Massimo Morigi, Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo 2a parte

Massimo Morigi (per chi non volesse rileggere l’introduzione passare direttamente al link da pag 73)

LO STATO DELLE COSE DELL’ULTIMA RELIGIONE POLITICA ITALIANA: IL MAZZINIANESIMO

UNA RIFLESSIONE TRANSPOLITICA PER IL SUO LEGITTIMO EREDE: IL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO. PRESENTAZIONE DI TRENT’ANNI DOPO ALLA DIALETTICA OLISTICO-ESPRESSIVA-STRATEGICA-CONFLITTUALE DE ARNALDO GUERRINI. NOTE BIOGRAFICHE, DOCUMENTI E TESTIMONIANZE PER UNA STORIA DELL’ ANTIFASCISMO DEMOCRATICO ROMAGNOLO

INTRODUZIONE

Se accostiamo «Io sono una forza del Passato./Solo nella tradizione è il mio amore./Vengo dai ruderi, dalle chiese,/dalle pale d’altare, dai borghi/abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,/dove sono vissuti i fratelli.» che è la definizione della poetica e della Weltanschauung di Pier Paolo Pasolini con «Mi fanno male i capelli, gli occhi, la gola, la bocca… Dimmi se sto tremando!» criptica, surreale ma al tempo stesso lancinante e terribilmente espressiva dichiarazione del disagio del personaggio di Giuliana, interpretata da Monica Vitti, nel film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni e citazioni entrambe impiegate in questo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo. Una riflessione transpolitica per il suo legittimo erede: il Repubblicanesimo Geopolitico. Presentazione di trent’anni dopo alla dialettica olistico-espressiva-strategica-conflittuale de Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, abbiamo immediatamente l’immagine del particolare metodo dialettico impiegato da Massimo Morigi e di cui si aveva avuto una prova anche nello Stato delle Cose della Geopolitica. Presentazione di Quaranta, Trenta, Vent’anni dopo a le Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista. Nascita estetico-emotiva del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico originando dall’eterotopia poetica, culturale e politica del Portogallo, anche questo pubblicato a puntate sull’ “Italia e il Mondo”, che è, oltre ad essere un metodo dialettico che, come più occasioni ribadito da Morigi, oltre a non riconoscere alcuna validità gnoseologico-epistemologica alla suddivisione fra c.d. scienze della natura e scienze umane storico-sociali, entrambe unificate, secondo Morigi, nel paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico, proprio in ragione del suo approccio olistico, non distingue nemmeno fra dato storico-sociale e fra il suo stesso dato biografico e cercando di capire, assieme ai destinatari dei suoi messaggi, come questo dato biografico lo abbia portato alle sue odierne elaborazioni teoriche. A questo punto si potrebbe obiettare che in Morigi prevale sull’analisi teorica una sorta di deteriore biografismo, dove il momento dell’analisi viene travolto da una non richiesto lirismo. Niente di più errato. Comunque si voglia giudicare il del tutto inedito paradigma dialettico del Nostro, e noi comunque lo giudichiamo come l’unico tentativo veramente serio compiuto dalla fine del grande idealismo italiano di Gentile e Croce di far rivivere in Italia e nel resto del mondo il metodo dialettico, la manifestazione lirica cui Morigi rende conto a sé stesso prima ancora che ai lettori non sono assolutamente le sue interiori ed intime inclinazioni che giustamente egli ritiene non debbano interessare a nessuno ma si tratta del rendere conto, anche pubblicamente, del suo culturale Bildungsroman, dove nello Stato delle Cose della Geopolitica veniva focalizzato nella cultura portoghese, nella saudade di questo paese e, infine nella filmografia di Wim Wenders, in specie in quella che aveva come sfondo il Portogallo, Lo Stato delle Cose e Lisbon Story, mentre ora, Nello Stato delle Cose dell’ultima religione politica: il Mazzinianesimo si tratta della filmografia d’autore degli anni Sessanta del secolo che ci ha lasciato, cioè di quella di Federico Fellini, di Michelangelo Antonioni e di Pier Paolo Pasolini. E se è vero, come è vero, che il ricorso a questo strumento per l’interpretazione della crisi politica non solo del movimento mazziniano e del partito che tuttora vuole presentarsi come la sua attuazione politica è stata anche indotta dal fatto che sulla crisi della religione politica del mazzinianesimo e del partito che ancora vuole esprimere ed intestarsi questa ideologia non è stato, in fondo, scritto praticamente alcunché di veramente interessante e significativo (e non è questa la sede per contestare questa definizione di identità politica del PRI ed anche Morigi, anche per una sorta di rispetto verso un partito politico in cui militò in un lontano passato – e di cui, fra l’altro, dimostra in questo saggio introduttivo di essere un profondissimo conoscitore e, quindi, inevitabilmente quasi un “appassionato”–, è tutt’altro che acido rispetto a questa autodefinizione identitaria) ma anche della crisi politico-sistemica più generale che ha investito il nostro paese è, sulla scorta della sua dialettica totalizzante del tutto giustificata e conseguente, a noi lettori appare chiaro – ma anche Morigi, ne siamo sicuri ne è pienamente consapevole – che la filmografia espressamente citata in questo scritto di Morigi è anch’essa una parte importante del romanzo di formazione culturale di Morigi che, proprio in virtù della particolare dialettica totalizzante da lui elaborata può essere impiegata per dare conto sia del suo metodo dialettico che della crisi politica del sistema politico Italia, filmografia italiana che, sottintende sempre è stato quindi anche decisiva, insieme alle suggestioni portoghesi e wendersiane, per la definizione del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico.

Un’ultima notazione. Come da sottotitolo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo è l’introduzione del saggio di Massimo Morigi, Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, edito nel 1989 e che oltre ad essere la biografia dell’antifascista repubblicano e mazziniano Arnaldo Guerrini, già più di trent’anni fa esprimeva, come ci dice il suo autore e come potranno vedere i lettori dell’ “Italia e il Mondo” la consapevolezza della crisi del sistema politico italiano che sarebbe esplosa con Mani pulite. Questa biografia, assieme ovviamente al suo scritto introduttivo sullo Stato delle cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo, su espresso desiderio dell’autore viene pubblicata in quattro puntate a partire da questo mese di gennaio del 2023, in una sorta di augurio di buon anno nuovo per l’acquisizione di una rinnovata consapevolezza politica per terminare con l’ultima puntata da pubblicarsi in occasione del IX Febbraio, data dell’anniversario della nascita della Repubblica Romana del 1849 e che per tutti i mazziniani, siano o no ancora facenti parte del Partito Repubblicano Italiano, è la ricorrenza più importante di tutto il calendario, ancora più importante, siano o no questi repubblicani credenti nelle varie denominazioni del cristianesimo, del Natale cristiano. Ci sarebbe così allora ancora molto da dire sulle religioni politiche e su come il Repubblicanesimo Geopolitico nel suo olismo dialettico, voglia essere, come dice espressamente Morigi, una prosecuzione ed evoluzione per i nostri tempi dei principi repubblicani di Giuseppe Mazzini…

Buona lettura

Giuseppe Germinario

Segue sul link sottostante a partire da pag 73 (per chi ha già letto la prima parte)

SECONDA PARTE DELLO STATO DELLE COSE ULTIMA RELIGIONE POLITICA

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Guerra russo-ucraina: La pompa di sangue mondiale, di Big Serge

Guerra russo-ucraina: La pompa di sangue mondiale

A poco a poco, e poi improvvisamente

Ferro, Cenere e Sangue

Dalla decisione a sorpresa della Russia di ritirarsi volontariamente dalla sponda occidentale di Kherson nella prima settimana di novembre, ci sono stati pochi cambiamenti drammatici nelle linee del fronte in Ucraina. In parte, ciò riflette il prevedibile clima del tardo autunno nell’Europa orientale, che lascia i campi di battaglia impregnati d’acqua e intasati di fango e inibisce notevolmente la mobilità. Per centinaia di anni, novembre è stato un brutto mese per tentare di spostare gli eserciti su qualsiasi distanza significativa, e come un orologio abbiamo iniziato a vedere video di veicoli bloccati nel fango in Ucraina.

Il ritorno della guerra posizionale statica, tuttavia, riflette anche l’effetto sinergico dell’aumento dell’esaurimento ucraino insieme all’impegno russo a logorare e privare pazientemente la restante capacità di combattimento dell’Ucraina. Hanno trovato un luogo ideale per raggiungere questo obiettivo nel Donbas.

Nel romanzo di Ernest Hemingway, The Sun Also Rises , a un personaggio un tempo ricco, ora sfortunato, viene chiesto come sia andato in bancarotta. “Due modi”, risponde, “gradualmente e poi all’improvviso”. Un giorno potremmo chiedere come l’Ucraina ha perso la guerra e ricevere più o meno la stessa risposta.

Verdun Redux

È lecito affermare che i media del regime occidentale hanno fissato uno standard molto basso per i reportage sulla guerra in Ucraina, data la misura in cui la narrativa mainstream è disconnessa dalla realtà. Nonostante questi standard bassi, il modo in cui la battaglia in corso a Bakhmut viene presentata alla popolazione è davvero ridicolo. L’asse Bakhmut viene presentato al pubblico occidentale come una perfetta sintesi di tutti i tropi del fallimento russo: in poche parole, la Russia sta subendo perdite orribili mentre lotta per catturare una piccola città con un’importanza operativa trascurabile. I funzionari britannici, in particolare, sono stati molto espliciti nelle ultime settimane insistendo sul fatto che Bakhmut ha poco o nessun valore operativo .

La verità è letteralmente l’opposto di questa storia: Bakhmut è una posizione chiave di volta operativamente critica nella difesa ucraina, e la Russia l’ha trasformata in una fossa mortale che costringe gli ucraini a sacrificare un numero esorbitante di uomini per mantenere la posizione fino a quando possibile. In effetti, l’insistenza sul fatto che Bakhmut non sia operativamente significativo è leggermente offensivo per il pubblico, sia perché una rapida occhiata a una mappa lo mostra chiaramente nel cuore della rete stradale regionale, sia perché l’Ucraina ha gettato un numero enorme di unità nel lì davanti.

Facciamo un passo indietro e consideriamo Bakhmut nel contesto della posizione complessiva dell’Ucraina a est. L’Ucraina ha iniziato la guerra con quattro linee difensive operabili nel Donbass, costruite negli ultimi 8 anni sia come parte integrante della guerra in ebollizione con LNR e DNR, ma anche in preparazione di una potenziale guerra con la Russia. Queste linee sono strutturate attorno ad agglomerati urbani con collegamenti stradali e ferroviari tra loro e possono essere approssimativamente enumerate come segue:

Linee difensive dell’Ucraina a est (mappa da me)

Il Donbas è un luogo particolarmente adatto per costruire formidabili difese. È altamente urbanizzata e industriale (Donetsk era l’oblast più urbano dell’Ucraina prima del 2014, con oltre il 90% della popolazione che viveva nelle aree urbane), con città e paesi dominati dai tipici robusti edifici sovietici, insieme a prolifici complessi industriali. L’Ucraina ha trascorso gran parte dell’ultimo decennio a migliorare queste posizioni e gli insediamenti in prima linea sono pieni di trincee e postazioni di fuoco chiaramente visibili nelle immagini satellitari. Un recente video dall’asse Avdiivka dimostra l’estensione delle fortificazioni ucraine.

Quindi, rivediamo lo stato di queste cinture difensive. La prima cintura, che correva all’incirca da Severodonetsk e Lysychansk a Popasna, è stata spezzata in estate dalle forze russe. La Russia ha ottenuto un importante passo avanti a Popasna ed è stata in grado di iniziare il rollup completo di questa linea, con la caduta di Lysychansk all’inizio di luglio.

A questo punto, la linea del fronte si trova direttamente su quella che ho etichettato come la 2a e la 3a cintura difensiva ucraina, ed entrambe queste cinture ora sanguinano pesantemente.

La cattura di Soledar da parte delle forze di Wagner ha interrotto il collegamento tra Bakhmut e Siversk, mentre intorno a Donetsk, il sobborgo fortemente fortificato di Marinka è stato quasi completamente ripulito dalle truppe ucraine, e la famigerata posizione chiave di volta ucraina ad Avdiivka (il luogo da cui bombardano la popolazione civile della città di Donetsk) viene fiancheggiata da entrambe le direzioni.

La linea del fronte intorno ad Avdiivka (mappa per gentile concessione di MilitaryLand)

Queste posizioni sono assolutamente fondamentali per l’Ucraina. La perdita di Bakhmut significherà il crollo dell’ultima linea difensiva che ostacola Slavyansk e Kramatorsk, il che significa che la posizione orientale dell’Ucraina si contrarrà rapidamente fino alla sua quarta (e più debole) cintura difensiva.

L’agglomerato di Slavyansk è una posizione di gran lunga peggiore da difendere per l’Ucraina rispetto alle altre cinture, per diversi motivi. Innanzitutto, essendo la cintura più a ovest (e quindi la più lontana dalle linee di partenza di febbraio 2022), è la meno migliorata e meno fortificata delle cinture. In secondo luogo, molte delle “cose ​​buone” intorno a Slavyansk si trovano a est della città, comprese sia le alture dominanti che le principali autostrade.

Tutto questo per dire che l’Ucraina è stata molto ansiosa di mantenere la linea Bakhmut, poiché questa è una posizione di gran lunga preferibile da mantenere, e di conseguenza ha riversato unità nel settore. I livelli assurdi dell’impegno delle forze ucraine in quest’area sono stati ben notati, ma proprio come un rapido ripasso, fonti ucraine pubblicamente disponibili individuano almeno 34 brigate o unità equivalenti che sono state schierate nell’area di Bakhmut. Molti di questi sono stati schierati mesi fa e sono già distrutti, ma per l’intero arco della battaglia in corso questo rappresenta un impegno sorprendente.

Unità ucraine intorno a Bakhmut (mappa per gentile concessione di MilitaryLand)

Le forze russe, principalmente le unità Wagner PMC e LNR, stanno lentamente ma inesorabilmente facendo crollare questa roccaforte ucraina facendo un uso liberale dell’artiglieria. A novembre, l’ex consigliere di Zelensky Oleksiy Arestovych ha ammesso che l’artiglieria russa sull’asse Bakhmut godeva di un vantaggio di circa 9 a 1 sul tubo, il che sta trasformando Bakhmut in una fossa mortale.

La battaglia viene presentata in occidente come quella in cui i russi – solitamente stereotipati come soldati detenuti impiegati da Wagner – lanciano assalti frontali alle difese ucraine e subiscono perdite orribili nel tentativo di sopraffare la difesa con numeri puri. Il contrario è molto più vicino alla verità. La Russia si sta muovendo lentamente perché appiana le difese ucraine con l’artiglieria, poi si spinge avanti con cautela in queste difese polverizzate.

L’Ucraina, nel frattempo, continua a incanalare unità per riempire più o meno le trincee con nuovi difensori. Un pezzo del Wall Street Journal sulla battaglia, mentre cercava di presentare una storia di incompetenza russa, includeva accidentalmente un’ammissione di un comandante ucraino sul campo che diceva: “Finora, il tasso di cambio delle nostre vite per le loro favorisce i russi. Se continua così, potremmo esaurirci”.

I paragoni sono stati fatti liberamente (e non posso prendermene il merito) con una delle battaglie più infami della prima guerra mondiale: la sanguinosa catastrofe di Verdun. Sebbene non sia il caso di esagerare il valore predittivo della storia militare (nel senso che una conoscenza approfondita della prima guerra mondiale non consente di prevedere gli eventi in Ucraina), sono comunque un grande appassionato di storia come analogia, e lo schema tedesco di Verdun è un’utile analogia per ciò che sta accadendo a Bakhmut.

La battaglia di Verdun fu concepita dall’alto comando tedesco come un modo per paralizzare l’esercito francese attirandolo in un tritacarne preconfigurato. L’idea era di attaccare e conquistare un’altura difensiva cruciale, un terreno così importante che la Francia sarebbe stata costretta a contrattaccare e tentare di riconquistarla. I tedeschi speravano che la Francia impegnasse le proprie riserve strategiche in questo contrattacco in modo che potessero essere distrutte. Sebbene Verdun non sia riuscito a indebolire completamente la potenza di combattimento francese, è diventata una delle battaglie più sanguinose della storia del mondo. Una moneta tedesca che commemorava la battaglia raffigurava uno scheletro che pompava sangue dalla terra: una metafora visiva agghiacciante ma appropriata.

“The World Blood Pump” – commemora il tritacarne a Verdun

Qualcosa di simile si è effettivamente verificato a Bakhmut, nel senso che la Russia sta premendo su uno dei punti più sensibili della linea del fronte, attirando unità ucraine da uccidere. Pochi mesi fa, sulla scia del ritiro della Russia dalla Cisgiordania Kherson, gli ucraini hanno parlato con entusiasmo di continuare i loro sforzi offensivi con un attacco a sud in Zaparozhia per tagliare il ponte di terra verso la Crimea, insieme ai continui sforzi per sfondare nel nord di Lugansk. Invece, le forze di entrambi questi assi sono state reindirizzate a Bakhmut, al punto che questo asse sta prosciugando attivamente la forza di combattimento ucraina in altre aree. Fonti ucraine, precedentemente piene di ottimismo, ora concordano inequivocabilmente sul fatto che non ci saranno offensive ucraine nel prossimo futuro. Mentre parliamo,L’Ucraina continua a incanalare forze nell’asse Bakhmut .

Al momento, la posizione dell’Ucraina intorno a Bakhmut si è gravemente deteriorata, con le forze russe (in gran parte fanteria Wagner supportata dall’artiglieria dell’esercito russo) che stanno facendo progressi sostanziali su entrambi i fianchi della città. Sul fianco settentrionale, la cattura di Soledar ha spinto le linee russe a una distanza ravvicinata dalle autostrade nord-sud, mentre la cattura quasi simultanea di Klishchiivka sul fianco meridionale ha spinto le linee del fronte alle porte di Chasiv Yar (saldamente nella retroguardia operativa di Bakhmut ).

La linea di contatto attorno a Bakhmut, 20 gennaio 2023 (Mappa da me)

Gli ucraini non sono attualmente accerchiati, ma è facilmente distinguibile il continuo strisciare delle posizioni russe sempre più vicine alle rimanenti autostrade. Attualmente, le forze russe hanno posizioni entro due miglia da tutte le restanti autostrade. Ancora più importante, la Russia ora controlla le alture sia a nord che a sud di Bakhmut (la città stessa si trova in una depressione circondata da colline) dando alla Russia il controllo del fuoco su gran parte dello spazio di battaglia.

Attualmente sto anticipando che la Russia libererà la linea difensiva Bakhmut-Siversk entro la fine di marzo. Nel frattempo, la messa a nudo delle forze ucraine su altri assi aumenta la prospettiva di decisive offensive russe altrove.

Al momento, il fronte è costituito grosso modo da quattro assi principali (il plurale di asse, non l’attrezzo a lama), con consistenti agglomerati di truppe ucraine. Questi consistono, da sud a nord, degli assi Zaporozhia, Donetsk, Bakhmut e Svatove (vedi mappa sotto). Lo sforzo per rafforzare il settore Bakhmut ha notevolmente diluito la forza ucraina su questi altri settori. Sul fronte Zaporozhia, ad esempio, al momento ci sono potenzialmente solo cinque brigate ucraine in linea.

Al momento, la maggior parte della potenza di combattimento russa è disponibile, e sia le fonti occidentali che quelle ucraine sono (in ritardo) sempre più allarmate per la prospettiva di un’offensiva russa nelle prossime settimane. Attualmente, l’intera posizione ucraina a est è vulnerabile perché è, in effetti, un enorme saliente, vulnerabile agli attacchi da tre direzioni.

Due obiettivi di profondità operativa in particolare hanno il potenziale per distruggere la logistica e il sostegno ucraini. Questi sono, rispettivamente, Izyum nel nord e Pavlograd nel sud. Una spinta russa lungo la sponda occidentale del fiume Oskil verso Izyum minaccerebbe contemporaneamente di tagliare e distruggere il raggruppamento ucraino sull’asse Svatove (S sulla mappa) e recidere la vitale autostrada M03 da Kharkov. Raggiungere Pavlograd, d’altra parte, isolerebbe completamente le forze ucraine intorno a Donetsk e interromperebbe gran parte del transito dell’Ucraina attraverso il Dneiper.

Il piano Big Serge (mappa mia)

Sia Izyum che Pavlograd si trovano a circa 70 miglia dalle linee di partenza di una potenziale offensiva russa, e offrono quindi una combinazione molto allettante, essendo sia operativamente significative che relativamente gestibili. A partire da ieri, abbiamo iniziato a vedere progressi russi sull’asse Zaporozhia. Mentre questi consistono, al momento, principalmente in ricognizioni in forze che spingono nella “zona grigia” (quell’ambiguo fronte interstiziale), RUMoD ha rivendicato diversi insediamenti presi, che potrebbero presagire una vera spinta offensiva in questa direzione. Il indizio chiave sarebbe un assalto russo a Orikhiv, che è una grande città con una vera guarnigione ucraina. Un attacco russo qui indicherebbe che è in corso qualcosa di più di un attacco di indagine.

A volte è difficile analizzare la differenza tra ciò che prevediamo accadrà e ciò che vogliamo che accada. Questo, certamente, è ciò che sceglierei se fossi responsabile della pianificazione russa: un viaggio verso sud lungo la riva occidentale del fiume Oskil sull’asse Kupyansk-Izyum e un attacco simultaneo verso nord oltre Zaporozhia verso Pavlograd. In questo caso, credo che limitarsi a schermare Zaporozhia a breve termine sia preferibile piuttosto che impantanarsi in una battaglia urbana lì.

Non sappiamo se la Russia tenterà davvero di farlo. La sicurezza operativa russa è molto migliore di quella dell’Ucraina o delle sue forze per procura (Wagner e la milizia LNR/DNR), quindi sappiamo molto meno sugli schieramenti della Russia che su quelli dell’Ucraina. Indipendentemente da ciò, sappiamo che la Russia gode di una forte preponderanza della potenza di combattimento, lo sappiamo bene, e ci sono succosi obiettivi operativi a portata di mano.

Per favore, signore, ne voglio ancora

La vista a volo d’uccello di questo conflitto rivela un’affascinante meta-struttura della guerra. Nella sezione precedente, sostengo una visione del fronte strutturato attorno alla Russia che sfonda progressivamente le cinture difensive ucraine in sequenza. Penso che un simile tipo di struttura narrativa progressiva si applichi all’aspetto della generazione della forza di questa guerra, con la Russia che distrugge una sequenza di eserciti ucraini.

Permettetemi di essere un po’ più concreto. Sebbene l’esercito ucraino esista almeno in parte come un’istituzione continua, il suo potere di combattimento è stato distrutto e ricostruito più volte a questo punto attraverso l’assistenza occidentale. Molteplici fasi – cicli di vita, se vuoi – possono essere identificate:

  • Nei primi mesi della guerra, l’esercito ucraino esistente fu per lo più spazzato via. I russi hanno distrutto gran parte delle forniture indigene di armi pesanti dell’Ucraina e hanno distrutto molti quadri al centro dell’esercito professionale ucraino.
  • Sulla scia di questa prima frantumazione, la forza di combattimento ucraina è stata rafforzata trasferendo praticamente tutte le armi d’epoca sovietiche nelle scorte dei paesi dell’ex Patto di Varsavia. Questo ha trasferito veicoli e munizioni sovietici, compatibili con le capacità ucraine esistenti, da paesi come la Polonia e la Repubblica Ceca, ed è stato per lo più completato entro la fine della primavera del 2022. All’inizio di giugno, ad esempio, fonti occidentali hanno ammesso che le scorte sovietiche erano state prosciugate .
  • Con l’esaurimento delle scorte del Patto di Varsavia, la NATO ha iniziato a sostituire le capacità ucraine distrutte con equivalenti occidentali in un processo iniziato durante l’estate. Di particolare rilievo erano gli obici come l’americano M777 e il francese Caesar.

La Russia ha essenzialmente combattuto molteplici iterazioni dell’esercito ucraino – distruggendo la forza prebellica nei primi mesi, poi combattendo unità che sono state rifornite dalle scorte del Patto di Varsavia, e ora sta degradando una forza che dipende in gran parte dai sistemi occidentali.

Ciò ha portato all’ormai famosa intervista del generale Zaluzhny con l’economista in cui ha chiesto molte centinaia di carri armati principali, veicoli da combattimento di fanteria e pezzi di artiglieria. In effetti, ha chiesto un altro esercito, dato che i russi sembrano continuare a distruggere quelli che ha.

Voglio sottolineare alcune aree particolari in cui le capacità dell’Ucraina sono chiaramente degradate oltre i livelli accettabili, e osservare come ciò si colleghi allo sforzo della NATO per sostenere lo sforzo bellico ucraino.

Primo, artiglieria.

