realtà ed illusioni, di Giuseppe Germinario

Dopo quarantotto ore di sapiente attesa il Presidente degli USA Trump ha telefonato a Putin congratulandosi per la sua rielezione e concordando un prossimo incontro ufficiale.

Tutto lascerebbe pensare ad un semplice rituale; nel migliore dei casi ad una aspirazione estemporanea puntualmente frustrata dalla schizofrenia con la quale viene condotta la battaglia politica negli Stati Uniti di questi ultimi due anni.

Il contenuto e il tono differisce intanto dal patetico appello rivolto, sempre telefonicamente, da Macron e dagli evidenti imbarazzi di gran parte delle più importanti cancellerie europee.

L’iniziativa segue di qualche giorno la rimozione di Rex Tillerson da Segretario di Stato, il riallineamento di Session, Ministro della Giustizia, su una posizione di più adeguata difesa di Trump dagli attacchi forsennati.

Il primo avrebbe dovuto garantire la politica di apertura e di trattativa serrata con la Russia, il secondo avrebbe dovuto proteggere Trump dalle pruderie inquisitorie e anzi condurre una politica di radicale riorganizzazione degli apparati investigativi e di intelligence interna; entrambi hanno fallito o mostrato gravi incertezze.

Un riposizionamento tuttavia non ancora concluso e che probabilmente arriverà a minacciare la posizione di alcuni militari presenti nelle posizioni centrali dello staff presidenziale. Un riposizionamento il quale non mancherà di scatenare, ormai come un riflesso condizionato, la canea abituale che imperversa ad ogni atto politico.

http://www.informationliberation.com/?id=58129

Sono tutti segnali che denotano la volontà di passare da una resistenza sorda e passiva, quanto logorante, ad un confronto aperto, dalle linee di condotta, almeno nelle intenzioni, più lineari.

Il momento cruciale, del resto, si sta avvicinando e numerosi indizi, tra i quali alcune recenti elezioni locali, lasciano intendere la concreta possibilità di un esito negativo per il Presidente americano alle prossime elezioni di medio termine.

Un esito che nel migliore dei casi lo paralizzerebbe, nel peggiore lo porterebbe direttamente verso l’impeachement.

Nei prossimi articoli vedremo come i partiti, le forze politiche e i centri di potere si stanno attrezzando in vista di questa scadenza cruciale.

Quello che appare sorprendente è il carattere forsennato degli attacchi; è l’impronta autoreferenziale dei comportamenti politici di centri disposti a tutto; pronti a sacrificare anche parti importanti delle proprie coorti pur di distruggere l’avversario. Le ultime vicende legate a Facebook e alla gestione della rete di dati sono solo l’inizio di una epurazione distruttiva ben più profonda e sconvolgente.

Politiche e condotte che rischiano di compromettere seriamente il delicato e precario equilibrio sul quale si fonda l’attuale formazione sociale americana.

L’iniziativa di Trump sottende probabilmente qualcosa di ben più profondo e radicale, per quanto confuso ed incerto.

In presenza di questo scenario così dinamico e ricco di opportunità, le logore classi dirigenti degli stati europei più importanti cosa fanno?

Anziché lanciarsi in una politica autonoma di apertura verso la Russia, auspicano una ripresa parziale delle relazioni commerciali mantenendo fermi i paletti della politica antirussa più ottusa di questi ultimi anni: riarmo della NATO nella area baltica, sostegno al regime guerrafondaio ucraino, procrastinazione della guerra sempre meno civile e sempre più di ingerenza in Siria, condanna degli aspetti “antidemocratici” del regime russo, mantenimento dell’attuale regime commerciale con gli Stati Uniti.

Un importante esponente dell’Istituto Affari Internazionali, un centro studi italiano, ma di filiazione americana, arriva addirittura a comparare apertamente la positiva linearità della politica estera del precedente Presidente Obama, suscettibile di condurre Putin ad un accordo politico duraturo con il mondo occidentale con la schizofrenia e l’aperta ostilità russofoba della politica estera di Trump.

Un vero e proprio insulto alla realtà di questi ultimi dieci anni di sconvolgimenti geopolitici.

Un mese fa ci ha pensato Lavrov con insolita chiarezza a mettere i puntini sulle ì di questa politica.

Sergey Lavrov e i punti fermi della politica estera russa_a cura di Germinario Giuseppe

Trump ci ha messo certamente del suo ad alimentare queste ambiguità. Quello che appare chiaro, però, è che gli aspetti più ostili e schizofrenici della sua politica estera sono il risultato dell’incertezza dell’esito dell’aspro conflitto presente tra i centri strategici americani e della necessità di legarsi da parte di Trump ad alcuni di essi pur di garantirsi la sopravvivenza. Da qui deriva probabilmente l’eccessiva esposizione verso la componente israelo-saudita in Medioriente e l’accentuazione dell’ostilità verso l’Iran.

Non c’è dubbio, però, che la maggiore pressione verso una aperta ostilità antirussa sia venuta dalla forsennata campagna del Russiagate promossa dai democratici e dai neocon americani.

L’atteggiamento delle decadenti classi dirigenti europee deve servire da monito.

Il sodalizio tra esse e il vecchio establishment americano è forte e fondato su interessi ancora ben radicati nelle formazioni sociali europee. Interessi che non sono in grado più di garantire coesione, stabilità e prospettive di sviluppo all’insieme delle formazioni sociali; pur tuttavia riescono ad assicurare la sopravvivenza di importanti settori dell’economia, degli apparati amministrativi, della coorte mediatica ormai sempre più arroccati nei propri fortilizi.

Le carriere e le ambizioni dei portatori di questi interessi si fondano, probabilmente, su una attesa ed una illusione: la possibilità concreta di una sconfitta di Trump nei prossimi mesi e il ripristino del precedente statu quo.

Una aspettativa che esporrà i paesi europei alle peggiori intemperie con poche difese e con la costrizione di doversi schierare con uno dei due contendenti americani, nel caso meno infausto con quello meno pervasivo, piuttosto che indurre a ricercare una propria autonoma strada tra i diversi attori emergenti.

Non si tratta ben inteso di adottare scelte politiche e soluzioni miracolose ed indolori; piuttosto si deve puntare a prendere o riprendere il controllo delle proprie leve più importanti e ricostituire il controllo in economia delle filiere nei settori fondamentali. Su queste basi, quindi, procedere ad una ricollocazione nel contesto geopolitico internazionale e ad una ridefinizione del sistema di relazioni in Europa.

Sulle filiere è proprio quello che sta facendo Trump. Si tratterebbe di seguirlo. Delle leve gli Stati Uniti dispongono già il controllo. Per le loro classi dirigenti si tratta “soltanto” di contendersele.

In Europa alcuni paesi, in primis Germania e Francia, stanno tentando l’operazione; soltanto però parzialmente e ai danni dei paesi più fragili politicamente. Altri, come, l’Italia, sono ancora in una fase di disarmo accondiscendente e deprimente.

I segnali di novità, per altro, di una formazione di nuovi gruppi dirigenti non mancano; sono però ancora troppo deboli e ambigui rispetto alla gravità della contingenza politica. Denotano, in particolare, per quanto riguarda quelle in buona fede, una terribile sottovalutazione di cosa significhi detenere l’effettivo controllo delle leve di governo e di potere

BUFALE E BUFALOTTI, di Gianfranco Campa

BUFALE e BUFALOTTI

 

I mass media Italiani, compiacenti portavoci dello stato ombra americano, hanno inondato i canali digitali e terresti, rilanciando e riportando le bufale d’oltreoceano costruite ad arte per screditare Trump. Un lavoro metodico, un meccanismo ben oliato che si attiva puntualmente ogni volta che lo stato ombra viene colpito da una torpedine. Nella fattispecie è stato il licenziamento di Andrew McCabe.

