ma in assenza di un campione sufficientemente ampio e perfettamente rappresentativo della struttura economica e sociale per consentire una classificazione per decile, i dati comunali rappresentano un’alternativa interessante. È semplicemente importante non saltare alle conclusioni e tenere presente la possibilità di una serie di trappole. La più importante di queste è la distorsione da aggregazione. Questo consiste nel non tenere sufficientemente conto dell’eterogeneità delle popolazioni all’interno di ciascun comune. Ad esempio, il fatto che un comune ricco abbia votato di più per il candidato X non significa che i ricchi abbiano votato per quel candidato. Infatti, un comune ricco può avere anche un gran numero di non ricchi che hanno votato massicciamente per quel candidato. L’aggregation bias compare allora se i non ricchi in questione hanno votato più fortemente per X nei comuni ricchi che negli altri comuni. In altre parole, maggiore è l’eterogeneità comunale, maggiore è il rischio di un’interpretazione errata. Tuttavia, nella misura in cui si ragiona al livello sufficientemente fine del comune, questo rischio rimane relativamente limitato. Inoltre, questo presuppone che le preferenze di voto di individui appartenenti alle stesse categorie (di reddito, socio-professionali o di istruzione) varino molto a seconda del comune in cui vivono.
Panoramica basata sui dati individuali
I dati individuali ricavati dai sondaggi post-elettorali ci permettono innanzitutto di avere un’idea chiara di alcuni fatti relativi ai modelli di voto delle diverse categorie. In primo luogo, i dati mostrano chiaramente che gli impiegati (31%) e soprattutto gli operai (42%) hanno votato maggiormente per Le Pen. Al contrario, il candidato della RN ha ottenuto risultati inferiori in tutte le altre categorie. Macron, da parte sua, attrae la maggior parte dei voti dei dirigenti (34%). Infine, Mélenchon ha ottenuto il punteggio più basso tra i colletti blu (20%). D’altra parte, si è avvicinato al suo punteggio nazionale in tutte le altre categorie, compresi i dirigenti. In termini di reddito, le famiglie che guadagnano meno di 1.000 euro hanno votato tanto per Le Pen (32%) quanto per Mélenchon (33%). Al contrario, le famiglie con un reddito superiore a 3.500 euro hanno votato principalmente per Macron (39%). Infine, va notato che i giovani (18-34 anni) hanno votato soprattutto per Mélenchon (33%) e Le Pen (32%) e relativamente poco per Macron (17%). Al contrario, gli anziani hanno votato maggiormente per Macron (39%) e relativamente poco per Mélenchon (16%) o Le Pen (13%).
I risultati del 1° turno delle elezioni legislative sono stati simili, anche se le alleanze possono offuscare alcune osservazioni22. Ad esempio, il voto di RN e alleati (34% a livello nazionale) si concentra in larga misura tra i meno abbienti (54% dei voti espressi) e le classi lavoratrici (38% dei voti espressi). Allo stesso modo, gli operai (57%) e gli impiegati (44%) avevano maggiori probabilità di votare per la RN e per candidati simili. Tuttavia, il RN è risultato in testa per tutte le categorie di reddito studiate, comprese le famiglie che guadagnano più di 3.000 euro netti al mese23. Al contrario, il livello di qualificazione rimane una variabile chiave, con solo il 22% di coloro che hanno 3 o più anni di istruzione post-secondaria che votano per la RN, rispetto al 49% di coloro che hanno meno di un diploma di maturità. In altre parole, lo status e l’estrazione sociale sembrano essere più determinanti del reddito per spiegare il voto dei populisti di destra.
Osserviamo ora il voto per il Nouveau Front Populaire (28,1% a livello nazionale). Questo può essere visto come la controparte del voto per il RN. La sinistra è più popolare tra le persone più istruite (37%), i dirigenti (34%) e le professioni intermedie (35%), in particolare nella funzione pubblica. Inoltre, il PNF appare particolarmente attraente tra i giovani (48% tra i giovani sotto i 25 anni e 38% tra i 25-34enni), anche se la RN non è molto lontana da questo punto di vista (rispettivamente 33% e 32%). In realtà, a parte quest’ultimo punto, molte delle caratteristiche sociologiche specifiche del voto a Macron si ritrovano nel voto al PNF alle elezioni legislative, senza dubbio grazie al ritorno di alcuni elettori di centro-sinistra (come dimostra il voto a favore di Raphaël Glucksman alle elezioni europee).
Infine, il voto di Ensemble (20,3% a livello nazionale) completa il quadro. Possiamo notare che il partito del Presidente della Repubblica è sostenuto soprattutto dai pensionati (29%), anche se questi ultimi hanno votato maggiormente per la RN (31%) e per i dirigenti (26%) dopo il PNF.
Queste informazioni ci mostrano che tra i tre candidati principali, il centro attrae una popolazione piuttosto anziana e privilegiata; la sinistra sembra essere particolarmente attraente per i giovani, soprattutto studenti, e per i più istruiti; infine, il RN attrae i meno privilegiati, soprattutto operai e impiegati e i meno istruiti. Potremmo quindi esagerare dicendo che il voto al RN è soprattutto un voto di status e non un voto legato al reddito. Svilupperemo questo punto più avanti.
Questi dati individuali sono essenziali e non possono essere contraddetti dai dati locali. Tuttavia, come già accennato, le informazioni per comune possono permetterci di completare questo inventario, tenendo conto, in particolare, della dimensione geografica, ma anche classificando le popolazioni dei comuni per percentili secondo vari criteri.
Risultati dei dati comunali
a. Voti per bacino d’utenza
Iniziamo a vedere come hanno votato i vari candidati in base all’area di attrazione. Per evitare una moltiplicazione dei grafici, ci concentreremo qui sulle tre figure principali delle elezioni, ovvero Macron, Le Pen e Mélenchon.
I dati mostrano diversi fatti importanti (Figure 10.1 e 10.2). In primo luogo, Le Pen alle elezioni presidenziali e il RN alle elezioni legislative hanno ottenuto buoni risultati nelle aree rurali, ma meno nelle aree metropolitane. Mélenchon e il PNF, invece, hanno ottenuto i migliori risultati nei centri delle grandi città e nelle aree metropolitane, ma hanno ottenuto scarsi risultati nelle aree rurali e nelle periferie. In altre parole, a differenza del RN, la sinistra è stata più popolare nelle aree cosiddette “globalizzate”, ma ampiamente respinta nelle aree cosiddette “periferiche”. Infine, il voto di Macron e Ensemble sembra essere abbastanza stabile tra i vari bacini di utenza. Il partito presidenziale appare quindi meno divisivo dal punto di vista geografico di quanto spesso affermato. Infine, va notato che Macron è arrivato primo in cinque dei nove tipi di territorio e rimane molto vicino a Mélenchon nella Francia metropolitana. Questo risultato si è invertito nelle elezioni legislative, con il RN in testa ovunque tranne che nelle aree metropolitane, dove è arrivato terzo.
