Rielezioni in Spagna, di Antonio de Martini

La Spagna ha tenuto la sua terza elezione politica in quattro anni.
A Sánchez mancano 53 voti per avere la maggioranza utile a governare.
Il dato fondamentale è che assistiamo ad una polarizzazione delle forze politiche, all’aumento della partecipazione al voto di quasi dieci punti percentuali, al crollo dei popolari, alla nascita di un partito di estrema destra (vox) che da zero è passato a 27 deputati.

Appare chiara la motivazione del gesto inelegante di Sanchez che volle sfrattare la tomba del generale Franco dalla “valle de los caidos” dove riposano assieme i morti delle due parti: provocare la fuga degli elettori dai popolari verso Vox per indebolire il centro.

L’apprendista stregone c’e riuscito, ma non ha ugualmente ottenuto la maggioranza ed ora non ha un partner moderato su cui contare.

Vox entra in Parlamento dove l’estrema destra era assente dalla caduta del franchismo nel 1975.

Il tema caldo della Catalogna ( su cui Vox ha inspiegabilmente glissato divergendo l’attenzione verso la polemica anti-Islam finora inesistente in Spagna) rischia di provocare un ulteriore aumento dei seggi di Vox alle prossime elezioni che mi paiono inevitabili entro un anno o poco più.

A quattro elezioni in cinque anni, la crisi, anche istituzionale, sarà evidente mentre alcuni partiti ( popolari e ciudadanos certamente) dovranno cambiare la fallimentare leadership prima del prossimo confronto generale.

Più la situazione si incarognirà, più il boccino tornerà in mano al re, al quale non resteranno che scelte drastiche in mancanza della alternativa moderata del PP.

IL TESTAMENTO SPAGNOLO, di Antonio de Martini

IL TESTAMENTO SPAGNOLO

Tra un paio di giorni, la Spagna ci dirà se vuole restare unita oppure farsi preda di una delle periodiche convulsioni che contagiano regolarmente l’Europa.

Eppure sembriamo non capirlo. Preferiamo guardarci l’ombelico della nostra crisi senza capire che siamo inestricabilmente connessi a tutte le convulsioni del mondo Mediterraneo.

Per tre secoli gli spagnoli hanno dominato il globo e sono passati dal dominio alla irrilevanza in maniera inusitata : senza aver subito invasioni o perso una battaglia “storica” decisiva che segnasse la fine.

Sono stati distrutti – con una “ guerra senza guerra” e cento mini sconfitte- dalla inflazione per troppa ricchezza che non hanno saputo gestire e dalla superiorità di interpretazione della realtà degli anglosassoni che hanno logorato questo grande impero militar-cattolico sostituendolo gradatamente con un impero commercial-protestante basato sul dominio del mare.

Grandi studi sono stati realizzati negli anni sugli imperi, dal romano, al cinese all’ottomano, ma pochi sanno come Madrid sia passata da capitale del vecchio e nuovo mondo a buen retiro dei Borboni.

Credo che la ragione dell’oscuramento subito da questi studi, sia da ritrovarsi nella grande somiglianza con la situazione dell’Unione Europea. Potrebbero suggerire paragoni.

L’UE , per numero di abitanti, capacità tecnologiche, potenza commerciale, non è, finora, stata seconda a nessuno nel mondo.

Questo gigante commerciale, culturale, scientifico e demografico, è stato però progressivamente ridotto a un nano politico e gli è stato impedito di dotarsi di un apparato difensivo all’altezza del necessario.

È stato provato della capacità di iniziativa politica e sociale e paralizzato progressivamente.

Senza addentrarci nella Storia, constatiamo che siamo stati incapaci di risolvere il problema dei rapporti con gli USA e con la Russia, di convincere l’Inghilterra a non violentare la geografia e la storia allontanandosi da noi, abbiamo ceduto alle suggestioni egoistiche nazionali di ciascuno senza capire che il livello cui i problemi si pongono è ormai irreversibilmente continentale.

Non abbiamo nemmeno risolto problemi locali come Cipro o Gibilterra o il problema basco.
Non abbiamo stabilizzato il Levante o assorbito armonicamente la Turchia.

Ci siamo fatti imporre il controllo dei traffici marittimi e aerei con gli stessi mezzi che condizionarono gli spagnoli nel XVII e XVIII secolo: la pirateria e la finanza, l’ipervalutazione politica delle minoranze religiose o etniche usate come grimaldello per incrinare il grande valore dell’Unità.

Ci siamo regolarmente fatti imporre lo spartito del concerto, spesso da musicisti da strapazzo, stonando comunque.

Tra due giorni, vedremo se almeno gli spagnoli hanno imparato la lezione, restando uniti e concordino se abboccheranno al nuovo problema della grottesca “ indipendenza” catalana.

Poi tra un mese toccherà a tutta l’Europa.

Dopo l’ora x della Catalogna, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto una intervista ad un dirigente indipendentista catalano sulle rivendicazioni della regione. Il segno che le pesanti frizioni tra governo centrale e le forze separatiste proseguono. A fianco il link di un articolo del 17 ottobre scorso apparso sul sito http://italiaeilmondo.com/2017/10/10/lora-x-della-catalogna-lultimora-di-puigdemont-di-giuseppe-germinario/

La ricerca catalana dell’indipendenza non vacilla. Di Attilio Moro

Grazie7

In un’intervista a Consortium News, un leader indipendentista e membro del parlamento spagnolo ha dichiarato ad Attilio Moro che i catalani non hanno rinunciato a cercare di separarsi da Madrid.

Di Attilio Moro a Barcellona

“Libertà per i prigionieri politici”, proclamano striscioni appesi a centinaia di balconi, da Plaza Catalunya alle Ramblas e Vila de Gracia nel Quartiere Gotico. Hanno chiesto la libertà per i molti attivisti di base che chiedono l’indipendenza dalla Spagna e che sono stati arrestati. E anche per la libertà di Charles Puigdemont, ex presidente della Generalitat de Catalunya, arrestato a marzo dalle autorità tedesche. Il 19 luglio un giudice tedesco ha respinto la richiesta di estradizione della Spagna. Sarebbe stato accusato di ribellione e sedizione se fosse tornato in Spagna.

Puigdemont è fuggito in Belgio il giorno dopo il referendum sull’indipendenza, il 1 ° ottobre 2017, con la polizia spagnola alle calcagna. Gli agenti dei servizi segreti di Madrid hanno quindi nascosto un plotter GPS nell’auto che stava guidando da Helsinki, dove aveva partecipato a una conferenza a Bruxelles. Ora è ad Amburgo sotto la supervisione della polizia tedesca.

Otto ministri del governo catalano disciolto (Vice Presidente Joseph Junqueras Rull, Dolores Bassa Meri Borras, Joaquim Forn, Charles Mund, Jordi Torull Raul Romeva) si trovano in un carcere di Madrid, accusati di minacciare la integrità del paese. Sette leader separatisti e intellettuali sono fuggiti in Scozia e in Olanda per evitare di essere arrestati.

Non c’erano armi o violenza quando questi leader hanno organizzato il referendum per l’indipendenza, che è stato un grande successo e che, a Madrid, ha violato la Costituzione spagnola. Questi arresti avevano lo scopo di impedire lo svolgimento del referendum.

Puigdemont: ricercato in Spagna.

All’inizio di questo mese presso la sede del Partit Democrata, uno dei due principali partiti catalani indipendenza, ho incontrato Sergi Miquel, un leader separatista e membro del parlamento nazionale.

“La mia generazione non aveva mai visto tali misure, pensavamo appartenessero al passato, nell’era di Franco”, mi disse. “Ma tutto questo accade oggi in Spagna, in Europa: deputati e governatori eletti democraticamente vengono arrestati e detenuti per motivi politici. La sentenza sarà pronunciata in autunno. Rischiano fino a trent’anni di carcere. ”

Ho chiesto a Miquel se il nuovo governo spagnolo di minoranza del primo ministro socialista Pedro Sanchez sarebbe stato più propenso al compromesso rispetto all’ex primo ministro Mariano Rajoy.

“Tra due anni ci saranno nuove elezioni in Spagna, e nessuno dei partiti politici ci parlerà, così da non perdere gli elettori spagnoli che sono contro di noi”, ha detto Miquel. “I nostri leader potrebbero persino ricevere una condanna esemplare. Molto dipenderà dall’Europa: l’UE deve smettere di chiudere un occhio su questa flagrante violazione della democrazia e dei diritti umani nel suo territorio. ”

Il 9 luglio, Sanchez e Quim Torra, primo ministro della Catalogna, succeduto a Puigdemont, si sono incontrati a Madrid per provare a rilanciare il dialogo. Hanno concordato di riprendere le riunioni in sette anni tra i ministri spagnolo e catalano. E hanno discusso la possibilità di commemorare congiuntamente l’attacco terroristico a Barcellona lo scorso agosto. Ma Sanchez si è opposto categoricamente alla tenuta di un nuovo referendum sull’indipendenza della Catalogna.