L’accusa dei media è la seguente: il licenziamento di McCabe è un attacco alla FBI e alla figura, al ruolo del procuratore speciale sul Russiagate Robert Muller. Inoltre McCabe avrebbe mantenuto un pro-memoria sugli incontri con Trump e queste note sarebbero state ora consegnate a Muller. L’impressione conseguente è che Trump abbia fatto licenziare McCabe per il timore legato al suo ruolo sul Russiagate.

Il vicedirettore dell’FBI Andrew McCabe è stato licenziato, venerdì notte, dal procuratore generale Jeff Sessions, due giorni prima del pensionamento. Il licenziamento gli preclude l’accesso alla pensione. McCabe però non ne avrà bisogno, perché tra lui e la moglie, il patrimonio in comune è stimato in milioni di dollari. Per chi non avesse ascoltato i nostri podcast su Italia Il Mondo, McCabe era già stato sospeso dall’FBI alla fine di Gennaio per le vicende riguardanti il suo coinvolgimento nelle fughe di notizie riservate, rilasciate furtivamente ai mass media e dopo essere stato scoperto; nell’aver mentito, sotto giuramento, agli investigatori dell’ispettore generale Michael Horowitz (nominato da Obama) sul suo ruolo in questi cosidetti leaks (fughe). Questa vicenda fa parte in generale delle manovre condotte dallo stato ombra nel tentativo di screditare e neutralizzare Donald Trump. Lo stato ombra, l’establishment, il potere delle stanze di Washington, che con il licenziamento di McCabe si vedono minacciati direttamente nella loro propria esistenza; ecco quindi il motivo della reazione  negativamente viscerale a questa decisione presa da Jeff Sessions.

Quello che non si dice quindi nei media è la verità  sul licenziamento di McCabe. Come ho detto, Mccabe si è reso responsabile di un serio crimine, di essere accusato di fughe di notizie secretate. Le indagini di Horowitz hanno anche scoperto il potenziale ruolo da co-cospiratore degli agenti Peter Strzok and Lisa Page nel fabbricare le infondate accuse contro il generale  Michael Flynn. Non è stato nè Trump, nè Jess Sessions a consigliare il licenziamento di McCabe, bensì  l’ufficio della Responsabilità Professionale dell’FBI, l’ente del FBI che si occupa delle violazioni etiche all’interno dell’agenzia stessa, sempre che nell’ambiente sia rimasto qualcosa che assomigli alla parola etica.  In altre parole sono stati gli stessi colleghi dell’Agenzia a raccomandare il licenziamento di McCabe. Ci sono voci che sussurrano che molti dei cosiddetti “rank and file”, cioè i dipendenti dell’FBI non amministrativi, sono contenti di questo licenziamento. James Kallstrom, ex vice direttore dell’FBI, 27 anni di servizio, ora in pensione, ha dichiarato durante un’intervista, che molti semplici agenti tirano un sospiro di sollievo ed esprimono la loro silenziosa approvazione al licenziamento di McCabe. Si sentono quindi vendicati dal fatto che un ramo all’interno dell’FBI stesso abbia raccomandato il licenziamento di questo corrotto personaggio.

Ci sono molti altri punti oscuri nella losca figura di McCabe; andrebbero studiati, analizzati in dettaglio, per esempio, il suo ruolo nelle indagini sullo scandalo delle emails di Hillary Clinton, la quale poi fu esonerata da ogni colpa. Se, per sua dichiarazione, McCabe ha tenuto un registro delle conversazioni con Trump, dov’è di conseguenza quello contenente le sue conversazioni con Clinton? Come mai contestalmente alle indagini su Hillary Clinton, la moglie di McCabe, Jill McCabe era in corsa in qualità di rappresentate del partito democratico alle elezioni al Senato della Virginia ? Jill McCabe avrebbe ricevuto 700.000 dollari dall’ufficio politico di Clinton e dal partito democratico.

McCabe era sotto inchiesta dell’ufficio etico dell’FBI per altri tre specifici accertamenti; il suo  coinvolgimento in discriminazioni sessuali, in improprie attività politiche e nella violazione della Hatch Act. Altro che licenziamento, McCabe dovrebbe essere sotto processo e pronto per una bella cella con vista sbarre di ferro.

Quello che realmente colpisce è stata la viscerale reazione al licenziamento di McCabe da parte di molti repubblicani dell’Establishment, dei democratici e dei rappresentanti dello stato ombra, i quali come scarafaggi sotto l’acqua sono usciti allo scoperto. Su Twitter molti di loro si sono addirittura permessi di minacciare direttamente il Presidente. Eric Holder, James Comey, Samantha Powers, John Brennan e via dicendo hanno usato parole forti e minacciose contro Trump; segno che un certo panico sta cominciando a insinuarsi fra questi personaggi. In particolare Brennan ha dichiarato su Twitter: “Quando si scoprirà l’estensione della tua venalità, della tua turpitudine morale e della corruzione politica, prenderai il tuo giusto posto  come demagogo caduto nella spazzatura della storia. Hai trovato come capro espiatorio Andy McCabe, ma non distruggerai l’America … l’America trionferà su di te. “ . Samantha Powers ha rincarato la dose spalleggiando Brennan: “Donald, non e` una buona idea far arrabbiare Brennan.” Una minaccia non di poco conto visto il carattere pericoloso di Brennan. Consiglio tutti di andarsi ad ascoltare il mio podcast su la morte del giornalista Michael Hasting per capire chi sia realmente questo personaggio. Ricordo anche che Brennan nel 2014 è stato accusato, come capo della CIA, di aver mentito al Senato Americano sui programmi di assassinio con droni , tortura e spionaggio illegale. Brennan fu costretto a scusarsi con i senatori americani per le sue menzogne.  Il giornale britannico The Guardian nel 2014 scriveva su Brennan che “Le scuse private non sono sufficienti ad assolvere un difensore della tortura, l’architetto del programma di droni americani e il bugiardo più talentuoso di Washington. La top spia della nazione deve dimettersi” Che Brennan ora si permetti di pontificare sulla ”Turpitudine morale e sulla corruzione politica” di Trump è a dir poco paradossale.

https://www.theguardian.com/commentisfree/2014/jul/31/cia-director-john-brennan-lied-senate

PODCAST nr 9_ ACCELERAZIONI INSPIEGABILI. LO SCATTO IMPROVVISO DI MICHAEL HASTINGS VERSO LA MORTE 2a parte, di Gianfranco Campa

PODCAST nr 8_ ACCELERAZIONI INSPIEGABILI. LO SCATTO IMPROVVISO DI MICHAEL HASTINGS VERSO LA MORTE 1a parte, di Gianfranco Campa

E così ora ci ritroviamo ad assistere  l’ignobile spettacolo dei media intenti a prostrarsi nella venerazione di queste potenze oscure, di queste pericolosissime entità; tutto per un odio viscerale verso Trump che annebbia loro il cervello e consuma quel poco che è rimasto di onesta`e professionalità giornalistica. Tutto ciò però impallidisce di fronte alla sfacciata arroganza dello Stato Ombra finalmente uscito quasi del tutto allo scoperto. La loro reazione equivale all’attraversamento del Rubicone; dovessero continuare su questa strada il punto di non ritorno sarebbe la rimozione di Trump. In quel momento si innescherebbe un meccanismo che difficilmente potranno controllare o fermare. Saranno le stanze del potere ad innescare la seconda guerra civile americana; a porne fine saranno però i patrioti armati fino ai denti che popolano il vasto spazio dell’America di mezzo. Di questo argomento parlerò nei miei prossimi podcast ed articoli;  i tempi purtroppo sono ormai maturi…

 

dal XXI podcast di Gianfranco Campa suggestioni sull’odierna natura della democrazia e sul mito dell’antifascismo Di Massimo Morigi