Figura 10.1: Quota di voti alle elezioni presidenziali del 2022 per bacino di utenza
Fonte :
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE.
Nota: Quota media dei voti ottenuti da ciascun candidato nei comuni con più di 1.000 abitanti.
Interpretazione: Nelle periferie dei bacini d’utenza con meno di 50.000 abitanti (città mercato), Le Pen ha ottenuto il 29% dei voti, contro il 26% di Macron e il 16% di Mélenchon.
Più grande è l’agglomerato urbano, più basso è il voto di Le Pen/RN, mentre il contrario è vero per Mélenchon/NFP. Il voto di Macron/Ensemble è relativamente stabile in tutti i bacini di utenza.
Figura 10.2 Quota di voti alle presidenziali del 2022 per bacino di utenza delle elezioni generali del 2024
b. Voti del Comune per categoria sociale
Vediamo ora come vengono distribuiti i voti in base allo status sociale. Qui sono possibili diverse opzioni. Da un lato, possiamo esaminare il legame tra le variabili sociali e la quota di voti ricevuta da ciascun candidato nei comuni. In secondo luogo, possiamo concentrarci sulla quota relativa di voti per ciascun candidato in base alla distribuzione dei livelli di privilegio nei comuni. Ciò equivale a dire se il voto a favore del candidato X nei comuni è più o meno dovuto al voto proveniente da comuni privilegiati o non privilegiati. Quindi, più voti un candidato riceve nei comuni privilegiati rispetto agli altri comuni, più “privilegiato” sarà il suo elettorato. Infine, è possibile suddividere i voti di ciascun candidato per quintile di livello di privilegio. Questo ci permette di vedere quale parte della distribuzione è favorevole a ciascun candidato.
Cominciamo ad analizzare i legami tra il voto comunale e il criterio sociale. A tal fine, calcoliamo la correlazione tra la quota di voti per ciascun candidato e il livello di privilegio comunale calcolato in precedenza. Per evitare che la correlazione sia guidata dai piccoli comuni, abbiamo scelto di concentrare la nostra attenzione sui comuni con più di 1.000 abitanti. Vediamo quindi che Jadot, Macron, Pécresse e Zemmour ottengono punteggi tanto più alti quanto maggiore è il livello di privilegio comunale (Figure 11.1 e 11.2). L’inverso è vero per Le Pen, Arthaud, Roussel e Poutou. Infine, il legame tra privilegio e punteggio comunale è prossimo allo zero per Mélenchon, Hidalgo, Lassalle e Dupont-Aignan. In altre parole, il punteggio di questi candidati non sembra dipendere dal livello di privilegio dei comuni.
I risultati delle elezioni legislative dipingono un quadro simile, con una netta divisione tra la RN da un lato e Ensemble dall’altro. Forse la sorpresa più grande è la mancanza di correlazione tra il voto della LR e il livello di privilegio comunale.
Figura 11.1: Correlazione tra livello di privilegio e quota di voto alle elezioni presidenziali del 2022
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé24.
Nota: la correlazione misura il legame tra il livello di privilegio e la quota di voti ottenuti da ciascun candidato. I dati escludono i comuni con meno di 1.000 abitanti. Il livello di privilegio viene misurato come descritto nella sezione 1.3.
Interpretazione: il coefficiente di correlazione tra il livello di privilegio e il punteggio ottenuto da Yannick Jadot nei vari comuni del campione è di 0,63.
Interpretazione: il voto Le Pen/RN è legato ai comuni meno privilegiati. Non è così per il voto di Macron/Ensemble. Il voto di Mélenchon/NFP sembra essere indipendente dal livello di privilegio dei comuni.
Figura 11.2: Correlazione tra livello di privilegio e quota di voti alle elezioni generali del 2024
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
Il problema dell’analisi di correlazione è proprio che non tiene conto delle dimensioni dei comuni. Un comune di 1.000 abitanti conta qui quanto un comune di 100.000 abitanti. Per completare la nostra analisi, può essere interessante classificare i comuni in base al livello di privilegio e vedere così se i comuni in cima o in fondo alla distribuzione votano di più o di meno per un determinato candidato. Seguiamo quindi il metodo proposto da Cagé e Piketty, con l’unica differenza che non ci concentriamo solo sui livelli di reddito.
Cominciamo a vedere quali candidati hanno ottenuto la maggior parte dei voti presidenziali da comuni privilegiati. A tal fine, osserviamo la quota di voti del 10% della popolazione appartenente ai comuni con il punteggio di privilegio più alto e confrontiamo questa quota con il punteggio nazionale ottenuto. La figura 12.1 mostra che i candidati più “borghesi”, per usare il lessico di Cagé e Piketty, sono Pécresse, Jadot, Macron e Zemmour. In effetti, troviamo gli stessi risultati ottenuti dalle correlazioni. I risultati delle elezioni legislative confermano questa tabella, poiché il RN ha ottenuto un punteggio inferiore (-32%) nei comuni privilegiati, a differenza di Ensemble (+34%) o LR (+47%). Si noti che il PNF ha ottenuto lo stesso punteggio nei comuni privilegiati che nel resto della Francia.
Figura 12.1: Punteggio relativo del 10% della popolazione che vive in comuni privilegiati nelle elezioni presidenziali del 2022.
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati dell’INSEE e di Piketty e Cagé25.
Nota: Il punteggio relativo corrisponde alla quota di voti ottenuti dal 10% della popolazione residente nei comuni più privilegiati diviso per il punteggio nazionale del candidato. Se è maggiore di 1, il candidato è più popolare nel 10% dei comuni più privilegiati rispetto agli altri comuni.
Interpretazione: il punteggio relativo di Valérie Pécresse è 1,59; quindi, il suo punteggio è superiore del 59% tra la popolazione che vive nei comuni appartenenti al 10% superiore della distribuzione del livello di privilegio comunale.
Interpretazione: Le Pen (2022) e la RN (2024) ricevono meno voti dai comuni appartenenti al 10% superiore. Al contrario, Macron (2022) e Ensemble (2024) dipendono maggiormente da questo elettorato. Si noti che i punteggi di Mélenchon (2022) e del PNF (2024) sono vicini a 1, in altre parole, i loro punteggi sono gli stessi in questi comuni come nel resto della Francia.
Figura 12.2: Punteggio relativo del 10% della popolazione residente in comuni privilegiati alle elezioni generali del 2024
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
Possiamo anche dividere la popolazione per misurare la quota di ciascun quintile di privilegio sul totale dei voti ottenuti da un candidato (Figure 13.1 e 13.2). Possiamo notare che Yannick Jadot è il candidato il cui 20% e 40% della popolazione dei comuni più privilegiati rappresenta la quota maggiore dei voti totali. È seguito da Pécresse, Macron, Zemmour e Mélenchon. Al contrario, Le Pen e Arthaud sono i candidati che raccolgono la quota maggiore di voti tra il 20% e il 40% della popolazione dei comuni meno privilegiati.