La Russia ha dato la priorità all’azione di controbatteria ormai da molte settimane e sembra avere un grande successo nel cacciare e distruggere l’artiglieria ucraina.

Sembra che ciò coincida in parte con il dispiegamento di nuovi sistemi di rilevamento della controbatteria “penicillin” . Questo è un nuovo strumento piuttosto pulito nell’arsenale russo. La guerra di controbatteria consiste generalmente in un pericoloso tango di pistole e sistemi radar. Il radar di controbatteria ha il compito di rilevare e localizzare le armi del nemico, in modo che possano essere distrutte dai propri tubi – il gioco è più o meno analogo a squadre nemiche di cecchini (l’artiglieria) e osservatori (il radar) che tentano di darsi la caccia a vicenda – e di ovviamente, ha senso sparare anche ai sistemi radar dell’altra parte, per accecarli, per così dire.

Il sistema Penicillin offre nuove potenti capacità alla campagna di controbatteria della Russia perché rileva le batterie di artiglieria nemiche non con il radar, ma con la localizzazione acustica. Emette un boom di ascolto che, in coordinamento con alcuni componenti del terreno, è in grado di localizzare i cannoni nemici attraverso il rilevamento sismico e acustico. Il vantaggio di questo sistema è che, a differenza di un radar a controbatteria, che emette onde radio che rivelano la sua posizione, il sistema Penicillin è passivo: sta semplicemente fermo e ascolta, il che significa che non offre al nemico un modo semplice per localizzarlo. esso. Di conseguenza, nella guerra di controbatteria, l’Ucraina attualmente non dispone di un buon modo per accecare (o meglio, assordare) i russi. Inoltre, le capacità di controbatteria russe sono state potenziate grazie all’aumento dell’uso del drone Lancet contro le armi pesanti.

Il boom acustico della penicillina ascolta il suono delle pistole nemiche

Tutto questo per dire che ultimamente la Russia ha distrutto un bel po’ di artiglieria ucraina. il Ministero della Difesa russo ha sottolineato il successo della controbatteria. Ora, so che a questo punto stai pensando: “perché dovresti fidarti del Ministero della Difesa russo?” Abbastanza giusto: fidiamoci ma verifichiamo.

Il 20 gennaio, la NATO ha convocato una riunione presso la base aerea di Ramstein in Germania, sullo sfondo di un nuovo massiccio pacchetto di aiuti messo insieme per l’Ucraina. Questo pacchetto di aiuti contiene, guarda caso, un’enorme quantità di pezzi di artiglieria. Secondo i miei calcoli, gli aiuti annunciati questa settimana includono quasi 200 tubi di artiglieria. Diversi paesi, tra cui Danimarca ed Estonia, stanno inviando all’Ucraina letteralmente tutti i loro obici . Chiamami pazzo, ma dubito seriamente che diversi paesi deciderebbero spontaneamente, esattamente nello stesso momento, di inviare all’Ucraina il loro intero inventario di pezzi di artiglieria se l’Ucraina non dovesse affrontare livelli di crisi di perdite di artiglieria.

Inoltre, gli Stati Uniti hanno adottato misure nuove e senza precedenti per fornire proiettili all’Ucraina. Proprio la scorsa settimana, hanno attinto alle sue scorte in Israele e Corea del Sud , tra i rapporti secondo cui le scorte americane sono così esaurite che ci vorrà più di un decennio per ricostituirsi .

Rivediamo le prove qui e vediamo se possiamo trarre una conclusione ragionevole:

  1. I funzionari ucraini ammettono che la loro artiglieria è superata di 9 a 1 nei settori critici del fronte.
  2. La Russia schiera un sistema di controbatteria all’avanguardia e aumenta il numero di droni Lancet.
  3. Il Ministero della Difesa russo afferma di aver cacciato e distrutto in gran numero i sistemi di artiglieria ucraini.
  4. La NATO si è affrettata a mettere insieme un massiccio pacchetto di sistemi di artiglieria per l’Ucraina.
  5. Gli Stati Uniti stanno facendo irruzione nelle scorte critiche schierate in avanti per rifornire l’Ucraina di proiettili.

Personalmente ritengo ragionevole, alla luce di tutto ciò, presumere che il braccio di artiglieria dell’Ucraina sia stato in gran parte distrutto e che la NATO stia tentando di ricostruirlo ancora una volta.

Il mio regno per un carro armato

Il principale punto di discussione nelle ultime settimane è stato se la NATO fornirà o meno all’Ucraina i principali carri armati. Zaluzhny ha accennato a un parco di carri armati ucraini gravemente impoverito nella sua intervista con l’Economist, in cui ha chiesto centinaia di MBT. La NATO ha tentato di fornire una soluzione di ripiego fornendo all’Ucraina vari veicoli corazzati come il Bradley IFV e lo Stryker, che ripristinano una certa mobilità, ma dobbiamo dire inequivocabilmente che questi non sono in alcun modo sostituti degli MBT, e sono di gran lunga inferiori in entrambi protezione e potenza di fuoco. Il tentativo di utilizzare Bradley, ad esempio, nel ruolo di MBT non funzionerà.

Buongiorno

Finora, sembra che l’Ucraina riceverà una piccola manciata di carri armati Challenger dalla Gran Bretagna, ma si parla anche di donare Leopardi (di marca tedesca), Abrams (americani) e Leclercs (francesi). Come al solito, l’impatto sul campo di battaglia della ricezione dei carri armati da parte dell’Ucraina è stato ampiamente sopravvalutato (sia dagli scagnozzi ucraini che dai russi pessimisti) e minimizzato (dai trionfalisti russi). Suggerisco una via di mezzo.

Il numero di carri armati che può essere ragionevolmente fornito all’Ucraina è relativamente basso, semplicemente a causa dell’onere di addestramento e sostentamento. Tutti questi carri armati utilizzano munizioni diverse, parti speciali e richiedono un addestramento specializzato. Non sono il tipo di sistemi che possono essere semplicemente portati fuori dal lotto e direttamente in combattimento da un equipaggio non addestrato. La soluzione ideale per l’Ucraina sarebbe quella di ricevere solo Leopard A24, poiché questi potrebbero essere disponibili in quantità decenti (forse un paio di centinaia) e almeno sarebbero standardizzati.

Un leopardo turco bruciato in Siria

Dovremmo anche notare, ovviamente, che è improbabile che questi carri armati occidentali cambino le regole del gioco sul campo di battaglia. Il Leopard ha già mostrato i suoi limiti in Siria sotto operazione turca. Nota la seguente citazione da questo articolo del 2018:

“Dato che i carri armati sono ampiamente gestiti dai membri della NATO – tra cui Canada, Paesi Bassi, Danimarca, Grecia e Norvegia – è particolarmente imbarazzante vederli distrutti così facilmente dai terroristi siriani quando dovrebbero eguagliare l’esercito russo”.

In definitiva, il Leopard è un MBT abbastanza banale progettato negli anni ’70 surclassato dal russo T-90. Non è un terribile pezzo di equipaggiamento, ma non è certo un terrore da campo di battaglia. Subiranno perdite e saranno logorati proprio come lo era il parco carri armati dell’Ucraina prima della guerra. Tuttavia, ciò non cambia il fatto che un esercito ucraino con poche compagnie di leopardi sarà più potente di uno senza di loro.

Penso che sia giusto dire che le seguenti tre affermazioni sono tutte vere:

  1. Ricevere un miscuglio di carri armati occidentali creerà un difficile onere di addestramento, manutenzione e sostentamento per l’Ucraina.
  2. I carri armati occidentali come il Leopard hanno un valore di combattimento limitato e verranno distrutti come qualsiasi altro carro armato.
  3. I carri armati occidentali aumenteranno la potenza di combattimento dell’esercito ucraino fintanto che saranno sul campo.

Ora, detto questo, a questo punto non sembra che la NATO voglia dare all’Ucraina i principali carri armati. Inizialmente è stato suggerito che i carri armati dal deposito potessero essere rispolverati e consegnati a Kiev, ma il produttore ha dichiarato che questi veicoli non sono funzionanti e non saranno pronti per il combattimento fino al 2024 . Ciò lascia solo la possibilità di immergersi direttamente nei parchi carri armati della NATO, cosa che finora sono reticenti a fare.

Come mai? Il mio suggerimento sarebbe semplicemente che la NATO non crede nella vittoria ucraina. L’Ucraina non può nemmeno sognare di spostare la Russia dalla sua posizione senza un’adeguata forza di carri armati, e quindi la reticenza a consegnare i carri armati suggerisce che la NATO pensa che questo sia comunque solo un sogno. Invece, continuano a dare la priorità alle armi che sostengono la capacità dell’Ucraina di combattere una difesa statica (da qui le centinaia di pezzi di artiglieria) senza indulgere in voli di fantasia su una grande spinta corazzata ucraina in Crimea.

Tuttavia, data l’intensa febbre della guerra che si è accumulata in occidente, è possibile che lo slancio politico ci imponga la scelta. È possibile che abbiamo raggiunto il punto in cui la coda scodinzola, che la NATO sia intrappolata nella sua stessa retorica di sostegno inequivocabile fino a quando l’Ucraina non otterrà una vittoria totale, e potremmo ancora vedere i Leopard 2A4 bruciare nella steppa.

Sommario: La morte di uno Stato

L’esercito ucraino è estremamente degradato, avendo subito perdite esorbitanti sia di uomini che di armi pesanti. Credo che i KIA ucraini si stiano avvicinando a 150.000 a questo punto, ed è chiaro che le loro scorte di tubi di artiglieria, proiettili e veicoli corazzati sono in gran parte esaurite.

Mi aspetto che la linea difensiva Bakhmut-Siversk venga ripulita prima di aprile, dopodiché la Russia si spingerà verso l’ultima (e più debole) cintura difensiva intorno a Slavyansk. Nel frattempo, la Russia ha in riserva una notevole potenza di combattimento, che può essere utilizzata per riaprire il fronte settentrionale sulla riva occidentale dell’Oskil e riavviare le operazioni offensive a Zaporozhia, mettendo in grave pericolo la logistica ucraina.

Questa guerra sarà combattuta fino alla sua conclusione sul campo di battaglia e terminerà con una decisione favorevole per la Russia.

Coda: una nota sui colpi di stato

Sentiti libero di ignorare questo segmento, poiché è un po’ più nebuloso e non è concretamente correlato agli eventi in Ucraina o in Russia.

Abbiamo visto molte voci divertenti sui colpi di stato in entrambi i paesi: Putin ha il cancro al piede e il suo governo crollerà, Zelensky sta per essere sostituito con Zaluzhny, e così via. Patrioti in controllo e tutta quella roba buona.

In ogni caso, ho pensato di scrivere solo in generale sul perché i colpi di stato e le rivoluzioni non sembrano mai portare a regimi democratici carini e coccolosi, ma invece quasi sempre portano al passaggio del controllo politico ai servizi militari e di sicurezza.

La risposta, si potrebbe pensare, è semplicemente che questi uomini hanno le armi e il potere per accedere alle stanze importanti in cui vengono prese le decisioni, ma non è solo questo. Si riferisce anche a un concetto nella teoria dei giochi chiamato punti Schelling .

Un punto Schelling (dal nome del signore che ha introdotto il concetto, un economista di nome Thomas Schelling) si riferisce alla soluzione che le parti scelgono dato uno stato di incertezza e nessuna capacità di comunicare. Uno degli esempi classici per illustrare il concetto è un gioco di coordinazione. Supponiamo che a te e a un’altra persona vengano mostrati quattro quadrati ciascuno: tre sono blu e uno è rosso. A ciascuno di voi viene chiesto di scegliere un quadrato. Se scegliete entrambi la stessa casella, ricevete un premio in denaro, ma non potete parlarvi delle vostre scelte. Come scegli? Bene, la maggior parte delle persone sceglie razionalmente il quadrato rosso, semplicemente perché è ben visibile – risalta, e quindi presumi che anche il tuo partner sceglierà questo quadrato. Il quadrato rosso non è migliore, di per sé, è solo ovvio.

In uno stato di tumulto politico, o addirittura di anarchia, il sistema lavora verso i punti Schelling – figure e istituzioni ovvie che irradiano autorità, e sono quindi la scelta evidente per assumere il potere e impartire comandi.

I bolscevichi, ad esempio, lo capirono molto bene. Immediatamente dopo aver dichiarato il loro nuovo governo nel 1917, inviarono commissari nei vari edifici per uffici a San Pietroburgo dove avevano sede le burocrazie zariste. Trotsky notoriamente si presentò una mattina all’edificio del ministero degli Esteri e annunciò semplicemente di essere il nuovo ministro degli Esteri. I dipendenti lo deridevano: chi era? come ha fatto a presumere di essere al comando? – ma per Trotsky il punto era insinuarsi su un punto Schelling. Nello stato di anarchia che cominciava a diffondersi in Russia, le persone cercavano naturalmente qualche ovvio punto focale di autorità, ei bolscevichi si erano abilmente posizionati come tali rivendicando il controllo sulle cariche e sui titoli burocratici. Dall’altra parte del conflitto civile, l’opposizione politica ai bolscevichi si raggruppò attorno agli ufficiali dell’esercito zarista, perché anch’essi erano punti di Schelling, in quanto avevano già titoli e posizione all’interno di una gerarchia esistente.

Tutto questo per dire che in caso di colpo di stato o di collasso dello stato, praticamente non si formano mai nuovi governi sui generis, ma nascono sempre da istituzioni e gerarchie preesistenti. Perché, quando cadde l’Unione Sovietica, l’autorità politica passò alle Repubbliche? Perché queste Repubbliche erano punti Schelling, rami che si possono afferrare per mettersi al sicuro in un fiume caotico.

Lo dico semplicemente perché sono stanco di storie fantasmagoriche sulla liquidazione del regime in Russia e persino sulla dissoluzione territoriale. La caduta del governo di Putin non porterà e non può portare a un regime acquiescente, adiacente all’Occidente, perché non ci sono istituzioni di potere reale in Russia che siano così disposte. Il potere ricadrebbe sui servizi di sicurezza, perché sono punti Schelling, ed è lì che va il potere.

https://bigserge.substack.com/p/russo-ukrainian-war-the-world-blood

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Massimo Morigi, Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo 1a parte

Massimo Morigi

LO STATO DELLE COSE DELL’ULTIMA RELIGIONE POLITICA ITALIANA: IL MAZZINIANESIMO

UNA RIFLESSIONE TRANSPOLITICA PER IL SUO LEGITTIMO EREDE: IL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO. PRESENTAZIONE DI TRENT’ANNI DOPO ALLA DIALETTICA OLISTICO-ESPRESSIVA-STRATEGICA-CONFLITTUALE DE ARNALDO GUERRINI. NOTE BIOGRAFICHE, DOCUMENTI E TESTIMONIANZE PER UNA STORIA DELL’ ANTIFASCISMO DEMOCRATICO ROMAGNOLO

INTRODUZIONE

Se accostiamo «Io sono una forza del Passato./Solo nella tradizione è il mio amore./Vengo dai ruderi, dalle chiese,/dalle pale d’altare, dai borghi/abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,/dove sono vissuti i fratelli.» che è la definizione della poetica e della Weltanschauung di Pier Paolo Pasolini con «Mi fanno male i capelli, gli occhi, la gola, la bocca… Dimmi se sto tremando!» criptica, surreale ma al tempo stesso lancinante e terribilmente espressiva dichiarazione del disagio del personaggio di Giuliana, interpretata da Monica Vitti, nel film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni e citazioni entrambe impiegate in questo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo. Una riflessione transpolitica per il suo legittimo erede: il Repubblicanesimo Geopolitico. Presentazione di trent’anni dopo alla dialettica olistico-espressiva-strategica-conflittuale de Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, abbiamo immediatamente l’immagine del particolare metodo dialettico impiegato da Massimo Morigi e di cui si aveva avuto una prova anche nello Stato delle Cose della Geopolitica. Presentazione di Quaranta, Trenta, Vent’anni dopo a le Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista. Nascita estetico-emotiva del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico originando dall’eterotopia poetica, culturale e politica del Portogallo, anche questo pubblicato a puntate sull’ “Italia e il Mondo”, che è, oltre ad essere un metodo dialettico che, come più occasioni ribadito da Morigi, oltre a non riconoscere alcuna validità gnoseologico-epistemologica alla suddivisione fra c.d. scienze della natura e scienze umane storico-sociali, entrambe unificate, secondo Morigi, nel paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico, proprio in ragione del suo approccio olistico, non distingue nemmeno fra dato storico-sociale e fra il suo stesso dato biografico e cercando di capire, assieme ai destinatari dei suoi messaggi, come questo dato biografico lo abbia portato alle sue odierne elaborazioni teoriche. A questo punto si potrebbe obiettare che in Morigi prevale sull’analisi teorica una sorta di deteriore biografismo, dove il momento dell’analisi viene travolto da una non richiesto lirismo. Niente di più errato. Comunque si voglia giudicare il del tutto inedito paradigma dialettico del Nostro, e noi comunque lo giudichiamo come l’unico tentativo veramente serio compiuto dalla fine del grande idealismo italiano di Gentile e Croce di far rivivere in Italia e nel resto del mondo il metodo dialettico, la manifestazione lirica cui Morigi rende conto a sé stesso prima ancora che ai lettori non sono assolutamente le sue interiori ed intime inclinazioni che giustamente egli ritiene non debbano interessare a nessuno ma si tratta del rendere conto, anche pubblicamente, del suo culturale Bildungsroman, dove nello Stato delle Cose della Geopolitica veniva focalizzato nella cultura portoghese, nella saudade di questo paese e, infine nella filmografia di Wim Wenders, in specie in quella che aveva come sfondo il Portogallo, Lo Stato delle Cose e Lisbon Story, mentre ora, Nello Stato delle Cose dell’ultima religione politica: il Mazzinianesimo si tratta della filmografia d’autore degli anni Sessanta del secolo che ci ha lasciato, cioè di quella di Federico Fellini, di Michelangelo Antonioni e di Pier Paolo Pasolini. E se è vero, come è vero, che il ricorso a questo strumento per l’interpretazione della crisi politica non solo del movimento mazziniano e del partito che tuttora vuole presentarsi come la sua attuazione politica è stata anche indotta dal fatto che sulla crisi della religione politica del mazzinianesimo e del partito che ancora vuole esprimere ed intestarsi questa ideologia non è stato, in fondo, scritto praticamente alcunché di veramente interessante e significativo (e non è questa la sede per contestare questa definizione di identità politica del PRI ed anche Morigi, anche per una sorta di rispetto verso un partito politico in cui militò in un lontano passato – e di cui, fra l’altro, dimostra in questo saggio introduttivo di essere un profondissimo conoscitore e, quindi, inevitabilmente quasi un “appassionato”–, è tutt’altro che acido rispetto a questa autodefinizione identitaria) ma anche della crisi politico-sistemica più generale che ha investito il nostro paese è, sulla scorta della sua dialettica totalizzante del tutto giustificata e conseguente, a noi lettori appare chiaro – ma anche Morigi, ne siamo sicuri ne è pienamente consapevole – che la filmografia espressamente citata in questo scritto di Morigi è anch’essa una parte importante del romanzo di formazione culturale di Morigi che, proprio in virtù della particolare dialettica totalizzante da lui elaborata può essere impiegata per dare conto sia del suo metodo dialettico che della crisi politica del sistema politico Italia, filmografia italiana che, sottintende sempre è stato quindi anche decisiva, insieme alle suggestioni portoghesi e wendersiane, per la definizione del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico.

Un’ultima notazione. Come da sottotitolo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo è l’introduzione del saggio di Massimo Morigi, Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, edito nel 1989 e che oltre ad essere la biografia dell’antifascista repubblicano e mazziniano Arnaldo Guerrini, già più di trent’anni fa esprimeva, come ci dice il suo autore e come potranno vedere i lettori dell’ “Italia e il Mondo” la consapevolezza della crisi del sistema politico italiano che sarebbe esplosa con Mani pulite. Questa biografia, assieme ovviamente al suo scritto introduttivo sullo Stato delle cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo, su espresso desiderio dell’autore viene pubblicata in quattro puntate a partire da questo mese di gennaio del 2023, in una sorta di augurio di buon anno nuovo per l’acquisizione di una rinnovata consapevolezza politica per terminare con l’ultima puntata da pubblicarsi in occasione del IX Febbraio, data dell’anniversario della nascita della Repubblica Romana del 1849 e che per tutti i mazziniani, siano o no ancora facenti parte del Partito Repubblicano Italiano, è la ricorrenza più importante di tutto il calendario, ancora più importante, siano o no questi repubblicani credenti nelle varie denominazioni del cristianesimo, del Natale cristiano. Ci sarebbe così allora ancora molto da dire sulle religioni politiche e su come il Repubblicanesimo Geopolitico nel suo olismo dialettico, voglia essere, come dice espressamente Morigi, una prosecuzione ed evoluzione per i nostri tempi dei principi repubblicani di Giuseppe Mazzini…

Buona lettura

Giuseppe Germinario

Segue sul link sottostante a partire da pag 7

PRIMA PARTE DELLO STATO DELLE COSE DELL ULTIMA RELIGIONE POLITICA

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IL BICCHIERE MEZZO PIENO, Teodoro Klitsche de la Grange

IL BICCHIERE MEZZO PIENO

Tra le innovazioni del decreto 150/2022, c’è l’estensione dei reati procedibili solo a querela dell’offeso, onde creare un barrage ai processi penali e così ridurne il numero. Il tutto, si sostiene, in linea con gli obiettivi di efficienza del processo e del sistema penale. Ancorché il tutto possa prestarsi ad un’inferiore deterrenza della prescrizione sanzionatoria (e così al di essa effetto dissuasorio) la rimessione alla parte lesa della facoltà di “far partire” il procedimento, ne facilita – a vantaggio della medesima – le condotte risarcitorie e riparatorie del reato, con soddisfazione – almeno parziale – dell’interesse della vittima.

Nello stato in cui versa la giustizia italiana, non possono che essere benvenute disposizioni che consentono una migliore soddisfazione dell’interesse privato, peraltro “alleggerendone” gli oneri per lo Stato. Tuttavia sono i presupposti di soluzioni come questa a dover essere criticati; vediamo perché.

Scriveva Hegel che lo “Stato è la realtà della libertà concreta”, in quanto, brevemente, coniuga gli interessi particolari con l’interesse della generalità così che né l’universale si compie senza l’interesse particolare, né che gli individui vivano solo per questo, senza che vogliano, in pari tempo, l’universale.

Più “tecnicamente”, da giurista, Jhering collegava l’interesse particolare al generale, attraverso i meccanismi giuridici, in particolare la sanzione, che, come Carnelutti avrebbe sottolineato, è un avvaloramento del precetto normativo con la quale si penalizza la condotta conforme o contraria a quella, sacrificando o soddisfacendo l’interesse particolare.

Anche per questo Jhering scrisse quel best seller giuridico che è La lotta per il diritto (Kampf ums Recht) ancora oggi, a circa un secolo e mezzo dalla pubblicazione, continuamente riedito. Nell’edizione Laterza degli anni ’30, con un’avvertenza preliminare di Croce che, sorprendentemente, ne sottolineava l’alto valore etico, scrivendo: “Può far maraviglia che questo elevamento della lotta pel diritto sopra le considerazioni utilitarie sia sostenuto da un pensatore che nella sua speciale trattazione filosofica dell’argomento, Der Zweck im Recht (1877-83), riportò il principio del diritto all’egoismo… Ma tant’è: nel Jhering il sentimento morale era più forte dei suoi presupposti e della sua logica filosofica” e proseguiva che a questa concezione “valse il forte rilievo dato agli individui e ai loro bisogni e ai fini che si propongono nel formare il diritto; se anche gli piacque interpretarli e chiamarli, poco felicemente, egoistici”.

La ragione per cui lottare (Kampf) per il proprio diritto soggettivo, al tempo stesso si risolve nel realizzare  quello oggettivo è che il diritto che non è applicato, per cui non si lotta, è un diritto… teorico. Cioè che nega la propria essenza di attività (ragione) pratica. Come le idee di Platone, confinato in un iperuranio normativo, senza un demiurgo che lo porti in terra.

Se la funzione del demiurgo è rivestita soltanto dalla vittima zelante probabilmente l’effettività dell’attuazione (cioè la soddisfazione dell’interesse pubblico all’ordine sociale) e così l’oggettivazione lascerà a desiderare.

Ciò premesso quel che più sorprende di questa soluzione è che se ne vuole misurare (almeno nella rappresentazione che ne danno molti mass-media) l’efficacia non dal calo dei reati commessi ma da quello dei processi che ne conseguono.

Di per se che non si celebri il processo dopo il reato perché manca la querela, non significa che il reato non sia avvenuto (né che il reo non lo reiteri), ma solo, per l’appunto, che manca la querela. Anzi, sbrigarsela con un risarcimento e non con la detenzione non fa calare le trasgressioni, ma aumentare le possibilità di “farla franca”. In particolare per i rei dotati di disponibilità finanziarie.