Leviathan, Behemoth, Giobbe, Giovenale, Schmitt, Kelsen, Neumann e Thomas Hobbes: dal XXI podcast di Gianfranco Campa suggestioni sull’odierna natura della democrazia e sul mito dell’antifascismo

Di Massimo Morigi

Quis custodiet ipsos custodes? è la chiusa del podcast n. 21 (Parte II) – Chi per primo chiuderà il cerchio? di Gianfranco Campa e con questa citazione prima dalle Satire di Giovenale e poi divenuta paradigmatica del confronto Kelsen-Schmitt in merito al Custode della Costituzione del giuspubblicista fascista di Plettenberg (Carl Schmitt, Der Hüter der Verfassung, Duncker u. Humblot, 1931) nel quale Kelsen molto acutamente mostrò la contraddizione schmittiana di far poggiare la tutela della costituzione (nello specifico la Costituzione della repubblica di Weimar) sull’organo monocratico del presidente della Repubblica (e da qui la domanda di Kelsen “chi controllerà i custodi stessi?”), si ha il singolare e straniante effetto, non solo letterariamente assai suggestivo ma anche molto potente dal punto di vista euristico, che dall’attuale feroce lotta di potere politico-giudiziaria in corso oggi negli Stati uniti per rovesciare Donald Trump si viene trasportati nel clima dell’epoca della Repubblica di Weimar con i suoi altrettanto feroci scontri fra gli agenti strategici politici ed economici e che vedevano il popolo tedesco come massa di manovra per alimentare questi scontri. Sappiamo come andò a finire: nessuno riuscì a custodire niente e nessuno e prevalse un potere apparentemente monolitico e, come già si poteva dire allora usando un lessico preso a prestito dalla politologia fascista italiana, totalitario. Ma a questo punto del nostro ragionamento sovviene un’altra suggestione, non presa direttamente a prestito dalle parole del podcast n. 21 di Gianfranco Campa, ma dalla situazione che questo podcast magistralmente rappresenta, e cioè la situazione di assoluto caos che regna fra i poteri della Res publica degli Stati uniti d’America, una repubblica che una scienza politica immolatasi al formalismo giuridico descrive come improntata e forgiata sul principio della divisione dei poteri ma che, in realtà, è basata sullo scontro anarchico e feroce fra questi poteri. E questa situazione di feroce ed anarchico scontro di poteri ha profondissime analogie, solo se si voglia scavare più a fondo di quello che dolosamente non fanno le odierne scienza politica e filosofia politica mainstream, con la dinamica reale dello scontro di potere nel regime nazista secondo la magistrale interpretazione datane da Franz Leopold Neumann, il quale nel suo Behemoth. The Structure and Practice of National Socialism (Franz Neumann, Behemoth. The Structure and Practice of National Socialism, London, Victor Gollancz, 1942), sovvertendo la vulgata che il potere nazionalsocialista era caratterizzato da una ferrea monoliticità al cui vertice stava il Führer, affermava che questo era caratterizzato da una situazione di caotica policrazia, insomma era caratterizzato da una feroce lotta di potere fra i vari organi dello stato e i vari potentati nazisti, una lotta di potere nella quale Hitler non era il feroce burattinaio manovratore di tutti i fili ma, bensì, una specie di terribile e venerato idolo ai piedi del quale si svolgevano autonome e feroci lotte di potere. Sul solco della tradizione ebraica, in particolare il libro di Giobbe, poi anche ripresa da Thomas Hobbes nel Leviathan e nel Behemoth (rispettivamente, Thomas Hobbes, Leviathan or The Matter, Forme and Power of a Common-Wealth Ecclesiasticall and Civil, 1651 e Id. Behemoth: the history of the causes of the civil wars of England, and of the counsels and artifices by which they were carried on from the year 1640 to the year 1660, 1681), e sulla traccia della quale il filosofo inglese utilizza l’immagine del leviatano per rappresentare l’ordine politico da instaurare contro il disordine rappresentato dalla bestia Behemoth, Beemoth rappresenta il caos e volendo terminare con le suggestioni letterarie ma che ritengo abbiano più forza euristica e dialettica delle mille fregnacce che ci vengono propalate dall’attuale scienza politica, è veramente forse qualcosa di più di un’anacronistica analogia affermare che Behemoth possa essere la mitica bestia che contemporaneamente meglio rappresenta il nazismo e l’attuale lotta di potere negli Stati uniti. E questo non per dire, come da stanca vulgata da agit-prop, che gli Stati uniti, popolo tutto e sue istituzioni, sono nazisti ma per dire, molto più semplicemente, una più elementare verità, che vale anche per tutti gli altri paesi del perimetro delle moderne democrazie industriali ed in particolare per l’Italia e che è la seguente: qualora la retorica sulla democrazia e sui diritti umani non sia seguita da una reale maturazione a livello di massa della consapevolezza sull’intrinseca natura di scontro strategico della politica, questa politica, o meglio questa natura strategica, come vera e propria pulsione repressa, assume manifestazioni caotiche violente, non produttive perché razionalmente non riconosciute, e, in ultima istanza, con esiti totalitari, e che alla fine, come nel nazismo, assumono formalmente veste tetragona e compatta (nel nazismo e nel fascismo un riconosciuto e dispiegato diretto totalitarismo del potere, nelle democrazie, sempre un totalitarismo del potere ma formalmente mediato dalle forme istituzionali dell’esercizio del potere, ma forme istituzionali considerate indiscutibili per ogni luogo, tempo e circostanza, e quindi in sé totalitarie), ma che in realtà, sotto la veste dell’uniformante – e reale in entrambi i casi – totalitarismo, non sono altro che il pieno dispiegamento delle caotiche pulsioni conflittuali che le retoriche democratiche ed universalistiche hanno cercato inutilmente di rimuovere e camuffare. In Italia fino all’altro ieri vigeva il Behemoth della retorica antifascista. Il fatto che ora sembra che di questo antifascismo non si sappia ormai più cosa farne, non è certo nostalgia per un ritorno ad una vecchia tragedia ma bensì il tentativo, magari in forme non teoricamente mature, di uscirne definitivamente, avendo percepito che il vecchio caos fascista aveva trovato nella retorica dell’ apparente anticaos antifascista, forma italica degenerata della retorica dirittoumanistica e democraticistica, il suo modo di sopravvivere. Oltre che per la puntuale ed iconoclasta ricostruzione – autenticamente rivoluzionaria ed iniziatica rispetto ai media informativi mainstream – della feroce lotta di potere attualmente in corso nella grande “democrazia” americana, anche di queste suggestioni dobbiamo essere grati dalle cronache americane di Gianfranco Campa. Massimo Morigi – 18 marzo 2018

Podcast n°21 (Parte Seconda) Chi per primo chiuderà il cerchio? di Gianfranco Campa

Gianfranco Campa in questa seconda parte pone finalmente la domanda fondamentale riguardante l’esito del caso Russiagate. Sembra sul punto di offrirci una volta per tutte la soluzione dell’enigma. Alla fine, però, si ritrae.

Il motivo è semplice.

Il Russiagate non è un caso giudiziario, vincolato quindi all’accertamento della verità. E’ un terreno di scontro prettamente politico ma dai connotati di una violenza inaudita e inusuale anche per un palcoscenico così spregiudicato come quello americano. Saranno quindi le prossime scadenze politiche a segnare il finale di questa “novelas”. Quanto più lo scontro diventa violento, tanto più esso assume  le caratteristiche di una lotta tra il bene e il male. Quale sarà il bene lo determineranno come sempre i vincitori. Il suo inevitabile trionfo richiederà il sacrificio definitivo dei perdenti. Il vorticoso valzer di nomine e rimozioni tra lo staff presidenziale rappresenta un ulteriore indizio dell’approssimarsi di questo momento.

