E SE GUARDANDO AL FUTURO IL RISCHIO REALE FOSSE IL CAOS?_di Pierluigi Fagan

E SE GUARDANDO AL FUTURO IL RISCHIO REALE FOSSE IL CAOS? Così termina un breve articolo di A. Giustozzi, Visiting Professor e ricercatore del King’s College che sembra esser uno dei pochi che sa qualcosa di concreto sull’Afghanistan. In questi giorni molti sono stati sollecitati a farsi un’idea dell’A., ma poche sono le fonti davvero utili, pochissimi gli esperti, scarsa la disponibilità mentale ad approcciare cose complesse. In più, da una parte molti arrivano a tentar di conoscere il fenomeno con schemi preconcetti validi nella loro immagine di mondo generale, dall’altra c’è il solito bombardamento emozionale del media che strappano lacrime, indignazioni, paure, che non aiutano il pensiero, ma richiedono con urgenza solo il giudizio. E’ bene ciò che sta succedendo o è male? E bene o male per chi, quando, perché? Quello che sta succedendo oggi eccitando la nostra attenzione da pesci rossi o quello che succederà dopo? Dopo quando?
Il Giustozzi, ci rende -in parte- edotti della complessa situazione sul campo. Attenzione, ammonisce il ricercatore, perché se i talebani sono espressione dell’etnia pashtun (circa 42% del totale), uzbechi, tagiki ed hazara (nel totale 45% del totale) potrebbero non esser propensi a sottostare al loro dominio. Ma non è vero neanche il contrario ovvero che poiché di altra etnia di per sé questo implicherà l’esser contro. Nei fatti, molti “gangster” (il termine è del Giustozzi) ovvero capi clanici armati, hanno partecipato al movimento di ripresa del potere. Si tratterà quindi di vedere quanto equilibrio ci sarà nelle spartizioni del potere; chi sarà felice rimarrà lealista, chi si sentirà frustrato nelle aspettative raggiungerà la resistenza anti-talebana. Resistenza che potrà contare anche su altre etnie, varie tribù o vari clan, oltre all’ISIS-K branca locale del network wahhabita. Poi comunque il “potere” dovrà far i conti con la situazione economica e sociale, è lì il vero tribunale dei fatti che promette di esser giudice severo, date le premesse.
Si tenga conto come alcuni avranno letto, che l’A. nel 1980 quindi quaranta anni fa, era di 15 milioni, oggi è di 38 milioni (ONU), nel 2050 è aspettato con questi indici di riproduzione, ad arrivare a 82 milioni, un bel problemino. Molti affiliati al movimento di ripresa del potere di oggi che poco o nulla hanno a che fare con i talebani del 2000, sono appunto giovani disoccupati delle campagne (e non solo), delusi dal governo corrotto che ha dominato negli ultimi due decenni. Cosa faranno se non avranno le soluzioni di vita promesse dal movimento talebano?
Quanto all’etnia pashtun, quella da cui proveniva l’originario movimento degli studenti coranici detti appunto “talebani”, va ricordato che solo un suo quarto si trova in Afghanistan, gli altri tre quarti si trovano in Pakistan. L’organizzazione terroristica Tehrik-e-Taliban Pakistan (TPP) è la principale spina nel fianco del governo di Islamabad, avendo questi come loro obiettivo specifico il rovesciamento del governo pakistano da sostituire con uno stato islamico basato sulla sharia. Hanno fatto circa 35.000 morti in vari attentati dal 2007, procurando danni per stimati 67 mld US$ (IMF-WB). Da notare, come la zona pashtun pakistana sia contigua al passaggio della Belt and Road Initiative cinese, cinesi ritenuti nemici mortali al pari degli americani e del governo pakistano dagli islamisti pashtun.
Intorno all’A. sappiamo esservi coacervo di interessi. Turchia e Qatar, i vari “stan” coi russi in backside, cinesi, pakistani divisi tra il supporto alla causa talebana fino a che era rivolta all’Afghanistan ma ora che i talebani pashtun hanno uno “Stato” da vedere nel riflessi di quali saranno i rapporti tra Kabul e TPP, iraniani, beluci (che stanno in Iran-Afghanistan-Pakistan e sono terreno di cultura per l’ISIS), sauditi una volta molto amici dei pakistani ora molto meno (ma da quelle parti è tutto molto ambiguo e cangiante secondo convenienza), financo indiani.