Figura 13.1: Distribuzione dei voti per quintile di privilegi comunali nelle elezioni presidenziali del 2022
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati dell’INSEE e di Piketty e Cagé26.
Nota: quota di voti per ciascun candidato in base al livello di privilegio dei comuni.
Interpretazione: il 28% dei voti ottenuti da Nathalie Arthaud proviene dal 20% della popolazione che vive nei comuni meno privilegiati; il 49% dei voti ottenuti da Le Pen proviene dal 40% della popolazione che vive nei comuni meno privilegiati.
Interpretazione: la maggior parte dell’elettorato di Le Pen/RN vive nei comuni meno privilegiati. L’opposto è vero per Macron/Ensemble. Mélenchon/NFP ottiene punteggi abbastanza omogenei tra i quintili, anche se ottiene meno voti dal 40% inferiore della distribuzione. Si noti che il candidato con il maggior numero di voti provenienti da comuni privilegiati è Y. Jadot.
Figura 13.2: Distribuzione dei voti per quintile di privilegio comunale alle elezioni generali del 2024
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
Va ricordato, tuttavia, che per il momento stiamo analizzando le quote relative. Questo non dice nulla sul punteggio assoluto ottenuto da ciascun candidato in ogni quintile. Vediamo quindi quest’ultimo punto in modo più dettagliato, sommando i voti di ciascun candidato nei diversi quintili di privilegio (Figure 14.1 e 14.2). Vediamo così che Le Pen è il candidato che riceve il maggior numero di voti se consideriamo rispettivamente il 20%, il 40% e il 60% della distribuzione. Sono quindi i suoi punteggi tra il 40% superiore che permettono a Macron di uscire in testa al primo turno. Va inoltre notato che Mélenchon raggiunge Le Pen grazie al 20% superiore della distribuzione. Anche se rimane difficile commentare ulteriormente a monte senza rischiare di fare troppe ipotesi, questi risultati confermano i dati individuali che suggeriscono che le classi popolari hanno votato Le Pen più ampiamente di Mélenchon. Allo stesso modo, il buon risultato di Mélenchon nei comuni privilegiati coincide con i buoni risultati ottenuti dal candidato di LFI nella Francia metropolitana, in particolare tra i dirigenti, le professioni intermedie, gli studenti e i laureati. In effetti, anche Macron ottiene punteggi migliori in termini assoluti rispetto a Mélenchon tra il 20% e il 40% della distribuzione, il che mette fortemente in discussione il fatto che Mélenchon sarebbe il candidato delle classi lavoratrici. Va inoltre notato che questa constatazione non può essere dovuta a una divisione della sinistra, con Poutou, Arthaud, Roussel e Hidalgo che ottengono punteggi troppo bassi, mentre Jadot ottiene i suoi tassi migliori tra il 20% superiore della distribuzione. In realtà, le classi lavoratrici hanno abbandonato la sinistra in queste elezioni, ovunque al di fuori delle grandi metropoli, come vedremo.
Figura 14.1: Numero cumulativo di voti per quintile di privilegio comunale nelle elezioni presidenziali del 2022.
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé27.
Nota: Il voto per ogni candidato corrisponde alla somma dei voti dei comuni classificati per quintile di privilegio. Il livello di privilegio è misurato aggregando un insieme di variabili (reddito, titoli di studio, CSP, ecc.) mediante un’analisi delle componenti principali (cfr. sezione I.3).
Interpretazione: Mélenchon ha ottenuto 1.269.808 voti tra il 20% della popolazione che vive nei comuni meno privilegiati, ha ottenuto 1.559.781 voti tra il 20% della popolazione che vive nei comuni più privilegiati.
Figura 14.2: Numero cumulativo di voti per quintile di privilegio comunale alle elezioni generali del 2024
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
c. Voti per categoria sociale e bacino d’utenza
Vediamo ora la ripartizione dei voti per bacino di utenza, in base al livello di privilegio di ciascun comune. A tal fine, abbiamo esaminato i voti dei tre candidati principali in base all’appartenenza del comune al 50% più o meno privilegiato della popolazione.
Figura 15.1: Punteggio medio comunale per la metà della popolazione che vive nei comuni più “privilegiati” nelle elezioni presidenziali del 2022
Figura 15.2: Punteggio medio comunale per la metà della popolazione che vive nei comuni più “privilegiati” alle elezioni generali del 2024
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé28.
Nota: Il livello di privilegio è misurato dall’aggregazione di un insieme di variabili (reddito, diploma, CSP, ecc.) a seguito di un’analisi delle componenti principali (cfr. sezione I.3).
Interpretazione: tra i comuni con più di 1.000 abitanti, Macron ha ottenuto il 32% dei voti nei comuni appartenenti al cluster delle grandi città la cui popolazione si colloca nel primo 50% della distribuzione del livello di privilegio comunale.
Interpretazione: Macron sembra essere il candidato delle popolazioni urbane privilegiate. Tuttavia, Ensemble ha subito un calo durante le elezioni legislative. Le Pen e il RN sono stati più popolari nei comuni rurali, ma il RN ha primeggiato ovunque, tranne che nei centri delle grandi città. Mélenchon e il PNF sono respinti in questi comuni, tranne che nei centri delle grandi città, il che coincide con l’appeal che la sinistra radicale o classica può aver avuto tra i manager e le professioni intellettuali.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
Sono diversi i dati che spiccano (si vedano le figure 15.1 e 15.2 e 16.1 e 16.2). In primo luogo, il voto per Macron rimane il più stabile tra i diversi bacini di utenza, indipendentemente dal campione selezionato. Tuttavia, l’appeal di Macron è stato particolarmente forte nelle aree più ricche, anche se questa tendenza è scomparsa alle elezioni legislative con il trasferimento dei voti al RN nelle città e al PNF nelle aree metropolitane. Al contrario, il peggior risultato di Macron è stato ottenuto nei comuni meno privilegiati nei centri delle grandi aree metropolitane. Questa scarsa performance è stata confermata alle elezioni legislative, in quanto il divario tra i voti di Macron e quelli di Ensemble è stato maggiore nei centri dei comuni, delle città e delle aree metropolitane meno privilegiate. In altre parole, Ensemble ha perso il maggior numero di voti nei centri dei bacini di utenza tra il 2022 e il 2024, in particolare nei comuni meno privilegiati. Quest’ultimo punto va visto nel contesto dei punteggi particolarmente alti di Mélenchon e del PNF nei comuni che concentrano gran parte delle periferie povere di Parigi e delle altre grandi metropoli. Va notato, tuttavia, che Mélenchon e il PNF ottengono ottimi risultati anche nei comuni privilegiati delle grandi metropoli, un punteggio che appare più alto che in qualsiasi altro bacino di utenza. Anche in questo caso, ciò coincide con i dati dei sondaggi post-elettorali che mostrano una propensione abbastanza elevata dei dirigenti e delle professioni intermedie a votare per la sinistra, con una maggiore probabilità di trovarsi nei centri, in particolare nelle professioni intellettuali. Infine, Mélenchon e il PNF sembrano essere abbastanza stabili nei comuni rurali e periferici, indipendentemente dal livello di privilegio studiato. Di conseguenza, rimangono sistematicamente dietro alla destra populista in questi bacini di utenza, soprattutto quando i comuni in questione non sono privilegiati. In altre parole, ma questo è noto, il voto di sinistra è soprattutto un voto per la metropoli e in particolare per le sue periferie povere. Come corollario, le classi lavoratrici delle aree rurali e delle piccole città sembrano aver abbandonato la sinistra a favore dell’estrema destra.