“L’indipendenza ci attende”

Miquel: “Il nostro percorso è tracciato”

Ho chiesto a Miquel cosa potremmo fare nel frattempo per i prigionieri catalani. “Sfortunatamente non molto”, dice. “Dal marzo scorso, le famiglie dei detenuti hanno avuto solo un giorno di viaggio per vedere i loro parenti per 45 minuti in un carcere di Madrid. Chiediamo – e le organizzazioni umanitarie dovrebbero unirsi a noi – che siano almeno trasferiti in un carcere di Barcellona. Certo, speriamo in un’amnistia, dal momento che non è stato commesso alcun crimine grave. Speriamo che il nuovo governo, dopo le prossime elezioni, sarà formato dal Partito socialista e dal gruppo politico meno ostile nei nostri confronti, Podemos. ”

Miquel non ha escluso che il governo catalano stia organizzando un nuovo referendum per l’indipendenza, nonostante gli arresti e la repressione violenta contro gli elettori primi. “Possiamo subire perdite e battute d’arresto, ma il nostro percorso è tracciato”, ha detto.

Miquel ha detto che anche cercare di ottenere più autonomia da Madrid sarebbe difficile, almeno nel breve periodo.

“Saremmo pronti,” ha detto. “Ma il governo spagnolo non lo ammetterà. Al contrario, stanno lentamente erodendo la poca autonomia che siamo riusciti a raggiungere negli ultimi 50 anni. I baschi oggi sono molto più autonomi di noi. Vogliamo che il nostro diritto all’autodeterminazione sia riconosciuto in Spagna e in Europa. Sappiamo che il processo sarà lungo e complesso. Affronteremo altre difficoltà, arresti e violazioni dei diritti. Ma sappiamo che alla fine della strada, l’indipendenza ci attende. ”

Attilio Moro è un giornalista italiano esperto, corrispondente per il quotidiano Il Giorno a New York, che in precedenza ha lavorato in radio (Italia Radio) e in televisione. Ha viaggiato molto, coprendo la prima guerra in Iraq, le prime elezioni in Cambogia e Sud Africa, e ha coperto Pakistan, Libano, Giordania e diversi paesi dell’America Latina, tra cui Cuba, Ecuador e Argentina. Attualmente è corrispondente per gli affari europei a Bruxelles.

Fonte: Attilio Moro, Notizie del Consorzio , 25-07-2018

Tradotto dai lettori del sito www.les-crises.fr . Traduzione liberamente riproducibile per intero, citando la fonte.

CATALOGNA INDIPENDENTE! LE REAZIONI NEL MONDO

La situazione in Catalogna sta precipitando. Ne abbiamo già parlato qui http://italiaeilmondo.com/2017/10/10/lora-x-della-catalogna-lultimora-di-puigdemont-di-giuseppe-germinario/ e qui http://italiaeilmondo.com/2017/10/02/cataluna-libre-ovvero-il-mistero-teologico-di-peppa-pig-di-roberto-buffagni/  Alla dichiarazione di Indipendenza del Governo Catalano, segue la sua destituzione ad opera del Governo Spagnolo. Il 21 dicembre si terranno nuove elezioni per eleggere il nuovo parlamento catalano. La dichiarazione appare sempre più la forzatura di un gruppo dirigente ormai trascinato dagli eventi e privo di margini di manovra. L’iniziativa non sembra nemmeno godere del sostegno della gran parte della popolazione, lasciando Puigdemont nudo, rispetto al suo europeismo non corrisposto, ed esposto alle pressioni più radicali, votate al disastro. Dal punto di vista del Governo Centrale, tuttavia, la situazione non è delle più rosee; soprattutto nel caso dovesse protrarsi la crisi. La crisi catalana arriva proprio e non a caso nel momento in cui si cerca di ricomporre i conflitti con altre comunità nazionali presenti nel territorio con la concessione di ulteriori prerogative alle comunità locali. La condizione di debolezza economica e di dipendenza politica non rendono molto credibile l’appello all’unità nazionale. Le reazioni all’estero non si sono fatte attendere e tutte, almeno ufficialmente, sono di sostegno al Governo Spagnolo. La più decisa mi pare quella del Governo degli Stati Uniti, in particolare di Trump e Tillerson. Sarà interessante verificare i comportamenti e il dibattito che si svilupperanno alla luce del conflitto, inedito nelle modalità e nella virulenza, che continua ad imperversare negli Stati Uniti.

Qui sotto il link della dichiarazione https://www.state.gov/r/pa/prs/ps/2017/10/275136.htm e la traduzione:

Gli Stati Uniti godono di una grande amicizia e di una partnership duratura con una nostra alleata della NATO; la Spagna. I nostri due paesi collaborano strettamente per promuovere le nostre priorità in termini di sicurezza ed economia. La Catalogna è parte integrante della Spagna e gli Stati Uniti appoggiano le misure costituzionali del governo spagnolo per mantenere la Spagna forte e unita

DALLE PRIMAVERE AGLI INVERNI DI SOROS. SARANNO CALDI, MOLTO CALDI di Giuseppe Germinario

UN TORRIDO INVERNO

Questo insolito tepore ottobrino, così siccitoso, lascia presagire un torrido ed infuocato inverno.

Dal punto di vista meteorologico potrebbe essere una previsione troppo azzardata; previsioni del tempo attendibili riescono a coprire un arco di tempo ancora troppo breve, di pochi giorni.

È la temperatura politica del pianeta, in particolare negli Stati Uniti e in Europa, che pare surriscaldarsi sino a sfiorare pericolosamente il punto critico di formazione di tempeste distruttive e roghi devastanti.

Provo a collegare, più o meno avventurosamente, quattro episodi apparentemente avulsi tra essi.

  1. Il discorso di Trump all’ONU_ Il 19 Settembre scorso Trump ha pronunciato il suo primo e per ora unico discorso all’ONU. Sul sito ne abbiamo già parlato con dovizia http://italiaeilmondo.com/2017/09/24/httpssoundcloud-comuser-159708855podcast-episode-13/

http://italiaeilmondo.com/2017/09/27/massimo-morigi-a-proposito-del-podcast-episode-13_-lo-smarrimento-dei-vincitori-di-gianfranco-campa/  ; allo stato attuale, potremmo arricchire e corroborare le nostre valutazioni con una ulteriore supposizione. Quel discorso così apparentemente contraddittorio e paradossale potrebbe essere in realtà un tentativo particolarmente sofisticato e pericoloso di mettere a nudo le debolezze, l’inconcludenza e l’avventurismo delle strategie di quello staff militare dal quale è ormai circondato e che sta cercando di erigere una vera e propria barriera in grado di filtrare rigorosamente i contatti del presidente americano. Sembra voler dire: “volete lo scontro con la Russia e la Cina, l’Iran e la Corea del Nord? Ve lo offro su un piatto d’argento e vediamo se avete la reale intenzione e capacità di portarlo avanti, con quali rischi e a che prezzo!”

Il recente viaggio degli esponenti del ramo prevalente dei Saud, dei regnanti quindi dell’Arabia Saudita, in Russia può essere d’altro canto letto non solo come un sussulto di autonomia di quella classe dirigente di fronte allo stallo della politica di destabilizzazione in Medio Oriente e al recupero di autorevolezza della Russia di Putin; ma anche come una sorta di diplomazia parallela e per interposta persona che le forze fautrici dell’avvento di Trump alla Presidenza Americana continuano a portare avanti. Le aperture ben più esplicite dei generali egiziani alla Russia da una parte e i contatti di Bannon, il mentore ufficialmente disconosciuto e reietto, in realtà ancora costantemente e discretamente consultato dal Presidente, con la dirigenza cinese sembrano confermare l’esistenza di questi doppi canali di comunicazioni e di relazioni.

  1. Lo scandalo a sfondo sessuale del produttore cinematografico americano Weinstein e le rivelazioni di wikileaks sul traffico di uranio con la Russia alimentato da personaggi politici di spicco del Partito Democratico americano hanno una cosa essenziale in comune. Entrambi colpiscono al cuore gli esponenti più importanti e decisivi della coorte che ha sostenuto e determinato in questi decenni l’ascesa e il consolidamento dell’affermazione del sodalizio tra neoconservatori e democratici americani. Più che i danni materiali e i vizi privati sbandierati sui media, risalta l’irrimediabile deterioramento di immagine e di credibilità del costrutto ideologico e mediatico sul quale si sono fondati trenta anni di politica estera e di gestione interna di quel paese.

Gli uni assestano un colpo tremendo all’ipocrisia disgustosa del politicamente corretto tanto fervido ed accorato nell’ostentare le pubbliche virtù e la coerenza del rispetto della dignità umana, quanto certosino nel coltivare nel privato della persona e nei canali riservati delle relazioni politiche i soprusi, le sopraffazioni, le meschinerie, i mercimoni più interessati.

Gli altri rivelano le relazioni e gli interessi inconfessabili di una classe dirigente così apertamente ostile alla formazione di un mondo multipolare, la quale ha individuato nella Russia di Putin il nemico acerrimo della pacificazione unipolare e globalistica, salvo intrattenere con settori di essa gli affari e i commerci più loschi. Le vittime sacrificali predestinate appaiono il produttore Weinstein e il politico Podesta, ma il capro espiatorio finale appare ben più emblematico.