C’è da aggiungere che tale modo di ragionare, in particolare se presentato come “momento” decisivo delle riforme, è figlio di una visione burocratica del mondo; è l’universo visto dall’angolo visuale della scrivania, ma tale punto di osservazione non permette una percezione “a giro d’orizzonte” e prenderla per quella principale è frutto di una deformazione professionale, spesso ripetuta. Se invece di centomila processi da iniziare se ne hanno settantamila, onde la durata degli stessi dimezza, non vuol dire (neppure) che l’efficacia dell’amministrazione della giustizia penale è migliorata, ma solo che ha minore lavoro da sbrigare. Tuttavia la funzione della giustizia penale in ispecie, di assicurare l’ordine sociale non ci guadagna un gran che. Ciò non significa che la riforma sia disprezzabile, ma che non è il caso di intonare peana né confidare in grandi risultati da un bicchiere mezzo pieno.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Emmanuel Todd: ‘La Terza Guerra Mondiale è iniziata’

Se guardiamo i voti dall’ONU, vediamo che il 75% del mondo non segue l’Occidente, che così appare piccolissimo. Vediamo che questo conflitto, descritto dai media come conflitto di valori politici, è un più profondo conflitto di valori antropologici.

Intervista a cura di Alexandre Devecchio a Emmanuel Todd su “Le Figaro”.

Grande intervista – Emmanuel Todd è antropologo, storico, saggista, prospettivista, autore di numerose opere. Molte di esse, come “La caduta finale”, “Illusione economica” o “Dopo l’impero”, sono diventati classici delle scienze sociali. Il suo ultimo lavoro, “La terza guerra mondiale”, è apparso nel 2022 in Giappone e ha venduto 100.000 copie.

Pensatore scandaloso per alcuni, intellettuale visionario per altri, “Rebelle Destroy” con le sue stesse parole, Emmanuel Todd non lascia indifferente. L’autore de “La caduta finale”, che ha previsto nel 1976 il crollo dell’Unione Sovietica, era rimasto discreto in Francia sulla questione della guerra in Ucraina. L’antropologo ha finora riservato la maggior parte dei suoi interventi al pubblico giapponese, perfino pubblicando nell’arcipelago un titolo provocatorio: “La terza guerra mondiale è già iniziata”. Per “Le Figaro”, descrive in dettaglio la sua tesi iconoclasta. […]

Oltre allo scontro militare tra Russia e Ucraina, l’antropologo insiste sulla dimensione ideologica e culturale di questa guerra e sull’opposizione tra l’Occidente liberale e il resto del mondo che ha acquisito una visione conservatrice e autoritaria. I più isolati non sono, secondo lui, quelli che sono ritenuti tali.

Le Figaro. – Perché pubblicare un libro sulla guerra in Ucraina in Giappone e non in Francia?

Emmanuel Todd. – I giapponesi sono altrettanto anti-russi quanto gli europei. Ma sono geograficamente lontani dal conflitto, quindi non c’è un vero senso di urgenza, non hanno la nostra relazione emotiva con l’Ucraina. E lì, non ho affatto lo stesso status. Qui, ho l’assurda reputazione di essere un ribelle iconoclasta, mentre in Giappone sono un antropologo, uno storico e geopolitico rispettato, che si esprime in tutti i grandi giornali e riviste e di cui tutti i libri sono pubblicati. Laggiù posso esprimermi in un’atmosfera serena, cosa che ho fatto dapprima su delle riviste, e poi pubblicando questo libro, che è una raccolta di interviste. Quest’opera si chiama “La terza guerra mondiale è già iniziata, con 100.000 copie vendute ad oggi.

È ovvio che il conflitto, nel passare da una limitata guerra territoriale a uno scontro economico globale, tra tutto l’Occidente da una parte e la Russia sostenuta dalla Cina dall’altra parte, è divenuto una guerra mondiale.

Perché questo titolo?

Perché è la realtà, la Terza Guerra mondiale è iniziata. È vero che ha iniziato “in piccolo” e con due sorprese. Si è partiti in questa guerra con l’idea che l’esercito della Russia fosse molto potente e che la sua economia fosse molto debole. Si credeva che l’Ucraina sarebbe stata schiacciata militarmente e che la Russia sarebbe stata schiacciata economicamente dall’Occidente. Tuttavia, è accaduto il contrario. L’Ucraina non è stata schiacciata militarmente anche se ha perso il 16% del suo territorio ad oggi; La Russia non è stata schiacciata economicamente. Mentre le parlo, il rublo ha preso l’8% rispetto al dollaro e il 18% rispetto all’euro dalla vigilia dell’ingresso in guerra.

Quindi c’è stata una sorta di malinteso. Ma è ovvio che il conflitto, nel passare da una guerra territoriale limitata a uno scontro economico globale, tra l’intero Occidente da un lato e la Russia sostenuta dalla Cina dall’altro, è diventato una guerra globale. Anche se le violenze militari sono più deboli rispetto a quelle delle precedenti guerre mondiali.

Non starà mica esagerando? L’Occidente non è direttamente impegnato militarmente …

Forniamo comunque armi. Uccidiamo i russi, anche se non ci esponiamo in prima persona. Ma resta il fatto che noi, europei, siamo principalmente impegnati economicamente. Sentiamo d’altronde sopraggiungere il nostro vero ingresso in guerra attraverso l’inflazione e le penurie.

Putin ha commesso un grosso errore all’inizio, che presenta un immenso interesse socio-storico. Coloro che lavoravano sull’Ucraina alla vigilia della guerra consideravano questo paese non tanto come una democrazia emergente, quanto come una società in decomposizione e uno “stato fallito” in divenire. Ci si chiedeva se l’Ucraina avesse perso 10 o 15 milioni di abitanti dalla sua indipendenza. Non possiamo decidere in proposito perché l’Ucraina non fa più censimenti dal 2001, classico segno di una società che ha paura della realtà. Penso che il calcolo del Cremlino fosse che questa società in decomposizione sarebbe crollata nel primo shock, o avrebbe addirittura detto “Benvenuta mamma” alla Santa Russia. Ma ciò che è stato scoperto, al contrario, è che una società in decomposizione, se è alimentata da risorse finanziarie e militari esterne, può trovare in guerra un nuovo tipo di equilibrio e persino un orizzonte, una speranza. I russi non potevano prevederlo. Nessuno poteva.

Ma non è che i russi hanno sottovalutato, nonostante lo stato di autentica decomposizione della società, la forza del sentimento nazionale ucraino, e persino la forza del sentimento europeo di sostegno verso l’Ucraina? E lei stesso non la sottovaluta?

Non lo so. Ci lavoro, ma lo faccio in veste di ricercatore, vale a dire ammettendo che ci sono cose che non si sanno. E per me, stranamente, uno dei campi su cui ho troppo poche informazioni per esprimermi è l’Ucraina. Potrei dirle, sulla fede degli antichi dati, che il sistema familiare della piccola Russia era nucleare, più individualistico del sistema Grande Russo, che era più comunitario, collettivista. Questo, posso dirglielo, ma che cosa sia diventata l’Ucraina, con enormi movimenti della popolazione, un’auto-selezione di alcuni tipi sociali attraverso il rimanere in loco o l’emigrare prima e durante la guerra, non posso dirglielo, non lo sappiamo per il momento.

Uno dei paradossi che devo affrontare è che la Russia non mi pone problemi di comprensione. È qui che sono più fuori passo rispetto al mio ambiente occidentale. Capisco l’emozione di tutti, è mi risulta doloroso parlare come uno storico freddo. Ma quando pensiamo a Giulio Cesare che cattura Vercingetorige ad Alesia, portandolo poi a Roma per celebrare il suo trionfo, non ci si chiede se i romani fossero cattivi o carenti di valori. Oggi, in emozione, in sintonia con il mio paese, posso vedere l’ingresso dell’esercito russo nel territorio ucraino, bombardamenti e morti, distruzione di infrastrutture energetiche, ucraini che crepano di freddo per tutto l’inverno. Ma per me, il comportamento di Putin e dei russi è leggibile altrimenti e vi dirò in che modo.

Tanto per cominciare, ammetto di essere stato preso alla sprovvista all’inizio della guerra, non ci credevo. Oggi condivido l’analisi del geopolitico “realista” americano John Mearsheimer. Quest’ultimo ha fatto la seguente osservazione: ci dicevano che l’Ucraina, il cui esercito era stato preso in mano dai soldati della NATO (americani, britannici e polacchi) almeno dal 2014, era quindi membro di fatto della NATO e che i russi avevano annunciato che non avrebbero mai tollerato un’Ucraina membro della NATO. Questi russi fanno quindi, (come Putin ci ha spiegato il giorno prima dell’attacco) una guerra che dal loro punto di vista è difensiva e preventiva. Mearsheimer ha aggiunto che non avremmo motivo di rallegrarci di qualsiasi difficoltà dei russi perché, poiché per loro si tratta una questione esistenziale, quanto più questa dovesse risultare dura, tanto più loro colpirebbero con forza. L’analisi sembra essersi verificata. Aggiungerei un complemento e una critica all’analisi di Mearsheimer.

Questa guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti. Non più della Russia, non possono ritirarsi dal conflitto, non possono mollare. Questo è il motivo per cui stiamo ormai dentro una guerra infinita, dentro uno scontro il cui risultato deve essere il crollo dell’uno o dell’altro.

I quali?

Per il complemento: quando si dice che l’Ucraina era di fatto membro della NATO, non si va abbastanza lontano. La Germania e la Francia erano diventate da parte loro partner minori della NATO e non erano a conoscenza di ciò che si tramava in Ucraina a livello militare. Abbiamo criticato l’ingenuità francese e tedesca perché i nostri governi non credevano nella possibilità di un’invasione russa. Certo, ma perché non sapevano che americani, britannici e polacchi potevano consentire all’Ucraina di poter condurre una guerra allargata. L’asse fondamentale della NATO ora è Washington-Londra-Varsavia-Kiev.

Ora la critica: Mearsheimer, da buon americano, sopravvaluta il suo paese. Ritiene che, se per i russi la guerra ucraina è esistenziale, per gli americani è fondamentalmente solo un “gioco” di potere tra gli altri. Dopo il Vietnam, l’Iraq e l’Afghanistan, una disfatta in più o in meno…. Cosa importa? L’assioma di base della geopolitica americana è: “Possiamo fare quello che vogliamo perché siamo al sicuro, lontani, tra due oceani, non ci succederà mai nulla”. Niente sarebbe esistenziale per l’America. Analisi insufficiente che ora porta Biden a una fuga in avanti. L’America è fragile. La resistenza dell’economia russa spinge il sistema imperiale americano verso il precipizio. Nessuno aveva previsto che l’economia russa avrebbe tenuto testa al “potere economico” della NATO. Credo che i russi stessi non lo avessero anticipato.

Se l’economia russa resistesse alle sanzioni indefinitamente e riuscisse a esaurire l’economia europea, laddove essa rimanesse in campo, sostenuta dalla Cina, il controllo monetario e finanziario americano del mondo crollerebbe e con esso la possibilità per gli Stati Uniti di finanziare il proprio enorme deficit commerciale dal nulla. Questa guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti. Così come la Russia, non possono ritirarsi dal conflitto, non possono mollare. Questo è il motivo per cui ora siamo in una guerra infinita, in uno scontro il cui risultato deve essere il crollo dell’uno o dell’altro. Cinesi, indiani e sauditi, tra gli altri, esultano.

Ma l’esercito russo sembra ancora in una brutta posizione. Alcuni arrivano perfino a prevedere il crollo del regime, lei non ci crede?

No, all’inizio sembra esserci stata, in Russia, un’esitazione, ovvero la sensazione di essere stati abusati, di non essere stati avvertiti. Ma lì, i russi sono installati nella guerra e Putin beneficia di qualcosa di cui non abbiamo idea, ossia che gli anni 2000, gli Anni Putin, sono stati per i russi gli anni del ritorno all’equilibrio, del ritorno a una vita normale. Penso che Macron rappresenterà per contro agli occhi dei francesi la scoperta di un mondo imprevedibile e pericoloso, il ricongiungimento con la paura. Gli anni ’90 furono un periodo incredibile di sofferenza per la Russia. Gli anni 2000 sono stati un ritorno alla normalità, e non solo in termini di livelli di vita: abbiamo visto crollare i tassi di suicidio e di omicidio e, soprattutto, aqbbiamo visto il mio indicatore preferito, il tasso di mortalità infantile, che precipitava e persino andava al di sotto del tasso americano.

Nello spirito dei russi, Putin incarna (nel senso forte, cristico), questa stabilità. E, fondamentalmente, i russi ordinari ritengono, come il loro presidente, di fare una guerra difensiva. Sono consapevoli di aver commesso errori all’inizio, ma la loro buona preparazione economica ha aumentato la loro fiducia, non in confronto all’Ucraina (la resistenza degli ucraini è per loro interpretabile, sono coraggiosi come dei russi, mai degli occidentali combatterebbero così bene!), bensì di fronte a quel che chiamano “L’Occidente Collettivo”, oppure “gli Stati Uniti e i loro vassalli”. La vera priorità del regime russo non è tanto la vittoria militare sul terreno, quanto non perdere la stabilità sociale acquisita negli ultimi 20 anni.

Pertanto, fanno questa guerra “in economia”, in particolare un’economia d’uomini. Perché la Russia mantiene il suo problema demografico, con una fertilità di 1,5 bambini per donna. Tra cinque anni avranno classi di età vuote. Secondo me, devono vincere la guerra in 5 anni o perderla. Una durata normale per una guerra mondiale. Pertanto fanno questa guerra in economia, ricostruendo un’economia di guerra parziale, ma volendo preservare gli uomini. Questo è il significato del ritiro di Kherson, dopo quelli nelle regioni di Kharkiv e Kiev. Noi contiamo i chilometri quadrati ripresi dagli ucraini, ma i russi da parte loro attendono la caduta delle economie europee. Noi siamo il loro fronte principale. Posso ovviamente sbagliarmi, ma vivo con l’idea che il comportamento dei russi sia leggibile, perché razionale e duro. Le incognite sono altrove.

Lei spiega che i russi percepiscono questo conflitto come “una guerra difensiva”, ma nessuno ha cercato di invadere la Russia e oggi, a causa della guerra, la NATO non ha mai avuto così tanta influenza ad Est con i paesi baltici che vi si vogliono integrare.

Per risponderle, le propongo un esercizio psico-geografico, che può essere fatto zoomando all’indietro. Se guardiamo la mappa dell’Ucraina, vediamo l’ingresso alle truppe russe da nord, est, sud … e lì, in effetti, abbiamo la visione di un’invasione russa, non c’è altra parola. Ma se facciamo un enorme zoom all’indietro, verso una percezione del mondo, poniamo fino Washington, vediamo che i cannoni e i missili della NATO convergono lontano verso il campo di battaglia, movimenti di armi che erano iniziati prima della guerra. Bakhmout si trova a 8.400 chilometri da Washington ma a 130 chilometri dal confine russo. Una semplice lettura della mappa del mondo consente di pensare, di considerare l’ipotesi che “sì, dal punto di vista russo, quella deve essere una guerra difensiva”.

Quando guardiamo i voti delle Nazioni Unite, vediamo che il 75% del mondo non segue l’Occidente, che a quel punto appare piccolissimo. Vediamo quindi che questo conflitto, descritto dai nostri media come un conflitto di valori politici, è a un livello più profondo un conflitto di valori antropologici.

Secondo lei, l’ingresso nella guerra dei russi è anche spiegato dal relativo declino degli Stati Uniti …

In ‘Dopo l’Impero’, pubblicato nel 2002, ho evocato il declino a lungo termine negli Stati Uniti e il ritorno del potere russo. Dal 2002, l’America ha una catena di sconfitte e ripiegamenti. Gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq, ma hanno lasciato l’Iran quale massimo attore del Medio Oriente. Sono fuggiti dall’Afghanistan. La satellizzazione dell’Ucraina da parte dell’Europa e degli Stati Uniti non ha rappresentato un ulteriore dinamismo occidentale, bensì l’esaurimento di un’onda lanciata intorno al 1990, rilanciata dal risentimento anti-russo dei polacchi e dei baltici. Tuttavia, è stato in questo contesto di riflusso americano che i russi hanno preso la decisione di mettere al passo l’Ucraina, perché avevano la sensazione di avere finalmente i mezzi tecnici per farlo.

Esco dalla lettura di un’opera di S. Jaishankar, ministro degli Affari Esteri dell’India (The India Way), pubblicata poco prima della guerra, che vede la debolezza americana, che sa che lo scontro tra Cina e Stati Uniti non avrà un vincitore ma darà spazio a un paese come l’India e molti altri. Aggiungo: ma non agli europei. Ovunque vediamo l’indebolimento degli Stati Uniti, ma non in Europa e in Giappone perché uno degli effetti del ritrarsi del sistema imperiale è che gli Stati Uniti rafforzano la loro presa sui suoi protettorati iniziali.

Se leggiamo Brzeziński (La grande scacchiera), vediamo che l’Impero americano è stato formato alla fine della seconda guerra mondiale dalla conquista della Germania e del Giappone, che sono ancora oggi protettorati. Mentre il sistema americano si ritrae, pesa sempre più pesantemente sulle élite locali dei protettorati (e includo qui tutta l’Europa). I primi a perdere tutta l’autonomia nazionale, saranno (o sono già) gli inglesi e gli australiani. Internet ha prodotto nell’Anglosfera un’interazione umana con gli Stati Uniti di tale intensità che le loro università, media e élite artistiche sono, per così dire, annesse. Sul continente europeo siamo un po’ protetti dalle nostre lingue nazionali, ma la caduta nella nostra autonomia è considerevole e rapida. Ricordiamoci della guerra in Iraq, quando Chirac, Schröder e Putin hanno fatto conferenze stampa comuni contro la guerra.

Molti osservatori sottolineano che la Russia ha il PIL della Spagna; non è che sopravvaluta la sua potenza economica e la sua capacità di resistenza?

La guerra diventa un test dell’economia politica, è il grande rivelatore. Il PIL della Russia e della Bielorussia rappresenta il 3,3% del PIL occidentale (Stati Uniti, Anglosfera, Europa, Giappone, Corea del Sud), praticamente nulla. Ci si chiede come questo PIL insignificante possa affrontare e continuare a produrre missili. Il motivo è che il PIL è una misura fittizia della produzione. Se ti ritiriamo dal PIL americano metà delle sue spese sanitarie sovrafatturate, poi la “ricchezza prodotta” dall’attività dei suoi avvocati, dalle carceri più affollate del mondo, poi da un’intera economia di servizi scarsamente definiti tra cui la “produzione” dei suoi 15-20.000 economisti con uno stipendio medio annuo di 120 mila dollari, ci rendiamo conto che una parte importante di questo PIL è solo vapore acqueo. La guerra ci riporta all’economia reale, rende possibile capire quale sia la vera ricchezza delle nazioni, la capacità produttiva e quindi la capacità di guerra. Se torniamo alle variabili materiali, vediamo l’economia russa. Nel 2014, abbiamo messo in atto le prime importanti sanzioni contro la Russia, ma essa ha da allora aumentato la sua produzione di grano, che va da 40 a 90 milioni di tonnellate nel 2020. Mentre, grazie al neoliberismo, la produzione americana di grano, tra il 1980 e 2020, è passata da 80 a 40 milioni di tonnellate. La Russia è anche diventata il primo esportatore di centrali nucleari. Nel 2007, gli americani hanno spiegato che il loro avversario strategico era in un tale stato di decadimento nucleare che presto gli Stati Uniti avrebbero avuto una capacità di primo colpo atomico su una Russia che non avrebbe potuto rispondere. Oggi i russi sono in superiorità nucleare con i loro missili ipersonici.

La Russia ha quindi un’autentica capacità di adattamento. Quando vuoi prendere in giro le economie centralizzate, sottolinei la loro rigidità, mentre quando fai l’apologia del capitalismo, ne vanti la flessibilità. Giusto. Affinché un’economia sia flessibile, prendi ovviamente il mercato dei meccanismi finanziari e monetari. Ma prima di tutto, hai bisogno di una popolazione attiva che sappia fare delle cose. Gli Stati Uniti hanno ora più del doppio della popolazione della Russia (2,2 volte nelle fasce di età degli studenti). Resta il fatto che con proporzioni da parte di coorti comparabili di giovani che fanno istruzione superiore, negli Stati Uniti, il 7% sta studiando ingegneria, mentre in Russia è il 25%. Ciò significa che con 2,2 volte meno persone che studiano, i russi formano il 30% di più ingegneri. Gli Stati Uniti colmano il buco con studenti stranieri, ma che sono principalmente indiani e ancora più cinesi. Questa risorsa di sostituzione non è sicura e già diminuisce. È il dilemma fondamentale dell’economia americana: può affrontare la concorrenza cinese solo importando forza lavoro qualificata cinese. Propongo qui il concetto di bilanciamento economico. L’economia russa, da parte sua, ha accettato le regole operative del mercato (è persino un’ossessione per Putin quella di preservarle), ma con un ruolo grandissimo dello stato. E si tiene anche la sua flessibilità della formazione di ingegneri che consentono gli adattamenti, sia industriali che militari.

Molti osservatori credono, al contrario, che Vladimir Putin abbia sfruttato la rendita delle materie prime senza aver saputo sviluppare la sua economia …

Se fosse così, questa guerra non avrebbe avuto luogo. Una delle cose sorprendenti in questo conflitto, e questo lo rende così incerto, è che pone (come qualsiasi guerra moderna) la questione dell’equilibrio tra tecnologie avanzate e produzione di massa. Non vi è dubbio che gli Stati Uniti abbiano alcune delle tecnologie militari più avanzate, che a volte sono state decisive per i successi militari ucraini. Ma quando si entra nella durata, in una guerra di logoramento, non solo dalla parte delle risorse umane, ma anche di quelle materiali, la capacità di continuare dipende dal settore della produzione di armi più basso. E troviamo, vedendolo ritornare dalla finestra, la questione della globalizzazione e il problema fondamentale degli occidentali: abbiamo trasferito una proporzione tale delle nostre attività industriali che non sappiamo se la nostra produzione di guerra può proseguire. Il problema viene ammesso. La CNN, il New York Times e il Pentagono si chiedono se l’America riuscirà a rilanciare le catene di produzione di questo o quel tipo di missile. Ma non sappiamo se i russi sono in grado di seguire il ritmo di un tale conflitto. Il risultato e la soluzione della guerra dipenderanno dalla capacità dei due sistemi di produrre armamenti.

Secondo lei questa guerra non è solo militare ed economica, ma anche ideologica e culturale …

Mi esprimo qui soprattutto come antropologo. In Russia, ci sono state strutture familiari più dense, comunitarie, di alcune delle quali certi valori sono sopravvissuti. C’è un sentimento patriottico russo che è qualcosa di cui qui da noi non abbiamo idea, nutrito dal subconscio di una nazione famiglia. La Russia aveva un’organizzazione familiare patrilineare, vale a dire in cui gli uomini sono centrali e non può aderire a tutte le innovazioni occidentali neo-femministe, LGBT, transgender … Quando vediamo la duma russa vota una legislazione ancora più repressiva sulla “propaganda LGBT”, noi ci sentiamo superiori. Posso sentirlo come un occidentale normale. Ma da un punto di vista geopolitico, se pensiamo in termini di soft power, questo è un errore. Presso il 75% del pianeta, l’organizzazione della parentela era patrilineare e si può sentire una forte comprensione degli atteggiamenti russi. Per il non-Occidente collettivo, la Russia afferma un rassicurante conservatorismo morale. L’America Latina, tuttavia, qui sta sul lato occidentale.

Quando si fa geopolitica, ci si interessa a più dominii: i rapporti di forza energetici, militari, produzione di armi (che rinvia ai rapporti di forza industriali). Ma c’è anche l’equilibrio ideologico e culturale del potere, che gli americani chiamano il “soft power”. L’URSS aveva una certa forma di soft power, il comunismo, che influenzava parte dell’Italia, dei cinesi, dei vietnamiti, dei serbi, dei lavoratori francesi … ma il comunismo faceva in fondo orrore al mondo musulmano per via del suo ateismo e non fu particolarmente di ispirazione in India, tranne che nel Bengala Occidentale e nel Kerala. Ora, attualmente, poiché la Russia si è riposizionata come archetipo di grande potenza, non solo anti -coloniale, ma anche patrilineare e conservatrice dei costumi tradizionali, può andare molto più in là con la seduzione. Gli americani si sentono traditi oggi dall’Arabia Saudita che rifiuta di aumentare la sua produzione di petrolio, nonostante la crisi energetica dovuta alla guerra, e che di fatto si schiera dalla parte dei russi: in parte, ovviamente, per interesse petrolifero. Ma è evidente che la Russia di Putin, che è diventata moralmente conservatrice, è diventata solidale con i sauditi, i quali sono sicuro che abbiano qualche problemino con i dibattiti americani sull’accesso delle donne transgender (definite come maschi al concepimento) ai servizi igienici delle donne.

