sovranismi limitati, di giuseppe germinario

ad esso attinente:

http://italiaeilmondo.com/2018/09/23/sovranita-sovranismo-e-sovranismi-di-giuseppe-germinario/

 

Il 2019 non passerà certamente alla storia come un anno epocale, ma sarà comunque ricordato negli annali politici d’Italia almeno come un punto cruciale di svolta del movimento, per meglio dire dell’area cosiddetta sovranista, definito tale in quanto sostenitore di un recupero delle prerogative sovrane dello stato nazionale nel sistema di relazioni interne ed esterne di una formazione sociale. Più che di sostegno di un obbiettivo politico ben definito, si dovrebbe parlare di mera aspirazione. La quasi totalità di questa area di opinione piuttosto che coagularsi in formazioni politiche chiaramente connotate in tal senso ha preferito sino ad ora affidarsi a partiti già ampiamente strutturati e radicati, almeno elettoralmente, quali la Lega e il M5S, ma che nel migliore dei casi assumevano solo alcuni aspetti di questo orientamento cosiddetto sovranista: l’euro, i margini di deficit, i flussi migratori e per di più in maniera assolutamente estemporanea. La congiunzione astrale che ha portato alla formazione del primo Governo Conte ha certamente vellicato le aspirazioni e offerto una parvenza di concretezza a questo auspicio congelando i propositi e le velleità di costruzioni politiche alternative con tale impronta.

La crisi latente e poi manifesta del primo Governo Conte, la deriva smaccatamente opportunista e trasformista del M5S, il confronto politico più sottotraccia nella Lega che sta portando comunque il partito verso un progressivo riallineamento, non si sa se meramente tattico, alle tesi europeiste e nei canoni tradizionali del confronto politico hanno scoperchiato improvvisamente il calderone. Ne sono sorte nuove formazioni politiche le più significative delle quali- Nuova Direzione, Patria e Costituzione, Vox Italia- hanno assunto la lotta di classe come motore determinante e dirimente per affermare una strategia sovranista vincente in quanto suscettibile di emancipare i ceti popolari. Una impronta che intende collocarsi a grandi linee nel solco della tradizione gramsciana, marxista ed internazionalista.

Una novità significativa se non in assoluto almeno nel minoritario arcipelago sovranista. Sino ad ora la sinistra e le stesse componenti neosocialiste e progressiste avevano brillato negli ultimi trenta anni, specie in Italia, per il progressivo scivolamento verso posizioni globaliste e cosmopolitistiche che tendevano a rimuovere e negare la funzione degli stati, in particolare degli stati nazionali o a riconoscere ad essi, tuttalpiù, una funzione regressiva. In queste nuove formazioni il ruolo dello stato, in particolare ma non sempre di quello nazionale, torna ad occupare un posto di primo piano.

Una prima disamina dell’impianto teorico ed analitico per altro comune a queste organizzazioni può aiutare a comprendere il respiro di queste iniziative senza cedere però alla tentazione di trarre deterministicamente giudizi inequivocabili sul piano della loro azione politica concreta. Quasi tutti i movimenti politici, specie quelli rivoluzionari, susseguitisi nella storia sono per altro stati pressoché condannati ad una qualche forma di eterogenesi dei fini; la cautela è quindi d’obbligo specie in una fase di transizione durante la quale è particolarmente difficoltoso riuscire a produrre un corpo teorico coerente ma adeguato alle dinamiche politiche.

Si parte quindi dalla constatazione che il capitalismo sia il rapporto sociale dominante, se non addirittura ormai esclusivo ed “assoluto”, capace di pervadere non solo l’intero pianeta ma anche i vari ambiti della vita umana dei singoli. Da qui la suddivisione classica e dirimente della società tra i capitalisti dominanti e i subalterni dominati e oppressi. La caratteristica fondamentale del capitalismo maturo è la sua liquidità ed estrema mobilità. Particolarità che caratterizza i capitalisti dominanti nel ruolo parassitario di percettori di rendite e come figure sempre meno vincolate da limiti e legami territoriali.

Il carattere parassitario e predatorio dei capitalisti dominanti ha innescato una dinamica accelerata e diffusa di accentuazione delle ineguaglianze e dello sfruttamento, di vera e propria espropriazione e precarizzazione della condizione di lavoro ed umana in generale.

La rappresentazione sociale conseguente a questa chiave di lettura si riduce ad una forbice che vede un decimo della popolazione detenere la ricchezza e il dominio sul restante 90% progressivamente pauperizzato. Un rapporto più realistico rispetto a quello 1 a 99 in auge sino a qualche tempo fa nella pubblicistica movimentista, ma comunque sorprendente considerata la capacità di tenuta del sistema. In effetti qualche riserva sulla attendibilità di questa rappresentazione deve aver colto i più avveduti visto che la permeabilità, altrimenti indecifrabile, dei due blocchi sociali così nettamente divisi sarebbe in realtà consentita dal peso diverso che avrebbe la rendita nelle varie figure sociali dal carattere di fatto ibrido. In linea di massima, però, la tenuta del sistema è garantita soprattutto dalla crescente attitudine al controllo e dalle capacità persuasive ed egemoniche di un sistema mediatico e culturale interamente sotto controllo della classe dominante.

La conduzione pratica della lotta di classe e l’esercizio di espropriazione ad opera dei capitalisti procede prevalentemente attraverso questa modalità:

  • Lo svuotamento progressivo delle prerogative degli stati nazionali con la cessione di competenze agli organismi sovranazionali (UE, FMI, BCE, ect)
  • la dismissione progressiva ai privati della gestione dei servizi e degli interventi diretti nelle attività produttive e l’inaridimento progressivo del welfare
  • l’appropriazione di plusvalore non soltanto attraverso l’acquisizione del pluslavoro dai salariati, ma da un processo di vera e propria rapina e alienazione generalizzate

Anche se le posizioni del capitalismo globalista riguardo alla sorte dello stato nazionale spaziano tra l’intenzione di annichilirlo e quello di asservirlo strettamente ai propri interessi, di fatto il conflitto di classe si alimenta tra la propensione alla territorialità e al comunitarismo dei ceti subalterni e la propensione globalista e mondialista dei dominanti. Di conseguenza ogni progetto di emancipazione deve passare attraverso un recupero delle prerogative statali il cui esercizio implica di per sé l’esistenza di un territorio delimitato; ogni pratica realmente sovranista deve avere necessariamente una connotazione anticapitalista e socialista; i soggetti portanti e antagonisti del conflitto sono quindi le vittime del capitalismo, in particolare i precari da un lato e i capitalisti, identificati nei rentier della finanza, dall’altro.

Si tratta di impostazioni teoriche ed analisi di dinamiche dalle pesanti implicazioni nelle strategie politiche, nelle tattiche, nell’individuazione di avversari ed alleati e della composizione dei blocchi sociali a supporto del progetto politico.

L’enfasi pressoché esclusiva riservata al conflitto di classe elude completamente l’evidenza dei conflitti tra centri, definiti da chi scrive al momento capitalistici, compresi quelli tra centri finanziari ed ignora il dato storico che un successo radicale dei ceti subalterni, sia soprattutto nella forma rivoluzionaria ma anche in quella riformistica, si è realizzato nei momenti di maggior asprezza e distruttività del conflitto, chiamiamolo per il momento così, tra dominanti. L’assegnazione di una posizione di dominio assoluto al capitalismo finanziario tende a conformare il ceto dei rentier ad una cupola capace di esercitare il dominio globale ed assoluto sulla società uniformata. Il conflitto e la competizione tra dominanti, per l’esattezza tra centri egemonici, è al contrario la caratteristica principale costante delle dinamiche politiche che interagisce con le dinamiche dei conflitti sociali, specie di classe, di natura verticale; conflitti, questi ultimi che esplodono e che soprattutto conseguono successi significativi per i subalterni solo in alcune contingenze e solo quando a questi si associano quote significative di classi dirigenti e di ceti professionali in grado di esercitare il . Soprattutto conoscono lunghi intervalli di latenza politica e la particolare contingenza, dovuta a motivi soggettivi che oggettivi di frammentazione e ricomposizione sociale, si può benissimo inserire in questa fase

Analoga approssimazione viene rivelata nel tentativo di individuare la composizione dei soggetti costitutivi dei blocchi sociali oggettivamente contrapposti. L’attribuzione della posizione di dominio assoluto ai rentier finanziari pone il problema della collocazione dei restanti soggetti imprenditoriali (capitalistici) e di tutta la gamma di ceti e strati sociali. Il dilemma viene solitamente risolto o con l’affermazione che i capitalisti sono costitutivamente globalisti (es. Porcaro) oppure che trattandosi di settori residuali e decadenti sono ininfluenti e destinati a scomparire, rimuovendo quindi un problema sia pur transitorio. Da una parte quindi si ignora il dato storico che nel momento in cui una formazione sociale ha cercato l’emancipazione da quella subordinata alla posizione dominante, ha trovato in questi ceti una propulsione decisiva. Non si spiegherebbe, infatti, a titolo di esempio il successo dell’economista List nei momenti di formazione delle potenze statunitense, tedesca e giapponese contrapposte a quella inglese di fine ‘800. Dall’altra, con l’enfasi esclusiva attribuita alla polarizzazione delle diseguaglianze e ai processi di proletarizzazione, in termini attuali ma dal significato però profondamente diverso glebalizzazione (Fusaro) si travisano gravemente la situazione e le dinamiche legate alla funzione e alla condizione degli strati sociali intermedi (detti ceti medi). Quello che il concetto di glebalizzazione evidenzia e rappresenta è la divaricazione progressiva e scandalosa tra la condizione di dominio e privilegiata del vertice della piramide sociale e la condizione di servaggio della sua base sempre più estesa e appiattita, condannata ad una condizione informe, precaria e instabile. Quello che invece elude è la stratificazione di questa base, molto più complessa di come viene rappresentata e contraddittoria nelle sue tendenze di sviluppo nelle varie aree geoeconomiche. La composizione degli strati intermedi della società, dei quali si declama la progressiva sparizione soprattutto verso il basso della scala sociale, dipende in realtà da una serie di fattori:

  • dai cambiamenti tecnologici che rideterminano la divisione del lavoro e delle funzioni, la varietà delle competenze professionali, le capacità e la qualità di controllo e in buona parte le gerarchie
  • dal carattere emergente o declinante delle formazioni sociali, in termini di potenza politico-economica e di conseguente complessità della loro composizione
  • dal peso della conflittualità sociale e politica nel determinare a sua volta l’articolazione delle strutture di controllo e di comando
  • da politiche consapevoli di redistribuzione di redditi e diritti (es proprietà immobiliari) volte a favorire artificiosamente lo status e la dimensione di questi strati

Se infatti il peso di questi strati intermedi si sta riducendo e la loro condizione economica si sta appiattendo in gran parte del mondo occidentale, una tendenza esattamente contraria si sta manifestando nelle formazioni emergenti a cominciare dalla Russia, dalla Cina, dall’India e dal Brasile, ma non solo da quelle parti.

Vi è inoltre un aspetto transitorio del fenomeno, legato alle trasformazioni tecnologiche e alla riconsiderazione dei ruoli e delle funzioni ascrivibili ad esse, difficile al momento da valutare nelle dimensioni e nella qualità.

Per finire una tale rappresentazione tende a presentare questo appiattimento, relativo o presunto che sia, come un fenomeno meramente redistributivo della ricchezza, eludendo invece la questione ben presente dei ruoli, delle funzioni e dello status. Proprio l’Italia, guarda caso, potrebbe essere un esempio apparentemente paradossale di appiattimento redistributivo al ribasso delle competenze professionali e di funzioni in una situazione di estrema divergenza tra la condizione economica dei vertici di comando ed il resto. L’esercizio delle funzioni continuano però ad avere un ruolo essenziale nella stratificazione e nella collocazione sociopolitica degli individui.

Al contrario il concetto di plebe e di glebalizzazione tende ad attribuire un carattere avulso sia alla élite dominante che alla massa marginalizzata.

Le implicazioni politiche di questa analisi assolutamente prevalente negli ambienti sovranisti, specie in quelli sinistrorsi, sono particolarmente pesanti.

Assumendo la condizione di dominio assoluto del capitalismo finanziario si tendono a rimuovere le contraddizioni ed i conflitti spesso dirompenti e distruttivi fra i vari centri finanziari; si evidenzia esclusivamente il suo carattere parassitario e si elude completamente la funzione positiva e proattiva di drenaggio e di trasferimento di risorse non solo tra strati sociali ma anche tra settori economici e formazioni sociopolitiche, contribuendo così a determinare la particolare condizione di potenza e le aree di influenza delle varie formazioni. Si riduce di fatto il capitalismo finanziario al solo capitalismo finanziario occidentale ad egemonia americana, rendendo così di fatto impalpabile la natura degli analoghi sistemi finanziari delle potenze concorrenti, in particolare russi e cinesi. Si glissa sulla funzione dinamica e sulla capacità attrattiva del capitalismo, per meglio dire del rapporto sociale di produzione capitalistico, che ha fatto di questo ormai il sistema socioeconomico predominante, pressoché esclusivo, dell’intero pianeta comprese le formazioni sociali eurasiatiste e socialiste presenti e offerte come sistemi sociali alternativi e antitetici, risolutivi delle ingiustizie sociali.

In realtà questi centri finanziari sono per lo più parte integrante di sistemi complessi di impresa a loro volta componenti più o meno decisivi di centri politici decisionali strategici in costante rapporto di cooperazione e conflitto. Sono questi centri che agognano, operano ed esercitano quel potere che conforma le varie forme di dominio, compreso quello capitalistico nel sistema di produzione. Il luogo è lo strumento principale di conflitto e di esercizio del potere e dell’azione politica di costoro rimane ancora, direi sempre più, lo Stato.

Si arriva quindi ad un altro punto debole dell’analisi e dell’azione politica di questa area politica. Si tende a vedere il rapporto tra Stato e capitalismo finanziario di natura esclusivamente antagonistica con il secondo che tende a sopprimere del tutto le prerogative dell’altro o tutt’al più a ridurlo a mero esecutore di funzioni repressive. In realtà questi stessi centri finanziari per agire hanno bisogno di un quadro normativo, del sostegno politico, giudiziario e militare, delle capacità persuasive delle istituzioni e delle strutture statali, in particolare di quelle dello stato espressione dei centri politici egemonici e dominanti per competere e confliggere con altri stati, altre imprese e altri sistemi economici. Possono anche dichiararsi ed ambire ad una visione cosmopolitica e soggettivamente possono essere preda di questo punto di vista; ma sono come cavalli liberi di correre a piacimento finché le briglie rimangono sciolte; finché prosaicamente la loro libertà di movimento coincide sostanzialmente con la capacità egemonica di un centro di potere, detentore delle leve dello stato egemonico. Non si tratta quindi di contrapposizione tra lo Stato detentore e difensore del “bene pubblico” e del capitalismo impegnato nell’affermazione del bene privato dei possessori di capitale, bensì di conflitto tra centri decisionali nell’occupazione delle leve e nell’attuazione di politiche tese a formare quel blocco, quella coesione sociali e quella forza necessari al conseguimento degli obbiettivi interni ed esterni entro il quale agiscono le dinamiche capitalistiche; in altre parole di quel “bene pubblico” interpretato in termini però più prosaici.