Figura 16.1: Punteggio medio per la metà della popolazione che vive nei comuni meno privilegiati nelle elezioni presidenziali del 2022
Figura 16.2: Punteggio medio per la metà della popolazione che vive nei quartieri meno privilegiati alle elezioni generali del 2024.
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé29.
Nota: il livello di privilegio è misurato dall’aggregazione di un insieme di variabili (reddito, diploma, CSP, ecc.) a seguito di un’analisi delle componenti principali (cfr. sezione I.3).
Interpretazione: tra i comuni con più di 1.000 abitanti, Macron ha ottenuto il 24% dei voti nei comuni appartenenti al cluster delle grandi città la cui popolazione si trova nel 50% inferiore della distribuzione del livello di privilegio comunale.
Interpretazione: la popolazione dei comuni meno privilegiati ha votato principalmente per Le Pen e il RN, tranne che nei centri delle grandi città, a causa del voto delle periferie. Al contrario, Mélenchon e il PNF hanno ottenuto risultati relativamente bassi in tutti i tipi di comuni, tranne che nelle grandi aree metropolitane, a causa del voto delle periferie. Infine, Macron e Ensemble hanno ottenuto risultati inferiori nei comuni meno privilegiati, indipendentemente dal loro status geografico.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
Infine, concentriamoci sul voto per Le Pen e la RN. Vediamo che questo si concentra nelle periferie e nei comuni rurali, in particolare tra i comuni meno privilegiati, ma non solo. Infatti, il loro punteggio appare superiore a quello di Macron e Ensemble nei comuni privilegiati appartenenti a queste categorie. Un altro aspetto importante è che Le Pen e il RN sono in testa in tutti i bacini di utenza quando ci si concentra sui comuni meno privilegiati, con l’unica eccezione dei centri delle grandi metropoli. Nelle elezioni legislative, questo dato si estende anche ai comuni più privilegiati, anche se le differenze sono meno evidenti. Se si escludono le periferie povere dei maggiori agglomerati urbani francesi, i meno privilegiati votano di più per il RN in tutti i tipi di aree. Tuttavia, questo dato tende a diminuire con l’aumentare delle dimensioni dei centri. La Le Pen sembra quindi essere la candidata per le aree periferiche ma anche, e soprattutto, per i comuni meno privilegiati al di fuori delle grandi aree metropolitane.
Alcuni confronti con le elezioni del 1981
Prima di tentare di spiegare i voti nei territori, riteniamo utile confrontare i risultati del 2022 con quelli del 1981. Abbiamo scelto questo confronto perché il 1981 ha il vantaggio di risalire abbastanza indietro nel tempo, in modo che la situazione attuale non sia troppo determinata da una vicinanza temporale fittizia. Inoltre, questa elezione ci permette di concentrarci sul legame tra il voto per i tre principali candidati del 2022 e un candidato particolarmente interessante del 1981: Georges Marchais. Per molti versi, il candidato del PCF di allora rappresentava molti dei valori difesi da Mélenchon e Le Pen, quindi osservare questo legame su base regionale può essere particolarmente illuminante. Ma prima diamo una rapida occhiata alle correlazioni tra il voto comunale dei quattro principali candidati nel 1981 e i tre principali candidati nel 2022. Per evitare che i risultati siano tratti dai villaggi, includiamo solo i comuni con più di 1.000 abitanti nel 2022.
Si notano diversi fatti. In primo luogo, le correlazioni sono piuttosto basse, il che suggerisce che i modelli di voto nei comuni e il clima politico tra le due elezioni non sono equivalenti. In secondo luogo, possiamo notare che il segno delle correlazioni per Macron e Mélenchon è quello atteso. D’altra parte, il voto di Le Pen è sorprendente per alcuni aspetti, poiché appare correlato positivamente con il voto di Marchais e negativamente con il voto di Chirac. Infine, il voto di Marchais sembra essere il più divisivo ma anche il miglior predittore di voti. Si può notare chiaramente che il voto a Le Pen viene a fare da guastafeste nella divisione tra destra e sinistra. In base a queste correlazioni, la candidata della RN appare più vicina alla sinistra che alla destra in quel momento, in particolare se notiamo che il voto di Marchais è più vicino a lei di quello di Mélenchon.
Figura 17: Correlazione tra i candidati alle elezioni del 1981 e del 2022
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé30.
Nota: La correlazione semplice misura il legame tra il voto per i quattro candidati principali nelle elezioni del 1981 e i tre candidati principali nelle elezioni del 2022.
Interpretazione: il coefficiente di correlazione tra il punteggio ottenuto da Le Pen e Georges Marchais nei comuni con più di 1.000 abitanti è pari a 0,37. È di -0,61 tra Macron e Marchais e di 0,29 tra Mélenchon e Marchais.
Interpretazione: i voti di Macron e Mélenchon riecheggiano la divisione tra destra e sinistra del 1981, anche se le correlazioni sono piuttosto deboli (soprattutto per Mélenchon). Il voto di Le Pen, invece, sembra essere al di fuori di questa divisione, in particolare a causa del suo legame con il voto di Marchais.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
Concentriamoci più specificamente sul voto di Marchais. Prima di tutto, analizziamo il suo punteggio per tipo di comune. Si notano due fatti importanti. In primo luogo, c’è poca differenza tra i punteggi della metà superiore e inferiore del livello di privilegio comunale nelle periferie esterne dei bacini di utenza. In altre parole, il punteggio di Marchais dipende relativamente poco dal criterio del privilegio nelle aree periferiche. In secondo luogo, il punteggio del candidato del PCF è stato particolarmente alto nei comuni meno privilegiati, nei centri dei bacini di utenza con una popolazione superiore a 50.000 abitanti. Ciò corrisponde alle popolazioni operaie di agglomerati urbani di medie e grandi dimensioni.