I giornali occidentali sono tragicamente divertenti, mentre continuano a dire: “La Russia è isolata, la Russia è isolata”. Ma quando guardiamo i voti delle Nazioni Unite, vediamo che il 75% del mondo non segue l’Occidente, che a quel punto sembra molto piccolo. Se siamo antropologi, possiamo spiegare la mappa, da un lato i paesi catalogati come aventi un buon livello di democrazia nelle classifiche di The Economist (vale a dire l’anglosfera, l’Europa …), dall’altra parte i paesi autoritari, che si diffondono dall’Africa fino alla Cina attraverso il mondo arabo e la Russia. Per un antropologo, questa è una carta banale. Alla periferia “occidentale” troviamo paesi dalla struttura della famiglia nucleare con sistemi di parentela bilaterale, vale a dire dove parenti maschi e femmine sono equivalenti nella definizione dello stato sociale del bambino. E al centro, con la maggior parte della massa afro-europea-asiatica, troviamo le organizzazioni familiari comunitarie e patrilineari. Vediamo quindi che questo conflitto, descritto dai nostri media come un conflitto di valori politici, è a un livello più profondo un conflitto di valori antropologici. È questa incoscienza e questa profondità che rendono pericoloso lo scontro.

Fonte originale: https://www.lefigaro.fr/vox/monde/emmanuel-todd-la-troisieme-guerre-mondiale-a-commence-20230112.

Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.

https://megachip.globalist.it/cronache-internazionali/2023/01/15/emmanuel-todd-la-terza-guerra-mondiale-e-iniziata/

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SUL “NOMOS” POST-MODERNO(*), di Teodoro Katte Klitsche de la Grange

 

NOTA

Questo articolo è stato pubblicato nel 2003 su “Palomar”. E’ il primo di una serie di saggi che saranno pubblicati sul sito. La problematica che affronta appare tuttora – in gran parte – attuale. Sovranità, jus belli, potere e diritto sono riproposti di continuo in un ordine internazionale in via di trasformazione, di cui il conflitto in Ucraina è una delle conseguenze. 

Teodoro Katte Klitsche de la Grange

SUL “NOMOS” POST-MODERNO(*)

Carl Schmitt, nelle prime pagine del “Der Nomos der Erde”, dopo aver individuato nell’occupazione sia l’atto fondante di un ordinamento che la possibilità di dominio non solo sulla terra, ma anche (sia pure profondamente diverso) sul mare, e i rapporti tra i due tipi, sostiene che queste sono profondamente trasformate “da un nuovo avvenimento spaziale: la possibilità di un dominio sullo spazio aereo. Cambiano non solo le dimensioni della sovranità territoriale, non solo l’efficacia  e la rapidità dei mezzi umani di potere, di comunicazione e informazione, ma anche i contenuti dell’effettività. Quest’ultima possiede sempre un aspetto spaziale e rimane sempre, tanto nel caso delle occupazioni di terra e delle conquiste, quanto nel caso delle barriere e dei blocchi, un importante concetto di diritto internazionale. Muta inoltre, in seguito a ciò, anche la relazione tra protezione e obbedienza, e quindi la struttura del potere politico e sociale stesso, e il rapporto tra questi e altri poteri. Ha inizio così un nuovo stadio della coscienza umana dello spazio e dell’ordinamento globale”.

Tale affermazione, come tutto l’inizio del “Der Nomos der Erde”, si può collegare alla definizione che un altro grande giurista, Maurice Hauriou, da dell’ “idea direttiva” dello Stato ovvero di “attività protettiva di una società civile nazionale svolta da un potere pubblico a base territoriale” e prosegue, chiarendola, “non si deve confondere l’idea dell’opera da realizzare, che merita il nome di “idea direttiva dell’impresa” né con la nozione di scopo né con quella di funzione. L’idea dello Stato, per esempio, è cosa ben diversa dallo scopo dello Stato o dalla sua funzione”[1]. Nel “Précis de droit constitutionnel” Hauriou ricollega l’idea di Stato all’ “ordine  individualista”, conseguente al formarsi di civiltà sedentarie[2]: di guisa che la sedentarietà, cioè il rapporto stabile e ordinato con la terra è il fondamento (tra l’altro) dell’idea di Stato, tipo particolare di ordinamento localizzato.

Lo Stato (e il di esso concetto) si specifica con una serie di distinzioni caratteristiche, tra le quali, particolarmente interessante il tema qui trattato, è quella tra interno ed esterno e la delimitazione tra tali due aree, cioè il confine. Interno ed esterno, intra o extra moenia, non costituisce soltanto una divisione spaziale, né si limita a determinare l’ambito d’esercizio dell’imperium dello Stato, ma è la distinzione tra due diversi “ordinamenti”, fondati su principi e presupposti diversi. All’interno, lo spazio della sovranità statale, dell’imperium basato sul principio che “il sovrano nello Stato ha verso i sudditi soltanto diritti e nessun dovere (coattivo)”[3], la volontà sovrana è, per definizione, irresistibile e non condizionabile con limiti e controlli giuridici.

Corollario di questa illimitatezza è che non vi è alcun potere esterno che possa influire all’interno (dei confini) dell’unità politica. Mentre all’esterno il diritto internazionale (denominazione che Schmitt corregge, con maggiore precisione, in interstatale) si basa su una società di Stati simili e pari, componenti l’ordinamento internazionale: per cui, di converso, nessuno può dettar legge all’altro, ma i rapporti tra gli stessi sono a carattere, in linea di principio, paritario. Tuttavia Spinoza ne coglieva assai chiaramente il senso (e il limite), quando scriveva che “Lo Stato, dunque, in tanto è autonomo in quanto è in grado di provvedere alla propria sussistenza e alla propria difesa dall’aggressione di un altro, e… in tanto è soggetto ad altri, in quanto teme la potenza di un altro Stato o in quanto ne è impedito dal conseguire ciò che vuole o, infine, in quanto ha bisogno del suo aiuto per la propria conservazione o per il proprio incremento”[4]; per cui uno Stato, in diritto uguale e pari agli altri, lo è di fatto nella misura in cui riesca ad avere potentia sufficiente a garantire quel tanto di jus effettivamente esercitabile nel consesso internazionale (o interstatale).

Il rapporto tra jus e potentia, nel pensiero di Spinoza, è simmetrico: nel senso che non c’è il primo senza la seconda, né la seconda senza il primo. Un diritto internazionale che non si fondasse sul potere di fatto dei soggetti dell’ordinamento internazionale di conservare la pace e fare la guerra ma su un legalitarismo normativistico sarebbe un non-senso, una parata inutile di pubbliche impotenze.

Ciò non è senza conseguenze, ovviamente, per lo Stato: se questo non ha potentia sufficiente a garantire la protezione, perché non può, almeno, difendersi, se non aggredire, è la stessa obbligazione politica “principe” verso i sudditi a perdere – anch’essa – di senso. Uno Stato che ha bisogno della protezione di un altro non è libero; e neppure può garantire la protezione dei cittadini, (o lo può, ma solo in parte) per la medesima ragione. In tal modo, a seguire Hobbes, ne viene meno anche la legittimità e la funzione, intesa dal filosofo di Malmesbury come garanzia della protezione cui corrisponde il dovere di obbedienza (con la conseguenza che questa va data a chi effettivamente è in grado di assicurare quella).

Le possibilità di fatto sono, tuttavia, quelle che determinano la possibilità concreta di appropriazione, distribuzione e regolazione di una materia e/o di uno spazio: è la potentia che determina lo jus: il “Nomos” moderno della terra presupponeva la navigazione oceanica (e tecnologia, conoscenze che l’hanno reso possibile), cui conseguiva l’appropriazione e la divisione del continente americano – e di parte degli altri – realizzata dalle potenze europee. Ma anche su un altro versante, quello europeo ed euro-asiatico (continentale), connotato da una pluralità di Stati confinanti (per terra) o vicini, non difesi come l’Inghilterra dal fatto di essere un’isola, le innovazioni tecniche e scientifiche sviluppate tra il finire del medioevo e l’inizio dell’evo moderno non furono neutrali, ma decisive per l’assetto politico-giuridico costituitosi.

Sicuramente il nascere dello Stato moderno dal corpo delle monarchie feudali lo si deve a fattori “ideali”, tra cui non bisogna trascurare l’esigenza di una protezione più efficace di quella assicurata dal pluralismo feudale; ma tra quelli “materiali” appare decisiva la diffusione delle armi da fuoco. Queste decretarono l’obsolescenza, ad un tempo, della cavalleria aristocratica feudale e di quella “guerriera” dei popoli nomadi. A Pavia i tercios spagnoli, a Khazan gli strelizzi russi aprivano un nuovo capitolo della storia (militare e) politica; non nasceva solo lo Stato moderno, ma nelle contese tra questo e i non-Stati (interni ed esterni) – ovvero le altre forme di unità e organizzazione politica – il primo vinceva (quasi) sempre. Le aristocrazie feudali fecero così, essendo divenute più che inutili, d’impaccio alla nuova istituzione, una “fine” politica parallela a quella dei popoli nomadi, che per millenni avevano costituito uno dei principali “motori” della storia del Vecchio Mondo: negli stessi anni in cui la Fronda aristocratica perdeva il conflitto con lo Stato monarchico di Mazzarino e del giovane Luigi XIV, russi e cinesi s’incontravano sull’Amur, e definivano i confini dei rispettivi imperi. I nomadi erano circondati nelle loro tende, come la grande nobiltà francese sorvegliata a Versailles: non vi sarebbe stata più alcuna di quelle eruzioni nelle terre dei popoli stanziali che dalle invasioni indo-europee  protostoriche a Tamerlano avevano periodicamente rimesso in moto la storia del mondo. I popoli nomadi regredivano (nelle possibilità politiche) da Gengis Khan a Pugaciov: dall’imperatore al ribelle.

Così era ridimensionato, e praticamente scompariva, quel “principio fluttuante, vacillante” della storia, che Hegel vedeva nei nomadi[5].

Occorre vedere quanto di questa “chiusura” politico-istituzionale si debba allo spirito del Rinascimento e della Riforma, e quanto al fatto che artiglierie e moschetti erano molto più efficaci nel serrare le frontiere marittime e terrestri degli eserciti feudali, e molto meno condizionanti il potere monarchico. Sicuramente, tuttavia, lo “spirito” della modernità e l’elemento, per così dire, materiale, hanno collaborato allo stesso esito. Si può, a tale proposito, ricordare l’opinione di Marx che l’umanità si pone (e risolve) i problemi quando ne sono mature le soluzioni[6]. Il sistema degli Stati sovrani europei nasceva proprio al momento in cui ne maturavano le condizioni “fattuali”.

Appare decisivo che, comunque, non sarebbe stato possibile realizzare, almeno al grado di efficacia ottenuto, quella “chiusura” se non con i mezzi che la tecnica “moderna” aveva messo a disposizione: pochi moschettieri ed artiglieri ben armati ed addestrati potevano fermare e sconfiggere orde assai più numerose di valorosi guerrieri nomadi, occuparne e presidiarne il territorio (il che, in modo parzialmente inverso, nel senso della conquista e dell’espansione, si ripeterà nel Nord America).

La complessità, poi, della nuova organizzazione militare escludeva – o rendeva altamente improbabile, e quindi marginale – che gruppi poco numerosi o poco organizzati (ovvero non organizzati come Stati) potessero arrecare offese rilevanti alle comunità ordinate in Stati, anche a quelli più piccoli e deboli, come i principati italiani e tedeschi, per via di terra: per mare la situazione era parzialmente diversa. Lo sviluppo della pirateria atlantica ai danni anche delle grandi potenze, e il permanere di quella mediterranea (che colpiva però, come scriveva Montesquieu, essenzialmente i commerci dei piccoli Stati) era dovuto alla minor sproporzione, sul mare, del rapporto tra potenza e vulnerabilità: i commerci marittimi erano più vulnerabili dei confini. E più difficile inseguire e scoprire i pirati negli oceani che i predoni nelle steppe e nelle foreste.

2 L’intuizione di Schmitt che la nuova dimensione acquisita con la navigazione aerea modificava sia la guerra che le forme del “politico” è stato confermata dai nuovi attacchi terroristici.

Il nuovo tipo di terrorismo (tra l’altro realizzato col mezzo aereo) ha in comune con l’offesa dall’aria altre caratteristiche, già individuate chiaramente dal generale italiano Giulio Douhet, teorico – pioniere della guerra aerea “totale”. Non esistono in primo luogo, “linee” di fronte, perché sono impossibili (o pressoché superflue): il terrorista, come l’aereo, le può oltrepassare senza prima essere costretto a combattere per forzarle. Secondariamente, neppure barriere naturali possono concorrere a rinsaldarle: l’aereo quindi, come il terrorista, è “indipendente dalla superficie, capace di muoversi in tutte le direzioni con uguale facilità”.

In terzo luogo così “la guerra può far sentire la sua ripercussione diretta oltre la più lunga gittata delle armi da fuoco impiegate sulla superficie, per centinaia e centinaia di chilometri, su tutto il territorio ed il mare nemico. Non più possono esistere zone in cui la vita possa trascorrere in completa sicurezza e con relativa tranquillità. Non più il campo di battaglia potrà venire limitato: ……  tutti diventano combattenti perché tutti sono soggetti alle dirette offese del nemico: più non può sussistere una divisione fra belligeranti  e non belligeranti”. Un quarto aspetto è che: “la vittoria sulla superficie non preserva dalle offese aeree dell’avversario il popolo che ha conseguito la vittoria”; per cui concludeva Douhet: “Tutto ciò deve, inevitabilmente produrre un profondo mutamento nelle forme della guerra, perché le caratteristiche essenziali vengono ad esserne radicalmente mutate”[7] di guisa che il più forte esercito e la più potente marina non servono ad evitare le offese che il mezzo aereo – e il nuovo terrorismo – sono in grado di produrre.

Neppure determinati jura belli, come quello di preda, che valgono a relativizzare la guerra o almeno l’atto di ostilità, sono concretamente esercitabili in tipi di guerra – e di azioni belliche – come quella aerea o terroristica. Il saccheggio che soddisfa l’avidità dell’aggressore salvando in genere la vita dei vinti, in questo tipo di conflitto non è esercitabile. L’unico obiettivo dell’azione diventa quindi la distruzione della vita e dei beni del nemico, senza riguardo alle distinzioni classiche della guerra “relativizzata” dello jus publicum europaeum.

Tale conclusione mina quindi il ricordato presupposto, fondamento – di fatto – dello Stato moderno; il quale, caratterizzato dalla distinzione tra interno ed esterno, si fonda sulla possibilità concreta di serrare porti e frontiere, riducendo e minimizzando sia gli atti di ostilità non rapportabili alla guerra “classica” sia i soggetti che la possono esercitare. Questo (ulteriore) elemento di novità, è suscettibile di sviluppi impensabili in un sistema di relazioni internazionali dominato dai soggetti “normali” (gli Stati) e costruito con istituti, rapporti (e concetti) sull’idea (classica) di Stato e di conflitto interstatale.

L’ “opposizione” di mare e terra, e la delimitazione che ne deriva, (l’offesa arrecabile per mare si trasforma difficilmente in quella di terra; al punto che le potenze marittime hanno, nelle guerre intereuropee, sempre avuto necessità di almeno una “spada” sul continente) non esiste più per la guerra aerea: questa può colpire indifferentemente sul suolo e sull’acqua, e trasferire l’offesa dall’uno all’altro elemento senza cambiare il mezzo con cui è portata[8].

Analoga è la guerra terroristica, condotta da piccole unità, sfuggenti al controllo ed al regime delle “linee” (di confine, di fronte, di “amicizia”) tipiche dell’ordinamento internazionale classico, guerra compresa, come a tutte le altre distinzioni intrinseche e conseguenti al relativo diritto di guerra (belligeranti e neutrali; civili e militari e così via). Di guisa che come guerra aerea e terrorismo non tollerano o riconoscono “linee” così  affievoliscono o fanno venir meno quelle distinzioni, giuridiche, che costituiscono delle chiusure “ideali”, necessarie per umanizzare la guerra e scongiurarne la peculiare  dinamica dell’ “ascesa agli estremi” cioè alla guerra assoluta.

3 Carl Schmitt, nel passo citato, nota come le nuove forme di guerra e di dominio modificano la relazione tra protezione ed obbedienza, le strutture del potere politico (e sociale) e il rapporto tra poteri: così collega l’esterno all’interno, come sottolinea l’influenza delle situazioni fattuali e concrete sull’assetto normativo. E’ noto che i fattori concreti (geografici, storici, climatici, e così via) condizionano e modellano l’ordinamento (la costituzione) delle comunità umane: da Montesquieu a de Maistre l’hanno rilevato in tanti. Meno noto, anzi spesso trascurato, è che di solito le società si organizzano nella forma la quale meglio permette di condurre la guerra in una determinata epoca storica. Tuttavia il rapporto tra istituzioni e guerra fa parte del pensiero umano, almeno a far data da Polibio di Megalopoli e dalla sua spiegazione dell’ascesa di Roma[9]. Di tutti i (numerosi) fattori che determinano strutture e dimensioni di una società umana, questo, a dispetto di certe astrazioni della “progettualità” politica (praticata da ideologi, costruttori di utopie), è uno dei principali: perché se una società perfetta (sotto il profilo culturale, economico, giuridico) non fosse organizzata in modo da proteggersi efficacemente dai tanti vicini, non altrettanto colti, ricchi, pii o giusti, ma meglio attrezzati a far la guerra, non durerebbe che pochi anni o, al massimo, decenni. Le unità politiche di lunga durata sono state capaci di risolvere quel problema, con delle istituzioni non congrue perché buone, ma buone perché adatte; ed avendo oltretutto il senso politico di cambiarle, anche radicalmente, ove la rei novitas lo richiedesse.

La fortuna, in determinate epoche, di certe forme di aggregazione politica si deve così alla loro capacità di consentire un’esistenza libera alle comunità che in queste si organizzavano; la loro decadenza – e sostituzione con altre forme e tipi – dal non essere più adatte a quella.

Nella storia europea, in particolare mediterranea, vediamo che fino al IV secolo a.C. le comunità hanno la forma della polis o delle tribù; solo nell’Oriente mediterraneo  esistono imperi, le cui caratteristiche – come, ad esempio, l’estremo “decentramento” di quello achemenide – erano tuttavia tali da renderli nemici affrontabili dalle altre unità politiche, come dimostra l’esito delle guerre persiane. A partire dalla fine del IV secolo, i popoli mediterranei si organizzano – per larga parte – in unità politiche regionali: a oriente quelle degli epigoni di Alessandro, a occidente Roma e Cartagine. La fine dell’ultima potenza regionale, l’Egitto dei Tolomei, segnò l’inizio dell’imperium unico mediterraneo. Toynbee nota che nel I secolo d.C. l’area temperata del Vecchio Mondo, dall’Oceano Atlantico al Mar Cinese, era divisa in (solo) quattro grandi imperi, al di fuori dei quali esistevano una miriade di piccole comunità politiche, talvolta clienti degli imperi, ma per lo più indifferenti a questi, perché troppo deboli per muovere loro la guerra. In epoca più recente l’assetto costituzionale e il diritto pubblico interno delle potenze “marittime” (Inghilterra e U.S.A.) sono stati ritenuti tali perchè tipici di due “isole”: in senso geografico (e politico) l’Inghilterra da De Maistre[10]; in senso politico (perchè privi di nemici credibili  ai confini terrestri e grandi guerre da sostenere con questi) gli U.S.A. da Tocqueville e da Hegel[11]. Differente invece, quello degli Stati continentali, per la necessità di eserciti permanenti, sempre potente strumento di difesa e di centralizzazione, ma a volte d’oppressione. Si può affermare pertanto, parafrasando Marx, che il modo di condurre la guerra determina il modo di governare. In questo senso lo jus belli del diritto internazionale dell’Europa moderna era quello peculiare degli Stati, non solo dotati di una (notevole) omogeneità culturale, ma di forme politiche e modi simili di combattere e quindi di danneggiarsi o avvantaggiarsi (reciprocamente). Il che comportava – con l’eccezione, solo relativa, delle potenze marittime – delle regole applicabili (con relativa facilità) perché i soggetti dell’ordinamento internazionale erano simili e se non pari, almeno non troppo impari.

  1. Diversa appare la situazione attuale, per una pluralità di ragioni: riducendo le quali ai limiti del presente scritto, ovvero ai riflessi che possono avere i nuovi modi di condurre la guerra – aerea e aerospaziale in primo luogo, e terroristica – sulle forme ed organizzazioni dell’unità politica, abbiamo diverse conseguenze.

In primo luogo che la “chiusura” dello Stato, sulla cui possibilità si basava l’idea (e l’ideologia) del medesimo, appare più difficile, e così i “beni “ che assicurava alla comunità: ordine, pace, e sicurezza. Il “defensor pacis”, in un mondo in cui gli Stati sono fra loro come nello stato di natura è tale se riesce ad assicurare chiusura e distinzione tra interno ed esterno. Se tra questi spazi viene meno il confine, disordine e insicurezza penetrano all’interno, e non l’inverso. La capacità di garantire “attività protettiva” viene così correlativamente ridotta.

Secondariamente, nel XX secolo si è contribuito in vari modi ad attenuare e/o negare quella “chiusura”. La Weltbürgerkrieg del marxismo-leninismo, con la contrapposizione amicus/hostis tra borghesia e proletariato, e la minaccia – più volte prospettata (e spesso impiegata) di mobilitare, con la guerra rivoluzionaria, i proletari, amici dell’Unione Sovietica e quinta colonna alle spalle degli Stati borghesi, ne è stata quella, ideologicamente più intensa e qualificata[12]. Anche la nuova minaccia terroristica di Al Quaeda, non solo nega qualsiasi distinzione tra interno ed esterno (e le altre peculiari allo jus publicum europaeum), ma, a quanto è dato capire, nega che la distinzione tra amici e nemici corra lungo i confini degli Stati attualmente esistenti, islamici o “non”, e sembra piuttosto contrapporre credenti ad infedeli[13].

In qualche misura , anche se su basi diverse, la stessa aspirazione a leghe di Stati o comunque ad istituzioni internazionali che scongiurino il ricorso alla forza sostituendolo con procedure “giuridiche” (d’ispirazione Kantiana), o meglio para-giudiziarie, concorre ad attenuare quella distinzione, ma senza granchè dei benefici prospettati: anche perché, a ben vedere, non riesce a portare la pace se non attraverso la guerra, che differisce da una “normale” guerra solo perché a dichiararla e condurla è una lega di Stati piuttosto che uno Stato singolo[14]. Il caso del Kosovo ne è stata la conferma più chiara, perché occasione (e motivo) dell’intervento non era un’aggressione esterna (come nella guerra all’Irak per l’occupazione del Kuwait), ma la repressione attuata dallo Stato sovrano sulla popolazione di etnia albanese residente nel proprio territorio. Con ciò si contestava allo Stato l’esercizio della funzione di “polizia” cui è connessa quella di identificare il nemico interno (il ribelle) e anche il criminale. Il principio di non-intervento negli affari interni dello Stato, essenziale alla distinzione tra quelli e gli affari esterni, viene così meno. In termini weberiani le relazioni  chiuse vengono sempre più sostituite da relazioni aperte[15]. Conseguenza di ciò non è tuttavia di sostituire il diritto alla guerra, ma di espropriare lo Stato del diritto d’individuare il nemico , trasferendolo ad un’istituzione internazionale, cui compete il potere anche d’esercitare la “violenza legittima” e garantire la pace, non solo tra Stati, ma anche negli Stati[16].

In questo senso il termine di “operazione di polizia internazionale” spesso dato a quella guerra è in effetti corretto nel sostantivo, ma fuorviante nell’aggettivo: perché costituisce attività di polizia (in quanto interna allo Stato che la subisce), ma proprio per ciò, quanto all’oggetto non è internazionale, nel senso delle relazioni fra più Stati, ma solo con riguardo al soggetto cioè all’istituzione (internazionale) che l’esercita[17]. A una simile concezione vanno ricondotti anche altri organismi (come la Corte penale internazionale di cui al recente Statuto di Roma) che, derogando alle regole (per la verità ripetutamente violate nel XX secolo) dell’esclusività statale dell’esercizio della giustizia la trasferiscono, in determinati casi, all’istituzione internazionale[18].

  1. Dati i rapporti (e le distinzioni) tra interno ed esterno, jus e potentia, modi di guerra e forma politica, occorre vedere in quale guisa i nuovi tipi di ostilità possono modificare il Nomos o, più limitatamente, l’ordinamento internazionale, e di riflesso, e in quale misura, quello interno.