Impostata in questi termini la questione, si rivela limitativo, se non capzioso, l’approccio al tema dello Stato e del suo esercizio di sovranità offerto da questa area. Si afferma che la sovranità è, esiste e va sostenuta solo se popolare e nella attuale forma costituzionale. Di fatto però si confonde l’esercizio della sovranità, proprio dei centri decisionali con la forma di legittimazione che modella in pratica le istituzioni. Un equivoco che porta a fraintendere, specie nelle contingenze più critiche, la natura e la fattualità della partecipazione popolare anche nei regimi cosiddetti democratici. Dall’altra tende ad interessare un unico e particolare aspetto dell’intervento statale: quello della redistribuzione legata alla pratica del welfare e in subordine quello dell’intervento pubblico diretto in economia visto in termini di bene pubblico piuttosto che di efficacia nel garantire gli interessi strategici, l’efficacia e la coesione di una formazione sociopolitica gestita da centri decisionali. Ed infatti più che di capitalismo, si dovrebbe parlare di capitalismi nelle varie conformazioni dettate dalla storicità delle formazioni sociali e dalla dinamica delle decisioni politiche e del confronto dei centri decisionali.

Tale approccio tende da una parte ad attribuire poteri autonomi ad organismi sovranazionali che in realtà sono il concentrato della capacità operativa di stati egemoni e il campo di definizione dei contenziosi; dall’altra non consente di individuare sufficientemente le dinamiche e la natura del confronto politico; preclude la possibilità di individuare la formazione di un blocco sociale, comprensivo di ceti professionali, imprenditoriali e manageriali idonei e disponibili a sovvertire la situazione. Un ambito dove questo limite risalta è proprio quello della salvaguardia e del potenziamento della grande industria strategica, laddove ai proclami di difesa non corrisponde lo sforzo di individuazione delle forze interne a quelle realtà sensibili al problema. Si punta ad attribuire una capacità egemonica a forze di per sé marginali e marginalizzate, dalle quali non si sa come dovrebbero sorgere le élite capaci di guidare il cambiamento.

Da qui la sopravvalutazione dell’importanza dell’interlocuzione con gli ambienti del M5S e la preclusione della stessa con gli ambienti della Lega. Quasi che il carattere popolare del salario di cittadinanza sia qualificante rispetto alla quota 100 propugnata da una Lega insensibile a queste istanze. Da qui l’attenzione agli strati marginalizzati dai primi e la rimozione e la rinuncia alle possibilità di intervento negli strati professionalizzati ed imprenditoriali maggiormente rappresentati dai secondi. In realtà un impegno alla redistribuzione e al ripristino dei diritti e delle opportunità di base a favore di tutta la popolazione, proprio di forze socialiste o comunitarie, può essere proposto in funzione della coesione, della forza e della dinamicità di una formazione sociale e delle istituzioni che la governano, dove il discorso di potenza deve avere uno spazio fondamentale come quello riservato alle tematiche più care e tradizionali. Tutto ciò non esclude il conflitto sociale, sia all’interno che all’esterno del blocco di riferimento; anzi lo valorizza e lo indirizza più efficacemente. In caso contrario non fa che assecondare, involontariamente o meno, quei processi involutivi che stanno rapidamente e radicalmente riconducendo all’ovile quelle forze, in particolare Lega e ormai definitivamente M5S, che avevano rivelato qualche velleità emancipatoria senza nemmeno tentare di discernere all’interno di esse il grano dal loglio; non solo, riduce l’impegno politico di convincimento e aggregazione del blocco sociale ad un problema di mera comunicazione sulla falsariga di quel recupero approssimativo di Gramsci e del suo concetto di egemonia già avvenuto in America Latina

Bisognerà probabilmente fare un ulteriore sforzo di definizione di campo di intervento. Tutte queste forze si definiscono socialiste o comunitariste e, quindi, anticapitaliste. Il capitalismo è un rapporto sociale di produzione; il socialismo è invece un regime politico, sia pure nelle diverse accezioni nel corso degli ultimi due secoli. Si parla di anticapitalismo, ma in realtà si propugna una forma di regolazione del capitalismo, diversa dal liberismo, dal totalitarismo e via dicendo. Far corrispondere le parole alle cose potrebbe aiutare ad individuare meglio interlocutori ed avversari ed evitare quella disinvolta permeabilità che ha fatto sino ad ora naufragare simili iniziative e le migliori intenzioni.

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http://www.patriaecostituzione.it/manifesto-per-la-sovranita-costituzionale/

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https://www.facebook.com/notes/nuova-direzione/partito-e-classe-dopo-la-fine-della-sinistra/362865437913416/

http://antropologiafilosofica.altervista.org/quale-socialismo/?fbclid=IwAR3ABSerWdt8hybl3kNOxIwalORbn0UnIZzdm5GlUSlpq6lhu03KDS1JK8Y

https://www.sinistrainrete.info/politica-italiana/15333-mimmo-porcaro-note-sulla-fase-politica.html

 

cariatidi a Bruxelles, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto un interessante articolo tratto da https://www.les-crises.fr/von-der-leyen-et-borrell-martelent-que-lue-doit-apprendre-a-parler-le-langage-de-la-puissance-par-ruptures/ rivelatore dello spessore umano e politico dei prossimi Commissari Europei. Dietro la prosopopea e l’arroganza delle loro affermazioni si cela la ottusa continuità della linea politica perseguita soprattutto a partire dagli anni ’80, in particolare dalla caduta del muro di Berlino. Una arroganza e una sicumera che nasconde una debolezza intrinseca. Una volontà di potenza che in realtà poggia sulla forza espressa dalla potenza statunitense. L’auspicio di sopravvivenza di questa classe dirigente europeista poggia soprattutto sulle possibilità di ripristino della politica estera americana pretrumpiana. A prescindere dalla rielezione di Trump, molto difficilmente però tutto potrà tornare come prima.

Troppe cose sono cambiate, a cominciare dagli Stati Uniti per proseguire con la Russia e la Cina. Ogni velleità di ritorno agli anni ’90 rischia di ridurre l’Europa ad un campo di battaglia di forze esterne. L’articolo termina stigmatizzando l’atteggiamento imperiale di costoro. Ma l’imperialismo europeo è praticamente una scatola vuota. Arroganza, prosopopea e fragilità sono ingredienti fondamentali per spingere una classe dirigente all’avventurismo. Questi non sono dirigenti autorevoli che puntano ad una realtà di stati europei sovrani capaci di coesistere pacificamente; sono dei ventriloqui che perpetrano l’inganno brandendo il vessillo dell’autonomia politica. Per costoro l’avversario dichiarato è la Russia di Putin, ma le prime vittime da consumare sono i fratelli dell’Europa Mediterranea. I futuri sviluppi del MES, per come li sta assecondanto il nostro “avvocato del popolo”, sono lì a certificarli_Giuseppe Germinario

Von der Leyen e Borrell sostengono che l’UE deve “imparare a parlare la lingua del potere” – Attraverso Rotture

Fonte: Breaks , 14-11-2019

I due leader, che entreranno in carica a Bruxelles il 1 ° dicembre, hanno annunciato le proprie intenzioni marziali o imperiali (editoriale nell’edizione delle rotture di 10/28/19, e aggiornati)

Ursula von der Leyen si insedierà a capo della Commissione europea il 1 ° Dicembre – in linea di principio. L’ex ministro della Difesa tedesco non ha aspettato l’insediamento per svelare il suo spirito marziale.

“Oggi, il soft power non è più sufficiente se vogliamo affermarci nel mondo come europei” – Ursula von der Leyen

In un discorso tenuto a Berlino l’8 novembre, proprio in occasione del trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, ha pronunciato parole virili, purtroppo passate inosservate. Per il futuro leader più altolocato dell’UE, “l’Europa deve imparare a parlare la lingua del potere” . E affinché tutto sia chiaro, ha martellato: “oggi , il soft power non è sufficiente se vogliamo affermarci nel mondo come europei ” .

È vero che è stato preceduto in questo registro dal futuro alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell’UE. Durante la sua audizione all’europarlamento, il 7 ottobre, Josep Borrell aveva già preparato il terreno con un fuoco di artiglieria. A 72 anni, l’attuale capo della diplomazia spagnola, ha alle spalle una lunga carriera, ha iniziato la carriera nel Partito socialista spagnolo (PSOE) e ha occupato molti portafogli ministeriali (e alcuni scandali). Ha anche presieduto il Parlamento europeo dal 2004 al 2007.

ovazione

Ha quindi suscitato l’entusiasmo dei suoi ex colleghi – che alla fine lo hanno accolto con una standing ovation – spiegando le sue intenzioni, iniziando con un discorso molto duro su Mosca. Non si trattava di revocare le sanzioni, così in particolare martellava. Una professione di fede poco sorprendente per un uomo che alcuni mesi fa aveva proclamato che “la Russia , il nostro vecchio nemico, è tornata a essere una minaccia “, che aveva provocato un incidente diplomatico con Mosca.

Per l’UE, non si tratta certamente di una rotazione di 180 °. Tuttavia, l’attuale operatore in carica, l’italiana Federica Mogherini, è stata regolarmente sospettata di essere troppo indulgente con il Cremlino, in particolare dagli Stati membri orientali, ora estasiati dall’inflessione rivendicata dal suo successore. Quest’ultimo ha anche dichiarato la sua intenzione (come molti altri prima di lui) di cambiare il processo decisionale in materia di politica estera: a suo avviso, non dovrebbe più richiedere l’unanimità. Tale evoluzione è, per così dire, improbabile (presuppone l’accordo di tutte le capitali), ma dice molto sulle ambizioni dei leader dell’UE.

E non solo nei confronti della Russia. Borrell ha insistito sul fatto che l’Unione deve ora ” imparare a usare il linguaggio della forza ” per affermarsi come potenza nel mondo. A tal fine, ha affermato, sarebbe necessario rafforzare le capacità militari di quest’ultimo, in particolare rimuovendo i “gruppi di battaglia” dall’armadio. Questi battaglioni multinazionali sono stati creati nel 2004 ma non sono mai stati utilizzati. Certo, questa prospettiva non è realistica a breve termine, per motivi di interessi e strategie divergenti tra gli Stati membri, ma la sua dichiarazione dà il tono. Tanto più che il sig. Borrell non ha mancato di sottolineare che potremmo benissimo finanziare tutto questo con il Fondo chiamato “European Peace Facility” (ciao Orwell), ovvero 10,5 miliardi di euro.

Per Borrell, la credibilità dell’UE è innanzitutto la sua capacità di aiutare l’Ucraina contro “l’espansionismo russo”

Per Borrell, la credibilità dell’UE poggia innanzitutto sulla sua capacità di aiutare l’Ucraina contro “l’espansionismo russo”; così come nei Balcani descritti come “una priorità per la nostra politica estera“. Da quel momento in poi, il futuro capo della diplomazia europea annunciò che intendeva fare la sua prima visita ufficiale in Kosovo. Un annuncio tanto più notevole in quanto la Spagna è uno dei pochi paesi dell’UE a non aver riconosciuto l’indipendenza di questa provincia che si era separata dalla Serbia grazie ai bombardamenti che la NATO – compresi i paesi europei – guidati nel 1999. Madrid è davvero riluttante ai proclami dell’indipendenza, perché si trova di fronte alle richieste separatiste catalane. Ma la tentazione di “Europe Power” è fondamentale … In ogni caso, la priorità mostrata dal futuro alto rappresentante ricorda quella frase formulata venti anni fa da Bernard Kouchner che “l’ Europa inizia a Pristina “(La capitale del Kosovo), il che significa che la vera integrazione europea può basarsi solo sulla guerra.

Il leader spagnolo, alquanto inebriato, ha anche parlato dell’immigrazione: ” La spinta della gioventù africana è un’opportunità per l’Europa ” , ha detto. Sottinteso: per il padronato europeo. Gli spiriti maligni accosteranno questo appetito per la globalizzazione a una frase rilasciata un anno fa davanti agli studenti. Ha poi lamentato le difficoltà di unire l’Europa, dove invece gli Stati Uniti si sono costituiti facilmente – ” è stato sufficiente uccidere quattro indiani ” , lasciandosi andare ridendo … Si era scusato in seguito e fu presto perdonato poiché questa affascinante analisi storica non emanava da un “populista” o leader di estrema destra.

Di fatti, Borrell ha dichiarato il suo odio per il “nazionalismo”, sostenendo di odiare i confini. Quest’ultima affermazione non è banale. Perché un’entità che non riconosce un confine, si chiama precisamente: un impero.

Meritava un’ovazione.

Fonte: Breaks , 14-11-2019

L’EUROPA TRA LE VIE DELLA NATO, LE VIE DELLA SETA E LE VIE DELL’ENERGIA. Prima parte. di Luigi Longo

L’EUROPA TRA LE VIE DELLA NATO, LE VIE DELLA SETA E LE VIE DELL’ENERGIA. Prima parte.

di Luigi Longo

 

 

                                                                               La Nato ovverosia gli Stati Uniti

Noam Chomsky*

 

                                                 Verso la fine del XIX secolo, un eminente                                                                geologo Tedesco, Ferdinand von Richthofen […] diede                                                 a questa estesa rete di connessione un nome che è                                             entrato stabilmente nell’uso: SeidenstraBen, vie della                                              Seta

Peter Frankopan**

 

  1. Premessa

 

La situazione politica in Europa, parafrasando Ennio Flaiano, è grave ma non è seria (1). Vediamo perché la situazione è grave e perché non è seria.

La situazione è grave perché il progetto dell’Unione Europea, pensato e messo in atto dagli USA nella fase monocentrica (dopo la seconda guerra mondiale), è finito. La sudditanza europea, coordinata soprattutto dalla Germania, cessa di avere la sua funzione unitaria nelle strategie statunitensi, di contrasto e di conflitto, verso le potenze Cina e Russia che vogliono ridefinire l’ordine politico mondiale con una nuova forma di relazioni tra grandi potenze, nel rispetto della propria effettiva sfera di influenza.

La nuova sudditanza europea è improntata a relazioni bilaterali tra ciascuna nazione e gli Usa. Cambia la tattica degli agenti strategici principali degli USA: quelli rappresentati da George W. Bush-Bill Clinton-Barack Obama hanno utilizzato soprattutto la sfera economica dell’Europa, in maniera coordinata, tramite la Germania << La Germania è l’emblema di un gigante economico e politico, che però a livello militare è rimasto un nano. E’ economicamente integrata con gli altri Stati vicini ed è protetta dall’America, il capo assoluto della sicurezza con il suo ombrello atomico >> (2); quelli rappresentati da Donald Trump stanno proponendo l’uso dell’Europa attraverso il sovranismo asimmetrico di ciascuna nazione. A mio avviso, diventa secondario pensare l’appartenenza delle nazioni europee ad uno dei due suddetti principali schieramenti di agenti strategici, mentre diventa prioritario riflettere sul perché l’Europa continua nella sua condizione di servitù volontaria verso gli Stati Uniti d’America. Il problema, quindi, come ho già sostenuto in altri scritti, non è passare da una servitù volontaria all’altra, a seconda delle strategie statunitensi di volta in volta egemoni, quanto, piuttosto, come pensare una strategia europea per liberarsi da questa servitù volontaria e costruire altre strade e altri ponti verso l’Oriente, in modo da restare nella fase multicentrica con le armi della dialettica (il dialogo tra le potenze mondiali) e non arrivare alla fase policentrica con la dialettica delle armi (la guerra di distruzione tra le potenze mondiali). Dalla fine del XV secolo ad oggi, nella storia tra le potenze dominanti e le potenze in ascesa, utilizzando la Trappola di Tucidide (3), abbiamo avuto dodici rivalità che si sono risolte con la guerra e quattro rivalità che non hanno prodotto nessuna guerra così come indicata nella sottostante figura (4).