Nel frattempo non ci resta che la curiosità di veder scorrere la pletora di personaggi minori intenti ad assecondare nell’ombra queste trame; loro malgrado, di tanto in tanto vengono attraversati dalle luci della ribalta, così segnandone almeno temporaneamente il destino. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

qui il link della 1a parte

http://italiaeilmondo.com/2018/03/12/podcast-n21_chi-per-primo-chiudera-il-cerchio_-di-gianfranco-campa/

qui sotto il podcast

Podcast n°21 (Parte Prima) Chi per primo chiuderà il cerchio? di Gianfranco Campa

Le trame ormai si accavallano e si intrecciano. Nelle intenzioni dei tessitori il Russiagate avrebbe dovuto compiersi in poche settimane e colpire o almeno paralizzare il Presidente Trump isolandolo dallo staff a lui più vicino. L’inconsistenza della costruzione accusatoria e il protrarsi a tempo indefinito delle indagini contribuiscono a minare pesantemente la credibilità dei protagonisti impegnati nell’opera di demolizione. Poco alla volta emergono gli elementi di una vera e propria macchinazione messa in opera e i nomi delle personalità più compromesse. Non è più la caccia senza storia del gatto intento a giocherellare con il topo prima di annichilirlo; il roditore si sta trasformando in un contendente in grado di impensierire seriamente il felino. Gianfranco Campa, passo dopo passo, podcast dopo podcast, sta dipanando pazientemente la trama; i vari burattini abituati ad agire nell’ombra sono man mano ormai allo scoperto. I fili conducono apparentemente ad una sola burattinaia; non è escluso che alla fine possano emergere anche insospettabili convitati di pietra, tuttora dalle grandi ambizioni politiche. Sarebbe lo sconvolgimento completo dell’attuale quadro politico americano già particolarmente instabile. Dietro le rivalità, i complotti e le macchinazioni si nascondono le rivalità personali, ma soprattutto punti di vista divergenti sulla conduzione della politica interna ed estera. Gli altri attori dello scacchiere geopolitico internazionale sembrano averlo compreso ben presto, pur con qualche eccezione sconfortante tutta concentrata nella nostra Casa Europa. Nascondere è forse un termine inadeguato. Si potrebbe dire, piuttosto, che attraverso quelli si realizzano questi ultimi. Il confronto è ancora aperto, anche se non alla pari. Le elezioni di medio termine nell’autunno prossimo potrebbero rivelarsi il punto di svolta decisivo non solo per gli Stati Uniti. L’unica costante dell’intera vicenda rimane la vergognosa connivenza ed omertà del sistema mediatico americano e dei portatori di veline locali sparsi nella periferia. Buon ascolto_Germinario Giuseppe

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-21-1

SIRIA! ELOGIO DELLE SORELLE TRAPPISTE, di Luigi Longo

ELOGIO DELLE SORELLE TRAPPISTE IN SIRIA

di Luigi Longo

 

Chiedo la pubblicazione della lettera aperta delle sorelle trappiste in Siria apparsa sul blog: www.oraprosiria.com del 4 marzo 2018.

E’ una analisi e una denuncia lucida, materiale e spirituale della pesante e drammatica situazione in Siria.

E’ un pensiero critico femminile che si pone nelle contraddizioni reali della vita ben sapendo che il bene e il male fanno parte della storia umana sessuata.

Soltanto la ricerca del senso della vita può tracciare e progettare la strada del bene: il pensiero critico femminile è fondante per la ricerca di un’altra strada sessuata e sensata della vita.

 

Lettera aperta delle Monache siriane: Chiamare le cose con il loro nome, è questo l’inizio della pace

 

Quando taceranno le armi ? E quando tacerà tanto giornalismo di parte ?

Noi che in Siria ci viviamo, siamo davvero stanchi, nauseati da questa indignazione generale che si leva a bacchetta per condannare chi difende la propria vita e la propria terra.

Più volte in questi mesi siamo andati a Damasco; siamo andati dopo che le bombe dei ribelli avevano fatto strage in una scuola, eravamo lì anche pochi giorni fa, il giorno dopo che erano caduti, lanciati dal Goutha, 90 missili sulla parte governativa della città. Abbiamo ascoltato i racconti dei bambini , la paura di uscire di casa e andare a scuola, il terrore di dover vedere ancora i loro compagni di classe saltare per aria, o saltare loro stessi, bambini che non riescono a dormire la notte, per la paura che un missile arrivi sul loro tetto. Paura, lacrime, sangue, morte. Non sono anche questi bambini degni della nostra attenzione?

Perché l’opinione pubblica non ha battuto ciglio, perché nessuno si è indignato, perché non sono stati lanciati appelli umanitari o altro per questi innocenti? E perché solo e soltanto quando il Governo siriano interviene, suscitando gratitudine nei cittadini siriani che si sentono difesi da tanto orrore (come abbiamo constatato e ci raccontano), ci si indigna per la ferocia della guerra?

Certo, anche quando l’esercito siriano bombarda ci sono donne, bambini, civili, feriti o morti. E anche per loro preghiamo. Non solo i civili: preghiamo anche per i jihadisti, perché ogni uomo che sceglie il male è un figlio perduto, è un mistero nascosto nel cuore di Dio. Ed è a Dio che si deve lasciare il giudizio, Lui che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva.

Ma questo non significa che non si debbano chiamare le cose con il loro nome. E non si può confondere chi attacca con chi si difende.

A Damasco, è dalla zona del Goutha che sono cominciati gli attacchi verso i civili che abitano nella parte controllata dal governo, e non viceversa. Lo stesso Goutha dove – occorre ricordarlo ? – i civili che non appoggiavano i jihadisti sono stati messi in gabbie di ferro: uomini, donne, esposti all’aperto e usati come scudi umani. Goutha: il quartiere dove oggi i civili che vogliono scappare, e rifugiarsi nella parte governativa, approfittando dalla tregua concessa, sono presi di mira dai cecchini dei ribelli…

Perché questa cecità dell’Occidente? Come è possibile che chi informa, anche in ambito ecclesiale, sia così unilaterale?

La guerra è brutta, oh sì, sì se è brutta! Non venitelo a raccontare ai siriani, che da sette anni se la sono vista portare in casa… Ma non si può scandalizzarsi per la brutalità della guerra e tacere su chi la guerra l’ha voluta e la vuole ancora oggi, sui Governi che hanno riversato in Siria in questi anni le loro armi sempre più potenti, le loro intelligence… per non parlare dei mercenari lasciati deliberatamente entrare in Siria facendoli passare dai Paesi confinanti (tanti che poi sono diventati Isis, va ricordato all’Occidente, che almeno questa sigla sa cosa significa). Tacere sui Governi che da questa guerra hanno guadagnato e guadagnano. Basta vedere che fine hanno fatto i più importanti pozzi petroliferi siriani. Ma questo è solo un dettaglio, c’è molto più importante in gioco.

La guerra è brutta. Ma non siamo ancora arrivati alla meta, là dove il lupo e l’agnello dimoreranno insieme, e per chi è credente bisogna ricordare che la Chiesa non condanna la legittima difesa; e se anche non si augura certamente il ricorso alle armi e alla guerra, la fede non condanna chi difende la propria patria, la propria famiglia, neppure la propria vita. Si può scegliere la non-violenza, fino a morirne. Ma è una scelta personale, che può mettere in gioco solo la vita di chi lo sceglie, non si può certo chiederlo ad una nazione intera, a un intero popolo.

Nessun uomo che abbia un minimo di umanità vera, può augurarsi la guerra. Ma oggi dire alla Siria, al governo siriano, di non difendere la sua nazione è contro ogni giustizia : troppo spesso è solo un modo per facilitare il compito di quanti vogliono depredare il Paese, fare strage del suo popolo, come accaduto in questi lunghi anni nei quali le tregue sono servite soprattutto per riarmare i ribelli, e i corridoi umanitari per far entrare nuove armi e nuovi mercenari.. e come non ricordare quali atrocità sono accadute in questi anni nelle zone controllate dai jihadisti? violenze, esecuzioni sommarie, stupri… i racconti rilasciati da chi alla fine è riuscito a scappare ?

