Dove sta andando l’economia russa con la guerra e le sanzioni?_di Jacques Sapir

 

Un articolo particolarmente importante non solo per comprendere la situazione economica in Russia, tutt’altro che esente da carenze e problemi, ma priva della drammaticità, così come rappresentata dalla narrazione delle élites a direzione statunitense. La rilevanza si deduce da due altri aspetti significativi per tutte le formazioni socio-economiche e i relativi centri decisori connessi: la progressiva regionalizzazione delle economie corrispondente alla incipiente formazione di aree di influenza multipolari; la progressiva centralizzazione del controllo dei flussi economici fondamentali tra le varie aree da parte delle potenze virtualmente egemoni. Segno che le dinamiche economiche e geoeconomiche stanno perdendo sempre più la relativa autonomia di azione di cui potevano godere nella fase di globalizzazione tendenzialmente unipolare. Una tematica apertamente e violentemente visibile nell’acceso confronto politico negli Stati Uniti; che traspare ancora sotto traccia in Cina, in quanto paese emergente in grado e ancora impegnata ad approfittare ulteriormente, più degli altri, delle vecchie dinamiche della globalizzazione e di un approccio multilaterale alle dinamiche geopolitiche; del tutto rimossa, non a caso, tra le élites subordinate e sottomesse dell’area occidentale, in prima fila quelle dell’Italia, del tutto impreparate ed indisponibili ad affrontare, da protagoniste o quantomeno da compartecipi, gli spazi e i rischi offerti dalla nuova situazione. Questi ultimi, i predestinati a subire i contraccolpi più devastanti. Nella sempre più ampia zona grigia che si va estendendo nel mondo, una serie di paesi intraprendenti di media potenza impegnati in politiche sempre più pragmatiche e disinvolte. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 miei colleghi dell’Istituto per la previsione economica dell’Accademia delle scienze (INP-RAN in russo) con cui la CEMI organizza dal 1991 il seminario franco-russo sullo sviluppo della Russia, hanno pubblicato contemporaneamente un documento molto ampio (296 pagine) sul potenziale di crescita della Russia[1], un documento che ha mobilitato quasi tutti i ricercatori INP-RAN e un’analisi dell’andamento del PIL russo per la seconda metà del 2022[ 2]. Quest’ultimo testo è stato prodotto dal team del mio collega e amico Alexandre Shirov. Questi due documenti, diversi per forma e contenuto, sono oggi molto importanti nel contesto creato dalla guerra in Ucraina scatenata dalla Russia il 24 febbraio 2022. Mi è sembrato quindi fondamentale presentarli ai lettori francesi. .

Ho quindi stabilito una traduzione della sintesi della relazione scientifica sul potenziale di crescita, nonché del testo molto più breve relativo alle tendenze recenti nell’evoluzione del PIL russo.

Prego in anticipo i miei lettori di perdonarmi per una traduzione indubbiamente imperfetta e, comunque, un po’ grossolana. Queste opere non sono opere letterarie e la loro disponibilità immediata mi sembrava dovesse prevalere su ogni sforzo di stile._Jacques Sapir

I. Il potenziale di crescita dell’economia russa: analisi e previsioni.

Relazione scientifica (riassunto) – INP-RAN – Luglio 2022

I cambiamenti fondamentali e drammatici della situazione geopolitica e geoeconomica nella primavera del 2022 hanno trasformato qualitativamente la natura dell’ambiente in cui opera ora l’economia russa, nonché i principi stessi del suo sviluppo. Il modello di integrazione nel mercato mondiale, e soprattutto di integrazione nell’economia europea, che si era sviluppato negli ultimi 30 anni, è ora in crisi e, a quanto pare, non sarà mai più lo stesso. Questo non significa abbandonare il principio dell’apertura al mercato mondiale, ma cambia radicalmente la natura delle relazioni economiche esterne con i paesi sviluppati.

In queste condizioni, è importante comprendere le potenziali opportunità a disposizione dell’economia russa. Questo rapporto dell’Institute for Economic Forecasting (INP-RAN) è dedicato alla valutazione del potenziale di crescita economica esistente in Russia nel periodo precedente la crisi del 2022. Comprendere questo potenziale consentirà di costruire una strategia efficace per il ristrutturazione tecnologica dell’economia russa nelle nuove condizioni.

La crescita economica potenziale è intesa, nella presente relazione, come un insieme di condizioni e fattori che assicurano il massimo incremento possibile della produzione e/o dell’utilizzo (consumo) in base alle risorse disponibili nel Paese. Questa definizione riflette la dualità del concetto di “potenziale di crescita economica”:

  • da un lato, è una valutazione delle opportunità di crescita disponibili
  • d’altra parte, è una descrizione dei suoi limiti.

Una valutazione del potenziale di crescita a medio e/o lungo termine è necessaria per determinare, in un primo momento, le priorità della politica di sviluppo socioeconomico, tenendo conto dei vincoli di risorse esistenti e di un possibile insieme di misure di politica economica ; secondo, prospettive a lungo termine per lo sviluppo dell’economia nazionale, libera dall’influenza di molti shock di mercato.

Il rapporto contiene 6 capitoli e applicazioni.

1. I fattori materiali di crescita

La prima sezione del rapporto contiene un’analisi dello spazio di crescita, che, da un lato, è determinato dalla capacità dei mercati esterno e interno, e, dall’altro, dallo stato del potenziale produttivo e della produzione efficienza ad esso associata.

Vi è un’elevata probabilità che si formi uno scenario di regionalizzazione dell’economia mondiale, in cui il tasso di crescita del PIL mondiale supererà il tasso di crescita delle esportazioni mondiali. Questo costituisce quindi quello che chiameremo scenario di base. Ad essa ci opponiamo uno scenario di continuazione inerziale della globalizzazione, che sembra improbabile.

Tabella 1

Al tempo stesso, sia nello scenario di prosecuzione del trend di globalizzazione, sia con il predominio della regionalizzazione dell’economia mondiale (scenario di base), si prevede un aumento della domanda di materie prime. Ciò sosterrà lo sviluppo dell’economia russa e del suo complesso merceologico, anche di fronte al deterioramento delle relazioni con i paesi sviluppati.

I prodotti diversi dalle materie prime svolgeranno un ruolo significativo nelle esportazioni totali nella migliore delle ipotesi oltre il 2040. Se i prezzi degli idrocarburi rimarranno relativamente bassi, la quota delle materie prime nelle esportazioni potrebbe scendere dal 74% nel 2019 al 63% nel 2035, mentre la quota degli idrocarburi dal 61% % al 47%.

Condizione necessaria per lo sviluppo sostenibile dell’economia russa è quindi la crescita dell’efficienza della sua produzione. Un importante indicatore dell’efficienza della produzione settoriale è la produttività dell’uso delle risorse primarie, che è l’inverso del consumo materiale delle risorse primarie, mostrando la quota di valore aggiunto della trasformazione. La crescita della produttività nell’economia è dovuta a cambiamenti tecnologici e strutturali.

Grafico 1

Per garantire il tasso di crescita a lungo termine dell’economia russa al livello del 2,5%-3% annuo, sarà necessario aumentare la produttività delle risorse primarie di almeno il 2,5% annuo. Allo stesso tempo, tassi di crescita della produttività del 2,5-3% all’anno richiedono notevoli sforzi di investimento. Solo pochi paesi, tra cui Cina e India, sono stati in grado di farlo negli ultimi anni. È anche importante tenere conto del fatto che le industrie hanno diverse possibilità per migliorare il livello tecnico della produzione. Le industrie con tecnologie consolidate ad alta intensità di capitale e una struttura produttiva conservativa, come la raffinazione del petrolio o la metallurgia, non possono contare su un rapido aumento del livello tecnico di produzione e, di conseguenza, su un forte contributo del progresso scientifico e tecnico alla crescita della produzione.

Allo stesso tempo, l’agricoltura e l’edilizia, a causa dei cambiamenti intrasettoriali e territoriali, nonché delle nuove tecnologie, possono produrre un progresso tecnico molto rapido. Indubbiamente, il potenziale per il progresso tecnologico nell’ingegneria, nelle comunicazioni e nelle telecomunicazioni è grande, e questo ci si può aspettare anche in un certo numero di industrie di servizi.

Non meno importante è l’analisi dello stato degli impianti produttivi. La modernizzazione dell’industria manifatturiera avvenuta negli ultimi 20 anni è caratterizzata da un aumento della capacità produttiva di quasi una volta e mezza (da 1,4 a 2 volte nella maggior parte dei settori). La quota di “vecchie capacità” (commissionate prima del 2000) è insignificante nella maggior parte dei settori, ad eccezione dell’industria chimica (dove è stimata al 44%) e della metallurgia (62%). L’età media del capitale fisso è di circa 12 anni. In generale, la situazione della modernizzazione della capacità può essere definita soddisfacente nei segmenti delle materie prime e della produzione alimentare. Tuttavia, nell’ingegneria meccanica e nella produzione di prodotti non alimentari “tecnologicamente complessi”, lo stato delle capacità non può essere considerato soddisfacente. Il rinnovo delle capacità è avvenuto in gran parte attraverso l’installazione di impianti di assemblaggio tecnicamente semplici. In generale, si deve parlare del potenziale di capacità competitive inutilizzate, il cui livello può essere stimato almeno al 10% della produzione nel 2021.

Un aumento significativo del reddito reale della popolazione dall’inizio degli anni 2000 non ha comportato un cambiamento nella struttura dei costi di consumo della popolazione. Questo rimane stabile. Inoltre, la quota della spesa alimentare delle famiglie resta estremamente elevata. Allo stesso tempo, il consumo di cibo in Russia è abbastanza vicino al punto di saturazione. Data la crescita del reddito delle famiglie, la maggior parte dell’aumento della spesa per consumi, secondo le nostre stime, sarà destinato all’acquisto di case, manutenzione auto, servizi di trasporto, eventi ricreativi e culturali, nonché servizi sanitari e educativi a pagamento .

Le capacità di produzione e distribuzione esistenti nel Russian Fuel and Energy Complex (TEC) sono in grado di soddisfare la domanda di energia in qualsiasi scenario costruttivo per lo sviluppo dell’economia russa. Nell’ambito della transizione verso una politica di decarbonizzazione, le industrie del complesso energetico ed energetico russo (TEC) possono modernizzare le proprie capacità e allo stesso tempo ridurre le emissioni di gas serra. Ciò rende il complesso energetico ed energetico russo lo strumento più importante per risolvere i problemi dell’agenda climatica .

Nel contesto dei mercati globali in rapida evoluzione, il sistema di regolamentazione russo nel settore energetico deve rispondere rapidamente alle sfide emergenti. Si tratta di questioni relative alla tariffazione e alla tassazione nel mercato interno dell’energia, al mantenimento della competitività e all’aumento dell’efficienza nel settore dell’energia.

Nell’area del complesso agroindustriale (APK), la politica dovrebbe alleviare i vincoli esistenti sulla domanda interna ed esterna. Ciò contribuirà alla crescita della produzione agricola nazionale. Tale politica strutturale può essere attuata mediante varie misure quali:

  • assistenza sociale mirata alle famiglie a basso reddito;
  • ulteriori contributi federali a sostegno dei programmi regionali per lo sviluppo dell’agricoltura nei soggetti “periferici” della Federazione Russa, che hanno un notevole potenziale di risorse per la crescita della produzione agricola, ma sono caratterizzati da bassa redditività e un livello tecnologico arretrato dell’agro- complesso industriale;
  • sovvenzioni per il trasporto interregionale e l’esportazione di prodotti agricoli provenienti da regioni lontane dai principali mercati nazionali ed esteri.

Le misure più efficaci per regolare il mercato interno e garantire la sicurezza alimentare sono i meccanismi di approvvigionamento e intervento (prezzi e quantità) sui prodotti di base, nonché le sovvenzioni ai produttori agroalimentari (con obbligo di fornire prodotti al mercato interno a prezzi ridotti per l’importo della sovvenzione).

Uno dei mercati nazionali più importanti è il mercato automobilistico. Negli scenari considerati nel rapporto, il livello dell’offerta di trasporto su strada aumenterà, ma a ritmi diversi. Nello scenario di limitazione dell’uso dei veicoli personali nelle grandi città, la capacità del mercato delle auto private entro il 2040 potrebbe raggiungere i 3,4 milioni di veicoli. In generale, il potenziale di crescita del mercato delle autovetture è ampio e il suo sviluppo può avere un grave impatto sulla formazione di indicatori macroeconomici.

Le possibilità di sostituzione delle importazioni assumono particolare importanza di fronte alle pressioni esterne sull’economia russa. Secondo le stime ottenute, la realizzazione del potenziale di sostituzione delle importazioni e di crescita delle esportazioni fino al 2040 è in grado di garantire un aumento della produzione nel complesso chimico (di circa 1,8 volte), nell’industria del legno (1,6-1,7 volte), ingegneria meccanica e metallurgia (1,4-1,5 volte).

Il mercato più importante che influenza lo sviluppo dell’economia è il mercato delle costruzioni. Le stime mostrano che, tenendo conto delle restrizioni esistenti, nonché delle possibilità di aumentare il volume di costruzione di alloggi, il volume potenziale di messa in servizio di alloggi per abitante in futuro fino al 2040 può raggiungere 0,75 m². m/persona nell’anno. Naturalmente, un tale volume di commissioning implica la disponibilità di capacità di costruzione, il loro personale con personale qualificato, lo sviluppo del mercato dei materiali da costruzione, l’uso di nuove tecnologie nell’edilizia, il sostegno istituzionale e finanziario per il rafforzamento dei lavori di costruzione.

2. Demografia

Il problema del declino demografico della popolazione russa merita senza dubbio la massima attenzione. Allo stesso tempo, l’evoluzione dei numeri dipende dalle principali tendenze demografiche: fertilità, mortalità e migrazione, ognuna delle quali merita di essere esaminata separatamente.

La politica demografica e sanitaria ha un effetto limitato sull’evoluzione della popolazione. Tuttavia, il compito di stabilizzare la popolazione può essere efficacemente risolto con l’aiuto di una gerarchia ben strutturata degli obiettivi di sviluppo della popolazione e di una politica volta a migliorare la salute della popolazione.

Uno degli elementi chiave dell’agenda demografica è il tasso di natalità. I confronti internazionali mostrano che il tasso di natalità in Russia è paragonabile a quello della maggior parte dei paesi con un livello di sviluppo socioeconomico simile e superiore.

Dall’inizio degli anni 2000 l’indice sintetico di fertilità, cioè che non dipende dalle onde demografiche, è in costante aumento. Nel 2014-2016 ha quasi raggiunto il livello di 1,8 figli per donna. C’erano tutte le ragioni per credere che avrebbe continuato a crescere. Tuttavia, in pochi anni, il tasso è sceso drasticamente a 1,5 figli per donna (2019-2020). È un importante indicatore indiretto del grado di ottimismo sociale e di fiducia nel futuro della popolazione. Sarebbe quindi sbagliato ritenere che la situazione delle nascite sia stabile e non dipenda dai parametri di sviluppo economico. Sono necessarie azioni per mantenere il tasso di natalità e rafforzare la famiglia, nonché per migliorare il livello e la qualità della vita nel Paese.

Il tasso di mortalità in Russia, nonostante il trend positivo osservato fino alla pandemia di coronavirus, rimane estremamente elevato (soprattutto per la popolazione maschile), cosa inaccettabile per un Paese con un tale livello di sviluppo economico e potenziale umano.

Al fine di ridurre rapidamente il tasso di mortalità, occorre prestare particolare attenzione alle cause di morte, che consentiranno di concentrare gli sforzi sulle misure più efficaci nel campo della salute, delle politiche sociali, ecc. Attualmente, i gruppi aggregati più importanti di cause di morte sono la mortalità per cause esterne e le malattie del sistema circolatorio. Con l’aumento dell’aspettativa di vita, è necessario prestare sempre più attenzione ai problemi associati al cancro.

Tra i principali fattori che influenzano sia l’alto tasso di mortalità che il calo della natalità, si annovera il reddito insufficiente di una parte significativa della popolazione del Paese. La crescita dei livelli di reddito, la loro distribuzione più equa ed efficiente, la lotta alla povertà, la continua attuazione di misure di politica familiare che hanno dimostrato la loro efficacia sono misure che daranno impulso allo sviluppo demografico del Paese, influenzando la dinamica delle nascite e dei decessi.

