È ora di ricominciare a preoccuparsi!_di gilbertdoctorow

Alcuni lettori mi hanno commentato in e-mail dirette di aver tratto conforto dai miei scritti in quanto sono stato una voce moderata, evitando allarmismi per le notizie quotidiane spesso fastidiose sulla guerra russa con l’Ucraina e intorno alla guerra, o più propriamente parlando oggi, la Russia guerra per procura con la NATO in e intorno all’Ucraina.

Proprio per questo, ho esitato a condividere con i lettori il profondo pessimismo che mi ha sopraffatto un paio di giorni fa sulle nostre possibilità di evitare l’Armageddon nucleare. Questo è seguito alla mia visione dell’ultimo talk show politico di Solovyov alla televisione di stato russa. Ho usato regolarmente questo spettacolo come cartina di tornasole dell’umore delle élite sociali e politiche russe: quell’umore è diventato nero.

Mentre in passato, indietro di sei mesi o più, avevo riferito del disprezzo aperto che accademici russi di spicco e altamente responsabili dei circoli universitari e dei gruppi di riflessione hanno mostrato nei confronti della leadership politica americana nelle loro dichiarazioni sui talk show politici, questo disprezzo è entrato in una fase perseguibile, con il che intendo dire che i russi seri e timorati di Dio sono così furiosi con la propaganda spazzatura proveniente da Washington, ripetuta con megafoni in Europa che, se ne avessero la possibilità, “premerebbero il pulsante” personalmente e scatenerebbero attacchi nucleari contro gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, in quest’ordine nonostante la possibilità, anche la probabilità di un attacco di ritorno, che, per quanto indebolito, sarebbe devastante per il proprio paese. Vale a dire,

Qualunque siano le parole dell’amministrazione Biden sul fatto che la guerra nucleare sia “fuori discussione”, il comportamento aggressivo e minaccioso dell’America, compreso il continuo “addestramento alle armi nucleari” attualmente in corso in Europa sotto la direzione degli Stati Uniti, ha reso i russi razionali e molto seri pronti a Provaci.

Uno degli esperti di affari internazionali più sobri ad apparire nello show di Solovyov, Yevgeny Satanovsky, presidente del think tank dell’Istituto del Vicino Oriente, ha contenuto la sua rabbia con una certa difficoltà, dicendo solo che mentre una volta aveva nutrito una certa simpatia per il Stati Uniti, ora vedrebbe la sua totale distruzione con poco rimpianto; non ha lasciato alcuna menzione su dove sono puntati i piedi quando ha aggiunto che non poteva dire altro in onda per paura di essere censurato e le sue parole rimosse dal video.

Per queste ragioni ho dato a questo saggio rivolto al Collective West, e in particolare ai fomentatori del disordine mondiale a Washington e Londra, un titolo che si adatta alla situazione attuale.

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Come abbiamo visto anche prima del lancio dell'”operazione militare speciale”, i programmi di conversazione russi identificano per nome le persone nella squadra di Biden la cui eccezionale stupidità, ottusità e ignoranza di rango trovano insopportabili, con artisti del calibro di Antony Blinken, Jake Sullivan e Lloyd Austin tra coloro che verranno per una menzione speciale. Ci rimane l’impressione che quando Biden chiama i suoi consiglieri allo Studio Ovale, lui, ottuso senile com’è, sia la luce brillante nella stanza. I russi ne concludono che non hanno nessuno con cui negoziare.

Ora la nomina degli idioti ai vertici si trasferisce a tutte le discussioni sull’Unione Europea e sui leader britannici. La denuncia dell’incompetenza, della stupidità di rango e, sì, delle mentalità neocolonialiste o fasciste tra i leader europei si è ben riflessa nell’ultimo spettacolo di Solovyov. Il frustino più discusso è stato il commissario Ue per l’azione esterna, Josep Borrell, che sembra parlare quotidianamente al mondo e non riconosce limiti a ciò che può proclamare, come se fosse la politica ufficiale dell’Ue in difesa oltre che in diplomazia.

Lo spettacolo di Solovyov ha mostrato sullo schermo una breve registrazione video di Borrell che espone compiaciuto della posizione privilegiata dell’Europa come “un giardino di democrazia liberale, buone prospettive economiche e solidarietà sociale” che è circondato dalla “giungla”. Quel riferimento alla giungla si adatta bene, ha osservato Solovyov, con la mentalità colonialista di Rudyard Kipling ed è profondamente offensivo per il resto del mondo, di cui la Russia fa parte. Più precisamente, Borrell era noto anche in Russia la scorsa settimana per la sua affermazione secondo cui qualsiasi uso da parte della Russia di armi nucleari in Ucraina sarebbe stato contrastato da un massiccio attacco non nucleare dall’Europa che avrebbe “annientato” l’esercito russo. Tuttavia, Borrell non era solo in borsa:

Quindi non hai un rifugio antiaereo? Quindi, come hanno detto i russi decenni fa, è giunto il momento di gettarsi un lenzuolo sulle spalle e camminare lentamente verso il cimitero più vicino.

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Una delle ultime due notizie false diffuse contemporaneamente e in modo onnipresente sui principali media occidentali la scorsa settimana è che la Russia sta considerando di usare contro l’Ucraina “armi nucleari tattiche”, ovvero testate con una forza distruttiva equivalente alle bombe di Hiroshima-Nagasaki montate in crociera o missili balistici a medio raggio. La nostra carta stampata ed elettronica speculano sul numero di testate che la Russia possiede attualmente (2.000 o più), come se ciò potesse fare la differenza in un assalto all’Ucraina.

Spazzatura dicono i russi nello show di Solovyov: non abbiamo bisogno di armi nucleari per finire gli ucraini. Le uniche forze nucleari che dispiegheremmo nella situazione attuale sono le armi strategiche, e sono dirette contro… Washington con l’aiuto dei sistemi di consegna Sarmat e Poseidon.

L’altra grande fake news diffusa in maniera massiccia dai media occidentali negli ultimi giorni è stata l’accusa che i russi stiano cercando di congelare a morte gli ucraini con i loro attacchi contro le infrastrutture di produzione di energia. Le immagini di Stalingrado sono state evocate dalle nostre emittenti. Si dice che un blocco simile sia stato inflitto all’Europa occidentale dal taglio delle forniture energetiche russe all’UE.

Altre sciocchezze dicono i relatori del programma Solovyov. L’attacco alla rete elettrica in Ucraina non è diretto contro i civili di per sé; ha lo scopo di fermare le consegne ferroviarie di sistemi d’arma avanzati e munizioni in arrivo in Ucraina al confine con la Polonia e spostate in treno ai fronti nell’est e nel sud del paese. Senza questi input, l’esercito ucraino sarà kaput e la guerra potrà giungere a una conclusione anticipata con la capitolazione di Kiev. Per quanto riguarda l’UE, qualunque chill out possa arrivare quest’inverno è dovuto esclusivamente alle decisioni poco professionali e ignoranti della Commissione sulle importazioni di idrocarburi russi che sono state seguite ciecamente dagli Stati membri senza debita considerazione delle conseguenze per le proprie popolazioni.

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Il Collective West parla di referendum “falsi” nelle quattro oblast ucraine che ora sono state reintegrate (o annesse, a seconda della politica) della Federazione Russa. In questo spirito, a metà della scorsa settimana l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato in modo schiacciante una risoluzione sponsorizzata dagli Stati Uniti che rifiuta di riconoscere la legalità di questa annessione. Tra coloro che hanno votato contro la Russia c’erano importanti “stati amici” come Serbia e Ungheria. Centoquaranta stati hanno votato con gli Stati Uniti; quattro stati, compresi i regimi paria in Venezuela e Corea del Nord, si sono uniti alla Russia votando “nyet” e trentacinque stati si sono astenuti.

Gli Stati Uniti hanno strombazzato questa vittoria all’ONU sui russi dispettosi e che infrangono le regole. Anche il capo della diplomazia dell’UE Borrell ha gongolato, anche se ha espresso rammarico per il fatto che il 20% degli Stati membri non avesse votato a favore della risoluzione.

I russi, dal canto loro, insistono sul fatto che questo voto è stato una farsa, viste le carote e i bastoni che i diplomatici americani ed europei hanno usato per ottenere i risultati sperati. Sono stati applicati ricatti di ogni tipo, dicono i russi. Inoltre, il numero di Stati in ogni conteggio racconta solo una parte della storia: tra i 35 paesi astenuti c’erano India e Cina, che da sole rappresentano il 35% dell’umanità.

Intanto, oltre in Europa, il giorno successivo l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa riunita a Strasburgo ha adottato una risoluzione che condanna la Russia per la sua presunta aggressione contro l’Ucraina con un atto particolare lungo diverse pagine e comprendente un appello ai 46 Stati membri a dichiarare la Russia uno “stato terrorista” come aveva chiesto loro Zelensky. Il voto pubblicato sarebbe stato 99 per la risoluzione, 1 contrario. Nell’annuncio dei risultati delle votazioni non è stato fatto menzione del fatto che il numero effettivo di deputati in PACE è 306. Il punto non è sfuggito alla giuria di Solovyov, che anche qui ha gridato “fallo”.

Mettendo da parte questi due voti che hanno raccolto così tanta attenzione nei media propagandistici occidentali, ci sono stati altri sviluppi internazionali relativi alla posizione relativa della Russia nella comunità globale che i media occidentali hanno scelto di ignorare, ma i media russi hanno avuto un posto di rilievo.

Penso in particolare ai tre giorni di vertice ad Astana, capitale del Kazakistan. Il primo di questi incontri ha riunito 27 capi di stato provenienti da tutta l’Asia, che vanno da Israele e Palestina, Qatar ed Emirati a ovest fino alla Corea a est. Ricordiamoci che un buon numero di partecipanti proveniva da paesi che hanno votato contro la Russia all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La loro presenza ad Astana ha smentito l’idea che stessero espellendo la Russia dalla società educata.

La personalità chiave dell’incontro del 27 è stato chiaramente Vladimir Putin. I filmati della televisione russa lo hanno mostrato in una conversazione animata con questi leader in formati di gruppo e bilaterali. Di questi il ​​più significativo è stato probabilmente il faccia a faccia con il presidente turco Erdogan, durante il quale i due hanno discusso i passi immediati per attuare la proposta russa di aggiungere un nuovo gasdotto al Turk Stream in modo da aumentare notevolmente le possibilità di consegna del gas all’Europa da questa rotta meridionale attraverso i Balcani. In questo concetto, la Turchia diventerà un importante hub del gas, che rappresenta la realizzazione di un sogno di lunga data dal leader turco.

Nella sua qualità di hub, la Turchia sarebbe in grado di mescolare il gas russo con i flussi dall’Azerbaigian e forse successivamente dal Turkmenistan, in modo che il prodotto venduto come esportazione turca sarebbe a prova di proiettile contro le sanzioni americane o europee. La linea aggiuntiva potrebbe essere posata probabilmente entro un anno, vale a dire più rapidamente rispetto alle problematiche riparazioni dei gasdotti Nord Stream 1 danneggiati.

Il giorno successivo ad Astana si è tenuto un altro vertice tra i leader della Comunità degli Stati Indipendenti. Questa ristretta cerchia di membri è stata anche di grande importanza nella misura in cui conferma la posizione della Russia come facilitatore di soluzioni diplomatiche tra gli Stati membri in conflitto armato tra loro, con gli azeri e gli armeni in prima linea. E il vertice finale, tra i leader delle repubbliche dell’Asia centrale con la Russia aveva ancora un altro importante programma: concordare misure di sicurezza per difendersi dalle ricadute nella loro regione della guerra civile in via di sviluppo in Afghanistan, dove gli Stati Uniti e la Gran Bretagna stanno aiutando i gruppi estremisti che cercano di rovesciare governo talebano. Dal linguaggio del corpo dei leader, sembrerebbe che l’orecchio di Putin fosse molto richiesto.

Nel considerare il senso di questi raduni, mi pare che un’osservazione fatta qualche giorno fa su un altro spettacolo di Solovyov e sulla decisione dei sauditi e degli Stati del Golfo di snobbare le insistenti richieste di Biden di aumentare la produzione di petrolio: la decisione di la causa comune con la Russia non è nata per pietà per i deboli ma per realismo, vale a dire la valutazione che la Russia vincerà la gara militare con NATO/Ucraina. Questi governanti dell’Opec, come i governanti che sono venuti ad Astana la scorsa settimana, tornano vincitori e non potenziali perdenti.

Se posso trarre conclusioni positive dall’analisi altrimenti deprimente di cui sopra, sono che la Russia sta resistendo con successo alle massicce pressioni degli Stati Uniti e dell’UE e che il mondo si sta riallineando davanti ai nostri occhi in una direzione più multipolare e democratica. Eppure, i timori di errori di calcolo da una parte o dall’altra in questa gara tesa e senza precedenti significano che l’Armageddon minaccia costantemente in background.