In queste settimane ci hanno fatto leggere un articolo veramente incredibile: tante parole per far passare in fondo una sola tesi, e cioè che tutte le Chiese di Oriente sono solo serve del potere…per convenienza… Qualche bella frase ad effetto, tipo la riverenza di Vescovi e Cristiani verso il Satrapo Siriano…un modo per delegittimare qualunque appello della Chiesa siriana che faccia intravedere l’altro lato della medaglia, quella di cui non si parla.

Aldilà di ogni inutile difesa e polemica, facciamo un ragionamento semplice, a partire da una considerazione. E cioè che Cristo – che conosce bene il cuore dell’uomo, e cioè sa che il bene e il male coabitano in ciascuno di noi, vuole che i suoi siano lievito nella pasta, cioè quella presenza che a poco a poco, dall’interno, fa crescere una situazione e la orienta verso la verità e il bene. La sostiene dove è da sostenere, la cambia dove è da cambiare. Con coraggio, senza doppiezze, ma dall’interno. Gesù non ha assecondato i figli del tuono, che invocavano un fuoco di punizione .

Certo che la corruzione c’è nella politica siriana (come in tutti i Paesi del mondo) e c’è il peccato nella Chiesa (come in tutte le Chiese, come tante volte il Papa ha lamentato).

Ma, appellandoci al buon senso di tutti, anche non credenti : qual è l’alternativa reale che l’Occidente invoca per la Siria? Lo Stato islamico, la sharia? Questo in nome della libertà e la democrazia del popolo siriano? Ma non fateci ridere, anzi, non fateci piangere…

Ma se pensate che in ogni caso non sia mai lecito scendere a compromessi, allora per coerenza vi ricordiamo, solo per fare un piccolo esempio, che non potreste fare benzina ‘senza compromessi coi poteri forti’, dato che la maggior parte delle compagnie ha comprato petrolio a basso costo dall’Isis, attraverso il ponte della Turchia: così quando percorrete qualche chilometro in auto, lo fate anche grazie alla morte di qualcuno a cui questo petrolio è stato rubato, consumando il gasolio che doveva scaldare la casa di qualche bambino in Siria.

Se proprio volete portare la democrazia nel mondo, assicuratevi della vostra libertà dalle satrapie dell’Occidente, e preoccupatevi della vostra coerenza, prima di intervenire su quella degli altri..

Non ultimo, non si può non dire che dovrebbe suscitare almeno qualche sospetto il fatto che se un cristiano o un musulmano denuncia le atrocità dei gruppi jihadisti è fatto passare sotto silenzio, non trova che una rara eco mediatica, per rivoli marginali, mentre chi critica il governo siriano guadagna le prime pagine dei grandi media.. Qualcuno ricorda forse l’intervista o un intervento di un Vescovo siriano su qualche giornale importante dell’Occidente? Si può non essere d’accordo, evidentemente, ma una vera informazione suppone differenti punti di vista.

Del resto, chi parla di una interessata riverenza della Chiesa siriana verso il presidente Assad come di una difesa degli interessi miopi dei cristiani, dimostra di non conoscere la Siria, perché in questa terra cristiani e musulmani vivono insieme. E’ stata solo questa guerra a ferire in molte parti la convivenza, ma nelle zone messe in sicurezza dall’esercito ( a differenza di quelle controllate dagli ‘altri’) si vive ancora insieme. Con profonde ferite da ricucire, oggi purtroppo anche con molta fatica a perdonare, ma comunque insieme. E il bene è il bene per tutti: ne sono testimonianza le tante opere di carità, soccorso, sviluppo gestite da cristiani e musulmani insieme.

Certo, questo lo sa chi qui ci vive, pur in mezzo a tante contraddizioni, non chi scrive da dietro una scrivania, con tanti stereotipi di opposizione tra cristiani e musulmani.

“Liberaci Signore dalla guerra…e liberaci dalla mala stampa…”.

Con tutto il rispetto per i giornalisti che cercano davvero di comprendere le situazioni, ed informarci veramente. Ma non saranno certo loro ad aversene a male per quanto scriviamo…

 

Le sorelle Trappiste in Siria

 

I DETENTORI DELLA VERITA’ di Gianfranco Campa

 

LA NUOVA CENSURA NEL VENTRE DELLA BESTIA FUTURISTICA

 

Il nostro mondo, quello in cui viviamo quotidianamente è ormai costellato, segnato, manipolato dall’universo dell’alta tecnologia. Un mondo che ci ha dato le piattaforme tecnologiche e i social media che dominano la nostra vita, quella di tutti i giorni, che ci consegna qualsiasi cosa desideriamo, a volte con un solo tocco di dito. Dall’informazione, alla comunicazione, allo shopping, ai rapporti sociali fino a finire alla educazione, le nostre vite sono segnati dal tempo speso su Google,  Facebook, Twitter, Youtube, Amazon, Ebay e così via. Consciamente o inconsciamente, molti di noi dipendono dalla correttezza di queste entità nell’attività di comunicare, comprare, vendere, visionare e perché no, anche monetizzare.

C’è però  un aspetto molto losco, sgradevole in questo nuovo che avanza. Il centro di questo mondo, di questo universo, che sempre di più detta i passi, scandisce l’orologio della nostre vite è la Silicon Valley. Nell’ultimo decennio, questo pezzo di terra nella baia di San Francisco, si è erta non solo a guida ma anche ad arbitro, giudice, tribunale e se necessario, a cecchino delle idee e delle opinioni pubbliche, politiche e sociali. A grandi falcate le industrie della Silicon Valley, forti del loro potere mediatico persuasivo, si  sono erette ed autoelette come paladine , guardiane di una cultura progressiva-liberale-globalizzata che pervade ormai tutti gli aspetti, anche quelli più insignificanti della nostra società e come tale non accetta nessun compromesso, ma semplicemente detta le leggi, le regole delle “diversità” ideologiche. Ciò che è meglio per noi, ciò che è più salutare, piu` igienico per il bene comune viene deciso, letteralmente parlando, da un Mark Zuckerberg o un Sundar Pichai.

Negli ultimi due anni, da quando cioè Donald Trump è entrato in politica, scardinando quei dogma che ormai erano considerati radicati è venuta fuori la vera parte torbida della Silicon Valley. Involontariamente, senza accorgersene, con il suo politicamente scorretto, con il suo pomposo modo di fare, Trump ha esorcizzato il mondo della Silicon Valley, facendone uscire appunto la parte più tenebrosa, spogliandolo della sua aura di finta santità.  Così due anni fa sono cominciati i problemi, sono venute fuori le insofferenze, le intolleranze, l’odio di chi predica libertà di espressione, di comportamenti e di credenze. La Silicon Valley spalleggiata dall’apparato composto da mass media, stato ombra, società segrete, forze di intelligence, sistemi bancari, finanziari e via dicendo, ha mostrato il suo volto reale.

Da quando la Brexit ha scosso le certezze elitiste, da quando Trump è apparso sulla scena, da quando il “populismo” ha cominciato a dominare il discorso politico è immediatamente partita la controffensiva delle classi progressiste-liberali-globalizzate tesa a mettere a tacere qualsiasi voce contraria, dando così inizio alle persecuzioni.  Con il pretesto delle storie di Fake News, siti, blog, canali, voci conservatrici non allineate, si sono ritrovati bloccati, tagliati fuori dai motori di ricerca di Google, bannati da twitter, cancellati da Facebook, sospesi da youtube, hackerati dalle orde barbariche. Impiegati di google si sono ritrovati licenziati dal giorno alla notte solo per aver espresso un idea non conforme al resto dell’universo google. Siti e piattaforme digitali informative di “destra” sono stati costretti a cessare le loro attività.