Fonte:Allison,2018

 

 

La situazione europea non è seria perché gli attuali sub-decisori delle diverse nazioni (è bene ricordare sempre che l’Europa non è un soggetto politico!) e le relative forze politiche, cosiddette sovraniste e populiste, sono antitetico polari (in opposizione e sostegno reciproco) al mantenimento, in maniera diversa, della servitù volontaria europea verso gli USA; questi servi andrebbero liquidati con ‘o pernacchio, con il significato profondo che gli dà don Ersilio Miccio, interpretato con maestria da Eduardo De Filippo nel famoso episodio de “ Il professore”, nel film L’oro di Napoli, con regia di Vittorio de Sica (la sintesi dell’arte è straordinaria).

E’ proprio il segno dei tempi interpretare le relazioni della sfera economica come il cambiamento di strada verso l’Oriente (Russia, Cina, India); l’egemonia (coercizione e consenso) degli agenti strategici che dominano la società non è data solo da quelli della sfera economica ma da quelli espressi dall’insieme delle sfere sociali: nelle fasi multicentrica e policentrica essi trovano infatti maggior peso proprio nelle sfere politica, militare e istituzionale. In questa logica lo Stato è configurato come strumento all’interno dei rapporti sociali, esso è inteso, cioè, come l’insieme dei luoghi istituzionali e territoriali dove si svolge il conflitto sociale e politico tra dominanti e dominati e tra gli stessi dominanti per il potere e il dominio della società. La storia dimostra, tranne alcune eccezioni (le rivoluzioni), che il conflitto prevalente che si svolge nelle società è quello tra gli agenti strategici delle diverse sfere del legame sociale (dove si esprimono le forme del potere) che configurano il blocco degli agenti strategici egemonici che governano, in una situazione di equilibrio dinamico, la nazione (dove si esprimono le forme del dominio). E’ questa formazione degli agenti strategici egemonici che realizza le capacità di coordinare l’insieme delle relazioni nazionali e delle alleanze fra nazioni soprattutto nelle fasi multicentrica e policentrica.

 

 

2.Il declino irreversibile degli USA

 

Gli Stati Uniti sono una potenza mondiale in irreversibile declino; le ragioni sono molteplici: a) i gravi squilibri interni economici, sociali e territoriali; b) un allentamento complessivo dei legami della società civile; c) la incapacità degli agenti strategici di creare una nuova sintesi di sviluppo e di legame sociale [come quello che ha caratterizzato il Novecento come il secolo americano (5)] capace di ri-lanciare una nuova sfida per l’egemonia mondiale alle potenze che si sono configurate in questa fase storicamente data (Cina e Russia). La frattura all’interno degli agenti strategici è caratteristica del declino irreversibile di un impero; essa non produce più la sintesi nazionale, ma una sintesi di parte, su base imperiale, che si erode sempre di più proprio per la crisi interna della società sempre più impoverita e degradata (6).

Gli Usa hanno la convinzione di essere la nazione indispensabile a guidare il mondo e non accettano, per la propria storia, di condividere, in maniera rispettosa e dialogante, il governo del mondo con altre potenze.

Sergio Romano scrive che la superpotenza degli Stati Uniti << […] si considera autorizzata a stroncare qualsiasi aspirazione che possa turbare i suoi sogni imperiali. Dopo aver vinto la Seconda guerra mondiale, l’America ha fatto guerre inutili, da quelle del Vietnam a quella dell’Iraq, e le ha perdute con risultati che hanno scompigliato gli equilibri di intere regioni. Dopo aver assistito alla scomparsa dell’Unione Sovietica e alla nascita di Russia federale, ha fatto del suo meglio per restituire a quest’ultima il ruolo del pericoloso nemico che aveva sostenuto dalla fine della Seconda guerra mondiale al 1989. Dopo aver corteggiato la Cina, all’epoca di Nixon e Kissinger, per meglio isolare l’Unione Sovietica, ha deciso di trattare la Repubblica Popolare come un pericoloso concorrente e sta combattendo con Pechino due guerre: la prima, quella dei dazi, per impedirle di crescere sino a diventare la prima economia mondiale; la seconda, quella delle nuove tecnologie, per impedirle di conquistare un primato scientifico. Il Paese che si è presentato al mondo, sin dalle sue origini, come testimone e missionario di democrazia, è in realtà uno Stato militaresco, governato spesso da uomini che hanno una formazione militare. E’ una democrazia, ma ha una concezione gerarchica e militare della società internazionale e, quindi, ha sempre bisogno di un nemico che giustifichi i suoi arsenali e di alleati che obbediscano ai suoi ordini. >> (7).

Per queste ragioni gli USA vanno combattuti e neutralizzati nonché indirizzati a un modello di governo mondiale condiviso tra potenze (fase multicentrica) onde evitare il conflitto mondiale tra le potenze (fase policentrica).

Questo declino statunitense ha radici profonde nella crisi del modello sociale capitalistico che ha rappresentato la modernità Occidentale (8) [ben diversa dalla modernità Orientale anch’essa con il suo modello sociale capitalistico (9) ] a partire dai quattro cicli egemonici (il ciclo genovese-iberico, dal XV secolo agli inizi del XVII; il ciclo olandese, dalla fine del XVI secolo alla metà del XVIII; il ciclo britannico, dalla seconda metà del XVIII secolo agli inizi del XX; il ciclo statunitense, dalla fine del XIX secolo fino ad oggi) che hanno caratterizzato la storia del capitalismo (10).

 

 

3.Le vie della Nato

 

La situazione oggettiva è che abbiamo una Europa servile in totale sbando e decadenza e una potenza imperiale (USA) di coordinamento mondiale, in irreversibile declino, non propensa ad un ordine mondiale condiviso con altre potenze.

In questa fase storica data, l’Europa si trova ad un bivio: o proseguire la servitù volontaria verso gli Stati Uniti d’America scegliendo le vie della NATO, oppure iniziare un cammino di liberazione dalla servitù e scegliere un nuovo orientamento verso l’Oriente attraverso le vie della seta e le vie dell’energia (queste ultime che riguardano il ruolo dell’altra potenza in ascesa, cioè la Russia, saranno oggetto della seconda parte di questo scritto). Un cammino che non può prescindere dal << […] “saltare il passaggio” della piena restaurazione della sovranità politica e monetaria degli stati nazionali >> (11).

La strategia statunitense, nella fase multicentrica sempre più intensa, necessita di una Europa coordinata dalla Nato (12). La Nato non è solo una macchina da guerra come sostiene Sergio Romano: << La Nato è un’alleanza politica militare in cui esiste un esercito permanente integrato, esiste un comando militare che lavora 24 ore su 24 ore con un comandante supremo che è in realtà un Capo di Stato Maggiore di tutti i paesi dell’Alleanza Atlantica, ma è sempre americano[ corsivo mio], e questo Capo di Stato Maggiore fa esattamente quello che fanno tutti i capi di Stato Maggiore, cioè, preparano la prossima guerra […] >> (13); né essa è soltanto un mercenariato militare globalizzato al servizio della geopolitica di potenza USA come affermava Costanzo Preve (14), né tantomeno la Nato è in stato di “morte cerebrale” come dichiara Emmanuel Macron con i suoi deliri di grandezza nel concepire una Europa “come una potenza del mondo con una autonomia strategica e di capacità sul piano militare” (15), magari sotto l’egemonia francese (sic).

La Nato è una istituzione mondiale che ha subito diverse metamorfosi dalla sua costituzione (1949) ad oggi. Essa è lo strumento degli Stati Uniti in tutti gli scenari mondiali per affermare la democrazia e imporre il suo modello sociale, politico, culturale ed economico. La Nato penetra in tutte le sfere del legame sociale delle nazioni e delle macroregioni (economica, istituzionale, culturale, infrastrutturale, eccetera), trasforma territori e città (Europa, Medio Oriente, Mediterraneo, Africa, Asia), incide e condiziona lo sviluppo dei Paesi [penso, a mò di esempio, ai corridoi europei, ai territori e città Nato dell’Italia (Napoli, Taranto, Vicenza…), all’aumento delle spese militari sottratte agli investimenti, alla nuova base Usa di Alessandropoli (Grecia), alle strategie nel Mar Nero] in funzione degli scenari di guerra contro le potenze mondiali, per contrastare il formarsi di alleanze tra le potenze in ascesa in grado di mettere in discussione il loro dominio (16). La potenza mondiale da centrare, da parte degli USA è data dall’entità del pericolo che rappresenta e dalla capacità di potenza raggiunta che può mettere in discussione la sua egemonia; ma gli USA sono attenti anche alle alleanze che si possono formare tra le potenze in ascesa che sarebbero deleterie per loro (Cina e Russia hanno avuto ed hanno forme di collaborazione e di intesa politica, economica, finanziaria e militare ben raffigurate, in questa fase, dalle Vie della Seta). Con Richard Nixon-Henry Kissinger la Russia era nel mirino strategico degli USA e l’alleanza con la Cina era la logica conseguenza del divide et impera. Con Barack Obama-Donald Trump la Cina è nel mirino strategico degli USA, perché nel lungo periodo può rappresentare la potenza cardine del sistema mondiale, e l’alleanza con la Russia è la logica conseguenza del divide et impera.

Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, ben introdotto nei gangli del potere servile statunitense, afferma, a proposito delle strategie Nato nel XXI secolo, che :<< Le interferenze russe avvenute nelle elezioni di più paesi occidentali e la nuova via della seta pongono la Nato davanti ad una competizione strategica […] maggiore cooperazione sulla sicurezza per affrontare le interferenze russe e unità per occuparsi dei rapporti con la Cina […] genesi della nova Nato del XXI secolo. >> (17).

Il presidente Sergio Mattarella, nel messaggio del 4 Novembre, definisce la Nato una<< alleanza alla quale abbiamo liberamente scelto di contribuire, a tutela della pace nel contesto internazionale, a salvaguardia dei più deboli e oppressi e dei diritti umani >>. Qui, per dirla con Costanzo Preve, siamo alla menzogna sistematica!

 

Le vie della Nato, ovverosia degli Stati Uniti, sono vie che preparano scenari di guerra e l’Europa per la prima volta nella storia sarà teatro passivo di future guerre!

 

Fonte: Limes, 2018

 

 

4.Le vie della seta

 

Riporto una lunga ma significativa sintesi di cosa sono le Vie della Seta tratta dall’omonimo libro dello storico Peter Frankopan:<<In realtà, per millenni, fu la regione che si estendeva tra l’Est e l’Ovest, collegando l’Europa con l’oceano pacifico, a fungere da asse da rotazione del mondo. La regione a metà tra Oriente e Occidente, che si estende approssimativamente dalle coste orientali del Mediterraneo e del Mar Nero fino all’Himalaya, potrebbe sembrare un luogo poco promettente per farne il punto di osservazione del mondo […] In realtà, il ponte tra Oriente e Occidente è il vero crocevia della civiltà. Lungi dall’essere al margine degli affari globali, questi paesi ne sono proprio al centro, come lo sono stati fin dall’alba della storia […] Fu su questo ponte tra l’Est e l’Ovest che circa 5000 anni fa vennero fondate grandi metropoli, fu qui che le città di Harappa e Mohenjo-daro, nella valle dell’Indo, fiorirono come meraviglie del mondo antico, con popolazioni che ammontavano a decine di migliaia di abitanti e strade che si connettevano in un sofisticato sistema fognario che non sarebbe stato uguagliato in Europa per migliaia di anni. Altri grandi centri di civiltà come Babilonia, Ninive, Uruk e Akkad, in Mesopotamia, erano celebri per la loro grandiosità e la loro architettura innovativa. E oltre duemila anni fa un geografo cinese annotava che gli abitanti della Battriana, una regione incentrata sul fiume Oxos e oggi situata nell’Afghanistan settentrionale, erano commercianti e negoziatori leggendari; la loro capitale ospitava un mercato in cui si comprava e vendeva un’enorme gamma di prodotti, provenienti da ogni dove.

Questa regione è il luogo dove videro la luce le grandi religioni del mondo, dove il giudaismo, il cristianesimo, l’islam, il buddhismo e l’induismo vissero gomito a gomito. E’ il crogiuolo dove competevano vari gruppi linguistici, dove lingue indoeuropee, semitiche e sino-tibetane coabitavano con idiomi altaici, turcici e caucasici. Questo è il luogo in cui grandi imperi sorsero e caddero, dove le conseguenze degli scontri fra culture rivali si avvertivano a migliaia di chilometri di distanza. Qui si aprivano nuovi modi di guardare al passato e si rivelava un mondo profondamente interconnesso, dove quanto accadeva in un continente aveva effetti su un altro, dove le scosse secondarie di ciò che succedeva nelle steppe dell’Asia centrale potevano essere avvertite nel Nord Africa, dove eventi verificatisi a Baghdad avevano risonanza in Scandinavia, deve scoperte compiute nelle Americhe alteravano i prezzi delle merci in Cina e facevano schizzare la domanda sui mercati dei cavalli in India settentrionale.

Questi scossoni si diffondevano lungo una rete estesa in ogni direzione, un ventaglio di strade lungo le quali hanno viaggiato pellegrini e guerrieri, nomadi e mercanti, lungo le quali merci e materie prime sono state trasportate e vendute, e le idee sono state scambiate, modificate e perfezionate. Queste strade hanno portato non solo prosperità, ma anche morte e violenza, malattie e disastri. Verso la fine del XIX secolo, un eminente geologo tedesco, Ferdinad von Richthofen (zio del <<Barone Rosso>>, l’asso dell’aviazione della prima guerra mondiale), diede a questa estesa rete di connessioni un nome che è entrato stabilmente nell’uso: SeidenstraBen, Vie della Seta.

Queste direttrici fungono da sistema nervoso centrale del mondo, collegando popoli e luoghi ma rimanendo sottotraccia, invisibili a occhi nudo. Allo stesso modo in cui l’anatomia spiega come funziona il corpo, la comprensione di queste connessioni ci consente di capire come funziona il mondo. Eppure, nonostante la sua importanza, questa parte del pianeta è stata dimenticata dalla storia tradizionale. In parte ciò è dovuto a quello che è stato chiamato <<orientalismo>>, ovvero la concezione netta e drasticamente negativa dell’Oriente come sottosviluppo e inferiore all’Occidente, e quindi non meritevole di uno studio serio. Ma deriva anche dal fatto che la narrazione del passato è diventata così dominante e consolidata da non lasciare spazio a una regione che è stata a lungo vista come periferica rispetto alla vicenda dell’ascesa dell’Europa e della società occidentale.>> (18).