Figura 18: Punteggio medio di Georges Marchais nel 1981 per tipo di comune
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé31.
Nota: il livello di privilegio è misurato dall’aggregazione di un insieme di variabili (reddito, diploma, CSP, ecc.) a seguito di un’analisi delle componenti principali (cfr. sezione I.3).
Interpretazione: Il voto di Marchais ha rappresentato il 28% dei voti al 1° turno delle elezioni presidenziali del 1981 nei comuni appartenenti ai centri urbani meno privilegiati.
Interpretazione: Il voto di Marchais è un voto popolare particolarmente concentrato nelle aree urbane della classe operaia.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
La domanda chiave è dove sia andato il surplus di voti per Marchais nei centri delle “città” operaie e delle “grandi città”, al di fuori delle “metropoli”. Per rispondere a questa domanda, abbiamo analizzato la correlazione tra il voto a Marchais e il voto a ciascuno dei tre principali candidati nel 2022. Cosa ci dicono i dati? In primo luogo, il voto a Marchais è fortemente e positivamente correlato con quello a Le Pen nei bacini di utenza compresi tra 50.000 e 700.000 abitanti. Ciò coincide con il forte spostamento del voto della classe operaia verso la candidata della RN. In secondo luogo, vi è una correlazione particolarmente forte tra il voto di Marchais e quello di Mélenchon nelle aree metropolitane. In altre parole, il voto delle periferie, che è composto in misura maggiore da elettori provenienti da contesti di immigrazione, si orienta naturalmente più verso il candidato dell’IFL che verso quello dell’RN. Infine, il voto di Marchais è fortemente e negativamente correlato al voto di Macron in tutti i poli. Quest’ultimo risultato sembra quindi confermare che i valori sposati da Macron sono l’antitesi dei valori storici di questo elettorato comunista, in particolare per quanto riguarda il liberismo economico, la globalizzazione ma anche l’immigrazione. Quest’ultimo punto è importante perché aiuta a spiegare le diverse correlazioni ottenute tra le grandi metropoli e le altre città. Il candidato naturale per l’elettorato di Marchais dovrebbe a priori essere Mélenchon, eppure sembra essere stato rifiutato da gran parte di questa popolazione. In effetti, i valori che oppongono Marchais a Mélenchon sono, oltre all’immigrazione, quelli che sono stati ampiamente criticati dalla sinistra nei confronti di Fabien Roussel durante le elezioni presidenziali, come il laicismo, il produttivismo o la difesa di alcune attività del tempo libero o modalità di consumo. Tuttavia, il candidato il cui voto sembra essere più positivamente correlato a quello di Marchais rimane il candidato dell’attuale PCF. In altre parole, i valori non materiali sembrano essere in parte responsabili del differenziale nel riporto dei voti del PCF dai comuni nel 1981.
Figura 19: Correlazione con il voto di Georges Marchais per comune.
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé32.
Nota: la correlazione semplice mostra il legame tra il voto per Marchais nel 1981 e il voto per uno dei quattro candidati nel 2022.
Lettura: nelle grandi città, il voto per Le Pen nel 2022 nei comuni con più di 1.000 abitanti è correlato positivamente con il voto per Marchais nel 1981. Tuttavia, questa correlazione è più debole di quella tra i voti di Marchais e Roussel.
Interpretazione: il voto di Marchais è correlato positivamente con i voti di Le Pen e Roussel e negativamente con il voto di Macron. D’altro canto, il voto di Mélenchon appare debolmente correlato a quello di Marchais al di fuori delle periferie delle grandi città. Si è verificato uno spostamento nella composizione del voto a favore della sinistra radicale, con il voto di Mélenchon che appare debolmente correlato al voto popolare storico, in particolare tra i colletti blu, che preferiscono Le Pen.
Figura 20: Correlazione Le Pen/Mitterrand o Macron/Giscard d’Estaing, secondo turno 2022/1981
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé33.
Nota: la correlazione semplice fornisce il legame tra il voto a Mitterrand o Giscard d’Estaing da un lato e il voto a Le Pen o Macron dall’altro.
Lettura: nelle aree rurali, il voto per Le Pen nel 2022 nei comuni con più di 1.000 abitanti è correlato positivamente con il voto per Mitterrand nel 2022. Tuttavia, questa correlazione è più debole rispetto alle città mercato.
Interpretazione: il voto a Macron è associato positivamente al voto a Giscard d’Estaing, mentre il voto a Le Pen è correlato positivamente al voto a Mitterrand, indipendentemente dall’area considerata. Il legame sembra essere particolarmente forte nei centri delle città al di fuori delle grandi aree metropolitane, ovvero dove storicamente si concentra la classe operaia.
A seguito di questi risultati, può essere interessante confrontare i punteggi al secondo turno delle elezioni del 2022 e del 1981 per territorio. Si noti che, poiché il secondo turno è un testa a testa, la conoscenza della correlazione tra un candidato del 2022 e uno del 1981 ci informa su tutte le correlazioni, cambiando solo il segno. Ad esempio, vediamo che per tutti i comuni con più di 1.000 abitanti nel 1980, la correlazione tra il voto di Le Pen e il voto di Mitterrand da un lato, o il voto di Macron e il voto di Giscard d’Estaing dall’altro, è positiva (0,28). Come corollario, la correlazione tra il voto di Macron e il voto di Mitterrand da un lato e il voto di Le Pen e il voto di Giscard d’Estaing dall’altro è negativa (-0,28). Anche se la correlazione non è particolarmente forte (spiega solo l’8% della varianza), ciò dimostra che i comuni che hanno votato Mitterrand al secondo turno nel 1981 hanno mediamente votato di più per Le Pen al secondo turno del 2022. Nel dettaglio vediamo che questa correlazione è particolarmente alta per le città mercato, le città, le grandi città, così come, ma in misura minore, per i rispettivi nuclei. Questo coincide di fatto con il “trasferimento” di voti dai comuni operai all’estrema destra.
Questa spiegazione non esaurisce tuttavia l’argomento, poiché la correlazione tra i voti di Le Pen e Mitterrand rimane positiva (0,23) anche dopo aver controllato per la quota di operai in ogni comune nel 1980. Esistono quindi altre spiegazioni non economiche e sociali, senza dubbio legate alla nostra interpretazione del “riporto” del voto di Marchais a favore di Le Pen.
Spiegare i voti
Dopo aver trattato le variabili chiave relative alle questioni economiche e sociali, da un lato, e ai modelli di voto, dall’altro, vediamo come le prime spiegano i secondi, tenendo presente la questione geografica. Tre cose ci sembrano importanti. In primo luogo, quali variabili hanno il maggior potere predittivo per i voti? In secondo luogo, le variabili chiave sopra descritte svolgono il ruolo che viene loro più spesso attribuito e, se sì, in che misura? In terzo luogo, quanta parte del voto può essere spiegata da fattori economici, sociali, geografici e culturali?