©Gilbert Doctorow, 2022

https://gilbertdoctorow.com/2022/10/15/time-to-start-worrying-again/

OLTRE IL GIARDINO, di Andrea Zhok

Ieri il responsabile della politica estera dell’Unione Europea Joesp Borrell ha spiegato in un’intervista come in Europa vi sia “la migliore combinazione di libertà politica, prosperità economica e coesione sociale che l’umanità è stata in grado di costruire: tutte e tre le cose insieme”, e prosegue paragonando l’Europa a “un giardino” e il resto del mondo ad una “giungla che potrebbe invadere il giardino”. È per questa ragione che gli europei devono “andare nella giungla”, devono “essere molto più coinvolti nel resto del mondo. Altrimenti, il resto del mondo ci invaderà”.
Questo discorso nella sua schiettezza ideologica rivela molte più cose delle circostanze in cui ci troviamo di qualunque sottile analisi geopolitica. Certo, vi saranno strateghi che operano dietro le quinte ed esaminano la realtà con freddo realismo in termini di mero potere, economico e militare, ma ogni epoca, ogni civiltà poggia sempre su una qualche visione fondamentale, cui aderiscono i più, che operano al di fuori della “stanza dei bottoni”. Le parole di Borrell ci rammentano gli estremi di questa visione portante, che sta al fondo dell’attuale conflitto mondiale ibrido (noi siamo già nella Terza Guerra Mondiale, ma in una forma per ora ibrida, in cui le componenti economica e di manipolazione cognitiva sono almeno altrettanto importanti di quella militare).
Borrell ci ricorda, involontariamente, come l’Occidente abbia costruito la propria autocoscienza negli ultimi due secoli in una forma “progressista” (condivisa, beninteso, anche da quelli che si dicono “conservatori” in politica), una forma in cui il mondo “va avanti”, e individui e popoli si distinguono in “avanzati” e “arretrati”.
Noi occidentali, in quanto avanzati e progrediti, possiamo legittimare ai nostri occhi fondamentalmente ogni abuso ed ogni prevaricazione nei confronti degli arretrati, giacché il progresso funziona come un dispositivo di giustificazione morale. Il progressismo occidentale è in effetti una forma di razzismo culturale, straordinariamente arrogante ed aggressivo, che riveste la primitiva “legge del più forte” con decorazioni ideologiche di altissima parvenza morale (i diritti umani, i diritti civili, ecc.).
L’intero apparato intellettuale e propagandistico organico a questa visione produce a getto continuo giustificazioni ad hoc per qualunque violenza e abuso, adottando con sistematicità doppiopesismi mirabolanti e sofismi iperbolici (dal Congo belga a Wounded Knee, dalla Shoah a Hiroshima, dal Vietnam all’Iraq, ecc. è un libro degli orrori punteggiato di appelli al progresso). Al fondo di tutto ciò c’è un assunto roccioso, l’unica cosa davvero stabile e inconcussa: il senso della nostra superiorità. Ciascuna delle infinite prove del carattere aggressivo, predatorio, disumanizzante della civiltà occidentale contemporanea vengono automaticamente lette dall’apparato come errori di percorso, incidenti inessenziali, danni collaterali nel processo verso l’avanti, il di più, il meglio, il progresso.
Noi, gli Eloi, viviamo nel giardino, gli altri, i Morlock, nella giungla.
È interessante ricordare come l’intera fondazione storica di questo senso di superiorità è esclusivamente fondata sulla superiorità tecnologica, militare e poi industriale, maturata compiutamente negli ultimi due secoli. È con la rivoluzione industriale e la capacità di produrre in serie grandi quantità di armi micidiali che il senso di superiorità e avanzamento diviene pienamente convincente.
Non è certo sul piano spirituale, né su quello dell’armonia delle forme di vita, né su quello della felicità, né su quello della raffinatezza artistica, né su nient’altro che l’Occidente ha maturato la propria autocoscienza di superiorità, nient’altro salvo la forza tecnologicamente supportata. Per dire, non abbiamo elaborato niente di comparabile alle tecniche del corpo e della mente che possiamo trovare nella cultura indiana, cinese, giapponese, ecc. ma noi avevamo le mitragliatrici, loro no.
In effetti l’unica cosa che nutre e permette di definire uno standard di “progresso” è l’accumulo di potenza tecnologica. Se sia migliore, “più progredita” la poesia giapponese o quella tedesca è questione che nessuna persona sana di mente si metterebbe seriamente a discutere, ma che la tecnologia tedesca fosse superiore a fine ‘800 era dimostrabile sul campo, e ciò, ad esempio, spinse il Giappone (nonostante grandi resistenze) ad adeguarsi agli standard europei.
L’Occidente è dunque la forza storica che ha spinto il mondo nella direzione di una competizione infinita, illimitata, giacché ha creato un campo di gioco dove non c’era pietà per chi restava “indietro”. L’Occidente ha indotto il pianeta ad una sistematica “corsa agli armamenti”, in senso bellico o economico, sulla scorta della propria visione progressista di un avanzamento assoggettante.
Al contempo, sin dall’inizio e con sempre maggiore intensità, l’Occidente (che non coincide con la cultura, o meglio le culture, europee) ha dato mostra di entrare in ricorrenti crisi di autofagia, di destabilizzazione ed autodistruzione. Gli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale sono anni culturalmente affascinanti per lo studioso perché sono una straordinaria, insistente elaborazione sul tema della disperazione, della decadenza e del nichilismo (esattamente in parallelo con il simultaneo levarsi delle lodi positivistiche al progresso, all’illuminazione elettrica, ai nuovi “comfort”). Le due guerre mondiali – gli eventi ad oggi più distruttivi che la storia dell’umanità registri – hanno semplicemente portato le lancette dell’orologio della storia di nuovo indietro di mezzo quadrante: e dagli anni ’80 del XX secolo le stesse dinamiche di un secolo prima iniziano a profilarsi.
Oggi e da tempo nel “giardino” occidentale la percezione di precarietà e di mancanza di futuro è generalizzata; siamo alla seconda generazione che nasce e cresce in una condizione di perenne crisi, di totale disorientamento, di sradicamento, di liquefazione dei rapporti, degli affetti, delle identità, di incapacità di identificarsi con un qualunque processo sovraindividuale, che sia storico o trascendente.
Questa condizione di degrado sociale e antropologico viene camuffato ideologicamente facendo di ogni ferita un vanto, di ogni cicatrice una decorazione: l’instabilità è “dinamicità”, la sradicatezza è “libertà”, lo sfaldamento identitario è gioiosa “fluidità”, ecc. Il male di vivere nelle generazioni più giovani, quelle tradizionalmente più disposte alla contestazione e alla protesta, è tenuto sotto controllo con la disponibilità di un sempre crescente mercato di intrattenimento standardizzato, funzionale a distogliere la mente da qualunque durevole forma di autocoscienza o generale consapevolezza. Quello che un tempo era il gin delle distillerie clandestine per l’operaio della rivoluzione industriale è ora fornito in forma di intrattenimento a domicilio da variegati schermi. Anche questo è progresso: in questo modo la forza lavoro dura di più.
Collocandoci in una posizione superiore e avanzata, questa visione consente di delegittimare in partenza ogni lamento, giacché per definizione, quand’anche noi in prima classe avessimo problemi, figuratevi tutti gli altri miserabili, in altri luoghi o tempi. Dunque smettete di lamentarvi e tornate al lavoro.
Questa concezione onnicomprensiva, in cui siamo immersi ad una profondità quasi insondabile, rappresenta una bolla al di là della quale non siamo in grado di immaginare che possa esistere alcun mondo degno di essere abitato (c’è solo l’oscurità della “giungla”). È per questo motivo che nel momento in cui, per la prima volta da due secoli, compare all’orizzonte l’ombra di competitori non facilmente assoggettabili, la sfida, per chi è imbevuto di questa visione, diventa qualcosa di assoluto, di esistenziale. Non si può cedere perché cedere significherebbe aprire la strada ad una relativizzazione del nostro sguardo, e questo solo fatto aprirebbe le cateratte dello scontento represso, del disagio covante sotto le ceneri, della disperazione dietro a mille insegne luminose.
È per questo che si tratta di un momento di particolare pericolosità: l’Occidente, traendo tutta la propria resistenza psicologica residua dalla propria immagine di superiorità non è nelle condizioni culturali di immaginare per sé una forma di vita differente. Perciò le oligarchie, che della forma di vita occidentale percepiscono solo i benefici, sono disposte a sacrificare fino all’ultimo plebeo pur di non cedere terreno, pur di non lasciar crescere alcuna vegetazione spontanea dentro il “giardino”.

da https://www.facebook.com/andrea.zhok.5

Fermare la guerra! A quali condizioni?_di Giuseppe Germinario

Siamo al nono mese di guerra in Ucraina. Al progressivo e sempre più evidente coinvolgimento degli Stati Uniti e al trascinamento dei paesi della Alleanza Atlantica in Europa, corrisponde un affievolimento dell’entusiasmo, che in Italia per la verità non ha raggiunto mai vette eccelse, nel sostegno al regime ucraino. Non è ancora una opposizione aperta, anche perché in Italia manca totalmente una leadership politica in grado di alimentarla, sostenerla e dirigerla con discernimento. Il senso di inquietudine e di malessere, però, è palpabile e crescente.

Sarà il rischio sempre più evidente di uno scontro militare aperto che vedrebbe per la terza volta l’Europa come il campo di battaglia di un confronto che vede questa volta, a differenza delle altre due, negli Stati Uniti, un paese separato da un oceano e nella Russia, un paese immerso in due continenti con un piede ben saldo nel 40% del territorio europeo; sarà per le drammatiche conseguenze delle sanzioni, nominalmente volte a punire la Russia, di fatto a stroncare l’Europa, in primis Germania, Francia e Italia. Persino il nostro ceto politico, così entusiasticamente ed acriticamente schierato nel sostenere l’avventurismo statunitense, comincia a intravedere l’arrivo di fosche nubi all’orizzonte e a percepire la difficoltà nel dover gestire una situazione potenzialmente esplosiva.

Flebili voci iniziano ad alzarsi per “fermare la guerra” e “raggiungere la pace”. Un coro al quale partecipano anche i partigiani più oltranzisti nel sostegno al regime ucraino, alimentando con questo la confusione e gli equivoci nei quali rischierà di affogare ogni iniziativa seria e realistica. Una situazione non nuova nel panorama politico italiano così magmatico e paludoso.

Su questo tocca dare ragione a Calenda e alla sua chiarezza inequivocabile di schieramento. Ci è toccato vedere addirittura il PD manifestare per la pace di fronte alla ambasciata russa, dimenticandosi degli altri attori geopolitici coinvolti a pieno titolo. L’unico segno di cautela, dubito di ritegno, la fine di ogni velleità di assunzione di un ruolo di mediatore, resa provocatoria dall’atteggiamento del Governo Draghi.

Ogni presa di posizione credibile ed ogni iniziativa realistica non può prescindere dalle risposte da dare a tutta una serie di interrogativi rimossi dai facitori di opinione pubblica e dai costruttori di consenso:

  • Come mai gli Stati Uniti non hanno sottoscritto gli accordi di Minsk?

  • Come mai gli Stati Uniti hanno pesantemente armato, organizzato ed integrato, nella fase di latenza degli accordi, l’esercito ucraino con caratteristiche sempre più offensive e si sono spinti sino a sottoscrivere con il regime ucraino, nell’ottobre 2021, un accordo di mutuo soccorso che prevedeva addirittura l’insediamento di un consolato in Crimea?

  • Con quali finalità gli Stati Uniti hanno finanziato ed insediato, con la partecipazione del Pentagono e dei Servizi, decine di laboratori bio-chimici a ridosso dei confini con la Russia?

  • Come mai Francia e Germania hanno dimenticato di esercitare il proprio ruolo di garanti, previsto dagli accordi di Minsk?

  • Quale il motivo della rimozione riguardo alla natura del regime ucraino, nato dal peccato originale di un colpo di stato nel 2014, mosso da una strage ad opera di provocatori ormai in gran parte noti a piazza Maidan, proseguita con altre stragi ed esecuzioni ad Odessa, Melitopol e in tutta l’area russofona e russofila del paese, andata avanti con la progressiva messa al bando di partiti dell’opposizione, siano essi russofili, neutralisti o solo critici del crescente interventismo del regime ucraino?

  • Quale il motivo del silenzio sulle aperte discriminazioni nei confronti della componente russa e russofona, pari a ben oltre il 40% della popolazione originaria dell’Ucraina al 2014, culminata col la legge di tutela delle sole minoranze prive di statualità o con statualità interne alla Unione Europea?

  • Perché il sistema mediatico e politico, nella quasi totalità, continua ad omettere la esistenza e la dimensione reale delle stragi di propri civili, perpetrate coscientemente dall’esercito ucraino a fronte della continua segnalazione di stragi da parte russa, per altro in gran parte smentite dalla documentazione disponibile?

Tutti interrogativi posti non solo in nome di una esigenza astratta di verità o nel caso peggiore da una inconscia e acritica partigianeria e tifoseria a favore di uno dei contendenti, quanto dalla risposta dalla quale dipende una corretta e realistica azione tesa ad una tregua e ad un accordo possibile tra le parti.

Una tregua e un accordo che dipendono sostanzialmente da una premessa e da quattro determinanti necessarie a definire l’ambiente ecologico del teatro ucraino.

La premessa è che nel diritto e nelle convenzioni internazionali viene riconosciuta la facoltà di intervento bellico preventivo in caso di minaccia diretta, così come argutamente stigmatizzato dal professor Sinagra. Una situazione che andrebbe quantomeno approfondita, ma che i politici e l’informazione occidentale si sono ben guardati dall’analizzare sul campo. A questa segue il fatto che il principio di integrità territoriale di uno stato è contemperato dal diritto di autodeterminazione dei popoli, meglio se regolato secondo dinamiche concordate e vigilate nella loro osservanza dagli organismi internazionali. Nel contesto post-sovietico vi è comunque una fase di transizione che dovrebbe essere regolata secondo accordi politici che considerino i contenziosi inevitabili e le implicazioni per le nuove minoranze venutesi a determinare. Quello della discriminazione delle minoranze russe nei paesi seceduti dalla Unione Sovietica, poi denominata CSI, in particolare. L’azione statunitense, della NATO e della Unione Europea ha alimentato queste contrapposizioni piuttosto che risolverle o contenerle in funzione delle sue politiche espansive e russofobiche.

Quanto alle determinanti da tenere conto quanto segue:

  • non si può prescindere dal carattere di guerra civile, col tempo sempre più virulento, assunto dal conflitto militare in Ucraina;

  • né si deve sottovalutare la capacità operativa e di supporto delle forze militari e del complesso militare-industriale russo; sopravvalutare, sino a ritenerlo illimitato, quelli degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica;

  • riuscire ad individuare i limiti e la soglia sulla quale è disposta a fermarsi la leadership statunitense. Limiti e soglia non predeterminati dalla amministrazione americana, ma dipendenti dall’andamento del feroce scontro politico in corso all’interno della stessa e tra questa e l’opposizione sempre più strutturata del movimento trumpiano;

  • dalla volontà di una qualche parte delle élites politiche europee di inserirsi in quello scontro per far uscire il continente o almeno parte di esso dalla morsa mortale e suicida in cui si è progressivamente cacciato in un contesto paradossale nel quale la Russia sembra subire i maggiori problemi nel proprio vicinato prossimo, ma, assieme a Cina e India, sembra acquisire crescenti consensi nel resto del mondo a discapito del mondo occidentale.

Tutti fattori che rendono improponibile un mero ritorno agli accordi di Minsk, ma la cui azione protratta nel tempo renderà sempre più costoso il prezzo da pagare in caso di cedimento e più rischiosa l’eventualità di un azzardo.

Una cornice realistica che potrebbe definire un “manifesto alla nazione”, una piattaforma in grado di fermare la corsa alla guerra e al disastro socioeconomico cui stiamo andando incontro e che superi le due tare che inibiscono lo sviluppo di un movimento politico maturo ed efficace: la partigianeria e la tifoseria che, ad armi impari, comunque pervade gli schieramenti in campo; il massimalismo di una opposizione strisciante ma irrilevante che, sull’onda di slogan facili quali l’uscita dalla NATO, senza comprendere le pesanti, probabilmente drammatiche, implicazioni nel tempo e nel merito che una tale decisione comporterebbe, è destinata a rinchiudersi nel ruolo di testimonianza, di contestazione di comodo o di azioni avventate; la strumentalizzazione a fini di gestione partitica interna di iniziative per altri versi significative.

La leadership turca, ungherese, probabilmente quella futura bulgara e moldava, il passato gaullista della Francia mostrano la possibilità di azione entro i comunque angusti spazi offerti dal sistema di Alleanza Atlantica: offrono spazi, per di più, anche a quei settori sempre più presenti, che pur intendendo rimanere fedeli all’alleanza, intendono garantire un ruolo più autonomo al proprio paese. E qualche pallidissima traccia di questo atteggiamento lo si può rilevare persino nei programmi elettorali di alcuni partiti, quali la Lega. Che poi nel tempo, questa sia una posizione realistica, sarà tutta da dimostrare.

L’importante è sapere che più va avanti il processo di integrazione della alleanza, più sarà difficile e doloroso districarsi dai suoi tentacoli; in tutti gli ambiti, non solo quello militare. Ne parleremo quando approfondiremo il contenuto del NSS, appena prodotto dalla amministrazione statunitense

La guerra in Ucraina è una strana nebbia: sappiamo tutto sui dettagli, niente sull’essenza_di Vincze Hajnalka

Il termine “nebbia di guerra” si riferisce originariamente alla difficoltà di un accurato allineamento nel fervore della battaglia, quando si può solo brancolare alla cieca nel mezzo dell’incertezza generale. A prima vista, ciò che sta accadendo in Ucraina è l’esatto opposto. Non solo gli operatori di telefoni cellulari e i blogger locali condividono ogni minimo dettaglio, ma anche alcune agenzie di intelligence occidentali stanno gentilmente rendendo pubbliche le loro ultime valutazioni. Tuttavia, l’oscurità non si è dissipata, ma solo trasferita dalle briciole di cronaca del presente alle forze trainanti del passato e agli scenari del futuro. Di certo non spontaneamente. L’occultamento del quadro analitico a fini politici, tuttavia, non è privo di pericoli. I decisori – ora anche in Occidente – possono essere sempre più prigionieri della nebbia che hanno creato loro stessi. Nel frattempo, la posta in gioco continua a salire.