Nella situazione odierna nessuno Stato appare in grado di esercitare appieno lo jus belli, perché nessuno è in grado di condurre una guerra (con qualche possibilità di sopravvivenza) con gli U.S.A., tranne, forse, la Russia e, in futuro, la Cina. Lo jus non corrisponde pertanto alla potentia, limitata alle guerre realmente possibili. E anche tali tipi di ostilità (tra Stati senza eccessivo squilibrio di potenza), sono praticabili nei limiti in cui la superpotenza non se ne ritenesse lesa o minacciata: di fatto quindi sottoposte a un possibile veto U.S.A.. A questo occorre aggiungere il favore al principio di intervento, finalizzato alla salvaguardia di diritti umani che limita la sovranità al contrario, salvaguardata da quello di non-intervento.

In tale situazione è la guerra terroristica, condotta da piccoli – o piccolissimi – gruppi umani, l’unica sempre praticabile. Ciò comporta che questi gruppi sono, paradossalmente, più efficienti ed adatti  dello Stato all’esercizio dello jus belli (malgrado tale diritto non sia loro riconosciuto).

Si verifica così una scissione tra jus e potentia: confermata dal fatto che la maggior parte dei conflitti successivi alla Seconda guerra mondiale non sono guerre tra Stati, ma tra uno Stato e una fazione (partito, etnia, ecc.) o tra fazioni all’interno di uno Stato.

A questo punto si pone anche il problema se può considerarsi Stato, nel senso dello jus publicum europaeum un’entità politica largamente (o totalmente) di fatto priva dello jus belli. Ai giuristi – ma non solo a loro – è familiare giudicare che, se a un istituto – e al concetto corrispondente – si sottrae un carattere (un attributo) essenziale, questo non è riconducibile a quello normalmente considerato e definito. A sottrarre (o ridurre) lo jus belli  allo Stato, se ne azzera (o si riduce) la capacità di protezione. E’ possibile, poi, ricondurre, al genere “Stato” un’istituzione, connotandola, per fare un esempio (tra i molti), secondo la definizione “funzionale” di Hauriou: “Protéger la société individualiste par son gouvernement, lui assurer la paix et l’ordre au dedans et au dehors par sa force armée, par sa diplomatie, par sa police, par sa législation, par ses tribunaux[19]”, di cui la protezione è l’elemento essenziale? E lo stesso potremmo ripetere paragonandolo ad altre definizioni o concetti di Stato elaborati. Certo si può chiamare “Stato” un ente privo dello jus belli, analogamente a come l’eufemismo prima ricordato definisce “operazioni di polizia internazionale” delle guerre tout-court, ma occorre intendersi, prescindendo dal tasso d’ipocrisia o d’illusione di certe operazioni da vocabolario, che quanto ne risulta non è uno Stato né qualcosa di diverso dalla guerra.

Il tutto non è indifferente all’altro aspetto della sovranità, così limitata dalla (parziale) inidoneità del ricorso alla forza, cioè quello interno. Invero il rapporto hobbesiano tra protezione ed obbedienza e l’effettività della decisione sovrana poggiano sul monopolio statale della violenza legittima, che appare doppiamente eroso: in primo luogo dalla (parziale) inidoneità prima ricordata e, secondariamente, dal ruolo delle istituzioni internazionali.

Ma se lo Stato non è più idoneo, se non è più la “gran macchina” della pace e della sicurezza, se non riesce a tenere al di fuori dai confini lo “stato di natura”, a chi si dovrà dare obbedienza? Un sostituto dello Stato moderno non è all’orizzonte, e ciò ch’è visibile è piuttosto un ritorno, mutatis mutandis, a forme politiche pre-moderne, di volta in volta imperiali, feudali, particolaristiche, corporative, comunque contrapposte allo Stato e all’ordine interstatale dello jus publicum europaeum, perché non basate su quella chiusura (e distinzione) e sull’assolutezza della decisione sovrana. A un mondo in cui lo jus è determinato da quel tanto di potentia esercitabile in una situazione concreta e in continuo movimento, meno o poco “calcolabile” e prevedibile; e quindi tendenzialmente non comparabile con ordine concreto in se concluso, come quello determinato dallo Stato.

La non coincidenza tra Stato, sovranità e jus belli fa, di converso, intravedere, in futuro, forme politiche di confusione e sovrapposizione tra quelli: con Stati non sovrani, sovrani senza Stato, belligeranti non statali e così via. Lo stesso Impero, ordine politico assai differenziato nelle varie situazioni storiche, non ha escluso sia forme “interne” di ostilità (come le guerre “tribali” nelle colonie extraeuropee o i conflitti tra feudatari  nel Sacro Romano Impero), sia, di conseguenza situazioni di “pace” interna non comparabile a quella assicurata dallo Stato europeo “classico”, e, in taluni casi financo, autorità “locali” che praticano una politica all’esterno (quindi estera) non coincidente né compatibile con quella dell’Impero[20].

In effetti l’impero è un ordinamento politico che, al contrario dello Stato, ha conosciuto forme diversissime, in cui le variabili prevalgono largamente nelle costanti. Tuttavia uno dei caratteri tipici (quasi sempre) degli imperi è di consentire forme – più o meno limitate – di ostilità all’interno (e all’esterno) dell’unità politica, cui corrisponde spesso una “competenza” in politica estera, riconosciuta (o tollerata) alle unità politiche “minori” o “vassalle”. In questo contesto si può immaginare – ma di fatto l’immaginazione è divenuta, in parte, già realtà – che possano esservi forme di ostilità limitate sia nei soggetti (accanto agli Stati, movimenti e partiti di liberazione, forme in futuro anche gilde armate e compagnie di ventura) sia nel motivo e nei modi di guerra, secondo distinzioni che ricalcano la dottrina della “guerra giusta” di S. Tommaso e dei teorici della controriforma. Per cui certi motivi e modi di guerra sarebbero consentiti: come (nei modi) l’uso di armi convenzionali, la eliminazione degli obiettivi militari, al contrario dell’impiego di armi “NBC” e, in genere, la sistematica distruzione di bersagli civili. Nei motivi sarebbero consentite guerre per la tutela dei “diritti umani”, probabilmente l’autodeterminazione di popoli e regioni, forse guerre limitate per diritti determinati. A una moltiplicazione  dei soggetti ( lo justus hostis, limitato fino a tutto il XIX secolo allo Stato, diviene un concetto “elastico”) corrisponderebbe una casistica dei modi e dei motivi (justa causa e justus modus), con un solo limite: l’illiceità di nuova guerra (giusta) alla potenza egemone, d’altra parte già esclusa di fatto, che lo sarebbe così anche – e conseguentemente – di diritto. Al di sotto di questo, le guerre – entro una “soglia” determinata – sarebbero consentite e tollerate.

Inter pacem et bellum nihil medium: questa frase di Cicerone era ripresa da Schmitt (come titolo di un breve saggio) a denotare uno dei principi del diritto internazionale classico, da Schmitt considerato ormai tramontato per i vistosi vulnera subiti nel primo dopoguerra[21], e dovuti alla prassi di azioni ostili non militari o senza dichiarazione di guerra. Tuttavia sempre condotte da Stati contro Stati. Nel secondo dopoguerra (e già durante la seconda guerra mondiale) lo sviluppo inconsueto di nuovi soggetti politici belligeranti, con i movimenti partigiani, aggiungeva allo Stato un “nuovo” soggetto politico[22].

Il successivo sviluppo è costituito proprio da Al Quaeda, il cui principale carattere differenziale rispetto ai movimenti partigiani e ai partiti rivoluzionari è di non avere come quelli, seppure in forma fluida, gli elementi di Stato “in embrione”[23], ma prescinde (almeno apparentemente) in modo completo dalla “statalità”. Ciò non ha impedito a un’organizzazione avulsa da un popolo e da un territorio (cioè da due dei tre elementi-base dello Stato) di condurre un’operazione “bellica”[24].

La presenza, pertanto di soggetti politici non statali e il carattere “illimitato” e “irregolare” delle guerre da questi condotte, contrapposto alla “guerra in forma” fra Stati dello  jus publicum europaeum, appare non inquadrabile in un ordinamento che, come quello classico, costituisce un sistema di relazioni fondate su un contesto di pace e sicurezza reciproca. Il nuovo Nomos post-moderno che si intravede al tramonto dello Stato e dell’ordinamento “classico” appare quindi assai meno rassicurante di quello formatosi nell’età moderna.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

(*) Questo articolo è la rielaborazione di un contributo scritto per la rivista nordamericana “Telos”, destinata ad un “Symposium” internazionale sul “Der Nomos der Erde” di Carl Schmitt.

[1] V.M. Hauriou, La théorie de l’institution et de la fondation (essai de vitalisme social), trad. it. in Teoria dell’istituzione e della fondazione, Milano 1967, pp. 15-15.

[2] M. Hauriou op. cit., P. Iª, cap. 1, Sez. II, Paris 1929 p. 41 ss..

[3] E’ la definizione di I. Kant in “Die Metaphysik der Sitten”, p. II, sez. I.

[4] Trattato politico, Torino 1958 p. 196.

[5] V. Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, trad. it., Firenze 1941 p. 212. Hegel prosegue con considerazioni sul diritto “Non sono legati al suolo, e non conoscono niente dei diritti che la convivenza, insieme con l’agricoltura, rende di natura obbligatoria. Questo principio incostante ha costituzione patriarcale, ma prorompe in guerre e rapine interne, ed anche in aggressioni contro altri popoli”.

[6] Nella prefazione alla Zur Kritik der Politischen Ökonomie, trad. It., Roma 1974, pp. 5-6.

[7] Giulio Douhet, Il dominio dell’aria, rist. Roma 1955, p. 9-10.

[8] Scrive Schmitt che i conquistadores (ma lo stesso vale per i coloni inglesi) si spostavano velocemente e per questo sottomisero gli Amerindi: sui vascelli per mare e sui cavalli per terra. La guerra aerea evita anche l’inconveniente di dover cambiare mezzo di trasporto.

[9] VI libro delle Storie.

[10] Du Pape, II, 2.

[11] La démocratie en Amérique, Lib. I°, p. 1, cap. VIII°. Una considerazione analoga faceva Hegel, secondo il quale “L’America del nord…va considerata come uno Stato tuttora in divenire: esso non è ancora tanto progredito da aver bisogno della monarchia. E’ uno Stato federativo: ma questi, per quel che concerne i loro rapporti con l’estero, sono gli Stati peggiori. Solo la sua particolare posizione ha impedito che questa circostanza non causasse la sua totale rovina. Ciò si è visto nell’ultima guerra con l’Inghilterra” e prosegue: “ gli Stati liberi nordamericani non hanno nessuno Stato confinante, rispetto a cui siano nella situazione in cui gli Stati europei sono reciprocamente, uno Stato cioè che debbano considerare con sospetto e contro cui debbano mantenere un esercito stanziale. Il Canada e il Messico non incutono loro timore”. Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte, trad. it., Firenze 1941 p. 231. Si noti che sia Hegel che Tocqueville prendono lo spunto per queste considerazioni dal rifiuto di alcuni Stati del New England d’inviare i loro contingenti militari nella guerra del 1812 contro l’Inghilterra.

[12] Ne è un esempio chiaro ed argomentato, tra tanti, il discorso di Stalin al XVII congresso del PCUS (nel 1934): “la guerra si svolgerebbe non unicamente sul fronte, ma pure nell’interno dei paesi dei nostri nemici. La borghesia può essere sicurissima che i numerosi amici della classe operaia dell’U.R.S.S. nell’Europa e nell’Asia tenterebbero di colpire alle spalle i loro  oppressori che avessero ordito una guerra delittuosa contro la patria della classe operaia di tutti i paesi…”. Tale minaccia di Stalin era indirizzata (prevalentemente) alle democrazie liberali. Fu attuata, com’è noto, in tutt’altra direzione.

[13] Il tratto comune tra marxismo-leninismo e fondamentalismo islamico appare non solo quello di prescindere degli Stati (e dei confini) al fine di scriminare amici e nemici, ma anche di depotenziare o negare l’idea di Stato. Se nel marxismo questo è destinato ad estinguersi con l’avvento della società senza classi, nell’Islam – più o meno fondamentalista – appare negata la distinzione tra potere  spirituale e temporale, che nell’idea di Stato dell’Europa moderna è il carattere fondamentale.

[14] Quando poi s’intende applicare un diritto a carattere universalistico (diritti umani) ci s’imbatte  in una contraddizione con i principi dell’ordinamento internazionale. Non solo, il che è evidente con la “chiusura” per cui è lo Stato a decidere cos’è che deve valere come diritto all’interno dell’unità politica; ma anche col principio che, a determinare la “legittimità” di uno Stato non è la conformità delle sue leggi (o comportamenti) a un sistema ideale o anche positivo di norme, ma l’effettività del potere sul (proprio) territorio. Che questo sia un criterio non solo realistico ma anche opportuno è dimostrato dal fatto che riconoscimenti e trattati hanno un senso solo con chi può garantire la pace o minacciare la guerra: ove non sia in grado di fare queste due cose, un trattato con lo stesso è del tutto inutile, e talvolta farsesco.

[15] V. Max Weber Wirtshaft und Gesellshaft, Vol. I°, p. 1, cap. I, prgrf. 10.

[16] A sviluppare coerentemente  certe posizioni di “pacifismo giudiziario” si ha l’impressione si creda di aver risolto l’enigma della storia (e della Provvidenza) invertendo il detto di Hegel Die weltgeschichte ist das weltgericht, e cioè trovato il weltgericht adatto a giudicare e financo a fare la storia del mondo. Ma non è questo il reale rapporto tra Storia e Tribunali (anche autorevoli). Lo prova il fatto che nella veste di giudici stanno sempre i vincitori, in quella d’imputati, i vinti.

[17] In effetti si potrebbe sostenere, a sostegno dell’intervento nel Kosovo, che, di fatto nella regione lo Stato iugoslavo non esisteva più, essendovi una guerra civile. In tal caso, a seguire Kant, non varrebbe più il principio di non intervento v. in “Per la pace perpetua” in Antologia degli scritti politici, Bologna 1961, p. 110; sul tema, ci sia consentito richiamare il nostro scritto “Breve Storia della guerra giusta” in Palomar 2/2002.

[18] Com’è noto tale trattato non è stato ratificato  dagli Stati militarmente più forti del pianeta come gli USA, la Russia e la Cina, e neppure da quelli che verosimilmente avrebbero più occasioni (e tentazioni) per violare le regole istituite dal Trattato, come Israele, l’India o il Pakistan. E’ dubbio quale consistente beneficio per la pace ed il diritto possano apportare norme non applicabili ai (più) probabili trasgressori

[19] V. Précis de droit Constitutionnel  cit. p. 49, Paris 1929, in cui ne descrive le funzioni essenziali (quella riportata nel testo è la prima).

[20] Un esempio classico ne costituisce, a leggere l’Anabasi, quella del satrapo Tissaferne contro i mercenari greci; ovvero come scrive Otto Brunner in “Land und Herrshaft. Grundfragen der territorialen Verfassungsgeschichte Österreichs in Mittelater„ (trad. It. Milano 1983, p. 7) quella dei feudatari nel medioevo: “si da politica – politica spinta sino all’estrema conseguenza della guerra – non solo fra gli “Stati” medievali ma anche al loro interno … i regni medievali  si articolano in poteri locali ai quali competono il diritto ed il dovere di svolgere, entro determinati confini, una politica autonoma sia all’interno che dall’esterno del territorio. Anzi, questa politica, in certe circostanze, può perfino volgersi contro i poteri superiori”.

[21] Inter pacem et bellum nihil medium trad. it. ne lo Stato, X, 1939, pp. 541-548.

[22] In effetti “vecchio” dato che risaliva alle guerre napoleoniche, come ricordato da Schmitt nella Theorie des Partisanen (1963), che lo fa risalire ai guerilleros spagnoli antinapoleonici del 1808-1812. In realtà le prime forme della moderna guerra partigiana devono essere fatte risalire agli insorgenti italiani del 1796-1799 e all’esercito della “Santa Fede” guidato dal Cardinal Ruffo, che riconquistò il Regno di Napoli nel 1799.

[23] Come notato da un grande giurista italiano, Santi Romano, nel 1946, in uno scritto sul partito rivoluzionario: “si tratta di un’organizzazione, la quale, tendendo a sostituirsi a quella dello Stato, consta di autorità, di poteri, di funzioni più o meno corrispondenti e analoghi a quelli di quest’ultimo: è un’organizzazione statale in embrione, che, a mano mano,, se il movimento è vittorioso si sviluppa sempre più in tal senso”, Santi Romano Frammenti di un dizionario giuridico, p. 224, rist. Milano 1983.

[24] Sul che ci permettiamo di rinviare a quanto scritto in Osservazioni sul terrorismo post-moderno in Behemoth n. 30, luglio-dicembre 2001.

saggio del 2003, pubblicato su “Palomar” n. 14 (4/2003)

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Queste cinque strategie per il 2023 rafforzeranno il nuovo ruolo globale dell’India, di Andrew Korybko

Le cinque strategie suggerite in questo pezzo sono fondamentali per accelerare ulteriormente la transizione sistemica globale verso la molteplicità che ha già raggiunto la sua ultima fase tripolare come risultato delle magistrali risposte dell’India agli eventi caotici dello scorso anno. Nell’arco di un solo anno, l’India è emersa come una grande potenza di importanza mondiale, le cui politiche hanno davvero cambiato il corso delle relazioni internazionali a causa del contesto storico in cui sono state promulgate.

Il 2022 ha visto la transizione sistemica globale accelerare senza precedenti a seguito delle conseguenze che cambiano il paradigma a tutto spettro catalizzate dall’operazione speciale della Russia in Ucraina. Mosca è stata costretta a difendere le sue linee rosse di sicurezza nazionale lì dopo che la NATO le ha attraversate, dopodiché il Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti ha imposto sanzioni senza precedenti che hanno destabilizzato il mondo. Nonostante abbiano riaffermato con successo la loro egemonia unipolare in declino sull’UE , gli Stati Uniti non sono riusciti a fare lo stesso altrove.

Il Sud del mondo, guidato congiuntamente da BRICS SCO , ha rifiutato di soddisfare le richieste anti-russe dell’America poiché queste dozzine di stati erano già diventati abbastanza fiduciosi nell’affermare i loro oggettivi interessi nazionali nel corso degli anni al punto in cui non sarebbero stati costretti a entrare concedendo loro unilateralmente. Da nessuna parte questa sfida è stata più significativa dal punto di vista geostrategico di quando si è trattato dell’India, che gli Stati Uniti avevano precedentemente previsto sarebbe stata facilmente costretta a marciare di pari passo con i suoi diktat.

L’America ha dato per scontata la conformità dell’India alle sue richieste anti-russe poiché i suoi politici presumevano erroneamente che fosse già diventato il loro più grande stato vassallo. Questa falsa valutazione era dovuta al fatto che l’India era l’unico principale partner di difesa del loro paese, un membro del Quad, un partecipante al quadro economico indo-pacifico e un praticante della democrazia in stile occidentale. Ai loro occhi, tutto ciò significava che l’India si sarebbe sottomessa agli Stati Uniti molto tempo fa.

La realtà era completamente diversa, tuttavia, poiché le relazioni strategiche in rapido sviluppo dell’India con gli Stati Uniti erano in realtà guidate dal desiderio della sua leadership di trovare un equilibrio tra il Golden Billion e il Sud del mondo di cui il loro paese fa parte per emergere come kingmaker nel New Cold Guerra A tal fine, è diventata decisamente la valvola alternativa della Russia dalla pressione occidentale, in modo da scongiurare preventivamente lo scenario in cui il suo partner decennale diventasse sproporzionatamente dipendente dalla Cina.

Ciò a sua volta ha rivoluzionato le relazioni internazionali, rompendo l’ impasse bi-multipolare caratterizzata dall’enorme influenza del duopolio delle superpotenze sino-americane, che sarebbe stata rafforzata se la Cina fosse stata in grado di ottenere ciò che voleva dalla Russia nello scenario precedente. La transizione sistemica globale si sta ora muovendo irreversibilmente verso la tripolarità in vista della sua forma finale di multiplexity , ma questo processo può essere ulteriormente accelerato dall’India facendo quanto segue nel 2023:

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1. Raddoppia sul corridoio di trasporto nord-sud

I ripetuti riferimenti del presidente Putin al Corridoio di trasporto nord-sud (NSTC) questo mese dimostrano che lo considera un megaprogetto rivoluzionario a livello globale poiché al giorno d’oggi funge da nucleo fisico del terzo polo di influenza che Russia, India e Iran sono creare insieme. Raddoppiando l’NSTC proprio come la Russia ha segnalato che si sta preparando a fare, l’India può potenziare i propri sforzi collettivi per superare l’impasse bi-multipolare nelle relazioni internazionali molto prima del previsto.

2. Assemblare in modo tangibile un nuovo movimento non allineato

La neutralità di principio dell’India ha già raccolto il grande dividendo strategico di trasformarla nel kingmaker della Nuova Guerra Fredda, la cui posizione può essere cementata facendo leva sulla sua presidenza del G20 per assemblare un nuovo Movimento dei Non Allineati (” Neo-NAM “) ). In quanto voce del Sud del mondo suo aspirante leader , l’India è in una posizione unica per svolgere il ruolo di ispirare gli altri a emularne il successo in modo da scongiurare preventivamente la propria possibile dipendenza dal duopolio della superpotenza sino-americana.

3. Ricalibrare costantemente il multi-allineamento come richiesto

Il segreto del grande successo strategico dell’India finora è che la sua leadership si è dimostrata capace di adattarsi in modo flessibile a circostanze in rapido cambiamento al fine di ottimizzare il perseguimento di interessi nazionali oggettivi. Questo approccio richiede una ricalibrazione costante considerando la continua incertezza che si prevede si dispiegherà durante l'”Età della complessità” di questo decennio, che comporterà prevedibilmente l’India che intraprenderà mosse politiche più decisive come richiesto per mantenere il suo insostituibile ruolo di kingmaker.

4. Mantenere l’equidistanza tra le superpotenze

Sulla base di quanto sopra, l’imperativo guida dell’approccio di cui sopra è quello di mantenere l’equidistanza tra le superpotenze sino-americane, che preserverà l’ autonomia strategica duramente guadagnata dall’India insieme a non provocare inavvertitamente un dilemma di sicurezza con l’una o l’altra. Scongiurare preventivamente il secondo scenario è fondamentale poiché l’India può mal permettersi di stare dalla parte cattiva della Cina o degli Stati Uniti, il che potrebbe portare rispettivamente a minacce militari o economiche contro di essa se considerano l’India come il loro nemico.

5. Prepararsi allo scenario di una nuova distensione sino-americana

La raffica di diplomazia tra Cina e Stati Uniti da quando il presidente Xi ha incontrato le sue controparti occidentali durante il G20 di novembre dimostra che stanno effettivamente esplorando la possibilità di compromessi reciproci di vasta portata volti a ritardare indefinitamente la fine del bi-multipolarità guidata dall’India. Nel caso in cui l’anno prossimo venga raggiunta una nuova distensione, il che è tutt’altro che garantito ma non può ancora essere escluso, allora l’India deve essere preparata allo scenario peggiore di Cina e Stati Uniti che si alleano contro di essa.

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Le cinque strategie suddette sono fondamentali per accelerare ulteriormente la transizione sistemica globale verso la multiplexità che ha già raggiunto la sua ultima fase tripolare a seguito delle magistrali risposte dell’India agli eventi caotici dell’anno passato. Nell’arco di un solo anno, l’India è emersa come una grande potenza di importanza mondiale, le cui politiche hanno davvero cambiato il corso delle relazioni internazionali a causa del contesto storico in cui sono state promulgate.

Invece di sottomettersi agli Stati Uniti come il loro più grande stato vassallo come i politici di quest’ultimo presumevano erroneamente fosse già da anni, il che avrebbe portato la Russia a diventare il “partner minore” della Cina per necessità e quindi a radicare il bi-multipolarismo, l’India ha riaffermato il suo indipendenza. Ciò ha avuto l’effetto di far deragliare la grande traiettoria strategica di entrambe le superpotenze, ostacolando così la fase successiva della transizione sistemica globale, che ora è irreversibile.

Tuttavia, il duopolio di superpotenze sino-americane sta attualmente complottando per unire le forze per ritardare indefinitamente la fine guidata dagli indiani del sistema bi-multipolare che hanno pari interessi egoistici nel preservare, ergo le loro discussioni in corso su una nuova distensione. È con questo scenario in mente, che sarebbe importante se si avverasse, che i cinque suggerimenti sono stati formulati sopra al fine di facilitare i cambiamenti sistemici globali che sono stati catalizzati dall’India nell’ultimo anno.

Anche nel caso in cui la Cina e gli Stati Uniti accettino una serie di compromessi reciproci di vasta portata volti a consentire loro di respingere congiuntamente questi suddetti cambiamenti, i loro sforzi saranno vani poiché l’India continuerà a garantire l’irreversibilità di tutto ciò che si è svolto guidando dal fronte. Il raddoppio dell’NSTC renderà la tripolarità una realtà molto prima del previsto, mentre l’assemblaggio tangibile del Neo-NAM multilateralizzerà questo sistema includendo al suo interno l’intero Sud del mondo.