 

Fonte Limes, 2019

 

 

I territori delle Vie della Seta, da inquadrare nelle diverse fasi della storia mondiale caratterizzate da segni particolari e da questioni rilevanti e peculiari proprie delle fasi (Peter Frankopan ne individua ben 25 Vie nei periodi storici che vanno dalla sua configurazione ad oggi passando dalla Via delle Fedi alla Via alla Tragedia), sono interessati da un grande progetto di respiro mondiale basato sullo sviluppo economico, politico, culturale tra le nazioni coinvolte nell’idea di scambio tra Oriente e Occidente che ricalca il senso e gli obiettivi delle antiche Vie della Seta. Xi Jinping così dichiarava, nel discorso di Astana (Kazakhstan), nell’autunno del 2013, dove annunciava per la prima volta il progetto della Via della Seta:<< Per più di duemila anni […] i popoli che vivono nella regione che collega l’Est e l’Ovest sono stati in grado di coesistere, cooperare e prosperare nonostante le differenze di razza, fede e cultura. Per la Cina è una priorità di politica estera […] sviluppare rapporti di cooperazione amichevole con i paesi dell’Asia centrale. E’ giunto il momento […] di rendere più stretti i legami economici, migliorare le comunicazioni, incoraggiare gli scambi e incrementare la circolazione monetaria […] >> (19).

E l’Europa che fa?

L’Europa mostra i suoi limiti nella cooperazione con la Cina sul grande progetto mondiale della Nuova Via della Seta (Belt and Road Iniziative), limiti derivanti da una mancanza di politica unitaria essendo l’Unione Europea, come già detto, un non soggetto politico. Diego Angelo Bertozzi (uno dei maggiori esperti italiani della Cina e della Nuova Via della Seta) sostiene che :<<E’ fuor di dubbio che, dal momento del suo lancio nel 2013, la Belt and Road Initiative abbia attirato l’interesse dei Paesi membri dell’Unione Europea. Poco dopo infatti, nel settembre del 2015, la Cina e l’UE hanno firmato un accordo per istituire la piattaforma di connettività UE-Cina per la promozione della cooperazione congiunta in materia di investimenti infrastrutturali e servizi di trasporto; già prima Pechino aveva mostrato il proprio interesse a rendere compatibili la nascente Bri con il piano Juncker da 385 miliardi di euro centrato principalmente sulla costruzione di infrastrutture. Resta però il fatto che la maggior parte degli investimenti cinesi in infrastrutture europee (autostrade, ferrovie e porti) si sono verificati al di fuori della piattaforma di connettività e che a prevalere è un approccio bilaterale con i singoli Paesi interessati, in modi e intensità diverse, alla collaborazione [corsivo mio, LL]>> (20). Molte nazioni europee (Francia, Germania, Regno Unito) hanno fatto accordi con la Cina nonostante ci siano critiche e conflitti all’interno dei Paesi G7 :<<Le critiche all’adesione italiana alla BRI, primo fra i paesi G7, nascono dal timore di uno stabile insediamento cinese, con investimenti industriali e logistici, che completi un corridoio dall’Asia al Centro Europa via Trieste (anche Genova ha firmato un’intesa preliminare), che potrà riprendere quella centralità che già l’Impero asburgico aveva compreso trasformandola in porto franco>>. La Commissione europea, inoltre, ha definito la Cina avversario sistemico nonostante <<Contando solo le partecipazioni almeno del 10%, in dieci anni la Cina ha speso per aziende europee 145 miliardi […] Ma altre stime […] arrivano a 350 miliardi. Più di 670 gruppi cinesi della terraferma o con sede a Hong Kong […] hanno investito in Europa dal 2008; quasi 100 hanno alle spalle lo stato o fondi di investimento. Circa 360 imprese sono state acquisite, anche colossi come l’italiana Pirelli. Controllo o partecipazioni riguardano inoltre quattro aeroporti, sei porti, parchi eolici e squadre di calcio […] In parecchi hanno dunque rapporti assai stretti con quello che la Commissione europea ha definito inaspettatamente avversario sistemico, timorosa forse di suscitare ritorsioni commerciali dalla Casa Bianca (corsivo mio, LL)>> (21).

La Nuova Via della Seta è un grande progetto a livello mondiale, messo in atto dalla Cina nella logica del dialogo con i popoli, ricalcando in maniera diversa il senso e l’idea delle relazioni tra Oriente e Occidente << Nonostante la loro apparente <<estraneità>>, queste terre sono sempre state di importanza fondamentale nella storia mondiale, in un modo o nell’altro, collegando est e ovest e ponendosi come un crogiuolo dove, dall’antichità ad oggi, si sono incontrate e scontrate idee, abitudini e lingue. E oggi le Vie della Seta stanno riacquistando importanza, un fenomeno che molti ignorano o a cui non prestano interesse. Gli economisti non hanno ancora rivolto l’attenzione alle ricchezze che si trovano sotto e sopra il suolo, sotto le acque o sepolte nelle montagne delle catene che collegano l’Himalaya al mar Nero, all’Asia Minore e al Levante. Si concentrano su gruppi di paesi senza connessioni storiche (corsivo mio, LL) i cui indici misurabili appaiono a prima vista simili, come i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), spesso ormai sostituiti dal nuovo trend dei MIST (Messico, Indonesia, Corea del Sud e Turchia). In realtà, è al vero Mediterraneo- << il centro del mondo >>- che dovremmo invece guardare. Non c’è un Selvaggio Oriente, nessun nuovo mondo da scoprire, ma una regione e una serie di connessioni che riemergono sotto i nostri occhi >> (22).

La Cina è una potenza in ascesa, come lo fu Atene nella fase multicentrica precedente la guerra del Peloponneso, con la caratteristica di sconvolgere l’ordine esistente: << Essi (gli ateniesi, mia precisazione) sono amanti delle novità, rapidi nel concepire un piano e nel portare a compimento ciò che hanno deciso […] >> (23). Per questo motivo gli Stati Uniti cercano di bloccare e contrastare il progetto cinese perché vedono in esso un serio pericolo alla loro egemonia mondiale (“sindrome della potenza dominante”).

 

Fonte Limes, 2016

 

La Nuova Via della Seta della Cina è una Via che recupera un nuovo senso e un nuovo dialogo tra Oriente e Occidente e ha come obiettivo l’equilibrio dinamico tra le potenze dominanti della fase multicentrica.

 

 

5.In sintesi: abbiamo due potenze in ascesa, Cina e Russia, che rivendicano un ordine mondiale dialogante e rispettoso delle proprie diversità storiche, politiche e culturali in modo da superare la “Trappola di Tucidide” e restare nella fase multicentrica.

Al contrario, la potenza dominante, gli Stati Uniti d’America, rivendica un ordine mondiale sotto la propria egemonia e non accetta un limite al proprio dominio nella configurazione di un nuovo ordine mondiale avanzato dalle potenze in ascesa. Quindi gli USA metteranno in atto strategie politiche di conflitto per contrastare sia la minaccia del proprio declino (ormai irreversibile) sia le potenze in ascesa; difficilmente si fermeranno nella fase multicentrica.

 

Cosa farà l’Europa? Quali vie intraprenderà?

 

Sono pessimista nell’accezione di Ennio Flaiano << Essere pessimisti circa le cose del mondo e la vita in generale è un pleonasmo, ossia anticipare quello che accadrà […].>>. Abbiamo, purtroppo, sub-decisori europei (in particolare quelli italiani per la loro peculiarità storica) che sono dei rubagalline (il significato pieno del termine è nel film Totò, Peppino e i fuorilegge, regia di Camillo Mastrocinque del 1956) e hanno le facce da servi (per il prosieguo della definizione delle facce rimando alla magnifica sintesi fatta da Giorgio Gaber nel brano Mi fa male il mondo dell’album “E pensare che c’era il pensiero”, 1995). Sub-decisori inaffidabili e pericolosi per la maggioranza delle popolazioni. Sono i cotonieri lagrassiani, soggetti politici espressione di una sfera economica caratterizzata da modelli di produzione superati e tecnologicamente arretrati (di processo e di prodotto), che hanno venduto l’anima e i relativi paesi per n’anticchia di potere e non sanno andare oltre una visione economica delle relazioni internazionali.

In Europa ci vorrebbe un Gelsomino (24) dalla voce potentissima che, con l’aiuto di un moderno Principe, sconfiggesse la prepotenza e l’arroganza e ristabilisse la verità e l’ordine per traghettare l’Europa fuori dalla servitù statunitense e pensare una Europa (espressione di una recuperata sovranità politica delle nazioni) dei dialoghi e dei confronti tra mondi diversi (Occidente e Oriente).

Le citazioni che ho scelto come epigrafe sono tratte da:

 

* Noam Chomsky, Venti di protesta, Ponte alle Grazie, Milano, 2018, pag.81.

** Peter Frankopan, Le vie della seta, Mondadori, Milano, 2017, pag.8.

 

 

NOTE

 

1.Ennio Flaiano, Diario notturno, Adelphi, Milano, 2012, pp. 114 e 165.

2.Graham Allison, Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?, Fazi editore, Roma, 2018, pag.309.

3.La situazione storica che si venne a creare nella guerra del Peloponneso dove la potenza dominante di Sparta fu messa in discussione dalla emergente potenza di Atene. La trappola di Tucidide definisce la << “sindrome della potenza in ascesa” e la “sindrome della potenza dominante”. La prima mette in evidenza l’accresciuta consapevolezza di sé, dei propri interessi e del proprio diritto a essere riconosciuto e rispettato. La seconda è essenzialmente l’immagine speculare della prima, ossia il manifestarsi da parte del potere costituito di un crescente senso di paura e di insicurezza difronte alla minaccia del proprio “declino” […]. Sparta era una polis conservatrice, una potenza incline allo status quo. Come in seguito ebbe a dichiarare l’ambasciatore di Corinto all’Assemblea degli spartani:<< Loro caratteristica [degli ateniesi, mia specificazione] è di sconvolgere l’ordine esistente: veloci nell’ideare, veloci nel realizzare ciò che hanno deciso. Vostra caratteristica [degli spartani, mia specificazione] è invece l’immobilismo: non vi sforzate di ideare vie nuove e, sul piano dell’azione, non siete all’altezza neanche dello stretto necessario >> in Graham Allison, Destinati alla guerra, op.cit., pag. 90 e 74; Sull’ascesa della potenza di Atene si rimanda a Tucidide, La guerra del Peloponneso, Mondadori, Milano, 1976, volume primo, Libro I, pp.3-97.

4.Sul progetto della Trappola di Tucidide si rimanda a Graham Allison, Destinati alla guerra, op.cit., in particolare all’Appendice I dove è riportato il dossier completo sulla Trappola di Tucidide che fa parte del progetto di storia applicata del Belfer Center di Harvad (Cambridge, USA).

5.Per la costruzione di un nuovo modello di società che ha caratterizzato il Novecento come il secolo americano, si rimanda a Olivier Zunz, Perché il secolo americano?, il Mulino, Bologna, 2002.

6.Per gli indicatori economici del declino statunitense si rimanda a Graham Allison, Destinati alla guerra, op. cit., pp.33-63.

7.Sergio Romano, L’epidemia sovranista, Longanesi, Milano, 2019, pp.100-101.

8.Sulla crisi della modernità occidentale si veda Marshall Berman, L’esperienza della modernità, il Mulino, 1985; David Harvey, La crisi della modernità, il Saggiatore, Milano, 1993; Costanzo Preve-Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul nuovo ordine mondiale, il Prato editrice, Saonara (Padova), 2016.

9.Sulla diversità della modernità orientale si legga Maxime Rodinson, Islam e Capitalismo, Einaudi, Torino, 1968; Luce Irigaray, Tra Oriente e Occidente, Manifestolibri, Roma, 1997; Guy Mettan, Russofobia. Mille anni di diffidenza, Sandro Teti Editore, Roma, 2016; Aleksandr Dugin, L’Occidente e la sua sfida in www.ariannaeditrice.it, 18/10/2018, prima e seconda parte; Graham Allison, Destinati alla guerra, op.cit.

10.Per una lettura che superi le periodizzazioni dei cicli economici delle diverse fasi storiche del capitalismo, si intreccino gli studi di Giovanni Arrighi, Gianfranco La Grassa e Costanzo Preve.

11.Costanzo Preve-Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul nuovo ordine mondiale, op. cit., pag.153.

12.Luigi Longo, Il Progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 26/11/2018.

13.Sergio Romano, Sulle finalità della Nato e il bisogno di Occidente della Russia, www.ispionline.it, video intervento, 4/6/2018.

  1. Costanzo Preve-Luigi Tedeschi, Dialoghi sull’Europa e sul nuovo ordine mondiale, op. cit., pag.152.

15.Redazione Ansa, Macron, Nato in stato di “morte cerebrale”, www.ansa.it, 7/11/2019; Anais Ginori, Siria: Macron, la Nato è in stato di morte cerebrale, www.repubblica.it, 7/11/2019.

16.Per le politiche di espansione, di allargamento, di sicurezza, di alleanze e controalleanze, di partenariato di pace (sic), di investimenti infrastrutturali, di spese militari della Nato, si rimanda a Mahdi Darius Nazemroaya, La globalizzazione della NATO. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate, Arianna editrice, Bologna, 2014; Manlio Dinucci, Geopolitica di una “guerra globale” in AaVv, Escalation. Anatomia della guerra infinita, DeriveApprodi, Roma, 2005, pp.11-112; sul continuo aumento delle spese militari a favore della Nato si veda Manlio Dinucci, 4 Novembre, vedi Napoli e poi muori, www.volitairenet.org, 10/11/2019; sulla base USA di Alessandropoli in Manlio Dinucci, Alessandropoli, nuova base USA contro la Russia, www.voltairenet.org, 24/9/2019; sulla strategia USA-NATO sul Mar Nero in Martin Sieff, USA e NATO in preda a “pazzia da Mar Nero”, www.comedonchisciotte.org, 17/6/2019.

17.Maurizio Molinari, Il doppio fronte della Nato, www.lastampa.it, video editoriale, 29/7/2019.

18.Peter Frankopan, Le Vie della Seta, op.cit., pp. 7-8; si legga anche Claudio Mutti, La nuova Via della Seta, www.euroasia-rivista.com, 24/6/2019.

  1. Peter Frankopan, Le Vie della Seta, op.cit., pag. 595; per una analisi sintetica degli obiettivi del progetto della Via della Seta si invia a Vladimiro Giacchè, Un progetto per molti obiettivi, www.sinistrainrete.info, 29/4/2019.

20.Osservatorio Globalizzazione, Sulle rotte della Nuova Via della Seta, conversazione con Diego Angelo Bertozzi, www.comunismoecomunita.org, 8/10/2019.

21.Luciano Santilli, La Nuova Via della crescita in Capital n. 465-466 giugno 2019, pag.7. E’ interessante la lettura completa dello speciale Cina perchè ricca di informazioni, dati, analisi delle relazioni tra Cina ed Europa e soprattutto il livello di penetrazione cinese in Italia; sugli accordi dei paesi europei con la Cina si rimanda a Pino Nicotri, Con la nuova Via della Seta la Cina è vicina, anzi è tra noi, www.sinostrainrete.info, 1/4/2019.

  1. Peter Frankopan, Le Vie della Seta, op.cit., pag.585.
  2. Tucidide, La guerra del Peloponneso, op.cit., pag. 46.

24.Per la storia di Gelsomino si legga Gianni Rodari, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Einaudi, Torino, 2010.