  1. L’Open Society di Soros si è vista rimpolpare in breve tempo il proprio salvadanaio di ben 18.000.000.000 (diciotto miliardi) di dollari.gentiloni-soros Una cifra stratosferica in grado di impressionare manipolatori persino particolarmente adusi e avvezzi al denaro come Soros, in grado di muovere eserciti, bande armate, contestatori, manifestanti e Pussy Riot di mezzo mondo. Sino ad ora il nostro paladino delle libertà e del soccorso umanitario ha utilizzato un doppio metro di comportamento al centro e alla periferia dell’Impero, nonché nei confronti dei riottosi più ostinati esterni ad esso. Apertamente violento e destabilizzatore ai margini; più cauto e pervasivo, più suadente man mano che le trame riguardavano la geografia prossima al centro dei poteri. Qualcosa, evidentemente, comincia a cambiare in questa strategia in maniera assolutamente radicale. Come non bastasse saltano nuovamente alla ribalta organizzazioni, quasi sempre legate al filantropo e beneficiarie dei più disparati finanziamenti pubblici e privati, spesso concessi dagli stessi rappresentanti delle vittime delle loro azioni; tutte dedite, con solerzia e qualche dose inevitabile massiccia di stupidità ed ottusità, alla compilazione di liste di prescrizione foriere di una prossima caccia all’untore. Tra queste brilla ultimamente, secondo RT, https://www.rt.com/news/407347-rt-guests-list-ngo/ , l’associazione http://www.europeanvalues.net/ ,con questo documento http://www.europeanvalues.net/wp-content/uploads/2017/09/Overview-of-RTs-Editorial-Strategy-and-Evidence-of-Impact.pdf e secondo questo interessante documento fondativo, corredato da un elenco dei finanziatori sorprendente, ma non troppo http://www.europeanvalues.net/wp-content/uploads/2013/02/VZ2015_ENG_FIN.pdf L’analogia con la caccia alle streghe del Maccarthismo degli anni ’50 è inquietante. A ruoli invertiti, è probabile che le squadracce che vediamo infiltrate nelle manifestazioni di strada antisistema, prointegrazione e via dicendo, diventino lo strumento di giustizia sommaria e di fomentazione provocatoria di questi filantropi.
  2. L’investimento mortale a Charlottesville, in Virginia, di due mesi fa,riviera24-luca-botti-strage-los-angeles-390786 la drammatica strage del cecchino (dei cecchini?) a Las Vegas di due settimane fa, ancora coperta da una fitta e misteriosa coltre di nebbia da cui emergono i sussurri più inquietanti; il tentativo di secessione in Catalogna e lo stesso referendum nel quadrilatero lombardo-veneto annunciano alcune variazioni essenziali sul tema della strategia del caos perpetrata in questi ultimi anni. Le modalità di svolgimento di questi eventi apparentemente sconnessi lasciano sospettare, rispettivamente, a volte una vera e propria provocazione, altre volte una istigazione, altre ancora una manipolazione e per finire una capacità di cogliere opportunità. Non si tratta, quindi, semplicemente, di un complotto ordito a tavolino sin nei particolari; troppo semplicistico! Quanto, piuttosto, di sfruttamento di opportunità create e utilizzate in un contesto di crescente instabilità e di emersione di nuove forze antagoniste, spesso confuse e contraddittorie. Un terreno, tra l’altro, sul quale diventa particolarmente difficile ed insidioso l’intervento politico di forze sovraniste, specie quelle più sensibili alla suggestione della democrazia dal basso e della superiorità dei progetti autonomistici e localistici.

La “strategia del caos” che sino ad ora ha interessato i paesi riottosi al predominio unipolare, in particolare la Russia, ha investito le zone di confine e di contesa ai margini dell’impero, come il Nord-Africa, il Medio Oriente, in parte il Sud-Est Asiatico, l’estremità dell’Europa Orientale pare investire sempre più da vicino i luoghi e la geografia centrale dei centri di potere e delle formazioni sociali connesse attorno secondo gli stessi propositi degli attori-mestatori.

È il segno che lo scontro politico sta investendo direttamente questi centri di potere, piuttosto che essere condotto da essi per interposte persone; li sta costringendo ad un confronto diretto sempre più aspro e risolutivo.

Richiederà il sacrificio di alcuni illustri capri espiatori, alcuni dei quali particolarmente in auge nell’immediato passato.

Nel Partito Repubblicano neoconservatore abbiamo visto cadere qualche testa illustre, ma ancora senza particolare crudeltà.

Nel Partito Democratico americano, la ricomposizione che si sta tentando con buone probabilità di successo tra la componente pragmatica vicina ad Obama e la componente social-radicale prossima a Sanders, il candidato sconfitto da Hillary Clinton alle primarie, in parte lui stesso nominalmente esterno al partito, ma generosamente ricompensato con una buona presa e radicata presenza all’interno di esso, richiederà probabilmente il sacrificio ben più sanguinoso di una intera dinastia politica: quella dei Clinton. Sanguinosa riguardo al futuro delle carriere politiche, ma anche a quello degli averi e della sicurezza economica del sodalizio.

La figura che più si potrebbe attagliare a quella di Hillary Clinton, potrebbe essere metaforicamente proprio quella di Maria Antonietta, vittima predestinata della Rivoluzione Francese.

La signora Rodham Hillary C. si presenta come il capro espiatorio perfetto sul capo riverso della quale costruire le fortune di una nuova classe dirigente ansiosa di liquidare al più presto l’attuale mina vagante dello scenario politico americano: Donald Trump. Una classe dirigente ancora in grado di controllare la quasi totalità delle leve di potere e di controllo e di legarsi ai settori tecnologicamente più vivaci, ma sino ad ora incapace di dare un respiro strategico alla propria iniziativa che riesca a garantire una sufficiente coesione della formazione sociale americana e a coinvolgere in una nuova versione del sogno, buona parte del resto del mondo. Il cumularsi di errori grossolani e di una gretta difesa degli interessi di costoro e la boria legata ad un inguaribile senso di superiorità rischiano di far precipitare quel paese in una crisi analoga a quella che ha prodotto la guerra di secessione di metà ‘800, ma dagli effetti ancora più distruttivi piuttosto che creativi in un contesto di potenza declinante. Non solo, ma di lasciare i propri orfani e sodali disseminati nel mondo, soli ed esposti ad affrontare con scarso sostegno le intemperie e a cercare col tempo nuovi ripari, più per se stessi che per il gregge da accudire, come ogni buon Gattopardo o Generale Badoglio che si comandi.

 La forza e la possibile sopravvivenza delle componenti che hanno espresso Trump risiede proprio nella debolezza strategica dei suoi avversari, piuttosto che nella solidità dei propri mezzi.

Su questo “Italia e il Mondo” cercherà di concentrare la propria attenzione e le proprie scarse energie sin dai prossimi articoli con lo scopo di individuare le opportunità e gli spazi di formazione di una nuova classe dirigente così necessaria a questo nostro “pauvre pays”.

CONTRO L’EUROPA DELLE REGIONI PER L’EUROPA FEDERATA DELLE NAZIONI SOVRANE E PROTAGONISTA NELLA FASE MULTICENTRICA, di Luigi Longo

E PENSARE CHE C’ERA IL PENSIERO

 

Il secolo che sta morendo è un secolo piuttosto avaro
nel senso della produzione di pensiero.

Dovunque c’è un grande sfoggio di opinioni
piene di svariate affermazioni
che ci fanno bene e siam contenti

Un mare di parole un mare di parole
ma parlan più che altro i deficienti.

Il secolo che sta morendo
diventa sempre più allarmante
a causa della gran pigrizia della mente.

E l’uomo che non ha più il gusto del mistero
che non ha passione per il vero
che non è cosciente del suo stato

Un mare di parole un mare di parole
è come un animale ben pasciuto.

E pensare che c’era il pensiero
che riempiva anche nostro malgrado
le teste un po’ vuote.

Ora inerti e assopiti aspettiamo
un qualsiasi futuro
con quel tenero e vago sapore
di cose oramai perdute.

Va’ pensiero sull’ali dorate
va’ pensiero sull’ali dorate.

Nel secolo che sta morendo
s’inventano demagogie
e questa confusione è il mondo delle idee.

A questo punto si può anche immaginare
che potrebbe dire o reinventare
un Cartesio nuovo e un po’ ribelle

Un mare di parole un mare di parole
io penso dunque sono un imbecille.

Il secolo che sta morendo
appare a chi non guarda bene
il secolo del gran trionfo dell’azione

Nel senso di una situazione molto urgente
dove non succede proprio niente
dove si rimanda ogni problema

Un mare di parole un mare di parole
e anch’io sono più stupido di prima.

E pensare che c’era il pensiero
era un po’ che sembrava malato
ma ormai sta morendo.

In un tempo che tutto rovescia
si parte da zero.
E si senton le note dolenti di un coro
che sta cantando

(sull’aria di va pensiero)
Vieni azione coi piedi di piombo
Vieni azione coi piedi di piombo

Giorgio Gaber*

  1. Avanzerò alcune riflessioni a partire dalla richiesta di indipendenza della Catalogna, una delle 17 Comunità autonome della Spagna con una popolazione di 7.522.596 pari al 16.2% che, insieme alle tre grandi Comunità dell’ Andalusia (con 8.370.368 abitanti, pari al 18%), di Madrid (con 6.377.634 abitanti, pari al 13,7%) e della Valenciana (con 4.935.010 abitanti, pari al 10,6%), costituisce il 58.5% dell’intera popolazione spagnola che è di 46.468.102. La Catalogna è una delle Comunità autonome più industrializzate.

confronto spagna catalogna

Questa regione ha un livello di autonomia più vicino al concetto di federazione ( tra le regioni della Spagna), per dirla con Emilia Giuron Reguera ( docente di diritto costituzionale dell’Università di Cadice in Andalusia):<< […] Il decentramento spagnolo si colloca oggi in una posizione intermedia tra regionalismo e vero e proprio federalismo. […] Gli elementi peculiari di alcune Comunitá Autonome, chiamati fatti differenziali, trovano riconoscimento negli Statuti di Autonomia e perfino nella Costituzione, come segni di autoidentificazione. La Costituzione del 1978 è la prima ed unica costituzione spagnola che riconosce i fatti differenziali. Cinque sono le situazioni di differenziazione sono il regime di diritto civile forale, il pluralismo linguistico, un livello di governo intermedio diverso alle Province chiamati “Diputaciones Forali” in Paesi Baschi e “Cabildos” in Isole Canarie e Baleari, proprie forze di policia e il sistema di finanziamento.