L’India è l’unico Paese in grado di guidare l’evoluzione tripolare nelle Relazioni Internazionali per la sua equidistanza tra le superpotenze e il ruolo di kingmaker che le ha conferito nella Nuova Guerra Fredda. Nessun altro può ispirare dozzine di altri stati a seguire il loro esempio e quindi sostenere i progressi che sono stati raggiunti finora nella transizione sistemica alla multiplexità. Senza esagerare, si può quindi concludere che il ritrovato ruolo globale dell’India è veramente storico.

Appendice

Il principale diplomatico indiano ha condiviso alcune verità “politicamente scomode” durante il suo viaggio in Europa, di

 

I cinque modi in cui gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia sull’Europa nel 2022, di ANDREW KORYBKO

I primi tre sono stati il ​​risultato diretto della campagna di guerra dell’informazione anti-russa delle agenzie di intelligence statunitensi e della conseguente arma politica delle false percezioni che sono state instillate nelle menti dell’élite europea. Gli ultimi due si sono poi basati sui progressi precedenti per riprogettare geostrategicamente il continente attraverso un intelligente sistema di divide et impera sostenuto dalla spada di Damocle che catalizza crisi a cascata in tutta l’Africa che inevitabilmente si riverserebbero in Europa come punizione se gli Stati Uniti i vassalli osano mai ribellarsi seriamente.

La riuscita riaffermazione dell’egemonia unipolare statunitense in declino sull’Europa è stato uno degli sviluppi più importanti dello scorso anno. L’obiettività di questa valutazione è evidenziata dal direttore generale del prestigioso Consiglio russo per gli affari internazionali, Andrey Kortunov, che ha ampiamente elaborato tale tendenza nel suo rapporto su ” Una nuova coesione occidentale e un ordine mondiale ” che ha pubblicato alla fine di settembre. Vale la pena leggerlo per coloro che non hanno ancora familiarità con i suoi pensieri.

Il presente pezzo non rimescolerà l’intuizione di quello stimato esperto, ma si baserà su di essa nella direzione geostrategica. La tendenza generale su cui Kortunov ha dedicato molto tempo a indagare ha alcune sfaccettature aggiuntive che ha sorvolato o ha completamente perso nel suo rapporto. Questa analisi mirerà quindi a correggere tali carenze, pur riconoscendo umilmente che anch’essa è tutt’altro che esaustiva e tralascia certamente alcuni dettagli.

Quelli che seguono sono i cinque modi in cui gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia sull’Europa nel 2022. Questi fattori hanno contribuito alla trasformazione dello scorso anno per la grande strategia russa poiché hanno costretto il Cremlino a opporsi con decisione al Miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti dopo aver realizzato che qualsiasi un potenziale riavvicinamento con questo blocco de facto della Nuova Guerra Fredda era ormai impossibile, anche se a tal fine avesse intrapreso alcuni compromessi pragmatici. Ecco come gli Stati Uniti hanno reso inevitabile questo risultato:

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1. Reti e valori di influenza sono stati sfruttati per separare l’UE dalla Russia

Le agenzie di intelligence americane hanno sfruttato le loro reti di influenza profondamente radicate in tutto il continente per costringere l’UE a concedere unilateralmente i suoi oggettivi interessi nazionali (e soprattutto economici) nei confronti della Russia. Nel perseguimento di ciò, hanno anche sfruttato nozioni nebulose dei cosiddetti “valori occidentali” per presentare falsamente l’ operazione speciale della Russia non come una campagna militare in difesa delle sue linee rosse di sicurezza nazionale , ma come una presunta minaccia esistenziale per l’Occidente .

2. Il totalitarismo liberale è stato utilizzato come arma come reazione “autodifensiva” alla Russia

L’inclinazione totalitaria insita nell’ideologia liberal-globalista che è proliferata in tutta l’UE dalla fine della Vecchia Guerra Fredda è stata utilizzata come arma dagli Stati Uniti per rendere irreversibile il disaccoppiamento di quel blocco dalla Russia. I manager della percezione americana hanno provocato le sue manifestazioni più fasciste come la dilagante russofobia, facendole finalmente emergere con il falso pretesto di essere tenuti a “difendere i valori occidentali” dalla cosiddetta “sovversione russa”, che ha portato a differenze inconciliabili tra i due.

3. La mentalità della seconda guerra mondiale è stata manipolata per rafforzare il nuovo vassallaggio dell’UE

Dopo essere stata guidata dai precedenti due sviluppi nel considerare la Russia come una minaccia esistenziale simile alla seconda guerra mondiale, l’UE è stata facilmente manipolata per cedere la propria sovranità agli Stati Uniti sulla falsa base che in caso contrario si sarebbe verificata la “nuova guerra hitleriana”. ” schiacciandoli dopo l’Ucraina. Concedere all’America il controllo delle loro politiche militari ha visto esigere che gli europei facessero sacrifici a tempo indeterminato per lo “sforzo bellico”, che in pratica li ha portati a subordinare anche le loro economie a quella degli Stati Uniti.

4. La “competizione amichevole” provocata dagli Stati Uniti tra gli europei li tiene divisi

La preesistente tendenza alla centralizzazione dell’Europa è stata accelerata senza precedenti di fronte alla “minaccia russa” falsamente presentata, ma gli Stati Uniti hanno abilmente provocato una “competizione amichevole” tra i suoi vassalli come parte del loro “sforzo bellico condiviso” per garantire che rimanessero divisi e non si unissero mai contro esso. Ciò l’ha vista incoraggiare una rivalità tra Germania Polonia sulla leadership dell’Europa centrale e orientale (CEE), che dovrebbe essere mantenuta a tempo indeterminato ai fini del divide et impera dal suo “junior partner” nel Regno Unito .  

5. Le crisi alimentari e di carburante prodotte artificialmente in Africa sono brandite come una spada di Damocle

Le sanzioni anti-russe dell’Occidente hanno prodotto artificialmente le crisi alimentari e del carburante dell’Africa che altrimenti non si sarebbero mai materializzate, ma sono state successivamente maneggiate dal leader statunitense di questo blocco de facto della Nuova Guerra Fredda come una spada di Damocle sui suoi vassalli dell’UE. Nella peggiore delle ipotesi in cui si ribelleranno seriamente, l’America aggraverà queste crisi sistemiche allo scopo di provocare disordini politici senza precedenti in Africa che si tradurranno inevitabilmente in un’ondata paralizzante di migrazione incontrollabile verso l’UE.

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I cinque sviluppi sopra menzionati aggiungono credibilità alla conclusione di Kortunov secondo cui gli Stati Uniti hanno effettivamente riaffermato con successo la loro egemonia unipolare in declino sull’Europa nell’ultimo anno, il che rappresenta una delle tendenze più significative a livello globale del 2022. I primi tre sono stati il ​​risultato diretto della sua campagna di guerra dell’informazione anti-russa delle agenzie di intelligence e conseguente armamento politico delle false percezioni che sono state instillate nelle menti dell’élite europea.

Gli ultimi due si sono basati sui progressi precedenti per riprogettare geostrategicamente il continente attraverso un intelligente sistema divide et impera sostenuto dalla spada di Damocle che catalizza crisi a cascata in tutta l’Africa che inevitabilmente si riverserebbero in Europa come punizione se i vassalli degli Stati Uniti mai il coraggio di ribellarsi seriamente. Quest’ultimo probabilmente non sarà necessario, dal momento che la precedente “divisione del lavoro” guidata dalla manipolazione da parte degli Stati Uniti della mentalità europea della seconda guerra mondiale si è dimostrata sufficiente per tenerli sotto controllo.

Guardando al futuro, ci si aspetta che gli Stati Uniti sfruttino la loro restaurata egemonia sull’UE per darsi un vantaggio sulla Cina nei loro colloqui in corso su una nuova distensione . Minaccerà che il blocco imponga sanzioni massime simili a quelle russe contro la Repubblica popolare su una base altrettanto manipolata e guidata da valori se la Cina non concede i suoi interessi di sicurezza nell’Asia-Pacifico. Questo scenario non dovrebbe essere preso alla leggera poiché gli Stati Uniti hanno già convinto l’UE a sacrificare i propri interessi economici nei confronti della Russia.

https://korybko.substack.com/p/the-five-ways-that-the-us-successfully?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=93333191&isFreemail=true&utm_medium=email

Intelligenza artificiale: tra Cina e Stati Uniti viene dichiarata la guerra degli standard, dalla ÉCOLE DE GUERRE ÉCONOMIQUE

Intelligenza artificiale: tra Cina e Stati Uniti viene dichiarata la guerra degli standard

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A partire dal secondo dopoguerra e, a fortiori, nell’ultimo decennio, il tema dell’“intelligenza artificiale” si è davvero affermato come una questione tecnologica chiave, portando a una corsa all’innovazione tra attori globali. Ma ancor più che suscitare semplicemente l’interesse di startup, ricercatori, fondi di investimento o scrittori di fantascienza, l’IA si sta anche affermando come una vera e propria questione di sovranità politica e geopolitica attraverso una guerra di standard sfrenata.

Dall’AEGE Influence Club

AI: una tecnologia dirompente al centro delle sfide globali

Con le sue promesse per il futuro, l’intelligenza artificiale suscita l’appetito delle grandi potenze che desiderano ottenere un vantaggio competitivo sui loro vicini e sui loro rivali: l’IA (e tutte le tecnologie che la circondano come l’apprendimento automatico per esempio) promette quindi ai suoi difensori di beneficiare dai metodi automatizzati di elaborazione delle informazioni, una vera necessità nell’era dei big data e dell’infoobesità, in un momento in cui i dati non sono mai stati così accessibili, ma ugualmente difficili da elaborare e analizzare. In questo contesto, ottenere un vantaggio sullo sviluppo dell’IA sta potenzialmente ottenendo un vantaggio eccezionale nella sfera cognitiva.

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Le grandi potenze interessate a questa promessa stanno quindi conducendo una vera e propria guerra su questo tema: Cina, Stati Uniti, Unione Europea, le potenze si scontrano in un campo di attività dove tutto resta da fare. E al centro di questo “grande gioco”, questa lotta per l’IA, c’è la standardizzazione. Gli Stati si affidano alle loro aziende (e viceversa) per dettare il ritmo di questo confronto attraverso gli standard, monopolizzando il più possibile i posti nei comitati di standardizzazione come ISO o ETSI, arrivando talvolta al ricorso a metodi mafiosi se non barbouzeries. È per comprendere meglio questa guerra di standard in materia di IA che l’Agenzia francese per gli standard (AFNOR) ha commissionato all’Influence Club della School of Economic Warfare unrelazione , documento che è servito come base per la stesura di questo articolo.

Standardizzazione: uno strumento per influenzare e conquistare i mercati

In questo contesto di guerra tra grandi attori, la standardizzazione appare infatti come un asse fondamentale per consentire agli attori pubblici e privati ​​di imporre i propri interessi. Non riconosciuta, sottovalutata, spesso fraintesa, la standardizzazione è tuttavia un elemento fondamentale di qualsiasi approccio alla sovranità economica e quindi un elemento centrale in qualsiasi guerra economica.

In un certo senso, mantenere lo standard significa mantenere il mercato. In effetti, la norma è per un mercato o una tecnologia ciò che le regole grammaticali sono per una lingua. Lo standard consente agli attori di un ecosistema economico o tecnologico di operare secondo standard comuni e interoperabili. Tuttavia, per un operatore economico, essere in grado di influenzare o scrivere le regole del gioco in cui si appresta a giocare rappresenta un sostanziale vantaggio competitivo.

La norma si impone così come strumento di influenza geopolitica e commerciale: non è solo un vincolo che frenerebbe la creatività e lo sviluppo delle imprese in nome della tutela dei consumatori, può essere anche un’arma competitiva formidabile per bloccare un mercato in suo favore.

Un esempio permette di rendersi conto dell’importanza della standardizzazione per la conquista dei mercati tecnologici: il caso del conflitto tra “Tipo 2” e “Tipo 3”, le prese di ricarica per le auto elettriche in Europa. Le due prese hanno gareggiato per diventare lo standard ufficiale per le prese di ricarica nell’UE. Uno dei punti vendita è stato sostenuto dalle case automobilistiche tedesche, che avevano già iniziato a implementare la tecnologia. L’altra rocca era difesa da industriali francesi, che avevano anche iniziato a schierare le proprie roccaforti. Riuscire ad imporre uno standard unico di spina avrebbe quindi consentito ai produttori tedeschi di scalzare i loro concorrenti francesi, e viceversa.

In effetti, è andata così: la spina tedesca si è affermata grazie a importanti sforzi di lobbying e standardizzazione ed è ora alla base di tutte le auto elettriche e ibride nell’UE, una vera battuta d’arresto per l’industria automobilistica francese, che è quindi entrata in questo mercato con notevole ritardo e che ha dovuto riadattare tutta una parte della sua produzione per adeguarsi a questo nuovo standard.

Ciò che è valido in questo esempio è altrettanto valido nel contesto dell’IA: i vari attori dell’intelligenza artificiale possono sperare di bloccare il mercato a loro favore e quindi ottenere un vantaggio a lungo termine sulla concorrenza, imponendo la loro visione secondo gli standard che potrebbero passare attraverso comitati normativi come l’ISO. La questione è quindi cruciale e spiega perché paesi come Cina e Stati Uniti se ne stanno impadronendo.

Cina e Stati Uniti: due strategie normative, un vincitore

Nella vera e propria guerra economica che infuria tra Stati Uniti e Cina, tecnologia e innovazione fanno ovviamente parte dei maggiori teatri di scontro: in questo senso, l’intelligenza artificiale sta infatti prendendo il posto della posta in gioco di questa rivalità sino-americana .

Una posizione di leadership nell’IA consentirebbe infatti al governo cinese di raggiungere una serie di obiettivi:

  • In primo luogo, l’intelligenza artificiale consentirebbe alla Cina di piantare l’ultimo chiodo del suo dominio industriale globale totale , ottimizzando ulteriormente il suo circuito di produzione e le sue reti di distribuzione (in particolare automatizzando parte del trasporto del suo progetto Silk New Roads);
  • Poi, l’intelligenza artificiale consentirebbe all’apparato statale cinese di aumentare ulteriormente il proprio apparato di sorveglianza e intelligence , sia che miri a controllare la propria popolazione (es. );
  • Infine, l’intelligenza artificiale consentirebbe alla Cina di modernizzare notevolmente i sistemi d’arma dell’Esercito popolare di liberazione (PLA) e assumere così un vantaggio significativo sul grande rivale americano rispondendo a molti problemi dell’Esercito popolare di liberazione (APL).

Ma nonostante l’AI sia al centro della strategia di lungo termine della Cina, il Medio Impero se ne va con una grossa spina nel fianco nel settore delle nuove tecnologie: sulla standardizzazione ci sono anche i colossi americani della Silicon Valley, pionieri in fatto di innovazione, creando standard de facto per tenere i mercati totalmente prigionieri.

Questo dominio è quasi totale nell’innovazione industriale, nel cloud, nei social network o nell’informatica pura. Ma il PCC cerca di impedire alle aziende americane di replicare questo modello sulla nascente industria dell’IA. La Cina vuole quindi assumere il controllo di questo settore con una politica di crescente potenza che è illustrata da alcuni successi.

Per contrastare questa egemonia tecnologica e normativa americana, Pechino ha messo a disposizione molte risorse alle sue rivendicazioni in AI: nel periodo 2019-2020, sono stati stanziati ben 70 miliardi di dollari per la ricerca in questo ambito dal governo cinese.

Come diretta conseguenza di questo volontarismo dello Stato cinese, nel 2019, 6 degli 11 “unicorni” del settore AI globale erano cinesi. Nello stesso anno, l’Allen Institute for Artificial Intelligence ha stimato che la Cina avrebbe presto superato gli Stati Uniti in termini di ricerca di base sull’IA: entro il 2025, l’1% più ricco di articoli accademici sull’IA sarà composto per la maggior parte da articoli cinesi. Una corsa universitaria che ovviamente si trasforma anche in una corsa ai brevetti, secondo l’Organizzazione internazionale per la proprietà intellettuale (OMPI), che indica che nell’ultimo decennio i cinesi da soli hanno depositato quasi il 75% di brevetti relativi all’IA. Infine, secondo i dati di LexisNexis, Tencent e Baidu, due società cinesi, sono i due maggiori proprietari di brevetti AI,

Il sostegno dello Stato cinese ai suoi grandi conglomerati ha quindi effetti diretti molto visibili. Ma oltre a questo sostegno alle imprese e alla ricerca, la Cina sta mettendo in piedi una vera e propria offensiva normativa per dominare in maniera più strutturale il settore dell’IA. La strategia normativa cinese in AI si basa quindi su due aspetti:

  • La creazione di standard de facto sull’IA , al di fuori di qualsiasi comitato normativo, diventando i primi a rilasciare un’innovazione, spingendo per la sua adozione di massa pur non rendendola compatibile con altri sistemi informatici o altre IA . Esempio interessante di questa strategia, la Cina intende utilizzare le sue Nuove Vie della Seta per diffondere i propri standard nell’IA: un accordo cinese di “riconoscimento degli standard”, firmato dal 2019 da quarantanove Paesi, prevede che la Cina renda incompatibili con la propria infrastruttura di trasporto sono tutte navi e treni autonomi stranieri che non seguono gli standard di interoperabilità cinesi.
  • La creazione di standard ufficiali sull’IA , rappresentandosi massicciamente nei comitati normativi per proporre progetti di standard favorevoli agli interessi cinesi. Per farlo, la Cina può contare sui suoi colossi digitali, i BHATX (Baïdu, Huawei, Alibaba, Tencent e Xiaomi), per agire per loro conto (e quindi per conto della Cina) all’interno della grande rete internazionale (es. ISO, IEC ) o organizzazioni di globalizzazione regionali (ad es. ETSI); questa strategia è esplicitamente descritta nel piano “China Standards 2035”, o in francese “Les Normes chinoises en 2035”.

La strategia cinese di predominio nell’IA si basa quindi su innovazione tecnologica, ricerca scientifica e massiva standardizzazione. Questa strategia è presunta e sembra consentire ai cinesi di allargare il divario con il paese dello zio Sam, ma gli Stati Uniti non sono lasciati indietro in questa guerra aperta. Il deputato Cédric Villani, in un rapporto del 2018, tornava così a lungo sulla presunta volontà di Washington di imporsi come leader in materia di IA, in particolare utilizzando come arma normativa l’indiscutibile vantaggio che i GAFAM rappresentano per l’America. Come la Cina, gli Stati Uniti utilizzano standard de facto , ma in misura ancora maggiore.

Washington sostiene infatti le aziende della Silicon Valley affinché utilizzino il loro vantaggio nei settori tecnologici, in modo che portino innovazione attorno all’IA e affinché queste scoperte diventino poi standard de facto . Un buon esempio di questa normalizzazione per fatto compiuto è il caso di Google con TenserFlow. Molto innovativa e in anticipo rispetto al resto del mercato (e in particolare rispetto alle tecnologie cinesi), questa tecnologia di deep learning è stata adottata fin dall’inizio da quasi tutto il mercato, diventando il riferimento su cui tutto è stato costruito. tecnologie di apprendimento profondo. Questi sono quindi obbligati ad essere interoperabili con questa tecnologia americana di Google. Essere i primi a poter fornire l’innovazione che tutti cercavano significa assicurarsi il controllo dell’intero mercato presente e futuro creando uno standard di fatto.

Una volta che questi standard de facto sono stati messi in atto dai GAFAM (cioè una volta che la tecnologia americana è stata sufficientemente diffusa), l’American National Standards Institute (ANSI) registra questi standard e li difende negli organismi internazionali di standardizzazione, come ISO e IEC, mobilitare considerevoli risorse di lobbying per far adottare questi standard.

Interrogato dall’AEGE Influence Club, Patrick Bezombes, presidente della commissione per la standardizzazione dell’IA e dei Big Data presso l’Agenzia francese per gli standard (AFNOR), conferma questa attività di lobbying molto significativa da parte dei GAFAM americani nei comitati per gli standard: “i gruppi americani guadagnano miliardi in profitto all’anno, quindi possono facilmente decidere di investire in un team di cento persone solo per lavorare sullo standard e proiettarsi in una visione a lungo termine su questo argomento”. Una strategia costosa e quindi molto meno accessibile ai piccoli attori dell’innovazione dell’IA, come le aziende europee.

Ciò che risulta quindi chiaro è che la strategia cinese è abbastanza simile a quella americana. Usare le imprese monopolistiche per mantenere, affascinare l’innovazione tecnologica, ma soprattutto per stabilire standard de facto, alle aziende americane e cinesi non resta che farle adottare definitivamente presentando ai comitati di standardizzazione un fatto compiuto. Questo approccio pragmatico si basa su un puro equilibrio di potere ed è possibile solo perché Washington, come Pechino, può contare sul proprio apparato industriale e sui propri gioielli nella ricerca di base. Giocatori di dimensioni più modeste, come la Francia, non possono, per mancanza di risorse, copiare questa strategia. Devono quindi cogliere questo confronto normativo o scegliendo da che parte stare, oppure scommettendo su una “terza via”, necessariamente meno offensiva.

Quale posto per la Francia in questa guerra normativa?

Con le due superpotenze in testa alla corsa alla leadership per l’IA, la Francia si sta gradualmente rendendo conto che se vuole esistere in questa competizione, dovrà fare affidamento sull’Europa. Dopo diversi anni di ritardo, Parigi sembra aver finalmente avuto la spinta necessaria, una presa di coscienza che si è tradotta nell’adozione a livello nazionale di una roadmap volta a fare della Francia un hub fondamentale nella corsa all’IA, ma anche con la pubblicazione ad aprile 2021 dalla Commissione Europea dell’Artificial Intelligence Act (AI Act).

Lo scopo principale dell’AI Act è creare un quadro giuridico rigoroso e chiaro attorno alla tecnologia AI. La novità di questo documento risiede nel suo approccio olistico, sia puramente legale, ma anche più etico, con questioni filosofiche o ecologiche.

Ma un altro elemento dell’AI Act è passato inosservato pur essendo una caratteristica chiave di questo documento: il documento della Commissione Europea istituisce, in tutta l’UE, una classificazione delle tecnologie AI correlata ai rischi che vanno dal minimo all’inaccettabile (4 livelli) . Tuttavia, questa classificazione consentirà alle autorità europee di effettuare un vero e proprio controllo di conformità che porti a tecnologie accettate sul territorio europeo con un marchio “trusted AI”, consentendo così di escludere dal mercato comune europeo qualsiasi IA americana o cinese che non non soddisferebbe gli standard europei.

Potenze industriali di prim’ordine, Cina e Stati Uniti basano logicamente la loro strategia normativa sull’innovazione tecno-industriale; In ritardo in questo settore, la Francia e l’UE hanno fatto la scelta della responsabilità e dell’etica per chiudere il loro mercato agli attori stranieri.

Ma ciò non dovrebbe impedire alla Francia di adottare un approccio di standardizzazione più aggressivo, inviando o incoraggiando gli industriali francesi a unirsi ai comitati di standardizzazione come capi progetto su argomenti specifici, ma anche più in generale producendo pressioni all’interno dei voti di questi comitati al fine di approvare testi favorevole alle imprese e ai cittadini europei. Anche la Francia, Paese da tempo all’avanguardia nella ricerca e nell’innovazione (4° Paese al mondo per numero di premi Nobel), deve riconnettersi con le proprie origini e incoraggiare in modo più ampio la ricerca sull’IA nei propri stabilimenti. eccellenza al fine di depositare brevetti che porteranno a standard de facto di origine francese.

E la Francia?

Utilizzati in modo complementare, i brevetti e la standardizzazione consentono sia di proteggere il nostro mercato e le nostre tecnologie, ma anche di distribuirle. Questi due vettori alimentano quindi lo stesso unico obiettivo: la competitività.

Va ricordato che questo approccio all’avanguardia dell’innovazione e della standardizzazione, la Francia ha già saputo sfruttarlo nel corso della sua storia, ad esempio per le celle a combustibile, l’idrogeno, le tecnologie nucleari, ma anche per lo standard “GSM”, che serve ancora oggi come base per la telefonia mobile globale. È questa strategia che ha in parte consentito al Paese di rimanere competitivo in questi campi altamente dirompenti. Pertanto, la Francia ha tutto l’interesse a fare il grande passo e ad adottare strategie di standardizzazione simili nell’Intelligenza Artificiale.