In questo contesto, la migrazione dovrebbe essere vista come un fattore complementare alla politica demografica. In definitiva, l’entità dei flussi migratori dovrebbe essere determinata dal tasso di crescita economica e dal livello di sviluppo tecnologico dell’economia. Allo stesso tempo, ovviamente, bisogna tener conto di un limite naturale: la capacità della società di integrare un certo numero di migranti.

Secondo lo scenario demografico di base, la popolazione della Russia entro il 2035 sarà di 143,9 milioni di persone. Nella maggior parte dei casi, la conservazione della popolazione sarà determinata da una diminuzione della mortalità e da un aumento della natalità. Il maggior contributo all’aumento dell’aspettativa di vita fino al 2035 sarà dato dalla diminuzione della mortalità per cause esterne e malattie del sistema circolatorio. Con un aumento generale dell’aspettativa di vita degli uomini nel 2019-2035 dell’ordine di 6,8 anni, il contributo della riduzione del livello di mortalità per cause esterne e malattie del sistema circolatorio, secondo le previsioni dello scenario di riferimento, saranno circa 5 anni.

3. Sviluppo scientifico e tecnico

I problemi dello sviluppo scientifico e tecnico in Russia saranno determinati sia dal contesto globale che dai suoi processi interni. Si tratta in primo luogo della necessità di compensare, attraverso lo sviluppo scientifico e tecnologico, la potenziale carenza di manodopera, la riduzione dell’affitto delle materie prime e, ovviamente, le restrizioni economiche estere.

La distribuzione dei finanziamenti aziendali per la ricerca e lo sviluppo (R&S) in tutto il mondo riflette chiaramente il processo di concentrazione delle risorse finanziarie, scientifiche e tecniche in un piccolo gruppo di paesi così come nelle grandi società transnazionali (TNC). Queste multinazionali si concentrano sul finanziamento di tecnologie biologiche e digitali avanzate, principalmente legate allo sviluppo di software e alla fornitura di servizi sotto forma di “piattaforma” che utilizza un insieme di tecnologie di intelligenza artificiale. Ognuna di queste grandi società tecnologiche stanzia annualmente più risorse finanziarie per finanziare la propria ricerca e sviluppo rispetto a quelle che la Russia spende in tutte le aree della ricerca e sviluppo da tutte le fonti di finanziamento.

In queste condizioni, le limitate risorse finanziarie dei paesi in via di sviluppo, inclusa la Federazione Russa, rendono impossibile fissare obiettivi strategici nel campo della politica scientifica e tecnologica in previsione di un rapido effetto economico. Pertanto, l’ovvia priorità dovrebbe essere una strategia collettiva per lo sviluppo scientifico e tecnologico, in particolare la creazione e lo sviluppo di un ecosistema digitale unico con paesi amici, e il suo obiettivo principale è proteggere la sovranità tecnologica e il finanziamento mirato di alcuni dei più aree critiche della R&S.

I mercati settoriali e tecnologici più promettenti per la scienza russa sono:

tecnologie nel campo delle produzioni agroalimentari; industrie estrattive; prodotti chimici e petrolchimici; ingegnere meccanico; biotecnologie, farmacologia e medicina; tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Il superamento dei limiti esistenti dello sviluppo scientifico e tecnologico richiede l’attuazione di una serie di azioni:

  • La modernizzazione della scienza è un’area chiave che garantisce l’attuazione delle altre due aree. Il suo elemento principale è il rinnovamento delle basi tecniche e umane della scienza. Per fare ciò, è necessario riorientare la scienza dell’“inerzia” seguendo l’agenda globale per soddisfare le specifiche esigenze di sviluppo dell’economia russa.
  • Sviluppo di progetti rivoluzionari. I risultati dei progetti tecnologici attuati dallo Stato dovrebbero essere comunicati alle imprese private (compresi i progetti volti a creare una base tecnologica per lo sviluppo futuro).
  • Miglioramento tecnologico delle industrie di massa. Stiamo parlando, prima di tutto, della modernizzazione tecnologica delle imprese russe nel settore reale dell’economia sulla base del sistema nazionale di innovazione e, per le organizzazioni scientifiche, dell’orientamento alla domanda delle imprese.

4. Imprese e Istituzioni

La dinamica economica dell’economia russa è attualmente influenzata dai vantaggi istituzionali accumulati negli ultimi decenni per alcuni gruppi di imprese rispetto ad altri. Sono state formate strutture multilivello, in cui un’impresa a un livello più alto nella gerarchia riceve quella che può essere definita una rendita istituzionale e, di conseguenza, domina regolarmente l’impresa ai livelli più bassi nella gerarchia. Negli ultimi anni tali gerarchie si sono rafforzate sia nell’economia russa che mondiale, le barriere tra i livelli si stanno allargando, le aziende stanno prendendo piede nel loro “strato”, trovandosi di fatto in una “trappola” istituzionale.

La concentrazione delle imprese in determinati settori dell’economia e il loro consolidamento intorno al gruppo delle imprese leader di mercato riflette i cambiamenti qualitativi nell’architettura dei mercati, l’aumento del predominio esplicito o implicito e la formazione di barriere e trappole istituzionali. Può manifestarsi altri fattori istituzionali legati allo sviluppo dei “poli di crescita”, alla politica fiscale regionale o settoriale, al sostegno all’export, allo sviluppo di infrastrutture federali o di reti di filiali di banche e altri organismi intermediari. , ecc.

Vale anche la pena notare il processo di aumento della quota del settore bancario nell’economia russa, caratteristica anche dell’economia mondiale. Pertanto, il rapporto tra le attività del settore bancario e il PIL in Russia ha raggiunto il 97,1% all’inizio del 2021 (rispetto all’81,3% dell’anno precedente). I principali motori di crescita sono stati l’accumulo del debito delle famiglie (dovuto in particolare all’aumento del volume del portafoglio mutui) e del settore non finanziario (dovuto in particolare all’aumento del finanziamento dell’edilizia abitativa). L’aumento vertiginoso degli asset del settore bancario dal 2020 è legato sia all’attuazione delle misure adottate dal programma anticrisi dei prestiti ai vari settori, sia

5. Il settore finanziario e la politica monetaria

L’attuale situazione del settore finanziario dell’economia russa è determinata dalla politica statale e delle grandi imprese. Allo stesso tempo, le direzioni della politica fiscale e monetaria si formano sotto l’influenza delle sfide emergenti e delle restrizioni allo sviluppo economico.

Nella recente storia russa, c’è stata una costante discrepanza tra il tasso di cambio del rublo e il PPP. Essa è sorretta da due principi di politica finanziaria: primo, la deliberata sottovalutazione del tasso di cambio del rublo (anche a causa del funzionamento della regola fiscale); in secondo luogo, frenare l’inflazione (anche attraverso meccanismi di targeting dell’inflazione).

Nelle condizioni della nuova situazione geopolitica del 2022, il dibattito sui principi di formazione del tasso di cambio nell’economia russa si è nuovamente intensificato. La definizione del tasso di cambio da parte della Banca Centrale della Federazione Russa come “libero fluttuante” non regge a critiche a causa del fatto che dal 2014 al 2022 c’è stato un costante aumento delle riserve internazionali della Russia.

Infatti, tre parametri – tasso di cambio, tasso di interesse e riserve valutarie – caratterizzano lo stesso processo economico, misurato su tre scale. Se il tasso di cambio è sottovalutato rispetto al valore di equilibrio (basato sugli indicatori della bilancia dei pagamenti), le riserve aumentano. Se il tasso di cambio del rublo è sottovalutato, a parità di tutte le altre condizioni, ciò porta a un aumento del tasso chiave. Se il volume delle riserve internazionali aumenta, si accumula il divario tra il tasso di cambio del rublo e il PPP.

Sotto l’influenza di questi fattori, si formano una serie di caratteristiche del sistema finanziario nazionale.

  • Il predominio dei settori delle materie prime nella struttura delle entrate e del bilancio del paese. I loro profitti accumulati costituiscono gran parte delle passività bancarie concentrate. Pertanto, nella giustificazione e nell’applicazione delle misure di politica economica, le società di materie prime hanno serie preferenze.
  • Il tasso di interesse corrisponde al tasso di rotazione del capitale economico risultante. A sua volta, un tasso di interesse sopravvalutato nell’economia russa riflette il predominio delle industrie primarie nella formazione del reddito totale. In un’economia dominata da grandi società integrate verticalmente, i tassi di interesse sono più elevati perché il rischio del mutuatario per il resto dell’economia è incomparabilmente più elevato.
  • Nell’economia esistono numerosi settori ad alta rotazione (commercio e servizi non manifatturieri) che possono operare normalmente anche a tassi più elevati. Tuttavia, il problema è che questo crea un divario tra le imprese che possono contrarre prestiti a questo tasso e quelle che non possono, il che si traduce in un limite dello sviluppo economico.
  • Il tasso di interesse medio si forma sotto l’influenza del livello di redditività dei settori chiave dell’economia, allo stesso tempo influisce sulla struttura delle passività del settore finanziario. Le banche sono interessate a mantenere il loro valore reale. Per soddisfare questa esigenza, il sistema finanziario russo si equilibra attraverso l’atteso indebolimento del tasso di cambio del rublo.
  • Le risorse dei settori primari accumulate nel sistema bancario non sono in equilibrio con le risorse accumulate negli altri settori dell’economia.

La discussione che si svolge nello spazio pubblico russo in merito al livello del tasso di interesse riflette il conflitto di interessi dei mutuatari (che desiderano un tasso basso) e dei risparmiatori (che desiderano un reddito più elevato). Il tasso di cambio del rublo è un fattore importante qui. Come sapete, la Banca centrale è responsabile della stabilità della valuta nazionale, che, tra l’altro, influisce sul volume dei depositi in rubli della popolazione. Pertanto, la Banca centrale russa (BCR) è obbligata a includere nei tassi sui depositi in rubli il previsto deprezzamento del rublo. Si ritiene che la regolamentazione dei tassi di interesse nelle precedenti crisi valutarie abbia mantenuto un ampio deflusso di capitali dai depositi in rubli.

Ci sono tutta una serie di progetti nell’economia russa che non saranno finanziati da prestiti bancari. Questi progetti sono inaccettabili per le banche in termini di rapporto di liquidità, rischio e redditività. Allo stesso tempo, la domanda per questo tipo di finanziamento è in aumento. Per finanziare tali progetti occorrono fondi (investitori istituzionali) che concentrino capitali privati, prestiti per acquisti ad alto rischio. Ciò significa che la parte più dinamica dell’economia in futuro potrebbe essere finanziata non dalle banche, ma da questi fondi . Ciò limita lo sviluppo del sistema bancario e la sua rilevanza nell’economia russa, soprattutto di fronte alla pressione delle sanzioni esterne.

Gli attuali parametri strutturali dell’economia russa difficilmente possono garantire la massiccia partecipazione dei prestiti bancari al finanziamento di progetti di investimento. Il limite è il livello dei tassi di interesse, il divario tra il tasso di cambio e la parità, il divario tra le caratteristiche della domanda e dell’offerta nel mercato dei capitali da prestito. Di conseguenza, aumentano le esigenze per lo sviluppo di canali alternativi di finanziamento della crescita economica.

Si propone quindi il seguente scenario per lo sviluppo delle attività di intermediario nel mercato finanziario.

  1. Sviluppo di fondi. Attualmente hanno un elevato potenziale di sviluppo ma sono sottofinanziati, in parte a causa di eccessivi deflussi di capitali e della mancanza di regolamentazione. I fondi sono gli intermediari più promettenti per le risorse con rischi superiori alla media. Devono accumulare capitale non reclamato per le prospettive di crescita del mercato azionario.
  2. Banche universali. Il loro capitale cresce più lentamente di quello di altri settori del mercato finanziario. Il rapido sviluppo è ostacolato dalla diversione delle risorse verso prestiti subprime. Le banche universali sono vulnerabili allo sviluppo di tecnologie finanziarie alternative, quindi cercano di proteggere il loro mercato creando ecosistemi e altre piattaforme che impediscano ai clienti di passare alla concorrenza.
  3. Società di investimento e broker. Il loro potenziale di crescita corrisponde alla crescita complessiva del mercato finanziario, ma ha un chiaro limite in termini di ammontare dei fondi raccolti.
  4. Le piattaforme che utilizzano le moderne tecnologie finanziarie competono con successo per le risorse con il sistema bancario, ma è improbabile che siano in grado di rivendicare risorse destinate ai fondi di investimento.

Lo sviluppo del settore finanziario nazionale, che contribuisce all’accelerazione della crescita di lungo periodo e alla positiva trasformazione qualitativa dell’economia russa, comporta:

  • Espansione delle attività del settore finanziario nazionale in previsione di una crescita economica commisurata alla necessità complessiva di raccogliere fondi per finanziare investimenti e capitale circolante;
  • struttura equilibrata degli strumenti finanziari offerti e loro conformità alla domanda dei mutuatari finali. Allo stesso tempo, nel contesto di una trasformazione qualitativa dell’economia, aumenterà sempre di più la necessità di strumenti finanziari a lungo termine con un rischio accettabile;
  • ridurre il livello di asimmetria informativa tra potenziali mutuatari e fonti di finanziamento, che garantisce l’efficienza della selezione delle imprese e dei progetti finanziati;
  • partecipazione attiva delle istituzioni finanziarie alla creazione e allo sviluppo di società “campione” incentrate su una rapida crescita basata sull’adattamento delle nuove tecnologie e sulla formazione di nuovi mercati.

Confronto tra le esigenze dei settori del settore reale per attrarre fondi e le capacità del settore finanziario nazionale di fornirli per il periodo di previsione 2022-2030. Ciò porta alle seguenti conclusioni.

Bilancio domanda-offerta per il mercato finanziario : nel periodo di previsione in esame, il volume medio annuo della domanda di finanziamento alle imprese aumenterà del 25% rispetto al periodo 2017-2020, l’offerta media annua di risorse per lo stesso periodo aumenterà del 120% (entrambi i valori sono presentati a prezzi comparabili). Pertanto, il volume dell’offerta di risorse finanziarie da parte del settore finanziario nazionale può in parte sostituire altre fonti di finanziamento delle attività delle imprese nel settore reale dell’economia, compresi i fondi di bilancio e gli investimenti esteri (cosa particolarmente importante nel contesto della vincoli).

Correzione delle sproporzioni esistenti : Nel medio termine, se consideriamo la struttura dell’offerta di risorse finanziarie e la relativa domanda dal settore reale dell’economia, vi sono sproporzioni su larga scala che persistono nel corso del periodo di previsione. Sono più pronunciati per i settori che fanno molto affidamento sull’uso di strumenti di finanziamento a lungo termine (ad eccezione dei settori con un livello di rischio di investimento medio).

Garantire finanziamenti per l’assunzione di rischi: per i settori caratterizzati da un livello medio di rischio di investimento, il fabbisogno di finanziamento sarà coperto. Nelle condizioni di allentamento della politica monetaria, si creano condizioni relativamente favorevoli per questo tipo di attività per l’operazione di investimento e capitale circolante. Entro il 2030, il portafoglio totale di prestiti alle imprese dovrebbe crescere dell’8-9% all’anno in termini nominali, mentre la quota dei prestiti a lungo termine nel portafoglio totale dei prestiti alle imprese aumenterà leggermente.

Finanziamenti a breve termine : la domanda di risorse finanziarie da parte di settori caratterizzati da brevi periodi di investimento e un elevato livello di rischio sarà soddisfatta in base all’evoluzione del mercato azionario.

Necessità di riforme strutturali . Senza una specifica politica di compensazione degli squilibri strutturali tra domanda e offerta di risorse finanziarie, perdureranno le seguenti tendenze negative. In primo luogo, le esigenze del settore reale di finanziamenti a lungo termine e ad alto rischio saranno soddisfatte principalmente attraverso prestiti bancari a lungo termine e investimenti azionari da parte di investitori con un orizzonte di investimento a breve e medio termine. In secondo luogo, le esigenze delle società del settore reale per finanziamenti a lungo termine con un basso livello di rischio di investimento saranno soddisfatte principalmente attraverso l’emissione di obbligazioni a medio e breve termine o obbligazioni a lungo termine con offerte pubbliche a breve termine di emittenti per comprare obbligazioni.

6. Prospettive

Il compito più importante delle previsioni a lungo termine dello sviluppo socioeconomico è quello di collegare i parametri chiave dello sviluppo dell’economia, della sfera sociale e delle tecnologie utilizzate. Allo stesso tempo, la distribuzione delle risorse disponibili per zone è determinata dalla natura della politica economica inserita in uno scenario particolare.