36° podcast_Se ne deve andare!_di Gianfranco Campa

Le campagne processuali a carico di Donald Trump, Presidente degli Stati Uniti d’America, sono e vanno avanti a prescindere. Un fatto pressoché unico nella storia degli Stati Uniti. La pervicacia e la sistematicità della tessitura sono il segno non solo della radicalità delle opzioni politiche in campo, ma anche della loro incompatibilità. Una condotta spietata che ha portato al sacrificio di due personaggi chiave dello staff di Trump, Flynn e Roger Stone, in secondo piano Manafort, colpiti da accuse pesantissime  e da decenni di duro carcere e a minacce sempre più prossime all’ultimo suo mentore, Rudolph Giuliani, il più esperto. Le oscillazioni della condotta presidenziale si spiegano in gran parte per l’ostracismo e per l’assenza di una classe dirigente alternativa sufficientemente radicata negli apparati. Non si esita nemmeno a stravolgere la finzione della separazione e della indipendenza dei poteri di uno Stato pur di proseguire nella persecuzione. Per non parlare, poi, della retorica della democrazia. Il parere e la volontà del popolo vale solo se in sintonia con l’élite dominante. Sono rari i momenti in cui un sistema di potere è costretto a gettare la maschera; quando avviene la strada verso la destabilizzazione di un paese e delle sue istituzione è ormai diretta lungo un pendio sempre più ripido. Negli Stati Uniti, vista la tempistica, tutto congiura alla presentazione del candidato unico alle presidenziali. Non male per il più fiero avversario dei regimi cosiddetti totalitari. Ascoltate la narrazione di Gianfranco Campa! Ne vale la pena.Buon ascolto_Giuseppe Germinario

ILVA, il suo percorso è la metafora del futuro di una nazione_con Augusto Sinagra

tra quelli che ci fanno

L’affare ILVA si sta rivelando la metafora del destino che l’Italia sta inseguendo nella sua frenesia autodistruttiva.

babbei al governo

Dal ruolo improprio, l’ennesimo, della magistratura alla contrapposizione paralizzante e arcadica tra difesa ambientale e salvaguardia del patrimonio industriale, specie di quello strategico di base, alla insipienza ed arrendevolezza di un ceto politico complice, ormai non solo oggettivamente. Una classe dirigente che non sa offrire un futuro, che non sa pensare all’interesse nazionale, che non sa far altro che nascondersi tra le pieghe sempre più asfittiche lasciate dagli attori geopolitici più intraprendenti. Ha dimostrato di non aver cura nemmeno delle condizioni minime di sopravvivenza del proprio apparato industriale; ha abdicato da ogni iniziativa politica lasciando sempre più spazio all’azione impropria di apparati preposti a sanzionare il mancato rispetto della legge; si sta facendo soverchiare da una multinazionale francoindiana complice dei propositi di desertificazione del paese ad opera dei “fratelli maggiori europei”. Un ceto politico inetto, scarsamente rappresentativo di interessi forti nel paese, ormai avviluppato in un conflitto tra bande. Potrebbe essere la grande occasione per un ceto politico alternativo di presentarsi come i difensori e gli assertori di una diversa prospettiva nazionale. E invece anche l’opposizione, compreso Salvini, sta rivelando limiti ed incomprensioni drammatici, per non dire di peggio. Di fronte a insolenti colpi di mano di Arcelor Mittal tesi a chiudere e danneggiare gli altiforni e alla reazione governativa meramente legalitaria, praticamente una manfrina, inadeguata rispetto all’urgenza drammatica della situazione, si chiosa bellamente sulla modalità di trattare con la multinazionale, sulle buone maniere piuttosto che spingere verso atti di imperio e straordinari che impediscano il vero e proprio sabotaggio in corso. La crisi ILVA è solo la punta di un iceberg che sta minacciando l’esistenza stessa di un apparato industriale appena degno di questo nome. Colpisce l’afasicità delle reazioni, compresa quella degli interessati diretti, gli operai. Non si può nemmeno più parlare della bollitura a fuoco lento di una rana. Qualche segnale di allarme, anche se tardivo, comincia a pervenire dagli ambienti imprenditoriali. E’ l’unico barlume di speranza rimasto. Si vedrà se il ricorso giudiziario, quel che pare una recita a contratto, si trasformerà in una reazione più risoluta. In controcanto ci sta pensando il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini a rivelarci convinto l’ultimo tassello della congiunzione astrale, assieme all’ambientalismo d’accatto e decrescista e ai propositi della Unione Europea a trazione franco-tedesca, che vorrebbe il funerale dell’ILVA e del paese: preoccupato del futuro dei quindicimila prossimi disoccupati, ha annunciato l’estensione dell’arsenale militare nel’area Italsider e la prossima assunzione di mille unità.

il complice

Vedremo! Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Il tech-enigma cinese di Washington By: Phillip Orchard

tratto da https://geopoliticalfutures.com/

Il tech-enigma cinese di Washington

By: Phillip Orchard

Ai primi di novembre, l’incipiente  “ guerra fredda tecnologica ” USA-Cina ha preso una piega piuttosto surreale. Il governo degli Stati Uniti ha annunciato una revisione della legge di sicurezza nazionale sulla minaccia rappresentata non da giganti delle telecomunicazioni cinesi come Huawei o aziende intelligenza artificiale cinese in via di sviluppo applicazioni campali per l’Esercito di Liberazione del Popolo, ma piuttosto da TikTok, una piattaforma di social media cinesi popolarissima meglio conosciuta per il 15- secondi di clip di Gen Zers (i nati tra il 1996 e il 2010) facendo molto cose Gen Z . La scorsa settimana, al Senato degli Stati Uniti il ​​leader della minoranza Chuck Schumer ha pressato il Segretario dell’Esercito di astenersi dall’utilizzare TikTok come strumento di reclutamento.

La presunta minaccia ha a che fare con i dati. Con circa 500 milioni di utenti, tra cui 80 milioni negli Stati Uniti, TikTok sta raccogliendo una tonnellata di dati. TikTok è di proprietà di ByteDance, una società privata cinese, e non è nemmeno disponibile all’interno della Cina. Ma dal momento che anche le imprese private in Cina non hanno altra scelta che cooperare con il Partito Comunista di richieste della Cina, Pechino potrebbe apparentemente utilizzare l’applicazione, per esempio, per monitorare i movimenti di obiettivi di intelligence. Tali preoccupazioni non sono interamente infondate. Dopo tutto, anche i giganti tecnologici basati negli US sono sotto esame per il montaggio degli oceani di dati utili che possono accumulare.

Questo illustra una caratteristica fondamentale della concorrenza degli Stati Uniti-Cina: Date le linee di sfocatura tra tecnologie commerciali e militari o di intelligence, non è difficile trovare motivi per cui quasi ogni tecnologia cinese emergente potrebbe minacciare gli interessi degli Stati Uniti . Infrastrutture cinese 5G, per esempio, potrebbe apparentemente essere un’arma per deviare i dati sensibili a Pechino o devastare la logistica militare degli Stati Uniti e le linee di comunicazione come il PLA fa la sua mossa su Taiwan . Convogli del treno di fabbricazione cinese potrebbero essere truccati per paralizzare le principali città degli Stati Uniti. Frigoriferi intelligenti di fabbricazione cinese potrebbero essere programmati per diventare senziente in massa e mettere in scena un ammutinamento di ghiaccio. (In teoria, almeno.)

Di conseguenza, Washington sta rimescolando per sviluppare un approccio coerente alla gestione di una serie di minacce che è estremamente chiaro sia in portata e per la gravità. Proprio come un problema, la capacità di Washington di ridurre tali minacce senza fare più male che bene per gli interessi degli Stati Uniti è oscura. Linea di fondo: Gli Stati Uniti lottare per un equilibrio ideale, ma la competizione geopolitica più ampia spingerà gli Stati Uniti a sbagliare sul lato di mitigare gli scenari peggiori – tuttavia reale o immaginario.

tre incertezze

Nel corso dei prossimi mesi, con nuovi poteri concessi dalla legge di riforma Export di controllo del 2018 , il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti è prevista per chiarire quali “ tecnologie di base e emergenti” cinesi si considerano veramente problematiche. Essa continuerà inoltre porre le basi per misure concrete per farvi fronte, tra cui i controlli sulle esportazioni, divieti di importazione, restrizioni sugli investimenti e collaborazione nella ricerca e sviluppo, e così via. Questo compito è complicato da tre fonti di incertezza.

La prima domanda, naturalmente, è solo quanto una particolare tecnologia cinese – o anche tecnologie di fabbricati in Cina – può realisticamente danneggiare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Alcuni sono abbastanza ovvio; gli Stati Uniti hanno un ampio interesse a mantenere i cittadini cinesi lontani dalla sequenza di ricerca dei laboratori biotech degli Stati Uniti, per esempio, o di privare i responsabili di sistemi di arma dei semiconduttori all’avanguardia degli Stati Uniti e del software. Innegabilmente, i progressi cinesi in computazione quantistica, di intelligenza artificiale, la robotica, aeronautica, spazio e così via hanno il potenziale di diminuire il gap convenzionale del militare degli Stati Uniti nel corso del PLA.

Ma con la maggior parte delle altre aziende tecnologiche e di produzione avanzata cinesi nel mirino degli Stati Uniti, la minaccia è in larga misura teorica a questo punto. Anche le preoccupazioni circa 5G cerniera in gran parte su una serie di ipotesi su come rapidamente e ampiamente verrà adottato la tecnologia, quali tipi di applicazioni si depositeranno, e la difficoltà a sviluppare misure di sicurezza informatica sufficienti come la crittografia. C’è anche una tendenza a sopravvalutare la capacità innovativa della Cina. Pechino sta aiutando le imprese cinesi a ridurre il divario con gli Stati Uniti nel campo della R & S di spesa, certo, ma il record di innovazione delle imprese cinesi (in particolare le mastodontiche imprese di proprietà statale) è stato misto, nel migliore dei casi. Gli alleati ad alta tecnologia in Asia nordorientale e in Europa degli Stati Uniti hanno un vantaggio di decenni nella maggior parte dei settori, e la Cina non può chiudere il gap attraverso trasferimenti forzati di tecnologia o cyberespionage da soli.

Made in China 2015: Obiettivi Industry

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La seconda questione è se gli Stati Uniti hanno in realtà gli strumenti per minacce potenziali in indirizzo. Gli strumenti possono essere raggruppati in due categorie: difensivi e offensivi. Attuare la maggior parte delle misure di difesa sarebbe relativamente semplice. Gli Stati Uniti potrebbero, ad esempio, vietare ai membri del suo esercito, servizi segreti, e gli altri reparti sensibili utilizzando i dati-accaparramento applicazioni cinesi come TikTok – o semplicemente vietare tali applicazioni da noi nel complesso. Già è efficacemente vietato l’uso di apparecchiature di telecomunicazione cinese alle reti degli Stati Uniti. E ‘anche probabile che fare di più per incoraggiare lo sviluppo (e l’adozione diffusa) di più sofisticate pratiche di crittografia e sicurezza informatica.

Ma le misure difensive non copriranno tutto. Tutte le reti di telecomunicazione, con o senza tecnologia cinese, saranno intrinsecamente vulnerabili alle operazioni informatiche cinesi. Inoltre, gli interessi degli Stati Uniti non si limitano a coste degli Stati Uniti. Così, gli Stati Uniti stanno anche giocando con misure offensive efficacemente volte a smontare le imprese cinesi potenzialmente problematiche o del tutto. Questo è il punto della on-ancora una volta, fuori di nuovo i controlli sulle esportazioni di componenti degli Stati Uniti e software per Huawei, che si basa prevalentemente su semiconduttori statunitensi, software e progettazione di chip – così come l’offensiva diplomatica volti a mantenere la macchina Huawei lontano dai posti che gli Stati Uniti contano per la logistica militare. Quando il breve colpo US di un divieto di esportazione sul rivale di proprietà statale di Huawei, ZTE, nel maggio del 2018, ha quasi portato l’azienda in ginocchio.

Tuttavia, ci sono diversi motivi per dubitare della efficacia delle misure offensive come i controlli sulle esportazioni. Per uno, funziona davvero solo se una ditta cinese è veramente dipendente dalla tecnologia degli Stati Uniti, l’accesso al mercato o di finanziamento. E gli Stati Uniti hanno il dominio quasi totale su solo un piccolo numero di settori, come i semiconduttori. Per un altro, come dimostrato questa estate quando diversi fornitori statunitensi hanno annunciato di aver sfruttato scappatoie nel divieto morbido sulle vendite a Huawei, imprese private multinazionali avrebbero schiaccianti incentivi per trovare il modo di continuare a vendere in Cina – anche se richiede operazioni di intermediazione all’estero. Infine, non è chiaro per quanto tempo la dipendenza cinese da imprese statunitensi sarà effettivamente in corso. Una ragione principale per cui le aziende cinesi come Huawei e ZTE hanno lottato per fare il salto in settori come i semiconduttori è che appena sempre avuto più senso continuare a comprare dagli Stati Uniti e concentrare le proprie risorse su ciò che sono in realtà buoni a fare(o sul servizio Pechino di politica e gli obiettivi diplomatici). Tagliato fuori da fornitori critici, tali imprese sarebbe venuto sotto pressione enorme per sviluppare sostituti adeguati – mentre Pechino garantisce di non appassire e morire nel frattempo. Può sembrare banale, ma la necessità è davvero la madre di innovazione.

Più male che bene?

Ciò evidenzia la terza fonte di incertezza: Gli Stati Uniti possono andare dopo le imprese cinesi senza fare più male che bene agli interessi degli Stati Uniti nel processo? La realtà è: La maggior parte delle misure proposte dagli Stati Uniti  porterebbero grandi rischi potenziali e dei costi – per i consumatori degli Stati Uniti, per le relazioni diplomatiche degli Stati Uniti, o alla capacità di salute e innovativa delle imprese statunitensi che Washington starebbe apparentemente cercando di proteggere. Si stima, per esempio, che tra il 10 per cento e 30 per cento dei ricavi delle principali aziende americane come Intel, Advanced Micro Devices e Qualcomm provengono dalla Cina. Ogni semiconduttore che non possono vendere a Huawei corrisponde a meno entrate per loro da dedicare nella R & S. Come detto, c’è anche il fatto spinoso che gli Stati Uniti hanno il monopolio solo di una manciata di tecnologie. Quindi, non ci sarebbe poco senso vietare le vendite verso la Cina nei settori in cui Tech è già ampiamente disponibile. In effetti, i controlli sulle esportazioni degli Stati Uniti sulle tecnologie satellitari disponibili a livello globale nel 1990 sono stati ritenuti controproducenti.

Nel frattempo, start-up della Silicon Valley soffrirebbero dalla perdita di investimenti cinesi. Una forza di base degli Stati Uniti, del resto, è la sua capacità di attrarre i migliori e più brillanti di altri paesi, in modo da un giro di vite degli Stati Uniti sugli immigrati cinesi, gli studenti e la collaborazione di ricerca non sarebbe a costo zero. Già, la minaccia delle tariffe supplementari degli Stati Uniti, insieme con i potenziali divieti in materia di appalti federale di apparati telematici con componenti fabbricati in Cina, ha costretto i produttori di elettronica degli Stati Uniti con operazioni di produzione in Cina per spendere miliardi per il reinstradamento delle catene di fornitura complicate altrove. La rappresaglia Cinese sarebbe inevitabile, sia sotto forma di sanzioni reciproche, boicottaggi dei consumatori nazionalisti, vessazioni delle imprese statunitensi in Cina o il divieto di sempre incombente su esportazioni di terre rare .