Una delle novità della guerra in corso è che le agenzie di intelligence occidentali (soprattutto americane e britanniche) sono diventate attori attivi nella comunicazione strategica, con un’apertura e una regolarità mai viste prima. Il ministero della Difesa britannico condivide quotidianamente “rapporti aggiornati dell’intelligence militare” sull’Ucraina su Twitter, Facebook e LinkedIn. Con il suo logo imponente e tutti i segni esterni di professionalità, crea contemporaneamente l’illusione di un’informazione imparziale e di un’iniziazione ai segreti più intimi. Naturalmente, gli agenti dell’intelligence non sono diventati improvvisamente tali stronzi per pura gentilezza, svolgendo una sorta di compito di servizio pubblico globale. Anche se non assumiamo una disinformazione intenzionale, possiamo supporre che le loro informazioni siano pesantemente filtrate in base alle priorità del loro governo prima di essere condivise.

Mentre il linguaggio delle organizzazioni di intelligence occidentali si è notevolmente irrigidito, tra gli esperti è successo il contrario: o si allineano o sono stigmatizzati. Ci si sta pian piano abituando alle obbligatorie cautele che vanno aggiunte a dichiarazioni analitiche che vogliono essere un po’ più indipendenti: “La Russia è l’aggressore”, “nessuno ha provocato” l’attacco , “la responsabilità dell’intero corso della il conflitto è esclusivamente con Mosca”.. Mentre la prima affermazione è un’evidenza ovvia, le altre due sono affermazioni che – in circostanze normali – sarebbero oggetto di infiniti dibattiti tra esperti. Prima dello scoppio della guerra, un buon numero dei più famosi ricercatori americani e dell’Europa occidentale, ad esempio, ammetteva: dal crollo dell’Unione Sovietica, le politiche dell’Occidente – soprattutto, la deliberata mancata chiusura dell’espansione della NATO – ha fortemente contribuito a far arrabbiare Mosca.

Quanto all’andamento del conflitto: l’inizio dell’attacco armato è sfociato davvero in una nuova – drammatica – situazione. Tuttavia, in risposta a ciò, non c’era ovviamente un unico percorso, ma una moltitudine di opzioni. Come sempre, i decisori hanno scelto tra questi quello che consideravano il più adatto dal proprio punto di vista. E da allora è stato così ogni giorno. Tuttavia, anche la qualità e l’entità delle sanzioni, delle spedizioni di armi e del linguaggio utilizzato come reazione occidentale alle azioni della Russia hanno delle conseguenze. E proprio come può plasmare la dinamica della crisi nella direzione della risoluzione, può anche portare a un’escalation. Tuttavia, menzionare tutto questo è attualmente un grave peccato, adducendo la stessa mentalità di natura diversa degli ultimi due anni e mezzo: la negazione del dogma russo.Come se non fosse evidente che la sfumatura non è parzialità, la spiegazione non è addolcimento.

Da ciò, è chiaro che ci sono parecchi casi in cui lo scopo è distorcere deliberatamente i fatti: per quanto ne sappiamo, il regime di Putin non risparmia soldi ai politici e agli opinionisti occidentali per sostenerlo e fargli luce. D’altra parte, è un male in passato – e usando il noto colpo di scena: vincerebbe il nemico – se dovessimo usarlo come riferimento al principio del pluralismo di opinione, e il dibattito legittimo diventerebbe impossibile . La “cultura della cancellazione” può imperversare contro coloro che sono fuori dal mainstream, e può emergere il metodo utilizzato più di recente in caso di epidemia: screditare e mettere a tacere. Michele BrenneroProfessore, noto specialista in relazioni transatlantiche e politica estera americana, ha anche annunciato: non continuerà. Anche negli ambienti professionali, le sue posizioni pubblicate, tipicamente dubbiose, sulla guerra in Ucraina sono state accolte con un conformismo così intenso e unanime, e sono state accolte con un’accoglienza incline agli attacchi personali, in cui non c’era possibilità di una discussione significativa. Come ha detto: ci sono stati segni di “nichilismo intellettuale” negli ultimi tempi, ma durante la sua lunga carriera non ha vissuto niente del genere.

Il presidente Zelensky è arrivato al punto di pubblicare una lista nera di esperti e politici americani che non gli piacevano.E chi l’ha preso e perché? Il senatore Rand Paul, per esempio, perché, secondo lui, l’America ha provocato la Russia con l’espansione della NATO. Da allora, ha anche affermato: se i soldi dei contribuenti americani vengono spesi per sostenere l’Ucraina, allora dovrebbe almeno essere discusso quali siano esattamente gli interessi e gli obiettivi degli Stati Uniti nel conflitto. Edward Luttwak, un esperto militare, una volta disse che varrebbe la pena indire un referendum nelle repubbliche separatiste, e ha anche osato parlare dei rischi della guerra nucleare, diventando così anche un “propagandista russo”. E non importa che fin dal primo giorno sostenga personalmente e faccia pressioni per un aumento delle spedizioni di armi in Ucraina. John Mearsheimer, figura di spicco della scuola realista delle relazioni internazionali, è stato messo nella lista della vergogna per aver menzionato il senso di minaccia russo.

OBIETTIVI, RISCHI, QUADRO INTERPRETATIVO COMPLESSO? CI SONO MOLTE COSE CHE POSSONO ATTIRARE L’ETICHETTA DI “TRADITORE” O “MERCENARIO PUTIN” AL MOMENTO.

Scenari cattivi e peggiori
La contestualizzazione sarebbe essenziale per una valutazione fattuale delle varie opzioni. Conoscendo gli antecedenti e le forze trainanti, si può solo dire per chi e dove vengono tracciate le linee rosse veramente invalicabili, e quali concessioni possono essere ancora accettabili . Ciò è particolarmente importante in un momento in cui la guerra è chiaramente entrata in una nuova fase con il contrattacco ucraino, l’aumento del supporto militare occidentale, i “referendum” di adesione e la mobilitazione russa. Quella in cui Mosca dice sempre più apertamente: a quanto pare, non è contro Kiev, ma contro Washington (e dietro la Nato) in Ucraina. E dove i protagonisti non si sottraggono più alle offerte nucleari. E dove anche il presidente Putin – e l’Occidente – devono fare i conti con la politica interna russa improvvisamente esplosiva.

In questa situazione, la prima domanda logica è cos’altro ha Mosca in termini di capacità militari. Per quanto strano, nulla è certo: gli analisti militari – anche sulle colonne dell’eccellente rivista britannica Survival – ammettono di oscillare tra gli estremi della sopravvalutazione e della sottovalutazione. Ma supponiamo che dopo questa esibizione, il presidente Putin sorprenderà tutti. Tira fuori le armi iper-super mai menzionate, le schiera in modo massiccio ed efficiente e tutto questo con un esercito coeso ed entusiasta. La NATO/America potrebbe fare due cose al riguardo. O si fa avanti e aumenta la sua partecipazione ai combattimenti (ma l’Alleanza, che è stata tenuta insieme fino ad ora, probabilmente va in pezzi al solo pensiero, cioè un conflitto nucleare si concluderebbe tangibilmente per sua stessa decisione), oppure lasciare in pace i difensori della loro patria, finora “costa quel che costa, dura finché dura”. In fondo incoraggiava e appoggiava gli ucraini (questo, però, non richiederebbe solo una spiegazione imbarazzante davanti al proprio pubblico parere, ma l’avversario principale è la Cina.

Tuttavia, se il presidente Putin non può tirare fuori nulla dal cilindro che possa chiaramente ribaltare la situazione a suo favore militarmente, allora teoricamente ci si possono aspettare due sviluppi estremi.

Uno di questi è l’opzione nucleare, di cui si è molto parlato di recente. Le riflessioni su questo portano tutte allo stesso punto: la sua probabilità può essere solo indovinata, nessuno può vedere nella mente del presidente. Nel caso di una centrale nucleare, è in definitiva una questione soggettiva quando considera che il Paese è in pericolo terminale, e quando decide – contro quale obiettivo e in quale forma – che il vantaggio di ribaltare il tabù nucleare è superiore a quello rischi. L’altra possibilità che si presenta sempre più spesso è la caduta di Putin.Mentre molte persone in Occidente sperano nella salvezza da questo, i baltici, che conoscono più da vicino la situazione russa, si raffreddano. Il segretario di Stato del ministero della Difesa lettone ha recentemente avvertito i suoi visitatori americani che “il periodo post-Putin sarà anche peggiore di quello attuale”. Ha delineato tre possibilità: o una leadership ancora più “stalinista” di quella odierna arriverà a Mosca, o le lotte di potere interne si trascineranno, o una completa disintegrazione con piccoli signori della guerra e milizie qua e là. Né è una prospettiva molto rassicurante in un paese con quasi seimila testate nucleari.

La soluzione è la stessa dall’inizio
Alla luce di ciò, uno degli aspetti più sorprendenti del conflitto in Ucraina è particolarmente bizzarro: finora non c’è stata alcuna seria iniziativa esterna per avviare negoziati di pace. Il momento più vicino alle parti per raggiungere un accordo basato su concessioni reciproche è stato ai colloqui di cessate il fuoco a Istanbul alla fine di marzo: le potenze occidentali hanno agito dappertutto come attive contropressioni. Come allora, come da allora , e anche prima della guerra, si conoscevano le linee fondamentali di un accordo equilibrato e sostenibile a lungo termine.

TUTTAVIA, MAN MANO CHE IL CONFLITTO SI TRASCINA, QUESTO DIVENTA SEMPRE PIÙ DIFFICILE: AUMENTANO IL NUMERO DELLE RIMOSTRANZE E IL DESIDERIO DI VENDETTA DA PARTE UCRAINA, MENTRE LA PARTE RUSSA È SEMPRE PIÙ CHIUSA IN UNA SPIRALE DI VIOLENZA.

Mosca – in preda al panico palpabile – si mobilita, chiede un referendum sull’annessione dei territori e grida “non sto bluffando” dispiegando “tutti i mezzi a sua disposizione”. Nel frattempo, il presidente Zelensky rifiuta l’idea di qualsiasi tipo di negoziazione sulla Cnn, e ovunque, anche all’Onu, grida che la Russia sia “punita”. E Washington – senza la quale l’Ucraina non sarebbe in piedi economicamente e militarmente, nonostante tutta la sua perseveranza e coraggio – lascia le cose così. Non si ferma nemmeno quando il governo ucraino propone sulle colonne del quotidiano britannico Guardian un attacco nucleare preventivo contro Mosca. Il che, nella logica del dare e avere delle strategie nucleari, equivarrebbe al suicidio per gli Stati Uniti.

Non c’è da stupirsi che, di fronte al tono sempre più aspro e alle prospettive sempre più cupe, la politica estera francese, che con discrezione ed entusiasmo ha preso strade separate e ha mantenuto il dialogo con il presidente Putin, sia ora ripresa. All’inizio di settembre, alla conferenza annuale degli ambasciatori, Emmanuel Macron ha dichiarato:

“Diplomazia significa parlare con tutti, compresi quelli e soprattutto quelli con cui non siamo d’accordo. Non possiamo lasciarci impantanare dal falso moralismo”.

Come in risposta a ciò, l’ex primo ministro danese e segretario generale della NATO Rasmussen (che è stato definito dal defunto presidente francese Jacques Chirac solo come “l’uomo degli americani”) ha recentemente affermato: Il presidente Macron ha “danneggiato l’Ucraina, indebolito Kiev “durante la sua ricerca di una soluzione diplomatica. Al ritorno dall’annuale Assemblea generale dell’Onu, però, il presidente francese ha ripetuto ancora: “il conflitto non può che finire al tavolo delle trattative”. La domanda è quanto dovremmo sbrigarci.

https://www.portfolio.hu/global/20220929/az-ukran-haboru-furcsa-kode-a-reszletekrol-mindent-tudhatunk-a-lenyegrol-semmit-sem-569741

 

 

 

 

Stati Uniti! Fratelli coltelli_con Gianfranco Campa

Novanta minuti lunghi, ma ben spesi. Le due principali anime oltranziste che sorreggono la figura di un presidente traballante e vacuo, superata, almeno per ora, in qualche maniera e con parecchio affanno la sfida di Trump, per oltre un anno hanno trovato nel conflitto in Ucraina il punto di accordo sul quale procedere nel tentativo di eliminare uno dei fautori di un mondo multipolare e, particolare non secondario, avvolgere in catene sempre meno dorate gli alleati europei da spremere ormai senza tanti infingimenti. Stiamo conoscendo sempre più il lato oscuro del “american way of life” e l’aspetto costrittivo della gabbia atlantica. Al crescere della tensione in un conflitto da tempo coscientemente atteso e provocato, ne parliamo con cognizione di causa, si pone il problema di quale sia la soglia da non oltrepassare per evitare l’innesco di un conflitto aperto e totale dagli esiti disastrosi per tutti i contendenti. Su questo le due anime presenti nella amministrazione Biden hanno innescato uno scontro politico sempre più difficile da mimetizzare. Un conflitto all’interno del quale non esiste una accettazione e un riconoscimento a condurre il gioco alla componente al momento prevalente. Piuttosto, l’utilizzo delle leve disponibili di ogni fazione per forzare il corso degli eventi. Leve che, purtroppo, si estendono e ramificano, soprattutto in Europa, anche in gruppi e centri decisori esterni al paese. In primo luogo tra i comandi della NATO, nei centri più ottusamente nazionalisti dei paesi dell’Europa Orientale in maniera esplicita e in maniera più silente nei centri decisori, si fa per dire, dei paesi chiave, almeno una volta, della Unione Europea.

ancore parigine di democratici statunitensi

Una dinamica che finisce per ridurre, tranne rare eccezioni, i centri europei a veicolo e strumenti di provocazione e forzature delle provocazioni della componente più avventurista dell’amministrazione statunitense. I nomi, i portatori espliciti, di tale condotta li abbiamo conosciuti nel corso di questi anni. Altri emergeranno con l’intensificarsi della crisi e con la resa dei conti ad essa connessa. Sino a quando in Europa non si farà, almeno in qualche misura, pulizia negli apparati, non sarà possibile un mutamento di linea e l’assunzione di un ruolo quantomeno moderatore nella vicenda di casa nostra. Paradossalmente, proprio negli Stati Uniti si annunciano crescenti scricchiolii; da lì potrebbe pervenire finalmente un rivolgimento che investirà direttamente anche l’Europa, senza che le nostre classi dirigenti desiderino e abbiano le capacità di affrontarlo adeguatamente. Comunque si risolverà la crisi Ucraina, peggio nel caso di successo dell’amministrazione Biden, per l’Europa si annuncia un declivio sempre più ripido e caotico. Negli Stati Uniti, quantomeno, i termini del conflitto sono sempre più trasparenti e definiti. Mala tempora currunt. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

 Ocasio Cortez

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Kharkov e la mobilitazione, di Jacques Baud

Kharkov e la mobilitazione

La riconquista della regione di Kharkov all’inizio di settembre sembra essere un successo per le forze ucraine. I nostri media hanno esultato e trasmesso la propaganda ucraina per darci un’immagine che non è del tutto accurata. Uno sguardo più da vicino alle operazioni avrebbe potuto indurre l’Ucraina a essere più cauta.

Da un punto di vista militare, questa operazione è una vittoria tattica per gli ucraini e una vittoria operativa/strategica per la coalizione russa.

Da parte ucraina, Kiev era sotto pressione per ottenere un certo successo sul campo di battaglia. Volodymyr Zelensky temeva una stanchezza dall’Occidente e che il suo sostegno si interrompesse. Per questo gli americani e gli inglesi lo spinsero a compiere offensive nel settore di Kherson. Queste offensive, intraprese in modo disorganizzato, con perdite sproporzionate e senza successo, crearono tensioni tra Zelensky e il suo staff militare.

Da diverse settimane, ormai, gli esperti occidentali mettono in dubbio la presenza dei russi nell’area di Kharkov, poiché chiaramente non avevano intenzione di combattere in città. In realtà la loro presenza in quest’area era solo finalizzata ad apporre le truppe ucraine in modo che non andassero nel Donbass, che è il vero obiettivo operativo dei russi.