La valutazione dello scenario di sviluppo inerziale presuppone che, pur mantenendo la struttura esistente dell’economia e gli attuali volumi di spesa interna in R&S, nonché gli investimenti in capitale umano, il contributo del progresso tecnologico ai tassi di crescita economica sarà minimo. Sullo sfondo di una riduzione del contributo dei fattori esterni alla formazione della crescita economica, i suoi tassi medi annui diminuiranno dall’1,9% nel 2023-2025 all’1,2% nel 2041-2050 È chiaro che tali tassi di crescita contribuiranno al perpetuare l’arretratezza tecnologica della Russia e ridurre la sua competitività nell’economia mondiale.

Un’ulteriore accelerazione dei tassi di crescita rispetto allo scenario inerziale è possibile a causa dei cambiamenti negli assetti di politica fiscale e monetaria. In linea con le stime previsionali, l’effetto maggiore nelle condizioni attuali è possibile a causa dell’aumento della spesa nel sistema di bilancio. A medio termine (da tre a cinque anni), a causa di questo fattore, possono essere forniti fino a 0,3 punti percentuali aggiuntivi in ​​aumento dei tassi di crescita del PIL medio annuo. Allo stesso tempo, sarà meno importante il contributo della politica monetaria: essa può determinare una certa accelerazione della crescita, ma è improbabile che ne diventi l’iniziatore.

L’accelerazione dello sviluppo scientifico e tecnologico contribuirà ad aumentare i tassi di crescita economica riducendo la dipendenza dalle importazioni e normalizzando la quota delle importazioni nel mercato interno, nonché aumentando l’efficienza dell’economia (crescita del valore aggiunto per unità di risorse primarie utilizzate nella produzione). .

Come mostrano i risultati dei calcoli, il potenziale di crescita economica dovuto all’accelerazione dello sviluppo scientifico e tecnologico nelle aree di cui sopra è piuttosto ampio. Pertanto, nello scenario di accelerazione dello sviluppo scientifico e tecnologico della Federazione Russa, il contributo del fattore di sviluppo scientifico e tecnologico può fornire il 35-40% della crescita totale del PIL durante il periodo di previsione.

II. Le principali tendenze nell’evoluzione del PIL della Russia

https://ecfor.ru/publication/kratkosrochnyj-analiz-dinamiki-vvp-iyul-2022/

+1,1% per il primo semestre 2022 rispetto al primo semestre 2021

-2,1% per maggio 2022 rispetto a maggio 2021

-0,24% per maggio 2022 rispetto ad aprile 2022 (destagionalizzato)

Secondo le nostre stime, la contrazione del PIL russo lo scorso maggio è stata del 2,1% rispetto a maggio 2021 e dello 0,24% rispetto al mese precedente (stagionalità in via di eliminazione), indicando la forte capacità di adattamento dell’economia nazionale alle nuove condizioni esterne. Per fare un confronto, nel secondo trimestre del 2020 a causa della pandemia e del contenimento, il PIL era diminuito del 7,4% su base annua (la nostra stima per il secondo trimestre del 2022 – meno 2,4%).

Per mantenere un livello accettabile di attività (nella situazione attuale) hanno quindi contribuito alla dinamica economica, tra l’altro, le misure adottate dallo Stato e dalle imprese per preservare l’occupazione (dilazione del pagamento dei premi assicurativi), che segue un basso livello di disoccupazione – 3,9% – che si è registrato a maggio.

Grafico 2

Una situazione relativamente stabile è stata osservata in molti settori (ad eccezione dell’industria automobilistica e di una serie di altre attività di costruzione di macchine che dipendono dall’importazione di componenti), la crescita continua (anno su anno) grazie all’agricoltura e all’edilizia . L’analisi statistica del trasporto merci su rotaia indica indirettamente una graduale ripresa delle importazioni dall’inizio di luglio (che corrisponde all’instaurazione di importazioni parallele e nuove fonti di importazione).

Uno dei principali fattori alla base del calo del PIL da aprile (oltre al persistere di un’elevata incertezza nella sfera degli investimenti) è il calo dei consumi delle famiglie. Da aprile il fatturato del commercio al dettaglio è diminuito del 9-10% rispetto al livello dell’anno precedente (a prezzi comparabili), il che si spiega non solo con il calo del reddito reale della popolazione (meno 1,2% nel primo trimestre del 2022 , e secondo la nostra stima per il secondo trimestre – meno 2,6%), ma anche da una rottura dei consumi di beni durevoli (a causa della carenza di importazioni) e dall’esaurimento dell’effetto del picco di domanda osservato a febbraio e inizio marzo. Accelera il calo del fatturato della ristorazione collettiva,

Da segnalare anche il calo dei volumi osservato da marzo nei prestiti ai privati ​​(corretti per l’IPC).

Il principale rischio per lo sviluppo economico della seconda metà dell’anno è l’intensificarsi del rallentamento economico, che potrebbe essere dovuto a una riduzione della produzione da esportazione dovuta a sanzioni e restrizioni e al rallentamento dell’economia mondiale, nonché al perdurare carenza di componenti importati.

[1] (Il rapporto completo può essere visualizzato in russo all’indirizzo: https://ecfor.ru/wp-content/uploads/2022/07/potentsialnye-vozmozhnosti-rosta-rossijskoj-ekonomiki-analiz-i-prognoz.pdf )

[2] https://ecfor.ru/publication/kratkosrochnyj-analiz-dinamiki-vvp-iyul-2022/

https://www.les-crises.fr/ou-va-l-economie-russe-avec-la-guerre-et-les-sanctions-jacques-sapir/

Sulla crisi politica italiana, di Antonia Colibasanu

Una rappresentazione realistica, a momenti tratteggiata un po’ troppo schematicamente, utile soprattutto a comprendere come viene vista l’Italia dallo sguardo esterno di importanti osservatori geopolitici. Dall’esterno è per altro difficile discernere la realtà delle posizioni politiche dalla accesa retorica della contrapposizione che affligge il sistema politico italiano. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Anche i luoghi più isolati sono preoccupati per l’economia globale.

Durante una conferenza in una scuola estiva europea in Lombardia, in Italia, sulla ricostruzione dell’Europa dopo la crisi, ho visitato Premana. Vicino al Lago di Como, adagiato tra le montagne, è uno dei piccoli paesi dove la strada finisce e il bosco prende il sopravvento. Premana è circondata da pini e castagni che dal fondovalle salgono fino agli alpeggi utilizzati nei mesi estivi. È completamente isolato. La ripida strada per Premana non la collega ad un altro paese ma termina invece nella montagna.

Questo aiuta a spiegare la storia della città. I Celti la insediarono nel 400 aC, poi fu conquistata dai Romani, interessati al suo minerale di ferro, che avrebbero usato per fabbricare armi. Durante la seconda guerra mondiale Premana fu la principale base operativa del movimento partigiano italiano di resistenza contro le forze fasciste della zona. Ma con il passare dei tempi, una cosa rimane la stessa: la geografia protegge i Premanesi dall’esterno. Questo ha permesso loro di diventare dei metalmeccanici piuttosto famosi. Nell’antichità fabbricavano armi. Nella modernità producono forbici, coltelli e tutti i tipi di utensili da taglio.

Ma con ferro e acciaio non più prodotti localmente, né tantomeno prodotti in Europa, del resto, le imprese locali dipendono dalla catena di approvvigionamento globale. Quando ho visitato il più importante produttore di forbici della zona, il problema più urgente dei dirigenti è stato la limitata fornitura di acciaio, insieme all’aumento dei costi energetici. Questa non è una situazione esclusiva di Premana, ovviamente, ma la crisi politica in corso in Italia è destinata a peggiorare le cose.

Populismo

Il crollo del governo di unità nazionale dell’Italia arriva quando la Banca Centrale Europea ha effettuato il suo primo aumento dei tassi di interesse in 11 anni. Come altri stati indebitati della zona euro, l’Italia ha cercato di ridurre la propria vulnerabilità all’aumento dei tassi di interesse e al panico del mercato facendo uso di un credito relativamente a buon mercato per ricostruire la propria economia. Anche nella regione relativamente ricca della vicina Lombardia, le imprese locali stanno approfittando del programma di sussidi statali, che si basa essenzialmente sull’indebitamento statale per finanziare le proprie attività.

La crisi politica ha tutto a che fare con i problemi economici dell’Italia. Il capitolo più recente è iniziato il 14 luglio, quando il Movimento 5 Stelle, membro della coalizione di governo, ha bloccato l’approvazione di una legge intesa a fornire un quadro per i consumatori di energia alle prese con l’aumento dei costi. Il leader del partito Giuseppe Conte ha tenuto in ostaggio il disegno di legge, chiedendo diverse concessioni politiche al presidente del Consiglio Mario Draghi in cambio della collaborazione del suo partito. Draghi ha esitato e, dopo quasi una settimana di discussioni politiche, il governo italiano è crollato il 19 luglio. Ad eccezione del Partito Democratico, tutti i principali partner della coalizione di Draghi hanno snobbato un voto di fiducia al quale aveva chiamato per cercare di porre fine alle divisioni e rinnovare la loro litigiosa alleanza.

Anche se l’Italia è riuscita negli ultimi anni ad allungare le scadenze del debito, la vita media del debito italiano, intorno ai sette anni, è ancora inferiore a quella del 2010 – e solo marginalmente superiore a quella del 2012, quando l’eurozona si è ripresa dal sua crisi del debito. Ciò rende l’Italia relativamente vulnerabile, considerando che non ha ancora raggiunto i livelli di crisi pre-pandemia/2011, rendendola dipendente dalle politiche della BCE e dalla stabilità politica interna. È difficile dire quanto di un aumento dei costi di finanziamento l’Italia possa sopportare in questo ambiente.

La crisi politica, tuttavia, aiuterà i partiti populisti nella loro campagna per le prossime elezioni. Populismo e movimenti anti-establishment possono essere in aumento in tutta Europa, ma l’Italia ne ha già avuto una buona dose. Se il clima socio-economico dei primi anni 2010 ha dato il via a questi partiti, il clima attuale li costringerà a diventare competitivi. Il Movimento 5 Stelle, ad esempio, ha avuto una performance impressionante durante le elezioni del 2018, così come la Lega.

Questi sono i due maggiori partiti anti-establishment ad aver aderito al Pd e a Forza Italia in un governo di unità presieduto da Draghi. Tuttavia, così facendo, hanno offuscato la loro reputazione di linea dura facendo il tipo di compromesso richiesto dalla governance della coalizione. E Fratelli d’Italia, partito di estrema destra anti-establishment guidato da Giorgia Meloni che non si è unito alla coalizione, ne sta raccogliendo i frutti. Fratelli d’Italia è entrato a malapena in parlamento nel 2018 con il solo 4,3% dei voti, ma attualmente controlla circa il 6% dei seggi, mentre nell’ultimo sondaggio vanta il 22,8% di consenso. In confronto, il Movimento 5 Stelle è sceso dal 35,9% delle elezioni del 2018 al 18% del controllo del parlamento, con il 10,8% di sostegno nei sondaggi. La Lega ha mantenuto un controllo del 20 per cento del parlamento, ma il suo sostegno pubblico è sceso al 14%.

Composizione della Camera dei Deputati italiana
(clicca per ingrandire)

Composizione del Senato italiano
(clicca per ingrandire)

Con solo due partiti che navigano appena al di sopra del 20 per cento, Fratelli d’Italia, di impronta antiestablishment e il Partito Democratico, di centrosinistra, è difficile vedere come le prossime elezioni stabilizzeranno il paese a lungo termine, soprattutto perché ci sono così tante questioni urgenti che le parti non possono mettersi d’accordo, nemmeno tra le proprie fila. La Lega e il Movimento 5 Stelle sono stati accusati di sostenere le politiche della Russia in Europa, mentre Fratelli d’Italia ha preso una posizione decisa a favore dell’Ucraina nonostante la sua posizione conservatrice su altre questioni. Fratelli d’Italia è anche generalmente considerato euroscettico, ma ha in qualche modo temperato le sue opinioni, poiché gli italiani sembrano accogliere favorevolmente i fondi dell’UE per la ripresa della pandemia. Anche così, è improbabile che Fratelli d’Italia voglia collaborare con il Partito Democratico di centrosinistra, l’unico partito che detiene apertamente posizioni filo-occidentali.

Pessimismo

C’è, tuttavia, la possibilità che la corsa alle nuove elezioni possa stabilizzare le cose a breve termine. Con il gabinetto di Draghi che diventava sempre più litigioso alla luce delle imminenti elezioni, c’era stata una crescente opposizione a importanti riforme che dovevano essere rinviate. Prima del 19 luglio si è dovuto rimandare tutto a maggio 2023; ora è tutto da tenere sotto controllo fino a fine settembre. Il governo provvisorio dovrebbe essere in grado di farlo e lavorare sul bilancio 2023, che dovrà essere approvato nei prossimi mesi. Se nulla di grave scuoterà l’economia mondiale, l’economia italiana resterà relativamente stabile. E poiché le elezioni potrebbero non portare alla luce una chiara coalizione di governo per un po’, il governo provvisorio potrebbe resistere fino al nuovo anno.

Tuttavia, le persone con cui ho parlato in Lombardia erano pessimiste sul futuro. In quanto regione più prospera d’Italia – e quindi più importante quando si tratta di riscossione delle tasse – la Lombardia spera che i soldi provenienti dal fondo di risanamento della pandemia dell’UE continuino ad arrivare. L’Italia è il principale destinatario del fondo, con 191 miliardi di euro (195 miliardi di dollari) in sovvenzioni e prestiti. La prima tranche di quasi 25 miliardi di euro è stata pagata a maggio, ma la seconda tranche è legata a una serie di riforme che coinvolgono l’economia e la giustizia, oltre al digitale e alle tecnologie verdi. Molte aziende hanno visto l’invio dei fondi per la ripresa dell’UE come un’opportunità per le loro operazioni di sopravvivenza alle complesse sfide economiche che devono affrontare e speravano che il governo di Draghi potesse accelerare le riforme.

Il crollo del governo è visto da molti come un rischio elevato per la capacità dell’Italia di attuare effettivamente le riforme. Ma le montagne che proteggono gran parte della Lombardia possono anche far sì che le imprese qui trascurino il fatto che non è solo l’Italia che potrebbe essere in ritardo per attuare le riforme necessarie; il mondo intero sta lottando per comprendere le sfide poste dalle attuali realtà economiche. È naturale che gli Stati membri dell’UE debbano lottare con le riforme stabilite nei piani di ripresa post-pandemia; qualcosa che potrebbe innescare sfide e modifiche all’interno delle regole dell’UE, comprese quelle relative al debito e alla spesa. Resta da vedere se tali cambiamenti indeboliranno o rafforzeranno l’UE.

https://geopoliticalfutures.com/on-italys-political-crisis/

Le ultime notizie sull’Ucraina da Jacques Baud

Thomas Kaiser (TK): Nelle ultime due settimane, la narrazione dei media mainstream è leggermente cambiata. Si sente parlare sempre meno direttamente della guerra, non si parla più delle alte perdite dei russi e dei successi militari degli ucraini. Che cosa è cambiato?

Jacques Baud (JB): In realtà non è cambiato nulla. Si tratta di un cambiamento di percezione. È noto da diverse settimane che la situazione dell’Ucraina e delle sue forze armate è catastrofica. Le perdite umane e materiali del paese sono molto elevate. Inizialmente, l’Ucraina e i nostri media hanno minimizzato queste perdite per sviluppare una narrazione su una sconfitta russa e una vittoria ucraina. Oggi, la realtà sul campo di battaglia costringe l’Ucraina a riconoscere queste perdite. Allo stesso tempo, Zelensky ha capito che queste perdite potevano essere usate come argomento per fare pressione sull’Occidente per ottenere ulteriori aiuti.

TK: D’altra parte, il problema è sempre quello della consegna delle armi richieste. Chi dovrebbe far funzionare le armi quando la maggior parte dell’esercito è accerchiata nel Donbass?

JB: Prima di tutto, è importante capire che le consegne di armi occidentali pongono diversi problemi. In primo luogo, nemmeno le agenzie d’intelligence statunitensi sanno se e dove finiranno le armi consegnate. Il capo dell’Interpol avverte che alcune di queste armi potrebbero finire nelle mani di organizzazioni criminali. Già alcuni missili anticarro Javelin sono stati offerti sulla Darknet per 30.000 dollari. A quanto pare, queste armi sono rivendute non appena arrivano a Kiev. In secondo luogo, le armi sono spesso distribuite in base all’ordine di arrivo e non sempre raggiungono coloro che ne hanno più bisogno sul campo. Infine, spesso finiscono nelle mani della coalizione russa.