Correlazione e potere esplicativo delle variabili chiave
Cominciamo a vedere le correlazioni tra il punteggio nelle elezioni presidenziali e legislative e le diverse variabili chiave. Dalle figure 21.1 e 21.2 si può notare che alcune variabili hanno un potere predittivo migliore di altre: è il caso in particolare del reddito pro capite, della quota di popolazione con istruzione terziaria o della quota di manager nella popolazione. Infatti, queste variabili sembrano avere il maggiore impatto sul voto per Macron e Ensemble e per Le Pen e il RN, mentre sembrano essere abbastanza neutrali sul voto per Mélenchon e il PNF. Ciò coincide con i nostri calcoli precedenti che mostrano la natura equivoca del voto per la sinistra. Infine, va notato che la crescita del reddito mostra solo una correlazione marginale, il che dimostra che i comuni che hanno perso a causa della globalizzazione e delle politiche presumibilmente “neoliberiste” degli ultimi quarant’anni non hanno votato di più per un candidato o per l’altro. In altre parole, l’idea che le aree che hanno beneficiato meno dei cambiamenti economici siano responsabili dell’aumento del populismo non è confermata dai fatti.
Sebbene le correlazioni ci forniscano informazioni sul legame tra il voto e le variabili di nostro interesse, queste variabili esplicative sono correlate tra loro, quindi la correlazione non ci fornisce il potere esplicativo delle variabili in questione. Se, ad esempio, il reddito è fortemente correlato con il livello di istruzione, quanto di ciascuna di queste due variabili spiegherebbe il voto? In altre parole, per ottenere il potere esplicativo di una variabile dobbiamo chiederci quanto di ogni variabile spiega il punteggio dei candidati una volta che abbiamo tenuto conto dell’effetto di tutte le altre variabili su quello stesso punteggio. A tal fine, è necessario esaminare le cosiddette correlazioni “parziali”. Le figure 21.1 e 21.2 mostrano che relativamente poche variabili spiegano effettivamente il voto per i tre principali candidati/partiti. Infatti, se assumiamo che una variabile debba spiegare almeno il 2% della varianza totale del voto per almeno uno dei tre candidati per essere significativa, solo sei variabili appaiono legittime: il tasso di crescita del reddito pro capite dal 1980, il reddito pro capite nel 2019, la percentuale di pensionati nel comune, la percentuale di diplomati, il dipartimento in cui si trova il comune e il tipo di bacino di utenza.
Figura 21.1: Correlazione tra quota di voti e variabili economiche e sociali nelle elezioni presidenziali del 2022
Figura 21.2: Correlazione tra quota di voti e variabili economiche e sociali nelle elezioni legislative del 2024
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé34.
Nota: la correlazione semplice misura il legame tra ciascuna variabile e il voto per ciascun candidato.
Interpretazione: il voto per Le Pen e la RN e il voto per Macron di Ensemble sono opposti su due dimensioni.
Interpretazione: il voto per Le Pen e RN e il voto per Macron di Ensemble sono opposti sulle varie dimensioni qui utilizzate (reddito, SPC, titoli di studio). Al contrario, i voti di Mélenchon e del PNF sono debolmente correlati con ciascuna delle variabili, suggerendo una maggiore eterogeneità nel voto di sinistra, anche se la popolazione dei comuni sembra essere influente a causa dell’importanza del voto di cluster.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
Da ciò si possono trarre due insegnamenti. In primo luogo, il dipartimento è di gran lunga la variabile con il maggior potere esplicativo. Questo punto è piuttosto inquietante perché suggerisce che siamo in gran parte all’oscuro dei meccanismi alla base del voto nei comuni. Perché i cittadini dei comuni della Vandea adottano comportamenti di voto specifici e radicalmente diversi da quelli del Loiret? Quali sono le variabili omesse che spiegano questa influenza del localismo? Oltre alle specificità locali come il turismo, l’accesso alla natura, il mare, la montagna, i trasporti, ecc. ci sono culture locali che hanno un’influenza sulle preferenze delle persone che il dipartimento di appartenenza coglie piuttosto bene.
In secondo luogo, una volta prese in considerazione le variabili geografiche (dipartimento, bacino d’utenza), le variabili economiche e sociali (reddito, qualifiche, PSC) spiegano solo una parte limitata del voto nei tre blocchi. Nel caso di Macron/Ensemble, tutte le variabili economiche e sociali spiegano il 33% (Macron) e il 21% (Ensemble) della varianza totale. Per Mélenchon/NFP i punteggi sono pari al 34% (Mélenchon) e al 14% (NFP) della varianza totale. Infine, nel caso di Le Pen/RN, queste variabili spiegano il 33% (Le Pen) e il 24% (RN) della varianza totale. Questi valori appaiono particolarmente bassi se confrontati con la sola variabile esplicativa del dipartimento.
Figura 22.1: Potere esplicativo delle variabili sul voto ai candidati alle elezioni presidenziali del 2022.
Fonte :
Fonte: calcoli dell’autore basati sui dati dell’INSEE e di Piketty e Cagé35.
Nota: Il potere esplicativo di una variabile sul voto per un candidato è misurato dalla correlazione parziale dopo aver preso in considerazione tutte le variabili rilevanti.
Interpretazione: La percentuale di popolazione con almeno un diploma di maturità+3 nei comuni con più di 1.000 abitanti spiega il 19% della varianza del punteggio di Le Pen una volta tenuto conto dell’effetto delle altre variabili su questo punteggio.
Interpretazione: Le uniche variabili con potere esplicativo sul voto per i tre principali candidati/partiti sono il dipartimento di residenza, il reddito medio, la percentuale di pensionati e il livello di istruzione. Il livello di istruzione sembra essere la variabile che meglio spiega il voto dei populisti di destra, mascherando così qualsiasi effetto del reddito o dello status socio-professionale.
Figura 22.2: Potere esplicativo delle variabili sul voto per i candidati alle elezioni generali del 2024.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
A causa dell’importanza delle alleanze e degli sbarramenti, il secondo turno delle elezioni legislative è più difficile da rilevare, motivo per cui non lo analizzeremo qui.
Ricordiamo che la correlazione parziale consente di prendere in considerazione l’effetto del diploma una volta che si è tenuto conto dell’effetto di tutte le altre variabili sul voto. In altre parole, si misura l’effetto del titolo di studio dopo aver “depurato” il punteggio dei candidati dall’effetto del reddito, del dipartimento o del tipo di area.
David Goodhart, op. cit.
Yann Algan, Elizabeth Beasley, Daniel Cohen, Martial Foucault, op.cit ; Yann Algan, Elizabeth Beasley, Daniel Cohen, Martial Foucault, Madeleine Péron, op.cit.