Alcuni esempi: il 13 di Gennaio il sito web Right Wing News ha cessato le operazioni. Era un sito popolarissimo nell’ambito degli attivisti di destra. Nato nel 2001, era  diventato mastodontico grazie alle condivisioni e ai passaparola su Facebook. Nel luglio del 2015 la pagina Facebook di Right Wing News aveva raggiunto 133 milioni di persone. Il Right Wing News aveva quasi 3,6 milioni di “mi piace” su Facebook . Era, in termini di numeri, in diretta competizione  con i giganti giornalistici americani generando la stessa quantità di traffico web di alcuni dei più grandi giornali americani. Con la scusa delle Fake News e delle ingerenze Russe nelle elezioni presidenziali, Facebook ha cominciato a bloccare, oscurare i contenuti del sito, facendolo gradualmente, per non destare sospetti e quindi l’ira dei lettori. Un lavoro paziente, sistematico, metodico, portato a compimento nel lungo termine. Se Facebook avesse oscurato ogni pagina conservatrice da un giorno all’altro, ci sarebbe stata un’enorme protesta. Ironia della sorte, molti siti sono cresciuti grazie a Facebook e sono morti grazie a Facebook, in altre parole ciò che Facebook dà, Facebook può portare via. Senza una entità capace di sostenere con milioni di dollari un progetto mediatico serio, la monetizzazione proveniente da google, facebook, youtube e twitter non poggia su solide fondamenta poiché e`alla mercé dei furori umorali e ideologici della Silicon Valley.

C’è poi anche la storia della tattica del “Shadow Banning” usato da twitter. Storia-denuncia, portata alla luce dall’attivista conservatore James O’Keefe, direttore del Project Veritas, organizzazione che segretamente registra con audio e video incontri in incognito con figure e lavoratori di organizzazioni accademiche, governative, private e statali, di lucro e non, che esprimono o descrivono pregiudizi ai danni di persone, entità, organizzazioni conservatrici. Project Veritas ha esposto qualche tempo fa`, registrando segretamente, impiegati di Twitter che hanno ammesso come Twitter applichi lo “Shadow Banning” contro simpatizzanti e organizzazioni conservatrici di destra. Shadow Banning è anche noto come “Stealth Banning” oppure “Hell Banning” e viene usato per bloccare siti o utenti “indesiderati”. Per esempio viene comunemente usato anche da altri gestori di servizi online per bloccare i contenuti pubblicati dagli spammer. Twitter, in questo caso, invece di mettere al bando direttamente un utente, classifica i suoi contenuti come spam; il malcapitato viene quindi semplicemente “nascosto” alla vista pubblica. In molti casi i proprietari dei siti  “bannati” non si rendono nemmeno conto di essere stati oscurati.

Un altro esempio è quello del Prager University, una organizzazione mediatica conservatrice che genera video a scopo educativo. La piattaforma mediatica di Prager University è enormemente  popolare. I video di Prager sono visti da milioni di persone. Il canale youtube di Prager annovera più di 1, 2 milioni di iscritti. Alcuni video hanno generato milioni di visitatori, fino a 6,3 milioni di visioni per l’esattezza. Eppure anche Prager è rimasta vittima degli insofferenti cervelloni della silicon valley. Youtube per ridurre la monetizzazione al fine di minare l’esistenza di Prager  ha catalogato alcuni video di Prager inserendoli nella lista restrittiva; i video di Prager cioè non sono visibili nelle scuole, nelle biblioteche e in qualsiasi casa dove ci sia un filtro antipornografico, nonostante che Prager sia un sito assolutamente pulito. Prager ha risposto facendo causa a Google del quale youtube e una sussidiaria. La battaglia legale si preannuncia interessante e infuocata.  Un caso che verrà seguito da moltissime persone, entità e organizzazioni che hanno un interesse personale in questa vicenda. Youtube è una compagnia privata e quindi non legata agli obblighi costituzionali della libertà di parola. Gli avvocati di Prager cercheranno di argomentare che la piattaforma dei social media è l’equivalente di una nuova piazza pubblica; un posto in cui vai quando vuoi partecipare ad un evento pubblico; di conseguenza le disparità di trattamento sono da considerarsi discriminatorie. Sarà interessante vedere se gli avvocati di Prager riusciranno a convincere i giudici della logica di questo argomento.

E così mentre nella Silicon Valley sale in cattedra la censura, il lento, inesorabile, esodo di quei già pochi imprenditori e lavoratori che si definiscono di destra è cominciato. Quelli che rimangono lo fanno a loro esclusivo rischio; nel più benevolo dei casi di essere emarginati, nel peggiore di perdere il posto, licenziati senza se e senza ma.

Uno dei leggendari imprenditori della Silicon Valley, il fondatore di Paypal, membro del Consiglio di Amministrazione di Facebook, Peter Thiel è stato forse l’unico che ha sostenuto Trump durante le elezioni presidenziali. Thiel non è il tipico esempio della Destra dura e pura americana, composta da patrioti armati fino a denti i quali si ritrovano nel weekend col fuoristrada nei boschi a sparare, cacciare e bere birra. Thiel fa parte piuttosto di un crescente numero di nuovi arrivati al movimento conservatore che mostra un aspetto più variegato rispetto agli stereotipi del conservatore tradizionale. Peter Thiel, come molti altri che si sono accostati al movimento di Trump, è un gay dichiarato, non interventista, di definizione nazionalista. Rigetta il concetto di neoconservatorismo e si distacca dalle componenti dell’establishment, pronto quindi a mettere a frutto la sua conoscenza informatica/imprenditoriale per la causa Trumpiana. L’investitore miliardario ha catturato i titoli dei media quando nel 2016  fu il primo relatore della storia, dichiarato gay, a salire sul palco della Convention Nazionale Repubblicana. All’epoca dichiarò che “ogni americano ha un’identità unica. Sono orgoglioso di essere gay. Sono anche orgoglioso di essere un repubblicano, ma soprattutto sono orgoglioso di essere un americano.

Per questo suo sostegno a Trump, Thiel ha pagato un prezzo altissimo, marginalizzato dalla Silicon Valley, condannato dai suoi stessi “amici”, si è ritrovato nella terra di mezzo, pagando in prima persona il suo anticonformismo.  Il sostegno di Peter Thiel a Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane del 2016, nonostante le smentite, non solo ha danneggiato la sua relazione e la lunga amicizia con l’amministratore delegato e fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, ma ha convinto l’imprenditore Thiel a lasciare del tutto la Silicon Valley. Il sostegno di Thiel al presidente Trump lo ha emarginato nelle stanze del potere della Silicon Valley, irritando tra l’altro il resto del consiglio di amministrazione di Facebook dove ricopriva un ruolo da direttore sin dal lontano 2005. Anche l’amministratore delegato di Netflix, Reed Hastings, avrebbe direttamente criticato Thiel per il suo sostegno a Trump, mettendo in discussione le capacità di giudizio di Thiel.