TK: Come possiamo dirlo?

JB: Attualmente, le milizie della Repubblica di Donetsk sono equipaggiate con missili Javelin, che provengono dalle scorte ucraine catturate dall’esercito russo. Ricordiamo che gli elicotteri ucraini che erano andati ad esfiltrare i combattenti da Azovstal sono stati abbattuti con missili Stinger forniti dagli Stati Uniti. Inoltre, le armi fornite dall’Occidente costituiscono solo una frazione di quelle distrutte dai russi. Per esempio, la Gran Bretagna e la Germania stanno inviando all’Ucraina tre lanciarazzi multipli M270 ciascuno, ma all’inizio della guerra l’Ucraina aveva diverse centinaia di sistemi equivalenti. In altre parole, queste armi non cambieranno nulla, ma prolungheranno solo il conflitto e ritarderanno il tempo dei negoziati, come ha spiegato Davyd Arakhamia, capo negoziatore e stretto consigliere di Zelensky.

TK: È davvero incredibile. Si è sempre parlato d’ingenti perdite russe. Possono essere verificate e quali sono le perdite da parte ucraina?

JB: In realtà, il numero di soldati uccisi non è noto, né ai russi né agli ucraini. I numeri citati dai media occidentali sono quelli diffusi dalla propaganda ucraina. Tuttavia, all’inizio di giugno, il presidente Zelensky ha svelato il tasso di mortalità delle forze armate ucraine e ha parlato di 60-100 soldati uccisi al giorno. Una settimana dopo, Mykhailo Podoliak, consigliere di Zelensky, ha dichiarato che le forze armate ucraine perdevano dai 100 ai 200 uomini al giorno. Oggi, Arakhamia parla di 200-500 morti al giorno e di un totale di 1000 perdite (morti, feriti, catturati, disertori) il giorno. Non è chiaro se queste cifre siano corrette.

TK: Ci sono osservazioni in base alle quali si può avere un quadro realistico dei numeri?

JB: Gli esperti vicini all’intelligence ritengono che queste cifre siano molto al di sotto della realtà. D’altra parte, le cifre ucraine sono ancora più alte delle stime dell’esercito russo. Alcuni sostengono che le forze ucraine abbiano 60.000 morti e 50.000 dispersi. Tuttavia, questi numeri non sono al momento verificabili.

TK: Perché gli ucraini riportano solo ora cifre così alte di vittime?

JB: È molto probabile che gli ucraini stiano riportando cifre elevate per fare pressione sull’Occidente affinché aumenti le sue forniture di armi. Tuttavia, questo non spiega tutto. La questione fondamentale è il modo in cui la leadership ucraina conduce le sue operazioni. Invece di avere un approccio dinamico al campo di battaglia e di trarre vantaggio spostando le truppe, l’Ucraina – e Zelensky in particolare – ordina alle sue truppe di “alzarsi e combattere”. Una situazione non dissimile da quella della Francia durante la Prima Guerra Mondiale. Questa è la principale differenza tra l’Ucraina e la Russia: in Ucraina le operazioni sono gestite dalla leadership politica, mentre in Russia sono gestite dallo Stato Maggiore. Questo spiega il fallimento dell’approccio ucraino. Anche i militari statunitensi sembrano aver individuato questo problema.

TK: In che modo?

JB: Secondo Arakhamia, i tentativi di guadagnare terreno contro l’esercito russo servono solo a garantire in seguito una migliore posizione di partenza per i negoziati con i russi. Si tratta di una guerra puramente politica, senza alcun riguardo per le vite dei soldati. Quest’approccio è sostenuto dai paesi occidentali e dalla nostra diplomazia. È molto preoccupante.

TK: All’inizio della guerra si sottolineava la volontà di resistenza degli ucraini. Non esiste più?

JB: Penso che i soldati ucraini stiano facendo il loro lavoro con coraggio. Combattono da posizioni rinforzate e dalle trincee che hanno scavato nel 2014 intorno al Donbass. Purtroppo, una volta di fronte all’artiglieria e a un nemico mobile, le loro possibilità di successo sono scarse. Sembra che lo Stato Maggiore ucraino volesse ritirare questi uomini in posizioni di combattimento più favorevoli, ma la leadership politica del paese si è rifiutata. In questo contesto, i nostri media e i politici hanno giocato un ruolo perverso perpetuando l’illusione di una vittoria ucraina e la promessa di forniture di armi su larga scala.

TK: Così facendo, hanno preso per il naso l’opinione pubblica, compresi gli ucraini.

JB: Sì. Oggi è chiaro che gli ucraini e l’Occidente si sono mentiti a vicenda solo per mettere nei guai la Russia. Gli ucraini sono ora costretti a inviare le loro unità territoriali mal equipaggiate e mal preparate dall’ovest del paese al Donbass. Questo crea malcontento e ci sono state numerose manifestazioni contro Zelensky nella parte occidentale del paese e a Kiev. A causa di ciò, Kiev ha dovuto emanare nuove leggi per mettere a tacere coloro che non sono d’accordo con il governo. La nostra diplomazia ha chiaramente contribuito attivamente alla morte di migliaia di militari ucraini. Tuttavia, oggi sembra che siano i militari occidentali a cercare di riportare alla ragione il modo in cui affrontiamo questo conflitto.

TK: Ma non ci sono movimenti di resistenza nei territori occupati dalla Russia?

JB: È interessante notare che non ci sono movimenti di resistenza popolare alla presenza russa. La narrazione occidentale di un’eroica resistenza popolare contro la Russia si basa essenzialmente sulle dichiarazioni dei nazionalisti della parte occidentale del paese. In realtà, le aree occupate dalla coalizione russa nella parte orientale e meridionale del paese sono abitate da russofoni. Gli ucraini non hanno mai considerato questa popolazione come ucraina, come dimostra la legge sui popoli indigeni dell’Ucraina, adottata all’inizio del luglio 2021. Dopo essere stata bombardata regolarmente dal 2014 dal proprio esercito, come a Donetsk, la popolazione russofona del sud del Paese non si oppone più di tanto alla presenza russa. Anzi, tende a vedere i russi come dei liberatori.

TK: Su questa base, possiamo già prevedere cosa intende fare la Russia in Ucraina?

JB: I russi sono molto discreti sulle loro intenzioni, in quanto adattano i loro obiettivi alla volontà degli ucraini di negoziare. Finché gli ucraini rifiuteranno di negoziare, i russi continueranno ad avanzare e a guadagnare territorio. A marzo erano pronti a negoziare sulla base delle proposte di Zelensky. Tuttavia, su pressione di Boris Johnson, Zelensky ha ritirato la sua offerta. Dopodiché, i russi hanno continuato a fare progressi.

TK: Che cosa significa ora?

JB: Non rimetteranno sul tavolo dei negoziati ciò che gli ucraini avrebbero potuto recuperare a marzo. A questo punto, è probabile che i russi si spingano ulteriormente verso Odessa per stabilire un collegamento con la Transnistria. Non è improbabile che si verifichi una “ri-creazione” della Novorussia nell’Ucraina meridionale. La conseguenza più importante delle azioni russe è che l’Ucraina perderà l’accesso al mare.

TK: Ultimamente i nostri media hanno riportato la notizia che la Russia è responsabile dell’aumento dei prezzi del grano e della conseguente carestia. Ha qualche informazione in merito?

JB: Le accuse contro la Russia fanno parte della narrativa occidentale per isolare la Russia dal resto del mondo e per assolvere l’Occidente dai propri errori. Innanzitutto, l’aumento globale dei prezzi dei cereali non è direttamente dovuto alla guerra, ma è il risultato delle misure adottate per affrontare il CoViD-19 e delle condizioni create dalle sanzioni occidentali, cercando deliberatamente di drammatizzare la situazione. Lo stesso fenomeno si può osservare nei prezzi del petrolio.

L’attuale aumento dei prezzi dei cereali è il risultato di diversi fattori. In primo luogo, le restrizioni ai pagamenti che inducono gli acquirenti a temere le sanzioni statunitensi nei loro confronti. In secondo luogo, le spedizioni sono diventate troppo costose perché il mercato del petrolio si è ridotto a causa delle sanzioni occidentali. In terzo luogo, le sanzioni occidentali impediscono ai fertilizzanti di entrare nel mercato; questi prodotti non sono soggetti a sanzioni, ma ci sono state restrizioni sui mezzi di pagamento che hanno indotto gli acquirenti a temerli.

TK: Tuttavia, si accusa l’Ucraina di non poter fornire grano a causa dei russi. È davvero così?

JB: No, non è vero, per due motivi principali. Il primo è che i nostri media, ovviamente, non riportano che i porti del Mar Nero sono stati minati dall’Ucraina perché temeva un attacco dal Mar Nero. A causa delle tempeste, molte di queste mine si sono staccate e si muovono liberamente. Sono diventate un pericolo per la navigazione marittima. La Marina turca ha dovuto disinnescarne alcune che avevano raggiunto il Bosforo.

La seconda ragione è che la Russia non blocca i porti ucraini. Al contrario, permette ai convogli navali di rifornire i porti ucraini; garantisce persino corridoi marittimi le cui coordinate sono trasmesse a intervalli regolari sulle frequenze radio marittime internazionali. Il problema è che questi corridoi non vengono utilizzati a causa delle mine ucraine. Per inciso, Davyd Arakhamia ha chiarito che l’Ucraina non ha alcuna intenzione di rimuovere le sue mine dal Mar Nero. È diventato un po’ di moda incolpare Putin per le decisioni dell’Occidente che non sono state pensate a fondo e non sono inserite in una strategia coerente.

TK: Questo ha effettivamente creato una carenza nel mercato? O si tratta di un processo artificiale per far salire i prezzi?

JB: Non sono un esperto di commercio di cereali. Ma da un lato l’Ucraina non è riuscita a vendere il suo raccolto di grano del 2021 prima dell’offensiva russa, dall’altro la Russia sembra aspettarsi un raccolto eccezionale per il 2022. Di conseguenza, non sembra che ci sia una carenza di grano. Il problema è che il grano non riesce a raggiungere il mercato. Ciò è dovuto principalmente alle sanzioni occidentali contro la Russia e la Bielorussia. Naturalmente, questa situazione ha suscitato l’interesse degli speculatori, ma non sono in grado di valutare quest’aspetto.

TK: La Polonia ha ripetutamente mostrato di essere piuttosto preoccupata che un attacco russo sul suo territorio possa avvenire presto. Quanto è realistico questo scenario?

JB: La Polonia ha ripetutamente gettato benzina sul fuoco di questo conflitto. Sogna di realizzare il vecchio progetto dell’Intermarium, voluto dal maresciallo Pilsudski negli anni Trenta, che avrebbe unito i paesi tra il Mar Baltico e il Mar Nero. Questo ricorda la nostalgia del Regno di Polonia del XVII secolo. La Polonia sogna un conflitto aperto con la Russia perché crede, come l’Ucraina, che con l’aiuto della NATO potrebbe sferrare il colpo finale per sconfiggere la Russia una volta per tutte, in modo da realizzare questo vecchio sogno. Questo dimostra, tra l’altro, che l’interesse della Polonia per l’Europa è solo superficiale.

TK: Perché i paesi europei non si accorgono del gioco sporco che si sta facendo?

JB: L’obiettivo dei paesi occidentali (tra cui ovviamente la Svizzera) è quello di destabilizzare il governo russo in un modo o nell’altro. Per questi paesi, il fine giustifica i mezzi. Pertanto, non abbiamo alcuna remora ad attaccare la popolazione russa (anche nei nostri paesi) e a sacrificare quella ucraina. Come ha detto Andrés Manuel López Obrador, presidente del Messico, a proposito della politica della NATO nei confronti dell’Ucraina: “Noi forniamo le armi, voi fornite i cadaveri! Questo è immorale”.

TK: Signor Baud, grazie mille per questa intervista.

*****

 Intervista di Thomas Kaiser a Jacques Baud pubblicata su The Postil Magazine il 1° luglio 2022
Traduzione in italiano di Confab per SakerItalia

http://sakeritalia.it/ucraina/le-ultime-notizie-sullucraina-da-jacques-baud/?fbclid=IwAR3WptXsdYrrmXMQt91WCvdOEjt03LuvbFDddT_xsZw3jRab-vfL4IJMCGc

La guerra segreta di Zelensky tra purghe e complotti, di Gianandrea Gaiani

https://www.analisidifesa.it/2022/07/la-guerra-segreta-di-zelensky-tra-purghe-e-complotti/

(aggiornato alle 13,55)

Le “purghe” senza precedenti negli ambienti dei servizi di sicurezza ucraini (SBU) sembrano allargarsi anche a magistratura, vertici militari ed esponenti politici.

Il 17 luglio il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha licenziato il capo del Servizio di sicurezza nazionali (SBU), Ivan Bakanov, e la procuratrice generale, Irina Venediktova in base dell’articolo 47 della Carta disciplinare delle forze armate ucraine. L’articolo recita che un ufficiale o un funzionario può essere rimosso per “mancato esercizio delle funzioni, che ha provocato vittime umane o altre gravi conseguenze” o ha creato situazioni tali da poter portare a queste conseguenze.

Circa Bakanov, il presidente ha dichiarato che “questa persona è stata licenziata da me all’inizio dell’invasione su vasta scala e, come si può vedere, tale decisione era assolutamente giustificata”, ha dichiarato il presidente ucraino. “Sono state raccolte prove sufficienti per la notifica, a questa persona, di sospetto tradimento. Tutte le sue azioni criminali sono documentate.

Tutto ciò che ha fatto in questi mesi e anche prima riceverà un’adeguata valutazione legale. Il presidente ha aggiunto che “saranno ritenuti responsabili anche tutti coloro che assieme a lui facevano parte di un gruppo criminale che ha lavorato nell’interesse della Federazione russa”. Il riferimento è al passaggio di informazioni segrete al nemico e ad altre forme di collaborazione coi servizi speciali russi. “Sono state prese decisioni sul personale nei confronti dei capi regionali del settore della sicurezza Kherson, Kharkiv.

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Il presidente ucraino ha reso noto che sono stati avviati 651 procedimenti criminali per tradimento e collaborazionismo. “In particolare, oltre 60 impiegati dell’ufficio del procuratore e dell’SBU sono rimasti nel territorio occupato e stanno lavorando contro il nostro Stato”.

Queste rimozioni hanno dato il via a “purghe” che starebbero colpendo molti ufficiali dello SBU accusati di collusione con i russi nelle zone occupate dalle truppe russe e dai secessionisti del Donbass accompagnati da rastrellamenti in tutte le aree a ridosso del fronte (quindi Mikolayv, Odessa, Kharkhiv, Dniptro, Zaporizhzhia e altre regioni dove la precisione dei raid missilistici russi (soprattutto contro i depositi di armi e munizioni giunte dall’Occidente) induce gli ucraini a ritenere vi siano molti “collaborazionisti” tra i civili e i funzionari pubblici.

Rastrellamenti e rappresaglie nei confronti di “collaborazionisti” o supposti tali erano già stati segnalati nelle aree intorno a Kiev e Sumy da dove le truppe russe si erano ritirate a fine marzo .

Oggi l’SBU ha reso noto di aver identificato “tutti i collaboratori che si sono uniti alla direzione principale del Ministero degli affari interni della regione di Kherson creata dall’amministrazione dell’occupazione. Sono stati raccolti i dati di ciascun collaboratore, documentata l’attività criminale e stabilite posizioni e movimenti: 26 rappresentanti del dipartimento regionale del Ministero degli Affari Interni che si nascondono nel territorio temporaneamente occupato della regione di Kherson, hanno già ricevuto avvisi di garanzia. 14 di loro sono ex dipendenti della polizia nazionale”.

Zelensky aveva annunciato nei giorni scorsi il licenziamento di altri 28 membri dell’SBU, epurazione che potrebbe indicare che qualcosa di grave sta succedendo a Kiev anche se le voci diffusesi nei giorni scorsi di un tentato golpe e attentato contro il presidente non hanno trovato conferme.

Oggi il presidente ha cacciato  Ruslan Demchenko, primo vice segretario del Consiglio di Sicurezza e Difesa Nazionale già accusato dal giornalista ucraino Yurii Butusov di essere un agente russo.