Ad agosto, le indicazioni suggerivano che i russi avessero pianificato di lasciare l’area ben prima dell’inizio dell’offensiva ucraina. Si sono quindi ritirati in buon ordine, insieme ad alcuni civili che avrebbero potuto essere oggetto di ritorsioni. A riprova di ciò, l’enorme deposito di munizioni di Balaklaya era vuoto quando gli ucraini lo trovarono, a dimostrazione del fatto che i russi avevano evacuato tutto il personale e le attrezzature sensibili in buon ordine diversi giorni prima. I russi avevano persino lasciato aree che l’Ucraina non aveva attaccato. Solo poche truppe della Guardia nazionale russa e della milizia del Donbass sono rimaste quando gli ucraini sono entrati nell’area.

A questo punto, gli ucraini erano impegnati a lanciare molteplici attacchi nella regione di Kherson, che da agosto avevano provocato ripetute battute d’arresto e enormi perdite per il loro esercito. Quando i servizi segreti statunitensi hanno rilevato la partenza dei russi dalla regione di Kharkov, hanno visto un’opportunità per gli ucraini di ottenere un successo operativo e hanno trasmesso le informazioni. L’Ucraina decise così bruscamente di attaccare l’area di Kharkov che era già praticamente vuota di truppe russe.

A quanto pare, i russi hanno anticipato l’organizzazione di referendum negli oblast di Lugansk, Donetsk, Zaporozhe e Kherson. Si resero conto che il territorio di Kharkov non era direttamente rilevante per i loro obiettivi e che si trovavano nella stessa situazione di Snake Island a giugno: l’energia per difendere questo territorio era maggiore della sua importanza strategica.

Ritirandosi da Kharkov, la coalizione russa riuscì a consolidare la sua linea di difesa dietro il fiume Oskoll e rafforzare la sua presenza nel nord del Donbass. Ha così potuto compiere un importante passo avanti nell’area di Bakhmut, punto chiave del settore Slavyansk-Kramatorsk, vero obiettivo operativo della coalizione russa.

Poiché non c’erano più truppe a Kharkov per “bloccare” l’esercito ucraino, i russi hanno dovuto attaccare l’infrastruttura elettrica per impedire i rinforzi ucraini in treno verso il Donbass.

Di conseguenza, oggi, tutte le forze della coalizione russa si trovano all’interno di quelli che potrebbero diventare i nuovi confini della Russia dopo i referendum nelle quattro oblast ucraine meridionali.

Per gli ucraini è una vittoria di Pirro. Avanzarono a Kharkov senza incontrare alcuna resistenza e non ci furono quasi combattimenti. Invece, l’area divenne un’enorme “zona di sterminio” (“зона поражения”), dove l’artiglieria russa avrebbe distrutto un numero stimato di 4.000-5.000 ucraini (circa 2 brigate), mentre la coalizione russa ha subito solo perdite marginali poiché non c’erano combattimenti .
Queste perdite si aggiungono a quelle delle offensive di Kherson. Secondo Sergei Shoigu, ministro della Difesa russo, gli ucraini hanno perso circa 7.000 uomini nelle prime tre settimane di settembre. Sebbene queste cifre non possano essere verificate, il loro ordine di grandezza corrisponde alle stime di alcuni esperti occidentali. In altre parole, sembra che gli ucraini abbiano perso circa il 25% delle 10 brigate che sono state create e attrezzate in questi mesi con l’aiuto occidentale. Questo è ben lontano dall’esercito di milioni di uomini menzionato dai leader ucraini.

Dal punto di vista politico è una vittoria strategica per gli ucraini e una sconfitta tattica per i russi. È la prima volta che gli ucraini si riprendono così tanto territorio dal 2014 e i russi sembrano perdere. Gli ucraini hanno saputo sfruttare questa occasione per comunicare la loro vittoria finale, innescando senza dubbio speranze esagerate e rendendoli ancora meno disposti a impegnarsi nella trattativa.

Per questo Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, ha dichiarato che il momento “ non è di pacificazione ”. Questa vittoria di Pirro è quindi un dono avvelenato per l’Ucraina. Ha portato l’Occidente a sopravvalutare le capacità delle forze ucraine ea spingerle a impegnarsi in ulteriori offensive, invece di negoziare.

Le parole “vittoria” e “sconfitta” devono essere usate con attenzione. Gli obiettivi dichiarati da Vladimir Putin di “smilitarizzazione” e “denazificazione” non riguardano la conquista del territorio, ma la distruzione della minaccia al Donbass. In altre parole, gli ucraini stanno combattendo per il territorio, mentre i russi cercano di distruggere le capacità. In un certo senso, mantenendo il territorio, gli ucraini stanno facilitando il lavoro dei russi. Puoi sempre riconquistare il territorio, non puoi riconquistare vite umane.

Nella convinzione di indebolire la Russia, i nostri media promuovono la graduale scomparsa della società ucraina. Sembra un paradosso, ma è coerente con il modo in cui i nostri leader vedono l’Ucraina. Non hanno reagito ai massacri di civili ucraini di lingua russa nel Donbass tra il 2014 e il 2022, né menzionano le perdite dell’Ucraina oggi. In effetti, per i nostri media e le autorità, gli ucraini sono una specie di “Untermenschen” la cui vita è destinata solo a soddisfare gli obiettivi dei nostri politici.

Tra il 23 e il 27 settembre sono in corso quattro referendum e le popolazioni locali devono rispondere a domande diverse a seconda della regione. Nelle sedicenti repubbliche di Donetsk e Lugansk, ufficialmente indipendenti, la domanda è se la popolazione voglia unirsi alla Russia. Nelle oblast di Kherson e Zaporozhe, che fanno ancora ufficialmente parte dell’Ucraina, la domanda è se la popolazione vuole rimanere in Ucraina, se vuole essere indipendente o se vuole far parte della Russia.

Tuttavia, ci sono ancora alcune incognite in questa fase, come quali saranno i confini delle entità che saranno attaccate alla Russia. Saranno i confini delle aree occupate oggi dalla coalizione russa oi confini delle regioni ucraine? Se è la seconda soluzione, allora potremmo ancora avere offensive russe per impadronirsi del resto delle regioni (oblast).

È difficile stimare l’esito di questi referendum, anche se si può presumere che gli ucraini di lingua russa molto probabilmente vorranno lasciare l’Ucraina. I sondaggi, la cui affidabilità non può essere valutata, suggeriscono che l’80-90% è favorevole all’adesione alla Russia. Questo sembra realistico a causa di diversi fattori.

In primo luogo, dal 2014, le minoranze linguistiche in Ucraina sono soggette a restrizioni che le hanno rese cittadini di 2a classe. Di conseguenza, la politica ucraina ha fatto sì che i cittadini di lingua russa non si sentissero più ucraini. Ciò è stato sottolineato anche dalla legge sui diritti dei popoli indigeni del luglio 2021, che è in qualche modo equivalente alle leggi di Norimberga del 1935, che conferiscono diritti diversi ai cittadini a seconda della loro origine etnica. Questo è il motivo per cui Vladimir Putin ha scritto un articolo il 12 luglio 2021 chiedendo all’Ucraina di considerare i russofoni come parte della nazione ucraina e di non discriminarli come proposto dalla nuova legge.

Naturalmente, nessun paese occidentale ha protestato contro questa legge, che è una continuazione dell’abolizione della legge sulle lingue ufficiali nel febbraio 2014, che è stata la ragione della secessione della Crimea e del Donbass.

In secondo luogo, nella loro lotta contro la secessione del Donbass, gli ucraini non hanno mai cercato di conquistare “il cuore e la mente” degli insorti. Al contrario, hanno fatto di tutto per allontanarli bombardandoli, minando le loro strade, tagliando l’acqua potabile, bloccando il pagamento di pensioni e stipendi, o bloccando tutti i servizi bancari. Questo è l’esatto opposto di un’efficace strategia di contro-insurrezione.

Infine, gli attacchi di artiglieria e missili contro la popolazione di Donetsk e di altre città della regione di Zaporozhe e Kherson per intimidire la popolazione e impedire loro di recarsi alle urne stanno allontanando ulteriormente la popolazione locale da Kiev. Oggi la popolazione di lingua russa teme rappresaglie ucraine se i referendum non vengono accettati.

Quindi, abbiamo una situazione in cui i paesi occidentali annunciano che non riconosceranno questi referendum, ma d’altra parte non hanno fatto assolutamente nulla per incoraggiare l’Ucraina ad avere una politica più inclusiva con le loro minoranze. In definitiva, ciò che questi referendum potrebbero rivelare è che non c’è mai stata una nazione ucraina inclusiva.

Inoltre, questi referendum congeleranno la situazione e renderanno irreversibili le conquiste della Russia. È interessante notare che se l’Occidente avesse lasciato che Zelensky continuasse con la proposta che ha fatto alla Russia alla fine di marzo 2022, l’Ucraina manterrebbe più o meno la sua configurazione precedente a febbraio 2022. Ricordiamo che Zelensky aveva avanzato il 25 febbraio una prima richiesta di trattativa, che i russi avevano accolto, ma che l’Unione Europea ha rifiutato fornendo un primo pacchetto di 450 milioni di euro in armi. A marzo, Zelensky ha fatto un’altra offerta che la Russia ha accolto favorevolmente ed era pronta a discutere, ma l’Unione europea è arrivata ancora una volta a impedirlo con un secondo pacchetto di 500 milioni di euro per le armi.

Come spiegato da Ukraïnskaya Pravda , Boris Johnson ha chiamato Zelensky il 2 aprile e gli ha chiesto di ritirare la sua proposta, altrimenti l’Occidente avrebbe interrotto il suo sostegno. Poi, il 9 aprile, durante la sua visita a Kiev, “BoJo” ha ripetuto la stessa cosa al presidente ucraino . L’Ucraina era quindi pronta a negoziare con la Russia, ma l’Occidente non vuole negoziati, come ha chiarito ancora una volta “BoJo” nella sua ultima visita in Ucraina ad agosto .

È certamente la prospettiva che non ci saranno negoziati che hanno spinto la Russia a impegnarsi in referendum. Va ricordato che fino ad ora Vladimir Putin aveva sempre rifiutato l’idea di integrare i territori dell’Ucraina meridionale nella Russia.

Va inoltre ricordato che se l’Occidente fosse stato così impegnato nei confronti dell’Ucraina e della sua integrità territoriale, Francia e Germania avrebbero sicuramente adempiuto ai propri obblighi ai sensi degli accordi di Minsk prima del febbraio 2022. Inoltre, avrebbero lasciato che Zelensky procedesse con la sua proposta di accordo con la Russia nel marzo 2022. Il problema è che l’Occidente non cerca l’interesse dell’Ucraina, ma l’indebolimento della Russia.

Mobilitazione parziale

In merito all’annuncio di una mobilitazione parziale da parte di Vladimir Putin, va ricordato che la Russia è intervenuta in Ucraina con un numero di truppe considerevolmente inferiore a quello che l’Occidente ritiene necessario per condurre una campagna offensiva. Ci sono due ragioni per questo. In primo luogo, i russi fanno affidamento sulla loro padronanza dell'”arte operativa” e giocano con i loro moduli operativi sul teatro delle operazioni come un giocatore di scacchi. Questo è ciò che consente loro di essere efficaci con una manodopera ridotta. In altre parole, sanno come condurre le operazioni in modo efficiente.

La seconda ragione che i nostri media ignorano deliberatamente è che la stragrande maggioranza delle azioni di combattimento in Ucraina è condotta dalle milizie del Donbass. Invece di dire “i russi”, dovrebbero (se fossero onesti) dire “la coalizione russa” o “la coalizione di lingua russa”. In altre parole, il numero delle truppe russe in Ucraina è relativamente piccolo. Inoltre, la pratica russa è di mantenere le truppe solo per un periodo limitato nell’area delle operazioni. Ciò significa che tendono a ruotare le truppe più frequentemente rispetto all’Occidente.

Oltre a queste considerazioni generali, ci sono le possibili conseguenze dei referendum nel sud dell’Ucraina, che probabilmente estenderanno il confine russo di quasi 1000 chilometri. Ciò richiederà capacità aggiuntive per costruire un sistema di difesa più robusto, per costruire strutture per le truppe, ecc. In questo senso, questa mobilitazione parziale è una buona idea. In questo senso, questa mobilitazione parziale è una logica conseguenza di quanto visto sopra.

Molto è stato fatto in Occidente su coloro che hanno cercato di lasciare la Russia per evitare la mobilitazione. Certamente esistono, come le migliaia di ucraini che hanno cercato di sfuggire alla leva e possono essere visti per le strade di Bruxelles alla guida di potenti e costose auto sportive tedesche! Molta meno pubblicità è stata data alle lunghe file di giovani davanti agli uffici di reclutamento militare e alle manifestazioni popolari a favore della decisione di mobilitarsi!

Minacce nucleari

Quanto alle minacce nucleari, nel suo discorso del 21 settembre Vladimir Putin ha menzionato il rischio di un’escalation nucleare. Naturalmente, i media cospirativi (cioè quelli che costruiscono narrazioni da informazioni non correlate) hanno immediatamente parlato di ” minacce nucleari “.

In realtà, questo non è vero. Se leggiamo la formulazione del discorso di Putin, possiamo vedere che non ha minacciato di usare armi nucleari. In realtà, non lo ha mai fatto dall’inizio di questo conflitto nel 2014. Tuttavia, ha messo in guardia l’Occidente dall’uso di tali armi. Vi ricordo che il 24 agosto Liz Truss ha dichiarato che era accettabile colpire la Russia con armi nucleari, e che era pronta a farlo, anche se ciò avrebbe portato a un ” annientamento globale !” Non è la prima volta che l’attuale primo ministro britannico fa una dichiarazione del genere, che aveva già suscitato avvertimenti dal Cremlino a febbraio. Inoltre, vorrei ricordarvi che nell’aprile di quest’anno Joe Biden ha deciso di discostarsi dalla politica statunitense del “non primo utilizzo” e quindi si riserva il diritto di utilizzare prima le armi nucleari.

Quindi, chiaramente, Vladimir Putin non si fida del comportamento occidentale che è totalmente irrazionale e irresponsabile, e che è pronto a sacrificare i propri cittadini per raggiungere obiettivi guidati dal dogmatismo e dall’ideologia. Questo è ciò che sta accadendo in questo momento nel campo dell’energia e delle sanzioni, ed è ciò che Liz Truss è pronta a fare con le armi nucleari. Putin è certamente preoccupato per le reazioni dei nostri leader che si trovano in situazioni sempre più scomode a causa della catastrofica situazione economica e sociale che hanno creato con la loro incompetenza. Questa pressione sui nostri leader potrebbe portarli a intensificare il conflitto solo per evitare di perdere la faccia.

Nel suo discorso Vladimir Putin non minaccia di usare armi nucleari, ma altri tipi di armi. Sta ovviamente pensando alle armi ipersoniche, che non hanno bisogno di essere nucleari per essere efficaci e che possono contrastare le difese occidentali. Inoltre, contrariamente a quanto dicono i nostri media, l’uso di armi nucleari tattiche non è più nella dottrina dell’occupazione russa da molti anni. Inoltre, a differenza degli Stati Uniti, la Russia ha una politica di non primo utilizzo.

In altre parole, sono gli occidentali e il loro comportamento irregolare i veri fattori di insicurezza.

Non sono sicuro che i nostri politici abbiano una visione chiara e obiettiva della situazione. I recenti tweet di Ignazio Cassis mostrano che il suo livello di informazioni è basso. In primo luogo, quando accenna al ruolo e alla neutralità della Svizzera nell’offrire i suoi buoni uffici, è un po’ fuori dalla geografia. Nella mente della Russia, la Svizzera ha abbandonato il suo status di neutralità e se vuole svolgere un ruolo costruttivo in questo conflitto, dovrà dimostrare la sua neutralità. Siamo molto, molto lontani da questo.