Yann Algan, Elizabeth Beasley, Daniel Cohen, Martial Foucault, op.cit; Yann Algan, Elizabeth Beasley, Daniel Cohen, Martial Foucault, Madeleine Péron, op.cit.; vedi anche: Yann Algan, Clément Malgouyres, Claudia Senik, “Territoires, bien-être et politiques publiques”, nota CAE n. 55, 17 gennaio 2020.
Algan, Malgouyres e Senik (2020) e Davoine, Fize e Magouyres (2020) hanno tuttavia dimostrato l’importanza del tessuto locale sul malessere misurato a livello comunale sulla base del tasso di astensione e della mobilitazione dei Gilets jaunes. La loro analisi mostra, ad esempio, che la chiusura di un minimarket o di un centro sanitario gioca un ruolo importante nel malessere locale.
Yann Algan, Clément Malgouyres, Claudia Senik, op.cit.
In terzo luogo, la sinistra e la destra populista presentano ciascuna una variabile sociale decisiva. Nel caso della sinistra, si tratta del reddito, con una correlazione parziale del 10% nelle elezioni presidenziali e del 6% nelle elezioni legislative. Tuttavia, il potere esplicativo di questa variabile isolata rimane molto debole, per cui l’effetto del reddito diventa evidente solo dopo aver preso in considerazione le altre variabili sociali. In altre parole, all’interno di ogni categoria (dirigenti, operai, laureati, ecc.), i meno abbienti tendono a votare più a sinistra senza che il reddito abbia un effetto significativo su tutte le categorie. Nel caso della destra populista, la variabile chiave è il livello di istruzione. A differenza del reddito nel caso della sinistra populista, il potere esplicativo di questa variabile presa isolatamente è molto elevato. Pertanto, l’effetto negativo del livello di istruzione sul voto della destra populista è indipendente dalla categoria socio-professionale o dal reddito.
I dati del secondo turno mostrano che le variabili economiche e sociali hanno giocato un ruolo maggiore nell’esito delle elezioni, spiegando il 27% della varianza dopo aver tenuto conto dell’effetto delle variabili geografiche36. Questo tasso è significativo perché, a differenza del voto al primo turno, è superiore a quello del dipartimento (15%). In confronto, il potere esplicativo di queste variabili nelle elezioni del 1981 era solo del 13%. In un certo senso, il divario Macron-Le Pen sembra essere più determinato dallo status economico e sociale rispetto al divario Mitterrand-Giscard. Ma è davvero per le stesse ragioni?
Anche in questo caso l’analisi delle correlazioni parziali è istruttiva. Mentre nel secondo turno elettorale del 1981 le variabili con il maggior potere esplicativo rispetto alle altre erano la percentuale di operai (12%) e di impiegati (5%) nel comune, nel 2022 le variabili determinanti sono la percentuale di laureati con diploma di maturità+3 (23%) e la percentuale di pensionati (4%). Se nel 1981 lo status sociale sembrava essere il fattore strutturante, nel 2022 non sembra più avere alcun ruolo. In effetti, l’istruzione (e in misura minore la demografia) sembra ora essere il fattore principale, soprattutto perché i più istruiti rifiutano massicciamente le idee proposte dal RN, specialmente su questioni culturali relative all’immigrazione, alla sicurezza o all’Europa37. Si può scommettere che il voto per Mitterrand nel 1981 fosse un voto di sostegno legato a questioni di distribuzione. Il voto per Le Pen sembra essere guidato più da una certa sfiducia nei confronti di un’élite laureata che rappresenta valori percepiti come incompatibili con un certo stile di vita o addirittura con una certa “cultura” locale. Piuttosto che una classica divisione capitalista/lavoratore, troviamo qui la divisione ovunque/qualche luogo teorizzata da David Goodhart38 o fiducia/diffidenza proposta da Algan et al.39. A sostegno di questa ipotesi, aggiungiamo che il potere esplicativo del bacino d’utenza è del 6% nella seconda tornata del 2022, ovvero nella media. Tuttavia, questo potere esplicativo sale al 13% una volta eliminate le variabili legate all’istruzione. Questo mostra chiaramente i legami tra regione, livello di istruzione e voto populista di destra.
Una possibile critica a questi risultati è che i territori sono troppo eterogenei. Per fare un po’ di chiarezza, possiamo anche concentrarci sulle correlazioni che prevalgono nelle aree periferiche, intermedie e globalizzate. Poiché il voto alla Le Pen sembra essere il più determinato socialmente, concentriamoci su di esso. Dopo l’aggiustamento per il dipartimento di residenza, i dati mostrano che il livello di qualifica rimane di gran lunga la variabile più strutturante, indipendentemente dall’area studiata. Spiega il 28% del voto nelle aree periferiche, il 32% nelle aree intermedie e ancora il 23% nei centri globalizzati. Va notato che nessun’altra variabile spiega più del 5% del voto di Le Pen in ciascuno dei tre tipi di area.
Un altro elemento importante sarebbe la presenza di servizi pubblici e negozi locali40. Per tenere conto di ciò, abbiamo esaminato anche la presenza di un ufficio postale, di un minimarket e di un medico nelle città rurali. I nostri risultati mostrano che queste variabili spiegano solo una minima parte della varianza del voto per il candidato della RN. In altre parole, sebbene queste variabili possano aver motivato il voto alla Le Pen, non spiegano le differenze tra comuni simili41. In realtà, queste variabili testimoniano maggiormente l’importanza del tessuto locale e l’importanza del localismo. Ad esempio, se la chiusura di un minimarket sembra aver giocato un ruolo decisivo nel tasso di partecipazione al movimento dei Gilet Gialli42, è forse anche perché riflette la paura di veder scomparire una certa socialità e identità locale.
Qual è il modello esplicativo giusto?
Note
I lettori interessati possono fare riferimento al Bayesian Model Averaging (BMA).
Una volta presi in considerazione questi diversi risultati, sorge inevitabilmente una domanda: qual è l’effetto di ciascuna variabile sul voto? In altre parole, se la variabile x aumenta dell’1% o di 1pp, di quanto aumenta il voto? Il fatto che una variabile abbia un forte potere esplicativo non significa che l’effetto sottostante sia significativo. Ecco perché questi due aspetti sono complementari. Per rispondere a questa domanda, abbiamo bisogno del modello “giusto”, il che è difficile. A tal fine, utilizzeremo un modello di selezione delle variabili. L’idea è quella di tenere conto della nostra incertezza sul modello “giusto” e quindi di misurare la probabilità che ciascuna delle variabili preselezionate vi compaia. Una volta nota questa probabilità, è possibile misurare l’effetto della variabile x ponderando l’effetto per la sua probabilità di comparire nel modello “buono”43.
