L’AFFIORAMENTO DEL RIMOSSO, di Pierluigi Fagan

L’AFFIORAMENTO DEL RIMOSSO. In psicologia, la rimozione è il confinamento nelle segrete della psiche di qualcosa che disturba. Il “qualcosa” disturba probabilmente la coerenza della nostra immagine di mondo dello stato cosciente dove per “immagine di mondo” intendiamo l’insieme delle logiche e dei pensieri (convinzioni, giudizi, verità etc.) che animano la nostra mente, quindi noi, almeno nello stato di veglia ossia di coscienza. Ma laggiù nelle segrete della psiche, i guardiani non sono poi molto efficienti, i chiavistelli non sono ben fissati.
Così, sebbene il rimosso sia confinato e spinto nel fondo buio, a volte si ripropone, come avviene con ciò che non si digerisce ovvero ciò che disintegriamo per esser assorbito e così cessare di esistere. Il “rimosso”, non potendo esser digerito, rimane vivo anche se ostracizzato e quindi può sempre tornare a disturbare. Questo è detto “affioramento”, ritorno in superficie di ciò che si tentava di affondare per sempre. Il rimosso di cui vorrei occuparmi è il concetto di “culture”.
Le “culture” sono modi di pensare e di fare comuni ai gruppi umani che condividono una medesima immagine di mondo. A grana grossa, questi “gruppi umani” sono popoli, umani che vivono da tempo assieme in un certo territorio. Prima che esistessero le città stato e poi i regni e gli imperi alla nascita delle società complesse cinquemila anni fa, esistevano proprio le “culture”. Lo sappiamo perché scavando, in archeologia, abbiamo trovato segni di comune cultura materiale non potendo avere reperti di quella immateriale. Le “culture”, in antichità profonda, emergono in certi territori dove l’interrelazione umana, a livello di individui e gruppi, era maggiore (più intensa, più frequente) di quanto individui e gruppi avessero con l’area esterna. Dovendo avere a che fare gli uni con gli altri, sistematicamente, si venne a condensare una cultura condivisa poiché per avere a che fare gli uni con gli altri, ci vuole appunto una condivisione di alcuni elementi di quadro generale, una comune immagine di mondo.
Le “culture”, nell’era moderna che qui definiamo storicamente quindi quale quella europea successiva al medioevo, all’incirca da dopo il XVI secolo (ma essendo una lunga transizione c’è chi ne segna l’esistenza prima o dopo), sono state a lungo un problema. O meglio. Da settanta anni pensiamo siano un problema avendo diagnosticato che il conflitto endemico intra-europeo che per secoli operò incessantemente culminando nel suicidio in due puntate del doppio conflitto mondiale, era mosso appunto dal fatto che i popoli tali definiti per relativa diversità culturale, erano mossi alla reciproca aggressione e tentativo di preminenza, proprio dal fatto che avevano diversa cultura, diversa immagine di mondo. Abbiamo quindi tentato di rimuovere l’esistenza delle “culture”, sperando che in loro assenza manifesta, ci si potesse divincolare dalla coazione a ripetere del conflitto. Ma l’operazione è insensata.
Le “culture” sono epifenomeno dell’esistenza dei popoli, occorrerebbe quindi eliminare i popoli (ovvero le loro distinzioni relative), non è che i popoli spariscono perché si tacitano le loro espressioni culturali. Oppure, si sarebbe dovuto prender il toro per le corna e cercar meglio di capire come i popoli, pur diversi tra loro, possano convivere senza far delle loro obiettiva differenza, motivo di conflitto. Certo non si risolve il problema rimuovendo la loro espressione culturale. Infatti, puntualmente, ecco che le diversità culturali affiorano dalle segrete in cui le si erano confinate pensando che lontane dagli occhi, lontane dal cuore (e dalla mente).
Ciò che rompe i tentativi di contenimento del rimosso è una forte emozione. La rimozione è logico-razionale sebbene spinta da ragioni -in fondo- emotive e le catene logico-razionali sono assai fragili quando sono investite da forti onde emotive. Infatti, coi recenti campionati europei di calcio, ecco riproporsi le forti onde emotive, la rottura dei confinamenti logico-razionali che tentavano di cancellare l’esistenza delle culture, l’affioramento del rimosso, con scandalo. Scandalo per l’eterno ritorno del tribalismo nazionale che pare prerogativa della mentalità maschile. Infatti, tra i vari tentativi di rimozione, c’è anche il fatto che evolutivamente erano gli uomini i guardiani del bordo esterno, molto più propensi a ragionare per codici del “noi” vs “voi”.
Diffusa ignoranza pensa che queste faccende “culturali” siano immateriali quindi facilmente cancellabili per gesto di volontà, quando invece il “culturale” emerge dal “neuronale” ovvero da precise strutture fisiche (bio-chimiche). Cambiare comportamento, smettere di fumare, dimagrire, emanciparsi dalle tossicodipendenze, cambiare idea o peggio “sistemi di idee” per non parlare di “sistemi di pensiero” che presiedono l’azione, è così difficile proprio perché le strutture fisiche (mentali e corporali) non si spostano o cancellano facilmente. Più o meno il tempo che hanno impiegato per formarsi è il tempo che sarà necessario per s-formarle o ri-formarle anche se in questo secondo caso c’è sempre il pericolo dell’affioramento del rimosso.