Diverse le possibili interpretazioni della situazione attuale: Zelensky potrebbe voler punire i vertici dei servizi di sicurezza a causa del pessimo andamento della guerra e soprattutto per l’elevato numero di civili che restano nelle zone interessate dall’avanzata russa.

Non si può escludere che il presidente cerchi capri espiatori per giustificare gli insuccessi recenti e quelli forse imminenti, oppure che punti a consolidare il suo potere rimuovendo periodicamente funzionari divenuti troppo potenti e quindi potenzialmente pericolosi.

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Al di là del linguaggio propagandistico e della retorica sull’unità nazionale contro l’invasore, non va dimenticato che il conflitto in corso è anche una guerra civile con parte della popolazione delle regioni orientali e oltre 50 mila combattenti ucraini schierati al fianco dei russi.

Da quanto apprendiamo da fonti ucraine, in molti negli ambienti militari, di sicurezza e politici di Kiev trovano sempre di più ingiustificato combattere, subire ampie perdite e vedere devastata l’intera Ucraina nel vano tentativo di mantenere il controllo su Donbass e altri territori dove gran parte della popolazione guarda con ostilità (ricambiata) a Kiev.

Un accordo con i russi porterebbe alla perdita di almeno il 25 per cento del territorio nazionale ma consentirebbe all’Ucraina di sopravvivere e di puntare a ricevere aiuti militari dalla NATO ed economici dalla UE in vista di una possibile adesione a quest’ultima organizzazione.

Per evitare contestazioni Zelensky ha già messo fuorilegge 12 partiti, incluso quello Comunista a cui sono stati confiscati beni mobili e immobili: di fatto ogni forma di opposizione viene gestita con le leggi entrate in vigore dopo l’inizio della “operazione speciale” russa in Ucraina come “tradimento” e “complicità con gli invasori” anche se in molti casi il sospetto è che si tratti di una faida tra Zelensky e l’ex presidente Petro Poroshenko a cui da fine maggio sembra venga impedito di lasciare l’Ucraina.

Le recenti purghe sono state accolte con sarcasmo a Mosca dove la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, sul suo canale Telegram ha commentato che “la denazificazione è in pieno svolgimento”.

Del resto le citate rimozioni sono solo le ultime in ordine di tempo di una lunga serie. Il 18 luglio è stata rimossa dal Parlamento la ministra per le Politiche sociali Maryna Lasebna, mentre è stato arrestato l’ex capo del servizio di sicurezza in Crimea Oleh Kulinich.

Recentemente era stato rimosso il difensore civico Lyudmila Denisova (considerata politicamente vicina a Poroshenko) licenziata con l’accusa di inventare reati falsi o di aggravarne altri.

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Nei giorni scorsi Zelensky aveva licenziato il capo dell’SBU di Kharkiv, Roman Dudin mentre il 28 giugno era stato rimosso il capo dell’amministrazione militare regionale di Kherson, Hennadii Lahuta e il vice ministro per il Digitale Senik Dmytro Yurievic.

Il 14 giugno era stato licenziato il capo dell’amministrazione militare di Chernivtsi e al capo dell’agenzia dei Progetti per le infrastrutture Kryvoruchko Olena. A fine marzo era stata la volta del capo del dipartimento sicurezza interna Andriy Olehovych Naumov e il capo dell’SBU a Kherson (città conquista rapidamente dai russi a fine febbraio), Serhiy Oleksandrovych Kryvoruchko.

Per tutti l’accusa è di tradimento. Le ‘purghe’ di Zelensky non hanno risparmiato neppure il corpo diplomatico: il 25 giugno il presidente ucraino aveva rimosso dal loro posto gli ambasciatori di Georgia, Slovacchia, Portogallo, Iran, Libano. Il 9 luglio era stata invece la volta degli ambasciatori in Germania, Ungheria, Repubblica Ceca, Norvegia e India.

Un parlamentare vicino all’ex presidente Poroshenko (nazionalista e ostile alla Russia), Oleg Sinyutka, ha dichiarato in parlamento che “il paese sta scivolando gradualmente verso una forma di governo dittatoriale” come riporta l’agenzia Adnkronos anche se tali valutazioni vengono solitamente ignorate dalla gran parte dei media occidentali, sempre più “militanti”.

Al di là delle comprensibili esigenze di mantenere la compattezza in una nazione in guerra, va rilevato che l’Ucraina neppure prima dell’attacco russo brillava per democrazia e trasparenza, come abbiamo recentemente illustrato su Analisi Difesa citando le classifiche stilate da importanti centri studi internazionali.

Foto Ministero della Difesa Ucraino

 

https://www.analisidifesa.it/2022/07/smettiamo-di-fingere-di-non-essere-anche-noi-in-guerra-contro-la-russia/

Smettiamo di fingere di non essere anche noi in guerra contro la Russia

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C’è una immagine che continua a tornarmi alla mente ogni volta che si parla del terribile scontro in atto fra la Russia e l’Ucraina, nonché del ruolo, ad esso strettamente connesso, che viene svolto in questo periodo dagli Stati europei.
L’immagine è purtroppo quella manzoniana dei capponi che Renzo Travaglino porta in regalo all’avvocato Azzeccagarbugli e che, benché legati a testa in giù e chiaramente avviati ad un triste destino, continuano, incapaci di fare altro, a beccarsi ferocemente fra di loro.

È una immagine che si fa poi ancora più vivida quando dalla condizione Europea si passa ad esaminare quella di una Italia che a tutt’oggi continua imperterrita ad adottare moduli di comportamento, soprattutto politici, già discutibili allorché le cose andavano bene ad assolutamente inaccettabili per chi invece si trova nel bel mezzo di una guerra.

Anche se non vogliamo ammetterlo ufficialmente e ci appigliamo ad ogni bizantinismo disponibile per negarlo, è infatti l’Occidente, l’intero Occidente in tutte le sue componenti e non soltanto l’Ucraina, che sta combattendo contro la Russia in questo momento.

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Si tratta di un fatto di cui il nostro avversario si è reso pienamente conto, come ci ricordano ogni giorno le sue azioni sul terreno, le sue scelte in ambito internazionale ed infine le dichiarazioni, sempre in quel senso, dei suoi esponenti politici di rilievo.

Anche se Il Presidente Putin fosse pazzo – e non lo è – vi sarebbe sempre da riconoscergli una adamantina coerenza perlomeno nel mantenere questo atteggiamento.

Dall’altra parte invece noi abbiamo adottato un comportamento schizofrenico , tirando il sasso ma cercando nel contempo di nascondere la mano, forse sperando che il tutto possa alla fine risolversi in una limitata ” proxy war ” , vale a dire in uno scontro che si esaurisca entro i confini dell’unico stato della nostra parte per il momento direttamente coinvolto e comporti invece per la grande maggioranza di noi soltanto uno sforzo di supporto , che potrà magari rivelarsi molto oneroso sotto molti aspetti ma non ci costerà  mai quell’insieme di lutti, rovine e lacrime che produce un vero conflitto.

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È abbastanza logico che ciò avvenga, considerato come, sulla scia degli Stati Uniti, anche l’Europa avesse finito nei decenni successivi al crollo del Muro di Berlino con l ‘adottare progressivamente un sistema di confronto bellico che limitava il vero intervento dell’Occidente soltanto all’erogazione del fuoco e ad altri compiti connessi al suo elevato livello tecnologico, lasciando invece invariabilmente a sole forze locali il privilegio di scendere sul terreno, di combattere ….e di conseguenza di morire.

Così nella ex Jugoslavia ci siamo prima battuti contro i Serbi lasciando che fossero i Croati ad affrontarli da soli sul terreno, poi più a sud abbiamo utilizzato i Kosovari, ma curandoci bene di non mettere un solo “boot on the ground ” sino alla firma della tregua.

DONETSK REGION, UKRAINE - MAY 22, 2022: Servicemen of the People's Militia of the Donetsk People's Republic at a military vehicle in Mariupol which is controlled by the Donetsk People's Republic. Tension began to escalate in Donbass in February 2022. The Russian Armed Forces are conducting a special military operation in Ukraine following requests for assistance from the leaders of the Donetsk People's Republic and Lugansk People's Republic. Vladimir Gerdo/TASS Óêðàèíà. Äîíåöêàÿ îáëàñòü. Ìàðèóïîëü. Âîåííîñëóæàùèå Íàðîäíîé ìèëèöèè ÄÍÐ ó âîåííîé òåõíèêè. Â îòâåò íà îáðàùåíèå ðóêîâîäèòåëåé ðåñïóáëèê Äîíáàññà ñ ïðîñüáîé î ïîìîùè Âîîðóæåííûå ñèëû ÐÔ ïðîâîäÿò ñïåöèàëüíóþ âîåííóþ îïåðàöèþ íà Óêðàèíå. Âëàäèìèð Ãåðäî/ÒÀÑÑ

In Afghanistan infine l’onore di travolgere i talebani dopo gli attentati delle Torri Gemelle + stato lasciato ai  tagiki, agli uzbeki, agli hazara e alle altre minoranze della “Alleanza del Nord”, mentre la NATO ha scelto di entrare nel quadro soltanto in un momento decisamente successivo, allorché sembravano esistere  ragionevoli speranze di ricostruire il paese in tempi accettabili.

Questo significa che anche nel conflitto in atto  noi saremmo disposti a combattere ” sino all’ultimo soldato ucraino ” e non oltre?  Un timore che sempre più di frequente comincia a trasparire dai discorsi del Presidente Zelensky.

Probabilmente se potessimo lo faremmo e forse questa era l’idea iniziale di molti dei protagonisti coinvolti, ivi compresa una Italia che almeno a parole si incancrenisce in quel rifiuto della “guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali” sancito dalla nostra Costituzione al punto tale da rifiutare di rendersi conto di alcune delle realtà che ha vissuto o da camuffarle, se del caso, sotto circonlocuzioni giuridiche estremamente precise soltanto nel non dire nulla.

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Così siamo andati alla prima guerra del Golfo nel quadro di “una operazione di polizia internazionale condotta sotto l’egida delle Nazioni Unite per il ripristino della sovranità kuwaitiana”, mentre successivamente, prima nel caso del Kosovo, poi in quello della Libia, la parola “guerra ” non è stata mai pronunciata e almeno in una occasione il Governo Italiano è arrivato a negare anche un coinvolgimento delle nostre forze che in effetti invece era avvenuto.
Rifiutare di accettare di essere in realtà coinvolti in una grande guerra anche questa volta è molto più difficile, anche se forse non del tutto impossibile, almeno per qualche tempo ancora.

Sta comunque divenendo progressivamente sempre più chiaro come questo non sia solo un conflitto limitato che abbia come posta la definizione delle frontiere della Ucraina ma si configuri invece come l’inizio di un cambiamento epocale destinato a condizionare in maniera diversa da quella attuale i futuri equilibri di potere del mondo.
Come tale esso è uno scontro di giganti che assume sempre di più, giorno dopo giorno una configurazione in tal senso.

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Ricordate quali fossero sino a pochi anni fa i “rogue states”, ossia le nazioni considerate dall’Occidente come “Stati canaglia “?

Erano la Corea del Nord, l’Iran, lo Yemen, la Siria, la Libia, tutti paesi di limitato rilievo, con l’unica eccezione dell’Iran.  Ora, come indicato dagli USA e confermato di recente dal nuovo Concetto Strategico approvato a Madrid dalla Nato, sono invece la Russia, la Cina e un Iran cui pare riservato il privilegio di essere sempre presente in liste di questo genere.

Inoltre la guerra non è più soltanto quella di un tempo, vale a dire la guerra guerreggiata da combattere con il fucile in mano, l’elmetto in testa e le bombe a mano nel tascapane.

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Si tratta invece di un fenomeno ben più complesso, che va sotto il nome di “guerra ibrida ” ed investe tutti i settori in cui un attacco comunque condotto potrebbe indebolire l’avversario, anche soltanto potenziale.

Nel complesso si tratta di un tipo di Guerra in cui già da parecchio tempo la Russia si è scelta l’intero Occidente come avversario, scatenando offensive informatiche mirate, corrompendo, uccidendo, cercando di falsare i risultati di democratiche elezioni. Siamo in guerra da tempo dunque: una guerra non dichiarata ma nel contempo estremamente dura, guerra per la sopravvivenza ….quella guerra che con una visione ben più precisa della nostra il Santo Padre aveva da tempo individuata e definita come ” una guerra mondiale a pezzi”.

Come se ciò non bastasse da quando abbiamo iniziato a sostenere l’Ucraina fra noi e la Russia sono intercorsi una serie di atti che non sono certo stati di cortesia e che in altri tempi avrebbero costituito un preciso ed inequivocabile casus belli.

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Abbiamo deciso contro Mosca una pesantissima serie di sanzioni economiche? Non dimentichiamoci che anche se gli USA tendono a passare la cosa sotto silenzio l’attacco di Pearl Harbour altro non fu che la reazione di Tokyo ad analoghe sanzioni decise da Washington nei riguardi del Giappone.

Da tempo poi vi è un flusso continuo di armi, munizioni, materiali ed istruttori che parte dai nostri paesi ed è diretto in Ucraina. Per tacere poi dei volontari che vanno nella medesima direzione senza essere minimamente ostacolati … e c’è da chiedersi quanta parte del famoso “Battaglione Azov” fosse composta da cittadini dei nostri paesi.
Si aggiunga a questo una efficace, articolata ed onnipresente attività informativa che dal locale, al tattico ed allo strategico copre tutti i settori di interesse delle forze ucraine ed il quadro del nostro pressoché totale coinvolgimento diverrà completo.

Possiamo quindi ancora sostenere con un filo di logica di non essere in guerra? Di sicuro no, e sarebbe probabilmente bene che anche noi arrivassimo ad accettare in pieno questa scomoda verità. Se non altro per essere pronti domani ad affrontarne eventualmente le sgradite conseguenze!

Foto: Ministero della Difesa Ucraino, Ministero della Difesa Russo e TASS

LA DIS-INTEGRAZIONE DELLE STELLE, di Teodoro Klitsche de la Grange

LA DIS-INTEGRAZIONE DELLE STELLE

Le ultime vicende del Movimento 5 stelle, ridotto, da quel che risulta, a meno di un quarto dei suffragi conseguiti nel 2018 e afflitto da una continua emorragia di parlamentari (ormai rimasti a circa la metà degli eletti alle ultime politiche) in tutte le forme (dimissioni, scissioni, allontanamenti, ecc.), induce a fare qualche considerazione, che non ha l’ambizione di essere esauriente, ma piuttosto di evidenziarne (qualche) concausa. Questo partendo da alcune regolarità e costanti della politica. A cominciare da Machiavelli, il quale, nel Principe, scrive delle difficoltà dei principi “nuovi”, che più per fortuna che per virtù hanno ottenuto il potere “non sanno e non possano tenere quel grado: non sanno, perché, se non è uomo di grande ingegno e virtù, non è ragionevole che, sendo sempre vissuto in privata fortuna, sappi comandare; non possano, perché non hanno forze che gli possino essere amiche e fedeli”. E che i governanti 5 Stelle fossero degli inesperti era vanto degli stessi ed occasione d’ironia dei loro (tanti) avversari. Parimenti è vero che nella loro ascesa al potere vi sia stata più fortuna che virtù, perché insistere sulla crisi che attanagliava e attanaglia l’Italia, governata da una classe dirigente decadente, è facile: si attacca chi è poco difendibile.

La lunga serie di “no” esibiti dal movimento prima del 2018 era corroborato dalla contraria opinione e pratica delle élite, le quali né autorevoli né legittime proprio per tali loro qualità asseveravano a contrario i “no”, spesso contraddittori o ingiustificati, dei grillini. Ma tale vantaggio è venuto meno – più che altro si è ridotto – una volta andati al governo: la necessità di scelte ha costretto a ridimensionare radicalmente il dissenso, e quindi il consenso che ne conseguiva.

Ma in particolare occorre valutare il giudizio di Machiavelli sulla “forze amiche e fedeli” che (non) sostengono il principe nuovo (e “fortunato”). Il genio di Machiavelli individua così i limiti dei politici – e governanti – improvvisati, spinti su dalle circostanze, più che da una reale capacità e applicazione, nell’ “inesperienza” e nella mancanza di “seguito” da intendersi nel senso weberiano del rapporto tra capo e “fedeli” (“forze amiche e fedeli”)”.