In particolare, l’elenco dei fatti differenziali per Comunità Autonoma è il seguente:

  1. Paesi Baschi: territori forali (Alava, Guipùzcoa e Vizcaya), lingua, diritto civile forale, polizia propria e sistema di finanziamento speciale.
  2. Catalogna: lingua, diritto civile speciale e polizia propria.
  3. Galicia: lingua e diritto civile forale.
  4. Navarra: diritto civile forale, polizia propria, sistema di finanziamento speciale (“convenio economico”), ed euskera (cioè, la lingua basca) nel area bascoparlante.
  5. Canarie: “Cabildos” e particolare regime economico e fiscale, giustificato nell’insularità.
  6. Le Baleari: Lingua, “consigli insulari”, diritto civile speciale.
  7. Comunità Valenciana: lingua e diritto civile.
  8. Aragona, soltanto il diritto civile.>> (1).

spagna comunità

 

Si pone, quindi, la domanda: perché i decisori della Catalogna dichiarano lo status di indipendenza ben sapendo della sfida impari (2) sia in relazione alla Spagna ( intesa come nazione e come stato, chiarirò dopo cosa intendo) sia in relazione all’Unione Europea? Cosa cela questa mossa apparentemente rischiosa che non ha niente a che vedere con l’autodeterminazione nè con la democrazia, mentre molto ha a che fare con la frattura sociale e territoriale di una nazione e con il disegno dell’Europa delle regioni (3) portata avanti dal 1957 dai servi decisori europei nel quadro delle strategie USA? Cercherò di avanzare delle ipotesi per cercare di rispondere a queste domande, e questo, a prescindere da come evolverà o involverà la situazione in Catalogna, mi auguro la meno triste per la popolazione.

 

  1. La definizione di nazione data da Iosif Stalin, in un saggio pubblicato nel 1914 e approvato da Vladimir Lenin, è la seguente:<< una comunità umana stabile, storicamente costituita, nata sulla base di una comunanza di lingua, territorio, vita economica e formazione psichica che si traduce in comunità culturale >> (4).

E’ una definizione nell’essenziale ancora valida. Le radici territoriali dell’individuo sessuato sono fondamentali per la sua crescita, benessere, sicurezza, formazione e cultura. La specie umana sessuata è l’unica specie che può vivere solo in comunità ( a prescindere dalla qualità della comunità) anche se si è data assurde organizzazioni territoriali quali sono le grandi città ( metropoli, megalopoli) dove i concetti di autodeterminazione e di democrazia sono aleatori perché sfuggono al concetto di limite nell’accezione dei classici greci (5). La questione delle regioni e dei loro equilibri economici, sociali, territoriali vanno inquadrati nell’insieme dello sviluppo della nazione. Le regioni con più sviluppo vanno viste nella logica dello sviluppo ineguale del sistema sociale capitalistico nazionale. Quindi lo sviluppo di alcune regioni a scapito di altre è da leggere nella realizzazione delle strategie dei decisori egemoni nelle diverse fasi storiche dello sviluppo del Paese. E’ demagogia da furfanti sostenere che le regioni ricche devono gestire in maniera autonoma le risorse (soprattutto finanziarie) senza riferimento al sistema Paese; significa la rottura della solidarietà, dell’anima di una nazione: è la barbarie! Altro sarebbe, invece, rivedere le strategie di sviluppo delle regioni, configurate diversamente, quali macro-regioni dell’intero sistema nazionale (come alcune università italiane stanno facendo da tempo con i loro decisori di riferimento). E’ nella dialettica dei rapporti sociali tra dominanti (con il loro conflitto interno) e dominati (con la loro lotta interna) che va affrontata la questione nazione e non la questione regione.

Per questo non ho mai capito l’internazionalismo, non quello solidale e politico, ma quello senza nazioni, senza conoscenza del territorio (quanti comunisti non conoscevano l’ambiente dove vivevano, però erano internazionalisti), senza relazione, sessuata, con la natura, eccetera (6). Così come non ho capito, in nome della mondializzazione, la confusione tra circolazione di merci, di capitale e di persone e la perdita delle radici territoriali di appartenenza che è altro dal confronto tra popoli diversi per storia e cultura. Questa questione è stata e continua ad essere una grande lacuna, soprattutto di origine marxiana, che è quella che a me interessa con i vari ripensamenti, rifondazioni e abbandoni.

Le nazioni, sia in Occidente sia in Oriente, hanno diverse configurazioni territoriali peculiari, perché diverse e peculiari sono la natura, i paesaggi, la storia dei popoli; ma hanno in comune una cosa: la concezione del potere-dominio che viene realizzata attraverso le proprie architetture istituzionali che sono espressione dei rapporti sociali storicamente dati. Per me, infatti, lo stato non è altro che l’articolazione territoriale delle architetture istituzionali ( le casematte gramsciane) dove si svolge e si decanta il conflitto strategico (inteso nell’accezione lagrassiana) e si egemonizzano, in una situazione di equilibrio dinamico del dominio di volta in volta egemone, la nazione, i continenti, il mondo (7).

 

  1. Parlare di autodeterminazione (dei decisori in nome del popolo), di democrazia ( di una minoranza in nome del popolo) e di fine della nazione è fuorviante perché non si coglie l’essenza del problema che è quello di una accelerazione della fase dell’Europa delle regioni che, attraverso la frammentazione dei territori nazionali, renderà l’Europa uno spazio funzionale alle nuove strategie di dominio mondiale monocentrico degli Stati Uniti che, distruggendo le nazioni, invalideranno qualsiasi possibilità di fondazione di politica autonoma dell’Europa quale protagonista tra l’Occidente e l’Oriente, quantomeno per ritardare la fase policentrica ( che comporta la guerra come scontro finale tra schieramenti delineati di potenze mondiali- anche se nutro forti dubbi sulla sopravvivenza complessiva delle stesse, considerati gli arsenali nucleari a disposizione).

Con l’Europa delle regioni l’Europa non sarà più un soggetto politico attivo nella fase multicentrica (avviata con andamento sempre più accelerato) così come lo fu nelle precedenti fasi multicentriche dei secoli passati a partire, per dirla con Giovanni Arrighi, dal primo ciclo sistemico di accumulazione, quello genovese-iberico, dal XV secolo agli inizi del XVII (8).

Si smantellano le nazioni, dopo un lungo processo iniziato tra la fine del 1700 e quasi tutto il 1800, per costruire una Europa di macro regioni a servizio degli interessi statunitensi, per meglio controllare e indirizzare sia l’orientamento politico europeo, sia per utilizzare lo spazio europeo per le loro strategie nel Mediterraneo, nell’Africa e nel Medio Oriente, contro le potenze mondiali emergenti (Russia e Cina con la loro visione di sviluppo e le loro aree di influenza ), così da impedire la relazione euroasiatica fortemente temuta dagli USA.

Non vedremo più la cartografia dell’Europa che rappresenta il simbolico delle nazioni asservite agli interessi della potenza mondiale egemone degli USA.

europa

Ma, a partire dalla cartografia dell’Europa independentista, dovremo immaginare una Europa delle regioni formata da macro aree ancora una volta (il tutto torna ma in maniera diversa) definite o ri-definite dal disegno degli agenti strategici pre-dominanti statunitensi e sub-dominanti europei (9) per la ri-affermazione monocentrica del dominio mondiale (10) [tutti i programmi di cooperazione territoriale europea (Interreg, Espon, SSSE, eccetera) hanno già in parte delineato alcune macroregioni].

Tutto quanto fin qui evidenziato è a prescindere dal conflitto strategico interno agli USA che si sta definitivamente orientando verso la strategia di potenza mondiale basata sulla forza e sulla violenza perché altrimenti incapace di ri-lanciare la propria egemonia a partire da un nuovo modello di sviluppo, una nuova visione, una nuova idea di società. L’illusione del cosiddetto trumpismo è finita. E’ stata una ideologia negativa basata sul multicentrismo (soprattutto l’apertura con la Russia), sul rilancio dell’economia reale con più equilibrio tra i settori economici (soprattutto la politica del re-investimento interno), eccetera. E’ stata una operazione dei decisori priva di qualsiasi base strutturale radicata nella società e senza alcun controllo delle casematte istituzionali, importanti del potere.

 

europa indipendentista

 

 

Si configura un triste immaginario di frammentazione e dissoluzione delle relazioni sociali e territoriali delle nazioni, con drammi umani inenarrabili; la storia recente lo sta a dimostrare soprattutto in Europa, nell’Africa settentrionale e nel Medio Oriente; inutile aggiungere l’elenco delle nazioni distrutte.