Infine, ci potrebbero essere i costi per la struttura diplomatica e l’alleanza degli Stati Uniti. Con 5G, ad esempio, gli Stati Uniti hanno effettivamente minacciato le relazioni di intelligence e cooperazione militare con i paesi che utilizzano apparecchiature di telecomunicazione Huawei. Per la maggior parte dei paesi, la speleologia per gli Stati Uniti sarebbe incredibilmente costoso e ritardare la loro implementazione 5G da diversi anni. (Molti usano Huawei per 4G, nel senso che avresti bisogno di strappare vecchia infrastruttura oltre a prendere sul vasto buildout necessaria per 5G -. E farlo con i fornitori più costosi)

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Il problema di fondo per gli Stati Uniti è l’incertezza che la preparazione per potenziali minacce tecnologia con mezzi di stima della potenza delle applicazioni tecnologiche che spesso  nemmeno esistono ancora – e l’innovazione tecnologica si muove velocemente. Di fronte a una minaccia emergente poco chiara, gli Stati Uniti tendono ad ignorare il problema prima  di travolgere con il potere ottuso. Idealmente, la soluzione per gli Stati Uniti sarebbe un “piccolo cortile, recinzione alta”, approccio che conserva la sicurezza nazionale senza compromettere la propria capacità di innovare e competere nei mercati globali – e senza ribaltamento la sua preziosa struttura di alleanza globale. Ma la minaccia ambientale è semplicemente troppo torbida, troppo dinamico e troppo carico di potenziale di conseguenze impreviste per gli Stati Uniti per realisticamente essere in grado di trovare un equilibrio in qualsiasi momento ottimale presto.

Il problema per la Cina, nel frattempo, è che può fare ben poco per placare i timori degli Stati Uniti di scenari peggiori. Le imprese cinesi possono promettono di rifiutare le richieste di stato per la cooperazione, ma sarebbe ingenuo riservare molta fiducia in questo. Possono aprire il proprio codice sorgente per gli ispettori stranieri, ma il codice sorgente possono cambiare rapidamente. La Cina non può certo abbandonare il suo tentativo di corsa la catena del valore di fabbricazione o di trasformare il PLA in una forza di combattimento ad alta tecnologia . Quindi, la questione non può essere separata dai sospetti più ampi e gli interessi in collisione che definiranno le relazioni USA-Cina per decenni a venire. Per gli Stati Uniti, in altre parole, è perfettamente razionale di considerare la privazione a un potenziale avversario di funzionalità che potrebbero rivelarsi pericolosi – tuttavia smussato e potenzialmente distruttiva. E data la traiettoria delle imprese cinesi e la possibilità che la leva degli Stati Uniti potrebbe presto evaporare, Washington sarà tentato di colpire veloce e poi porre domande.

VITTORIA!!!!, a cura di Giuseppe Germinario

Siamo all’apoteosi!

Lo spegnimento degli altiforni dell’ILVA procede inesorabilmente. Pochi sanno che il loro raffreddamento definitivo può compromettere l’integrità stessa dell’impianto. A giudicare dalla sicumera con la quale Mittal sta procedendo nell’azione legale e alla chiusura dello stabilimento, nel contratto di affitto non sarà stata inserita nemmeno una clausola che obblighi l’affittuario a restituire il bene nella sua piena funzionalità in caso di rinuncia. La ciliegina sulla torta di una serie di atti culminati con la sottoscrizione del contratto di affitto da parte di Renzi, Gentiloni e compagni e completata con la parodia grillina che ha generosamente offerto su un piatto d’argento il miglior pretesto per liquidare definitivamente il problema. Una mistura di connivenze e incompetenze letale. Rimane da chiedersi quale sia stato il supporto professionale dei grand commis di stato a questa tragicommedia. Gli unici ad affermare con spregiudicata sicumera le proprie prerogative sono stati i magistrati i quali, oltre ad attribuire le responsabilità penali e civili sugli antefatti, riescono a dettare dietro le quinte tempi e modi della conduzione futura degli impianti, salvo esporre per le conseguenze al pubblico ludibrio i politici più o meno inetti e consapevoli. Per rimediare parzialmente il danno dovranno andare a Canossa.

Si è cominciato con la liquidazione delle partecipazioni statali, si è proseguito con le cessioni e l’esodo del controllo della grande industria privata (chimica, auto, cavi e pneumatici, elettrodomestici), si sta rinunciando da tempo al prodotto finito; adesso è la volta della migrazione all’estero (Polonia, Repubblica Ceca e ormai anche Francia) della componentistica. Dopo aver addestrato per un paio di anni in Italia tecnici ed operai polacchi e cechi, adesso stanno migrando gli impianti e i macchinari. Cornuti e mazziati. Intanto l’avveniristica FCA (per gli anziani FIAT), la famiglia patriota degli Agnelli di essa proprietaria, hanno già ceduto la Magneti Marelli (batterie) e si accingono a cedere COMAU (automazione industriale). Debora Serracchiani (Partito Democratico)  intanto al di là del tempo continua  a recitare il mantra della “politica che deve assecondare il mercato” Quale? Quello le cui regole e modalità sono stabilite altrove e da altri centri politici?

Il generale Stano, ex comandante appena nominato della base di Nassirya ai tempi dell’attentato, è stato condannato dalla Giustizia Civile a risarcire le famiglie delle vittime dell’attentato. In altri tempi lo Stato avrebbe dovuto risarcire, salvo eventualmente rivalersi nel confronto del proprio funzionario; e in effetti lo ha già fatto. In una situazione di decisione politica, quella di guerra è la più classica delle situazioni discrezionali, il criterio di responsabilità civile diretta del funzionario porta direttamente all’inazione e alla paralisi dell’azione politica. Non è ovviamente un giudizio di merito anche se sono convinto che il generale Stano sia la vittima sacrificale del comportamento poco sportivo dei suoi superiori e dei decisori politici di allora.

Oggettività del mercato e riduzione del politico al diritto sono il binomio che sta portando all’inettitudine e alla paralisi dell’attuale classe dirigente e ceto politico e all’impossibilità di crearne una nuova  ed efficiente sul campo. Crollate le gerarchie e la divisione di competenze rimane lo stillicidio delle contrapposizioni fratricide e delle lotte di potere fini a se stesse.

Tangentopoli da una parte e le dismissioni come salvacondotto nell’Unione Europea in ossequio al mercato sono stati gli strumenti di questo scempio irreparabile e senza fine. E’ l’agonia senza fine di una nazione. Giuseppe Germinario

Qui sotto un articolo di analisi e difesa che tratteggia bene alcuni aspetti

https://www.analisidifesa.it/2019/09/nassirya-se-il-generale-stano-diventa-il-capro-espiatorio-per-i-caduti/?fbclid=IwAR3WR4X9-BJ_RHm4tDVfk7u2oRQ9imVQXSgm8CPy0fPaBkrrjrakJOe1EyQ

L’ascesa del nazionalismo dopo la caduta del Muro di Berlino, di George Soros

Qui sotto un articolo particolarmente significativo apparso su https://www.project-syndicate.org/commentary/open-societies-new-enemies-by-george-soros-2019-11?fbclid=IwAR1u2gIpvkQs4x1TJxdAaGYAVMlgqNB6E3xh0a5daGuvLpHkklSPE8oS-jw Un segnale che la sua battaglia ha incontrato numerosi ed imprevedibili ostacoli, lungi però da scoraggiarlo. Il filantropo appare però un po’ distratto. Segnala i pericoli di manipolazione, di totalitarismo e di controllo sociale. Li vede però esclusivamente nei suoi avversari; tra di essi, con sua somma delusione, la Cina. L’azione di richiamo all’ordine dei GAFA, da lui largamente preannunciata circa tre anni fa, le cui pesanti attività censorie sono ormai talmente evidenti, rientrerebbero invece in una bonaria campagna di rieducazione. Il destino paradossale dei filantropi passa appunto per l’imposizione del bene anche a coloro che non lo vogliono. Gli manca l’ultima fase di questa maturazione psicologica: quella del vittimismo da incompreso. Lo strumento di imposizione del bene comune, il monocratismo imperiale americano, si sta rivelando inadeguato, annaspa e qualcuno, purtroppo, negli stessi Stati Uniti comincia a prenderne atto saggiamente. La veneranda età potrebbe risparmiare a Soros quest’ultima frustrazione. Per l’umanità sarebbe un enorme sollievo._Giuseppe Germinario

 

L’ascesa del nazionalismo dopo la caduta del Muro di Berlino

BERLINO – La caduta del muro di Berlino nella notte dell’8 novembre 1989 ha improvvisamente e drammaticamente accelerato il crollo del comunismo in Europa. La fine delle restrizioni sugli spostamenti tra la Germania dell’est e la Germania dell’ovest ha dato il colpo di grazia alla società chiusa dell’Unione Sovietica. Allo stesso tempo, la caduta del muro ha segnato un punto fondamentale per la crescita delle società aperte.

Dieci anni prima della caduta del muro, fui coinvolto in quella che io definisco la mia filantropía política. Diventai un sostenitore del concetto di società aperta che mi conferì Karl Popper, il mio mentore alla London School of Economics. Popper mi insegnò che la conoscenza perfetta non è realizzabile e che le ideologie totalitarie, che affermano di possedere la verità assoluta, possono prevalere solo attraverso misure repressive. Negli anni ’80, sostenni i dissidenti contro l’impero sovietico e nel 1984 riuscii a creare una Fondazione nella mia nativa Ungheria che garantiva fondi ad attività promosse non da stati monopartitici. L’idea di fondo era che incoraggiando le attività esterne alle formazioni partitiche, i cittadini avrebbero avuto maggiore consapevolezza delle falsità dei dogmi ufficiali e in effetti questo sistema ha funzionato alla meraviglia. Con un budget annuale di 3 milioni di dollari, la Fondazione è diventata più forte del Ministero della Cultura. Da parte mia io sono rimasto affascinato dalla filantropia politica e, con il crollo dell’impero sovietico, ho creato diverse fondazioni in vari paesi. Il mio budget annuale è passato da 3 milioni a 300 milioni di dollari in pochi anni. Era un periodo esaltante in quanto le società aperte erano in ascesa e la cooperazione internazionale era il credo dominante. A trent’anni di distanza la situazione è ben diversa. La cooperazione internazionale ha trovato diversi ostacoli sul suo cammino e il nazionalismo è diventato il nuovo credo dominante. Inoltre, finora il nazionalismo si è rivelato essere ben più potente e distruttivo dell’internazionalismo. Non era tuttavia un risultato prevedibile. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, gli Stati Uniti erano diventati l’unica superpotenza che non è tuttavia riuscita a essere all’altezza delle responsabilità che la sua posizione le aveva conferito. Gli Stati Uniti erano infatti più interessati a godersi i frutti della vittoria della Guerra Fredda e non hanno quindi pensato a dare una mano ai paesi dell’ex blocco sovietico che si trovavano in gravi difficoltà. Pertanto, il paese ha aderito alle prescrizioni delle politiche neoliberali denominate “Washington Consensus”.

    Nello stesso periodo, la Cina si è imbarcata nel suo incredibile viaggio verso la crescita economica facilitato dalla sua adesione all’Organizzazione Mondiale per il Commercio e alle istituzioni finanziarie anche grazie al sostegno degli Stati Uniti. Con il tempo, la Cina ha finito per rimpiazzare l’Unione Sovietica quale potenza rivale degli Stati Uniti.

    In questo contesto, il “Washington Consensus” ha dato per scontato che i mercati finanziari sarebbero stati in grado di correggere i propri eccessi e, in caso contrario, le banche centrali avrebbero gestito eventuali crisi delle istituzioni fondendole per creare delle istituzioni più grandi. Tuttavia queste erano evidentemente false convinzioni come ha poi dimostrato la crisi finanziaria del 2007-08.Il crollo del 2008 ha messo fine alla indiscussa predominanza globale degli Stati Uniti e ha dato una grande spinta al nazionalismo cambiando inoltre in negativo l’atteggiamento nei confronti delle società aperte. La protezione che le società aperte avevano ricevuto dagli Stati Uniti è sempre stata indiretta e a volte insufficiente, ma l’assenza totale del sostegno le ha evidentemente lasciate vulnerabili alla minaccia del nazionalismo.

    Mi ci è voluto del tempo per realizzarlo, ma le prove sono inconfutabili ed è evidente che le società aperte sono state spinte a mettersi sulla difensiva a livello mondiale. Credo che il picco negativo sia stato raggiunto nel 2016 con il referendum sulla Brexit nel Regno Unito e l’elezione del Presidente statunitense Donald Trump, ma il verdetto è ancora incerto.

    La prospettiva delle società aperte è infatti aggravata dallo sviluppo incredibilmente rapido dell’intelligenza artificiale che può produrre strumenti di controllo sociale in grado di sostenere i regimi repressivi e di rappresentare un pericolo letale per le società aperte. Ad esempio, il Presidente cinese Xi Jinping ha iniziato a creare il cosiddetto sistema di credito sociale. Se dovesse riuscire a completarlo, lo stato avrebbe il controllo totale sui suoi cittadini. E’ preoccupante che i cittadini cinesi siano affascinati da questo sistema di credito sociale che, d’altra parte, garantisce loro dei servizi che prima non avevano, promette di perseguire i criminali e offre loro una guida su come stare lontano dai guai. Cosa ancor più preoccupante, la Cina potrebbe vendere il sistema di credito sociale ad aspiranti dittatori a livello mondiale che diventerebbero a loro volta politicamente dipendenti dalla Cina.

    Per fortuna la Cina di Xi ha un tallone di Achille, ovvero dipende dagli Stati Uniti per i microprocessori di cui le aziende 5G, come Huawei e ZTE, hanno bisogno. Purtroppo però, Trump ha dimostrato di voler mettere i suoi interessi personali prima degli interessi nazionali e il 5G non fa eccezione. Sia lui che Xi sono in difficoltà a livello nazionale e, nelle negoziazioni commerciali con Xi, Trump ha messo sul tavolo anche Huawei convertendo i microchip in merce di scambio. Il risultato è imprevedibile in quanto dipende da una serie di decisioni che non sono ancora state prese. Viviamo in tempi rivoluzionari in cui la gamma delle possibilità è ben più ampia del solito e il risultato è ancora più incerto rispetto ai tempi normali. Possiamo solo dipendere dalle nostre convinzioni. Personalmente mi sono impegnato a raggiungere gli obiettivi perseguiti dalle società aperte. Questa è la differenza tra lavorare per una fondazione e cercare di fare soldi in borsa. Traduzione di Marzia Pecorari

    Gli incendi del 4GW stanno bruciando il Messico, di Larry Kummer

    Gli incendi del 4GW stanno bruciando il Messico

    Riepilogo: ho scritto per dieci anni sul deterioramento dello stato messicano e le sue terribili implicazioni per l’America. Mi sono fermato perché troppo poco curato. Quest’anno il declino del Messico ha subito un’accelerazione. La sua gente sta fissando un futuro sanguinoso. Qualunque cosa accada, gli effetti su di noi saranno immensi. Dobbiamo prestare attenzione.