E tra le forze amiche e fedeli occorre distinguere due categorie: gli aiutanti, cioè i collaboratori del vertice politico, e gli elettori. All’uopo può servire quanto sosteneva, per gli Stati, ma applicabile (in larga parte) a tutti i gruppi politici, un acuto giurista come Rudolf Smend. Questi sosteneva “l’integrazione è un processo di vita fondamentale per ogni formazione sociale nel senso più lato. Questa, in prima analisi, consiste nella produzione o formazione di unità o totalità a partire dagli elementi singoli, cosicché l’unità ottenuta è qualcosa di più della somma delle parti unificate”, ogni gruppo politico realizza necessariamente attraverso l’unione delle volontà dei componenti, l’integrazione; la quale, secondo Smend, può distinguersi in materiale, funzionale o personale; e in genere è, in proporzione diversa tra loro, tutte e tre le cose insieme. Se si riscontra la rilevanza e l’esistenza delle suddette forme d’integrazione nel M5S, se ne avverte la carenza.

L’integrazione personale è quella suscitata dalla forte considerazione della personalità del capo. Ma a concedere che il capo fosse uno (è dubbio) è chiaro che il M5S ne ha cambiati diversi, da Casaleggio a Di Maio, da Crimi (??) a Conte. Fermo sullo sfondo Grillo.

Al contrario di Forza Italia, fondata sul forte (un tempo) richiamo aggregante di Berlusconi e della sua storia di successo, nessuno dei “capi” 5S ha costituito un forte elemento di integrazione personale.

Né è migliore l’impressione che si può ricavare dall’integrazione funzionale, la quale consiste nelle attività e procedure di partecipazione alla decisione – e alla direzione – politica: elezioni, referendum, congressi, manifestazioni, assemblee “Nella vita di ogni struttura le procedure di decisione e discussione sono – come scriveva Smend – prevalentemente indirizzate alla formazione della volontà comune: così il gruppo realizza la propria unità come unità di volontà, indirizzata a scopi comuni… la partecipazione, anche meramente consultiva, al processo decisionale permette sia di sondare gli umori della base sia, soprattutto, di coinvolgerla nella decisione e nell’azione”. Nei partiti “tradizionali” con prevalente organizzazione territoriale (per lo più a carattere democratico) sono l’elezione dei dirigenti e la discussione nei vari organi a rivestire il ruolo maggiore.

Nel movimento si è parlato spesso di piattaforma digitale, d’iscritti, , ma a parte la non chiarezza del tutto, è sicuro che:

  1. a) le procedure suddette sono da millenni di competenza di assemblee: dall’Agorà ateniese ai Soviet della rivoluzione d’ottobre, a decidere era un insieme di partecipanti riunito collettivamente, e non un singolo davanti ad un computer.
  2. b) Per quanto ci riguarda c’è l’interrogativo: può produrre – e quanta – integrazione nel gruppo un iscritto che a casa sua decida se Caio deve fare il Ministro e Sempronio l’assessore? Probabilmente se il giudizio è rispettato qualche effetto integrativo lo può avere, ma assai modesto rispetto alla decisione in praesentia. In secondo luogo diverse sentenze hanno giudicato non democratiche o poco democratiche norme e pratiche interne del M5S. Non è il caso di insistervi, ma occorre prenderne atto.

Infine l’integrazione materiale, intesa come fede comune in determinate idee e valori, in una visione condivisa del mondo. Ma il cartello di “no” del M5S serviva bene ad identificare il nemico ma assai male a fidelizzare l’amico. Oltretutto una volta al governo è stato costretto a compiere scelte destinate a scontentare parte dei “no”. Ancor più se a partire dal governo Conte bis, il M5S si alleava col PD, maggiore espressione dell’establishment destinatario dei “no”.

Se è vero quanto scriveva Smend, che l’unità politica è un processo, un divenire dinamico (Schmitt) realizzata in un’unione di volontà, non c’è da stupirsi che l’unione di volontà non vi sia né tra vertice e base né all’interno del vertice. Con la conseguenza di scissioni, dimissioni, ecc. Dei vecchi partiti ideologici della Prima Repubblica si è detto tutto il male possibile (e anche di più) ma fenomeni di decomposizione erano eccezionali e limitati per lo più a reali differenze ideali e politiche, come quelle tra seconda e terza internazionale.

Ma se il “collante” delle idee è tenue o inesistente, l’unione di volontà non si realizza o se si realizza lo è in modo debole e transitorio. Non era solo la disciplina a generare il partito “classico”, fino all’ “Ordine dei Portaspada” di Stalin, ma ancor di più la comunanza di ideali (ed obiettivi).

Attorno a quel che resta del M5S si aggirano i (soliti) megafoni delle élite. Con la logica che li contraddistingue qualcuno proclama la crisi del populismo basandosi sull’equazione Populista=M5S ergo crisi dei M5S=crisi dei populisti. Dimenticando che, a parte quel che succede all’estero, dal 2018 (al più tardi) l’elettorato anti establishment italiano è largamente e costantemente superiore al 50% dei suffragi espressi e che la crisi del M5S non ha giovato ai partiti di regime (PD in primis) ma ha solo trasferito gran parte dell’elettorato anti-élite ad altri due partiti anti-establishment come la Lega e FdI.

Onde il calo del M5S non è dovuto al tramonto del populismo, ma, in larga parte, al dissolversi dell’ “unione di volontà” tra vertice e base elettorale e l’evaporazione a tous azimouts dell’(irrisolta e tenue) identità del movimento.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

 

Una storia di due accordi sul gas: Azerbaigian-UE e Russia-Iran, di Andrew Korybko Analista politico americano

21 LUGLIO 2022

Una storia di due accordi sul gas: Azerbaigian-UE e Russia-Iran

Alcuni osservatori hanno ipotizzato che Baku sia in competizione con Mosca, ma questa interpretazione o ignora ciò che il presidente Aliyev ha detto ai media russi durante il suo viaggio a Mosca il giorno prima dell’inizio dell’operazione militare speciale in corso del suo ospite in Ucraina, oppure coloro che condividono questo punto di vista semplicemente non ne sono a conoscenza.

La scorsa settimana sono stati raggiunti due importanti accordi sul gas: quello dell’Azerbaigian con l’UE e quello della Russia con l’Iran . Il primo menzionato vedrà questo paese del Caucaso meridionale raddoppiare le sue esportazioni di gas verso il blocco per raggiungere i 20 miliardi di metri cubi entro il 2027, mentre il secondo ha portato la Grande Potenza eurasiatica a impegnarsi a investire fino a 40 miliardi di dollari nella Repubblica islamica. Alcuni osservatori hanno ipotizzato che Baku sia in competizione con Mosca, ma questa interpretazione o ignora ciò che il presidente Aliyev ha detto ai media russi durante il suo viaggio a Mosca il giorno prima dell’inizio dell’operazione militare speciale in corso del suo ospite in Ucraina, oppure coloro che condividono questo punto di vista semplicemente non ne sono a conoscenza.

Il leader azero ha rassicurato i suoi interlocutori russi di non avere tali intenzioni nei confronti delle forniture di gas all’UE, rimarcando che “penso che qui non si parli di concorrenza, i volumi non sono comparabili, ma è chiaro che anche piccoli volumi a volte possono fare la differenza nel mercato del gas. Per evitare ciò, siamo pronti e stiamo lavorando con la parte russa in questa direzione”. Nonostante i tempi concomitanti di questi due importanti accordi sul gas siano casuali, emanano comunque l’ottica del coordinamento, non della concorrenza. In parole povere, l’Azerbaigian sta sostituendo le risorse russe che l’UE prevede di eliminare gradualmente sotto la pressione degli Stati Uniti, mentre la Russia sta sostituendo quel mercato perduto con quello dell’Iran.

Questo in realtà non è nemmeno così male come “scambio”, per mancanza di una descrizione migliore. L’Azerbaigian è molto più piccolo della Russia, quindi il suo governo può reinvestire i profitti derivanti dalle sue raddoppiate vendite di gas all’UE per aiutare una percentuale maggiore della sua popolazione. L’Iran, nel frattempo, possiede alcune delle più grandi riserve di gas del mondo, che possono essere sfruttate utilizzando la tecnologia russa e successivamente esportate nel mercato globale in coordinamento con Mosca. Nel loro insieme, si stima che queste due grandi potenze abbiano quasi un terzo delle riserve mondiali di gas, il che può portare alla creazione di un meccanismo simile all’OPEC (anche se solo informale) tra loro e forse anche il gigante del gas Qatar.

L’Azerbaigian non è in grado di fare nulla del genere, ma ciò non significa nemmeno che stia ottenendo l’estremità corta del bastone. Piuttosto, svolgendo un ruolo sempre più strategico nella sicurezza energetica dell’UE, questo stato ferocemente sovrano può scoraggiare preventivamente le ingerenze occidentali contro la sua leadership in virtù della sua ritrovata importanza per il blocco. Lo stesso si può dire anche di Turkiye per estensione, dal momento che il gasdotto transanatolico (TANAP) attraversa il territorio di quella Grande Potenza. Come il suo alleato azerbaigiano, è anche ferocemente sovrano e pratica una politica estera indipendente , con grande dispiacere dei suoi tradizionali partner occidentali. Per questo TANAP può tutelare anche i propri interessi.

Per quanto riguarda la Russia, non solo è pronta a sbloccare l’enorme potenziale energetico dell’Iran nei prossimi anni e forse anche a coordinarsi con esso attraverso un meccanismo simile all’OPEC, ma i suoi nuovi investimenti nella Repubblica islamica possono anche garantire la sicurezza energetica del loro partner indiano condiviso anche con i due. Queste tre grandi potenze si stanno impegnando congiuntamente per creare un terzo polo di influenza nell’attuale fase intermedia bipolare della transizione sistemica globale alla multipolarità , con il corridoio di trasporto nord-sud(NSTC) che rappresenta la manifestazione fisica di questo asse emergente, quindi è naturale che Iran e Russia diano la priorità all’esportazione di gas verso l’India rispetto all’arrivo sul mercato.

Il quadro più ampio in gioco è che sia l’UE che l’India stanno assicurando la loro sicurezza energetica a medio e lungo termine attraverso i principali accordi sul gas di questa settimana tra quel blocco e l’Azerbaigian da un lato e Russia e Iran (i due principali partner eurasiatici di Delhi) dall’altro. Ciò significa che tutto è in realtà reciprocamente vantaggioso per tutti i soggetti coinvolti, senza che nessuno di questi accordi avvenga a spese di nessun altro, il che è sorprendente considerando che qualcosa di così significativo come questi due sviluppi non è mai accaduto prima a pochi giorni l’uno dall’altro. Tutto ciò dimostra che il multipolarismo sta già incidendo sulle relazioni internazionali, anche all’interno della “ sfera di influenza ” degli Stati Uniti nell’UE.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=3093

Il grande botto, di Giuseppe Masala

Manuale di sopravvivenza per espettare serenamente il Grande Botto.
1) Spegniamo la televisione;
2) Non compriamo i giornali;
3) Leggiamo lo Zauberberg di Mann, anche se non ci capiremo nulla impareremo comunque qualcosa: per esempio che non tutti siamo nati per essere filosofi e che fondamentalmente ci interessa altro.
4) Rifuggiamo dalle persone ad alto grado di mantenimento del proprio ego: chi ostenta vestiti, macchine e viaggi costosi. E soprattutto i peggiori, quelli che vanno in crociera.
5) Troviamoci una passione: uno strumento musicale, gli scacchi, la matematica. A libera scelta.
6) Non giudichiamo e non invidiamo. Impariamo ad apprezzare la solitudine come un momento di liberazione.
7) Rifuggiamo da idee strane, tipo voler salvare il mondo, troppi già lo fanno portandolo alla rovina.
8 ) Chi ha una fattoria con gli animali è già il Re del mondo. Se non l’abbiamo possiamo alternare sempre una visita ad una biblioteca ed una passeggiata nel bosco. Lo saremo lo stesso.
9) Boycottiamo il Sistema. E’ solo un’illusione a vantaggio di pochi. Alla fine che abbiamo da perdere? Berlusconi, la Gelmini, Brunetta, Letta, Conte? Tanto di guadagnato, o no?
10) Il Grande Botto non è detto che sia il male, anzi. Only the brave…

 

LO STATO DELLE COSE DELLA GEOPOLITICA, di Massimo Morigi _ 4a di 11 parti

AVVERTENZA

La seguente è la quarta di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi, nella sua terza parte è disponibile a partire da pagina 130. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe a partire dalla seconda parte.

PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*

*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.

QUARTA PUNTATA STATO DELLE COSE

Rivali entro limiti ragionevoli?_Di Kevin Rudd

Il dibattito sulla collocazione geopolitica degli Stati Uniti comincia ad assumere contorni più delineati e con esso emergono più chiaramente gli schieramenti e la posizione dei centri decisori più importanti. Posizioni ormai non più corrispondenti soltanto con il classico schema filo ed antitrumpiano, ma che pervadono anche i settori della amministrazione al governo. In politica e nelle dinamiche geopolitiche sono importanti le posizioni e le rappresentazioni che guidano l’azione dei centri decisori; sono altrettanto se non più importanti i tempi in cui maturano e si perseguono i propositi. Negli Stati Uniti le élites sembrano ormai agire fuori tempo massimo grazie ad un aspro confronto politico in corso da anni e ancora irrisolto; hanno però ancora numerose carte da giocare, non ostante la crescente diffidenza e ostilità nel mondo. Una di queste riguarda il contenzioso della NATO con la Russia e il tentativo di ridurre la platea di competitori geopolitici determinanti. Un’altra, è la presenza in Cina, soprattutto nell’area centro-meridionale del paese, di componenti che vivono di profondi legami con gli Stati Uniti ma che hanno subito in questi anni significative sconfitte politiche e che, comunque, dispongono di alternative crescenti. L’aspetto positivo sta nella progressiva chiarezza delle posizioni e delle forze in campo in quel paese e il fitto intreccio di relazioni e connessioni tra specifici settori decisionali di paesi diversi, compresi quelli in posture apertamente ostili. Un altro fattore sempre più evidente è il profondo legame esistente tra le politiche e le dinamiche socioeconomiche interne dei paesi e quelle geopolitiche, tale da conformare i livelli di coesione e dinamismo delle formazioni sociali. Il quadriennio della presidenza di Trump dovrebbe ormai fare scuola. Non è poco, a patto che ci siano forze adeguate a prendere le misure necessarie e a gestire le situazioni. In Cina, in Russia e in numerosi paesi dell’ex-Terzo Mondo stanno emergendo con sempre maggiore consapevolezza; gli stati europei sono al contrario particolarmente predisposti ad assumere il ruolo di agnelli sacrificali. Buona lettura, Giuseppe Germinario

La concorrenza tra Stati Uniti e Cina sta diventando più acuta, ma non deve necessariamente diventare più pericolosa

Nell’anno e mezzo dall’insediamento del presidente Joe Biden, la concorrenza tra Stati Uniti e Cina si è solo intensificata. Piuttosto che smantellare le dure politiche dell’ex presidente Donald Trump nei confronti di Pechino, Biden le ha in gran parte portate avanti, sottolineando che le due potenze sono quasi certamente dirette verso un lungo periodo di forte e militarmente pericolosa rivalità strategica. Ma ciò non significa che gli Stati Uniti e la Cina si stiano muovendo inesorabilmente verso crisi, escalation, conflitti o persino guerre. Al contrario, Pechino e Washington potrebbero brancolare verso una nuova serie di accordi stabilizzatori che potrebbero limitare, sebbene non eliminare, il rischio di un’improvvisa escalation.

Valutare lo stato delle relazioni USA-Cina in un dato momento non è mai facile, data la difficoltà di distinguere tra ciò che ciascuna parte dice pubblicamente dell’altra – spesso per effetto politico interno – e ciò che ciascuna fa effettivamente dietro le quinte. Eppure, nonostante la retorica aspra e spesso accesa, sono emersi alcuni primi segnali di stabilizzazione, tra cui la timida ricostituzione di una forma di dialogo politico e di sicurezza volto a gestire le tensioni.