Così, gli Antichi Greci avevano scoperto utile sospendere il loro eterno conflitto tra città-Stato indicendo periodicamente le Olimpiadi, la guerra sublimata nell’agone sportivo con grandi risparmi di sangue umano e distruzione materiale. Ogni atleta diventava il “nostro miglior cittadino”, noi stessi ma nella versione potenziata, tant’è che gli si erigevano statue in caso di vittoria, tributandogli anche molti altri onori materiali per tutta la durata della loro vita. Così oggi ci sentiamo tutti un po’ Berrettini ed un po’ Chiellini o Bonucci, anche se chi come me è interista, su questa ultima coppia ha processi di identificazione contrastati. Siamo certo della stessa cultura italiana, ma di due tribù fondamentalmente rivali. Ma buonsenso vuole che il senso di tribù maggiore (italiani) subordini quello minore (questa o quella squadra) e così sia, almeno per una settimana.
Divertente quindi notare come il Regno Unito, come tutti i Paesi che ostentano questa “unità” nel nome (Stati Uniti, Unione Sovietica, Emirati Arabi Uniti, a suo tempo Province Unite etc.), non lo siano affatto. Una gioiosa “schadenfreude” (piacere procurato dalle sfortune altrui) ha prima animato scozzesi ed irlandesi del Nord, poi anche gallesi che pure dovrebbero ritenersi assimilati almeno dal Cinquecento in quanto i primi sono popoli indigeni dell’isola addirittura pre-indoeuropei, mentre i secondi e terzi sono di derivazione celtica. Gli angli ed i sassoni invece, sono gli uni di origine danese, gli altri di origine germanica, migrati a forza in quel della Britannia lasciata a sé stessa dal ritiro dei Romani. Popoli barbari ed assai pugnaci, non civili, che divennero le élite dei successivi inglesi, quindi l’aristocrazia, i famosi “baroni” di cui si occupa un buon terzo del Levitano di Hobbes.
Tutte le aristocrazie europee sono per lo più derivate dai barbari invasori. Ancora oggi, la Gran Bretagna, ha una camera “alta” “House of Lords”, derivata dai conflitti tra baroni e monarca del 1215 (Magna Charta), con 680 pari a vita nominati dalla Corona, 84 addirittura con diritto ereditario e 26 vescovi. Dalla riforma del 1999 discutono come eliminare questa anomalia che confligge con il senso moderno, ma invano. Non legiferano ma hanno molti modi per influire sui destini politici britannici (tra cui la Brexit dal punto di vista della riottenuta autonomia a fini di nuovo globalismo ex Commonwealth), quella Gran Bretagna che è per alcuni patria di quello che molti chiamano “capitalismo” e che altri pensano addirittura esser patria della moderna “democrazia” avendo, in entrambi in casi, una certa confusione definitoria dei due concetti.
In una sperimentale psicologia dei popoli, si potrebbe diagnosticare per gli anglo-sassoni un ineliminabile senso di inferiorità a cui fanno diga con un manifesto senso di superiorità che li rende, obiettivamente, poco simpatici. Si ricordi che furono spesso inglesi le prime teorie “scientifiche” della razza (gli anglo-sassoni si sentono “ariani”, la famiglia reale è di origine tedesca sebbene abbia cambiato nome d’origine solo durante la Prima guerra mondiale adottando il nome di Windsor rimuovendo quello vero che recitava Sachsen-Coburg und Gotha e del resto, il principe William è un esemplare dolicocefalo), così come l’idea che fosse naturale il predominio di classe (darwinismo sociale). Infatti, è assai probabile che la citata “schadenfreude” più che comprensibile per le vittime dirette dell’obbligata convivenza nelle due isole dei vecchi britanni, si sia l’altra sera estesa a larghe parti del mondo come ammette un articolo scritto da un keniano su Al Jazeera ripreso da Internazionale.
L’inferiorità è data dal loro lungo dover subire, a loro volta, il senso di superiorità dei civilizzati che li hanno a lungo considerati barbari, quali erano in effetti. In un esercizio di storia controfattuale, chissà quanti tra colo che ne hanno subito le angherie hanno immaginato cosa sarebbe successo se i Romani non si fossero ritirati lasciandogli spazio libero da riempire.
Be’, l’altra sera, nel grande romanzo popolare della storia delle culture, i discendenti dei Romani li hanno sconfitti in quel di Londinium, privando loro di una gioia, regalata invece ai molti che ne hanno vastamente e lungamente subito l’indubitabile egoistica ed arrogante potenza.
Anche questa è “cultura”, certo “popolare”, ma molti amanti a parole del popolo farebbero meglio a coltivare di più le connessioni sentimentali con quel “popolo” che vorrebbero emancipare senza diventare quindi una nuova aristocrazia. Sebbene solo intellettuale, sempre della convinzione di essere i migliori (àristoi), si tratta.
> L’articolo di Internazionale citato: https://www.internazionale.it/…/inghilterra-italia-europei