PREMIERATO, di Teodoro Klitsche de la Grange
PREMIERATO
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Se ci si chiede qual è la linea che divide il centrodestra e il centrosinistra sulle riforme volte a migliorare la governabilità dell’Italia, servendosi delle affermazioni (pubbliche) degli ultimi trent’anni, ne risulterebbe che la sinistra non ha le idee chiare. Si è divisa sia sull’oggetto da riformare (costituzione e/o legge elettorale?) sul carattere (premierato, fiducia costruttiva) nonché sulle tante varianti in cui possono declinarsi. Ma i connotati comuni a queste varie soluzioni sono due: opporsi a quanto propone il centrodestra e impedire un potere governativo forte e legittimato dal consenso popolare. Al contrario quelle del centrodestra sono connotate dall’inverso: realizzare un potere governativo forte e legittimato dal popolo.
Vediamo come le modifiche alla Costituzione proposte nel testo, approvato dal Senato il mese scorso, vadano in tal senso.
Le modifiche più rilevanti sono quelle all’art. 92, e in particolare che “Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per cinque anni, per non più di due legislature consecutive… Le elezioni delle Camere e del Presidente del Consiglio hanno luogo contestualmente. La legge disciplina il sistema per l’elezione delle Camere e del Presidente del Consiglio, assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio” e di conseguenza che “Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il Governo; nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri”. Ma ad evitare che il Presidente del Consiglio legittimato dal corpo elettorale non ottenga dalle Camere la fiducia riconosciutagli dal popolo, è modificato l’art. 94 così “…il terzo comma è sostituito dal seguente:« Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non sia approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche in quest’ultimo caso il Governo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”. A ulteriore garanzia da manovre di palazzo è disposto “b) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
“In caso di revoca della fiducia mediante mozione motivata, il Presidente del Consiglio eletto rassegna le dimissioni e il Presidente della Repubblica scioglie le Camere”. Quindi niente governi tecnici, balneari, d’emergenza e così via. E prosegue “Negli altri casi di dimissioni, il Presidente del Consiglio eletto, entro sette giorni e previa informativa parlamentare, ha facoltà di chiedere lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, che lo dispone. Qualora il Presidente del Consiglio eletto non eserciti tale facoltà, il Presidente della Repubblica conferisce l’incarico di formare il Governo, per una sola volta nel corso della legislatura, al Presidente del Consiglio dimissionario o a un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio.
Nei casi di decadenza, impedimento per-manente o morte del Presidente del Consiglio eletto, il Presidente della Repubblica conferisce l’incarico di formare il Governo, per una sola volta nel corso della legislatura, a un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio”.
È evidente in tali disposizioni l’intento di blindare la nomina del Presidente del Consiglio; di predisporre che lo stesso abbia la maggioranza alle Camere, contemporaneamente elette; che se la sostituzione del Presidente del Consiglio sia necessitata, il sostituto deve far parte della maggioranza “collegata” al sostituendo; l’iniziativa del Presidente della Repubblica è minima, perché vincolata al mancato ottenimento della fiducia o al sopravvenire di una revoca della fiducia parlamentare prima concessa.
Lo scioglimento delle Camere, che già un tempo (prima del consolidamento dei regimi parlamentari) era un istituto per lo più usato dai monarchi per “addomesticare” il Parlamento, è divenuto da secoli un mezzo per risolvere le crisi della democrazia parlamentare.
Mentre fino alla Restaurazione l’uso era quello, successivamente divenne lo strumento per decidere conflitti istituzionali facendo appello al corpo elettorale, in sintonia con l’allargamento della base democratica dello Stato.
E divenne così, prevalentemente, d’iniziativa del Primo Ministro. Attualmente gli scioglimenti possono ricondursi a due specie: a iniziativa del Presidente della Repubblica o a quella del Primo Ministro. Nella novella costituzionale vi sono entrambe anche se quella del Presidente della Repubblica è vincolata sia nei presupposti che nelle persone da nominare (collegate politicamente al sostituendo). È (anche) una normativa anti-ribaltone con un ossequio alla volontà popolare manifestata nella fiducia ad una maggioranza di governo a cui comunque deve appartenere il sostituto. È evidente che tale novella è rivolta contro la prassi, invalsa negli ultimi decenni, dei governi (e delle relative “coalizioni”) non rispondenti alla volontà popolare. Il cui esempio più evidente è quello del governo Monti, il cui partito, un anno dopo le dimissioni del suddetto, riportava alle elezioni europee lo 0,7% dei suffragi. A conferma del fatto che a Monti, mai eletto in qualche consultazione popolare, mancava (prima e dopo) il consenso. Quanto al potere del Presidente della Repubblica, anche qui c’è una riduzione, anche se conserva tutti (gli altri) poteri conferitigli dalla Costituzione: gli resta solo difficile organizzare o assentire “ribaltoni”, come capitato nella storia recente. E a farne le spese sono anche (alcuni) di quei poteri indiretti che prosperano se un governo è debole e sostituibile. Ma questo è un altro capitolo.
Teodoro Klitsche de la Grange
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