Qui sta l’importanza di difendere la nazione: i decisori partendo dagli interessi della propria nazione possono sviluppare un progetto di Europa federata e sovrana. Se non si è sovrani, si è servi delle potenze mondiali egemoni di turno.

Il conflitto strategico all’interno delle nazioni deve avere come obiettivo la sovranità per ridare la possibilità all’Europa di essere un soggetto protagonista nella fase multicentrica. Certo il degrado sociale europeo è grave, il secolo iniziato è un secolo piuttosto avaro nel senso della produzione di pensiero e nell’immaginare prìncipi gramsciani all’altezza dei tempi.

La Catalogna è l’inizio simbolico della fase di regionalizzazione dell’Europa: è il laboratorio per realizzare il processo di regionalizzazione e verificare le relative reazioni dei popoli. Questo processo, comunque, è iniziato con l’implosione dell’ex URSS (1990-1991) e con il processo di integrazione europeo attraverso le regioni [ avviato con il preambolo del Trattato di Roma del 1957 (CEE) e proseguito con lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (SSSE) della Unione Europea della prima metà degli anni novanta del secolo scorso].

Ogni nazione europea ha la sua Catalogna in pectore e si prevedono in Europa scenari cupi (11).

 

 

La citazione scelta come epigrafe è tratta da: Giorgio Gaber, Pensare che c’era il pensiero, www.giorgiogaber.it, 1995-1996.

 

 

NOTE

 

 

  1. Emilia Giron Reguera, Esperienza e prospettive del regionalismo in Spagna, www.crdc.unige.it, anno?, pp.12-13 e pag.19.
  2. Alberto Magnani, Quanto costerebbe alla Catalogna il divorzio dalla Spagna ( e dalla UE) in Il Sole 24 Ore del 5/10/2017; Comidad, Prove tecniche di euro-destabilizzazione, www.comidad.org, 28/9/2017; Federico Dezzani, “Lo Stato nazionale è superato”: perché Bruxelles tifa per la secessione della Catalogna, www.federicodezzani.altervista.org, 20/9/2017.
  3. Con la definizione di Europa delle regioni non intendo riferirmi ai teorici dell’ascesa delle regioni e del tramonto delle nazioni, per una sintesi rinvio a Mario Caciagli, Le regioni nell’Unione Europea in Quaderni di Sociologia n.55/2011.

Con una lettura critica sul ruolo delle politiche regionali dell’Unione Europea rimando a: Maria Rosaria Prisco, Spazio, luoghi, territorio: ripensare la spazialità delle politiche di coesione territoriale in www.mensotef.uniroma1.itsites/dipartimento/…/Maria Rosaria Prisco_67-84.pdf; Marco Cremaschi, L’Europa delle città. Accessibilità, partnership e policentrismo nelle politiche comunitarie per il territorio, Alinea editrice, Firenze, 2005; Commissione Europea, Sull’attuazione delle strategie macroregionali dell’UE,www.ec.europea.eu/regional…strategy/pdf/report_implem_macro_region_strategy_it.pdf, 16/12/2016.

  1. La citazione di Iosif Stalin è tratta da Costanzo Preve, Il tempo delle ricerca. Saggio sul moderno, il post-moderno e la fine della storia, Vangelista, Milano, 1993, pag.25.
  2. Per questi temi rimando a Lewis Mumford, La città nella storia, Bompiani, Milano, 1967, Volumi I, II, III.
  3. Maura Del Serra, Dialogo di Natura e Anima, Editrice C.R.T., Pistoia, 1999.
  4. Credo che sarebbe utile avviare una ricerca sull’intreccio tra l’intuizione gramsciana delle casematte e il conflitto strategico lagrassiano: Antonio Gramsci, Quaderni del Carcere, Einaudi, Torino, 1975, quaderno 7, Volume II; Gianfranco La Grassa, Gli strateghi del capitale, Manifestolibri, Roma, 2005.
  5. Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010, pp. 143-179.
  6. E’ utile mantenere la concezione servo-padrone nell’accezione di La Boètie ( la servitù volontaria), invece di quella hegeliana della Fenomenologia dello Spirito (la coscienza servile).
  7. Per una riflessione sulle trasformazioni territoriali mondiali nella fase multicentrica, si rinvia a Pierluigi Fagan, Lo spazio politico nel mondo multipolare. Nuovi stati, secessioni, sovranità, www.pierluigifagan.com, 4/10/2017.
  8. Si veda l’intervista, da me non condivisa, a Franco Cardini, “L’Italia unita un pateracchio. Presto una crisi cambierà il volto dell’Europa”, www.liberoquotidiano.it, 10/10/2017.

L’autunno della Fronda, di Roberto Buffagni

La vicenda catalana, che con l’odierna dichiarazione di indipendenza in standby tocca un vertice di comicità ineguagliato a memoria d’uomo, ci parla però di qualcosa di molto, molto serio. Ci parla della nuova fase in cui è entrata la Rivoluzione (con la Maiuscola) che da cinque secoli trascina con sé, non si sa dove, la civiltà europea e occidentale, e dunque il mondo. Pare follia impiegare questi paroloni per un’avventura politica di Peppa Pig® qual è l’indipendentismo catalano, come andare a caccia di tordi con i missili terra-aria. Ma «On a remarqué, avec grande raison, que la révolution …. mène les hommes plus que les hommes la mènent. Cette observation est de la plus grande justesse… […] Les scélérats mêmes qui paraissent conduire la révolution, n’y entrent que comme de simples instruments; et dès qu’ils ont la prétention de la dominer, ils tombent ignoblement.» (De Maistre, Considérations sur la Révolution, 1796).

La vicenda catalana ci parla infatti di una crisi che non è soltanto la crisi politica degli Stati nazionali, che si rivelano fragili, disuniti, disfunzionali: è la crisi del simbolo politico, del cosmion1 che ordina(va) e illumina(va) di significato la forma di civiltà assunta dall’Europa dopo la fine delle guerre di religione. Come tutti i simboli, un cosmion entra in crisi quando non ci parla più. Un simbolo può ammutolire per infiniti motivi; ma trattandosi di un simbolo politico, di solito la sua voce si fa fioca per l’azione congiunta di un abuso di autorità e di una contestazione di autorità. Se il dissenso in merito all’ordine non può essere ricomposto, entra in campo la nuda violenza politica, e il clamore delle armi copre la voce del simbolo.

La forma primaverile di questa lotta fra le autonomie e gli Stati sono le guerre della Fronda, che vedono lo Stato assoluto nascente opporsi agli “stati”, nel senso che questa parola assume nell’antica istituzione francese degli “Stati generali”: la forma politica che rivestono le autonomie sociali, allora rappresentate dai grandi signori e dai Parlamenti2. Lo scontro tra stati e Stato nasce dalla crisi di un altro grande cosmion: la cristianità medievale, frantumato e ammutolito dalle guerre di religione; e si svolge contemporaneamente in Inghilterra (Cromwell contro gli Stuart) e in Francia (de Retz e Condé contro Mazzarino e Turenne). In Inghilterra vincono gli stati, in Francia lo Stato3.

Oggi assistiamo (e volenti o nolenti partecipiamo) alla forma autunnale della lotta fra autonomie sociali o stati e lo Stato nazionale. Autunnale, per due ordini di ragioni. Anzitutto, lo Stato nazionale europeo non basta più a se stesso – non può autolegittimarsi – almeno da quando, entrato in crisi lo Stato liberale, sono sorti gli Stati nazionali totalitari fascista e nazista, sconfitti sul campo nella Seconda Guerra Mondiale. Lo Stato nazionale europeo è stato poi arruolato, insieme al cristianesimo, nella gigantomachia tra USA e URSS. Conclusa quella, la potenza imperiale egemone ha trattato gli Stati nazionali europei come un residuo o un ostacolo, come dimostrano sia l’appoggio americano all’Unione Europea, che agli Stati nazionali risucchia autorità e potenza, sia il disinvolto intervento nella guerre civili jugoslave, con la promozione delle indipendenze e la creazione dello Stato fantoccio del Kosovo. Ma ecco il secondo ordine di ragioni: questa Fronda 2.0 è autunnale cioè decadente perché entrambe le forze che la combattono, stati e Stato nazionale, sono in via di esaurimento, e alle loro spalle si stagliano forze imperiali nascenti: anzitutto la neocristianità russa, ma anche la Cina neoconfuciana. Questi, infatti, paiono essere i nuovi cosmion, i nuovi simboli politici che sorgono per rispondere alla sfida culturale e politica dell’impero statunitense. Dove l’insorgere, con Trump, di una nostalgia di Stato nazionale declinata in forma di isolazionismo pasticcione, illustra la crisi della potenza egemone mondiale in seguito ai terribili errori strategici, frutto di arroganza e avidità, commessi dopo il crollo del suo nemico storico, l’URSS.