In secondo luogo, quando Cassis ha espresso a Lavrov la sua preoccupazione per l’uso delle armi nucleari, chiaramente non ha capito il messaggio di Vladimir Putin. Il problema con i leader occidentali di oggi è che nessuno di loro attualmente ha la capacità intellettuale per affrontare le sfide che essi stessi hanno creato attraverso la propria follia. Probabilmente Cassis avrebbe fatto meglio a esprimere le sue preoccupazioni a Truss e Biden!

I russi, e in particolare Vladimir Putin, sono sempre stati molto chiari nelle loro dichiarazioni e hanno fatto in modo coerente e metodico ciò che dicevano che avrebbero fatto. Ne più ne meno. Naturalmente si può non essere d’accordo con ciò che dice, ma è un errore grave e probabilmente anche criminale non ascoltare ciò che dice. Perché se avessimo ascoltato, avremmo potuto evitare che la situazione diventasse quella che è.

È anche interessante confrontare l’attuale situazione generale con quanto descritto nei rapporti della RAND Corporation pubblicati nel 2019 come il progetto per tentare di destabilizzare la Russia.

Figura 1: dal documento del 2019 della RAND Corporation su come destabilizzare la Russia. Questo documento mostra che gli Stati Uniti miravano a una campagna di sovversione contro la Russia, in cui l’Ucraina era solo uno strumento sfortunato.

Come possiamo vedere, ciò a cui stiamo assistendo è il risultato di uno scenario attentamente pianificato. È molto probabile che i russi siano stati in grado di anticipare ciò che l’Occidente stava pianificando contro di loro. La Russia ha così potuto prepararsi politicamente e diplomaticamente alla crisi che si sarebbe creata. È questa capacità di anticipazione strategica che mostra che la Russia è più stabile, più efficace e più efficiente dell’Occidente. Questo è il motivo per cui penso che se questo conflitto si intensificherà, sarà più per l’incompetenza occidentale che per un calcolo russo.


Jacques Baud è un esperto geopolitico ampiamente rispettato le cui pubblicazioni includono molti articoli e libri, tra cui  Poutine: Maître du jeu?  Gouverner avec les fake news , e  L’Affaire Navalny . Il suo libro più recente è sulla guerra in Uktraine, intitolato Operazione Z.

L’IPOTESI DI PACE (PROVVISORIA)_di Pierluigi Fagan

L’IPOTESI DI PACE (PROVVISORIA). [Ragionamento ipotetico] Nel post di qualche giorno fa abbiamo messo assieme un pacchetto di considerazioni, su fatti ed ipotesi, che andavano in direzione di una possibile de-escalation sul campo. Ho poi scoperto essere un “quasi-fatto” dato per tale da alcuni geopolitici televisivi, immagino meglio informati di me o meglio informati direttamente di ciò che circola in certi ambienti che io certo non frequento. Io mi limito ad osservare ed interpretare da lontano. Questo “da lontano” vale anche per coloro che non capisco bene perché, si sentono mobilitati fortemente in favore di questa o quella parte, come se quella parte fosse la “loro” parte. Comunque, un po’ di pathos ci sta, si comprende a livello ideologico, basterebbe non farlo tracimare.
Ad ogni modo. Questa ipotesi ci sia una trattativa su come trattare tra russi ed americani, è stata ripresa da più parti ed a questo punto la si potrebbe ritenere non un wishful thinking, ma qualcosa che siccome “circola” senza grandi contrasti, evidentemente ha dei fondamenti.
In tal senso, la attesa reazione russa all’attentato al ponte dirà del suo stato. Se i russi saranno poco meno o almeno proporzionati, vorrà dire che la cosa ha sostanza, se eccederà di un po’ vorrà dire che ha sostanza ma tende ad incagliarsi, se sarà amplificata vorrà dire che le cose non vanno bene.
Vediamo però di ragionare sul proseguo dell’ipotesi.
1. Una trattativa sarà più che altro una possibile sospensione del conflitto. Sospensione che sarà poi interrotta tutte le volte che una parte vuole forzare in un senso o mandare un messaggio di intransigenza. Una trattativa non porterà pace soluta, porterà solo de-escalation sul campo e raffreddamento relativo del conflitto.
2. Ciò perché il numero di variabili che debbono andare a posto per dirsi pace firmata, sono innumerevoli e le parti, soprattutto russi ed ucraini, partono da posizioni assai lontane ed inconciliabili.
3. In ordine di rigidità, gli US hanno conseguito almeno metà dei propri obiettivi ovvero la cattura egemonica completa dell’Europa (inclusa nuova clientela per shale ed armi), compattamento NATO e l’irreversibilità (per qualche anno) della rottura di relazioni UE con la Russia oltreché qualche danno alla stessa Russia.
4. I russi hanno conseguito anche loro poco più o poco meno dei loro obiettivi in termini di territorio. Sul resto ovvero la normalizzazione dell’Ucraina in termini politici e militari, la questione sarà sospesa per un bel po’. Hanno anche pagato dei prezzi, ma penso li abbiano messi in conto nella strategia iniziale.
5. Per gli ucraini il discorso è complesso. Ci sono almeno tre problemi: a) la perdita (provvisoria) di un 15-20% di territorio che vale. Si poteva dare per perso comunque il Donetsk ed il Lugansk, meno la zona di Zaporizhzhya e Kherson; b) per “resistere”, il governo di Kiev ha dovuto militarizzare la popolazione, accendere gli animi, dar libero sfogo ai nazionalisti. Sarà molto difficile ora riportarli al guinzaglio. Dato il blackout informativo sullo stato politico, sociale ed economico interno all’Ucraina, non sappiamo del livello delle contraddizioni interne che però si possono immaginare molto alte anche se sopite dal momentaneo allineamento a difesa della propria nazione con sopra la legge marziale; c) il problema più grosso e complesso è un misto di questioni geopolitiche ed economiche. Chi e cosa garantirà il futuro ucraino stante l’impossibilità che i russi accettino la sua integrale entrata nella NATO? Chi, come e quanto si farà carico della ricostruzione di una Paese già ai minimi termini prima della guerra e con oggi danni materiali ed immateriali enormi, più qualche milione di profughi prima o poi da rimpatriare? Questo secondo punto è anche più difficile da risolvere del primo.
Per gli ucraini i tre punti sono collegati. Possono accettare di lasciarti dei territori o parte di, ma in cambio cosa ottengo e non cosa ottengo dai russi, cosa ottengo dall’Europa e dagli USA? Cosa ottengo, valutato da chi? Ovvero “cosa ottengo” per il governo in carica, ma anche cosa ottengo come classe impreditorial-oligarchica e soprattutto “cosa ottengo” per le frange più estremiste e belliciste? Qui oltre alla cosa in sé c’è il problema della vendibilità di certi accordi, come ogni parte può sopravvivere ad eventuali concessioni, ognuno a cascata ha qualcuno più scontento che può impuntarsi, cosa che renderebbe molto problematica una trattativa. Se si mina l’equilibrio interno ovvero si mette in difficoltà l’attuale dirigenza, c’è sempre il rischio ci possa trovare con una più intransigente, il colpo di stato militar-nazionalista dopo un conflitto del genere è rischio certo. A meno non vi sia una contro-parte più votata al “puntiamo ad ottenere il massimo e diamoci un futuro normale”. Ma anche in questo caso il rischio di conflitto civile per parti imbottite di armi è dietro l’angolo.
La variabile territori, non del tutto ma in parte, potrebbe esser mediata da US-NATO-EU direttamente con i russi muovendo la leva de-sanzionatoria, in senso parziale ovvio. Sulla protezione militare o meglio garanzia di protezione dissuasiva una ripresa del conflitto, l’accordo è più semplice, si era già quasi trovato ai primi tentativi di colloquio tra le parti. Il “referendum legale” proposto da Musk (ovviamente Musk ripeteva ipotesi che girano in certo ambienti americani, sappiamo come i destini personali di Musk siano collegati alla macchina militar-aerospaziale di Washington, certo Musk non ha tutti i miliardi che spende e spande in missili e satelliti perché ha venduto un sacco di automobiline elettriche) è una possibilità. Nei fatti, soprattutto nel Donetsk e Lugansk, sono rimasti solo coloro che vedono con favore o non con sfavore l’annessione russa, far tornare indietro quelli scappati la vedo molto complicata. Un “referendum legale” è ciò che serve a tutti per mettersi al riparo da critiche interne ed esterne. I russi dovrebbero rivedere un punto della loro Costituzione per rimettere in giudicata l’annessione, ma anche qui dipende da cosa otterrebbero in cambio. Sulla Crimea si può accettare il dato di fatto al di là dei proclami.
Ma, ripeto, il nucleo delicato e decisivo della questione, dopo i territori, è nei soldi. Come ogni altro caso nelle crisi di società moderne, pioggia di soldi o meno lenisce molte ferite. C’è qualche altra decina di punti da quadrare, dagli equilibri sul Mar Nero alla interposizione di forze terze ai confini reciproci, dalla relativa normalizzazione o meno delle relazioni dirette tra russi ed ucraini alla revisione interna di leggi e costituzioni. Ma paradossalmente, più punti ci sono meglio è in quanto una trattativa con molti punti permette più flessibilità nel gioco “ti do, mi dai”.
I soldi da dare all’Ucraina andrebbero sostanzialmente considerati come “a fondo perduto”. Molto improbabile riceverne il saldo, l’Ucraina era una economia ai minimi termini prima della guerra e la perdita di buona parte delle industrie nelle zone occupate ed annesse da Mosca certo non ha migliorato le cose. Ricordo un discorso fatto da Zelensky un paio di mesi dopo l’inizio del conflitto, il quale citava il “modello Israele” ovvero un paese pronto al conflitto permanente e perciò votato alla ricerca avanzata soprattutto in ambito digital-tecnologico. Forse un sogno dell’élite più giovane ed liberal-cosmopolita di Kiev che circonda il soggetto Z, non so come questo potrebbe far quadrare i conti per un Paese che comunque ha tra 30-40 milioni di persone, in media, povere. A riguardo, “amici dell’est europeo” ed anglosassoni sarebbero senz’altro disponibili anche per ampliare influenza e delocalizzare a basso costo. Qualcosa si può scaricare su casseforti int’li come IMF-WB, inclusi cinesi ed indiani chiamati a fare meno gli “indiani”. Temo però che la richiesta di soldi e riconoscimento sarà per lo più scaricata sull’Europa e non so dire quanto l’Europa potrà credibilmente farsene carico.
Semmai così andasse, US e Russia avrebbero ognuna preso il proprio come si conviene tra potenze, la prima più dei secondi ma, ripeto, credo sia stato previsto date le condizioni di partenza o meglio quelle questioni invisibili ai più che stavano per stritolare geo-militarmente la Russia ed a cui la Russia non ha potuto che reagire. Il saldo eventuale per l’Ucraina o forse solo per l’attuale élite ucraina, sarà da calcolare a bocce ferme. Sicuramente chi alla fine avrà il bilancio più negativo sarà l’Europa.
Dal che il mio sconcerto nel vedere tanti prodi tifosi per guelfi e gabellini visto che nei fatti siamo tutti iscritti di dovere nel sistema che pagherà il prezzo più alto. Del resto, se mediamente ci fosse stata -non dico tanto ma- almeno un minimo livello di comprensione di ciò che stava succedendo, non certo quello che hanno raccontato stava succedendo, le cose sarebbe andate diversamente sin dall’applicazione degli accordi di Minsk.
La stupidità costa, costa morti, migranti, sofferenze, distruzione materiale, ferite materiali ed immateriali ed un sacco di soldi, di restrizione delle condizioni di possibilità per lo sviluppo delle nostre forme di vita associata. Ma tanto tutto ciò lo stupido non lo sa altrimenti non sarebbe stupido.

Più realisti del re, di Giuseppe Germinario

Il 6 ottobre il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione sulla “Escalation della aggressione russa all’Ucraina” della quale si riporta il testo in calce.

Lascia allibiti per la forma e per il contenuto.

Di una protervia ed una sfrontatezza tipica delle mosche cocchiere; di una assise, parte di una istituzione ormai nella sua fase crepuscolare, comunque da sempre, ora più di prima, illuminata di luce riflessa.

Non ha valore risolutivo, vista la funzione poco più che decorativa di questa istituzione. A maggior ragione, però, i rappresentanti avrebbero potuto adottare maggiore accortezza nella forma e una postura più equilibrata nel merito.

Al contrario la solerzia più realista del re tipica di chi sa di non avere responsabilità dirette e di poter profluire buone intenzioni a buon mercato.

Nella forma il tono è di un bollettino di guerra propagandistico persino più rozzo e abborracciato dei comunicati e dei resoconti di regime ucraini.

Nel contenuto riporta in maniera stupidamente partigiana come atti di accusa verso la Russia le versioni offerte dai propagandisti ucraini con tutte le omissioni, i travisamenti e le contraffazioni alle quali ci hanno abituato nove mesi di propaganda bellica. Non un cenno ai documentati crimini dei quali amano bearsi pubblicamente gli stessi autori ucraini; nessuna considerazione del carattere civile di una guerra alimentata per anni dai disegni geopolitici anglosassoni e ai quali si prestano ottusamente in particolare le dirigenze dei paesi dell’Europa Orientale, almeno sino a quando si ritroveranno esse stesse vittime di questo gioco. Nessuna richiesta, conseguentemente,  di accertamento imparziale dei fatti. Un déjà vu non per questo sufficiente ad essere esorcizzato. Nessuna minima riflessione sulle conseguenze in casa propria di una estensione draconiana di sanzioni e di una possibile, sempre più probabile, estensione del conflitto. Una pedissequa riproposizione, senza per altro averne potere e competenza, del continuo tentativo statunitense di imporre gli strumenti della propria giurisdizione nella regolazione delle relazioni tra paesi terzi. Una faciloneria ed una radicalità propria di figure che sembrano non rendersi conto delle implicazioni potenziali di tali suggerimenti, né del calderone sul quale sembrano serenamente adagiati e imbolsiti.

La risoluzione, per la sua unilateralità, rappresenta la rinuncia ad ogni ambizione di svolgere un qualsiasi ruolo autonomo; sarebbe troppo parlare di mediazione. È una delega in bianco alla attuale leadership statunitense e agli assatanati che siedono al governo in Ucraina. È l’evidenza di un ceto politico che ha ragione e possibilità di esistere solo all’ombra, sempre più ridotta, propria di un mezzogiorno di fuoco, americana. Con l’aggravante di rivelarsi dei “rappresentanti per caso” poco consapevoli di quello che stanno facendo e occupati per lo più nel loro sostanzioso “particulare”; uno strumento di una fazione ben precisa della leadership statunitense; una cordata, quest’ultima, che partendo dalla segreteria di stato arriva ai centri di comando della NATO.

Già visti all’opera ai danni della Presidenza Trump, ora vedono balenare come un incubo un suo possibile ritorno, ma ben più accorto e avveduto. La loro speranza è alzare sempre più il tiro, specie se a pagarne il prezzo principale saranno i propri più solerti alleati in terra europea.

È probabile che il Consiglio Europeo, reale sede decisionale del consesso europeo, sarà più cauto nella forma e nella sostanza della propria condotta. Il bersaglio però è lo stesso.

La stampa ci ha rappresentato a gran cassa nel tetto al prezzo del petrolio e del gas l’argomento focale dell’ultimo Consiglio Europeo.

Niente di più falso. La decisione cogente ha riguardato l’estensione delle sanzioni alla Russia e soprattutto a se stessi e la facoltà di agire arbitrariamente verso gli eventuali trasgressori.

Sempre più, quindi, parte in causa, ma con modalità e finalità decise da altri.