Soprattutto, la Francia non è sola in questa guerra tra due grandi potenze: Parigi ha molti alleati che possono agire al suo fianco: utilizzando i suoi alleati europei come trampolino di lancio e i suoi partner africani come risorsa, la Francia ha davvero i mezzi per realizzare un politica di accerchiamento normativo che consentirà di tutelare la prequadra francese ed europea in tema di innovazione sull’IA. Pertanto, sebbene la Francia non disponga in questa fase di un tessuto industriale sufficiente per competere con Washington e Pechino in termini di standardizzazione attiva, può comunque utilizzare la standardizzazione a fini “difensivi”, per proteggere il mercato europeo dagli appetiti dei due grandi imperi. Questo protezionismo economico attraverso la standardizzazione, limitando e condizionando l’accesso al mercato (francesi,

La Francia deve quindi lanciarsi nella battaglia normativa contro i suoi maggiori avversari internazionali, ma questo significa mobilitare alla sua causa industriali, imprese, gruppi di riflessione, centri di ricerca, imprenditori e altri attori europei che desiderano impegnarsi in campo normativo.

I LITTLE PINKS E IL FUTURO DEI GIOVANI CINESI, di Yu Liang

I LITTLE PINKS E IL FUTURO DEI GIOVANI CINESI

Dottrine della Cina di Xi | Episodio 18

Chi sono i giovani nazionalisti cinesi online soprannominati Little Pink  ? Sottoprodotto della cultura dei fan-club dell’Internet cinese, questo fenomeno è sia uno dei più strutturanti per i giovani cinesi di oggi sia uno dei più difficili da cogliere visti dall’Europa. Proponiamo una lettura critica di un testo di Yu Liang su questo fenomeno, un’indagine in forma di discorso nazionalista agli intellettuali cinesi.

AUTORE
DAVID OWNBY E FREYA GE

IMMAGINE
SHAN WU, PICCOLO ROSA, 2020

Yu Liang è vicedirettore e ricercatore associato dell’Istituto di studi cinesi dell’Università Fudan di Shanghai, lo stesso istituto guidato dall’apologeta del Partito Zhang Weiwei . Yu è stato anche redattore capo di Guancha Syndicate (观察者网), una delle piattaforme online più popolari e influenti della Cina dall’inizio degli anni 2010. spola tra giornalismo e mondo accademico.

L’argomento discusso nel testo tradotto qui1è quello della “Little Pink” (小粉红), nome dato dai loro detrattori, ai giovani patrioti – o meglio nazionalisti – cinesi online. Questo nuovo giovane cinese setaccia il web alla ricerca di coloro che osano insultare la Cina e poi annegarli in un torrente di attacchi online. Yu Liang – come editore di Guancha Syndicate nei primi anni 2010 – è stato determinante nel fondare questa nuova cultura del patriottismo Little Pink. In questo testo adotta una posizione relativamente neutrale nei loro confronti e cerca di spiegare chi sono e cosa fanno al di là del loro tentativo propagandistico di imporre la Cina come modello superiore respingendo tutti i suoi detrattori .

In altre parole, Yu sostiene che i Little Pinks sono un sottoprodotto della cultura dei fan club sul web cinese. Lo scopo di un fan club cinese è difendere la propria squadra, idolo o gruppo preferito e attaccare squadre, idoli o gruppi rivali. È un fenomeno quasi interamente online, originato da Weibo e WeChat. Si basa quasi esclusivamente su like e avatar virtuali, e quindi supporta il consumismo e i grandi marchi. Yu sostiene che tutta la Cina è diventata l’idolo di Little Pink e che hanno depredato chiunque insultasse la Cina, cercando la scarica di adrenalina di difendere la loro tribù.

A un certo livello, tutto ciò può sembrare banale. I marchi contano, tuttavia, e le guerre online finiscono per influenzare i profitti reali dei grandi marchi in Cina, il che è importante per l’economia cinese e per l’economia globale. Freya Ge scrive che “quando diversi marchi, tra cui H&M, Nike, Adidas, GAP, New Balance, tra gli altri, hanno rilasciato una dichiarazione di ‘boicottaggio del cotone dello Xinjiang’ all’inizio di quest’anno, i Little Pinks hanno rapidamente preso il controllo. piattaforme online e chat nel mondo reale camere. Hanno chiesto il boicottaggio di questi marchi e hanno affermato che gli sforzi per boicottare il cotone dallo Xinjiang facevano parte di una cospirazione organizzata dall’Occidente. Su Zhihu (知乎), i post hanno ricevuto migliaia di Mi piace da cui i netizen hanno affermato che non avrebbero mai più acquistato questi prodotti e hanno visto coloro che li hanno acquistati come “reliquie della dinastia Qing”. Molti negozi che vendono questi marchi hanno perso clienti. Ovviamente, i Little Pinks vorrebbero vedere ridotti i ricavi di questi marchi per “calunniare il popolo cinese”.

In altre parole, i Little Pink si impegnano in una sorta di politica identitaria: la Cina, ormai ricca e potente, diventa la base della loro identità. In quanto cittadini di Internet, i Little Pink, come praticamente tutti i cinesi, hanno assistito al cambiamento del mondo online e la Cina sembra emergere vittoriosa da questi cambiamenti. Ma per quanto riguarda la loro lealtà al Partito?

I Little Pinks non sarebbero completamente o ufficialmente sotto il controllo del governo, anche se il Partito-Stato ha contribuito a crearli attraverso “l’educazione patriottica” e gode dell’adulazione rivolta alla Cina come idolo. Agiscono da soli, seguendo la logica impulsiva della logica di gruppo online. In questo testo, Yu Liang sembra particolarmente preoccupato che gli intellettuali cinesi non riescano a comprendere questa logica, e continuino a condannare la Little Pink da posizioni ideologiche che poco hanno a che vedere con l’esperienza di questi giovani internauti cinesi.

In realtà, è sicuramente il “nuovo nazionalismo” di Yu Liang che parla, nel senso che critica gli intellettuali pubblici per la loro incapacità di cogliere ciò che sta accadendo – mentre insiste che spetta a loro “guarire” la “spaccatura” tra la loro generazione e quella della giovane Little Pink.

L’ascesa della Little Pink

I nuovi gruppi sociali e tipi di pensiero che i Little Pink incarnano emergono inizialmente come una sorta di nuova mentalità sociale. Si sviluppa silenziosamente attraverso cambiamenti silenziosi nel modo di produzione, nella struttura sociale e nella situazione politica della Cina. All’inizio non c’era un nome per definire ciò che si stava sviluppando. Le cose poi lentamente diventano una tendenza – spesso intesa in termini di devianza – perché una volta che le persone se ne accorgono, spesso la descrivono in termini negativi. Questa tendenza spinge il nuovo gruppo sociale a prendere coscienza di sé. L’ascesa della Little Pink e il nuovo patriottismo hanno attraversato un tale processo.

Un fenomeno importante che vediamo oggi nell’opinione pubblica cinese è una grave disconnessione tra le tendenze ideologiche emergenti nel comportamento online dei giovani e l’ambiente intellettuale cinese. Le tradizionali categorie accademiche di analisi, come i dibattiti tra sinistra e destra, illuminismo e conservatorismo, elitarismo e populismo, nazionalismo e universalismo liberale, autoritarismo e democrazia liberale, economia di mercato ed economia pianificata, perdono gradualmente il loro potere esplicativo.

In passato, le parti opposte hanno ripetutamente invocato un immaginario “terreno comune” che trascenda sinistra e destra, ma in realtà il battibecco è continuato. La trascendenza era sfuggente nel vecchio quadro cognitivo. Negli ultimi anni, dalla sottocultura giovanile cinese sono emerse una serie di tendenze socio-ideologiche. Si basa sulle tensioni attuali e cerca di trascendere il divario sinistra-destra, includendo il “partito della tecnologia” – o “partito industriale” (工业党) -, la Piccola Rosa e il gruppo dei “barbari alla porta (入关学)” sono i principali rappresentanti. Tra questi possiamo dire che i “Little Pink” costituiscono il gruppo più importante.

Secondo la descrizione di Wang Xiuying, gli assi chiave del partito tecnologico descritto sono “una fede incrollabile nel progresso tecnologico perpetuo, una mancanza di compiacenza e una volontà di affrontare la prossima catastrofe – che si tratti di un’invasione aliena, un’apocalisse climatica o un nuova guerra mondiale. Vedi il suo articolo sulla London Review of Books .

Per citare nuovamente Wang Xiuying sui barbari: “Questa narrazione confronta l’attuale confronto sino-americano con il rovesciamento della dinastia Ming che ha portato al dominio Manchu. Gli Stati Uniti assomigliano alla dinastia Ming dell’inizio del XVII secolo: è il potere supremo e detta le regole, ma sta marcendo dall’interno. La Cina prende il posto dei barbari: operosa, pagando il dovuto tributo, ma mai rispettata, costantemente denigrata e demonizzata… Insomma, l’egemonia americana deve essere sfidata e i barbari devono entrare dalla porta se vogliamo beneficiare di un progresso pacifico. »

“Little Pink” si riferisce alla nuova generazione di giovani patrioti nati dopo il 1990, che sono cresciuti profondamente integrati nella moderna economia di mercato e nella vita urbana, ma il loro nome è stato scelto dai loro rivali. A seguito di una serie di grandi eventi pubblici sulla scena internazionale nel 2008 — che hanno coinvolto principalmente dibattiti tra destra e sinistra guidati da intellettuali sul web cinese — questo paradigma ha gradualmente lasciato il posto a dibattiti tra il patriottismo dei comuni utenti di Internet e i “valori universali”. Le principali parti in conflitto sono rispettivamente le “teste parlanti che sostengono l’America (公知美分)” e gli individui che “portano le proprie azioni” (自干五). I predecessori di Little Pink,

Queste terminologie richiedono alcune spiegazioni. “Talking Heads Supporting America” ​​​​è tradotto come gongzhi meifen in cinese. In origine, gongzhi significava semplicemente “intellettuale pubblico”, ma negli ultimi anni è stato trasformato in un termine per deridere l’élite intellettuale che parla di questioni pubbliche online. Meifen significa “penny americano” ed è probabilmente derivato da un termine usato per deridere i troll di Internet pagati per attaccare coloro che criticano il governo cinese. Si chiamano wumaodang — la “festa dei cinquecento” — perché dovrebbero ricevere 500 yuan per ogni messaggio. Lo ziganwu, che letteralmente significa “il partito che porta le proprie azioni” si riferisce a persone che difendono il corpo e l’anima del governo senza essere pagate. Il termine è stato coniato da persone che si risentono di questi troll, per esprimere il loro disprezzo per gli individui autofinanziati che sono ritenuti troppo stupidi per accettare i soldi offerti loro. I termini sono spesso riappropriati e abusati, nel qual caso “il partito che porta il proprio capitale” potrebbe benissimo diventare “il partito che porta il proprio patrimonio con orgoglio”.

La parola Jinjiang si riferisce a un sito web chiamato “Jinjiang Literary City 晋江文学城”, originariamente istituito come piattaforma per discussioni letterarie, ma ora è diventato un sito per scambi politici. Il sito era rosa e la maggior parte dei suoi utenti erano donne: il che ha dato origine all’espressione “Little Pink”. Fengyi si riferisce al Fengyi Food Forum, fondato da alcuni “Little Pinks”, furiosi che il sito Jinjiang abbia finito per limitare i posti politici nel tentativo di calmare la situazione.

“Big V” si riferisce ai blogger con un gran numero di follower e un account verificato. Queste celebrità possono avere centinaia di migliaia di follower.

Le persone legate alle Jinjiang Girls e alle Fengyi Sisters erano principalmente netizen attivi nei siti di letteratura e intrattenimento — alla moda e patriottici — e contrari ai gruppi di intellettuali pubblici che, ai loro occhi, adoravano l’Occidente e denigravano la Cina. Inizialmente, i Little Pink erano un sottoramo minore dello ziganwu “il partito che porta le proprie azioni”. Alcuni eminenti intellettuali pubblici, rendendosi conto di avere a che fare con nuovi oppositori che non somigliavano alla sinistra tradizionale, li soprannominarono beffardamente “Little Pink”. Il gruppo è cresciuto rapidamente, con il nome “Little Pink” che ha prodotto un’esplosione di consapevolezza di sé. Nel 2013, le celebrità online e gli intellettuali pubblici che parlavano di “valori universali” sui social media hanno iniziato a diminuire, mentre la consapevolezza di “Little Pink” ha continuato a crescere, trasformando gradualmente l’ambiente dell’opinione pubblica online un tempo dominata dagli intellettuali pubblici. Nel gennaio 2016, “Little Pink” ha condotto ainondazione di computer su Facebook, che ha sconvolto l’opinione pubblica nazionale e internazionale.

Oggetto dell’attacco era la pagina Facebook del presidente taiwanese Tsai Ing-wen, i Little Pink ne hanno approfittato per denunciare l’idea di indipendenza taiwanese.

L’atteggiamento generale degli intellettuali tradizionali e dei circoli dei media nei confronti dei Little Pink è negativo e sospettoso, e molti intellettuali liberali li criticano per avere solo “istruzione superiore”, sostenendo che sono “impulsivi e iperattivi”, tutti dal “grado più basso” di società. Vedono i Little Pinks come il prodotto di una mentalità di “lealtà” e “odio” e discutono tristemente del ritorno dell ‘”estrema sinistra” e del “fallimento di trent’anni di illuminazione”.

Tuttavia, i Little Pinks sono diventati rapidamente il mainstream dell’opinione pubblica online. Questo mainstreaming è stato visibile alla fine del 2019, quando il sito Bilibili ha organizzato la sua prima festa di Capodanno. Accompagnando la canzone “Flower Suite 种花组曲”, lo schermo si è riempito con le parole “Non mi pento di essere nato in Cina in questa vita, e sceglierò di nascere in Cina anche nella mia prossima vita”. Il mainstream della politica giovanile su Bilibili è in particolare “rosa”. Ad esempio, nel 2019, Fang Kecheng (方可成), un noto collaboratore (UP主) del sito, è stato identificato dai netizen come qualcuno che ha favorito l’indipendenza di Hong Kong.. Ha lasciato il sito dopo aver ricevuto una raffica di critiche. Nel 2020, il noto collaboratore scientifico “Paperclip” ha pubblicato un video ritenuto offensivo nei confronti della Cina dai netizen, che ha portato a ripetuti boicottaggi da parte dei netizen e alla chiusura dell’account.

I “Little Pink” sono la “generazione del rinnovamento” della Cina nata da circostanze difficili. Le loro idee sono un mix complesso che sembra includere il nazionalismo, il conservatorismo e alcuni temi di sinistra, che hanno in comune la loro opposizione ai “valori universali” americani, e sono quindi spesso visti come l’opposto del liberalismo o delle “luci” dello stile degli anni ’80 Ma il liberalismo ei Little Pinks non sono realmente rivali, perché le idee espresse dai Little Pinks non seguono completamente la traiettoria dei tradizionali movimenti pendolari di sinistra e di destra – ma contengono elementi nuovi.

I critici hanno sostenuto che i Little Pinks sono il prodotto di una nuova cultura aziendale mediatica globalizzata, e che in questo senso sono forse più universali dei loro nemici apparentemente “universali”. Il loro modo di agire, il loro modo di parlare e le loro reazioni emotive sono tutti radicati nell’economia di mercato globalizzata, anche se una delle loro caratteristiche è quella di mostrare una sorta di “globalizzazione anti-globalizzazione” – cioè nazionalista. Dobbiamo comprendere i Little Pinks in questo contesto più ampio, che ci aiuterà a comprendere le tendenze ideologiche mostrate dalla gioventù cinese contemporanea.

Shan Wu, PICCOLO ROSA, 2020 — CC BY 4.0

Le tre ondate del nuovo patriottismo della gioventù cinese

Il “nuovo patriottismo” della “Little Pink” differisce radicalmente dalle manifestazioni del patriottismo del passato. Per vedere i Little Pinks in una prospettiva più ampia, inizieremo con una semplice genealogia delle tre ondate di nuovo patriottismo giovanile cinese che hanno avuto luogo dal 2008.

La prima ondata è stata guidata da gruppi patriottici di studenti cinesi d’oltremare. Questi studenti vivevano all’estero da tempo, il che significava che la loro comprensione della società occidentale era passata dall’immaginazione all’esperienza personale, portandoli a cogliere l’enorme divario tra il “mito” occidentale e la realtà occidentale. Questi gruppi inizialmente si sono riuniti su piattaforme di studenti all’estero come Xixihe (西西河), ed sono emersi nel contesto di vari sconvolgimenti politici internazionali che hanno coinvolto la Cina nel 2008, come gli sforzi per proteggere i corridori dalla staffetta della torcia olimpica cinese in Europa, o l’opposizione alla copertura distorta della Cina da parte dei media occidentali come la CNN. I partecipanti appartenevano a una relativa élite, erano altamente istruiti e possedevano abilità linguistiche sofisticate. Hanno parlato sul sito anti-CNN – poi ribattezzato “il sito di Avril” – e su altri siti dedicati esclusivamente a questi temi.

Dopo l’ascesa dei social media nel 2010, i gruppi patriottici si sono spostati su Weibo, utilizzando identificatori che iniziano con AC (abbreviazione di anti-CNN), diventando uno dei semi del nuovo potere della gioventù patriottica nell’era dei social network. Questa ondata di giovani patrioti non si è più impegnata nelle fantasie glamour dell’Occidente, ma ha cercato di trasmettere esperienze reali al popolo cinese. Una serie di articoli di un individuo sotto lo pseudonimo di “Piccola bottiglia d’acqua (小水瓶)”, uno studente dell’Università di Pechino all’estero, erano tipici di quest’epoca. Un articolo intitolato L’assistenza sanitaria cinese è peggiore di quella americana? Dovremmo scambiare?non si limitò a confrontare il sistema sanitario in Cina e negli Stati Uniti, ma puntò il dito contro Han Han (韩寒, nato nel 1982), leader della gioventù liberale e popolare blogger dell’epoca, per la sua mancanza di esperienza reale della vita in Occidente . In questa fase, i Little Pink hanno cercato di definirsi attraverso domande e confronti.

La seconda ondata è iniziata nel 2010. A quel tempo, la “primavera araba” e la “rivoluzione di Twitter” erano in pieno svolgimento, la sensazione sui social media cinesi era che i valori universali occidentali sembravano essere al loro apice. Alcune élite cinesi con esperienza di vita, lavoro o impegno mediatico al di fuori della Cina, inclusi esperti, studiosi e attivisti sociali, si sono unite alla prima ondata di studenti stranieri e giovani patrioti in Cina per condurre una resistenza organizzata all’Occidente attraverso i media e altri mezzi. Nel giugno 2011, lo Shanghai Chunqiu Institute for Development and Strategic Studies(春秋战略发展研究院), un think tank privato, in collaborazione con lo Shanghai Wenhui Daily (文汇报), ha organizzato un “Dibattito del secolo” tra Zhang Weiwei (张维为) (nato nel 1957) e il politologo americano Francis Fukuyama (nato nel 1952), dichiarando la fine della “fine della storia”.

Successivamente, il Guancha Syndicate , una conseguenza dell’Istituto Chunqiu, ha iniziato a prendere il sopravvento nell’opinione pubblica online. In una serie di iniziative, come sostenere lo sviluppo dell’alta velocità ferroviaria cinese, opporsi al “Washington Consensus”, sfatare alcuni “miti” occidentali, affermare i vantaggi dello sviluppo cinese e la difesa del “modello cinese”, Guancha si è continuamente ampliata la sua influenza e attirò un gran numero di scrittori d’élite, sostituendo così il sito web di April e diventando la bandiera dei nuovi media patriottici.

A questo punto, il tono discorsivo del nuovo patriottismo divenne più positivo, sottolineando la natura di successo dell’esperienza di sviluppo della Cina, mostrando una chiara consapevolezza di sé che il percorso della Cina era distinto da quello dell’Occidente. A questo punto è emerso un altro fenomeno importante: un gruppo di giovani opinion maker operanti nel campo della scienza e dell’ingegneria, che prima appartenevano alla “maggioranza silenziosa”, ma che ora hanno integrato l’opinione pubblica mainstream con l’ausilio di nuovi media come come Guancha, cercando di aggiornare il modello obsoleto del discorso politico basato sugli antagonismi sinistra-destra con un nuovo discorso sullo sviluppo basato sul funzionamento effettivo della scienza e della tecnologia. Questo gruppo è stato chiamato il “partito della tecnologia”.

La terza ondata è stata l’emergere di Little Pink come li conosciamo oggi. I precedenti gruppi patriottici non facevano più parte dell’élite intellettuale, ma piuttosto dell’esercito di riserva dei giovani della nuova borghesia urbana, che allargò ulteriormente la base del nuovo patriottismo. Rispetto alle due precedenti ondate di gruppi patriottici, i Little Pink erano più giovani, la proporzione di donne era maggiore, i legami con la vita di tutti i giorni erano più chiari e attiravano molti gruppi di fan, ad esempio i gruppi di moda femminile come Jinjiang e Fengyi Forum . C’erano anche Little Pink maschi, molti dei quali provenivano da gruppi di appassionati di sport e giochi a siti come Diba, Hupu e Bilibili.

In termini di idee, i “Little Pink” sono meno teorici e politici rispetto alle due ondate precedenti, quando le persone erano più consapevoli della loro “politica da tastiera”. I Little Pinks hanno attinto intuitivamente alla loro esperienza di vita. Hanno meno bagaglio storico e non condividono i ricordi delle generazioni precedenti del doppio shock della Rivoluzione Culturale e della riforma e dell’apertura. Il miracolo dell’ascesa della Cina dal 2008 fa sentire loro che la Cina si sta sviluppando più velocemente dell’Occidente, la vita in Cina è più conveniente, la sicurezza pubblica è migliore, l’industria è più forte e che la gestione della pandemia è migliore, tutto ciò ha generato puro senso di orgoglio nazionale.

Per quanto riguarda il loro stile di recitazione, il loro impegno nella cultura commerciale dei fan ha permesso loro di sviluppare capacità organizzative, come “sostenere idoli” e attaccare i nemici, che le prime due ondate di gruppi di Young Patriots non possedevano. Il suo stile di mobilitazione online multicentrica è diverso dagli stili di azione dell’élite degli studenti internazionali o della comunità intellettuale, ma è legato e interagisce anche con le prime due ondate.

Va notato che lo sviluppo di Internet mobile ha consentito a sempre più giovani delle città di terzo e quarto livello di unirsi ai ranghi di Little Pink. Questi nuovi membri portano con sé molte differenze economiche e culturali, tanto che i Little Pinks sono ormai un gruppo abbastanza eterogeneo.

The Little Pinks, una contraddizione culturale

La pratica socialista nella Cina contemporanea è una contraddizione disordinata di individualismo, consumismo, socialismo, conservatorismo e persino internazionalismo. Il fenomeno Little Pink incarna un mix simile, ma il suo aspetto esteriore di identità nazionalista e patriottismo può facilmente camuffare le sue intriganti contraddizioni interne.

Politiche identitarie nazionali e autostima culturale della nuova borghesia

Il movimento patriottico della Little Pink, che si è ampiamente diffuso su Internet, incarna la coscienza della nuova classe media di una società consumistica. Mobilita la classe media, compresi studenti e colletti bianchi, e il suo esercito di giovani di riserva. Al contrario, i precedenti movimenti patriottici tendevano a raggiungere una base più ampia, come nelle proteste anti-giapponesi, che fino al 2012 includevano persone di base come i lavoratori migranti, e mostravano caratteristiche della politica antimperialista di massa, cultura di strada e mascolinità.

Il movimento patriottico Little Pink è nato da eventi come: l’incidente del 2018 in cui la polizia svedese ha trattato brutalmente i turisti cinesi; la pubblicità del marchio di moda italiano Dolce & Gabanna che ha umiliato la Cina e scatenato le proteste patriottiche dei giovani; gli attacchi su Internet al regista cino-americano Chloe Zhao per aver pubblicato commenti anti-cinesi nel 2021; e attacchi ad alcune star sudcoreane che avrebbero insultato la Cina, scatenando il movimento “no fan idol before the nation” in cui i fan dichiaravano la loro fedeltà alla Cina e non al loro idolo. È ovvio che questi eventi si concentrano nei settori della moda, dei consumi e della cultura.

Pertanto, mentre la forza combinata delle azioni di Little Pink è coerente con la tradizionale grande narrativa del nazionalismo, il suo diffuso potere di mobilitazione deriva da una richiesta di identità nazionale della classe media in un’epoca di globalizzazione, piuttosto che da una coscienza nazionalista in senso stretto. – e il senso di questa politica identitaria è pretendere che l’altra parte riconosca che “sono anch’io una persona civile, proprio come gli occidentali. Questa passione per il riconoscimento ha dato origine a una forma di politica dell’identità di natura nazionalistica, ma non un segno distintivo della politica dell’identità nelle società occidentali.