Per trarre una conclusione provvisoria, potremmo dunque dire che la vicenda catalana ci insegna, per ora, questo: che lo Stato nazionale è un simbolo politico morente, che sopravvive come monumento storico-turistico, come nostalgia di un ordine perento, rifugio provvisorio di chi si sente debole e minacciato, psicofarmaco contro l’angoscia di un futuro che si profila caotico e minaccioso. E che gli stati che lo attaccano, come le iene e gli sciacalli attaccano il leone ferito, letteralmente non sanno quello che fanno, neppure che al leone ferito basta ancora una zampata per disperderli. Per finire, ci insegna di nuovo che l’Unione Europea non sarà mai un simbolo politico vitale. Non è un impero. Non è uno Stato nazionale. E’ un fascio di stati, un insieme arlecchinesco di forze economiche, sociali e politiche incapaci di legittimarsi e di fiorire in un ordine simbolico, che quando le cose si fanno serie – quando la crisi culturale e politica lo tocca da vicino – è costretto puntellare ipocritamente lo Stato nazionale del quale continua a minare le basi.

1 “Cosmion” è un’espressione che prima Adolf Stohr e poi Eric Voegelin impiegano per definire il simbolismo politico, pensato in analogia con il cosmo, che conferisce senso a una forma di civiltà e ne costituisce l’ordine politico. C’è dunque il cosmion imperiale ellenistico o romano, ma anche il cosmion dello Stato nazionale assoluto, etc.

2 I Parlamenti francesi dell’ancien régime sono istituzioni giuridiche con il compito di registrare gli atti del potere regale. Sono anche e soprattutto le istituzioni nelle quali siedono i rappresentanti delle 40.000 famiglie che detengono la ricchezze commerciale e industriale del regno di Francia, mentre i grandi signori frondisti sono i detentori di una larga quota delle terre, e, naturalmente, sono professionisti della guerra.

3 Le ragioni del diverso esito sono molteplici. Non secondaria la diversa statura dei contendenti, re Giacomo commette gravi errori politici e sul campo non si dimostra all’altezza di Cromwell, mentre Mazzarino e Turenne sono più che validi avversari di un politico geniale come Retz e di un grande soldato come Condé. Il risultato determina la diversità storica di cultura politica, che permane tuttora, tra l’anglosfera e il continente europeo: nei paesi anglosassoni lo Stato nazionale non assumerà mai il valore simbolico e la forza politica che invece prende nell’Europa continentale (la direzione politica del Regno Unito non deve la sua efficacia a uno Stato nazionale razionalmente strutturato, ma alla permanenza di un nucleo dirigente che si riproduce per cooptazione ed è l’erede diretto dell’alleanza tra alta aristocrazia e grande commercio che con la guida di Cromwell sconfisse re Giacomo) . In seguito alla sconfitta patita dall’Europa continentale nelle due guerre civili europee e all’egemonia dell’anglosfera, la cultura politica anglosassone, che privilegia sullo Stato nazionale la “società civile” ovvero, nell’accezione contemporanea, le autonomie sociali, ha egemonizzato anche l’Europa continentale: come ognuno vede.

L’ORA X DELLA CATALOGNA, L’ULTIM’ORA DI PUIGDEMONT, di Giuseppe Germinario

Carles Puigdemont ha confermato la dichiarazione di indipendenza della Catalogna ed auspicato una trattativa con il Governo Centrale di Spagna

Raramente accade di una classe dirigente così platealmente votata al suicidio come quella catalana, senza nemmeno l’aura romantica che spesso riveste i predestinati al sacrificio patriottico. Un epilogo tanto tragico quanto farsesco del destino individuale di questi condottieri. Non di tutti, beninteso. I più scaltri e furbi hanno istigato, hanno saputo defilarsi e alcuni arrivano ora a proporsi come mediatori con buone probabilità di qualche riconoscimento istituzionale nel prossimo futuro.

Un gruppo dirigente evidentemente privo di qualsiasi memoria storica. La Catalogna, in epoca moderna, ha conosciuto vari moti indipendentistici conclusisi inesorabilmente tutti più o meno tragicamente nel giro di pochi giorni o mesi.

Privo di cultura istituzionale visto che non solo ha violato apertamente la legge dello Stato centrale, anche se questo è pressoché la norma nei tentativi secessionistici, pur con le recenti eccezioni legate al dissolvimento del blocco sovietico; ha forzato, violato e gestito malamente le procedure della propria istituzione regionale che hanno portato al referendum e alla proclamazione di indipendenza e dirottato apertamente risorse pubbliche a fini privati legati alla promozione mediatica e lobbistica del progetto secessionistico in particolare negli Stati Uniti.

Privo soprattutto di basilare cultura ed accortezza politiche.

Ha con ogni evidenza del tutto sottostimato le implicazioni militari di un tale atto e la capacità reattiva di uno stato e governo centrale lesi in una delle loro prerogative fondamentali. Il recente accordo tra il Governo Centrale e la Regione Basca che riconosce ad essa ulteriore ampia autonomia e addirittura la prerogativa dell’imposizione fiscale deve averli indotti a sopravvalutare gravemente l’indebolimento delle capacità di difesa delle prerogative dello Stato Centrale. Un indebolimento certamente in atto grazie al processo di integrazione militare nella NATO e politico-economico nell’Unione Europea che ne ha accentuato la subordinazione politica e ridotto l’agibilità, ma non ancora del tutto compiuto. La Spagna ha infatti pagato il proprio relativo e fragile sviluppo economico incentrato soprattutto sull’edilizia, sulla creazione di infrastrutture e sul turismo con una cessione significativa del controllo delle proprie attività industriali più importanti; al pari dell’Italia e di altri paesi europei politicamente malconci e a causa di un contesto territoriale determinato dall’esistenza di ben quattro principali grandi nazionalità, ha ceduto maggiormente alle lusinghe europeiste di una regionalizzazione sovrana in grado di agire direttamente con le istituzioni comunitarie, aggirando le prerogative, il coordinamento e gli indirizzi dello stato centrale. Il risultato è la sovrapposizione di una subordinazione storica alla potenza americana a quella franco-tedesca, analoga a quella italiana anche se parzialmente contenuta dai retaggi nazionalistici più pervasivi legati al recente passato franchista.

Ha sorprendentemente glissato sulla indispensabile compattezza quantomeno della popolazione catalana necessaria a sostenere un confronto così aspro e definitivo. Il movimento indipendentista si sta rivelando invece una realtà politica significativa ma minoritaria non solo nell’intera Catalogna, compresa quella non interessata dall’azione referendaria, ma anche nell’epicentro stesso del conflitto, la zona di Barcellona.

Riguardo all’indispensabile sostegno internazionale necessario a rompere l’isolamento e a trarre energia, aiuto militare e appoggio politico sembra aver ignorato le conseguenze dell’appartenenza della Spagna alla Unione Europea e alla NATO. I legami ed il sostegno internazionale, i quali comunque non mancano, non possono infatti manifestarsi con le stesse modalità che hanno caratterizzato le primavere arabe e i movimenti secessionisti e sovvertitori di questi ultimi anni. La grande novità dell’evento di rottura riguarda proprio la sua collocazione geopolitica; non più ai margini della sfera occidentale e nelle zone di attrito con Russia e Cina, bensì al centro dell’Europa occidentale.

Sul tavolo dei congiurati non potevano certo mancare opzioni più graduali ed avvolgenti che implicassero un’alleanza con le altre comunità nazionali di Spagna, compresa quella della costruzione di uno stato federale ormai resa verosimile e praticabile dal recente accordo già citato con i Paesi Baschi.

Quale nefasta congiunzione astrale ha determinato alla fine l’attuale piega degli eventi?

Certamente hanno assunto un ruolo importante le ambizioni e le rivalità all’interno del gruppo dirigente catalano il quale tenta alla fine di trovare una loro compensazione ed uno loro spazio nella neonata entità statale; ma queste trovano espressione solo nel particolare humus e retroterra alimentatosi nella regione.

Nella Catalogna di questi ultimi anni si è condensato un sodalizio sempre più complice tra un gruppo di politici locali, ben radicati negli interessi della comunità e con una visione megalomane della propria collocazione nel contesto internazionale, e la componente sinistrorsa e movimentista riconducibile a Podemos e Sinistra Unita.

Dei primi va sottolineata la pervicacia con la quale hanno confermato la propria collocazione nella NATO e nella UE, l’ostinazione nella ricerca di un sostegno lobbistico negli ambienti angloamericani, per la verità con ampio dispiego di risorse e scarsi risultati. Apparentemente nulla di anomalo rispetto alla necessaria ricerca di alleanze, sostegno o quantomeno neutralità che tutte le forze irridententistiche, rivoluzionarie portano avanti nella loro azione. I legami professionali e la storia di gran parte di questi dirigenti inducono però a pensare a qualcosa di deleterio.

Dei secondi, in particolare di Podemos, va rilevata con qualche attenzione in più la loro impostazione politica. La formazione di questo gruppo dirigente, in particolare di Pablo Iglesias inizia negli ambienti universitari di Los Angeles, la fucina che ha generato il movimento degli indignati e di Occupy Wall Street  http://italiaeilmondo.com/2017/10/11/dal-nostro-indignato-speciale-di-giuseppe-germinario-scritto-il-18102011/( http://italiaeilmondo.com/2017/10/11/dal-nostro-indignato-speciale-di-giuseppe-germinario-scritto-il-18102011/ )di alcuni anni fa; prosegue con un immersione, non priva di contrasti, nei movimenti culturali latinoamericani che hanno sostenuto le svolte di numerosi regimi di quel continente; si insedia nelle università di Madrid e Barcellona, in particolare negli ambienti accademici, dalle quali partono le spinte organizzative e la formazione del soggetto politico. La quasi totalità dell’impegno si fonda su tecniche di comunicazione basate su un particolare recupero del concetto gramsciano di egemonia; elude il problema del controllo degli strumenti coercitivi e punta sulla manipolazione dei sistemi mediatici, per altro nemmeno controllati direttamente. Si tratta in particolare di imporre un linguaggio e i propri contenuti. Il mondo viene schematicamente diviso tra un 1% di dominanti e un 99% di defraudati; il conflitto deve concentrarsi con azioni di partecipazione dal basso; le rivendicazioni si riducono a mere politiche di diritti e di redistribuzione. In Spagna il successo politico del movimento si basa su una campagna mediatica su scala nazionale e sull’alleanza su base locale con le forze autonomistiche e le varie opposizioni sociali.