Dio ci scampi più che dai cattivi, dagli stolti. Sempre che qualche manina non sapesse già del precipitare della crisi di oggi ed avesse precorso i tempi.

Buona lettura.

Il Parlamento europeo,

– viste le sue precedenti risoluzioni sulla Russia e l’Ucraina, in particolare quelle del 16 dicembre 2021 sulla situazione al confine ucraino e nei territori dell’Ucraina occupati dalla Russia[1] e del 1º marzo 2022 sull’aggressione russa contro l’Ucraina[2],

– viste le dichiarazioni sull’Ucraina rilasciate dai leader del Parlamento europeo il 16 e il 24 febbraio 2022,

– vista la dichiarazione resa il 24 febbraio 2022 dall’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza a nome dell’UE sull’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate della Federazione russa,

– vista la dichiarazione resa il 24 febbraio 2022 dal Presidente del Consiglio europeo e dalla Presidente della Commissione sull’aggressione militare senza precedenti e non provocata della Russia contro l’Ucraina,

– vista la dichiarazione di Versailles dell’11 marzo 2022,

– viste le conclusioni del Consiglio europeo del 25 marzo 2022,

– vista la dichiarazione resa il 4 aprile 2022 dall’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza a nome dell’UE sulle atrocità russe commesse a Bucha e in altre città ucraine,

– viste le decisioni adottate dal Consiglio in merito alle sanzioni e alle misure restrittive nei confronti della Russia, che comprendono misure diplomatiche, misure restrittive individuali, quali il congelamento dei beni e le restrizioni di viaggio, restrizioni alle relazioni economiche con la Crimea, Sebastopoli e le zone non controllate dal governo di Donetsk e Luhansk, sanzioni economiche, restrizioni ai media e restrizioni alla cooperazione economica,

– visti i principi di Norimberga elaborati dalla Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, che determinano ciò che costituisce un crimine di guerra,

– visto lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale (CPI),

– vista la Carta delle Nazioni Unite,

– visti le convenzioni di Ginevra e i relativi protocolli aggiuntivi,

– visti l’Atto finale di Helsinki e i successivi documenti,

– viste le risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2 marzo 2022 sull’aggressione contro l’Ucraina e del 24 marzo 2022 sulle conseguenze umanitarie dell’aggressione contro l’Ucraina,

– vista la Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio,

– vista la sentenza della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite del 16 marzo 2022,

– visti la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, il memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza e il Documento di Vienna e i relativi protocolli aggiuntivi,

– visto l’articolo 132, paragrafi 2 e 4, del suo regolamento,

  1. considerando che, in conformità della Carta delle Nazioni Unite e dei principi del diritto internazionale, tutti gli Stati godono di pari sovranità e devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato; che la Federazione russa conduce dal 24 febbraio 2022 una guerra di aggressione illegale, non provocata e ingiustificata nei confronti dell’Ucraina e che il 16 marzo 2022 la Corte internazionale di giustizia ha ordinato alla Federazione russa di “sospendere immediatamente le sue operazioni militari nel territorio dell’Ucraina”;
  2. considerando che dal 24 febbraio 2022 migliaia di civili ucraini hanno perso la vita o sono rimasti feriti durante l’aggressione e l’invasione russe, mentre quasi 6,5 milioni di cittadini ucraini sono stati sfollati all’interno del paese e oltre 4 milioni sono fuggiti nei paesi vicini, a cui si aggiungono le oltre 14 000 persone, sia militari che civili, che hanno perso la vita negli ultimi otto anni a causa dell’occupazione della Crimea da parte della Federazione russa e del conflitto da essa generato nell’Ucraina orientale;
  3. considerando che, a un mese dall’inizio dell’aggressione russa, la guerra in Ucraina continua a mietere vittime innocenti; che le atrocità commesse dalle truppe russe hanno raggiunto un nuovo livello di efferatezza, come dimostra la scoperta, avvenuta domenica 3 aprile 2022, dei corpi di donne e uomini civili abbandonati nelle strade di Bucha, una città rimasta inaccessibile all’esercito ucraino per almeno un mese; che tali fatti giustificano chiaramente l’istituzione di una commissione internazionale incaricata di indagare su tutti i crimini commessi dall’esercito russo dall’inizio della guerra;
  4. considerando che l’esercito russo prosegue i bombardamenti indiscriminati e gli attacchi aerei contro zone residenziali e infrastrutture civili, come ospedali, scuole e asili, il che ha causato la distruzione totale o quasi totale di Mariupol, Volnovakha e di altre città e paesi;
  5. considerando che l’Ucraina ha finora mostrato livelli senza precedenti di resistenza e resilienza, impedendo alla Russia di raggiungere il suo obiettivo bellico iniziale, ossia l’occupazione dell’intero paese;
  6. considerando che il 5 aprile 2022 la Commissione ha proposto e annunciato nuove sanzioni e sta lavorando a ulteriori pacchetti di sanzioni; che le prime sanzioni dell’UE nei confronti della Federazione russa sono state applicate nel marzo 2014 a seguito dell’annessione illegale della Crimea, avvenuta nel 2014, e che il più recente pacchetto è stato adottato il 15 marzo 2022 a seguito dell’invasione non provocata e ingiustificata dell’Ucraina da parte della Russia, iniziata il 24 febbraio 2022; che l’UE ha altresì adottato sanzioni nei confronti della Bielorussia in risposta al suo coinvolgimento nell’aggressione e nell’invasione russe;
  7. considerando che le sanzioni stanno avendo effetto, ma che gli acquisti da parte dell’UE di combustibili fossili dalla Russia continuano a fornire al regime mezzi che contribuiscono a finanziare la guerra;
  8. considerando che l’UE versa fino a 800 milioni di EUR al giorno alla Russia per la fornitura di combustibili fossili, il che ammonta a quasi 300 miliardi di EUR all’anno;
  9. considerando che studi accademici[3]dimostrano che il divieto delle importazioni di combustibili fossili dalla Russia avrebbe un impatto sulla crescita economica dell’UE che corrisponderebbe a perdite stimate a meno del 3 % del PIL, mentre le potenziali perdite per l’economia russa nello stesso periodo ammonterebbero al 30 % del PIL e sarebbero determinanti per fermare l’aggressione russa;
  10. considerando che la Presidente Metsola si è rivolta alla Verkhovna Rada il 1º aprile 2022 e ha incontrato il presidente e il primo ministro dell’Ucraina e i leader delle fazioni politiche a nome del Parlamento europeo;
  11. condanna con la massima fermezza la guerra di aggressione della Federazione russa contro l’Ucraina, nonché il coinvolgimento della Bielorussia in tale guerra, e chiede che la Russia cessi immediatamente tutte le attività militari in Ucraina e ritiri incondizionatamente tutte le forze e attrezzature militari dall’intero territorio dell’Ucraina riconosciuto a livello internazionale; si unisce al dolore del popolo ucraino per le perdite e le sofferenze strazianti subite;
  12. sottolinea che l’aggressione militare e l’invasione costituiscono una grave violazione del diritto internazionale, in particolare della Convenzione di Ginevra e dei relativi protocolli aggiuntivi e della Carta delle Nazioni Unite, e invita la Federazione russa a tornare ad adempiere alle sue responsabilità, in quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU, di mantenimento della pace e della sicurezza nonché a rispettare gli impegni assunti nel quadro dell’Atto finale di Helsinki, della Carta di Parigi per una nuova Europa e del memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza; ritiene che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia costituisca un attacco non solo contro un paese sovrano ma anche contro i principi e il meccanismo di cooperazione e di sicurezza in Europa e contro l’ordine internazionale fondato su regole, quale definito dalla Carta delle Nazioni Unite;
  13. esprime la più grande rabbia e indignazione e indignazione per le atrocità segnalate, tra cui lo stupro e l’esecuzione di civili, gli sfollamenti forzati, i saccheggi e gli attacchi contro infrastrutture civili, come ospedali, strutture mediche, scuole, rifugi e ambulanze, e le sparatorie contro i civili in fuga dalle zone di conflitto attraverso corridoi umanitari prestabiliti, secondo l’impegno assunto dalle forze armate russe in una serie di città ucraine occupate, come Bucha; insiste sul fatto che gli autori dei crimini di guerra e di altre gravi violazioni dei diritti, nonché i funzionari governativi e i leader militari responsabili, devono essere chiamati a risponderne; sostiene pienamente l’indagine avviata dal procuratore della Corte penale internazionale sui crimini di guerra e i crimini contro l’umanità, nonché il lavoro della commissione d’inchiesta dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani; invita le istituzioni dell’UE ad adottare tutte le misure necessarie presso le istituzioni e le istanze internazionali, così come presso la Corte penale internazionale o altri tribunali ovvero organi giurisdizionali internazionali appropriati, per perseguire le azioni di Vladimir Putin e Aliaksandr Lukashenko quali crimini di guerra e crimini contro l’umanità, e a partecipare attivamente alle relative indagini; chiede l’istituzione di un tribunale speciale delle Nazioni Unite per i crimini in Ucraina; ritiene che sarebbe opportuno avvalersi del meccanismo internazionale, imparziale e indipendente per fornire assistenza in tutte le indagini internazionali sui crimini di guerra commessi in Ucraina; invita gli Stati membri e l’UE a rafforzare la loro capacità di combattere efficacemente l’impunità di coloro che hanno commesso o partecipato a crimini di guerra;
  14. ribadisce la necessità di mantenere e rafforzare la fornitura di armi per consentire all’Ucraina di difendersi efficacemente; ribadisce il proprio sostegno a tutti gli aiuti di tipo difensivo alle forze armate ucraine offerti individualmente dagli Stati membri e collettivamente attraverso lo strumento europeo per la pace; accoglie con favore la decisione di aumentare di altri 500 milioni di EURl’assistenza all’Ucraina attraverso lo strumento europeo per la pace e chiede di aumentare ulteriormente i contributi concreti per rafforzare urgentemente le capacità di difesa dell’Ucraina, sia a livello bilaterale che nell’ambito dello strumento europeo per la pace;
  15. sollecita la creazione di corridoi umanitari sicuri per evacuare i civili in fuga dai bombardamenti e il potenziamento delle reti di aiuti umanitari dell’UE in Ucraina (compresi carburante, cibo, medicinali, fornitura di acqua potabile, generatori di energia e campus mobili); suggerisce alla Commissione di introdurre regimi di aiuti inter pares per l’Ucraina al fine di aumentare l’efficacia dell’assistenza;
  16. sottolinea che la risposta e l’impegno politico dell’UE devono essere in grado di far fronte all’ostilità ed essere commisurati allo sforzo compiuto dai nostri partner ucraini, che condividono gli stessi principi e che lottano e si sacrificano per i valori e i principi europei, la cui portata si estende oltre l’UE nella sua attuale composizione;
  17. esprime la propria unanime solidarietà al popolo ucraino e alle sue forti aspirazioni a trasformare il proprio paese in uno Stato europeo democratico e prospero; riconosce la volontà dell’Ucraina di partecipare al progetto europeo, come espresso nella sua domanda di adesione all’UE presentata il 28 febbraio 2022; reitera la sua richiesta alle istituzioni dell’Unione di adoperarsi per concedere all’Ucraina lo status di paese candidato all’adesione all’UE, come chiaro segnale politico del loro impegno, a norma dell’articolo 49 del trattato sull’Unione europea e sulla base del merito e, nel frattempo, a continuare ad adoperarsi per la sua integrazione nel mercato unico dell’Unione conformemente all’accordo di associazione; accoglie con favore la dichiarazione di Versailles del Consiglio europeo, in cui si afferma che l’Ucraina è un membro della nostra famiglia europea;
  18. condanna fermamente la retorica russa che evoca un possibile ricorso all’uso di armi di distruzione di massa da parte della Federazione russa e sottolinea che tale spiegamento sarebbe inaccettabile e darà luogo a gravissime conseguenze; condanna inoltre la presa di possesso da parte delle forze russe di impianti e siti nucleari attivi o disattivati nel territorio dell’Ucraina, sottolineando che la corretta gestione di tali impianti è una questione sanitaria di importanza cruciale per l’intera regione; sottolinea il ruolo essenziale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) nel garantire la sicurezza degli impianti nucleari in Ucraina; sostiene la richiesta delle autorità ucraine al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di adottare immediatamente misure per smilitarizzare la zona di esclusione della centrale nucleare di Chernobyl e di consentire all’AIEA di assumere immediatamente il pieno controllo del sito della centrale nucleare;
  19. valuta positivamente la rapida adozione di sanzioni da parte del Consiglio e plaude all’unità delle istituzioni dell’UE e degli Stati membri in risposta all’aggressione della Russia contro l’Ucraina, nonché all’elevato livello di coordinamento tra i paesi del G7; invita tutti i partner, in particolare i paesi candidati all’adesione all’UE e i potenziali paesi candidati, ad allinearsi ai pacchetti di sanzioni; accoglie con favore la recente istituzione della task force “Russian Elites, Proxies, and Oligarchs” (élite, mandatari e oligarchi russi), volta a coordinare i lavori dell’UE, del G7 e dell’Australia in merito alle sanzioni nei confronti degli oligarchi russi e bielorussi; invita il Servizio europeo per l’azione esterna e la Commissione a intensificare le loro attività di sensibilizzazione nei confronti dei paesi che non hanno ancora aderito all’UE affinché adottino sanzioni contro la Federazione russa, utilizzando a tal fine l’influenza dell’UE e l’intera gamma di strumenti disponibili a tal fine, nonché fornendo assistenza se necessario; deplora che taluni paesi candidati all’adesione all’Unione europea non si siano allineati alle sanzioni dell’UE; chiede l’elaborazione di un chiaro piano d’azione nei confronti dei paesi terzi che agevolano l’evasione delle sanzioni da parte della Federazione russa; esorta il Consiglio ad adottare ulteriori severe sanzioni che riflettano la continua escalation dell’aggressione russa e le sconcertanti atrocità commesse dalle forze militari russe che innegabilmente si configurano come crimini di guerra;
  20. invita i leader dell’UE e i leader di altri Stati a escludere la Russia dal G20 e da altre organizzazioni multilaterali di cooperazione, quali il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, Interpol, l’Organizzazione mondiale del commercio, l’UNESCO e altri, il che costituirebbe un segnale importante del fatto che la comunità internazionale non tornerà a lavorare come di consueto con lo Stato aggressore;
  21. sottolinea che la piena ed efficace attuazione delle sanzioni esistenti in tutta l’UE e da parte degli alleati internazionali dell’UE deve costituire adesso una priorità; chiede che gli Stati membri individuino e, ove necessario, creino rapidamente una base giuridica per garantire senza indugio il pieno ed effettivo rispetto delle sanzioni all’interno delle giurisdizioni nazionali; invita la Commissione e le autorità di vigilanza dell’UE a monitorare attentamente l’attuazione efficace e completa di tutte le sanzioni dell’UE da parte degli Stati membri e a far fronte alle eventuali pratiche di elusione;
  22. esorta gli Stati membri a garantire che le penali nazionali in caso di violazione delle sanzioni dell’UE siano efficaci, proporzionate e dissuasive; accoglie con favore l’annuncio di un archivio di informazioni sulle sanzioni e di una tabella di marcia (compresi criteri e un calendario) per passare dall’individuazione di un’inosservanza sistematica delle sanzioni dell’UE alle procedure di infrazione dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea;
  23. invita il Consiglio a imporre ulteriori sanzioni nei confronti di personalità pubbliche che stanno diffondendo propaganda aggressiva in Russia a sostegno dell’aggressione russa contro l’Ucraina;
  24. chiede di aumentare l’efficacia delle sanzioni esistenti, tra l’altro escludendo, in coordinamento con i partner internazionali dell’UE che condividono gli stessi principi, tutte le banche della Federazione russa dal sistema SWIFT e vietando l’ingresso nelle acque territoriali dell’UE e l’attracco nei porti dell’UE di qualsiasi nave battente bandiera russa, registrata, posseduta, noleggiata, gestita dalla Russia, di qualsiasi nave proveniente da, o diretta verso, un porto russo, o di qualsiasi nave altrimenti collegata alla Russia, compresa la Sovcomflot; chiede il divieto di trasporto merci su strada da e verso il territorio della Russia e della Bielorussia e suggerisce di estendere il divieto di esportazione alle consegne oggetto di contratti stipulati prima dell’entrata in vigore delle sanzioni, ma che non sono ancora state completamente eseguite; chiede l’introduzione di sanzioni secondarie nei confronti di tutte le entità registrate nell’UE e nei paesi terzi che stanno aiutando i regimi russo e bielorusso ad aggirare le sanzioni;
  25. chiede un embargo totale e immediato sulle importazioni russe di petrolio, carbone e combustibile nucleare e uno per il gas il prima possibile, e sollecita ad abbandonare completamente i progetti Nordstream 1 e 2 e a presentare un piano volto a continuare ad assicurare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’UE nel breve termine; invita la Commissione, il Servizio europeo per l’azione esterna e gli Stati membri a definire un piano d’azione globale per l’UE riguardo a ulteriori sanzioni e a comunicare con chiarezza i punti fermi e le tappe dettagliate da seguire per revocare le sanzioni nel caso in cui la Russia adotti provvedimenti intesi a ripristinare l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale e ritiri completamente le proprie truppe dal territorio ucraino;
  26. sottolinea ancora una volta l’importanza della diversificazione delle risorse, delle tecnologie e delle vie di approvvigionamento in campo energetico, in aggiunta a maggiori investimenti nell’efficienza energetica, nelle energie rinnovabili, nelle soluzioni di stoccaggio del gas e dell’elettricità e agli investimenti sostenibili a lungo termine in linea con il Green Deal europeo; pone l’accento sull’importanza di garantire l’approvvigionamento energetico dai partner commerciali dell’UE attraverso gli accordi di libero scambio esistenti e futuri, al fine di ridurre ulteriormente la dipendenza dell’UE dalla Russia, in particolare per quanto riguarda le materie prime; chiede inoltre la creazione di riserve energetiche strategiche comuni e di meccanismi di acquisto di energia a livello dell’UE nell’ottica di rafforzare la sicurezza energetica, riducendo nel contempo la dipendenza energetica esterna e la volatilità dei prezzi; chiede che si inizi a lavorare alla creazione di un’unione del gas, basata sull’acquisto congiunto di gas da parte degli Stati membri;
  27. esorta gli Stati membri a porre fine alla collaborazione con le imprese russe sui progetti nucleari nuovi ed esistenti, anche in Finlandia, Ungheria e Bulgaria, in cui gli esperti russi possono essere sostituiti da quelli occidentali, e ad abbandonare gradualmente il ricorso ai servizi della Rosatom; chiede di porre fine alla cooperazione scientifica con le imprese energetiche russe, come la Rosatom, e con altre pertinenti entità scientifiche russe; chiede che le sanzioni nei confronti della Bielorussia rispecchino quelle imposte alla Russia al fine di colmare eventuali lacune che consentano a Putin di utilizzare gli aiuti di Lukashenko per eludere le sanzioni;
  28. incoraggia le organizzazioni internazionali dell’energia a riconsiderare il ruolo della Russia nelle loro attività, compresa la potenziale sospensione dei progetti di cooperazione tra la Russia e l’AIEA, nonché la sospensione della partecipazione russa a progetti multilaterali;
  29. sottolinea che occorre sequestrare tutti i beni appartenenti ai funzionari russi o agli oligarchi associati al regime di Putin, ai loro rappresentanti e prestanome, nonché alle figure legate al regime di Lukashenko in Bielorussia, e che occorre revocare i visti dell’UE nell’ambito di un divieto totale e immediato dei programmi che offrono passaporti, visti e permessi di soggiorno agli investitori; sottolinea che le sanzioni dovrebbero colpire un più ampio gruppo di funzionari, governatori, sindaci e membri russi dell’élite economica che osservano l’attuale politica del regime di Putin e ne traggono vantaggi;
  30. chiede di avviare i lavori su un fondo simile al piano Marshall (il fondo fiduciario di solidarietà per l’Ucraina) per ricostruire l’Ucraina dopo la guerra, avviare un massiccio programma di investimenti e sprigionare il potenziale di crescita del paese; ritiene che il fondo dovrebbe essere generoso e finanziato, tra l’altro, dall’UE, dai suoi Stati membri, dai contributi dei donatori e dal risarcimento dei danni di guerra da parte della Russia, anche attraverso i beni russi che sono stati precedentemente congelati in conseguenza delle sanzioni e che dovrebbero essere legalmente confiscati conformemente al diritto internazionale;
  31. chiede un meccanismo di solidarietà dell’UE per far fronte alle conseguenze economiche e sociali della guerra della Russia contro l’Ucraina e delle sanzioni imposte;
  32. sottolinea l’importanza di garantire quanto prima la ripresa del corretto funzionamento del settore agricolo ucraino, compiendo tutti gli sforzi possibili per salvaguardare la prossima stagione di semina e produzione e assicurando corridoi sicuri per trasporti, carburante e alimenti da e verso il paese; chiede l’apertura di corridoi verdi onde portare in Ucraina tutto il necessario per mantenere la produzione agricola (ad esempio pesticidi e fertilizzanti) e per far uscire dall’Ucraina tutti i prodotti agricoli che possono ancora essere esportati;
  33. esprime il suo massimo sostegno alla decisione del procuratore della CPI di avviare un’indagine sui presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi in Ucraina, e sottolinea l’importanza di agire e progredire con rapidità al fine di ottenere le prove necessarie; chiede pertanto un sostegno finanziario e pratico per l’importante lavoro della CPI, ad esempio consentendo alla Missione consultiva dell’UE in Ucraina di coadiuvare la documentazione delle prove;
  34. chiede che l’UE e i suoi Stati membri istituiscano un meccanismo globale di sanzioni anticorruzione e adottino rapidamente sanzioni mirate nei confronti dei responsabili della corruzione ad alto livello in Russia e Bielorussia;
  35. ribadisce che la disinformazione russa fa parte dello sforzo bellico della Russia in Ucraina e che le sanzioni dell’UE nei confronti di emittenti di Stato russe possono essere facilmente eluse tramite reti private virtuali, televisione satellitare e funzioni Smart TV; invita la Commissione e gli Stati membri ad applicare pienamente il divieto imposto ai canali di propaganda di proprietà dello Stato russo;
  36. chiede di estendere gli obblighi di informativa delle istituzioni finanziarie europee al fine di informare le autorità competenti in merito a tutti i beni detenuti da determinati cittadini russi e bielorussi, e non solo ai loro depositi; ricorda che i cittadini dell’UE possono utilizzare lo strumento di informazione della Commissione per denunciare in modo anonimo le violazioni di sanzioni passate, attuali e previste nei confronti di persone ed entità russe e bielorusse; ritiene che l’ambito di applicazione degli elenchi di sanzioni individuali debba essere esteso a chi ha tratto o trae vantaggio da stretti legami con i governi russo e bielorusso; invita la Commissione a sfruttare appieno il quadro antiriciclaggio e a includere la Russia e la Bielorussia nell’elenco delle giurisdizioni ad alto rischio di cui all’articolo 9 della quarta direttiva antiriciclaggio[4]; invita la Commissione a proporre la creazione di un organismo dedicato per monitorare l’applicazione delle sanzioni finanziarie e di altre misure restrittive dell’UE; invita la Commissione a mappare e pubblicare i beni congelati e sequestrati da ciascuno Stato membro; accoglie con favore gli sforzi della società civile e dei giornalisti investigativi volti a rendere noti i beni di proprietà degli oligarchi russi;
  37. accoglie con favore le decisioni di alcune organizzazioni internazionali, in particolare nel settore della cultura e dello sport, di sospendere la partecipazione della Russia; invita gli Stati membri a ridurre il livello di rappresentanza della Federazione russa e a diminuire il numero di membri del corpo diplomatico e consolare russo nell’UE, in particolare laddove le loro azioni riguardino questioni di spionaggio, di disinformazione o militari; chiede un coordinamento continuo con gli alleati transatlantici e i partner che condividono gli stessi principi, come quelli della NATO, del G7 e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici, nonché con i membri dell’Associazione europea di libero scambio, gli Stati associati e i paesi candidati; sottolinea che l’UE dovrebbe reagire con decisione laddove presunti partner non sostengano le sue posizioni;
  38. incarica la sua Presidente di trasmettere la presente risoluzione al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, alle Nazioni Unite, alla NATO, al G7, al Consiglio d’Europa, all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, al Presidente, al governo e al parlamento dell’Ucraina, al Presidente, al governo e al parlamento della Federazione russa, nonché al Presidente, al governo e al parlamento della Bielorussia.
  • [1]  Testi approvati, P9_TA(2021)0515.
  • [2]  GU C 125 del 18.3.2022, pag. 2.
  • [3] Tra questi Bachmann et al., Banca centrale europea, Deutsche Bank Research, Oxford Economics, Goldman Sachs, ecc. come riassunto dal Sachverständigenrat zur Begutachtung der gesamtwirtschaftlichen Entwicklung (Consiglio tedesco degli esperti economici) nella sua relazione del marzo 2022 dal titolo “Auswirkungen eines möglichen Wegfalls russischer Rohstofflieferungen auf Energiesicherheit und Wirtschaftsleistung: Auszug aus der aktualisierten Konjunkturprognose 2022 und 2023” (Impatto di una possibile perdita di forniture di materie prime russe sulla sicurezza energetica e sulla performance economica: estratto delle prospettive economiche aggiornate 2022 e 2023).