Thiel è stato uno dei primi investitori di Facebook, uno che se ne intende di piattaforme social e media.  Secondo un articolo pubblicato sul Wall Street Journal, Peter Thiel ha deciso di trasferirsi lasciando San Francisco. Dopo aver trascorso quattro decenni nel nord della California, Thiel sta spostando la sua residenza e le sue società di investimento a Los Angeles. Sempre secondo il Wall Street Journal, il cinquantenne ha una villa di 650 metri quadri che si affaccia sulla Sunset Strip. Si prevede che anche i 50 dipendenti di Thiel Capital e Thiel Foundation si trasferiranno nella città degli Angeli. Thiel avrebbe qualche tempo fa, durante un incontro alla Stanford University, dichiarato che “La Silicon Valley è uno stato monopartitico

In apparenza Thiel si trasferisce dalle fogne liberal-progressiste della silicon valley a quelle liberal-progressiste di hollywood. Ma in realtà l’area di Los Angeles è diversa da quella di San Francisco. Pur essendo ampiamente democratica, a Los Angeles si sono ritagliati uno spazio e hanno sede le grandi, medie e piccole entità mediatiche che si identificano con la Destra Americana. L’area di Los Angeles e` diventata il bunker dove i sopravvissuti all’olocausto Repubblicano in California hanno trovato rifugio. Il conglomerato mediatico conservatore è ancora poco rilevante rispetto ai giganti liberali; eppure qualcosa sta cambiando. A Los Angeles hanno sede istituzioni mediatiche di Destra come Breitbart, Prager University, The Daily Wire, The Drudge Report e molti altri. E quindi entrano in gioco altre ipotesi e cioè che Peter Thiel si stia preparando con altri partner a creare un gigante dell’informazione destra-nazionalista. Secondo voci da confermare Peter Thiel e Rebekah Mercer sarebbero in trattativa per formare un’organizzazione mediatica. In questi ultimi anni, molti soldi dei due miliardari sono finiti tra i contributi finanziari elargiti al partito Repubblicano; rispetto però ad altri filantropi tradizionali “conservatori”, come per esempio i fratelli Koch, Thiel e Mercer non sono entusiasti del partito Repubblicano così come attualmente configurato. I due imprenditori hanno mostrato in tante occasioni insofferenza verso l’Establishment del Partito Repubblicano.

Thiel è in simbiosi con Trump; odia l’Establishment, ritiene certi concetti ideologici del centro destra superati, come per esempio il neo-conservatorismo e comprende che la battaglia presente e futura si giocherà su una revisione del conservatorismo stesso. Più polarizzata su un nazionalismo identitario piuttosto che su una visione globale del concetto conservatore.  In questo contesto Thiel e Mercer sanno benissimo che senza uno strumento mediatico importante di supporto a una nuova destra americana, il concetto di un nuovo movimento conservatore è destinato a fallire; durerà una stagione, quella di Trump, per poi essere relegato negli annali della Storia Americana.

La battaglia è appena cominciata, la montagna da scalare enorme, le forze oscurantiste potenti, ma se c’è un personaggio che può addomesticare il Dragone della Silicon Valley, inceneritore di idee alternative e forza di appiattimento culturale è proprio Peter Thiel. Partorito dal ventre della bestia della Silicon Valley, Thiel ne conosce le forze e le debolezze. La guerra è appena iniziata.

 

 

I MAESTRI DEL NULLA GOVERNANO PACE E GUERRA SFRUTTANDO LA NOSTRA IGNORANZA, di Antonio de Martini

I MAESTRI DEL NULLA GOVERNANO PACE E GUERRA SFRUTTANDO LA NOSTRA IGNORANZA. tratto da https://www.facebook.com/antonio.demartini.589/posts/1352550311557423

Su proposta del Kuwait e della Svezia – cioè degli Stati Uniti- è stata presentata – e approvata con voto unanime- una risoluzione, priva di sanzioni per i trasgressori, in cui si chiede una tregua ” per trenta giorni consecutivi” durante i quali sia possibile evacuare – non si dice verso dove- i feriti più gravi e rifornire 1244 tra città e villaggi ” assediati” da non meglio specificate truppe.

Per accontentare il delegato siriano Jaafari, spalleggiato dalla diplomazia russa, il testo aggiunge che la tregua non è valida per alcune fazioni ” The truce does not apply to military operations against Islamic State, al-Qaida and the Nusra Front “and other terrorist groups as designated by the security council”.

Poiché è ormai chiaro che

a) oltre il 45% del territorio siriano era già in mano alle truppe lealiste e comprendeva il 70% degli abitanti del paese.

b) le organizzazioni ribelli escluse dalla tregua: EI, AL KAIDA,AL NUSRA, rappresentano il 90% dei combattenti ribelli e a questi si aggiunge la dizione ” a coloro giudicati tali dal Consiglio di sicurezza”.

c) la tregua non si applica alla enclave di Afrin assediata dalle truppe turche, nei pressi del confine, di cui non si fa menzione alcuna.

d) non si fa parola dei ” combattenti curdi” che hanno recentemente occupato la fascia frontaliera tra Turchia e Siria suscitando la reazione delle truppe turche che già combattono da trenta anni i curdi dalla loro parte della frontiera.

La tregua umanitaria serve a considerare utile il Consiglio di sicurezza, umani i componenti che da sei anni tentano di trovare una formula di compromesso accettabile a tutti e intelligente la signorina Halley che presentando la proposta di tregua per interposta persona da l’idea che la guerra di Siria non sia già perduta.

Nessuna notizia invece dallo Yemen , dove una tregua – e urgenti rifornimenti medici sarebbero utili a stroncare l’epidemia di colera in corso- e dall’Afganistan dove le truppe USA sono sul terreno da sedici anni e continuano a costruire strade strategiche smagnetizzabili in direzione nord, mentre il “pessimo Iran” ospita tre milioni di profughi Afgani sul proprio territorio.

L’Iran non gode di tregue e continua ad essere sottoposto a sanzioni economiche a richiesta di Benjamin Netanyahu inseguito dalla propria polizia per aver unito l’utile al dilettevole nel settore delle forniture militari e non.

Facciamo due conti: se ci sono 1244 borghi sotto assedio, poniamo ciascuno da parte di una sola compagnia di cento uomini ( senza sostituzioni) , abbiamo 124.000 soldati lealisti ai quali andrebbero aggiunti , diciamo trentamila lasciati a presidio delle grandi città ( Damasco, Aleppo, Hama, Homs, Deraa, Deir Ezzor, le frontiere, gli aeroporti ecc). Aggiungiamo un battaglione di mille uomini accorsi in aiuto ai curdi di Siria in funzione antiturca ( che i media USA hanno dato per bombardato) , e abbiamo un totale di 155.000 militari ( più aeronautica e Marina e polizia), ossia, in totale il doppio delle truppe disponibili a inizio ostilità.

Una seconda considerazione territoriale. Se a DAESCH sconfitto restano 1244 borghi in mano ai ribelli ( altrimenti perché risulterebbero assediati?) dovremmo concludere che il totale borghi in mano ai ribelli non può essere stato – guerra durante- inferiore a cinquemila…..

Ultima considerazione di carattere “umanitario”.
Se per evacuare i feriti e gli inabili ( e i combattenti armati…) da Aleppo fu necessaria una settimana, come mai per svuotare villaggetti serve il quadruplo del tempo?
Se per evacuare gli Yazidi dall’area del Monte Sinjiar – stimati in cinquantamila e risultati cinquemila che rifiutarono il trasferimento – fu previsto un ponte aereo lampo, come mai trenta giorni adesso?

Risposta malevola mia: forse con questa tregua di lunga durata vogliono evacuare i consiglieri americani, i “jihadisti” provenienti dall’area occidentale europea e israeliana e preferiscono che avvenga alla spicciolata nel tentativo di evitare che vengano notati da qualche giornalista in cerca di scoop.

