L’OGGI GUARDA A IERI PER PENSARE IL DOMANI, di Pierluigi Fagan

L’intervista di Putin apparsa significativamente sulla rivista americana National Interest e da noi recentemente pubblicata http://italiaeilmondo.com/2020/06/19/vladimir-putin-le-vere-lezioni-del-75-anniversario-della-seconda-guerra-mondiale/ non ha suscitato particolare attenzione. Segno del provincialismo nel quale annaspano le nostre classi dirigenti e il nostro ceto intellettuale. Con qualche eccezione_Buona lettura_Giuseppe Germinario

L’OGGI GUARDA A IERI PER PENSARE IL DOMANI. Nell’articolo scritto da V. Putin sulla IIWW e pubblicato da una rivista americana oggetto di un precedente post, c’è un invito a costituire una convenzione di storici che riesaminino la storia anche in base a molti nuovi documenti desegretati dal Cremlino che invita le cancellerie occidentali a fare altrettanto, supponendo che forse nei cassetti ci siano ancora cose da tirar fuori. Ma al di là della revisione documentale, Putin sostiene che la causa della IIWW fu nella cattiva pace della IWW e questa è ormai idea ampiamente diffusa presso gli storici. Molti ormai, parlano di una Guerra dei trent’anni (format ben conosciuto nella storia europea) tra 1915 e 1945 con una lunga pausa interna. Del resto, la stessa Guerra dei Trent’anni e quella dei Cent’anni, ebbero lunghe pause interne. Queste “durate” si leggono quando si prende una certa distanza dagli eventi che a livello granulare mostrano significati di un certo tipo mentre quando li si osservano da più lontano, ne prendono un altro. E’ un po’ la differenza che c’è tra grana grossa e grana fine, quella che fa di una macedonia incoerente di pixel, una immagine, come da esempio allegato.

Dal punto di vista storico, stante che non si può pensare che la IIWW sia capitata per caso appena venti anni dopo la IWW, rimane però da spiegare da dove viene questa Prima guerra mondiale. E qui non c’è dialettica tra grana fine e grossa, qui c’è un punto cieco, nessuno sa dire con precisione perché scoppiò la IWW. Quindi l’intero conflitto trentennale, rimane lì appeso ad un punto interrogativo.

Nei miei studi, da tempo mi sono convinto che noi, quel conflitto trentennale, ancora non l’abbiamo ben capito, collocato, spiegato nella cause. Mi si aprì una posizione di distacco epistemico da cui osservare le cose con sguardo nuovo, quando lessi un libricino di un intellettuale asiatico, il quale, pur avendo forti interessi per la filosofia occidentale ed amando molto alcuni pensatori europei, tra cui il Machiavelli, anzi forse proprio per questo, mostrava sincero sconcerto per quello che era successo in quel del primo Novecento in Europa. Essendo asiatico, era immune dalla distorsione etnica ed in fondo anche ideologica, era un vero osservatore (quasi) disinteressato ed in più abbastanza simpatetico con la cultura occidentale nel suo complesso e mi colpì il suo sguardo che in sostanza diceva: come ha potuto la più complessa ed articolata forma di civiltà degli ultimi cinque secoli, suicidarsi ed inghiottirsi da sé in un tale primitivo massacro?

A grana fine, tra libri, documentari, film, noi l’argomento l’abbiamo “normalizzato” anche quando ne abbiamo evidenziato l’immane tragedia. Ma a grana grossa credo che noi l’argomento non lo abbiamo spiegato e capito davvero, proprio per niente. Il che sarebbe anche ovvio visto che solo oggi siamo a settanta anni di distanza dalla fine della Seconda ed ad un secolo dalla fine della Prima.

Volendo accennare oltre, credo che il problema europeo abbia ovviamente lunghi natali ed un clinamen, uno di quegli eventi che disturbano il solito fluire accendendo la scintilla di una carambola impazzita, nel 1870, con la unificazione dei germani. Ma questo ci porterebbe a dover parlare di molte altre cose che non sono nell’oggetto del post. L’oggetto del post era -l’insidioso- invito di Putin a ragionare assieme sulla memoria perché non si può costruire futuro assieme se non si ha una memoria assieme e se non ci si mette nella condizione di voler costruire assieme un futuro, si rischia di ripetere il passato.