Il movimento indipendentista catalano è figlio di queste impostazioni, in linea per altro con i tentativi passati. Fonda la propria azione politica sulla base di colpi di mano e di smaccata manipolazione mediatica degli eventi. Una esasperazione analoga a quella cui stiamo assistendo negli Stati Uniti e che sta minando progressivamente la credibilità degli artefici. La gestione strumentale ed approssimativa del referendum, la montatura della critica verso atti repressivi in realtà alquanto blandi stanno spingendo in un vicolo cieco il gruppo dirigente catalano in una azione puramente simbolica e verbale che potrà trovare alimento, probabilmente, solo in provocazioni sempre più pericolose e strumentali. Non si conoscono le effettive capacità e propensioni del governo catalano a condurre in questa maniera e sino in fondo il gioco; c’è di che dubitarne. Come c’è da dubitare delle solide convinzioni di un popolo indipendentista così lesto a smobilitare la piazza, un minuto dopo le dichiarazioni solenni del Presidente Puigdemontes, non ostante l’ombra minacciosa delle forze lealiste in campo.

La conferma della dichiarazione di indipendenza di oggi al parlamento catalano, con un dilazionamento dei suoi effetti, rappresenta una mossa disperata che non cambierà un destino personale ormai segnato dei responsabili catalani e il declino delle formazioni politiche citate già per altro in corso.

Una debolezza che rischia di spingerli sempre più sotto la protezione e il salvacondotto esterni. Non sono mancati a queste forze gli incoraggiamenti, il sostegno e il supporto dei soliti centri di potere che hanno contribuito a sconvolgere l’intera area mediterranea; nemmeno è mancato il sostegno discreto e qualche incoraggiamento altrettanto discreto di centri presenti nei paesi europei.

È mancato rumorosamente, questa volta, l’aperto e sfrontato supporto diplomatico americano messo all’opera direttamente nelle piazze in Egitto, in Ucraina, in Siria, in Kossovo nel recente passato.

Segno che il fronte non è più così compatto e che il confronto in corso negli Stati Uniti sta lasciando la propria impronta anche in Europa.

Quello in corso in Catalogna rappresenta comunque un test, probabilmente anche una forzatura determinata dalla perdita parziale delle leve di comando, di quanto la politica di destabilizzazione e del caos sia ormai esportabile in Europa. Qualche riflesso visibile lo stiamo vivendo anche in Italia con la vicenda del referendum lombardo-veneto. Friedman tempo fa ci aveva avvertiti. Il suo fallimento indurrà, probabilmente, a riproporre, ma sotto mutate spoglie, quella politica; certamente contribuirà a mettere in crisi e a far piazza pulita di queste sedicenti forze di opposizione perfettamente complementari all’azione degli attuali establishment sino a determinarne l’ulteriore sopravvivenza. Si auspica da più parti il successo di una qualsiasi politica di destabilizzazione, perché potrebbe favorire di per sé la formazione di nuove classi dirigenti più autonome e più sensibili alla costruzione di formazioni sociali più coese ed eque, adatte a sostenere il confronto che sta covando nel mondo. È invece proprio la modalità di svolgimento di questo confronto sia all’interno che tra esse che determina la qualità della formazione dei centri strategici.

Il compito faticoso degli analisti e soprattutto dei pochi politici dediti alla causa è appunto quello di discernere il grano dal loglio piuttosto che dedicarsi alla contemplazione del caos primordiale.

¡Cataluña libre! ovvero il mistero teologico di Peppa Pig®, di Roberto Buffagni

 

Ecco il bello della vecchiaia moderna: che invece di brontolare, come i vecchi dei vecchi tempi, plus ça change, plus c’est la même chose o nihil sub sole novi, il vecchio moderno può continuare a meravigliarsi come un bambino al cospetto di novità assolute come questa lotta di liberazione nazionale catalana, in cui la tragedia della guerra civile spagnola si reincarna in un’appassionante avventura di Peppa Pig®.

Riassunto della puntata per i più distratti: i dirigenti catalani lanciano una campagna per l’indipendenza della Catalogna (non per l’autonomia che hanno già, e larghissima). Indipendenza della Catalogna = the end per il Regno di Spagna. Basterebbe la scissione catalana per far passare i titoli di coda su una storia plurisecolare, ma siccome una ciliegia tira l’altra, seguirebbero a ruota i baschi, che in fatto di identità storica specifica non hanno niente da invidiare ai catalani e in verità a nessuno in Europa e nel mondo, visto che la loro è una “lingua isolata”, non imparentata con alcuna delle lingue conosciute[1] (che siano alieni? Attendiamo la prossima puntata).

E fin qui, si potrebbe commentare come i vecchi di vecchio modello: nihil sub sole novi. Perché quante volte abbiamo visto, nella storia d’Europa e del mondo, lotte di liberazione nazionali più o meno giustificate, più o meno coronate da successo, più o meno esaltanti e condivisibili? Tante, anche qui in Italia. Ma ecco la novità assoluta: i dirigenti catalani non sono sfiorati dal pensiero che il Regno di Spagna, forse, non vorrà morire, e forse, almeno forse, reagirà. Ispirati dalla paella valenciana, cucinano invece uno strabiliante pastrocchio ideologico-politico composto da: anarchismo allo stato brado (“facciamo come ci pare”), democrazia confusionaria con colonna sonora degli Inti Illimani (“el pueblo unido jamàs serà vencido”), antifascismo back to the future (“via dallo Stato oppressore criptofranchista”), economicismo decerebrato (“tanto i soldi li abbiamo noi”), e indicono un referendum-battaglia campale decisiva per l’indipendenza della Catalogna.

Il cigolante Regno di Spagna, però, reagisce. Reagisce tardi, reagisce male, ma reagisce; e in effetti, perché non reagisse affatto e si lasciasse amputare la Catalogna (e a seguire almeno i Paesi Baschi), dovrebbe essere più stupido, più autolesionista e più confusionario dei dirigenti catalani. Il che è manifestamente impossibile, e dunque il Regno di Spagna reagisce. Il referendum è indiscutibilmente illegale. A scanso di equivoci, il Regno di Spagna chiede un chiarimento alla Corte Costituzionale, che naturalmente conferma un fatto chiaro come il sole: non si può distruggere formalmente uno Stato restando all’interno delle leggi che lo fondano, quindi no, non è vero che “facciamo come ci pare”. Il Regno di Spagna sa anche che a) non tutto el pueblo spagnolo è d’accordo sulla secessione catalana, quindi no, el pueblo non è unido, quindi può essere vencido b) non c’è bisogno verificare a) interpellando el pueblo spagnolo con un controreferendum, perché in ogni caso lo Stato spagnolo dispone delle forze dell’ordine e delle forze armate appunto spagnole, capacissime da sole di sconfiggere anche un eventuale pueblo unido. Il Regno di Spagna sa altresì che l’evocazione di una guerra civile per quanto low cost contro “lo Stato oppressore criptofranchista” mette il freddo nelle ossa a tutti gli spagnoli, catalani compresi, che non abbiano assimilato la storia patria seguendo le avventure di Peppa Pig®, e dunque anche l’antifascismo back to the future fidelizza un target limitato di consumatori. Per concludere, lo Stato spagnolo sa che la Catalogna può anche “avere i soldi”, ma se lui ha il monopolio della forza e il riconoscimento internazionale, e la Catalogna no, non c’è partita neanche sul piano economico o economicista.

Tutte queste cose, invero elementari, il Regno di Spagna le sa, e dunque reagisce. Reagisce tardi e male, dicevo. Se interessa, secondo me avrebbe dovuto reagire come segue: alla prima convocazione ufficiale del referendum, arrestare immediatamente i dirigenti catalani, processarli per propaganda e associazione sovversiva o antinazionale (art. 272 del C.P. italiano, non dubito esistano articoli analoghi nel C.P. spagnolo), condannarli e fargli scontare la pena fino all’ultimo giorno, commissariare la Generalitat catalana, presidiare il territorio con le FFAA e prevenire così la pericolosa sceneggiata del referendum, che di certo darà alimento anche in futuro a nuove puntate della serie “¡viva Cataluña libre y viva Peppa Pig®!”; e che poteva finire molto male, con più di un morto invece che con un po’ di feriti a quanto pare lievi, grazie a Dio: Dio che, secondo le parole di Miguel de Unamuno, “no puede olvidarse de España”. Poi, con tutta calma, indire nuove elezioni in Catalogna dopo aver messo fuori legge i partiti secessionisti presenti e futuri.