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    ID 43125507 © Agsandrew | Tempo di sognare.

    Messico: una grande vittoria per 4GW

    Di William S. Lind a Traditional Right, 8 novembre 2019.
    Inserito con il suo generoso permesso.

    Un recente evento a Culiacan, in Messico, avrebbe dovuto attirare molta attenzione ma non lo ha fatto: un’entità di quarta generazione, il cartello Sinaloa, ha preso lo stato messicano e lo ha battuto, non solo strategicamente ma tatticamente. Lo ha fatto dimostrando un ciclo OODA notevolmente rapido, molto più veloce di quello dello stato. Questo è un segno di cose a venire, non solo in Messico ma in molti luoghi.

    Il pezzo più percettivo che ho visto in questi eventi è stato nel 20 ottobre Cleveland Plain Dealer , ” La battaglia con le armi che coinvolge il figlio di El Chapo evidenzia le sfide al governo ” di Mary Beth Sheridan del Washington Post. Si afferma …

    “Quello che è successo la scorsa settimana è stato senza precedenti. Quando le autorità messicane hanno cercato di trattenere uno dei figli di El Chapo, centinaia di uomini armati con armi automatiche hanno spazzato la città, sigillando le sue uscite, prendendo in ostaggio i funzionari della sicurezza e combattendo le autorità. Dopo diverse ore, le forze governative assediate rilasciarono Ovidio Guzman, ricercato con l’accusa di traffico di droga da parte della Confederazione americana.

    “L’offensiva a Culiacan. … esponeva uno dei principali problemi del paese: il controllo del governo che scivolava su parti del territorio. Vi è un numero crescente di aree “in cui si ha effettivamente una presenza statale, ma a condizioni negoziate con chi gestisce lo spettacolo localmente”, ha affermato Falko Ernst, analista senior del Messico per l’International Crisis Group.

    “L’attacco di giovedì pomeriggio è arrivato a seguito di numerosi incidenti che hanno messo in luce la capacità dei gruppi criminali organizzati di sfidare il governo. Lunedì, alcuni uomini armati hanno teso un’imboscata a un convoglio della polizia di stato nello stato occidentale di Michoacan, uccidendo 14. Il mese scorso, il cartello nord-est ha ordinato alle stazioni di servizio nella città di confine di Nuevo Laredo di negare il servizio alla polizia o ai veicoli militari, lasciandoli alla disperata ricerca di carburante “.

    Tutto ciò non sta accadendo nel Hindu Kush ma sul nostro confine meridionale immediato. Solo questo avrebbe dovuto attirare una maggiore attenzione da un istituto di difesa fissato sulle non minacce della Russia e della Cina. Ma qui c’è più di quello che sembra.

    Normalmente, quando gli stati combattono forze non statali nella guerra di quarta generazione, lo stato perde strategicamente ma vince tatticamente. Qui, anche le forze non statali hanno vinto tatticamente e hanno vinto alla grande. Erano equipaggiati almeno quanto le forze statali messicane. Ma ciò che è stato davvero impressionante è stata la loro velocità nel Loop OODA. Apparentemente colti di sorpresa dal sequestro statale di uno dei loro leader, furono in grado di rispondere in modo massiccio entro poche ore. Assunsero il controllo completo di una città di circa un milione di persone, isolando e circondando l’unità che aveva catturato Ovidio Guzman. Il presidente del Messico è stato costretto a ordinare il suo rilascio.

    La capacità del cartello di osservare, orientare, decidere e agire molto più rapidamente di quanto lo stato non sia una sorpresa. Anni fa, quando John Boyd era ancora vivo, un mio amico che era un ufficiale della Marina era in Bolivia in missione contro la droga. Gli ho chiesto in che modo l’OODA Loop dello stato boliviano ha confrontato con i trafficanti. Ha detto: “Lo attraversano sei volte nel tempo che ci serve per attraversarlo una volta”. Quando ho detto a Boyd che, ha detto: “Allora non sei nemmeno nel gioco.”

    La velocità superiore delle forze 4GW attraverso l’OODA Loop, a sua volta, ha diverse cause. Stanno combattendo i militari di seconda generazione, in cui il processo decisionale è centralizzato e quindi lento. Gli stati sono entità burocratiche e i burocrati evitano di prendere decisioni e agire perché possono mettere in pericolo la loro carriera. La motivazione delle forze statali è spesso scarsa perché hanno poca lealtà verso gli stati corrotti e incompetenti che servono; soprattutto, per loro è un lavoro che offre uno stipendio. Al contrario, la maggior parte delle forze 4GW non ha burocrazia, decentralizza il processo decisionale perché deve farlo e ha combattenti con vera lealtà a ciò che rappresentano. Perché? Denaro, oltre a ciò che le donne locali citate nell’articolo del PD hanno spiegato …

    “Ha riconosciuto che i membri del cartello facevano parte del tessuto sociale, a volte più efficace nel risolvere i problemi rispetto alle autorità. Ad esempio, se la tua auto viene rubata, è più probabile che la riavresti contattando i membri del cartello tramite un conoscente piuttosto che aspettando che la polizia risolva il caso, ha detto. “

    I cartelli della droga rappresentano il futuro sotto molti aspetti. Non cercano di sostituire lo stato o catturarlo apertamente, il che li renderebbe vulnerabili ad altri stati; piuttosto, si nascondono all’interno delle sue strutture scavate e sono protetti dalla sua sovranità formale. Guadagnano un sacco di soldi mentre gli stati chiedono l’elemosina. Forniscono servizi sociali che lo stato dovrebbe offrire, ma non lo è. Le loro forze altamente motivate con strutture di comando piatte hanno un OODA Loop più veloce di quello dello stato. E a livello locale, spesso appaiono più legittimi dello stato.

    Ancora una volta, tutto ciò sta accadendo proprio accanto. Perché il nostro istituto di sicurezza nazionale non può leggere le parole già scritte sul muro di frontiera di cui abbiamo così disperatamente bisogno? Quelle parole sono “Guerra di quarta generazione”.

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    Postfazione del redattore

    Sono d’accordo con tutto ciò, tranne per un aspetto della conclusione di Lind. Gli obiettivi di individui e organizzazioni contano poco. Gli eventi ci spingono verso futuri inaspettati. La natura detesta i vuoti di ogni tipo, compresi i vuoti del potere politico. I cartelli potrebbero essere felici come criminali di successo, ma la debolezza dello Stato potrebbe costringerli ad espandere il loro potere. Ciò costringerà inevitabilmente un incontro in gabbia con il governo messicano. In tal caso, solo uno può sopravvivere. I leader dei cartelli sanno che è bello essere re.

    Qualunque cosa accada, gli effetti sugli Stati Uniti saranno immensi. La nostra influenza su questi eventi in Messico sarà lieve.

    Domanda: .. “Quale nazione rappresenta la più grande minaccia alla sovranità degli Stati Uniti?”
    Risposta: … “Messico”.
    – Briefing intorno al 1994 di un esperto geopolitico presso la CIA. Erano increduli allora; oggi probabilmente capiscono.

    Circa l’autore

    William S. Lind è direttore dell’American Conservative Center for Public Transportation . Ha conseguito un Master in Storia presso la Princeton University nel 1971. Ha lavorato come assistente legislativo per i servizi armati per il senatore Robert Taft, Jr., dell’Ohio dal 1973 al 1976 e ha ricoperto una posizione simile con il senatore Gary Hart del Colorado dal 1977 al 1986. Guarda la sua biografia su Wikipedia .

    William Lind

    Lind è l’autore del Maneuver Warfare Handbook (1985), coautore con Gary Hart of America Can Win: The Case for Military Reform (1986), e coautore con William H. Marshner di Cultural Conservatism: Toward a New National Agenda (1987). Ancora più importante, è uno dei co-autori di ” Into the Fourth Generation “, l’articolo dell’ottobre 1989 nella rivista Marine Corps Gazette che descrive la guerra di quarta generazione.

    È forse più noto per i suoi articoli sulla lunga guerra, ora pubblicati come On War: The Collected Columns di William S. Lind 2003-2009 . Guarda i suoi altri articoli su una vasta gamma di argomenti …

    1. I suoi post su TraditionalRight .
    2. I suoi articoli sulla geopolitica al The American Conservative .
    3. I suoi articoli sui trasporti al The American Conservative .

    Per maggiori informazioni

    Idee! Per alcune idee di shopping, consulta i miei libri e film consigliati su Amazon .

    Ti preghiamo di noi su Facebook e seguici su Twitter . Vedi anche altri post sul Messico , sulla guerra di quarta generazione (in particolare sulla teoria del 4GW ), e in particolare su questi post …

    1. STRATFOR offre un nuovo modo di pensare al crimine organizzato messicano.
    2. Stratfor esamina l’insurrezione del cartello della droga contro il Messico.
    3. Stratfor: gli imprenditori messicani forniscono il fentanil che l’America vuole!
    4. Trump vuole difendere i nostri confini. Protesta dei democratici.

    Due libri sui cartelli del Messico

    Libri di Ioan Grillo, giornalista di base a Città del Messico. Ha coperto l’America Latina dal 2001 per i principali media. Era affascinato da queste figure che guadagnavano $ 30 miliardi all’anno, erano idolatrate in canzoni popolari e sfuggivano all’esercito messicano e alla DEA. Ha visitato infinite scene di omicidio in strade piene di proiettili, montagne in cui le droghe nascono come bei fiori e criminali sfregiati in celle di prigione e condomini di lusso. Vedi il suo sito web . Vedi le sue colonne sul New York Times .

    derive in pot pourri, a cura di Antonio de Martini

    E SI CHE CE N AVOCATO DE FAMA
    Una specificazione molto precisa. Dettagliata. Arcelor Mittal può recedere dal contratto di affitto – preliminare alla vendita – in tutta una serie di ipotesi. Già il contratto d’affitto con obbligo di acquisto di rami d’azienda, siglato il 28 giugno 2017, era abbastanza nitido. Ma l’accordo di modifica del contratto, che risale al 14 settembre 2018, è ancora più chiaro.

    Il Sole 24 Ore ha avuto modo di leggere entrambi i documenti. E, a meno che non siano intervenute successive modifiche, dalla loro consultazione evapora ogni ambiguità. L’accordo che modifica il contratto dedica a ogni plausibile declinazione l’articolo 27. Il titolo è esaustivo: “Retrocessione dei rami d’azienda”. Quattro pagine fitte di fattispecie, sei paragrafi che definiscono ogni ipotesi.

    «Nel caso in cui – si legge nel documento – con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non de o finitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch’esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l’annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell’art. 1, comma 8.1, del D.L. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l’annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l’esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell’impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall’annullamento in parte qua), l’Affittuario ha diritto di recedere dal contratto».

    Il linguaggio contrattuale dà forma verbale alla sostanza della questione: cambia il quadro giuridico generale, che rappresenta lo sfondo regolamentare su cui si è svolta l’asta internazionale che ha visto ArcelorMittal prevalere su Jindal, Arvedi, Leonardo Del Vecchio e Cassa Depositi e Prestiti? Viene cancellata la non punibilità per reati compiuti da altri, prima dell’arrivo del nuovo proprietario a Taranto? Arcelor Mittal restituisce le chiavi dello stabilimento. E, questo, con qualunque tipo di misura, di qualunque fonte normativa.

    Ma c’è dell’altro. Sempre nell’addendum al contratto siglato il 14 settembre 2018 si legge: «L’affittuario potrà altresì recedere dal contratto qualora un provvedimento legislativo o amministrativo, non derivante da obblighi comunitari, comporti modifiche al Piano Ambientale come approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 che rendano non più realizzabile, sotto il profilo tecnico e/o economico, il Piano Industriale».

    UN’INCHIESTA A ROMA PER PRESUNTE INTERCETTAZIONI ABUSIVE.
    IL COINVOLGIMENTO RUSSIAGATE
    DI TRUMP. IL CASO BIJA. LA GUERRA
    AI VERTICI PER LE NOMINE. SONO GLI SCANDALI CHE FANNO TREMARE I NOSTRI 007
    DI EMILIANO FITTIPALDI
    Il grande caos all’italiana di fine 2019 sembra non risparmiare niente e nessuno. Fa traballare il neonato governo giallorosso di Giuseppe Conte, senza ossigeno a soli due mesi dalla nascita. Mo- stra le crepe profonde dell’economia nazionale, caratterizzata da crescita asfittica e crisi industriali che si trascinano insolute verso il burrone. Il disordine investe la maggioranza, i partiti, istituzioni e corpi intermedi e – secondo i pessimisti – rischia di risolversi in un solo modo: elezioni anticipate e vittoria della destra estrema di Matteo Salvini.
    Dallo scompiglio non si salva nemmeno uno dei settori più delicati della Repubblica. Quello, cioè, dei nostri servizi segreti e delle autorità preposte alla sicurezza nazionale. Dal Russiagate di Trump alla vicenda dei trafficanti libici in visita nei ministeri, passando per le furiose guerre interne sulle nomine sino al coinvolgimento di pezzi da novanta dei nostri 007 nell’inchiesta su Antonello Montante, agenzie come Dis, Aisi e Aise (le ultime due monitorano rispettivamente la sicurezza interna e le minacce che arrivano dall’esterno) sembrano vivere uno dei momenti più delicati degli ultimi tempi.
    «Il nostro core business, sia chiaro, resta solido: vantiamo ancora capacità ed eccellenze invidiate in mezzo mondo», spiega un’accreditata fonte interna. «Il problema è
    che una crisi di sistema come quella che stiamo vivendo non può non avere rilessi anche su di noi. È come in uno specchio: siamo organismi che rispondono all’autorità politica. La debolezza dell’amministrazione, l’incapacità di comando e la selezione discutibile della nostra classe dirigente ha generato tensioni e trambusto».
    MISTERO EXODUS
    La situazione, ora, rischia di deteriorarsi ancora. A causa di alcune inchieste della magistratura. Su tutte, quella della procura di Roma sulla vicenda Exodus, un sistema spyware che una ditta di Catanzaro, la E. Surv, ha venduto anni fa a procure di mezza Italia per efettuare intercettazioni telefoniche attraverso l’inoculazione dei trojan nei cellulari degli indagati. Non solo: Exodus è stato acquistato anche dall’Aisi e dall’Aise.
    Lo scorso maggio i pm di Napoli in un’inchiesta parallela hanno arrestato il proprietario della srl calabrese e il creatore della piattaforma informatica. Le accuse sono gravi: aver efettuato intercettazioni illecite su soggetti estranei a qualsiasi indagine penale e aver compiuto una frode in pubbliche forniture. Tutti i dati sensibili captati da Exodus sarebbero infatti finiti non all’interno di server protetti ubicati sul territorio nazionale – come previsto dai contratti con le procure e le authority – ma in un archivio segreto su un cloud Amazon in Oregon,
    Prima Pagina
    10 novembre 2019 25