Per via di una mia distrazione nella breve ricerca fatta per scrivere quel post sull’articolo di Putin, sono finito su molte riviste americane da American Interest a Foreign Affairs o Policy, in cui non si parlava di questo ultimo articolo del russo, ma della sua ambizione revisionista, basata poi su un presuntuoso atteggiamento da storico “amatoriale” con una davvero sprezzante sequenza di unanime vero “odio umano” nei suoi confronti. Colpiva tale sentimento e chiariva anche quanta nebbia di guerra ancora alberghi nei cervelli che pure vantano qualche cattedra di storia nella Ivy League. Alla faccia dell’avalutatività weberiana! Ora, Putin o Xi Jinping o Modi possono piacere o dispiacere, ma è abbastanza ininfluente il nostro sentimento, visto che sono “fatti”, fatti coi quali si dovrebbe trovare regime di convivenza planetaria, poiché tra le poche cose certe del futuro c’è il piccolo particolare che non possiamo più regolare i problemi di convivenza nello spazio comune con la guerra. Una bella discontinuità sul piano della dinamica storica degli ultimi cinquemila anni, regalataci per sbaglio dalla fisica tedesca del Novecento, che ci converrebbe tener tutti più a mente.

L’argomento del post ha oggi anche una ulteriore attualità nel fenomeno delle statue. Simboli di un certo tipo di memoria, sono oggi in molti casi oggetto di violento revisionismo e violento contro-revisionismo. Certo, fare revisione storica dell’immagine di mondo a colpi di statua sì e statua no è deprimente, ma rivedere la storia di per sé non è sbagliato ove il nostro presente si trovi ad un certo punto su traiettorie diverse da quelle generate ai tempi in cui si eresse una statua. Non è tanto l’aggiornamento del nostro presente il punto, è questo in funzione del futuro. Lì dove vogliamo portare il futuro, implica darci una passato a cui vogliamo dar compiti di fondazione.

In tutto ciò, una cosa pare certa: il nostro futuro occidentale implica fare i conti con i lunghi cinque secoli del moderno perché il futuro sarà qualcosa di molto verso dal moderno, sarà un’altra epoca storica. Ancora non sappiamo dire, ovviamente, che caratteristiche avrà. Ma l’invito di Putin e il movimento delle statue, sembrano almeno invocare l’inclusività.

Fare i conti col colonialismo e l’imperialismo, con le varie oppressioni di etnia, sesso, genere, anagrafe e perché no, di classe o ceto (sebbene il pallino del movimento culturale essendo in mani anglosassoni preferisce le categorie orizzontali diritto-civiliste del progressismo liberale a quelle verticali dell’analisi sociale), non è molto diverso dall’invito del russo a ricostruire un passato comune in Europa per darci un futuro competitivo ma non conflittuale. Non si tratta di far pace nel pensiero, si tratta di condividere i requisiti minimi di una immagine di mondo dentro cui poi ognuno riprenderà le sue posizioni seguendo la sua ideologia nel nuovo contesto. Si sa, il contesto cambia il testo. Ormai nessuno è più dentro la foga delle posizioni che dividevano i medioevali, siamo tutti transitati al moderno, pur poi all’interno di questo assumere nuove posizioni diverse. Si tratta forse di far la stessa cosa, chiudere il capitolo passato per passare a quello nuovo.

Se mentre qualcuno butta giù ed imbratta statue che altri vogliono pulire e restaurare e qualcun altro tira fuori carte d’archivio che raccontano storie meno nobili di quelle che ci siamo raccontati per la buonanotte, qualcun altro provasse ad aprire capitoli di riflessione, potremmo almeno tranquillizzarci sul fatto che questa volta ci sarà un pensiero ad accompagnare la transizione storica. Fossi un intellettuale ne vedrei della opportunità, il problema è semmai esserne all’altezza è in quel “il proprio tempo appreso con il pensiero” che oggi facciamo fatica a coltivare, pare …