Modalità affettive e cognitive nel mondo virtuale

Le emozioni comuni e gli interessi condivisi sono le componenti ideologiche di livello più basso della società e l’energia cinetica che generano è di gran lunga maggiore delle idee razionali. Quando scaviamo sotto la superficie delle forti emozioni patriottiche della Little Pink, scopriamo che la Little Pink condivide importanti componenti ideologiche ed emotive contemporanee con i loro rivali, gli “universalisti”. Questi includono: “evitare il sublime 躲避崇高”, la politica della vita, la giocosità postmoderna, la correttezza politica e un ampio senso di fragilità. Allo stesso tempo, troviamo anche elementi eterogenei, che culminano in un “meccanismo unico di identificazione e autenticazione emotiva. »

L’autore si riferisce qui a un articolo del 1992 dello scrittore Wang Meng (nato nel 1934), in cui elogia la “letteratura folle” dello scrittore Wang Shuo (nato nel 1958) per essere in perfetta armonia con le tendenze attuali della cultura consumistica e popolare intrattenimento. L’idea è che gli “intellettuali illuministi” degli anni ’80 fossero sognatori e completamente tagliati fuori dalle masse.

La generazione che ha dato l’addio alla rivoluzione ha rifiutato i precedenti movimenti patriottici, non riuscendo a vedere che la generazione più giovane aveva, in una certa misura, realizzato questo stesso sogno senza rendersene conto. L’idea che “il patriottismo può anche essere carino” e che una politica basata su interessi comuni renda più interessante il Paese e la sua storia, produce nuovi idoli per i fan club. Ad esempio, il webcomic “Year Hare Affair” (那年那兔那些事) presenta vari paesi sotto forma di immagini di animali dei cartoni animati, che in realtà corrispondono alla proposta degli anni ’90 di “evitare il sublime”. L’economia di mercato “rimuoverà il sublime” dalla vita quotidiana, ma fino a quando la lotta nella storia del mondo contemporaneo non sarà terminata, il “sublime” continuerà a risiedere nella cultura quotidiana.

La “generazione che ha detto addio alla rivoluzione” è un altro riferimento agli intellettuali liberali che avevano deciso dopo la Rivoluzione Culturale che la rivoluzione stessa era il problema principale della Cina moderna.

“The Hare Case” è un webcomic e media franchise cinese creato da Lin Chao. Il fumetto utilizza animali antropomorfi come allegorie di nazioni e stati sovrani per rappresentare eventi politici, militari e diplomatici del XX secolo.

La stessa cultura della narrativa online contiene una sorta di struttura che guida la pratica emotiva. In particolare, la fan fiction ricrea storie di idol dalle narrazioni degli stessi autori, aiutando i fan a stabilire uno spazio emotivo flessibile e interattivo dell’immaginazione attorno a un idolo, che crea un’atmosfera altamente coinvolgente. “Year Hare Affair” e “Azhong Gege 阿中哥哥” hanno entrambi assorbito le modalità e i metodi della pratica emotiva dalla fan fiction, prendendo il “paese” come oggetto della creazione dei fan e proiettando su di lui l’emozione, in modo che il patriottismo e la grande lotta possano partecipare anche al concorso spazio emozionale della narrativa online.

Azhong Gege si riferisce a un vezzeggiativo comunemente usato dai fan cinesi. Gege (哥哥 , letteralmente “fratello maggiore”) è generalmente usato per riferirsi a idoli maschili.

È stato ampiamente notato che i sentimenti patriottici dei movimenti precedenti si sono trasformati in una forma di correttezza politica che ha la caratteristica di essere decisamente non negoziabile. Il comportamento di “scavare la propria fossa” è prominente: l’uso dei social media per portare alla luce commenti inappropriati passati delle persone sul paese, quindi riportare i risultati e incolpare la persona in questione. Persone come la regista Chloé Zhao e il defunto pianista Fou Ts’ong (傅聪, 1934-2020) sono state ampiamente criticate sui social media per le loro inclinazioni filo-occidentali. Questi critici spesso si rifiutano di considerare il contesto delle osservazioni, o il fatto che i tempi e le persone cambiano, e tracciare linee in base all’attuale confronto tra Stati Uniti e Cina. Come dobbiamo interpretare un simile comportamento?

Shan Wu, PICCOLO ROSA, 2020 — CC BY 4.0

Da un lato, questo tipo di pensiero stereotipato e assolutista si basa sul fatto che mentre gli adolescenti possono essere abbastanza esperti nelle attività quotidiane di consumo e divertimento, sono inesperti nella difficile lotta per la sopravvivenza e il lavoro nella società. Di conseguenza, trovano difficile pensare alle cose in modi complessi e realistici e sono abituati a identificare amici e nemici attraverso la parola e il simbolismo, portando a sentimenti e opinioni che sono poco più che tag.

Questa non è una mentalità ristretta nazionalistica, ma una malattia moderna che colpisce il mondo intero. Un libro pubblicato di recente, The Coddling of the American Mind: How Good Intentions and Bad Ideas Are Settinging a Generation for Failure, di Greg Lukianoff e Jonathan Haidt, descrive in dettaglio come i giovani americani, danneggiati dalla correttezza politica e da una cultura di iperprotezione, siano diventati sempre più suscettibili e vulnerabili ai danni emotivi, il che li rende desiderosi di “parlare” e di “denunciare” illeciti. Sono stati indottrinati in “microaggressioni” e sono desiderosi di censurare il comportamento politicamente scorretto e invadente di coloro che li circondano nella loro vita quotidiana. I Little Pink condividono questa forma di correttezza politica, ma il contenuto è diverso. In questo senso, i Little Pink ei loro rivali di “valori universali” sono persone di “discorso”, che identificano amici e nemici sulla base di idee incarnate nel discorso, piuttosto che di considerazioni empiriche.

Allo stesso tempo, è importante notare che è proprio nella sfera politica che l’emozione funziona ancora come il meccanismo di riconoscimento più diretto, in grado di identificare amici e nemici più velocemente della ragione. La politica dell’identità è originariamente una sorta di politica dell’emozione, che dipende dall’esperienza emotiva in una situazione specifica. Quando il conflitto internazionale sfugge al controllo degli esseri umani, e quando i sostenitori dei “valori universali” usano parole come “razionalità” e “Illuminismo” per criticare i Little Pinks, e non sono in grado di nascondere la loro posizione emotiva filo-occidentale, sarà impossibile guadagnarsi il rispetto dell’altra parte. È come quando il virologo di Hong Kong Guan Yi 管轶 (classe 1962), all’inizio della pandemia, ha ammesso che “questa volta ho paura” e che “anche i veterani come me hanno voglia di disertare. Anche se aveva ragione sul suo giudizio medico, rispetto al team medico che ha deciso di andare controcorrente e aiutare Wuhan, Guan è stato attaccato da giovani netizen per aver rivelato chiaramente la sua posizione emotiva.

L’attacco dei piccoli investitori: le modalità di organizzazione dei fan-club

L’attacco dei fan online [o “spedizione” 出征] alle celebrità indipendentiste di Hong Kong nell’agosto 2019 illustra drammaticamente le somiglianze tra il movimento Little Pink e il movimento mainstream dei fan club, così come le differenze tra i Little Pink e i passati movimenti patriottici . Nel 1999, 2004, 2005 e 2012 i movimenti antiamericani e antigiapponesi si sono trasformati in marce di strada, i cui temi hanno espresso desideri popolari nel contesto di grandi dibattiti politici, mentre l’attacco alla Little Pink è stato un movimento puramente online : si sono divisi i compiti, hanno scritto i messaggi che avrebbero inviato, organizzato il voto e cercato di convincere la gente dalla loro parte,

Gli “attacchi” sono una forma comune di organizzazione comunitaria prodotta dall’economia globale di Internet. Metodi di organizzazione simili possono essere visti nel populismo della politica Twitter dell’era Trump negli Stati Uniti e nel gennaio 2021, quando gli investitori al dettaglio hanno utilizzato Reddit per attaccare Wall Street nell’incidente di GameStop. I singoli investitori sono in un certo senso separati dalle unità sociali e dalle istituzioni tradizionali, ma non rimangono in una situazione “atomizzata”, e usano invece Internet per organizzarsi.

Questo tipo di movimento unito di investitori al dettaglio sta sempre più trapelando da Internet, influenzando l’organizzazione e il funzionamento del mondo reale. L’incidente di Xiao Zhan 肖战事件, durato dal 2020 al 2021 e la cui influenza si fa sentire ancora oggi, è un tipico esempio di socializzazione dell’economia dei tifosi. Inizialmente, l’incidente di Xiao Zhan era solo una disputa interna all’interno della considerevole base di fan di Xiao, ma ha scatenato una reazione a catena e le segnalazioni dei fan hanno portato al blocco del sito di fanfiction ., che ha poi influenzato le attività quotidiane di intrattenimento di altri gruppi di tifosi. La lotta si è allargata e lo stesso Xiao Zhan è diventato un bersaglio, e quelli contro di lui hanno adottato una tipica tattica consumistica: boicottare i marchi di cui Xiao è portavoce, il che ha suscitato punti di critica vendendo lusso nel gioco. denaro e il governo sono stati tutti coinvolti.

Cose simili sono successe molte volte. Ad esempio, nel febbraio 2021, c’è stata una controversia su Bilibili su un cartone animato giapponese chiamato “Jobless Reincarnation” a causa di accuse di pornografia. Inizialmente si trattava di una disputa all’interno del fan club, ma poiché uno streamer su un sito di Bilibili ha fatto commenti inappropriati sulla storia della Cina, i Little Pinks si sono uniti a loro e hanno attaccato, il che ha poi portato anche un gruppo di attiviste Douban a intervenire, provando per influenzare il prezzo delle azioni di Bilibili. Ciò riflette lo stato squilibrato e instabile dell’ecologia culturale giovanile, in cui incidenti minori spesso portano a conflitti multipartitici.

Nel luglio 2021, solo perché un certo marchio cinese di scarpe e abbigliamento ha “annunciato” che avrebbe donato articoli per un valore di 50 milioni di RMB alle aree disastrate dell’Henan, i netizen patriottici si sono precipitati nella stanza del live streaming del marchio per acquistare freneticamente le loro proprietà ed esprimere la loro gratitudine, tipico esempio di come il movimento emozionale ‘Little Pink’ stia diffondendo instabilità nell’economia cinese.

I rivali di Little Pink

Avendo inteso la “Little Pink” come una particolare espressione cinese di un fenomeno globale, dobbiamo introdurre la prospettiva analitica della “nicchia ecologica” per studiarne la reale collocazione nelle contraddizioni sociali.

Gli intellettuali mainstream che sembrano rifiutare con veemenza la Little Pink non appartengono alla stessa nicchia ecologica e quindi non costituiscono una concorrenza diretta. Dietro la loro apparente opposizione c’è una “divisione di specie” generazionale, ei due gruppi non si capiscono a causa delle differenze nelle esperienze storiche e nei sistemi di discorso. Ad esempio, quando i Little Pinks hanno criticato il diario di Fang Fang, hanno usato armi come rap, meme e disegni digitali, che le persone dalla parte di Fang Fang non potevano capire, il che ha portato a risultati divertenti. Le rabbiose denunce degli intellettuali contro la Little Pink spesso mancavano il bersaglio e non costituivano una vera e propria critica.

I gruppi giovanili legati all’indipendenza di Hong Kong e all’indipendenza di Taiwan occupano la stessa nicchia ecologica del Little Pink. Nel 2019, l’ex invincibile Diba è stato attaccato da gruppi giovanili legati all’indipendenza di Hong Kong. Questi giovani sono, come Little Pink, nativi del cyberspazio e combattono usando gli stessi metodi online di altri gruppi di fan, come incontrarsi su piattaforme Internet, dividersi il lavoro e cooperare per hackerare il sito di Diba e rivelare informazioni private dei membri di gruppi rivali. Una volta attaccato, Diba ha ripetutamente chiesto una tregua. Questo ci permette di vedere che diversi campi generano nuovo denaro online, ciascuno sviluppando la capacità organizzativa dell’investitore al dettaglio nell’era della globalizzazione. Hanno interessi di moda, modalità di azione e armi discorsive simili, nonostante le loro posizioni e idee contraddittorie. Per usare una metafora biologica, sono tutti nella stessa “nicchia ecologica”, il che significa che sono in competizione.

Diba è un sito sportivo, dove le liti inizialmente opponevano tifoserie di diverse squadre di calcio o di basket: i conflitti tra tifoserie hanno finito per estendersi ad altri ambiti.

Una volta compreso dove si inseriscono i Little Pink in termini di “politica dell’identità + coscienza nazionale”, allora possiamo comprendere meglio il loro coinvolgimento con altri movimenti di politica dell’identità nell’ecologia dell’opinione pubblica, come i loro conflitti con il femminismo. Nel febbraio 2020, l’account Weibo del Comitato Centrale della Lega della Gioventù Comunista Cinese ha lanciato due idoli patriottici virtuali, “Red Flag Manga 红旗漫” e “Jiangshan Jiao 江山娇”, che avrebbero dovuto ospitare una celebrazione online della giornata. Made in China, che è finita in polemica.

È un esempio di un tentativo delle autorità cinesi di partecipare alla cultura giovanile che, in questo caso, è finito male — tra l’altro perché la tempistica coincideva con l’inizio della pandemia — ed è stato giustamente considerato dai giovani cinesi come un irritante distrazione.

Tra le altre cose, il personaggio femminile “Jiangshan Jiao” ha suscitato un’ondata di ira femminista, e quando è stato chiesto di partecipare all’attività “100 domande per Jiangshan Jiao”, le femministe hanno inviato domande come: “Jiangshan Jiao, hai il ciclo? “Jiangshan Jiao, il capo ti ha chiesto di raderti la testa?” “Jiangshan Jiao, hai un fratello minore perché i tuoi genitori non volevano una figlia?” “. Hanno persino inventato canzoni rap per ridicolizzare Jiangshan Jiao, che ha avuto un enorme impatto. Come le Little Pink, le giovani femministe sono immerse nel discorso dell’economia di mercato globalizzata e mediata e della politica dell’identità. Sanno usare abilmente i nuovi canali mediatici ei nuovi mezzi discorsivi per diffondere il loro messaggio. Quando le femministe hanno attaccato il sito di Bilibili nel febbraio 2021 e durante l’incidente a Chengdu nell’aprile 2021, si potevano vedere le femministe combattere contro gli uomini di Little Pink. Ciò dimostra che i Little Pink sono stati profondamente coinvolti in ciò che il sociologo britannico Anthony Giddens (nato nel 1938) chiama “politica della vita” piuttosto che “politica tradizionale”, e che le sfide future verranno principalmente da gruppi che occupano nicchie ecologiche simili nella vita sociale. .

L’incidente di Chengdu nell’aprile 2021 si riferisce a una donna che stava mangiando in un ristorante cinese con stufato e ha chiesto ad altri clienti che mangiavano ai tavoli adiacenti di smettere. Non solo non hanno obbedito, ma hanno gettato del brodo sulla donna, portandola a rendere pubblico l’incidente.

I Little Pinks sono la loro stessa nemesi

Nel 2020, molte persone hanno notato l’esistenza di una curiosa mentalità sociale: i giovani sono generalmente fiduciosi sul futuro del Paese a livello macro, ma pessimisti sulle loro prospettive di vita personale a livello micro, preoccupati per le questioni del lavoro, del matrimonio e riproduzione. Cosa ha dato origine a questa mentalità schizofrenica?

La nuova emozione patriottica rappresentata dai Little Pinks ha messo radici nell’era della globalizzazione e di un’economia di mercato con caratteristiche socialiste, che è sottilmente diversa dal patriottismo del “secolo breve”. Quest’ultimo si basa sull’esperienza della sofferenza e sul senso di responsabilità, nel senso che, sebbene la Cina moderna sia povera e debole, e sia stata più volte vittima di bullismo, i patrioti tuttavia “hanno esplorato questa vasta terra con le loro mani danneggiate”.2. Il primo si basa maggiormente sull’esperienza della forza nazionale e della felicità personale. Ciò solleva la questione se i sentimenti possano essere influenzati dal cambiamento degli standard di vita e delle esperienze.

L’idea del “breve secolo ventesimo” è più spesso associata allo storico Eric Hobsbawm (1917-2012), e si riferisce al periodo compreso tra l’inizio della prima guerra mondiale e la caduta dell’Unione Sovietica, e quindi all’ascesa e la caduta del comunismo e il “trionfo” del capitalismo liberale.

La più grande pandemia del secolo ha bloccato lo sviluppo economico e ridotto le opportunità di lavoro per i giovani. Allo stesso tempo, in quanto persone cresciute su Internet, la generazione degli anni ’90 fa molto affidamento sulle piattaforme Internet per il lavoro e la vita. La loro vita personale diventa sempre più “dentro (宅化)” e la loro capacità di comprendere la vita reale e le pressioni offline è diminuita. Sono nati su Internet e moriranno su Internet. Sono sempre più in preda a una combinazione di consumismo, cultura dello straordinario e cultura del debito. Ora che i giganti del capitale delle piattaforme sono intrappolati nella loro stessa concorrenza in devoluzione, che si stanno ulteriormente infiltrando in tutti gli aspetti della vita sociale delle persone e passando dall’esplorazione di nuovi spazi preziosi alla raccolta di utenti con ogni mezzo possibile, l’impressione che i giovani abbiano un capitale, in particolare il capitale della piattaforma, si è notevolmente deteriorata. L’immagine di Jack Ma (马云, classe 1964) è precipitata. I giovani online hanno applaudito la prematura scomparsa di Zuo Hui (左晖, 1971-2021), il fondatore di una famosa piattaforma di brokeraggio online.

Allo stesso tempo, sono aumentate le aspettative dei giovani nei confronti delle imprese statali e del pubblico impiego, e cominciarono a immaginare cose buone sull’economia pianificata. In questo contesto, dal 2020, potremmo notare che l’interesse dei giovani per il marxismo è cresciuto in modo esponenziale. Il sito Bilibili offre molti brevi video prodotti da decine di migliaia di internauti di propria iniziativa, che presentano il marxismo e criticano i capitalisti. Il numero di tali video è aumentato di sette volte dal 2019. Il documentario di CCTV del 2019 “The Power of Capital” era originariamente concepito per celebrare le glorie della riforma e dell’apertura, fornendo una visione positiva della costruzione del capitalismo e dei mercati. Tuttavia, dopo essere stato ripubblicato su Bilibili, è stato accolto da una raffica di critiche. Allo stesso tempo, le vendite diAnche le opere selezionate di Mao Zedong sono aumentate nel 2020.

Pertanto, dobbiamo notare che la generazione Little Pink, sebbene immersa nell’economia di mercato, mostra ancora sintomi del tardo capitalismo nella loro avversione per il capitale e nella loro devozione al “marxismo dei video musicali”. Data la loro ridotta esperienza di vita, aspettative ridotte, tendenza a uscire online con persone che la pensano allo stesso modo, correttezza politica, manipolazione emotiva, a cui potremmo aggiungere la popolarità di una cultura cupa e l’utilità dell’ansia come strumento per generare traffico mediatico… Questi fattori, insieme all’involuzione del capitale globale, hanno prodotto nei giovani di oggi uno stato emotivo che potremmo definire una cultura “patriottica”, antimperialista e anticapitalista + risentimento online”. Questa è forse una delle fonti dello “stato d’animo schizofrenico” dei Little Pinks. Non si tratta tanto di un ritorno della sinistra quanto di quella che Fukuyama chiama l’attuale “politica del risentimento” tra i giovani occidentali, un prodotto del deterioramento dell’economia politica e della proliferazione della politica identitaria.

La politica occidentale del risentimento può facilmente trasformarsi in politica di strada e politica populista in un sistema elettorale, mentre la rabbia che contagia i giovani cinesi diventa invece una mentalità di totale rassegnazione e fuga dall’opinione pubblica online.. Un esempio potrebbero essere le quattro “rivolte” proposte dai giovani su Bilibili: non compreremo casa, non ci sposeremo, non faremo figli e non lavoreremo dodici ore al giorno, sei giorni alla settimana. “Se mi sdraio, i capitalisti non potranno più sfruttarmi”. L’essenza di questo risentimento è, da un lato, una legittima rivendicazione contro lo sfruttamento del capitale; dall’altro è l’espressione della frustrazione di un’anima catturata dal consumismo ma che rimane insoddisfatta. Questa logica non punta a una narrativa di classe, ma piuttosto a una narrativa di welfare simile a quella che vediamo nelle socialdemocrazie occidentali.

Shan Wu, PICCOLO ROSA, 2020 — CC BY 4.0

Conclusione

Alcuni teorici usano il termine “nuovo individualismo” per cercare di descrivere l’attuale mentalità dei giovani internauti cinesi. Nell’era dell’economia di mercato, l’individualismo è certamente un aspetto essenziale di come intendiamo e viviamo la nostra vita, ma la miscela di individualismo e nazionalismo che vediamo nella Little Pink ovviamente va oltre questo, oltre l’individualismo astratto. L ‘”individuo” nel pensiero di liberazione degli anni ’80 era un individuo umanista, spiritualmente puro come immaginato dagli intellettuali. Quando negli anni ’90 sono decollate le vere riforme e aperture, l’economia di mercato ha lasciato nell’ombra questi “individui umanistici” e l’individuo è diventato l’astratto “uomo economico” dell’economia occidentale.

Nel 1998, Liu Xiaofeng (刘小枫, nato nel 1956) ha pubblicato un riassunto delle idee dell’era post-rivoluzionaria e del periodo della trasformazione sociale, concentrandosi su una discussione sul “dolore e la felicità” associati alla trasformazione sociale. un’etica della libertà individuale. Tuttavia, rispetto alla generazione Little Pink, sembrerebbe che la trasformazione di cui parla Liu avvenga solo durante il passaggio dall’economia pianificata all’economia di mercato, e il “peso” di cui parla non includa l’ansia prodotta dal divario tra ricchi e poveri a livello personale , perché l ‘”individuo” in quel momento non era ancora pienamente consapevole del prezzo dell’alloggio, del costo dell’istruzione o di questioni come gli straordinari e la scarsa retribuzione. Né comprende l’esperienza del contatto diretto con i cittadini del mondo – che è l’esperienza dei giovani nell’era odierna del consumo globalizzato – in un momento in cui la riforma e l’apertura della Cina sono in “acque profonde”.

Dopo il 2008, quando l’ascesa della Cina è diventata sempre più evidente, i cinesi sono stati esposti direttamente alla comunicazione globale dei media e alle emozioni competitive che può produrre. Il fenomeno “Little Pink” ne è una manifestazione. Rispetto alla generazione altrettanto consumista di Taiwan “My Little Happiness (小确幸)”, i giovani della terraferma si trovano in una guerra di identità con l’Occidente a causa del ringiovanimento della Cina, mentre i giovani di Taiwan si trovano a proprio agio nel sistema internazionale occidentale.

La politica e l’etica della Little Pink, che rifiutano sia l’intellettualizzazione che la proletarizzazione, sono difficili da accettare per gli intellettuali che sono diventati maggiorenni negli anni ’80, i quali non capiscono perché le riforme, l’apertura e i mercati globali non solo non siano riusciti a determinare la fine del storia che avevano chiesto, ma invece hanno generato una comunità patriottica più ampia. Tuttavia, il fenomeno Little Pink e tutte le controversie che ha suscitato riflettono vividamente la rielaborazione e la ricodificazione di varie dottrine e idee nella realtà, tracciando i sintomi di una postmodernità ancora non presente, di una storia che non riesce a finire, e del desiderio di felicità dell’ultimo uomo e della sua continua lotta.

I Little Pinks sono un processo che, in una certa misura, va oltre l’individualismo stoico e la “politica depoliticizzata” e si riconnette con la collettività, la nazionalità, la storia e il socialismo. La domanda per il futuro è: in un’era di cambiamenti senza precedenti, la generazione Little Pink salirà o scenderà?

Gli intellettuali devono prima abbandonare la loro posizione di critica esterna e rifiutare termini semplicistici come “populista” o “spina dorsale脊梁”. Allo stesso tempo, devono superare stereotipi come “gioventù” e “mainstream” e capire che Little Pink non è solo una sottocultura giovanile, ma anche un’espressione di un certo spirito che è stato soppresso dagli intellettuali e dal sistema educativo e che poteva trovare il suo posto solo tra i giovani.

Abbiamo assistito all’ascesa della “forza Little Pink 原力”, ma ci manca una teoria per spiegare questa forza. La direzione che prenderanno i giovani cinesi e il nuovo patriottismo dipende dalla possibilità di portare a compimento l’interazione tra i vari attori intellettuali, sociali e pratici della Cina. È anche una delle responsabilità ineludibili degli intellettuali cinesi.

FONTI
  1. 余亮,”小粉红的系谱、生态与中国青年的未来”, originariamente pubblicato nell’edizione di maggio 2021 della Beijing Cultural Review , ripubblicato sul sito web di Aisixiang il 6 ottobre 2021.
  2. Questa frase è tratta da una poesia di Dai Wangshu 戴望舒 (1905-1950).

https://legrandcontinent.eu/fr/2022/12/24/les-little-pink-et-lavenir-de-la-jeunesse-chinoise/

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