Gli Stati Uniti devono cambiare rotta in questo momento in Ucraina, di JOSH HAMMER

Chi decide, discute seriamente. Chi obbedisce scimmiotta. Giuseppe Germinario

Siamo ormai lontani da più di sette mesi dalla deplorevole incursione di Vladimir Putin nell’Ucraina orientale e in Crimea. Ma nonostante quel tempo trascorso e tutti i vari sviluppi da allora, la posizione formale degli Stati Uniti sul conflitto è cambiata notevolmente poco. Quella posizione eccessivamente semplificata e manichea, insomma, è quella del massimalismo ucraino: Putin è malvagio, Volodymyr Zelensky è nobile, e — ecco il grande salto logico — gli Stati Uniti sosterranno così lo sforzo ucraino di riconquistare ogni centimetro quadrato di territorio nel Donbas e in Crimea dal suo avversario armato di armi nucleari, apparentemente a prescindere dal costo per i contribuenti statunitensi.

La “lettura” formale della Casa Bianca della chiamata del martedì del presidente Joe Biden con Zelensky riassume in modo appropriato la posizione degli Stati Uniti: “Il presidente Joseph R. Biden, Jr., insieme al vicepresidente Kamala Harris , ha parlato oggi con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky per sottolineare che gli Stati Uniti non riconosceranno mai la presunta annessione del territorio ucraino da parte della Russia. Il presidente Biden si è impegnato a continuare a sostenere l’Ucraina mentre si difende dall’aggressione russa per tutto il tempo necessario…” (Enfasi aggiunta.) Traduzione: Difenderemo la tua guerra per riconquistare ogni centimetro quadrato di territorio storicamente conteso ed etnicamente misto, non importa quello che le persone che vivono lì dicono di volere, non importa il costo, e nonostante il fatto che il Il destino del regime di Zelensky a Kiev è sicuro.

In questa fase della guerra, praticamente tutto questo pablum è stupido e controproducente per l’effettivo interesse nazionale degli Stati Uniti in queste aree contese. Il nostro interesse nazionale per il teatro ucraino non coincide con la posizione assolutista di Zelensky; il nostro interesse è per la de-escalation, la distensione e la pace. Ma se vogliamo raggiungere questi obiettivi, specialmente quando la minaccia di una guerra nucleare sta emergendo allo scoperto, molti in Occidente raddoppiano incautamente gli appelli per l’ascesa dell’Ucraina alla NATO , e lo stesso Zelensky, affamato di guerra, sta chiedendo una NATO -ha guidato un “attacco preventivo” contro la Russia —Biden ha bisogno di riconoscere la realtà e cambiare immediatamente la rotta strategica.

Dal primo giorno dell’incursione russa, questa colonna ha sostenuto che (1) l’Ucraina, come la Russia, è un paese profondamente corrotto e oligarchico, e Zelensky è un leader altamente imperfetto; ma (2) nonostante i suoi numerosi difetti e il suo status di pedina della classe globalista di Davos/ONG , Zelensky che rimane al potere a Kiev è preferibile all’ovvia alternativa di uno stato fantoccio di Mosca in stile bielorusso/Alexander Lukashenko. Ma la Russia, con l’eccezione di poche riacutizzazioni qua e là nelle vicinanze, si è ritirata da Kiev e dalle aree circostanti già a maggio. Detto in altro modo, è chiaro al di là di ogni ragionevole dubbio, a questo punto, che Zelensky non sta andando da nessuna parte; lui e il suo governo sono qui per restare. Il destino di Kiev è sicuro.

In questo momento, i combattimenti – e, nel caso della Russia, le recenti (probabilmente fittizie) annessioni – si stanno svolgendo in quattro subregioni dell’estremo oriente dell’Ucraina e, in misura minore, in Crimea. Quelle sono le terre contese che l’amministrazione Biden, e più in generale i tipi di “democrazia liberale occidentale”, hanno ritenuto così esistenzialmente importanti per l’Ucraina e per l’integrità dell ‘”Occidente” che riconquistarle vale apparentemente qualsiasi cosa militare, economica e umanitaria costo, fino a, e molto compreso, lo spettro straziante di una guerra nucleare aperta tra NATO e Russia.

Ancora peggio, quando si tratta delle stesse terre contese, il rinomato sondaggio Gallup del 2014 – l’anno in cui Putin ha marciato per la prima volta in Crimea – ha mostrato che il 73,9% dei Crimea pensava che entrare a far parte della Russia avrebbe migliorato la propria vita e quella delle proprie famiglie (solo il 5,5 % in disaccordo). Per quanto riguarda le varie enclavi del Donbas, come Luhansk e Donetsk, sono molto divise tra ucraini di etnia e russi di etnia; Luhansk, ad esempio, ha una divisione demografica quasi uniforme, 50-50.

Cerchiamo di essere i più chiari possibile: al cittadino americano medio non importa e non dovrebbe importare se una o due sottoregioni slave etnicamente divise, strategicamente irrilevanti e storicamente contestate nell’Ucraina orientale ricevano ordini da Kiev o Mosca. Elon Musk , in un tweet molto criticato all’inizio di questa settimana , ha avuto l’idea giusta: “La pace Ucraina-Russia”, ha affermato, può essere raggiunta al meglio “rifacendo [ing] le elezioni delle regioni annesse [come Luhansk e Donetsk] sotto supervisione delle Nazioni Unite” e “la Russia se ne va se questa è la volontà del popolo”; “La Crimea formalmente parte della Russia, come lo è stata dal 1783 (fino all’errore di Krusciov)”; “Assicurazione dell’acqua in Crimea”; e “L’Ucraina rimane neutrale [tra Russia e NATO]”.

Si può certamente cavillare con i dettagli di Musk: le Nazioni Unite , per esempio, non possono essere un arbitro o un supervisore fidato e neutrale di qualsiasi cosa. Ma questa è certamente l’idea giusta per ciò che gli Stati Uniti, e per estensione l’Occidente, dovrebbero fare e dovrebberomirare a. L’amministrazione Biden, se avesse un po’ di buon senso, userebbe qualsiasi leva per portare Zelensky e Putin al tavolo dei negoziati il ​​prima possibile, eliminando così inequivocabilmente la minaccia di una catastrofe nucleare e districando gli Stati Uniti e la NATO dal la prospettiva straziante di qualcosa che nessun presidente dell’era della Guerra Fredda avrebbe mai accettato: un confronto militare aperto e diretto con il più grande arsenale nucleare del mondo. Ciò comporta certamente il disconoscimento della possibilità dell’adesione dell’Ucraina alla NATO.