Tale stabilizzazione è ben lontana dalla normalizzazione, il che significherebbe ripristinare un impegno politico, economico e multilaterale globale. I giorni della normalizzazione sono stati consegnati alla storia. Ma la stabilizzazione sarebbe comunque significativa. Significherebbe la differenza tra la concorrenza strategica gestita attraverso il rafforzamento dei guardrail e la concorrenza non gestita, ovvero guidata da un processo di spinte e controspinte, ad opera principalmente dell’esercito di ciascun paese, nella speranza che in un dato giorno nessuno si spinga troppo oltre. La domanda per entrambe le parti, e per i paesi che sono presi nel mezzo di questa titanica lotta per il futuro degli ordini regionali e globali, è che tipo di competizione strategica perseguiranno.

PROBLEMI SUL FRONTE INTERNO

La Cina misura la sua posizione nei confronti degli Stati Uniti con quello che chiama zonghe guoli , o “potere nazionale globale”. Zonghe guoli tiene conto della potenza militare, economica e tecnologica della Cina rispetto a quella degli Stati Uniti e dei suoi alleati, nonché della percezione di Pechino del modo in cui gravitano i paesi terzi. Per gran parte degli ultimi cinque anni, il discorso interno del Partito Comunista Cinese (PCC) ha sempre più riflesso la convinzione che questo equilibrio di potere si muova rapidamente a favore della Cina e che questa tendenza sia ormai irreversibile.

Tuttavia, non tutto è andato per il verso di Pechino, soprattutto dopo l’elezione di Biden. I leader cinesi sono stati profondamente preoccupati dal rilancio delle alleanze statunitensi sia nel Pacifico che nell’Atlantico. Sono stati colti di sorpresa dalla rapida elevazione del Quad – che comprende Australia, India, Giappone e Stati Uniti – al livello di vertice sotto Biden, reso possibile da un’escalation della disputa sul confine della Cina con l’India. La Cina è stata anche preoccupata per l’emergere di una nuova partnership per la sicurezza tra Australia, Stati Uniti e Regno Unito, nota come AUKUS e dalla decisione dell’Australia di sviluppare una flotta di sottomarini a propulsione nucleare. Pechino ha assistito con allarme mentre il Giappone ha adottato una nuova politica di difesa, ha ampliato le spese per la difesa e ha iniziato ad abbracciare la necessità di assistenza nella difesa di Taiwan . La Cina ha registrato una preoccupazione simile per il nuovo atteggiamento strategico e di politica estera della Corea del Sud sotto il presidente Yoon Suk-yeol , che durante la campagna elettorale ha promesso di unirsi al Quad e trasformarlo nella Quint. E infine, la partnership strategica “senza limiti” della Cina con la Russia, in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte di quest’ultima, ha profondamente danneggiato la posizione di Pechino in Europa, al punto che anche le tradizionali colombe cinesi in varie capitali europee sono ora scettiche sulle ambizioni strategiche a lungo termine di Pechino .

Anche la Cina deve affrontare problemi sul fronte interno. L’economia ha rallentato radicalmente. Ciò è iniziato diversi anni fa, quando il presidente Xi Jinping ha iniziato a spostare la politica economica cinese più a sinistra. Il partito ha assunto un ruolo più importante nel settore privato, alle imprese statali è stata data una nuova prospettiva di vita e lo stato ha represso duramente i settori della tecnologia, della finanza e del settore immobiliare. Il risultato complessivo è stato un calo della fiducia del settore privato, una riduzione degli investimenti privati, una diminuzione della produttività e un rallentamento della crescita.Questi problemi economici sottostanti sono stati sovraccaricati dai continui blocchi draconiani del COVID-19 di Pechino in molte delle sue principali città, che hanno soppresso la domanda dei consumatori, interrotto le catene di approvvigionamento sia nazionali che globali e ulteriormente minato il settore immobiliare cinese, che normalmente rappresenta tanto come il 29 per cento del PIL cinese. E nel contesto di un’economia globale in rallentamento, che soffre anche dell’aumento dell’inflazione a causa della guerra in Ucraina, data la dipendenza della Cina dalle esportazioni come principale motore di crescita.

Nonostante i numerosi tentativi di correzione della rotta sulla politica economica (ma non sulla politica COVID-19 ), ci sono pochi segnali di ripresa. In effetti, ci sono alcuni segnali di panico per i numeri di crescita della Cina, non solo a causa dell’impatto politico dell’aumento della disoccupazione, ma anche a causa dei timori più profondi che la reingegnerizzazione ideologica del modello economico tradizionale cinese da parte di Xi possa alla fine ostacolare la corsa del Paese al sorpasso degli Stati Uniti come la più grande economia del mondo.

Alla luce di queste tendenze, l’attuale visione del mondo di Pechino è più sfumata di quanto potrebbe suggerire la sua narrativa ufficiale di “l’Oriente sta sorgendo, l’Occidente in declino”. La Cina vede ancora linee di tendenza strategiche muoversi nella sua direzione a lungo termine. Ma vede anche una nuova serie di significativi venti contrari, molti di sua creazione, con cui deve fare i conti nel breve e medio termine. C’è anche la sfida più immediata per Xi della navigazione del 20° Congresso del Partito cinese, il conclave politicamente critico che si terrà questo autunno. Sebbene sia altamente improbabile che Xi affronterà grandi sfide per la sua prevista candidatura per un terzo mandato a capo del PCC, non è chiaro se riuscirà ad assicurarsi tutte le sue nomine preferite nella prossima squadra economica del partito, compreso il prossimo premier. . Tuttavia, Xi ha un chiaro interesse a evitare sorprese per il resto dell’anno. Ciò include sorprese sul fronte internazionale in generale e nelle relazioni USA-Cina in particolare. Per questi motivi, Pechino ha quindi un incentivo a stabilizzare, almeno temporaneamente, i suoi rapporti con Washington, invece di consentire che le tensioni strategiche continuino a intensificarsi. Ciò non significa che la Cina cambierà la sua strategia a lungo termine.

INCLINE AGLI INCIDENTI

L’ amministrazione Biden ha osservato attentamente questi sviluppi in Cina. Ma è stata ugualmente consapevole delle proprie sfide. Queste includono la difficoltà di approvare l’Innovation and Competition Act degli Stati Uniti e altre leggi essenziali per la futura competitività internazionale degli Stati Uniti ; le incombenti incertezze politiche intorno alle elezioni di medio termine e le loro implicazioni per la competizione presidenziale del 2024; suscettibilità agli attacchi repubblicani su qualsiasi adeguamento alla strategia USA-Cina che potrebbe essere descritto come debolezza; vulnerabilità militari in caso di improvvisa escalation su Taiwan o sul Mar Cinese Meridionale, nonostante gli sforzi delle amministrazioni Trump e Biden per colmare il divario nelle capacità militari; incapacità finora di compensare la crescente impronta economica regionale e globale della Cina, dato il sentimento profondamente protezionista nel Congresso degli Stati Uniti; e lo scetticismo di fondo tra gli amici degli Stati Uniti, e persino alleati formali, sulla preminenza a lungo termine, l’affidabilità strategica e la volontà politica di Washington di rimanere la potenza dominante del mondo.

Per questi motivi, né la Cina né gli Stati Uniti hanno l’appetito politico per una crisi o un conflitto accidentale. Nessuna delle due parti è pronta ed entrambe hanno bisogno di tempo per affrontare la vasta gamma di difficoltà e carenze che devono affrontare. Tuttavia, il rischio di un’escalation involontaria è reale e in crescita. La recente pericolosa intercettazione da parte dell’Esercito popolare di liberazione di un aereo di sorveglianza P-8 della Royal Australian Air Force sul Mar Cinese Meridionale, che potrebbe facilmente aver causato lo schianto dell’aereo australiano, è solo uno dei tanti esempi di un incidente che potrebbe essere rapidamente degenerato in una crisi. In questo caso, i termini del Trattato di difesa USA-Australia del 1951 avrebbero potuto obbligare gli Stati Uniti a venire in immediata difesa dell’Australia se l’incidente avesse preso una svolta fatale. (In effetti, sarebbe utile che Pechino familiarizzasse con i termini precisi degli obblighi militari degli Stati Uniti nei confronti di ciascuno dei suoi alleati del Pacifico, nel caso in cui i leader cinesi pensassero che minacciare questi paesi sia un modo semplice per dimostrare la forza militare senza rischiare direttamente una escalation con Washington.)

Guardare la Cina e gli Stati Uniti impegnarsi in crescenti livelli di rischio è come guardare due vicini che si saldano in un laboratorio sul retro senza scarpe con la suola di gomma, scintille che volano ovunque e cavi scoperti e non isolati che corrono su un pavimento di cemento bagnato. Che cosa potrebbe andare storto?

COMPETIZIONE STRATEGICA GESTITA

Questo è il motivo per cui in precedenza ho discusso in Affari esteri per quella che chiamo “competizione strategica gestita”. Questo è un concetto profondamente realista, non uno che sostiene che solo attraverso una migliore comprensione delle reciproche intenzioni strategiche possono migliorare le relazioni tra gli Stati Uniti e la Cina. Il problema centrale al momento è esattamente il contrario: sia Pechino che Washington infatti hanno una comprensione ragionevolmente accurata delle reciproche intenzioni, ma da diversi anni sono impegnate in un confronto strategico tutti contro tutti senza regole sulla strada per vincolarli. La concorrenza strategica gestita offre la possibilità realistica di una serie di vincoli più stabilizzanti e reciprocamente concordati.

Il concetto ha quattro elementi di base. In primo luogo, gli Stati Uniti e la Cina devono stabilire una comprensione chiara e dettagliata delle reciproche linee rosse strategiche al fine di ridurre il rischio di conflitti dovuti a errori di calcolo. Una comprensione dettagliata di tali limiti dovrebbe essere raggiunta in domini critici come Taiwan, i mari della Cina meridionale e orientale, la penisola coreana, il cyberspazio e lo spazio. La comprensione delle reciproche linee rosse non richiede un accordo sulla legittimità di tali linee rosse. Sarebbe impossibile. Ma entrambe le parti dovrebbero concludere che la prevedibilità strategica è vantaggiosa, che l’inganno strategico è futile e che la sorpresa strategica è semplicemente pericolosa. Ciascuna parte deve quindi creare barriere nelle sue relazioni con l’altra che riducano il rischio di superamento, cattiva comunicazione e incomprensione, anche stabilendo il dialogo ad alto livello necessario e i meccanismi di comunicazione in caso di crisi per supervisionare tali accordi.

In secondo luogo, dopo aver stabilito tali barriere, entrambi i paesi possono abbracciare una competizione strategica non letale per gran parte del resto delle loro relazioni, incanalando la loro rivalità strategica in una corsa per migliorare la loro forza economica e tecnologica, la loro impronta di politica estera e persino le loro capacità militari. Questa corsa comprende anche la competizione ideologica sul futuro del sistema internazionale. Ma, soprattutto, questa sarebbe una competizione strategica gestita, non non gestita, riducendo il rischio che possa degenerare in un conflitto armato diretto. In effetti, una concorrenza così limitata potrebbe nel tempo ridurre, piuttosto che esacerbare, il rischio di guerra, soprattutto se dovessero riprendere forme più normali di impegno economico nell’ambito della concorrenza gestita.

In terzo luogo, la concorrenza strategica gestita dovrebbe fornire lo spazio politico per la cooperazione in quelle aree in cui gli interessi nazionali si allineano, compresi i cambiamenti climatici , la salute pubblica globale, la stabilità finanziaria globale e la proliferazione nucleare . Né la Cina né gli Stati Uniti (né il resto del mondo) possono permettersi che la cooperazione sulle sfide globali esistenziali cada nel dimenticatoio. Ma è probabile che nessuna cooperazione seria in nessuna di queste aree vada molto lontano a meno che le relazioni USA-Cina non possano essere stabilizzate dai primi due elementi della competizione strategica gestita : i guardrail che consentono alla rivalità strategica di essere incanalata in forme di concorrenza non letali. Senza questi elementi, è probabile che lo spazio politico per la cooperazione nel mondo reale continui a ridursi.

Infine, per avere qualche possibilità di successo, questa compartimentazione del rapporto dovrebbe essere gestita in modo accurato e continuo da funzionari di gabinetto dedicati da entrambe le parti. Questo quadro dovrebbe quindi essere mantenuto con mano ferma, indipendentemente dalle turbolenze politiche interne o internazionali che potrebbero sorgere.

Questo può sembrare facile da dire ma impossibile da fare. Vale la pena ricordare, tuttavia, che dopo l’esperienza di pre-morte della crisi missilistica cubana  del 1962, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica alla fine hanno concordato una serie di accordi stabilizzatori, poi radicati negli Accordi di Helsinki del 1975, che hanno consentito loro di per affrontare altri 30 anni di intensa competizione strategica senza innescare una guerra totale.

COSTRUZIONE DI VIE PROTETTE

A giudicare dalle fucilate pubbliche tra Pechino e Washington, sembra che potrebbe non esserci molta aspettativa per un quadro stabilizzante come la concorrenza strategica gestita. Nel suo primo incontro con il Segretario di Stato americano Antony Blinken nel marzo 2021, il massimo diplomatico cinese, Yang Jiechi, ha scatenato un livello quasi senza precedenti di insulti pubblici, tenendo una conferenza a Blinken sui problemi “radicati” degli Stati Uniti come il razzismo e accusando gli Stati Uniti di essere “condiscendente”. Questo scambio è stato accompagnato da bordate pubbliche tra il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin e il Ministro della Difesa cinese Wei Fenghe a Singapore nel giugno di quest’anno, quando Wei ha insinuato che gli Stati Uniti erano la vera “mente” dietro la guerra della Russia in Ucraina. Il commento nei media statali cinesi è stato altrettanto incendiario, attaccando gli Stati Uniti per la sua politica, mettilo all’inizio di questo mese.

Sotto la superficie, tuttavia, sembra che si stia svelando qualcosa di nuovo. Nel luglio 2021, il vicesegretario di Stato Wendy Sherman ha incontrato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi a Tianjin e ha fatto pressioni affinché si stabilissero dei ” guardrail” nella relazione. Questo a sua volta è diventato il fulcro di una prima telefonata critica tra Biden e Xi, che è stata salutata a Pechino come un segnale altamente positivo. Al momento del primo vertice virtuale dei due leader, nel novembre 2021, Biden sottolineava apertamente ” la necessità di barriere di buon senso per garantire che la concorrenza non viri in conflitto e per mantenere aperte le linee di comunicazione”.

Inoltre, quando Blinken ha delineato la strategia cinese dell’amministrazione in

un discorso all’Asia Society a Washington, DC, a maggio, ha affermato che mentre ” l’intensa competizione” tra le due grandi potenze era inevitabile, questa ” competizione non deve necessariamente portare a conflitti .” Ha citato Biden dicendo che ” l’unico conflitto peggiore di quello previsto è non intenzionale” e ha affermato che ” gestiremo questa relazione in modo responsabile per evitare che accada”. Più tardi, prima di un incontro tra Blinken e Wang alla riunione dei ministri degli esteri del G-20 a Bali, un alto funzionario dell’amministrazione ha affermato che l’obiettivo dell’incontro era gestire responsabilmente l’intensa competizione tra gli Stati Uniti e la [Cina]” mettendo ” barriera, per così dire, sulla relazione in modo che la nostra concorrenza non si riversi in errori di calcolo o confronto”.

In effetti, questa enfasi pubblica sui guardrail è diventata una caratteristica continua della diplomazia statunitense-cinese. È stato particolarmente evidente in un incontro di quattro ore tra Yang e il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan a giugno, incentrato sul “mantenere linee di comunicazione aperte per gestire la concorrenza tra i nostri due paesi”, secondo la lettura della Casa Bianca. E la retorica diplomatica potrebbe iniziare a tradursi in azioni concrete, con le due parti che riaprono canali di dialogo interrotti a livello di lavoro e di alto livello, compresi i colloqui da militare a militare, e persino esplorando in modo incerto la possibilità di dialoghi sulla stabilità strategica nucleare. Questi sono, tuttavia, i primi passi.

Sul fronte economico, i recenti contatti tra il segretario al Tesoro statunitense Janet Yellen e il vicepremier cinese Liu He sullo stato dell’economia globale, un accordo sui principi contabili per la possibile ripresa delle quotazioni cinesi alla Borsa di New York e la collaborazione tra gli USA e i negoziatori commerciali cinesi a una riunione dell’Organizzazione mondiale del commercio sui meccanismi di risoluzione delle controversie puntano tutti in una direzione positiva. Così fanno i timidi progressi all’interno di Washington e tra Washington e Pechino sulla possibilità di ridurre o rimuovere i dazi imposti durante la recente guerra commerciale USA-Cina per combattere l’inflazione. Mentre, nelle parole degli antichi, “una rondine non fa una primavera”, sembra esserci movimento su una serie di fronti diversi in questa relazione precedentemente congelata.