In breve, il Regno di Spagna doveva fare una cosa sola, e per quanto un po’ maldestramente l’ha fatta: far capire a tutti gli spagnoli, e in particolare ai catalani, che la politica è una cosa seria. Cosa seria vuole dire, nel caso in esame, che quando si ritiene, a torto o a ragione qui non importa, che per un popolo, una regione, una città, un quartiere o un condominio, sia giunta l’ora di secedere dallo Stato nel quale sono inclusi, chi prende la decisione deve prepararsi a un conflitto che prima o poi giungerà allo scontro armato, e quindi a versare il sangue proprio e altrui in un conflitto a morte: a fare insomma quella cosa che si chiama “guerra civile”. Perché la politica, o meglio il Politico, è retto da queste leggi, e non da altre; e lo si racconta con le tragedie classiche o con i drammi storici di Shakespeare, non con le avventure di Peppa Pig®.

Perché l’enigma vero che ci propone la vicenda catalana è proprio questo: come è possibile che un intero gruppo dirigente politico di una regione civile e moderna, appoggiato da un’importante quota di popolazione composta da persone in genere istruite e informate, e incoraggiato dall’estero da partiti, organi di stampa ufficiale, innumerevoli commentatori sui social media e così via, non si renda conto che la politica è una cosa seria? Che gli organismi politici e gli Stati non si lasciano distruggere o mutilare senza reagire? Che non esiste la lotta di liberazione nazionale sans larmes, per votazione plebiscitaria magari telematica? E che dunque chi si assume la responsabilità di indire una secessione deve prevederne le conseguenze, e prepararsi a una battaglia difficile e sanguinosa?

“Irresponsabili”, certo: i dirigenti catalani di oggi sono degli irresponsabili. Furono irresponsabili anche i dirigenti repubblicani spagnoli negli anni Trenta, quando forzarono le leggi e i risultati elettorali a loro vantaggio, quando non repressero o appoggiarono tacitamente le violenze politiche degli anarchici e della sinistra contro la Chiesa e contro la destra spagnola[2]. Ma all’epoca, l’irresponsabilità dei dirigenti repubblicani e delle sinistre spagnole si può compendiare in errato calcolo dei rapporti di forza e incapacità di controllare la propria base militante, in particolare le frange estremiste che puntavano a una rivoluzione sociale vera e propria; un’irresponsabilità che provocò l’alzamiento militare e la terribile guerra civile spagnola (centinaia di migliaia di caduti, sul campo e nelle repressioni sterministe dietro entrambe le linee).

Ma in questa nuova, odierna irresponsabilità c’è del mistero: il mistero di Peppa Pig®.

Esclusa a priori un’epidemia del morbo di Alzheimer-Perusini, mi sono interrogato su questo mistero. Ecco le ipotesi provvisorie a cui sono giunto.

1) Dopo le due guerre mondiali e la sconfitta complessiva d’Europa (nazioni nominalmente vincitrici comprese) gli europei, non potendo più partecipare autonomamente alla lotta per la potenza che intanto continuava come sempre a svolgersi nel mondo, hanno operato su di sé, con l’assistenza interessata delle loro badanti americana e sovietica, una colossale negazione del problema “potenza”, vale a dire: “Siamo impotenti ma in realtà non siamo impotenti perché la potenza non esiste o se esiste riguarda solo gli altri”.

2) Dopo l’instaurazione dell’ Unione Europea, che è un falso Stato privo di confini, legittimazione politica e forza che si propone come Superstato economico e ideologico, cioè un ferro di legno e un ossimoro politico vivente, la negazione di cui al punto precedente si è aggravata e approfondita: “Se l’Unione Europea, che non ha confini da proteggere o nemici tranne gli avversari ideologici antieuropei, è il nostro orizzonte politico e ideale, allora anche gli Stati europei che ne fanno parte non prenderanno sul serio i loro confini e non avranno altri nemici che gli avversari ideologici antieuropei. I catalani non sono meno europeisti degli spagnoli, quindi perché non dovrebbero volere l’indipendenza i catalani, e perché dovrebbero arrabbiarsi gli spagnoli?”

3) L’ideologia europeista e progressista, compendiata nel politically correct, si fonda sui principi di libertà, eguaglianza e fraternità che furono la bandiera della Rivoluzione francese e dell’illuminismo; che a loro volta sono una trascrizione secolarizzata dell’universalismo cristiano. Secolarizzata significa: amputata della dimensione sia specificamente religiosa, sia metafisica della cultura cristiana europea, che integra anche il lascito greco-romano. Secolarizzando la cultura cristiana europea, il politically correct trascrive e ritraduce a modo suo anche un elemento essenziale, e specificamente religioso, del cristianesimo: il ruolo unico e salvifico che il cristianesimo assegna alla vittima. Nella lettura di René Girard, il cristianesimo rivela le cose nascoste sin dalla fondazione del mondo[3] proprio perché al contrario di tutti i miti, che tutti si fondano sul meccanismo del capro espiatorio e assegnano alla vittima del sacrificio il ruolo di “colpevole/divino fondatore”, il cristianesimo rivela, nelle Scritture, che la vittima è vittima innocente.  Ma non c’è bisogno di rifarsi all’interpretazione girardiana del cristianesimo. La vittima per antonomasia, nella religione cristiana, è Gesù Cristo, la Vittima innocente, salvifica e redentrice, l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Si dà il caso che questa Vittima innocente sia anche Dio, e che Dio sia onnipotente. Nella dimensione religiosa cristiana che le è propria, questa coincidenza non pone problemi. Gesù è certamente Vittima, è certamente innocente, è certamente Dio e dunque certamente onnipotente: però non scende dalla Croce per fare fuori i cattivi e assumere la presidenza del Governo Mondiale della Bontà, dell’Innocenza e del Progresso. Non lo fa perché la tentazione della potenza mondana è la seconda (o la terza, a seconda dei Vangeli) tentazione di Satana a Gesù: “Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: ‘Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai’ ” [Mt 4,8-9.[4]]  che Gesù respinge con una citazione scritturale: “Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto” [Dt, 6,13]

Trascritto nel contesto secolarizzato, amputato della sua dimensione specificamente religiosa e metafisica, il ruolo salvifico e redentore della vittima diviene però tutt’altra cosa; per l’esattezza, diviene l’esatto contrario, esattamente anticristico, di Gesù Vittima Divina, Sacra e Redentrice: diviene la vittima onnipotente che redime l’umanità con l’azione politica.

Il politically correct, infatti, si fonda proprio sulla designazione di vittime sacre, e sacre in quanto vittime. Le donne sono vittime degli uomini, gli immigrati stranieri sono vittime degli autoctoni europei, i neri sono vittime dei bianchi, gli omosessuali sono vittime degli eterosessuali, i bambini sono vittime degli adulti, e così via: fino ad arrivare al caso in esame, la piccola Catalogna che è vittima della grossa Spagna, i deboli cittadini catalani che sono vittime del potente Stato spagnolo. (Tutte le vittime, naturalmente, sono vittime perché non sono potenti: altrimenti non sarebbero vittime). Ma se la vittima è sacra, è anche divina; e se è anche divina, le spetta di diritto l’attributo divino del quale nessuno ride: l’onnipotenza. Onnipotenza che la vittima si guarderà ben dal rifiutare, perché non esiste né un Dio da adorare e a cui solo rendere culto, e tanto meno Satana, che dunque non può proporla come tentazione a chicchessia. Anzi: l’onnipotenza, o in generale la maggior potenza possibile, se conferita di diritto alla vittima le consentirà di operare per il bene di tutti; addirittura per la redenzione – certo secolare visto che altre non ce ne sono –  del mondo e dell’umanità; fino al giorno in cui non ci saranno più vittime, perché non ci sarà più potenza (che è sempre un differenziale di potenza) e dunque non ci sarà più né conflitto, né ingiustizia, né politica, ma accordo e pace universali; dove il leone giacerà con l’agnello, e la Catalogna potrà dichiararsi libera e indipendente con la commossa benedizione del Regno di Spagna.

Però, sorpresa! Il giorno beato della vittima onnipotente che redime l’umanità con l’azione politica arriva sempre domani.

Per ora, in Spagna, è arrivata la redenzione dell’umanità copyright Peppa Pig®. Poteva andare molto peggio: ma in Spagna e altrove, non è finita qui. Stay tuned per la nuova stagione di questa emozionante serie fantaculturale,  intitolata L’apocalisse secondo Peppa Pig®.

[1] Il basco è una lingua ergativo-assolutiva, diversa da tutte le lingue indoeuropee occidentali (tutte lingue nominativo-accusative). I linguisti hanno provato a ricostruire una lingua proto-basca per mezzo della tecnica conosciuta come ricostruzione interna, ma non è stata ancora scoperta la sua origine e per questo viene considerata una lingua isolata, vale a dire una lingua che non è imparentata con nessun’altra lingua.

[2] Si vedano ad esempio le opere dello storico americano Stanley G. Payne, https://en.wikipedia.org/wiki/Stanley_G._Payne  o dello storico inglese Hugh Thomas https://en.wikipedia.org/wiki/Hugh_Thomas,_Baron_Thomas_of_Swynnerton. Interessante, sintetica e in italiano questa intervista a Payne: http://www.identitanazionale.it/Sesia_Payne.pdf

[3] E’ il titolo di un celebre libro di Girard. V. https://fr.wikipedia.org/wiki/Ren%C3%A9_Girard

[4] Ma vedi tutti i sinottici:  Mt 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13.