Tutto ciò, secondo voi, era ignoto alla potente macchina geopolitica americana? Non è pensabile. E vien quasi da supporre che i due-tre anni di trattative USA-Taliban svoltesi nei colloqui di Doha, gli USA abbiamo fatto sapere ai talebani cosa accetteranno e cosa no da parte del nuovo governo, rispetto a questo intricato quadro geopolitico d’area. Ovviamente i talebani, arrapati dalla promessa di poter prender pacificamente l’agognato potere, avranno promesso mari e monti stante che i mari non ce li hanno. Ma chissà se controllano anche tutti i monti e non solo quelli a ridosso della famigerata line Durand. Il governo di Kabul, date le premesse, sarà molto debole e dis-equilibrabile in pochi secondi muovendo qualche pedina sul complicato terreno. Mossa da Washington o da qualche suo alleato del Golfo Persico che da quelle parti ha più dimestichezza o anche lasciando fare alle complesse dinamiche dell’area.
Non è un caso che da Obama a Trump, fino a Biden, i vari presidenti abbiano intuito subito che agli americani, in Afghanistan, conveniva più non esserci che esserci. L’Afghanistan era e promette di essere l’ennesimo stato fallito, un caotico buco nero che ben gestito “from behind”, può regalare molte soddisfazioni alle mire di destabilizzazione della regione. Tra l’altro, leggo che l’A. è leader mondiale tra i produttori di rifugiati da 32 anni, quindi può far ancora molto per la causa dell’Impero, in molti modi.
Quanto a Biden, notava un mio contatto e giustamente, quanta eccitazione critica agiti le redazioni del WP e NYT al traino degli interessi del famigerato complesso militare-industriale-ONG che vive di guerra attiva e conflitto sul campo. Emerge ora quanto fossero proprio i generali, per semplificare un’area di interessi molto vasta e composita, a render impraticabile il ritiro immaginato dai vari presidenti. Cosa per altro nota già a chi ha seguito gli anni scorsi la faccenda siriana. O a sabotare e render scandaloso quello in corso. E’ sempre una lurida questione di soldi, dati al complesso “facciamo guerre ed alimentiamo conflitti che chiamino le nostre forze sul campo” o presi dei Presidenti per politiche economiche interne che rendano la gente meno insoddisfatta che poi son coloro che li votano.
E’ agosto e tra qualche mese nessuno parlerà più di Afghanistan, comunque c’è quasi un 80% di favorevoli in USA al ritiro, gli americani non votano sulla politica estera, manca un anno e mezzo alle elezioni di rinnovo Congresso (coi DEM messi male nei sondaggi), mancano tre anni e passa alla rielezione presidenziale, la situazione Covid in USA è sotto alta tensione (con molti ospedali sempre pericolosamente sull’orlo del collasso) e la “ripresa” autunno-inverno è -nelle previsioni anche di IMF-WB- frenata da questi impiccio virale che nessuno sembra aver ancora capito davvero come gestire e dove prospera l’altro complesso farmaceutico-industriale-sanità privata.
Ci sono due tipi di film da proiettare sullo schermo afgano. Quello “ah ma l’oppio?” o le “Terre rare” o l’immaginifico “corridoio BRI Cina-Kabul” o “Davide alla fine batte Golia perché ha la “fede”” ed altre sceneggiature da b-movie scritte dai tanti opinionisti improvvisati e geopolitici di giornata. Poi c’è il tipo “niente di nuovo sotto il sole” -meno divertente mi rendo conto- ovvero “meglio un buco nero gratis che inghiotte nel caos tutto quanto passa nei paraggi che “l’Impero colpisce ancora” che costa un sacco di soldi e tanto non vince mai perché le guerre non sono più quelle di una volta”. In fondo, era la stessa verità intuita dal rozzo palazzinaro fallito: il mondo è troppo complesso per esser gestito, lasciamolo sviluppare nel suo caos naturale, quando saranno stanchi di casino e disordine ci imploreranno di tornare a fare i poliziotti del mondo.
E’ un calcolo ben fatto? Io non lo so. Chissà, è questa una vera e propria sfida alle capacità di auto-organizzazione di un vero mondo multipolare. Aspetterei gli eventi, la verità -come diceva Deng Xiaoping- va cercata nei fatti. Ora è il momento delle interpretazioni, ma i fatti poi accadono e vincono, sempre.