Per comodità di presentazione, ci concentreremo qui solo sulle variabili che mostrano un effetto significativo. Si noti inoltre che ogni modello include nel calcolo il dipartimento e il tipo di territorio. La tabella 2 ci mostra due punti chiave. In primo luogo, il tasso di pensionati e il tasso di laureati con 3 anni di istruzione superiore (o più) hanno un effetto significativo in tutti i casi. Ad esempio, un aumento di 10 punti percentuali del tasso di laureati con 3 anni di istruzione superiore in un determinato comune aumenta i punteggi di Macron e Mélenchon rispettivamente di 2,7 e 1,8 punti percentuali. Al contrario, lo stesso aumento riduce il punteggio di Le Pen di 6pp. Al secondo turno, l’effetto è particolarmente ampio, pari a 7,6 punti. Va ricordato che questo effetto tiene conto di altre variabili, come il reddito medio, nel modello. In altre parole, costante il reddito, il CPS o il luogo di residenza, il livello di diploma tende ad aumentare i voti di Macron e Mélenchon, ma riduce fortemente quelli di Le Pen. La quota di pensionati, invece, sembra favorire Macron, poiché un suo aumento di 10 punti percentuali porta a un aumento di 0,9 punti percentuali dei voti per l’attuale Presidente al primo turno e di 1,7 punti percentuali al secondo turno.
Tabella 2: Misurazione dell’effetto delle variabili chiave sul voto dei candidati
Fonte:
Calcoli dell’autore basati su dati INSEE e Piketty e Cagé44.
Nota: i coefficienti qui stimati si basano su un modello di selezione bayesiano (Bayesian Model Averaging). Sono state prese in considerazione solo le variabili più rilevanti.
Interpretazione: Quando il reddito aumenta dell’1%, il voto per Mélenchon diminuisce di 0,14pp.
Interpretazione: il reddito è la variabile con il maggiore effetto sul voto di Mélenchon/NFP. Il livello di qualificazione è la variabile con il maggiore effetto sul voto a Le Pen/RN. Anche se il voto alla Le Pen/RN è più comune tra i meno abbienti, il reddito non sembra essere il fattore più decisivo. Infatti, i meno abbienti hanno votato Le Pen/RN soprattutto perché hanno anche meno qualifiche.
Note
Julia Cagé, Thomas Piketty, op. cit.
In secondo luogo, il reddito non gioca sistematicamente un ruolo decisivo, poiché influenza il voto solo al primo turno per Macron e Mélenchon. Possiamo notare che un aumento del 10% del reddito di un comune aumenta la quota del primo di 0,94pp e riduce quella del secondo di 1,4pp. Ricordiamo che il 50% dei comuni nella parte centrale della distribuzione ha un reddito medio per adulto compreso tra 20.005 e 26.733 euro. Pertanto, passare dalla soglia del 25% inferiore a quella del 25% superiore aumenta i voti di Macron di 3,2 punti percentuali e riduce quelli di Mélenchon di 4,8 punti percentuali, il che è significativo. D’altra parte, il reddito non sembra essere stato una variabile caratteristica del voto di Le Pen o del voto al secondo turno. Infine, si noti che mentre Mélenchon non è il candidato che ha ricevuto più voti dai comuni più poveri, è il candidato per il quale il reddito è la variabile più decisiva nel punteggio ottenuto. In altre parole, se i più poveri hanno votato di più per Le Pen, la nostra analisi mostra che ciò non è dovuto direttamente al loro reddito, ma piuttosto a variabili correlate al reddito, in particolare il livello di istruzione o il luogo di residenza.
Infine, è importante sottolineare che i livelli stimati possono variare a seconda dei bacini di utenza, ma gli effetti citati rimangono sistematicamente significativi. Ad esempio, anche se l’effetto della variabile istruzione sul voto a Le Pen sembra essere inferiore del 40% nei centri globalizzati rispetto alle aree periferiche, l’effetto stimato è molto alto in entrambi i casi. In altre parole, il livello di istruzione è di gran lunga la variabile con la maggiore influenza sul voto alla Le Pen, a prescindere dall’area studiata.
Tutti questi risultati sono piuttosto confermati dalle elezioni legislative, con la differenza che il voto RN sembra influenzato positivamente dal reddito. Così, tenendo conto del livello di istruzione, del dipartimento di residenza o della categoria socio-professionale, un aumento del reddito medio di un comune tende ad aumentare il voto del RN. Tuttavia, l’effetto rimane 2,5 volte più debole rispetto al voto al PN. Un altro aspetto da sottolineare è che l’effetto della quota di popolazione con un diploma di maturità+3 è aumentato tra il 2022 e il 2024, il che significa che il divario giocato dal livello di diploma – e da ciò che vi è collegato – si è acuito dopo le elezioni presidenziali.
Conclusione
In questo studio abbiamo visto l’importanza dei territori e delle categorie sociali nella struttura dei voti. Nel corso di questa dimostrazione, una serie di fatti ha messo in prospettiva molti dei luoghi comuni e delle scorciatoie spesso proposti nell’arena pubblica. In primo luogo, le disuguaglianze tra le regioni non stanno aumentando. Al contrario, i dati sembrano suggerire che i comuni meno privilegiati stanno recuperando terreno.
In secondo luogo, il voto per gli estremi non è legato alla minore crescita delle aree periferiche. In effetti, la crescita del reddito comunale gioca solo un ruolo marginale nella spiegazione dei modelli di voto. Lo stesso vale per la crescita della popolazione, che sembra avere un effetto limitato rispetto alle altre variabili.
In terzo luogo, la questione culturale e il risentimento delle classi lavoratrici locali (i “qualche posto” per usare la tipologia di David Goodhart, o i “diffidenti” per usare il termine di Algan45) vis-à-vis con una società globalizzata.nei confronti di una “élite” metropolitana globalizzata e universalista (il “Dappertutto“) coincide con il voto populista di destra. In particolare, questo è ciò che ci insegna il confronto con il voto del 1981, ma anche l’importanza fondamentale del livello di istruzione nella struttura del voto.
Il voto di estrema sinistra, invece, sembra essere più strettamente legato alle periferie delle grandi città, piuttosto che a una dicotomia tra operai e impiegati da un lato, e manager e capitalisti dall’altro. In effetti, sembra che la questione dell’identità sia diventata centrale nelle scelte degli elettori.
In quarto luogo, la geografia non deve essere sottovalutata quando si tratta di capire il voto a livello locale. Il dipartimento a cui appartiene un comune sembra essere un fattore chiave nella scelta del candidato. Sembra quindi che le preferenze locali giochino un ruolo fondamentale nella struttura dei voti, alcuni dei quali sono più adatti a una certa visione populista del mondo. Ciò coincide con una certa “arcipelizzazione” delle preferenze46, anche se le scelte degli elettori sono sempre state sensibili alle diverse culture regionali.
In definitiva, è la nozione stessa di periferia che deve essere ridisegnata, perché la dimensione strettamente materiale non può più rendere conto delle paure e delle preferenze delle persone, a prescindere dall’area.
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