EPILOGO DI UNA FARSA?_ di Gianfranco Campa

Mueller ha reso pubblici i capi di accusa contro tredici cittadini russi accusati di intrusione nelle elezioni presidenziali americane. Ciò che colpisce però non sono questi capi di accusa contro fantomatici agenti russi; sono piuttosto le parole, i concetti espressi durante la conferenza stampa da Rod Rosenstein,  il vice di Jeff Sessions al Dipartimento di Giustizia. Se si seguono  attentamente le  parole di Rosenstein  la vera notizia, il  titolo più adeguato è che la presunta collusione Trump-Russia non sembra per il momento esistere. Questo è abbastanza chiaro leggendo i documenti di accusa. I cittadini russi accusati dal procuratore speciale Muller sono: MIKHAIL IVANOVICH BYSTROV, MIKHAIL LEONIDOVICH BURCHIK, ALEKSANDRA YURYEVNA KRYLOVA, ANNA VLADISLAVOVNA BOGACHEVA, SERGEY PAVLOVICH POLOZOV, MARIA ANATOLYEVNA BOVDA, ROBERT SERGEYEVICH BOVDA, DZHEYKHUN NASIMI OGLY ASLANOV, VADIM VLADIMIROVICH PODKOPAEV, GLEB IGOREVICH VASILCHENKO, IRINA VIKTOROVNA KAVERZINA, e VLADIMIR VENKOV . Nessuno di questi personaggi risiede negli Stati Uniti e di conseguenza nessuno di loro vedrà mai le pareti di una cella americana. Aspettiamo ora la reazione di Putin e le decisioni che i Russi prenderanno in conseguenza di queste nuove accuse degli americani. Qui trovate il testo completo delle imputazioni formulate da Robert Muller: https://www.justice.gov/file/1035477/download

 

Come detto sopra, l’atto d’accusa riguarda  13 cittadini russi e tre organizzazioni (entità) russe le quali, a detta di Muller, hanno condotto una “guerra dell’informazione” durante il ciclo elettorale presidenziale. Secondo gli atti di accusa, queste persone; “supportavano la campagna presidenziale dell’allora candidato Donald J. Trump e hanno lavorato a denigrare Hillary Clinton.” Ma dopo l’elezione di Trump, sempre secondo la stessa accusa, “i convenuti e il loro co-ispiratori hanno usato personaggi sotto falso nome negli Stati Uniti per organizzare e coordinare ulteriori personaggi sotto mentite spoglie per organizzare e coordinare raduni politici statunitensi di protesta contro i risultati delle elezioni presidenziali del 2016. Una di quelle manifestazioni, tenutasi il 12 novembre 2016, adottava lo slogan. Trump NON è il mio presidente. No non è` uno scherzo! Siamo di fronte a pura follia russofobica mischiata a una totale confusione ideologica e politica.

 

Che dire poi del fantomatico coordinamento elettorale tra i Russi e la campagna Trump? Secondo l’accusa, “alcuni imputati, presentandosi come persone statunitensi e senza rivelare la loro origine russa, hanno comunicato con individui inconsapevoli impegnati nella Campagna di Trump e con altri attivisti politici per cercare di coordinare le attività politiche“. Non è collusione, a meno che la campagna di Trump sapesse che stava lavorando con fonti russe. La collusione, per definizione, si compie solo se hai sollecitato e ricevuto aiuto, consapevolmente, da fonti straniere. Fino ad ora nessuno dei personaggi coinvolti nella campagna di Trump è stato implicato in atti di collusione. Ricordo che lo stesso Michael Flynn è accusato di aver mentito all’FBI, non di aver collaborato con i Russi. Questa mancanza di collegamenti diretti tra Trump e i Russi crea un buco piuttosto grande nella teoria secondo la quale i russi stavano lavorando a braccetto con i funzionari della campagna di Trump. Dopo 10 mesi e  milioni di dollari spesi dai contribuenti, le indagini di Muller e dei suoi compagni di merende non sono riusciti a produrre un solo straccio di prova della collusione diretta fra Trump e i Russi. Questa linea di attacco contro Trump sembra sempre meno logica. Rod Rosenstein durante la conferenza stampa afferma categoricamente che : “Non vi è alcuna prova in questi capi di accusa che cittadini americani fossero partecipi e consapevoli in questa attività illegale. Non vi è alcuna prova che attesti che la condotta degli accusati abbia modificato l’esito delle elezioni.”  A questo punto la domanda logica da farsi è la seguente: Quanto ancora durerà il teatrino di questo Russiagate? https://www.youtube.com/watch?v=5rAxiX8Tiu0

 

Secondo i capi di accusa questi “guerrieri” russi dell’informazione avrebbero usato le piattaforme dei social media per influenzare le elezioni americane, principalmente twitter e Facebook. Anche se questo fosse vero, a mio parere, nessuno di queste interferenze ha spostato l’ago della bilancia elettorale di una virgola durante le presidenziali, soprattutto negli stati del Rust Belt. Gli elettori del Wisconsin sono andati a votare a favore di Trump contro Hillary perché erano stufi dello status quo politico non perché qualche oscuro blogger Russo chiamato “army of jesus” li ha convinti a cambiare voto da democratico a repubblicano. Per il resto se vogliamo realmente parlare di influenze straniere in elezioni terze, basta guardare a quello che fecero gli americani durante gli anni novanta quando l’amministrazione Clinton influenzò pesantemente le elezioni russe a favore di Boris Yeltsin . Stendo qui un velo pietoso su questa meschina caccia alle streghe che Mueller e i suoi co-cospiratori hanno intrapreso ai danni di chiunque abbia avuto rapporti con entità russe. Ormai siamo oltre anche alla fobìa del Maccartismo; nemmeno all’epoca di caccia alle streghe Sovietiche si era arrivati così a fondo. Poi, parliamoci chiaro: se i russi hanno interferito nelle elezioni americani quanti capi di accusa si meriterebbe il personaggio che per decenni a colluso e tramato nel minare governi e elezioni in almeno mezzo mondo? Parlo di George Soros… e delle sue entità ormai quasi misteriose.

20° PODCAST_GLI AMANTI (DEI) SEGRETI, di Gianfranco Campa

Negli Stati Uniti continua lo scontro politico innescato dalle recenti elezioni presidenziali. Quella che sembrava una caccia con una muta di cani pronta ad avventarsi senza scampo sulla preda, impegnata al massimo a schivare i colpi più letali si sta trasformando lentamente in un inseguimento che rischia di sfiancare i predatori. Pensavano i baldanzosi, probabilmente, di infilzare una lepre, al massimo una volpe; rischiano, invece, di stuzzicare pericolosamente la rabbia di un orso. La spedizione punitiva si sta lentamente trasformando in un duello durante il quale la vittima designata riesce ad organizzare le forze e inizia a restituire qualche colpo pesante. Gianfranco Campa non riesce a completare la sua egregia opera di informazione che nuove notizie continuano ad accavallarsi. In una conferenza stampa appena conclusasi il Vicesegretario alla Giustizia Rosenstein ha annunciato che l’inchiesta condotta dal procuratore Mueller ha portato all’incriminazione di tredici cittadini russi impegnati in attività di condizionamento della vita politica americana. Lo stesso ha categoricamente smentito ogni collusione o complicità di funzionari e personaggi politici americani. Una dichiarazione che lascia intravedere la ricerca disperata di una via di uscita che in qualche maniera consenta di salvare la faccia e le carriere dei protagonisti di una vera e propria caccia alle streghe sino ad ora inconcludente e in futuro probabilmente controproducente per gli stessi artefici. Secondo le conclusioni l’operazione di influenza avrebbe riguardato non solo le elezioni presidenziali, ma anche le primarie del Partito Repubblicano e curiosamente anche di quello Democratico a discapito esclusivo della candidata Hillary Clinton e a favore del suo contendente Sanders, sconfitto quest’ultimo, come ormai accertato, con velenosi colpi bassi. Vedremo se anche questa volta la stampa americana e di riflesso quella italiana riusciranno a distorcere platealmente le dichiarazioni e il corso degli eventi. Gianfranco Campa sembra ventilare la possibilità che cotanto furore persecutorio possa ritorcersi contro alfieri e paladini. Il curioso coinvolgimento di Sanders nell’inchiesta potrebbe essere l’indizio che i protagonisti più spietati delle ritorsioni potrebbero alla fine annidarsi addirittura in casa democratica piuttosto che nell’entourage del Presidente Trump. Qui sotto il link del podcast.

Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 

https://soundcloud.com/user-159708855/podcast-episode-20

 

 

 

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