    Governo / Scontro tra apparati
    Usa. Anche Vito Tignanelli e Maria Aquino, titolari della società STM che commer- cializzava Exodus per conto della E.Surv, sono stati indagati.
    L’inchiesta dei colleghi di Roma sta invece cercando di capire chi e perché – nelle nostre agenzie di intelligence – ha voluto comprare il malware, e soprattutto se Exodus sia stato usato in modo illecito dai nostri 007 per spiare di nascosto obiettivi sensibili.
    L’aggiunto Angelantonio Racanelli, presente il capo dell’ufficio “facente funzioni” Michele Prestipino, qualche settimana fa ha così deciso di sentire Luciano Carta, il generale della Finanza oggi numero uno dell’Aise. Sei mesi fa il capo dell’agenzia aveva già risposto con una lettera ad alcuni quesiti rivoltigli dall’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone andato poi in pensione, chiarendo che – almeno secondo quanto evidenziato dai documenti interni – il software-spia all’Aise non era mai stato utilizzato da nessuno.
    Carta, per stilare la lettera, ha dovuto chiedere informazioni agli uomini che si erano occupati del dossier. Exodus, infatti, è stato acquistato tra fine del 2016 e l’inizio del 2017, quando il generale della Finanza era semplice numero due di Alberto Manenti. Le deleghe sui sistemi di sorveglianza interni e sulle intercettazioni preventive erano però in mano a Giuseppe Caputo, allora capo di gabinetto di Manenti e oggi attuale vicedirettore dell’Aise. Fu lui, d’accordo con l’allora direttore, a decidere di comprare Exodus. Anche perché la piattaforma, comprata per circa 350 mila euro con un versamento in contanti, era stata consigliata da Sergio De Caprio, alias Capitano Ultimo, che in quel periodo aveva lasciato i Carabinieri per approdare all’Aise.
    All’uomo che catturò Totò Riina Manenti e Caputo avevano subito affidato compiti importanti, dalla sicurezza degli accessi della sede romana al tentativo (fortemente sponsorizzato da Marco Minniti, allora sottosegretario a Palazzo Chigi con delega
    Gennaro Vecchione, direttore del Dis, l’organismo di coordinamento dei servizi.
    Nell’altra pagina: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump
    ai servizi) di pacificare le tribù del Fezzan per provare a chiudere le rotte subsahariane dei trafficanti di migranti. Ma la mansione primaria di De Caprio e dei suoi uomini (quasi tutti appartenenti al reparto dei carabinieri del Noe) era vigilare sulla sicurezza interna. Dunque guidare il reparto che deve investigare anche sulle possibili talpe che si nascondono tra le nostre barbe finte: Exodus fu preso anche perché i vecchi software forniti da Hacking Team non erano più utilizzabili.
    Ora qualcuno in procura – nessuno è stato ancora iscritto nel registro degli indagati – teme che qualcuno dentro l’Aise possa aver efettuato intercettazioni abusive: le domande rivolte da Racanelli a Carta hanno riguardato proprio Exodus, e alla luce di quanto richiesto presto il direttore potrebbe fornire nuova documentazione sull’affaire.
    Se le ipotesi investigative fossero fondate, il caso sarebbe ovviamente clamoroso. Fonti dell’intelligence e altre vicinissime all’inchiesta, però, evidenziano non solo che lo spyware Exodus non sarebbe mai stato usato dall’agenzia per la sicurezza esterna. Ma soprattutto che tutte le intercettazioni effettuate (con altri metodi e/o software senza bug) avrebbero tutte le autorizzazioni necessarie. In primis quella della procura generale della Corte d’Appello di Roma, guidata da Giovanni Salvi.
    Ma come mai l’agenzia non avrebbe mai utilizzato Exodus per mesi nonostante i denari spesi? «L’Aise non ha mai usato Exodus per una ragione molto semplice: mancavano i prerequisiti tecnici», spiegano fonti qualiicate. Per dirla semplice, nel 2017 gli agenti degli affari interni e quelli dell’E. Surv che da contratto dovevano inoculare il trojan nei telefoni degli obiettivi (una volta innestato il trojan, gli uomini di Ultimo avrebbero dovuto remotizzare le informazioni in server sicuri), dopo aver avuto i decreti autorizzativi non sarebbero riusciti a iniettare Exodus nei dispositivi.
    Un’operazione in efetti non semplicissima
    IL PM CHE INDAGA SUL SOFTWARE EXODUS È RACANELLI. REGISTRATO DALLA GUARDIA DI FINANZA MENTRE PARLA CON PALAMARA SULL’AFFAIRE CSM
    26 10 novembre 2019

    ma, come dimostrato anche dall’ultima inchiesta sullo scandalo del Csm: il Gico della Guardia di Finanza riuscì ad infettare solo il cellulare di Luca Palamara, mentre gli altri indagati non aprirono l’Sms che nascondeva il virus, restando così immuni dalle intercettazioni ordinate della procura di Perugia.
    Se gli accertamenti della procura dovessero confermare quanto già spiegato a suo tempo da Carta, generale stimato da tutto l’arco parlamentare, l’inchiesta sull’uso di Exodus in Aise potrebbe chiudersi presto. In caso contrario, Racanelli potrebbe presto chiamare in procura nuovi testimoni.
    La questione resta delicata, e sono molti ad essere interessati allo sviluppo delle investigazioni. Nei servizi, al governo, ma anche dentro l’ufficio giudiziario di Roma, che aspetta ancora il successore di Pignatone. Anche perché il pm Racanelli – secondo qualcuno – rischia di essere in conlitto di interessi, perché suo fratello Paolo, nei mesi in cui Ultimo tentò di usare Exodus per incastrare presunte talpe interne all’agenzia, lavorava proprio nell’Aise.
    Si racconta che i rapporti tra il fratello del pm e i suoi superiori, coloro dunque che sembrano essere al centro dell’indagine giudiziaria del congiunto, non fossero eccellenti. Non abbiamo certezze in merito. Ma è un fatto che lo 007 lasciò improvvisamente Forte Braschi nel 2017, per trasferirsi alla sede dell’Aisi di Bari. In Puglia è rimasto quasi due anni: oggi Paolo è tornato a Roma, in una sede del controspionaggio guidato da Mario Parente.
    Anche quest’ultimo potrebbe presto es- sere chiamato a dare informazioni utili per chiarire se e come Exodus sia stato usato dai suoi agenti segreti: l’Aisi avrebbe infatti usato il software in dosi massicce. È necessario capire se dati sensibili siano finiti nel cloud in Oregon, e se informazioni chiave per la nostra sicurezza nazionale non siano state bucate da soggetti esterni senza autorizzazioni.
    Vedremo. Di sicuro il pm Racanelli da qualche settimana è coadiuvato nell’inchiesta anche dall’aggiunto Paolo Ielo, che Prestipino ha voluto affiancare al titolare dell’indagine per rafforzare il pool. Una scelta non banale: grazie alla lettura di carte inedite risulta all’Espresso che proprio Racanelli a maggio fu ascoltato mentre discuteva con il collega Luca Palamara in merito a un esposto del pm Stefano Fava, che i magistrati di Perugia considerano essere stato scritto per danneggiare proprio Ielo. «Bisogna insistere per avere le carte, e incominciare a muovere le carte», dice Angelantonio a Palamara, furioso con Ielo perché aveva mandato gli atti su una sua presunta corruzione alla procura umbra. «La tua cosa in Prima Commissione (la sezione disci- plinare del Csm, ndr) rimarrà in stand by
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    Prima Pagina
    Foto: L. Mistrulli – Ag. Fotogramma, O. Douliery – Getty Images

    Governo / Scontro tra apparati
    finché non si chiude il processo… questo è pacifico perché là non ci sono elementi… quindi secondo me la commissione non fa niente sulla pratica tua» spiega Racanelli (dimessosi a luglio da segretario di Magistratura indipendente subito dopo lo scoppio dello scandalo) all’amico. «Su quell’altra bisogna insistere… incominciare a convocare… perché così segnali…».
    PATTO SCELLERATO
    L’inchiesta sul malware Exodus non è l’unica che coinvolge i vertici dei nostri servizi. Divorati da guerre intestine per il potere e le nomine, da settimane le nostre barbe finte leggono e rileggono le motivazioni della sentenza con cui i giudici di Caltanissetta hanno condannato a 14 anni di carcere Antonello Montante, l’ex numero uno di Confindustria Sicilia che aveva – secondo il gup Graziella Luparello, «occupato, mediante corruzione sistematica e raffinate operazioni di dossieraggio, molte istituzioni regionali e nazionali». La sentenza cita anche due pezzi grossi dell’Aise, Mario Parente e Valerio Blengini, oggi numero uno e due dell’Aisi, che – interrogati dal gup in merito ad alcune fughe di notizie e un presunto tentativo di preservare un colonnello dei servizi (Giuseppe D’Agata considerato vici- nissimo a Montante) dall’inchiesta giudiziaria – avrebbero entrambi detto bugie ai giudici. «Blengini e Parente mentono sapendo di mentire
    la carica riunisce quelle di ministro della Giustizia e Procuratore Generale
    pendo di mentire», dice la Luparello. Per preservare «un patto scellerato, al quale potrebbe aver aderito, lo si afferma con grande desolazione, anche l’attuale direttore generale Mario Parente». Il gup è talmente convinta che i vertici del servizio interno non le hanno raccontato la verità che ordina, nei confronti di Blengini e il suo capo, la trasmissione degli atti alla procura nissena. Per valutare se i due abbiano compiuto o meno reati.
    Il premier Conte, che ha mantenuto le deleghe sui servizi, segue i dossier che arrivano dalla magistratura con grande attenzione. Ma le sue preoccupazioni maggiori riguardano, in questi giorni, i possibili sviluppi del Russiagate americano. O meglio, del côté tricolore della vicenda, che rischia di tenere a lungo sulle spine sia Palazzo Chigi sia Gennaro Vecchione, che l’avvocato di Volturara Appula ha voluto fortemente a capo del Dis, il dipartimento che coordina i nostri servizi.
    È noto che Conte ha chiesto al suo fedelissimo (e a Carta e Parente che si sono adeguati obtorto collo) di incontrare ad agosto e settembre il ministro della Giustizia William Barr. L’uomo che insieme al procuratore John Durham sta indagando sull’ipotesi che Donald Trump, accusato di essere stato aiutato dai russi nella campagna elettorale del 2016, sia al contrario vittima di un complotto ai suoi danni ordito da pezzi dell’Fbi e dai democratici, con l’aiuto di governi e servizi di alcuni paesi alleati.
    Due incontri segreti di cui Conte non informò nessuno, nemmeno il Quirinale. Riunioni che alcuni giudicano fatto gravissimo («il premier ha venduto i nostri servizi a un governo straniero per ottenere il sostegno da Trump», attaccano le opposizioni), e che molti valutano quantomeno inopportuni, dal momento che Barr è un’autorità politica, e che i servizi possono scambiare informazioni solo con i loro omologhi.
    Il presidente del Consiglio e Vecchione, interrogati davanti al Copasir, hanno minimizzato gli eventi, negando con forza che i nostri 007 abbiano girato a Barr informazioni sensibili sul presunto complotto. Sarà però fondamentale leggere il rapporto finale del Dipartimento di giustizia sui presunti abusi compiuti dal deep state Usa per azzoppare la campagna di Trump: se dovessero esserci particolari rilevanti sull’Italia che non collimassero con le dichiarazioni di Conte e Vecchione, le polemiche potrebbero tornare in prima pagina con efetti devastanti. E l’ipotesi già raccontata dal nostro settimanale di uno spostamento del generale a Palazzo Chigi come consigliere militare, con lo spostamento di Carta al Dis e la promozione di un interno come nuovo capo dei servizi esterni (Giovanni Caravelli è in pole position, Caputo pagherebbe la vicenda Exodus) prenderebbe di nuovo corpo.
    «L’indagine di Durham (che ha cercato prove in Italia, Australia, Ucraina e Gran Bretagna, ndr) è molto importante, sento che è una delle indagini più importanti nella storia del nostro Paese», ha ribadito il presidente americano in settimana. Nel palazzo romano di Piazza Dante, nuova sede dei nostri servizi, si augurano che Trump e Barr, essendo alle prese con la procedura di impeachment per le presunte pressioni fatte al governo ucraino per danneggiare il rivale Joe Biden, bluffino. O che, quantomeno, il lavoro di Durham e dell’ispettore generale del Dipartimento di Stato Michael Horowitz alla fine non citi espressamente l’Italia. «Se fossimo coinvolti davvero nel rapporto sarebbe un disastro», spiegano dal Dis. «Anche perché oggi non possiamo permetterci distrazioni. Le nostre agenzie devono concentrarsi pancia a terra su fronti caldi, in primis sulla Libia e sui tentativi di riportare a casa i nostri concittadini rapiti all’estero», come Silvia Romano.
    In questi giorni, inoltre, a creare ansia è pure il rinnovo automatico degli accordi con l’esecutivo di Al Serraj, firmati da Paolo Gentiloni e Minniti nel 2017. Mentre molti addetti ai lavori, tra cui il prefetto Mario Morcone, non si capacitano ancora di come abbiano fatto i nostri servizi a permettere che un guardacoste e trafficante di rango come Abdulrahman Al Milad detto “Bija”, potesse due anni fa arrivare in Italia per discutere di politiche migratorie con nostri funzionari. Tanto da essere immortalato con tutti gli onori in alcune fototografie pubblicate su “Avvenire” che hanno dato il via al caso.
    A Palazzo Chigi sottolineano che le eventuali responsabilità politiche e quelle inerenti al “mancato controllo” siano da addebitare a chi c’era prima, e che Conte e i nuovi vertici da poco insediatesi nulla potevano sapere. Nessuno fa nomi a chi scrive, ma è facile immaginare che ad Alberto Manenti, ex capo dell’Aise, possano fischiare le orecchie. Per trent’anni nell’agenzia, di cui conosce a menadito strutture e segreti, Manenti – grande conoscitore dello scenario libico, vanta buoni rapporti sia con Al Sarraj sia con il rivale Khalifa Haftar – è tornato a sorpresa sulla scena pochi giorni fa. Quando ha prima incontrato il capo della Cia Gina Haspel in un albergo della Capitale vicino l’ambasciata di Via Veneto (di che hanno parlato? Dello spygate?), poi ha “portato” l’ambasciatore libico a Roma dal neo ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. A che titolo, resta un mistero.
    Gli amici sostengono che Manenti sia così intraprendente solo per provare a dare qualche buon consiglio «dall’alto della sua grande esperienza», eppure nei servizi segreti e a Palazzo Chigi le mosse dell’ex numero uno non sono affatto piaciute. Non solo per l’eccessiva autonomia di un semplice pensionato: gli si rinfaccia pure un rapporto ancora troppo stretto con Caputo e legami con Leonardo Bellodi, ex capo delle relazioni istituzionali di Eni che lo scorso febbraio ha fondato il “Marco Polo Council”. Un think tank specializzato in intelligence che ha ottime entrature in Usa, Israele e Medio Oriente.
    Il problema di fondo, però, resta uno sol- tanto: quando il caos indebolisce l’autorità politica, la confusione si riverbera automaticamente sulle istituzioni controllate. Dunque: o Conte riprende rapidamente il controllo saldo della barra del timone, o altri scandali porteranno la barca della no- stra intelligence verso scogli ancora più perigliosi. Q
    IL PREMIER CONTE E IL DIRETTORE DEL DIS VECCHIONE ASPETTANO CON ANSIA LA PUBBLICAZIONE
    DEL RAPPORTO BARR. CHE POTREBBE SMENTIRLI
    Prima Pagina
    10 novembre 2019 29
    Foto: E. Ferrari – Ansa, S. Georges – The Washington Post via Getty Images

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