SOLO? NIENTE AFFATTO, di Elio Paoloni
SOLO? NIENTE AFFATTO
http://italiaeilmondo.com/2020/04/01/la-solitudine-di-papa-francesco-di-angelo-perrone/
Il pezzo di Angelo Perrone, La solitudine di Papa Francesco, mi ha ricordato un post FB di Alessandro Vietti che sosteneva la tesi della cantonata mediatica a proposito della benedizione urbi et orbi:
“Perché quello che ha fatto, solo, in questa Piazza San Pietro desolatamente vuota, sotto queste nuvole e questa pioggia dal sapore apocalittico, degne di un film di Ridley Scott, è stato a mio avviso quanto di più lontano ci potesse essere dalla comunicazione di un sentimento di speranza e di fiducia nel futuro… una “messinscena” oltremodo tragica, surrealmente tragica, al punto da potersi dire addirittura disturbante come la migliore inquadratura di un film di David Lynch. Perché quello che resterà nell’inconscio collettivo di quell’intervento non saranno tanto le sue parole, bensì la sua immagine, la solitudine e l’impotenza dell’Uomo – di “un” uomo – di fronte alla furia cieca della Natura (del Creato) che innalza il suo urlo triste e disperato contro un cielo di piombo, cieco e sordo”.
Apparentemente Perrone è su un altro versante. In realtà ha la stessa impressione di Vietti e si sforza di giustificare e sublimare il “cortocircuito”.
Io invece non riesco proprio a capire come si possa vedervi un errore – o un inciampo – di comunicazione. E’ passato proprio ciò che andava comunicato: l’impotenza dell’uomo, la violenza della natura, l’incombere dell’Apocalisse, la consapevolezza della propria fragilità, condizione necessaria per rivolgersi a Dio.
Se anche non fosse stata voluta, era necessaria proprio la potenza di quello spettacolo, che Emiliano Ferranti descrive così: “La forza dirompente di un’immagine che è già Storia. La potenza iconica e scenografica dell’Urbe. I colori e i capricci del cielo. Forme e vuoto alternate con geometrica e sacra cadenza. Il crepuscolo di un’era. Vox clamantis nel deserto: è La Foto di un epoca che si nutre di se stessa. Di fotogrammi disorganici e frantumati. Di un’epoca di distanze abissali nel paradosso di vicinanze virtuali, di anime frantumate, di voli rasoterra. E la nostra sconfitta scolpita nello spazio, tra i marmi eterni della Grande Bellezza”.
Vox clamantis in deserto. Come è stato, come è e come sarà. Ma il deserto metaforico è divenuto reale. Qualcuno ha rimarcato – oltre alla solitudine del Papa – la solitudine del Cristo, la foto scattata dopo l’entrata in Chiesa del Papa, col crocifisso desolato di fronte al vuoto. E invece mai come in quel momento il Cristo miracoloso è sembrato davvero il centro del mondo. Fuori dalla clausura di San Marcello e libero da folle turistiche col cappellino da baseball sotto il solleone, eccolo abbracciare la piazza e distendere il colonnato su Roma, sul paese, sul pianeta intero. Mai si era irraggiata così la sua influenza, mai era stata così necessaria la sua benedizione. Folle di astanti mediatici la attiravano, la accoglievano, liberati dal traffico e dalle distrazioni.
E’ mancata, come spesso accade a quest’uomo, la genuflessione davanti al Santissimo. Ma quanti hanno potuto notarla, se è sfuggita anche a me? Non ho alcuna simpatia per Bergoglio ma quando è lì, a pregare e a benedire, vedo solo il consacrato, il tramite, il Vicario, e dimentico le fesserie che spara quando svolazza da un paese all’altro.
La speranza nel futuro che Vietti trovava troncata dalle immagini, un cattolico non la trova nelle folle, nel traffico, nel cielo azzurro: la trova – e l’ha trovata – nell’esposizione di quel cerchio di pane bianco e piatto, piccolo, con tutt’attorno il più prezioso dei metalli, mirabilmente cesellato, il fasto più ardito che l’arte umana abbia potuto concepire e realizzare, la grandiosità dell’architettura più matura e più ricca nell’audacia delle sue forme e dimensioni. Che splendeva ancor di più nell’imbrunire bluastro.
Io ho presenziato in ispirito, insieme a milioni di persone, e la commozione di fronte alla maestà della Chiesa cattolica – l’Eucaristia, il Crocifisso bagnato dalle lacrime del Cielo, la Salus Populi Romani, la preghiera in San Pietro, cuore e centro di tutto l’orbe cattolico, “il luogo, diceva Chesterton, dove tutte le verità si danno appuntamento” – maestà che non è subordinata alle qualità del papa di turno, mi hanno impedito di notare una reticenza nelle parole, quella colta da Antonio Bianco:
“Papa Francesco ha elencato una serie di “manchevolezze” (perché in tutto il suo discorso la parola “peccato” non viene mai nominata) qui riassunte: guerre e ingiustizie planetarie e l’indifferenza verso il “grido dei poveri e il grido “del nostro pianeta gravemente malato”.
Ma se, come affermano alcuni alti prelati, e come la bimillenaria storia della Chiesa insegna, le prove che siamo chiamati a superare sono conseguenza di un avvertimento di Dio, quindi una punizione meritata dall’uomo per i suoi molteplici peccati, e se il Signore lascia che si manifestino affinché l’uomo si ravveda, comprenda e si converta tornando a Dio, alla Sua vera ed unica Chiesa, quella Cattolica, e ai suoi sacramenti, sarebbe stato opportuno un chiaro riferimento ai peccati che ammorbano il mondo contemporaneo: la negazione del primato di Dio, il non santificare le feste, l’ateismo di stato, la negazione perpetua della Verità, gli aborti, gli omicidi, i peccati di adulterio, l’eutanasia, i furti, in pratica la “normalizzazione” di ogni peccato.
Noi non siamo Profeti, non conosciamo i disegni del Signore, e non possiamo affermarlo, ma chi, in cuor suo, non è stato sfiorato dall’idea che quel deserto, quella pioggia, quelle sirene spiegate, abbiano una relazione con il peccato mortale reiterato, negato ed elevato a normalità? Anche un non credente avrà potuto vederci la punizione della Hybris, del prometeismo, della divinizzazione della scienza manipolatrice.
No, quell’uomo non era solo; mai tanti uomini gli sono stati accanto. E non sarà mai solo: ha l’approvazione del Mondo, è in ottima compagnia. Le moltitudini adorano chi evita accuratamente di rammentare il peccato, il giudizio, l’Inferno.