Il fatto che la nostra attuale classe dirigente non dimostri alcun interesse per la riduzione del buon senso, e invece dimostri un interesse apparentemente interminabile per l’escalation e il massimalismo territoriale ucraino, la dice lunga su quanto sia lontana quella classe dirigente . Se non altro, si spera che il popolo americano parli e cominci a tenere a freno la nostra sordida classe dirigente assetata di guerra alle urne il mese prossimo.

Josh Hammer è opinionista di Newsweek , conduttore di ” The Josh Hammer Show “, editorialista sindacato e ricercatore presso la Edmund Burke Foundation. Twitter: @josh_hammer .

Il rovescio della medaglia del crollo imperiale, Robert D. Kaplan

Un articolo interessante con qualche evidente forzatura, soprattutto nella valutazione pragmatica della politica estera dell’amministrazione Biden e sulla condizione della leadership russa. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Le guerre sono cardini storici. E le guerre mal generate, quando servono come punti culminanti di un declino nazionale più generale, possono essere fatali. Ciò è particolarmente vero per gli imperi. L’impero asburgico, che regnò sull’Europa centrale per centinaia di anni, avrebbe potuto resistere nonostante decenni di decadenza se non fosse stato per la sconfitta nella prima guerra mondiale. Lo stesso vale per l’impero ottomano, a cui dalla metà del diciannovesimo secolo ci si riferiva come “il malato d’Europa”. Come accadde, l’impero ottomano, come quello asburgico, avrebbe potuto lottare per decenni e persino riformarsi, se non fosse schierato dalla parte dei perdenti nella prima guerra mondiale.

Ma le scosse di assestamento di tale punizione imperiale non dovrebbero mai essere sottovalutate o celebrate. Gli imperi si formano dal caos e il crollo imperiale lascia spesso il caos sulla propria scia. Gli stati più monoetnici sorti dalle ceneri dei multietnici imperi asburgico e ottomano si rivelarono spesso radicali e instabili. Questo perché i gruppi etnici e settari e le loro particolari lagnanze, che erano stati placati sotto i comuni ombrelli imperiali, si trovarono improvvisamente da soli e si scontrarono l’uno contro l’altro. Il nazismo e il fascismo in generale hanno influenzato stati e fazioni assassine nei Balcani post-asburgici e post-ottomani, così come gli intellettuali arabi che studiavano in Europa che hanno riportato queste idee nelle loro patrie postcoloniali appena indipendenti, dove hanno contribuito a plasmare l’ideologia disastrosa del baathismo. Winston Churchill ipotizzò alla fine della seconda guerra mondiale che se le monarchie imperiali in Germania, Austria e altrove non fossero state spazzate via al tavolo della pace a Versailles, “non ci sarebbe stato Hitler”.

Il ventesimo secolo è stato in gran parte plasmato dal crollo degli imperi dinastici nei primi decenni e dalle conseguenti guerre e sconvolgimenti geopolitici nei decenni successivi. L’impero è molto denigrato dagli intellettuali, ma il declino imperiale può portare a problemi ancora maggiori. Il Medio Oriente, ad esempio, non ha ancora trovato una soluzione adeguata al crollo dell’Impero Ottomano, come dimostrano le sue sanguinose vicissitudini negli ultimi cento anni.

Tutto questo dovrebbe essere tenuto a mente quando si considera la vulnerabilità di Cina, Russia e Stati Uniti oggi. Questi grandi poteri possono essere anche più fragili di quanto sembri. L’ansiosa previsione richiesta per evitare catastrofi politiche, cioè la capacità di pensare in modo tragico per evitare tragedie, non è stata sviluppata a sufficienza o non è stata evidenziata da nessuna parte a Pechino, Mosca e Washington. Finora, sia la Russia che gli Stati Uniti hanno avviato guerre autodistruttive: la Russia in Ucraina e gli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq. Quanto alla Cina, la sua ossessione per la conquista di Taiwan potrebbe portare all’autodistruzione. Tutte e tre le grandi potenze negli ultimi anni e decenni hanno chiaramente dimostrato attacchi fondati su insolitamente cattivi giudizi quando si tratta della loro sopravvivenza a lungo termine.

Se uno o tutti i grandi poteri di oggi si indebolissero drammaticamente, la confusione e il disordine aumenterebbero all’interno dei loro confini e in tutto il mondo. Gli Stati Uniti indeboliti o assediati sarebbero meno in grado di sostenere i propri alleati in Europa e in Asia. Se il regime del Cremlino dovesse vacillare a causa di fattori derivanti dalla guerra in Ucraina , la Russia, istituzionalmente più debole della Cina, potrebbe diventare una versione ipocalorica dell’ex Jugoslavia, incapace di controllare i suoi territori storici nel Caucaso, in Siberia e nell’est Asia. Le turbolenze economiche o politiche in Cina potrebbero scatenare disordini regionali all’interno del paese e anche incoraggiare l’India e la Corea del Nord, le cui politiche sono intrinsecamente vincolate da Pechino.

TERRENO TRASLANTE

Le grandi potenze di oggi non sono imperi. Ma Russia e Cina portano le tracce della loro eredità imperiale. La guerra del Cremlino in Ucraina è radicata negli impulsi che esistevano sia nell’impero russo che in quello sovietico, e le intenzioni aggressive della Cina nei confronti di Taiwan fanno eco alla ricerca dell’egemonia propria della dinastia Qing in Asia. Gli Stati Uniti non si sono mai identificati formalmente come un impero. Ma l’espansione verso ovest in Nord America e le occasionali conquiste territoriali d’oltremare hanno conferito agli Stati Uniti un sapore imperiale nel diciannovesimo secolo e nel dopoguerra hanno goduto di un livello di dominio globale precedentemente noto solo agli imperi.

Oggi, tutte e tre queste grandi potenze devono affrontare un futuro incerto, in cui non si può escludere un collasso o un certo grado di disintegrazione. La serie di problemi è diversa per ciascuno, ma le sfide che ogni paese deve affrontare sono fondamentali per l’esistenza stessa di quel potere. La Russia affronta il rischio più immediato. Anche se in qualche modo prevale nella guerra in Ucraina, la Russia dovrà affrontare il disastro economico di essere disaccoppiata dall’UE e dalle economie del G-7 a meno che non ci sia una vera pace, che ora appare improbabile . La Russia potrebbe già essere il malato dell’Eurasia, come lo era l’Impero Ottomano dell’Europa.

Per quanto riguarda la Cina , la sua crescita economica annuale a due cifre fino è rallentata a una cifra singola e potrebbe presto raggiungere cifre basse a una cifra. Il capitale è fuggito dal paese, con investitori stranieri che vendono molti miliardi di dollari in obbligazioni cinesi e altri miliardi in azioni cinesi. Allo stesso tempo l’economia cinese è maturata e gli investimenti dall’estero sono diminuiti, la sua popolazione è invecchiata e la sua forza lavoro si è ridotta. Tutto ciò non è di buon auspicio per la futura stabilità interna. Lo ha notato Kevin Rudd, presidente dell’Asia Society ed ex primo ministro australiano il quale ha proferito che il presidente cinese Xi Jinping, attraverso le sue politiche stataliste e ferree comuniste, “ha iniziato a strangolare l’oca che, per 35 anni, ha deposto l’uovo d’oro”. Queste dure realtà economiche, minando il tenore di vita del cittadino medio cinese, possono minacciare la pace sociale e il sostegno implicito al sistema comunista. I regimi autoritari, mentre presentano un’aura di serenità, possono sempre marcire dall’interno .

Gli Stati Uniti sono una democrazia, quindi i suoi problemi sono più trasparenti. Ma questo non li rende necessariamente meno acuti. Il fatto è che mentre il deficit federale sale verso livelli insopportabili, lo stesso processo di globalizzazione ha diviso gli americani in due metà in guerra: coloro che sono stati trascinati nei valori di una nuova civiltà cosmopolita mondiale e quelli che la rifiutano per il bene di una più tradizionale e di un nazionalismo religioso. Metà degli Stati Uniti è sfuggita alla sua geografia continentale mentre l’altra metà è ancorata ad essa. Gli oceani sono sempre meno un fattore per isolare gli Stati Uniti dal resto del mondo, che per oltre 200 anni ha contribuito a provvedere alla coesione comunitaria del paese. Gli Stati Uniti erano una democrazia di massa ben funzionante nell’era della stampa e delle macchine da scrivere, ma è molto meno di successo nell’era digitale, le cui innovazioni alimentarono la rabbia populista che portò all’ascesa di Donald Trump .

A causa di questi cambiamenti, sta probabilmente prendendo forma una nuova configurazione di potere globale. In uno scenario, la Russia declina precipitosamente a causa della sua guerra mal generata, la Cina trova troppo difficile ottenere un potere economico e tecnologico sostenuto sotto un Partito Comunista Cinese (PCC) che torna sempre più al leninismo ortodosso e gli Stati Uniti superano i loro disordini interni e alla fine riemerge, come ha fatto subito dopo la Guerra Fredda, come potenza unipolare. Un’altra possibilità è un mondo veramente bipolare in cui la Cina mantenga il suo dinamismo economico anche se diventa più autoritaria. Una terza possibilità è il graduale declino di tutte e tre le potenze, che porta a un maggiore grado di anarchia nel sistema internazionale, con potenze di medio livello, in particolare in Medio Oriente e Asia meridionale, ancora meno contenute di quanto non lo siano già, e Stati europei incapaci di essere d’accordo su tante cose in assenza di una forte leadership americana, con la Russia post-Putin alla sua frontiera.

Quale scenario emergerà dipenderà molto dall’esito delle contese militari. Il mondo sta assistendo a ciò che una grande guerra di terra nell’Europa orientale sta modellando alle prospettive e alla reputazione della Russia come grande potenza. Ucraina ha smascherato la macchina da guerra russa come distintamente appartenente al mondo in via di sviluppo: incline all’indisciplina, alle diserzioni e povera di una logistica inesistente, con un corpo estremamente debole di sottufficiali. Come la guerra in Ucraina, un sofisticato conflitto navale, informatico e missilistico a Taiwan o nel Mar Cinese Meridionale o nel Mar Cinese Orientale sarebbe più facile da iniziare che da finire. Ad esempio, quale sarebbe l’obiettivo strategico degli Stati Uniti una volta che tali ostilità militari fossero iniziate sul serio: la fine del governo del PCC in Cina? In tal caso, come reagirebbe Washington al caos che ne risulterebbe? Gli Stati Uniti hanno appena cominciato a riflettere su queste domande. La guerra, come Washington ha imparato in Afghanistan e in Iraq, è un vaso di Pandora.

STRATEGIA DI SOPRAVVIVENZA

Nessun grande potere dura per sempre. Ma forse l’esempio più impressionante di resistenza è l’impero bizantino, che durò dal 330 d.C. sino alla conquista di Costantinopoli durante la quarta crociata nel 1204, per poi riprendersi e sopravvivere fino alla vittoria finale ottomana nel 1453. Ciò è doppiamente impressionante se si considera che Bisanzio aveva una geografia più difficile e nemici più forti, e di conseguenza maggiori vulnerabilità, rispetto a Roma in Occidente. Lo storico Edward Luttwak ha affermato che Bisanzio “faceva meno affidamento sulla forza militare e più su tutte le forme di persuasione: per reclutare alleati, dissuadere i nemici e indurre potenziali nemici ad attaccarsi a vicenda”. Inoltre, quando combattevano, osserva Luttwak, “i bizantini erano meno inclini a distruggere i nemici che a contenerli, sia per conservare le forze sia perché sapevano che il nemico di oggi poteva essere l’alleato di domani”.

In altre parole, non si tratta solo di evitare grandi guerre quando possibile, ma anche di non essere apertamente ideologici, per poter considerare il nemico di oggi l’amico di domani, anche se ha un sistema politico diverso dal proprio. Non è stato facile per gli Stati Unitifare, visto che vede se stessa come una potenza missionaria impegnata a diffondere la democrazia. I Bizantini hanno inciso una flessibilità amorale nel loro sistema, nonostante la sua presunta religiosità; un approccio realistico che è diventato più difficile da realizzare negli Stati Uniti, in parte a causa del potere di un’establishment mediatico ipocrita. Personaggi influenti nei media americani chiedono incessantemente a Washington di promuovere e talvolta persino far rispettare la democrazia e i diritti umani in tutto il mondo, anche quando ciò danneggia gli interessi geopolitici degli Stati Uniti. Oltre ai media, c’è la stessa classe dirigente della politica estera, che, come ha dimostrato l’intervento militare statunitense in Libia nel 2011, non ha imparato appieno le lezioni del crollo dell’Iraq e di quella che era anche allora la continua intrattabilità dell’Afghanistan. Tuttavia, la risposta relativamente misurata dell’amministrazione Biden in Ucraina – non inserendo truppe statunitensi e consigliando informalmente agli ucraini di non espandere la loro guerra in territorio russo – potrebbe segnare un punto di svolta. In effetti, meno missionari sono gli Stati Uniti nel loro approccio, più è probabile che evitino guerre disastrose. Naturalmente, gli Stati Uniti non devono spingersi fino alla Cina autoritaria, che non tiene lezioni morali ad altri governi e società, affrontando volentieri regimi i cui valori differiscono da quelli di Pechino quando ciò offre alla Cina un vantaggio economico e geopolitico.

Una politica estera statunitense più contenuta potrebbe essere la ricetta per la sopravvivenza a lungo termine della potenza americana. Il “bilanciamento offshore” a prima vista servirebbe come strategia guida di Washington: “Invece di controllare il mondo, gli Stati Uniti incoraggerebbero altri paesi a prendere l’iniziativa nel controllare le potenze emergenti, intervenendo solo quando necessario”, come affermano gli scienziati politici John Mearsheimer e Stephen Walt lo mise in Foreign Affairs nel 2016. Il problema con questo approccio, tuttavia, è che il mondo è così fluido e interconnesso, con crisi in una parte del globo che migrano verso altre parti, che la moderazione potrebbe semplicemente non essere praticabile. Il bilanciamento offshore potrebbe essere semplicemente troppo restrittivo e meccanico. L’isolazionismo prosperò in un’epoca in cui le navi erano l’unico modo per attraversare l’Oceano Atlantico e impiegavano giorni per farlo. Attualmente, una dichiarata politica di moderazione potrebbe solo telegrafare debolezza e incertezza.

Purtroppo, gli Stati Uniti sono destinati a essere coinvolti in crisi estere, alcune delle quali avranno una componente militare. Questa è la natura stessa di questo mondo sempre più popoloso, interconnesso e claustrofobico. Ancora una volta, il concetto chiave è pensare sempre in modo tragico: cioè contemplare gli scenari peggiori per ogni crisi, pur non lasciandosi immobilizzare nell’inerzia generale. È più un’arte e una brillante intuizione che una scienza. Eppure è così che le grandi potenze sono sempre sopravvissute.

Gli imperi possono finire all’improvviso e, quando lo fanno, ne derivano caos e instabilità. Probabilmente è troppo tardi per la Russia per evitare questo destino. La Cina potrebbe farcela, ma sarà difficile. Gli Stati Uniti sono ancora nella posizione migliore tra i tre, ma più a lungo attende di adottare un cambiamento più tragico e realistico nel suo approccio, peggiori saranno le probabilità. Una grande strategia dei limiti è fondamentale. Speriamo che inizi adesso, con la politica di guerra dell’amministrazione Biden in Ucraina.

https://www.foreignaffairs.com/world/downside-imperial-collapse

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