CALCIARE IL BARATTOLO?

Finora, la Cina ha rifiutato pubblicamente il linguaggio della “competizione strategica”, gestita o non gestita. Accettarlo andrebbe contro il mantra di lunga data di Pechino secondo cui le sue relazioni con gli Stati Uniti dovrebbero essere regolate dai tre principi di Xi di “nessun conflitto o confronto”, “rispetto reciproco” per i sistemi politici dell’altro e cooperazione “vincente per tutti”. . Più fondamentalmente, tuttavia, la riluttanza di Pechino a caratterizzare esplicitamente il rapporto come di concorrenza strategica deriva dal fatto che ciò confermerebbe che la Cina è effettivamente in una competizione nel mondo reale per la preminenza regionale e globale. E ciò sarebbe contrario alla linea ufficiale di Pechino secondo cui la sua ambizione globale è solo quella di sviluppare una “comunità di destino comune per tutta l’umanità”, non di massimizzare il potere nazionale cinese.

Tuttavia, la Cina sembra avviarsi verso l’accettazione della realtà (se non nel linguaggio) della gestione delle sue relazioni competitive con gli Stati Uniti. Pechino, ad esempio, potrebbe essere in grado di accettare una combinazione di concorrenza pacifica e cooperazione costruttiva all’interno di un quadro di barriere strategiche necessarie. Nel sistema cinese, molto più che in quello americano, le stesse parole usate per descrivere un quadro strategico contano perché possono autorizzare azioni sostanziali da parte di funzionari di livello lavorativo altrimenti intrappolati all’interno di una gabbia linguistica di dogmi ideologici.Questo fenomeno è particolarmente visibile tra i diplomatici cinesi, che sono stati spinti da incentivi politici interni verso la retorica nazionalistica del “Wolf Warrior”. Una riformulazione ideologica dall’alto è necessaria per autorizzare dal basso un’attività diplomatica meno ideologica e più pragmatica.

La competizione strategica gestita potrebbe aiutare a stabilizzare le relazioni USA-Cina nel prossimo decennio, quando la rivalità tra le due superpotenze potrebbe raggiungere altrimenti la sua fase più pericolosa man mano che si avvicinano alla parità economica. Le prospettive di stabilizzazione potrebbero essere le più promettenti per i prossimi sei mesi, in vista del midterm degli Stati Uniti e del 20° Congresso del Partito di Xi. Ma affrontare la vasta gamma di sfide nazionali e internazionali della Cina (e, del resto, degli Stati Uniti) richiederà più tempo. Se sia Pechino che Washington scoprono che una relazione più gestita li aiuta a superare il periodo difficile che li attende, potrebbero concludere che può essere utile a lungo termine.

È vero, la rivalità strategica tra le due potenze sarebbe continuata. E i critici sosterranno che la concorrenza strategica gestita semplicemente calcia la lattina lungo la strada. Ma non è una brutta cosa, soprattutto se l’alternativa è un mondo di rischio sempre crescente di crisi, escalation, o anche quello che i nazionalisti ingenui potrebbero chiamare il processo di pulizia e chiarimento della guerra stessa. L’ultima volta che sembrò una buona idea fu il 1914. E non finì bene.

  • KEVIN RUDD è Presidente dell’Asia Society, a New York, e in precedenza è stato Primo Ministro e Ministro degli Esteri dell’Australia.

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DIETRO L’UCRAINA/ I piani americani che hanno indotto Mosca alla guerra, di Giuseppe Gagliano

Ecco come Obama e Biden hanno provocato la trappola che ha costretto la Russia a intervenire in Ucraina, secondo Michael Brenner

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Soldati delle forze ucraine (LaPresse)

Professore emerito di affari internazionali nell’Università di Pittsburgh e membro del Center for Transatlantic Relations presso Sais/Johns Hopkins, Michael Brenner è stato direttore del programma di relazioni internazionali e studi globali presso l’Università del Texas. Ha anche lavorato presso il Foreign Service Institute, il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e Westinghouse. È autore di numerosi libri e articoli sulla politica estera americana, la teoria delle relazioni internazionali, l’economia politica internazionale e la sicurezza nazionale.

Secondo lo studioso americano per capire il conflitto attualmente in corso con la Russia è necessario tenere presenti tre aspetti.

In primo luogo, la guerra in Ucraina è il culmine di una crisi iniziata poco dopo l’insediamento dell’amministrazione Biden. Questa crisi è di per sé una ripresa del fuoco dalle braci mal spente dell’iniziale conflagrazione risalente al colpo di Stato fomentato da Washington nel marzo 2014.

In secondo luogo, le fasi successive di questa crisi devono essere intese nel contesto della crescente ostilità delle relazioni russo-americane. I suoi indicatori sono stati l’intervento di Mosca nella guerra civile siriana (2015), le decisioni delle successive amministrazioni statunitensi di terminare o ritirarsi dagli accordi sul controllo degli armamenti risalenti alla Guerra fredda – che hanno suscitato la preoccupazione di Mosca per le intenzioni militari di Washington –, il graduale allargamento della Nato verso Est, le “rivoluzioni colorate” orchestrate alla periferia della Russia, e il sentimento antirusso suscitato dall’affare manipolato “Russiagate”.

Terzo, l’Ucraina è stata l’occasione, non la causa, della rottura definitiva delle relazioni tra Mosca e Washington.

Da aprile 2021 i contorni della strategia americana nei confronti dell’Ucraina e della Russia si sono ben presto chiariti: organizzare un incidente provocatorio nel Donbass che scateni una reazione russa che potrà poi essere utilizzata per confermare le affermazioni speculative di Washington sui preesistenti piani di invasione russa.

Il significativo rafforzamento delle forze ucraine lungo la linea di contatto nel Donbass, abbondantemente rifornite di missili anticarro Javelin e antimissili Sprint, prefigurava la preparazione di azioni militari offensive. L’azione Usa stava facendo esattamente quello di cui abbiamo accusato Mosca: pianificare un attacco deliberato. Washington si aspettava che la conseguente crisi costringesse gli europei occidentali ad accettare una serie completa di sanzioni economiche, inclusa la cancellazione del Nord Stream 2 contro la Russia. Era il fulcro del piano. Il team di politica estera di Joe Biden era convinto che le sanzioni draconiane avrebbero causato il collasso dell’economia fragile e non diversificata della Russia. Il vantaggio secondario per gli Stati Uniti sarebbe una maggiore dipendenza europea dagli Usa per le risorse energetiche, e implicitamente l’allineamento europeo con le posizioni politiche di Washington. Così, la paura della Russia e la dipendenza economica perpetuerebbero indefinitamente lo status di vassallo degli Stati europei che è loro proprio da 75 anni.

Pertanto, secondo Brenner, l’obiettivo principale di Washington nella crisi ucraina era la Russia: la crescente obbedienza degli alleati europei a Washington era un guadagno collaterale. Il diffuso boicottaggio delle esportazioni russe di gas naturale e petrolio è stato visto come un modo per drenare le risorse finanziarie e l’economia del Paese mentre i proventi dalle sue esportazioni diminuivano.

Se a questo si aggiunge il piano per escludere la Russia dal meccanismo di transazione finanziaria Swift, lo shock subito dall’economia doveva portare alla sua implosione. Il rublo sarebbe crollato, l’inflazione aumentata, il tenore di vita crollato, il malcontento popolare avrebbe indebolito Putin così tanto che sarebbe stato costretto a dimettersi o sarebbe stato sostituito da una cabala di oligarchi scontenti. Il risultato sarebbe stato una Russia più debole, legata all’Occidente, o una Russia isolata e impotente.

Come ha detto il presidente Biden: “Per l’amor di Dio, quest’uomo non può rimanere al potere”.

Per comprendere appieno la tattica adottata dagli Stati Uniti, bisogna tener conto di un fatto cruciale: pochissime persone nella Washington ufficiale si preoccupavano della stabilità dell’Ucraina o del benessere del popolo ucraino. I loro occhi erano fissi su Mosca. Nella mente degli strateghi di Washington, l’Ucraina rappresentava un’opportunità unica per giustificare l’imposizione di sanzioni paralizzanti che avrebbero messo fine alle presunte ambizioni di Putin in Europa e oltre. Inoltre, i legami sempre più stretti tra la Russia e gli Stati europei sarebbero stati interrotti, probabilmente in modo irrimediabile. Una nuova cortina di ferro avrebbe diviso il continente, segnato da una linea di sangue: sangue ucraino. Questa realtà geostrategica permetterebbe all’Occidente di dedicare tutte le sue energie al confronto con la Cina. Tutto ciò che gli Stati Uniti hanno fatto con l’Ucraina nell’ultimo anno è stato guidato da questo obiettivo generale.

Questi scenari ottimistici avevano in comune la speranza che la nascente partnership sino-russa sarebbe stata fatalmente indebolita, ribaltando l’equilibrio a favore degli Stati Uniti nella prossima battaglia con la Cina per la supremazia globale.

Come è stato concepito e deciso questo piano? In verità, gli obiettivi generali erano stati definiti dall’amministrazione Obama. Lo stesso presidente ha dato la sua approvazione al colpo di Stato di EuroMaidan (2014), che è stato supervisionato direttamente dall’allora vicepresidente Joe Biden, che ha agito come pilota per l’Ucraina tra marzo 2014 e gennaio 2016. Poi, l’amministrazione americana ha adottato misure forti per bloccare l’attuazione degli accordi di Minsk II, protestando con Merkel e Macron. Ecco perché Berlino e Parigi non hanno mai fatto il minimo gesto per convincere Kiev a rispettare i propri obblighi.

L’operazione per provocare una crisi nel Donbass è stata architettata da figure influenti – in particolare Anthony Blinken, segretario di Stato, e Jake Sullivan, capo del Consiglio di sicurezza nazionale – e circoli neoconservatori durante la presidenza Trump, la cui incoerenza e disordine ha impedito la definizione di una politica calibrata nei confronti dell’Ucraina e della Russia; così il peso delle sanzioni è aumentato negli anni 2016-2020.

La strategia era quella di aumentare la pressione su Mosca per stroncare sul nascere l’aspirazione della Russia a diventare ancora una volta un attore importante in grado di privare gli Stati Uniti dei suoi privilegi di egemone mondiale e unico sovrano d’Europa. Era guidata dall’ardente Victoria Nuland e dai suoi compagni neoconservatori del Consiglio di sicurezza nazionale (Nsc), della Cia, del Pentagono, del Congresso e dei media. Poiché Blinken e Sullivan erano essi stessi sostenitori di questa strategia di confronto, l’esito del dibattito era una conclusione scontata.

Per quanto riguarda l’Ucraina, il piano era pronto e in attesa della decisione della Casa Bianca. I fautori di una nuova Guerra fredda in tutta l’amministrazione hanno potuto imporre le loro opinioni su un governo in cui non c’erano voci dissenzienti e guidato da un presidente passivo e malleabile. Così prendeva corpo il piano antirusso in Ucraina con il rafforzamento delle forze militari lungo la linea di contatto nel Donbass e discorsi bellicosi sulla necessità di imporre sanzioni economiche più pesanti a Mosca in caso di conflitto, provenienti sia da Washington e Bruxelles.

I leader del Cremlino sembrano essere stati pienamente consapevoli di quello che stava succedendo. L’obiettivo americano di riportare la Russia al suo posto subordinato era dato per scontato dal Cremlino. Ma c’era incertezza su quali iniziative aspettarsi sul campo: un grande assalto delle forze di Kiev nel Donbass o piccoli atti provocatori per provocare una reazione russa che potesse fungere da pretesto per l’imposizione di sanzioni, inclusa la chiusura del Nord Stream 2?

È probabile che gli alti funzionari di Washington non abbiano fatto loro stessi una scelta riguardo alle modalità tattiche della loro azione. Le divergenze tra i diversi attori e un presidente titubante avrebbero potuto benissimo lasciare aperte opzioni per arrivare a un consenso morbido e oscuro. L’alternanza di retorica bellicosa e parole rassicuranti in pubblico di Biden, così come le conversazioni telefoniche “non andiamo in guerra” che ha avviato con Putin e riaffermato nei comunicati stampa, ne sono un esempio, una prova tangibile.

Ma alla fine è stata presa la decisione di lanciare l’operazione contro la Russia. Prova innegabile di ciò sono gli annunci molto specifici del presidente Biden, di Anthony Blinken e del direttore della Cia William Burns sulla data dell’“offensiva” russa. Potevano essere così affermativi perché erano ben consapevoli della data fissata per l’inizio dell’operazione militare ucraina contro il Donbass e sapevano che Mosca avrebbe immediatamente reagito militarmente. Queste affermazioni non erano basate su informazioni privilegiate ottenute attraverso intercettazioni di comunicazioni russe o la presenza di una talpa al Cremlino. Washington non ha tale accesso ai centri decisionali di Mosca, come dimostra il fatto che gli Stati Uniti sono rimasti sorpresi da tutte le altre iniziative significative della Russia, compreso l’intervento militare in Siria nel 2015.

Il conto alla rovescia è stato innescato da un aumento di 30 volte dei bombardamenti ucraini nel Donbass, anche contro quartieri residenziali, tra il 16 e il 23 febbraio 2022, come riportato dagli osservatori dell’Osce. La forma e la portata esatte della reazione del Cremlino erano imprevedibili, ma questo di per sé non era un problema per Washington, dal momento che qualsiasi azione militare di Mosca serviva al suo grande scopo. Inoltre, gli americani erano convinti che l’ambizioso programma di addestramento ed equipaggiamento dell’esercito ucraino lanciato dal 2018 – e integrato dall’erezione di un’importante rete di fortificazioni che costituiscono una linea Maginot in miniatura – avrebbe impedito una disfatta delle forze di Kiev e, di conseguenza, creato le condizioni per una guerra di logoramento i cui effetti sull’economia e sull’opinione pubblica russa sarebbero stati particolarmente marcati.

Joe Biden ha richiamato indirettamente l’attenzione su questo punto durante una conferenza stampa tenutasi all’inizio di febbraio 2022. Ha affermato che una forte reazione da parte della Russia avrebbe garantito l’unità della Nato e l’accordo degli Stati membri al fine di imporre forti sanzioni. Una reazione più limitata, ha detto in quell’occasione, avrebbe provocato probabilmente un acceso dibattito tra i governi alleati sull’opportunità o meno di escludere la Russia dal sistema Swift e sospendere il progetto Nord Stream 2. Pertanto, l’attacco preventivo russo su larga scala del 24 febbraio ha permesso agli americani di vedere realizzata la loro opzione preferita, quella di sanzioni massicce.

Che dire della ripetuta affermazione di Joe Biden secondo cui Volodymyr Zelensky ha sfidato l’“avvertimento” del presidente degli Stati Uniti di un’imminente operazione militare russa? Abbiamo potuto consultare la trascrizione di questa famosa conversazione telefonica durante la quale il primo esprimeva infatti il suo scetticismo mentre il secondo insisteva a gran voce sul fatto che non c’erano dubbi. Ci sono solo due spiegazioni per questo indovinello. La prima è che Zelensky e la sua squadra di diplomatici dilettanti – tratti dalla sua ex squadra di produzione televisiva – sono rimasti sbalorditi all’avvicinarsi del fatidico giorno e, di conseguenza, hanno cercato di ottenere un certo margine di manovra. La seconda è che Zelensky potrebbe non essere stato informato della data esatta dell’offensiva dell’esercito ucraino contro il Donbass. I suoi stessi comandanti militari e alti funzionari della sicurezza avrebbero potuto venire a patti con gli americani – che erano stati a lungo presenti e attivi nel cuore dei principali centri decisionali del Paese – senza perdere la fiducia del presidente ucraino. La sua inclinazione a parlare nel modo sbagliato potrebbe essere la ragione principale di ciò, così come il fatto che è stato solo un presidente di facciata dalla sua elezione nel 2019.

Stravagante? No, solo strano. Come ci ha insegnato Sherlock Holmes: “Una volta eliminate tutte le altre possibilità, tutto ciò che resta – per quanto strano – è la verità”.

https://www.ilsussidiario.net/news/dietro-lucraina-i-piani-americani-che-hanno-indotto-mosca-alla-guerra/2376515/?fbclid=IwAR3ZEc97t35AEDe6AaBWk5Fk8JkRt1bhlJXjtZ9MyuTH_DyWr7TKPGmk8pc

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